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Un nuovo modello economico: l’Economia della

condivisione (EdC)
La nascita di un nuovo modello economico

Il nostro attuale modello di consumo è


insostenibile in quanto si traduce in perdita di
habitat e di biodiversità, inquinamento e
cambiamento climatico, tra gli altri impatti
(Rapporto speciale dell’IPCC pubblicato
nell’ottobre 2018).
Per questa ragione, sono necessarie soluzioni
che ci consentano di modificarlo.
La Sharing economy o Economia della
condivisione può offrire una soluzione? Come è
nata?
La letteratura suggerisce che la proliferazione
della sharing economy è guidata da una serie di
cause: la recessione del 2007-2008 e la crisi
che ne è derivata, la crescente disuguaglianza
sociale, la maggiore consapevolezza
ambientale, la proliferazione delle ICT e dei
social media.

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Sharing economy: quanti nomi!

La chiamano con moltissimi nomi: sharing economy, consumo collaborativo, peer-to-peer


economy, economia on-demand, gig economy, anche per indicare attività parzialmente
differenti. Al momento si tratta di un settore di nicchia, ma gli esperti stimano che arriverà a valere
circa 335 miliardi di dollari entro il 2025 (Vaughan and Hawksworth, 2014).
È più immediato comprendere il fenomeno citando solo alcune delle principali piattaforme di
questo modello economico, cui si può aver preso parte come utenti: ad esempio, soggiornando in
una proprietà AirBnB, condividendo un passaggio via Blablacar o Lyft, ricevendo aiuto per una
commissione attraverso TaskRabbit, o affittando vetture a breve termine con Uber.

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Cos’è dunque la Sharing economy?

Il dibattitto sulla sharing economy è tuttora aperto, considerato che il fenomeno è recente e in
forte espansione e, ad oggi, non esiste una definizione comunemente accettata di Edc ma si sono
sviluppate una varietà di definizioni parallele.
Tuttavia, ai nostri fini, è opportuno soffermarsi sulla definizione adottata dalla Commissione
UE (COM(2016)356) :
«L’economia collaborativa» si riferisce a «modelli di business in cui le attività sono facilitate
da piattaforme online che creano un mercato aperto per l'uso temporaneo di beni o servizi
spesso forniti da privati. L'economia collaborativa coinvolge tre categorie di attori:
i. fornitori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze - questi possono
essere privati che offrono servizi su base occasionale ("peer") o fornitori di servizi che
agiscono nella loro capacità professionale ("fornitori di servizi professionali");
ii. utenti di questi;
iii. intermediari che collegano - attraverso una piattaforma online - i fornitori con gli utenti e
che facilitano le transazioni tra loro ("piattaforme collaborative").
Le transazioni dell'economia collaborativa generalmente non comportano un cambio di
proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro».
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Il Ruolo delle piattaforme digitali

Le piattaforme digitali (un fenomeno nuovo) riuniscono due o più tipi di utenti (acquirenti
e venditori, inserzionisti, fornitori di servizi complementari, ecc.) in un unico luogo
virtuale.
Il ruolo delle piattaforme è quello di:
• far incontrare gli utenti tra loro al minor costo di ricerca possibile;
• raccogliere dati sul comportamento degli utenti e sui prodotti offerti, ed elaborare questi
dati con algoritmi che sono progettati per trovare le migliori corrispondenze;
• facilitare lo scambio di beni, servizi, annunci e contenuti multimediali facendo incontrare
gli utenti e ottenendo in cambio una tassa di accesso o una commissione sulla vendita.
Le piattaforme collaborative hanno ridotto i costi di ricerca e di ingresso al mercato a livelli
così bassi che diventa fattibile per le aziende molto piccole e persino per gli individui
partecipare a un mercato.
Un esempio è eBay, che ha spostato il mercato dei beni di seconda mano online con un
sistema di aste di prezzi - un puro mercato consumer-to-consumer (C2C) o peer-to-peer
(P2P). Poi, spostandosi dalle aste di prezzo ai prezzi fissi e dai beni di seconda mano ai beni
nuovi, eBay è ora diventato una vetrina globale per molti prodotti venduti da piccole o micro
aziende e da aziende più grandi, più tipiche di un mercato business-to -consumer (B2C).

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I diversi tipi di piattaforme digitali

Come anticipato le piattaforme operano come un mercato a due lati mediando la


condivisione tra due o più attori, generalmente un proprietario di risorse e un utente di
risorse.
In particolare, le piattaforme impegnano gli attori secondo questi modelli:
1. peer-to-peer (P2P): la mediazione avviene tra pari, utenti privati;
2. business-to-peer (B2P): la mediazione avviene tra attività commerciali e privati
(es. Spacious).
3. business-to-business (B2B): la mediazione avviene tra attività commerciali, che
spesso condividono risorse inattive particolari al loro settore di attività (ad
esempio, attrezzature edili o mediche).
4. crowd/cooperative: la mediazione avviene da uno a molti, da molti a uno, o da
molti a molti. Questo modello è comprensivo di cooperative o modelli di
crowdsourcing (ad es. cooperative automobilistiche, cooperative di energia
rinnovabile, o crowdsourcing di materiale artistico in classe o costumi in prestito
per una produzione teatrale).

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La c.d. «terza rivoluzione industriale»

Jeremy Rifkin, visionario economista americano, sostiene che la sharing economy sia la terza rivoluzione
industriale, perché è «la risposta ai cambiamenti climatici, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della
ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni».
A suo avviso, la Terza rivoluzione Industriale rappresenta una trasformazione radicale, dopo quella del vapore e
dell’elettricità che si affermerà attraverso la congiunzione tra le scelte green e l’economia della condivisione –
sharing economy – favorita dalle tecnologie digitali.
Secondo Rifkin la sharing economy rappresenta una evoluzione e un cambio di paradigma delle precedenti
fasi del capitalismo:
• L’economia di mercato e il possesso di beni coabiteranno e si ibrideranno con l’Edc;
• Si supereranno le tradizionali figure di produttore e consumatore (il prosumer) e vedremo la nascita di
nuovi mestieri diversi da quelli attuali.
• A mano a mano che le nuove tecnologie e piattaforme digitali progrediranno, la nuova economia ridurrà
sempre più i costi marginali e quindi sarà sempre più competitiva nei confronti del capitalismo tradizionale.
• Sempre più persone preferiranno il beneficio dalla condivisione, del noleggio, dello scambio non monetario
alla proprietà. Riuso e resilienza invece che ‘usa e getta’, socialità e partecipazione invece che acquisto
individuale.

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Jeremy Rifkin

Di seguito alcune opere di Jeremy


Rifkin:
• La società a costo marginale zero.
L'internet delle cose, l'ascesa del
«commons» collaborativo e l'eclissi
del capitalismo (2017)
• La terza rivoluzione industriale. Come
il «potere laterale» sta trasformando
l'energia, l'economia e il mondo
(2018)
• Green new deal. Il crollo della civiltà
dei combustibili fossili entro il 2028 e
l'audace piano economico per salvare
la Terra (2021)

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I benefici del modello Edc

 In 1° luogo, l’Edc riduce sostanzialmente i costi di transazione e di ingresso nel mercato e


minimizza i vincoli degli scambi monetizzati e non monetizzati grazie a costi di informazione
significativamente inferiori. Questo permette agli utenti di fare transazioni reciprocamente
vantaggiose – aumentando i ricavi - che prima non erano fattibili perché i costi di ricerca e di
informazione erano semplicemente troppo alti rispetto al valore della transazione.
 In 2° luogo, permette agli individui di fare un uso più produttivo della capacità e del capitale di
riserva, come la capacità immobiliare di riserva, le attrezzature e le automobili inutilizzate, i
beni di seconda mano e, ultimo, la manodopera sottoccupata o disoccupata, fornendo nuove
opportunità di impiego redditizio. Le piattaforme collaborative potrebbero quindi portare a un
aumento della produttività attraverso l'uso di beni o capitali sottoutilizzati, creare nuovi
mercati attraverso innovazioni dirompenti e stimolare ulteriori innovazioni tra le industrie
esistenti.
 In 3° luogo, un uso più efficiente dei beni può determinare un impatto positivo sull'ambiente.
 In 4° luogo, queste attività generano capitale sociale e fiducia generalizzata.
 In 5° luogo, consente modalità di lavoro flessibili e incide favorevolmente sull’occupazione;
 Inoltre, l’Edc può agire come un catalizzatore per l'innovazione nei servizi pubblici, favorendo
l'impegno dei cittadini e la costruzione della comunità. Nuove tecnologie come la blockchain,
che permettono interazioni peer-to-peer senza un intermediario, potrebbero facilitare
ulteriormente questi sviluppi in futuro. I governi potrebbero fare uso dei dati delle piattaforme,
per esempio per migliorare i servizi e sviluppare politiche basate sull'evidenza.

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Alcuni dati…

Nel documento «The European Collaborative Economy» elaborato dalla Commissione UE nel 2016,
sono riportati questi dati indicativi:
 Uno studio stima che in Francia il fatturato delle attività di Edc è di 2,5 miliardi di euro, coinvolge
circa 15 000 imprese e genera 13 000 posti di lavoro permanenti. Si tratta di circa lo 0,1% del PIL
francese generato dallo 0,5% delle imprese francesi per lo 0,05% dell'occupazione totale. Una
recente indagine indica che nel Regno Unito l'11% della popolazione tra i 15 e i 75 anni (cioè 5
milioni di individui) ha lavorato almeno una volta attraverso piattaforme.
 Uber è valutata 50 miliardi di dollari ed è presente in 230 città che coprono 60 paesi;
 Airbnb vale 20 miliardi di dollari, è presente in 34 000 città che coprono 190 paesi e ha avuto 35
milioni di ospiti dal suo lancio nel 2008 con due milioni di annunci;
 BlaBlaCar si è espansa oltre la Francia raggiungendo 10 mln di membri in 13 paesi.
 Tra il 2013 e il 2015 le entrate nette dell’Edc dell'UE in cinque settori chiave (alloggio, trasporti,
servizi online, servizi locali e finanza) sono cresciute di oltre il 70%, da 1 miliardo di euro a 3,6
miliardi di euro.
Inoltre, secondo uno studio di “PwC”, in Europa dal 2015 si è assistito a una forte diffusione delle
imprese che operano nell’Edc e, considerando i cinque principali settori – finanza collaborativa,
alloggi tra privati, trasporti, servizi domestici e servizi professionali a richiesta –, questo mercato vale
28 miliardi di euro. Una cifra destinata a sfiorare i 570 miliardi di euro entro il 2025.

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Quale sostenibilità nell’Edc?

Nella sharing economy non è solo il Prodotto interno lordo (PIL) lo schema di misurazione ma sono altri
indicatori di qualità: un reale benessere economico, la qualità della vita e la rigenerazione delle risorse, la
democratizzazione del sistema economico, una nuova occupazione ecocompatibile.
Il presunto potenziale di sostenibilità sta nello sfruttare la capacità di inattività di beni e servizi per ridurre il
consumo netto, il che porta a un uso ridotto delle risorse [14,15]. Si sostiene anche che la condivisione porta a
una riduzione dell'uso di acqua ed energia [38,93] e a una riduzione dei rifiuti dei consumatori [15,73,84].
Infine, si sostiene che la sharing economy porti a una riduzione delle emissioni di gas serra [15,17,93,106],
posizionando la condivisione come una pratica di consumo alternativa per affrontare il cambiamento climatico
Questo recupero di centralità delle relazioni va infatti imperniato sulla fiducia fra persone, il carburante che
alimenta il motore dell’economia della condivisione, come afferma Rachel Botsman, nota esperta di sharing.
Nel loro insieme fiducia e relazioni personali, con reciprocità e ridistribuzione, sono la leva che può scardinare
il meccanismo dell’economia e del mercato “tradizionale” di domanda e offerta (dove è netta la separazione tra
produzione ed erogazione e di possesso e consumo), per promuovere un meccanismo di sovrapposizione tra
questi sistemi (chi produce può essere anche consumatore) che al possesso privilegia lo scambio, il riutilizzo, il
riciclo, la circolarità delle risorse prodotte, in una prospettiva economica, sociale e ambientale più sostenibile.

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La dinamica evolutiva della Sharing Economy ha reso ben presto necessario un riordino tra tante definizioni e approcci. A
questo proposito può essere utile richiamare il lavoro di Rachel Botsman, la quale identifica quattro diverse prassi:
1) Collaborative Economy: contenitore generale entro cui ricadono tutte le pratiche e che costituisce un’economia basata su
reti distribuite e a loro volta formate da comunità e individui interconnessi, in opposizione ad istituzioni centralizzate che
trasforma le modalità con cui produciamo, consumiamo, finanziamo e impariamo. In questo insieme si riconoscono:
a) a) produzione (collaborative production) realizzata tra gruppi di persone che collaborano nella progettazione di un prodotto o
servizio (design collaborativo), nella sua realizzazione o nella sua distribuzione tramite reti
b) b) consumo (collaborative consumption) inteso come massimo utilizzo delle risorse attraverso modelli di redistribuzione efficienti
e di accesso condiviso
c) c) finanza (collaborative finance) intesa come insieme dei servizi di finanziamento, prestiti, investimento offerti al di fuori delle
istituzioni finanziarie tradizionali, attraverso piattaforme di crowdfunding (nelle quali gruppi di persone contribuiscono
direttamente al finanziamento di uno specifico progetto) o di prestito peer-to-peer (grazie alle quali persone con denaro da investire
si connettono direttamente con persone che stanno cercando prestiti); monete complementari; assicurazioni collaborative
d) d) istruzione (collaborative learning) con riferimento a nuovi modelli di open education e apprendimento peer-to-peer tesi a rendere
più facile l’accesso e la condivisione della conoscenza, attraverso corsi aperti, materiali didattici gratuiti, condivisione di
competenze, attività di crowdsources knowledge (attività di aggregazione delle conoscenze per la risoluzione di quesiti).
2) Sharing Economy: costituisce un sottoinsieme specifico nel quale le risorse sottoutilizzate (spazi, oggetti, competenze
professionali) vengono condivise da alcuni utenti per un beneficio monetario o simbolico, consentendone un utilizzo più
efficiente
3) Peer Economy: economia tra pari basata sulla fiducia reciproca facilitando condivisione e scambio di beni e servizi,
includendo anche i mercati artigianali capaci di far incontrare direttamente i produttori di beni con gli acquirenti.
4) Collaborative Consumption: modello economico di condivisione, scambio, commercio, affitto di beni, servizi ma anche
risorse (spazio, tempo, competenze, capacità, denaro) che privilegia l’accesso alla proprietà e che si determina per attività
di noleggio, attività di re-distribuzione e stili di vita collaborativi

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I seguenti settori sono stati segnalati come i più significativi al
momento:
• alloggi a breve termine;
• trasporto (servizi di taxi, ride sharing, parcheggi);
• commercio elettronico peer-to-peer;
• servizi domestici su richiesta (come il supporto nei
compiti domestici, la consegna, preparazione del cibo) e
servizi professionali su richiesta;
• prestito peer-to-peer e crowd-funding.

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Esempi di Sharing Economy: da Uber e Airbnb
a
Gli esempi di economia on-demand stanno crescendo a vista d’occhio e si
moltiplicano le startup che impostano il loro modello di business sul peer-to-peer
sharing.
Uber e Airbnb sono i casi più famosi di economia collaborativa, i pionieri della
sharing economy. È da loro che nasce l’idea di rental economy, ossia dell’affitto o
noleggio condiviso. Dietro il loro successo si sono sviluppati il ramo della sharing
mobility e dell’house sharing.
Un settore della sharing economy in pieno sviluppo è quella legato alla condivisione di
capitali. Oggi le persone possono richiedere un prestito di denaro peer-to-peer
(P2P) a qualche altro privato tramite piattaforme online autorizzate, spesso a
condizioni più favorevoli rispetto a quelle dei tradizionali enti di credito. Società come 
Criptalia, Mintos, Bondora, Smartika o Soisy sono solo alcune delle migliori
piattaforme di social lending in Italia ed Europa. Fanno parte della categoria anche i
siti di crowdlending, come Re-Lender o Crowdestate focalizzati sul mercato
immobiliare.

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I risvolti negativi dell’Edc

Poiché si tratta di un fenomeno in divenire, in continua espansione, non circoscritto ai


confini nazionali e, ad oggi, per la maggior parte, non regolamentato, vi sono una serie
di problematiche. Si sollevano, ad esempio, critiche su possibili:
• forme di concorrenza sleale rispetto alle imprese esistenti;
• violazioni di norme fiscali e previdenziali;
• creazione di forme di precariato per i giovani;
• raggiri dei consumatori in mancanza di strumenti di garanzia della qualità dei
prodotti e servizi scambiati;
I politici e i regolatori si trovano pertanto, nella difficile situazione di dover assicurare
la protezione dei consumatori, preservare i diritti dei lavoratori, evitare l'erosione della
base fiscale e regolare le nuove attività senza soffocare l'innovazione.
Il dibattito sulla regolamentazione è polarizzato tra i sostenitori
dell'autoregolamentazione (altre forme farebbero venir meno le ragioni d’essere
dell’Edc) e i sostenitori dell’estensione della regolamentazione vigente alle
piattaforme al fine di correggere i fallimenti del mercato e proteggere i lavoratori.

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«Stiamo passando da un'era industriale a un'era digitale, e
l'economia della condivisione è una delle
sue manifestazioni più notevoli».
Luis Tamayo

GRAZIE!

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