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I distretti industriali: aspetti quantitativi e qualitativi

Istituto per la Promozione Industriale


Centro Studi

Pordenone, 7 Maggio 2009

1
AGENDA

• Il sistema produttivo • I distretti per regione


italiano • L’effetto distretto
• Definizione e • Export e politiche per i
caratteristiche del distretti
distretto
• L’evoluzione dei distretti
• I punti di forza del
distretto Marshalliano • Alcuni esempi di sviluppo
distrettuale :
• La classificazione L’esperienza dell’Ipi
• La normativa • Un po’ di letteratura

2
1. IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO

3
IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO:
CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Maggior presenza Minore presenza

• Imprese di grandi
dimensioni: in parte per
• Micro e piccole imprese carenze storiche, in parte a
seguito dell’uscita da molti
settori produttivi
• Aree geografiche ad elevata (Elettronica, Informatica,
Chimica)
presenza di manifatturiero
• Contenuta presenza di
imprese medie, anche se si è
recentemente consolidato un
nucleo di circa 4.000
imprese che, pur
conservando una struttura
prevalentemente familiare,
è stato capace di conseguire
uno straordinario successo

4
In un contesto produttivo europeo già caratterizzato per la prevalenza di
PMI (meno di 250 addetti) e, in particolare, di imprese di micro
dimensioni (1-9 addetti), l’Italia si distingue per un tessuto
imprenditoriale ancora più polverizzato

Il peso delle PMI


(addetti per dimensione di impresa 2004, composizione %)
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Italia Francia Germania Regno Unito

1-9 10-19 20-49 50-249


5
IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO:
CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Maggior presenza Minore presenza

• settori tradizionali (ad alta • settori con forti economie


intensità di lavoro) di scala (ad alta intensità
di capitale fisico)
• settori a offerta
specializzata (a media • settori ad alta intensità di
intensità di capitale fisico) ricerca

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L’Italia si caratterizza per un peso elevato delle produzioni tradizionali a
bassa e medio bassa tecnologia e un ritardo in quelle ad alta e medio-alta
tecnologia (che rappresentano solo il 34% del valore aggiunto
dell’industria manifatturiera)

La specializzazione su settori a bassa


intensità tecnologica
(valore aggiunto 2002, composizione %)
80

70
60

50

40
30

20
10

0
Italia Francia Germania Regno Unito

Bassa tecnologia Medio bassa tecnologia

7
In particolare, il modello italiano è fondato prevalentemente sul Made in Italy (settori
tradizionali tra cui Alimentare, Tessile, Abbigliamento, Pelli e calzature, Legno, mobilio e
arredamento) e il settore della Meccanica

La struttura produttiva italiana è legata alle caratteristiche – rimaste immutate nel corso
dell’ultimo trentennio - del proprio modello di specializzazione

Distribuzione percentuale delle imprese per settore Distribuzione percentuale degli addetti e del valore
manifatturiero - 2005 aggiunto per settore manifatturiero - 2005

50,0 45,8
60,0 42,8 42,3
53,6
40,0 37,2
50,0

40,0 34,4 30,0

30,0
20,0 17,0
15,0
20,0
12,1
10,0
10,0

0,0 0,0
Made in Italy (1) Meccanica varia e Altre industrie Made in Italy (1) Meccanica varia e Altre industrie
strumentale (2) manifatturiere (3) strumentale (2) manifatturiere (3)

Fonte: elaborazioni su dati Istat Addetti Valore aggiunto

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ALCUNE CARATTERISTICHE COMUNI DELLE MICRO E PICCOLE
IMPRESE

 L’imprenditore è generalmente un “self-made-man”

 Il livello culturale degli imprenditori medio-basso (anche se in aumento)

 Il proprietario è - nella maggioranza dei casi – il fondatore dell’azienda


(76% secondo una recente indagine condotta da Unioncamere e
dall’Istituto G. Tagliacarne)

 La proprietà è esercitata da un solo o al massimo due-tre soggetti

 Prevalenza di legami di parentela tra i proprietari

 Mercati prevalenti: provinciale e regionale

 Stretto contatto con il territorio (importante funzione di coesione sociale


ed economica)
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I PRINCIPALI FATTORI DI FORZA DELLE MICRO E PICCOLE IMPRESE

 Flessibilità: capacità di risposta alle variazioni delle tendenze del


mercato, rapido adeguamento dell’offerta alle esigenze della
domanda

 Capacità di realizzare prodotti di elevata qualità: il 38,5% delle


imprese con un addetto e il 27,4% di quelle da 1 a 4 dipendenti
realizzano esclusivamente prodotti su misura (risultati di una
recente indagine condotta su un campione di circa 300 imprese
manifatturiere e informatiche innovative)

 Capacità di compensare le ridotte dimensioni medie attraverso


strategie collaborative: sostituzione di economie di scala con
economie di agglomerazione

10
I PRINCIPALI FATTORI DI DEBOLEZZA DELLE MICRO E PICCOLE
IMPRESE

 criticità dei rapporti tra il credito e il mondo delle piccole e medie imprese

 modesta propensione all’internazionalizzazione e scarsa tendenza a


delocalizzarsi all’estero

 largo utilizzo di forza lavoro poco qualificata

 trasferimento dell’azienda (problema della successione): secondo una ricerca


condotta dall’Università Bocconi, il 40% degli imprenditori ha più di 60 anni e
circa il 45% delle imprese dovrà affrontare questo problema nei prossimi dieci
anni

 modesta propensione all’innovazione tecnologica

 scarsa “informatizzazione” ed elevato gap rispetto ai principali paesi europei


(anche se recenti indagini condotte dall’Istat evidenziano un sensibile progresso
delle micro e piccole imprese)

 Modesto utilizzo dei vari servizi offerti sia da Istituzioni pubbliche che private
(soprattutto a carattere più innovativo)
11
2. I DISTRETTI INDUSTRIALI

12
I DISTRETTI INDUSTRIALI
Che cos’è un Distretto Industriale

Il distretto “industriale marshalliano” è un’entità socio – economica


caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta,
naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di
una popolazione di imprese industriali.

Caratteristiche del Distretto

 Stretta relazione tra le imprese componenti il Distretto e tra


queste e le Istituzioni
 Elevata flessibilità che permette una riconversione ad una
nuova domanda
 Elevato sistema di relazioni tra le istituzioni locali e le
imprese
 Produzioni specifiche
 Forte propensione all’export
13
IL DISTRETTO MARSHALLIANO

Secondo Marshall per parlare di Distretto (cfr. Lancashire


- tessile; Sheffield - acciaio) occorre che la localizzazione
duri nel lungo periodo. Il fatto di esistere per un lungo
periodo fa nascere alcuni importanti vantaggi:

 Specializzazioni ereditarie

 Il formarsi di un consistente numero di imprese sub-


fornitrici

 L’uso di macchinari altamente specializzati

 La creazione di un mercato locale per lavoro


specializzato
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I PUNTI DI FORZA DEL DISTRETTO MARSHALLIANO

 La presenza di economie esterne


 Promuove lo sviluppo della conoscenza anche attraverso
relazioni informali
 Promuove l’innovazione
 L’importante miscela di cooperazione e concorrenza
 Collaborazione tra imprese
 Condivisione delle conoscenze e sviluppo dell’innovazione
tecnologica
 Realizzazione di servizi
 Utilizzo di economie di scala per il contenimento dei costi
di produzione
 Elevato know how; sviluppo di ricerca e innovazione di
prodotto e di processo
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LA CLASSIFICAZIONE DEI DISTRETTI

1) APPROCCIO ISTAT: la metodologia di individuazione dei distretti assume come unità


territoriale d’analisi il sistema locale del lavoro (ISTAT, 1997) e prevede 4 stadi di analisi:
A) Individuazione dei sistemi locali manifatturieri; B) Individuazione dei sistemi locali
manifatturieri composti da PMI; C) Individuazione dell’industria principale di ciascun
sistema locale manifatturiero di PMI; D) Individuazione come Distretti Industriali dei
sistemi locali manifatturieri che sono composti da PMI.

2) APPROCCIO TERRITORIALE: I Distretti vengono anche individuati secondo un approccio


territoriale, ovvero con il riconoscimento di una “griglia classificatoria territoriale” delle
unità amministrative (Comuni, Province, Regioni) attraverso l’identificazione dei sistemi
locali del lavoro (Istat, 1997).

3) DISTRETTI TECNOLOGICI: Numerose realtà locali (provinciali, regionali) si dichiarano


distretti tecnologici. Questi distretti “auto-dichiarati” corrispondono a realtà locali
qualitativamente e quantitativamente molto diverse. Non c’è, nella teoria economica,
una chiara identificazione del concetto di distretto tecnologico. Alcuni esempi di DT sono:
DT di Cagliari (Biomedicina e Tecnologie per la Salute); DT di Catania (Micro e nano-
sistemi); DT di Genova (Tecnologie per la logistica e i trasporti; Elettronica, robotica e
automazione).
16
La Legge 317/91

 La Legge 317/91 sugli “Interventi per l’innovazione e lo


sviluppo delle piccole imprese” ha dato, per la prima volta nel
nostro ordinamento, un riconoscimento giuridico ai Distretti
Industriali. Secondo l’art.36 della Legge sono definiti Distretti
Industriali: “le aree territoriali localizzate, caratterizzate da
elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare
riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la
popolazione residente, nonché alla specializzazione produttiva
dell’insieme delle imprese”.

 I Distretti non vanno confusi con i “Poli Industriali” (Perroux,


1955) che sono territori in cui si trova un’alta concentrazione di
imprese, di settori e specializzazioni differenti, molto spesso
senza alcun tipo di collaborazione e senza alcun legame con il
territorio

17
La Legge 140/99

 Con la Legge 140 viene riformulata la definizione di distretti industriali,


partendo dalla introduzione di un nuovo concetto: i sistemi produttivi
locali. Questi ultimi sono definiti dalla legge 140/99 come i “contesti
produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di
imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una
peculiare organizzazione interna”. Sulla scorta di questa nuova
nozione, i distretti industriali furono definiti come “sistemi produttivi
locali caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese
industriali, nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di
imprese”.

 Nella definizione di sistemi produttivi locali viene abbandonata la


delimitazione precisa di un territorio dalle cui caratteristiche
produttive scaturisce il distretto e viene introdotto il riferimento al
contesto produttivo omogeneo, anch’esso caratterizzato da un’elevata
concentrazione di imprese prevalentemente di piccole dimensioni.
Inoltre, viene meno anche il riferimento al rapporto tra la presenza di
imprese e la popolazione residente previsto dalla 317/91, sostituito dal
criterio di una peculiare, ma non meglio precisata, organizzazione
interna tra le imprese del contesto produttivo omogeneo.
18
I DISTRETTI INDUSTRIALI
Numero di Distretti Industriali per area geografica
(ISTAT - 2001)

SUD ; 26; 17%


NORD-EST; 42; 27%

CENTRO; 49; 31%


NORD-OVEST; 39; 25%

Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT

• 156 Distretti industriali 2.215 Comuni (27.3% del totale)


• 12,6 milioni di residenti (22.1% rispetto al totale in Italia)
• 212.414 siti manufatturieri (36% dell’Italia)
• 1,9 milioni di occupati in attività manifatturiere (39.3%
dell’Italia)
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I distretti industriali Distretti Industriali individuati dall'Istat
Trentino-Alto Adige

Lombardia # #

Valle D'Aosta Friuli-Venezia Giulia


#

Veneto

# #
Emilia-Romagna
#

Marche
Liguria
#

Piemonte

Abruzzo
#

Molise
#

Toscana
#

Umbria
#

Puglia
Lazio #
#

Campania
#

Sardegna Basilicata

Calabria
Sicilia

Confine regionale
Confine distrettuale #

SPECIALIZZAZIONE PRODUTTIVA
Alimentari
Carta e Poligrafiche
Chimica, Gomma, Plastica
Meccanica
Oreficeria, Strumenti musicali, Giocattoli
Pelli, Cuoio, Calzature
Prodotti per la casa
Tessile, Abbigliamento 20
I DISTRETTI PER REGIONE (Istat - Censimento, 2001)
REGIONE DISTRETTI INDUSTRIALI %
Piemonte 12 7,7
Valle d'Aosta - -
Lombardia 27 17,3
Trentino Alto Adige 8 5,2
Veneto 22 14,1
Friuli Venezia Giulia 3 1,9
Liguria - -
Emilia Romagna 13 8,3
Toscana 15 9,6
Umbria 5 3,2
Marche 27 17,3
Lazio 2 1,3
Abruzzo 6 3,8
Molise 2 1,3
Campania 6 3,8
Puglia 8 5,1
Basilicata 1 0,7
Calabria - -
Sicilia 2 1,3
Sardegna 1 0,7
Nord-Ovest 39 25,0
Nord-Est 42 26,9
Centro 49 31,4
Mezzogiorno 26 16,7
TOTALE ITALIA 156 100,0 21
DISTRETTI INDUSTRIALI PER SETTORE MANIFATTURIERO
(Istat - Censimento, 2001)

156

45 38 32
20
7 6 4 4

Tessile Meccanica Beni per Pelli, cuoio Alimentari Oreficeria Cartotecniche Prodotti in TOTALE
Abbigliamento la casa calzature Strumenti poligrafiche gomma/plastica ITALIA
Musicali

22
L’EFFETTO DISTRETTO
 Nel periodo 1991-2001, il numero degli occupati è sceso del 5% nelle aree non
distrettuali mentre è rimasto sostanzialmente stabile (-0,4%) nelle aree
distrettuali
 Prima del 1991, è stato rilevato un incremento del numero degli occupati nei
distretti rispetto a quelli in zone non distrettuali.

Andamento degli occupati nel manifatturiero nel periodo 1991-2001


4,0
1,5 0,3
2,0
0,0
-2,0 1991-1996 1996-2001 1991-2001
-4,0 -0,4
-2,2
-6,0
-5,0
-8,0
-10,0 Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT

-12,0 -10,2

Aree distrettuali Aree NON distrettuali

In accordo con una recente analisi dell’ISAE, il ROE e il ROI mostrano un


migliore andamento per le imprese all’interno dei distretti rispetto a
quelle esterne ad un distretto industriale. 23
IMPRESE DISTRETTUALI E NON DISTRETTUALI: PERFOMANCE A
CONFRONTO (Aspetti strutturali – valori %)

Imprese non
Imprese distrettuali
distrettuali
Distribuzione imprese
1-9 addetti 78,8 83,8
10-49 addetti 18,2 14,6
50-249 addetti 3,0 1,6
Incidenza Soc. capitale 24,3 20,3
Appartenenza gruppi di imprese 15,9 7,0
Incidenza imprese subfornitrici 84,0 79,9
Quota imprese che utilizza altre imprese come canale per l'estero 19,2 5,4
Incidenza fatturato estero (2005) 43,5 37,7
Incidenza fatturato estero (2006) 43,7 38,9
Incidenza imprese esportatrici 25,5 19,7
Quota imprese che esporta nella UE27 20,2 13,3
Quota imprese che esporta in Nord America 10,4 2,7

Fonte: Istituto G. Tagliacarne - Unioncamere, Rapporto PMI 2007


24
IMPRESE DISTRETTUALI E NON DISTRETTUALI: PERFOMANCE A
CONFRONTO (Aspetti congiunturali)

Imprese Imprese non


distrettuali distrettuali

Incidenza % imprese che ha aumentato la produzione nel 2006 30,0 19,2

Incidenza % imprese che prevede aumento produzione nel 2007 17,3 12,2

Incidenza % imprese che ha aumentato il fatturato nel 2006 22,6 19,4

Incidenza % imprese che prevede aumento fatturato nel 2007 11,5 11,8

Incidenza % imprese che ha aumentato l'export nel 2006 16,7 26,5

Incidenza % imprese che prevede aumento export nel 2007 19,3 18,9

Incidenza % imprese che ha aumentato l'occupazione nel 2006 4,7 4,2

Incidenza % imprese che prevede aumento occupazione nel 2007 6,6 4,4

Fonte: Istituto G. Tagliacarne - Unioncamere, Rapporto PMI 2007 25


INCREMENTO % DELL’EXPORT DISTRETTURALE
SULL’ANNO PRECEDENTE PER REGIONI

8,1
Italia 8,8
100
-5,4 2
Sud 5,1
5,7
Toscana 6
12,7
8
Em ilia Romagna 4,3
12,9
3,4 8,5
Veneto 25,7
9
Piem onte 10,6
7
17,2
Lom bardia 16,8
25,5
2 10,9
Marche
7,6
-20 0 20 40 60 80 100
Quota Incr. 2006 Incr. Gen-Mar 2007

Fonte: Monitor dei Distretti Intesa San Paolo, Luglio 2007

26
LA FORTE PRESENZA DEI DISTRETTI

La rilevanza delle esportazioni dei distretti industriali


(in % export italiane negli stessi comparti)

Totale distretti

Mobili ed elettrodomestici

Intermedi Sistema moda

Consumo Sistema moda

Beni per l'edilizia

Meccanica Strumentale

Alimentare

Manufatti vari

Meccanica Varia

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%


Fonte: Banca Intesa, Monitor dei Distretti

27
3. LE POLITICHE PER I DISTRETTI

28
LE POLITICHE DI SUPPORTO PER I DISTRETTI

1. Consolidamento e sviluppo dei distretti esistenti


 Azioni al livello locale per incrementare la competitività delle imprese attraverso la costruzione
di infrastrutture, la costituzione di accordi tra le diverse istituzioni distrettuali

 Le imprese che operano nei distretti beneficiano di programmi di sviluppo creati appositamente
per questo tipo di aziende (in genere Pmi)

2. Identificazione di nuovi distretti


 La legislazione nazionale ha delegato alle regioni la gestione dei distretti industriali di
competenza

 Alla fine del 2006, 168 distretti in 12 delle 20 regioni italiane sono stati formalmente
riconosciuti (Fonte: IPI, luglio 2006)

 Nella fase iniziale i distretti sono stati identificati secondo rigidi parametri statistici. Alcune
regioni come Lombardia e Veneto hanno identificato nuovi distretti produttivi anche in base al
ciclo del prodotto e senza il requisito della territorialità
29
LE POLITICHE DI SUPPORTO PER I DISTRETTI

Consolidamento e sviluppo dei distretti esistenti


(L’esperienza del Veneto)

 Le imprese presentano un progetto alla locale Camera del


Commercio e alla Regione per l’approvazione finale.

 Il progetto può riguardare, ad esempio, la creazione e la


promozione di un marchio di distretto

 I progetti sono basati sull’utilizzo di risorse, strutture e


manodopera locale
30
PRINCIPALI STRATEGIE DI CRESCITA DELLE IMPRESE DISTRETTUALI

STRATEGIE IN ATTO PER IL SUPERAMENTO DEI FATTORI DI


CRITICITA’ INTERNI ED ESTERNI PER SETTORE

 Miglioramento della qualità dei prodotti


 Creazione di un marchio proprio
 Spostamento su fasce di mercato più elevate
 Aumento numero committenti
 Coordinamento con altri subfornitori
 Miglioramento servizi offerti (trasporto, tempi consegna, etc.)
 Passaggio ad attività in conto proprio
 Aumento della dimensione aziendale
 Accordi con imprese di distribuzione
 Ricerca di nuove nicchie di mercato locale e nazionale
 Innovazione processi aziendali
 Contenimento/riduzione costi
 Formazione e qualificazione del personale
 Inserimento di risorse umane qualificate

31
4. L’EVOLUZIONE DEI DISTRETTI

32
FATTORI DI DEBOLEZZA IN UN CONTESTO GLOBALE

I distretti produttivi tradizionali sono messi in crisi dai


processi di internazionalizzazione produttiva legati alla
nuova distribuzione del lavoro e delle conoscenze

I mercati globali richiedono prodotti e servizi sempre più


rispondenti alle domande dei consumatori

33
LE CONSEGUENZE SUI DISTRETTI

I distretti sono chiamati a sviluppare:


• produzioni di alta gamma/qualità;
• presidio delle competenze chiave (formazione specializzata, conoscenza dei
mercati..)
• servizi a supporto dei processi di internazionalizzazione (logistica,marketing..)
• funzioni di “rigenerazione del know how” (R&S&I).

I distretti operano meglio:


• se multispecializzati perché si favoriscono processi di contaminazione
intersettoriale;
• se vengono collegati ad una logica di rete perché alcune attività necessitano
di massa critica per raggiungere livelli accettabili di efficienza ed efficacia.

Riconfigurazione del panorama dei distretti:


• scomparsa di taluni distretti tradizionali;
• riqualificazione di altri, specie se multispecializzati;
• nascita di nuovi distretti.
34
RECENTI EVOLUZIONI NELLE STRATEGIE DISTRETTURALI

 Politiche di upgrading qualitativo che hanno spinto molte imprese a


spostarsi su fasce più elevate del mercato

 Strategie di innovazione, marketing, design, ICT

 Molte imprese (dopo le iniziali sofferenze legate soprattutto alla


concorrenza dei paesi asiatici) si sono organizzate rafforzando i legami
(formali ed informali) con altre imprese attraverso soprattutto accordi di
collaborazione, l’inserimento in gruppi di imprese

 Strategie più complesse e diversificate di internazionalizzazione legate


non solo all’esportazione di beni e servizi, ma anche all’acquisizione di
accordi di collaborazione con partner esteri, alla partecipazione al
capitale di imprese estere, alla delocalizzazione di molte fasi del
processo produttivo al di fuori dei confini nazionali

35
TENDENZE NELL’EVOLUZIONE DEI DISTRETTI

L’evoluzione del distretto tende verso la terziarizzazione:


• il distretto terziario offre servizi a supporto delle aziende e
delle filiere

Si determinano dunque configurazioni:


• più orientate alla integrazione tra imprese di produzione e
servizi terziari avanzati (finanza, alta formazione…)
• o più orientate allo sviluppo di funzioni di R&S (come avviene
nei distretti tecnologici)

I distretti potrebbero dunque concentrarsi su taluni servizi:


• ad es. sui servizi per la produzione e l’internazionalizzazione
• su servizi per la R&S (soprattutto i distretti tecnologici)

36
DINAMICHE PRODOTTE DALLA GLOBALIZZAZIONE: LE FILIERE
PRODUTTIVE

In un contesto competitivo, oltre alla nuova configurazione dei distretti produttivi, per
rafforzare la presenza sui mercati occorre un modello organizzativo che consenta ad un
insieme di organizzazioni di medie e piccole imprese (caratteristica del tessuto
produttivo italiano) di operare sul mercato con la forza di aziende medio-grandi

Tale modello è identificabile nella filiera: rete organizzazioni specializzate,


orientate al presidio strategico dei mercati specifici.

Caratteristiche della filiera:


• Alla filiera appartengono organizzazioni diverse (imprese di produzione, strutture di
ricerca e trasferimento tecnologico, strutture logistiche e distributive…)
• La localizzazione dei diversi attori non è necessariamente caratterizzata dalla prossimità
territoriale e può comprendere organizzazioni residenti in territori diversi nazionali o
anche esteri.
• La filiera presidia e organizza l’intera catena del valore:
 la gestione dei mercati finali,
 la gestione della produzione,
 la gestione del rinnovamento delle competenze.

37
L’ORGANIZZAZIONE DELLA FILIERA

38
5. IL RUOLO DELL’IPI

39
L’ISTITUTO PER LA PROMOZIONE INDUSTRIALE

L’Istituto per la Promozione Industriale (IPI) è l’agenzia tecnica che supporta e


assiste il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) nella progettazione, definizione e
attuazione delle politiche e degli interventi pubblici a sostegno del sistema
imprenditoriale italiano.

In quanto struttura in house del Ministero, la sua azione si inquadra nell’ambito della
nuova strategia di politica industriale del Governo volta a coniugare - in linea con gli
orientamenti comunitari indicati nell’ Agenda di Lisbona dell’UE - l’esigenza di
rafforzamento complessivo delle imprese italiane (soprattutto di quelle di piccola e
media dimensione) con l’evoluzione strutturale del sistema produttivo verso assetti più
competitivi.

L’azione dell’IPI si riferisce in particolare alla “progettazione” dell’architettura


istituzionale, regolamentare e gestionale della nuova strategia, delineata nel disegno di
legge Industria 2015, con particolare riguardo ai Progetti di Innovazione Industriale, al
Fondo per la Competitività e lo Sviluppo e al Fondo per la Finanza di Impresa.

40
ALCUNI ESEMPI DI SVILUPPO DISTRETTUALE: L’ESPERIENZA DELL’IPI

Distretto
E’ importante supportare le attività legate al trasferimento
industriale tecnologico coinvolgendo nei processi locali anche le
Associazioni di categoria e i diversi attori economici
dell’abbigliamento distrettuali
nella provincia di
Bari Il progetto è stato strutturato in modo da facilitare l’incontro
tra aziende produttrici e fornitori.

In questo caso nel 2004 è stato siglato un accordo di


Distretto
collaborazione industriale tra il distretto industriale delle
industriale delle calzature di Bari e la Riviera del Brenta (scambio di
calzature tecnologie, diffusione di assetti competitivi, investimenti in
innovazione)

41
ALCUNI ESEMPI DI SVILUPPO DISTRETTUALE: L’ESPERIENZA DELL’IPI

Politica industriale e competitività


Prato: Distretto
Definizione di nuove politiche industriali a supporto del
industriale del Tessile settore tessile-abbigliamento a Prato e della ceramica a
e Abbigliamento Civita Castellana

Gli studi effettuati comprendono analisi quantititive basate


Civita Castellana: su informazioni desk, analisi qualitative, ecc
Distretto industriale
della ceramica Vengono quindi indicate delle linee guida strategiche per la
competitività delle imprese.

Identificazione dei distretti industriali

Lazio: identificazione Nel Lazio l’IPI ha svolto una ricerca tesa ad


indentificare i Distretti Industriali ripercorrendo la
di distretti industriali metodologia dell’ISTAT e aggiungendo anche indagini di
carattere qualitativo (Focus group presso “testimoni
privilegiati”) 42
ALCUNI ESEMPI DI SVILUPPO DISTRETTUALE: L’ESPERIENZA DELL’IPI

Progetti internazionali per lo sviluppo dei distretti industriali

Syria: Tessile e
Alcuni progetti internazionali vengono finanziati dalla
Abbigliamento Banca Mondiale e prevedono la creazione e/o lo
sviluppo di distretti industriali nei paesi esteri

Le attività riguardano lo sviluppo tecnologico,


Egitto: Ceramica l’innovazione di prodotto e processo, gli accordi tra le
diverse aziende, ecc

43
UN PO’ DI LETTERATURA

 Becattini G., (2000), Il Distretto Industriale, Rosenberg,


Torino
 Becattini G., (2007), Il Calabrone Italia, Il Mulino, Bologna
 Bossi G. – Bricco P. – Scellato G., (2006), I Distretti del
Futuro, Ed. Il Sole24Ore
 Bricco P., (2007), Distretti, tre vie per vincere, Il Sole24Ore,
18/11/2007
 Guelpa F. – Micelli S., (2007), I distretti Industriali del terzo
millennio, Il Mulino, Bologna
 Marshall A., (1972), Principi di Economia, Utet, Torino
 Perroux F., (1955), Note sur la notion de pole de croissance,
in “Economie appliqué” n.7

44
Istituto per la Promozione Industriale
Marco Iezzi Ph.D.
Centro Studi
Tel. +39.06.80972836
E.mail: iezzi@ipi.it

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