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PER I MIRACOLI CI STIAMO ATTREZZANDO

SUL DOLORE
E una donna disse: Parlaci del Dolore. E lui disse: Il dolore lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra conoscenza. Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinch il suo cuore possa esporsi al sole, cos voi dovete conoscere il dolore. E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia per i prodigi quotidiani della vita, il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia; Accogliereste le stagioni del vostro cuore come avreste sempre accolto le stagioni che passano sui campi. E veglieresti sereni durante gli inverni del vostro dolore. Gran parte del vostro dolore scelto da voi stessi. E' la pozione amara con la quale il medico che in voi guarisce il vostro male. Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenit e in silenzio. Poich la sua mano, bench pesante e rude, retta dalla tenera mano dell'Invisibile, E la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra, stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre.

Kalhil Gibran - Il profeta

Clich

Che lavoro fai? ...ecco, ci siamo, e adesso che dico? Vuoi vedere che parte il solito ritornello? pLa fisioterapista... Ah, davvero? Sai avrei giusto un dolorino qui alla schiena... Lo sapevo...porca mannaggia, perch non gli ho detto che faccio la cameriera? Eh s, immagino, anche io ne ho di dolori alla schiena... Eh, beh, lo credo proprio, con tutti i MASSAGGI che farai durante il giorno... Odio i clich...dovevo dirgli che faccio la cameriera...No guarda, di massaggi ne faccio veramente pochi, quasi nessuno Sul serio? Ma allora cosa fai? Lavoro in riabilitazione respiratoria il mio capo si incazza se dico respiratoria, ma pneumologica non la capisce mai nessuno- ovvero con le persone che hanno problemi di polmoni Lo sguardo attonito e dubbioso del mio interlocutore la dice lunga.... ODIO i clich. Tiro un bel respiro e prendo la rincorsa, ripassando mentalmente quelle poche e significative parole che possono portare un po' di luce nel buio in cui sta brancolando il poveretto: Sai, le persone che fanno brutti incidenti, che sono attaccate alle macchine per respirare? Ecco, io cerco di farli respirare da soli. E hai presente i vecchietti con la bronchite e il catarro fino alle orecchie? Bene, io glielo cavo. Buio. Mi sembra quasi di vedere i neuroni del poveretto che scintillano cercando di creare delle connessioni per mettere insieme le informazioni nuove con quelle vecchie. Annaspa un po' poi ci riprova: Ma i massaggi a loro cosa servono? Ancora?!? Perch deve essere cos tutte le volte? Cos'ho fatto di male io a parte scegliere un mestiere per il quale verr sempre scambiata per la mia amica estetista (la quale tra l'altro molto pi brava di me a fare i massaggi)?? Non importa. Perder altri 10 minuti buoni a spiegare in lungo e in largo il mio mestiere, se non altro per scardinare un'altra radice del clich fisioterapista=massaggi. Almeno sapr che al mondo c' un altra persona che ha capito cosa faccio per vivere. E cosa faccio? Faccio piccoli miracoli. Affronto grandi delusioni. Regalo speranza. Distribuisco umana compassione laddove il miracolo non possa avvenire e la natura ha la meglio. Guardo negli occhi il dolore, la paura, la rabbia, la frustrazione, la pazzia, la consapevolezza e rispondo con un sorriso dicendo: Sono qui. Lo facciamo insieme.

Convivenze distratte

Turno di sabato, 31 dicembre. Nonostante non rientri nella lista dei miei eventi preferiti, mi piace l'atmosfera del reparto di sabato. L'aria pi rilassata, ritmi meno nevrotici. Entro in corridoio e faccio il giro delle stanze, salutando i colleghi in turno e studiando la situazione. Arrivo all'ultima stanza, sento la voce di Roberto che chiacchiera con il paziente che sta finendo la colazione. Entro. La stanza ha tre letti, l'unica del reparto, perch c' il bis, il letto che si riempie proprio se bisogna. Quindi quasi sempre vuoto. Gli altri due sono occupati, ma solo il 22 seduto che mangia. Dino, il 23, ancora a letto. Sono un paio di giorni che resta a letto, il suo badante mi dice che stanco, i colleghi infermieri mi dicono che brutto. Me n'ero gi accorta al suo rientro. Cavoli, quando ti vedi tornare un paziente a soli 2 mesi dalla dimissione precedente non mai un buon segno. Se a questo aggiungi che il paziente che prima rideva e chiacchierava ora un vecchietto che a malapena si fa capire con quella sua voce afona e stentata, ed sempre pi disorientato, il quadro finale non dei pi rosei. Ma non si pu mai dire. In questo lavoro impari a non dare niente per scontato. Dalle pi alte aspettative a volte risultano amare delusioni, da scommesse date perse in partenza ottieni piccoli miracoli. Lavora e basta, fai del tuo meglio. Andr come deve andare. Dino in quel letto, la mascherina dell'ossigeno che si appanna al ritmo del suo respiro stentato, agonico. Lo sguardo perso in un vuoto popolato forse di presenze che solo chi si sta avviando verso il lungo cammino pu percepire. Agonia. Prima di venire a lavorare in questo posto non sapevo cosa fosse realmente. L'avevo letta nei libri, l'avevo vista in tv (quella melodrammatica pantomima che son capaci di propinarti, cos assurdamente lontana dalla realt), ma mai vissuta. Qui ci fai il callo. Questo posto si chiama Riabilitazione Pneumologica, e la pretesa di chi entra carico di speranze che qui si compia il miracolo della vita, quello in cui Ges grida davanti alla caverna:Lazzaro, alzati e cammina!. Signore e signori, mi dispiace deludervi. La realt che s, siamo bravi, dannatamente bravi a volte, ma non siamo Dio. Quindi, quando Dio chiama, noi possiamo solo prepararvi e accompagnarvi al meglio delle nostre possibilit. In questa stanza comincio e sentire la morte. E' difficile da spiegare, ma cos. Esco e trovo Erika che sta preparando le pastiglie. Dino lo vedo proprio male. Secondo te arriva all'anno prossimo? Non per fare scommesse o pessimo umorismo noir, ho solo bisogno di condividere il mio malessere, il dolore nel vedere la sofferenza di un uomo che ho conosciuto e ho accompagnato per un pezzetto della sua vita.

Mah, ho dei dubbi anch'io...meglio avvisare il medico Un'ora dopo, Dino partito. Lo so perch Roberto si affaccia alla palestra e mi dice: Posso portare qui il signore del 22 intanto che arriva il suo badante? La vita e la morte, distrattamente presenti in 20 metri quadrati. Il compagno di stanza non s'era accorto di nulla, a 80 anni raggiungi una pacata rassegnazione per la quale il mondo attorno a te una nuvola a cui accedi solo quando ti interessa. Dino era in quel letto, dietro le sue spalle, e lui non l'ha visto morire. Meglio cos. Entro nella stanza, hanno sistemato tutto. Dino sta l, composto nel letto. Cavoli, son passati neanche 45 minuti e gi sta cambiando lineamenti. L'odore di morte adesso fortissimo, quasi insopportabile. Ricordo per un attimo come l'ho conosciuto ai bei tempi e dico a me stessa che va bene cos. Non siamo immortali. Non siamo invincibili. Ha fatto, credo, una buona morte. Abbastanza rapida, circondato da persone che conosceva e che l'hanno trattato come un vecchio amico. Finisco il turno e vado a casa. Non ho proprio voglia di festeggiare l'ultimo dell'anno.

Soddisfazioni

Squilla il telefono, rispondo. Ciao! Come stai? Io bene Guido e tu? Benissimo! Le gambe vanno una meraviglia! Guido l'unico paziente a cui ho dato il mio numero di telefono. Mi chiama sempre per farmi gli auguri sotto le feste, oppure per avvisarmi quando con la sua orchestra fa qualche concerto. Sono andata a sentirlo pi di una volta, sono eccezionali. Questa volta per Guido deve chiedermi una cosa importante: Ti ricordi della Lina? Quella che ha fatto l'ictus? Attimo di panico. La gente non lo sa o non ci pensa, ma un reparto ospedaliero come un porto di mare: in un anno passano centinaia di persone. Ricordarsele tutte veramente un'impresa. Ma ci sono persone che non puoi dimenticare, neanche se vuoi. Cos, in un turbine di ricordi che via via si fa pi definito compare l'immagine chiara di Lina. Quella Lina? S proprio lei. Si ricorda ancora di te e ti nomina spesso. Vorrebbe tanto offrirti una pizza per ringraziarti di quello che hai fatto per lei. Visto che una mia parente, possiamo organizzare a casa mia. Che dici, vieni? Acciderboli, piccolo il mondo! Son passati...6 anni?? Certo Guido che vengo! Son proprio curiosa di vedere come sta! Ci vediamo venerd sera, 20.3o a casa tua. Ciao Lina. E chi se la dimentica? La prima volta che la vidi ebbi un brivido di terrore: 90 chili afflosciati in una carrozzina che a malapena riusciva a contenerla. Met corpo paralizzato, faccia compresa: angolo della bocca all'ingi, occhio acquoso tipico del cane segugio. Questo il risultato di un'emorragia cerebrale massiva fatta 4 mesi prima. Quattordici giorni di rianimazione mi racconta lei tra le lacrime, l'hanno presa per i capelli. E poi? E poi in giro per vari ospedali e reparti di riabilitazione. Ma a riabilitazione? Non mi hanno fatto niente perch dicevano che ero troppo grossa e non riuscivano a mettermi sul lettino. Ecco, lo sento, mi sto arrabbiando. Con tutto il rispetto per i colleghi delle altre strutture, ma sento la carogna che avanza. Quindi in tutto questo tempo sei passata da un ospedale all'altro cos. Ma nessuno ti ha detto che potevi venire qui prima? Mio marito voleva portarmi qui ma i dottori gli dicevano che non mi avreste mai ricoverata. Ecco, adesso sono proprio incazzata. L'invidia e la concorrenza spietata fanno parte anche di questo mondo, ma come si possono fare questi giochetti mettendo di mezzo una vita? Ricordo ancora il mal di schiena che mi venne le prime volte che la misi sul lettino, la lotta continua contro i chili di troppo (porca miseria a pane e acqua vi metterei tutti voi obesi) e la disabilit che quell'aneurisma aveva lasciato in eredit. Ma ero troppo arrabbiata col sistema che aveva relegato una donna in una carrozzina, etichettandola come impossibile da

riabilitare perch troppo grassa. Beh, in quattro mesi abbiamo fatto il miracolo. Dico abbiamo perch se io ero quella arrabbiata e forzuta, Lina di volont e fede ne aveva da vendere. Quattro mesi per rimetterla in piedi e farla camminare con un bastone e un bel tutore per tenere fissa la gamba che ancora cedeva. Arriva la sera della cena e sono in sala da pranzo con Guido, a chiacchierare aspettando Lina. Pi ci parlo pi mi convinco che ho fatto bene a venire stasera. Guido una persona eccezionale, con una famiglia altrettanto eccezionale, e io sono onorata di averlo rimesso in forma (due protesi di ginocchio e non sentirle!). La macchina si ferma davanti al patio. Mi affaccio con un misto di curiosit ed emozione. La donna che scende dalla macchina ricorda vagamente la Lina che ho conosciuto in ospedale. Bella, non solo perch truccata, con la piega e ben vestita fa tutto un altro effetto (in ospedale sembra di vivere un eterno pigiama-party), ma perch risplende di una luce particolare. la luce della gioia, della fierezza e dell'orgoglio di chi ha lottato e ce l'ha fatta. Cammina che una meraviglia, non ha neanche pi il tutore per il ginocchio. Sale il gradino del patio quasi di corsa, aiutata dalla badante che un concentrato di energia positiva. Quasi stento a riconoscerla. Mi guarda e sorride. Basta quello e ci capiamo al volo. Il resto della serata sar una favola lo so gi. Ma quegli occhi sono solo per me, e in quegli occhi leggo tutto quello per cui il mio cuore pu gioire ed essere orgoglioso. Sono soddisfazioni che nessun'altra esperienza ti pu dare. Oggi amo infinitamente il mio lavoro.

Pazienza

Bruna ha lo sguardo di mia nonna. Occhi azzurri azzurri, c' fierezza in quello sguardo. Solo questo ma mi ricorda mia nonna. La porto in palestra per conoscerla un po', e condividere con lei il progetto riabilitativo. Se un paziente in grado di comprendere, gli spieghiamo sempre cosa abbiamo in programma di fare con lui, dove ci aspettiamo di arrivare, le difficolt che potremmo incontrare. Non sopporto sottoporre una persona ad un trattamento che posso reputare il migliore per essa ma che non ho condiviso con lei. Cazzo, sono persone non pacchi. Hanno aspettative, speranze, paure, dubbi, curiosit. Non possiamo ignorarlo mai. Bruna una di quei pazienti che sembrano promettenti atleti, ma se scavi sotto la patina dorata scopri la ruggine. La sua ruggine arrivata al cervello. In un corpo che ha 94 anni, da metterci la firma per quanto forte e sano appare, quello che stona la memoria. Zero, tabula rasa. La memoria storica la pi forte, la pi radicata, per cui quasi del tutto inviolata. Ma per il resto una vera e propria lotta. Lo conosci mio figlio Dino? infermiere lavorava qui No Bruna, non l'ho conosciuto, sono qui solo da due anni. Ah, peccato, un bravo infermiere conosceva tutti qui..... Ma io torner a camminare? Bruna, adesso ti mettiamo in piedi e vediamo come va. Dai, proviamo I suoi occhi mi dicono che non del tutto convinta. Usciamo in corridoio, girello in posizione, partiamo. Bruna, sei veramente brava! Stai andando benissimo! Davvero? Ma secondo te, torner mai a camminare? Scusa Bruna, ma adesso cosa stiamo facendo? Non mi pare che stai volando... Ah.....Tu lo conosci Dario? mio figlio fa l'infermiere e lavora qui Ecco, ci siamo. La bolla di sapone scoppia ed escono gli altarini. Ci vuole fisico per arrivare a 94 anni indenni... Nei prossimi 40 metri di corridoio mi sentir ripetere almeno 5 volte le stesse due domande: Conosci Dario? Torner a camminare? Di volta in volta le risposte si fanno ora pi articolate, ora pi secche, nella vana speranza di lasciare una bench minima traccia nella sua memoria tutta sconnessa. Niente, un disco rotto. E i giorni seguenti sono anche peggio. Pi di una volta mi scopro sull'orlo di una crisi di nervi, incerta se buttarla in ridere o buttarla proprio fuori dalla finestra, lei, girello e carrozzina tutto assieme. frustrante, costruire qualcosa sulle sabbie mobili davvero dura. Il corpo col passare dei giorni migliora, acquisisce pi forza, i movimenti entrano in una routine funzionale e confortante. La testa sempre peggio. Il disco rotto gira sempre pi veloce, gli occhi sono sempre pi smarriti, si vede la follia che lentamente si fa strada. Paura. Questa bestia nera si insinua nell'animo di chi non riconosce il posto, la

gente che si avvicenda intorno a lei, quanto tempo passato da quando stato portato via da casa sua e non sa quando ci potr tornare. Bruna, dai che camminiamo No, non sono capace, non ci torner pi a camminare! Ma se l'hai fatto fino a ieri! Davvero? Un altro paziente mi fissa dalla cyclette, cosa che probabilmente si ripetuta in tutti questi giorni. Con uno sguardo misto di ammirazione e compassione dice: Certo che voi avete una bella pazienza eh? S, e con la P maiuscola.

Sorrisi

Hai un attimo? E' una domanda che ci sentiamo spesso fare tra colleghe. Morena mi aspetta sul corridoio, la faccia un po' stanca, ma sempre forte come una roccia. Adoro lavorare con lei, non potrei avere collega migliore: Certo, sono libera. Che devi fare? Metto in piedi Malika sullo standing. Malika. Quando l'ho conosciuta era in palestra, arrabbiata perch era stanca di stare seduta in carrozzina, voleva tornare a letto. Senza voce, perch un tubo in gola non le permetteva di parlare, ma a gesti e schiocchi di lingua si faceva comprendere perfettamente. Frustrazione, impazienza, rassegnazione. Gliele si leggevano in faccia. Poco importava se la gente intorno a lei non riusciva a capire se le barriere culturali e linguistiche erano affrontabili e superabili. Lei era arrabbiata e questo si capiva benissimo. Chiss se qualcuno al tuo paese o qui ti ha mai spiegato quanto sei stata sfortunata a sviluppare una malattia rara e tremenda, che lentamente si porta via pezzo dopo pezzo la tua libert, la tua dignit. Noi non lo sappiamo, ma lo stesso proviamo a combattere. Morena con te ha avuto il suo bel daffare, ma nonostante tutto oggi siamo qui, per metterti in piedi. Entriamo in stanza e ci accogli con un sorriso. la prima volta che ti vedo cos raggiante, ed bellissimo. Ugualmente bello vederti collaborare con noi nella riabilitazione, trovare di nuovo la forza per combattere la tua disabilit, la tua malattia bastarda. E per la prima volta, mentre stai in piedi in quel trabiccolo che usiamo per le persone come te, che da sole non ce la fanno, chiacchieriamo. Di cucina, dei piatti tipici della tua terra. Ti chiediamo le ricette, tu sorridi e dici che s, ci farai avere le ricette. Finisce il tempo a disposizione, tu sei stanca e non possiamo farti stancare troppo. Ti rimettiamo seduta in quella carrozzina che una volta odiavi. Sorridi ancora e dici grazie senza voce, ma quel grazie ci entra dentro pi di un grido. Morena ha fatto bene a insistere con te. Oggi ne ho avuto la certezza. Sorriso, bentornato.

Impotenza

La prima volta che ho trattato Bianca era un gioved pomeriggio. Dopo la pausa pranzo, lottando contro il sonno post prandiale, strascicando gli zoccoli, rientro in reparto. Vedo il capo che mi punta a met corridoio e si dirige verso di me, rapido come un falco sulla preda. Guai in vista. Ho bisogno urgentemente che mi tratti la signora appena entrata. piena come un uovo Piena come un uovo non propriamente un termine tecnico ma rende l'idea: catarro in quantit industriale. Chi ?...almeno per sapere quanto male messa, anche se l'incipit mi ha gi suggerito che siamo in zona rossa. E' Bianca, una signora che gi stata qua poco tempo fa, te la ricordi? Lotto con la digestione che sta rubando quel poco sangue che mi circola ancora nel cervello e provo a recuperare delle immagini, dei dati. Il nome non mi nuovo. Ora ricordo, la paziente di cui mi aveva parlato Marta, la collega dell'ospedale da cui proviene. Lo scorso ricovero mi aveva telefonato una mattina e mi aveva tanto raccomandato questa donna giovane ma molto malata, e molto ansiosa. Il tentativo col nostro ventilatore non invasivo era fallito, per cui in breve tempo era stata mandata a casa. S me la ricordo. Come siamo messi? Tracheostomizzata in VAM -termine tecnico che significa: un bel buco in gola, un tubo infilato dentro e una macchina che respira con te. Me lo dovevo aspettare. Raccolgo i miei attrezzi, benedicendo ancora una volta la lungimiranza del capo che ci ha fatto dotare di apparecchi all'avanguardia, e con il mio aspirapolvere mi presento al letto della signora. Bianca uno scricciolo di donna, secca secca, tutti quei tubi e tubicini sono sproporzionati rispetto a lei. Mi guarda fisso. Gli occhi hanno una luce incredibile e io rabbrividisco: lei sa. cosciente del suo stato, percepisce tutta la sofferenza che i suoi polmoni malridotti producono. Non riuscire a respirare una cosa terribile. Vivere con questa condizione un martirio. Faccio quello che devo, cerco di svuotare quel che resta dei suoi polmoni malati da quella melma verdognola che li intasa e le toglie l'ossigeno. La vedo soffrire, diventare paonazza, quasi blu mentre le caccio un sondino gi per la trachea cercando di togliere quanto pi catarro possibile. Vedo il monitor segnare dei numeri che mi fanno sudare freddo... Merda, merda merda...mantenere il controllo e recuperare la situazione, perch quegli occhi scuri non mi mollano mai, capiscono tutto ci che vedono. andata, il peggio passato. Bianca, per oggi basta. Ci vediamo domani mattina Lei mi guarda, la faccia sofferente, le mani sul petto come se potessero far

diventare il torace pi largo e far entrare pi aria. Mi guarda e pronuncia un Grazie silenzioso. Anche lei non pu parlare, nessuno attaccato alla macchina pu. I giorni passano, la terapia sempre quella: gonfiare e sgonfiare il pallone cercando di strizzarlo come una spugna e cavarne quanta pi roba schifosa possibile. Bianca stoica, soffre ma vuole la terapia, se sono in ritardo mi viene a cercare. A volte mi chiede quando la far camminare. Quando farai meno fatica a respirare le dico, consapevole dell'insormontabilit dell'ostacolo. Mi sento morire dentro, cercando di trovare una risposta alle sue domande, che non distrugga quelle poche speranze che la fanno andare avanti. Lei ci si aggrappa disperatamente, l'unica cosa che la tiene ancorata alla realt. Chi sono io per distruggerle? Odio raccontare balle, ma non si pu negare l'evidenza: quando due tra i migliori centri in Italia ti negano il trapianto polmonare la sentenza chiara...Bianca ha 65 anni, forse non vedr il prossimo Natale. Mi sento don Chisciotte contro i mulini. Venerd, dopo averti rivoltata come un calzino, ero l che ti guardavo impotente, mentre con gli occhi sbarrati cercavi di riprendere un po' di fiato attaccata al ventilatore. Avrei voluto darti uno dei miei polmoni, per sollevarti un po' da tutta quella sofferenza. Mentalmente ho innalzato una preghiera, ma non era abbastanza. Dal profondo mi sgorgata una domanda, tanto semplice quanto disperata: C' qualcosa che posso fare per farti stare meglio? Silenzio. Poi le tue labbra si son mosse e l ho letto la tua risposta, pesante come una montagna: Fammi respirare Oggi odio il mio lavoro.

Nuove leve

Arrivo al lavoro come ogni luned, ma questo diverso dagli altri. Davanti all'ingresso del reparto mi aspettano due cuccioli di fisioterapisti. Piacere Luca Piacere Laura Eccoli qui, croce e delizia, la mia condanna per le prossime cinque settimane. Due giovani anime fresche fresche di studi, desiderosi di apprendere la sacra arte della riabilitazione. O almeno spero. Questi due mi sembrano in gamba, ed meglio che lo siano, questo non posto per pappamolli e fannulloni. Come ogni luned il reparto un casino, e io faccio sempre fatica a partire. Me li tiro dietro mentre cerco di orientarmi nella lista settimanale dei nostri clienti...il luned mi sembra sempre di fare come i bambini con la raccolta delle figurine: Celo, celo, manca, celo... Diamine, mi sembrano svegli i ragazzi, forza allora, buttiamoli nella mischia. Basta libri, ora di fare sul serio. Quand'ero studente mi son sorbita tre anni di tirocini inconcludenti, dove praticamente non ho mai toccato un paziente. Se conosci la teoria sai anche dove mettere le mani diceva una delle tutor del corso di laurea. Puttanate, la manualit deriva dall'esperienza. E da qualche parte devi cominciare. Forza ragazzi, tocca a voi. Buttatevi, sperimentate. Usate la testa e la fantasia. Non ponetevi limiti, tanto danni qui con me non ne potete fare E' uno spettacolo vederli all'opera, desiderosi di mettersi in gioco ma allo stesso tempo timorosi di sbagliare...non tanto per il paziente, quanto per l'eventuale giudizio di chi li sta osservando, cio me. Mi basta un attimo per capire che hanno le carte in regola, cos decido di lasciarli in autonomia, che camminino un po' con le loro gambe accidenti, non possono stare attaccati alle nostre gonnelle per sempre. Bene ragazzi, vi lascio da soli, fate quello che vi siete prefissati, prendetevi il vostro tempo. Se avete problemi sono in giro per le camere, mi potete trovare facilmente. Altrimenti ci vediamo pi tardi e a fine giornata ne parliamo insieme. Il loro sguardo tradisce un po' la sorpresa, un po' la gioia per la libert conquistata. S, ho visto giusto, hanno la stoffa. Saranno cinque settimane intense, ma credo ci divertiremo un sacco. Oggi amo il mio lavoro

Controllo
Entrare nella stanza di Giulia come aprire un sandwich: ci trovi dentro di tutto. Letto, armadio, tavolo con televisore e materiali di consumo vari, comodino con i ventilatori, piantana con la pompa per l'alimentazione, carrozzina imbottita e tavolino. Per arrivare dall'altra parte della stanza, larga in tutto tre metri, devi improvvisarti contorsionista. Giulia ci sta bene l dentro: un metro e quaranta di donna incastrato perfettamente in quel buco di stanza. Giulia non pu pi camminare, non pu pi parlare, non riesce neanche a respirare da sola. Come una bambola degli anni cinquanta, quelle grandi coi vestiti di crinoline, dove la metti sta. Ma gli occhi vedono, la mente pensa e ci che vuole lo esprime tanto chiaramente che non puoi far finta di non aver capito. La malattia le ha tolto un pezzo alla volta, e Giulia si aggrappa con tutta la forza che le rimane a ci che ancora pu controllare. Uno di questi l'ordine invisibile con cui organizzata la stanza. Non puoi spostare qualcosa che lei subito se ne accorge, lo indica con il dito e ti chiede perentoriamente di metterlo a posto. Tutto ci che fai con lei segue una precisa routine, e Giulia, come un direttore d'orchestra, indica quale sar la tua mossa successiva, casomai ti dimenticassi qualcosa... Alla lunga d sui nervi, fastidiosa la smania con cui controlla che tutto vada secondo la sua logica. Controllo. Dietro questa mania sta il dolore della perdita di una libert fondamentale che la vita stessa. Una vita rubata. Due anni fa era ancora una donna autonoma, che realizzava in autonomia i suoi desideri, piccoli o grandi che fossero. Ora di lei rimane un corpo quasi inanimato e due occhi che esprimono la burrasca che c' dentro. Rabbia, delusione, paura. Paura di perdere ancora un pezzo della poca vita che rimane. Controllo. Prima declinazione della libert individuale.

Vita
La giornata quasi finita. Non importa se sia stata una buona o una cattiva giornata, l'importante che stia volgendo al termine. Andandomene, cercher di chiudere nell'armadietto, assieme alla divisa, tutto ci che appartiene a questo posto: problemi, delusioni, progetti, speranze. Vite parallele: dentro qui, fuori di qui. Guardo fuori dalla finestra e tento di scorgere, al di l dei pini che torreggiano nel giardino, una vita che spero sempre essere migliore, pi felice. Non credo esista. Non esiste per il semplice fatto che questo non un posto dove c' pi sofferenza, bens essa senza maschera. Denudata dei finti perbenismi si mostra in tutta la sua semplicit. La sofferenza semplice come un campo d'inverno dove ghiaccio e vento vincono su tutto. Qui la sofferenza viene finalmente riconosciuta e accolta per quello che : un passaggio nella vita di ogni uomo. La guardiamo in faccia e la chiamiamo per nome. Dietro quel nome un insondabile universo in cui ognuno teme e rischia di perdersi. A volte la speranza resiste, e magari si vince la partita. Altre volte un andare alla deriva, e noi, piccoli Caronti, accompagniamo le anime sugli ultimi passi. Quello che resta una storia, tante storie, chiuse nell'armadietto e in fondo al cuore.

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