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La turbolenza La turbolenza importante per tre ragioni: il moto dei fluidi studiati nei problemi ingegneristici in genere turbolento.

to. Anche i fluidi sotterranei in realt si muovono secondo frozen turbolence, perch il moto s laminare ma il fluido costretto a delle traiettorie particolari, dettate dalla presenza delle particelle solide, che fanno somigliare il moto a quello turbolento; l'acqua e l'aria, ovvero i fluidi oggetto di studio dell'ingegneria ambientale, si muovono di moto turbolento, per cui tutti i problemi di carattere ambientale sono legati alla turbolenza; la turbolenza infine il fenomeno emblematico di comportamento complesso, e descrive tantissimi processi, anche di carattere economico, sociale, medico.. Caratteristiche della turbolenza: casualit aumento enorme dei fenomeni di trasporto aumento dei processi dissipativi generazione di non-linearit necessit di almeno 3 dimensioni per sussistere (se si fa passare il flusso attraverso una feritoia si ha la lamirarizzazione, e la turbolenza viene eliminata) elevato contenuto di vorticit (vortice un moto rotatorio del fluido) Per i problemi di base in genere non necessario un alto grado di dettaglio, ma sufficiente descrivere i sistemi tramite equazioni sulle grandezze mediate. Definiamo media temporale di una grandezza u l'espressione:
u= 1 t+T u(T ) dt T t

Sorgono due problemi: 1. come scelgo l'intervallo di tempo T sul quale mediare? T il tempo in cui il sistema pu dar luogo a tutte le possibili manifestazioni del fenomeno -> non esiste! La turbolenza, infatti, genera in continuazione fenomeni nuovi, per cui aumentando il tempo trovo sempre nuove informazioni! Tuttavia, anche se le variazioni non si spengono mai, le oscillazioni sono sempre pi ridotte, fino al punto da non essere pi viste dagli strumenti di misura perch di dimensioni inferiori rispetto alla sensibilit dello strumento stesso. Si parla allora di scala del problema, in un certo senso aggirando il problema. 2. ha senso parlare di media temporale? Alla luce di quanto detto al punto uno, questo ha senso solo per quanto riguarda i processi stazionari, mentre perde di significato nello studio di altri fenomeni. *** Interpretazione probabilistica della turbolenza_Kolmogorov Voglio studiare un certo fenomeno. Scelto un punto nello spazio e un tempo, ho infinite realizzazioni del fenomeno. Di tutti questi valori ricavo la funzione densit di probabilit e definisco una nuova media, detta media di insieme lailmil

u(x ,t )= u(x , t )p (u( x , t ))du (x ,t ) Questa nuova definizione di media, proposta da Kolmogorov, non soffre dei problemi riscontrati con la media temporale. Inoltre, la media di insieme gode della propriet di essere trasparente agli operatori lineari, per cui valgono:

u = u e xdx = x dx t t

Un processo omogeneo quando le grandezze medie non dipendono dallo spazio e stazionario quando le grandezze medie non dipendono dal tempo. Supponiamo di avere due grandezze qualunque, x e y, manifestazioni di un processo stocastico. Immaginiamo di effettuare diverse realizzazioni. Ora concentriamoci sui tempi. Scegliamo t1 e t2 e, per ciascuna realizzazione, prendiamo xi(t1) e yi(t2). C' uno strumento, la covarianza, che ci permette di stabilire se e quanto le due variabili sono legate tra loro. Calcolo della covarianza: - si fa il prodotto di tutte le n coppie ricavate e si ottiene una nuova variabile casuale xi(t1) yi(t2) - la media di insieme della nuova variabile la covarianza Rxy(t1,t2) R xy (t 1 , t 2 )= x i( t1) y i (t2) nb: l'informazione sul tempo soltanto una, non due! la coppia (t1,t2) pu essere sostituita da un unica variabile, , dal momento che quello che caratterizza il legame l'intervallo di tempo ( =t1 - t2.), indipendentemente dal valore di t1 o t2. nb2: necessario standardizzare Rxy(), in modo che non dipenda dalle unit di misura di x e y. Si ottiene allora la correlazione: xy ( )=R xy ( ) x y

nb3: la covarianza ci dice solo quanto le due variabili sono correlate. Se il legame tra le due variabili esiste ma non lineare,ovvero non una correlazione, non abbiamo alcuna informazione su di esso. Se al posto delle due variabili x e y si effettuano le operazioni viste su un'unica variabile, si ottiengono l'autocovarianza Rxx e l'autocorrelazione xx(), che danno informazione sul legame tra realizzazioni a tempi diversi dello stesso fenomeno. possibile inoltre costruire l'autocorrelogramma, il grafico dell'andamento di xx al variare di . L'autocorrelogramma d informazioni sulla memoria dei processi. Tanto pi la correlazione alta, tanto pi facilmente la realizzazione del fenomeno prevedibile. Come ci si pu aspettare, man mano che cresce, la dipendenza dei due valori decresce. Dato che prima o poi viene raggiunto il valore 0, possibile definire l'integrale della curva, detto scala integrale: lailmil

I =0 ( )d Chiaramente, quest'integrale ha senso soltanto se per un certo la memoria si spegne. Se I alto, allora le realizzazioni del fenomeno sono molto autocorrelate. Viceversa, quanto pi I bassa, minore sar l'autocorrelazione. Un sistema detto ergodico quando la scala integrale un valore finito, ovvero I < . Quando ci avviene, per tempi infiniti la media di insieme coincide con la media temporale. L'evidenza mostra che in turbolenza la scala integrale sempre inferiore a infinito, e ci significa che nei fenomeni si pu sempre eguagliare la media temporale con la media di insieme, purch i tempi siano sufficientemente lunghi. Decomposizione di Reynolds Le equazioni che descrivono i fluidi Newtoniani derivano dalla combinazione di: equazione di continuit:

+ (u )=0 che per un fluido incomprimibile t u i =0 (=cost) pu essere scritta come: xi


(RA)=grad p 2 u che in un sistema di riferimento {x1, x2,x3} diventa: Du ui p (g i3 i )= g i3 Dt xi x j xj

legge di Newton:

La combinazione delle due equazioni d luogo all'espressione dell variazione di velocit della particella secondo il punto di vista lagrangeano (ovvero seguendo la particella): Du i u i 1 p = + g i3 Dt x i x j x j A secondo membro compaiono 3 termini: 1. gradiente di pressione (legato alle spinte) 2. viscosit cinematica 3. accelerazione di gravit (legata all'energia potenziale) Dal momento che la turbolenza agisce sulle fluttuazioni delle grandezze, l'obiettivo che ci si pone per studiare i moti quello di trovare le equazioni che governano le grandezze medie, in modo da isolare gli effetti turbolenti. Secondo la decomposizione di Reynolds, le grandezze istantanee sono date dalla somma di due componenti: una media e una fluttuante: u =U +u Allora possibile riscrivere le equazioni viste con questa notazione e mediarle, dal momento che la media un operatore lineare. L'equazione di continuit per le grandezze medie diventa: U i =0 x i L'accelerazione convettiva che compare nella seconda equazione, invece, d luogo alla non linearit dell'equazione delle grandezze medie, per cui il sistema che si ottiene per descrivere il moto medio del fluido resta indeterminato. L'equazione diviene infatti la lailmil

seguente:

U i Ui ui u j 1 P U i +U j + = + g i3 t xj x j xi x j x j nella quale compare il gradiente spaziale della covarianza tra le componenti di agitazione turbolenta, per cui la correlazione tra le fluttuazioni della velocit genera un effetto sul moto del fluido. Sorge allora un problema di chiusura della turbolenza: necessario cercare le equazioni che regolano le incognite in pi. Tuttavia, questo risulta impossibile dal momento che di volta in volta compaiono correlazioni di ordine superiore. Ci significa che tutte le scale si influenzano reciprocamente. Il problema della chiusura ha dato il via a numerosi sforzi, sin dall'inizio del ventesimo secolo, per trovare dei modelli che descrivessero adeguatamente la turbolenza. In altre parole si cercato di trovare delle funzioni che esprimessero i termini incogniti in maniera approssimata ma verosimile.
Utilizzando la tensione:

U i U i j )u i u j x j xi possibile riscrivere l'equazione del moto del fluido in maniera pi compatta come: DU i 1 = g i3 Dt xj La variazione della velocit media legata ai gradienti spaziali di una tensione e all'energia potenziale. Questa tensione dovuta a tre contributi: 1. tensione legata agli sforzi normali 2. tensione viscosa, legata alla celerit di deformazione attraverso la viscosit 3. tensione di Reynolds, dovuta alla turbolenza, molto superiore rispetto agli altri due termini escluso in prossimit della parete.
ij =P ij + ( Il fatto che la turbolenza abbia o meno effetti sul moto del fluido dipende dal bilancio dei termini 2 e 3. Se infatti le tensioni viscose sono maggiori di quelle di Reynolds (ad esempio in prossimit della parete), il moto laminare. Viceversa, si creano dei vortici e il moto risulta turbolento. Implicazioni energetiche della turbolenza La turbolenza ha notevoli effetti dal punto di vista energetico. La variazione nel tempo dell'energia cinetica della particella descritta dalla relazione: PU U i D 1 2 ( U i )= [ j +2 U i E ij u i u j U i ]2 E ij E ij +u i u j gU j Dt 2 x j x j dove Eij il tensore delle celerit di deformazione: 1 U i U j E ij = ( ) 2 x j xi Integrando i membri dell'equazione, grazie al teorema di Green risulta che il termine tra parentesi quadre non genera n dissipa l'energia complessiva del volume di fluido, semplicemente la sposta all'interno del volume stesso, e quindi l'integrale attraverso la superficie si annulla. Il termine legato alla viscosit cinematica sottrae sempre energia al sistema, dissipandola sotto forma di calore. La correlazione tra le fluttuazioni di velocit indica l'energia sottratta al sistema dalla lailmil

turbolenza. Il termine legato alla accelerazione di gravit indica semplicemente che all'aumentare dell'energia potenziale diminuisce l'energia cinetica (e viceversa). In sostanza la perdita di energia localizzata nei due termini: Ui 2 E ij E ij u i u j xj Di questi, accade generalmente che l'energia sottratta dalla turbolenza molto superiore di quella dissipata sotto forma di calore. Infatti, l'ordine di grandezza di Eij dato dalla scala tipica delle velocit su una lunghezza tipica del problema. Se si prende in considerazione la scala della turbolenza, invece, si vede che le oscillazioni turbolente sono dello stesso ordine di grandezza della velocit media. Per questo motivo il rapporto tra i due termini di gran lunga superiore a uno: U 2 2 ( ) 2 E ij L 1 Ui U )U 2 ( u i u j L x j possibile inoltre scrivere l'equazione della variazione di energia cinetica nella turbolenza: pu 1 Ui D 1 2 ( u i )= [ j + u 2 u 2 2 u i e ij ] u u 2 e ij e ij i j Dt 2 x j 2 x j i j che analoga alla precedente fatta eccezione per il campo gravitazionale - che ora assente - e nella quale compare il termine 1 u u j e ij = ( i ) 2 x j xi Si noti che in questo caso il termine legato alla turbolenza rappresenta un guadagno di energia e ha dunque segno positivo. Affinch la turbolenza sussista, necessario che questo termine sia diverso da zero, ovvero che ci sia correlazione tra le oscillazioni di velocit. Ci significa che il gradiente di velocit media lungo xj non nullo, ma ci sar uno strato limite turbolento oltre il quale, non essendoci pi tale gradiente, il profilo di velocit piatto. Anche in questo caso, il termine legato alla viscosit indica una dissipazione di energia, che si perde sotto forma di calore. La turbolenza come cascata di vortici Il moto turbolento possiamo immaginarlo come un insieme di vortici, l'uno dentro l'altro, che si influenzano l'uno con l'altro (eddies). Ogni vortice un moto rotatorio, che contiene all'interno altri moti rotatori. Definiamo scala la dimensione di tali vortici. Le scale sono estremamente variabili, per cui i fluidi turbolenti danno luogo a geometrie frattali: l'oggetto si presenta sempre uguale a s stesso in qualsiasi scala lo si osservi (autosimilitudine). La scala pi grande dettata dalle condizioni al contorno. In altre parole, i vortici grandi sono influenzati da quello che gli sta attorno, e dipendono dalla scala del problema, dunque possiamo dire che le scale grandi non sono universali. Si detto che la turbolenza sottrae energia al moto medio. Ci avviene attraverso vari processi, il pi importante dei quali il vortex stretching: immaginiamo di avere due vortici, l'uno allineato con la direzione di stiramento e uno perpendicolare a esso. Il primo vortice viene stirato, quindi, per la conservazione della quantit di moto, poich la massa si avvicina tutta all'asse di rotazione, la velocit di rotazione aumenta e si ha un'accelerazione. Per l'altro vortice avviene il contrario. lailmil

Chiaramente, affinch possa avere luogo il meccanismo di vortex stratching necessario che vi sia uno spazio tridimensionale. Le scale che sottraggono energia al moto medio sono quelle che vedono il gradiente di velocit, ovvero le scale grandi. Si noti che non stata tirata in ballo la viscosit e che quindi questi meccanismi avvengono allo stesso modo in tutti i fluidi. Ogni vortice sottrae energia dal profilo di velocit del vortice pi grande, perci si ha un flusso di energia dalle scale pi grandi alle scale pi piccole. Il meccanismo va avanti a cascata fino a quando la viscosit diventa importante. A quel punto, l'energia, invece di passare alla scala pi piccola, viene dissipata sotto forma di calore. Si detto che le caratteristiche delle scale grandi sono: dipendenza dalle condizioni al contorno non universalit ininfluenza della viscosit Man mano che si scende di scala, si arriva a scale troppo piccole per sentire ancora il contorno. Persa l'informazione delle condizioni al contorno, non si ha pi la causa di impedimento dell'universalit, quindi scale intermedie si comportano allo stesso modo in ciascun processo. Esse sottraggono energia dalle scale via via maggiori fino al momento in cui il processo si interrompe. Quando i vortici diventano pi piccoli, la velocit di rotazione diminuisce, ma diminuisce ancora di pi il raggio, perci si ha un aumento della celerit di deformazione e quindi, nonostante la viscosit sia bassa, nel bilancio dell'energia cinetica il termine eijeij cresce fino a contrastare il termine Uijuiuj. Di conseguenza si avr una scala minima (,), dove il flusso di energia fornito al fluido. Maggiore questa energia, pi vortici si formeranno. D'altra parte, quanto pi il fluido viscoso, tanto pi la scala minima sar grande. Per determinare (,) possibile applicare il teorema . Si ricava l'espressione della microscala di Kolmogorov:
4 =A

dove A una costante di proporzionalit prossima all'unit. Si nota che la relazione tra la microscala e la viscosit cinematica pressocch lineare. Il flusso di energia invece legato alla microscala tramite una radice quarta, ovvero, affinch si generi un vortice 2 volte pi piccolo di necessario fornire un'energia pari a 16 volte l'energia utile per avere vortici pari a . Si osservi, inoltre, che neanche questa scala dissipativa universale, perch dipende dalla viscosit del fluido. La zona di scale intermedie stata definita da Kolmogorov range inerziale. In esso gli effetti viscosi sono trascurabili. Il range di scale comprese tra L e enorme, e una simulazione numerica sarebbe impossibile. Allora si fa ricorso al modello di simulazione dei vortici grandi o LES (Large Eddy Simulation): secondo questo metodo, vengono presi in considerazione soltanto i vortici pi grandi, quelli confrontabili con la scala del problema, mentre si tiene conto della dissipazione causara dai vortici pi piccoli assimilandoli a un pozzo di energia. Spettri Lo spettro di un segnale una funzione che d l'ampiezza del segnale al variare del numero d'onda. Esso descrive come l'energia si ripartisce nelle varie armoniche. Lo spettro legato alla correlazione tramite la trasformata di Fourier: lailmil

1 + i e ( )d 2 Secondo Fourier uno spettro pu essere scritto come una serie di termini in seno e coseno. La trasformata di Fourier ha leffetto di modificare la variabile indipendente. Nel caso del tempo si passa dalla variabile temporale t alla pulsazione = 2f , dove f e la frequenza. Nel caso spaziale si passa dalla posizione al numero donda k=2/. Dal momento che frequenza e numero d'onda sono legate tra loro, risulta che la scala temporale legata alla scala delle dimensioni dei vortici. Questo intuibile dal momento che la scala integrale legata alla memoria del sistema, ovvero ai vortici pi lenti, che sono quelli pi grandi. S ( )=

Lo spettro della turbolenza presenta un picco all'inizio, dal momento che il massimo di energia legato ai vortici pi grandi, ovvero a lunghezze d'onda maggiori. Data la non universalit delle scale grandi, tale picco pu avere svariate forme. In scala logaritmica, l'energia si distribuisce lungo le scale inerziali secondo una retta discendente, fino a quando non entra in gioco la viscosit, che vincola l'andamento. La pendenza della retta che descrive le scale inerziali ottenuta da Kolmogorov attraverso il teorema di . Come si detto, le scale inerziali sono troppo piccole per dipendere da L e troppo grandi per dipendere da , perci lo spettro dipende dal numero d'onda e dai flussi di energia: S = f(k, ). S = k
2 3 5 3

Kolmogorov giunge cos alla legge dei 5/3: nel range inerziale lo spettro ha pendenza 5/3. I risultati ottenuti da Kolmogorov hanno una buona corrispondenza con le evidenze sperimentali.

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I processi turbolenti si distinguono in due grandi categorie: liberi: se il fluido non confinato; di parete: se il fluido lambisce una parete. Quest'ultima pi complessa, perch associa una componente deterministica (la presenza del vincolo per il quale la velocit ha un valore ben definito) a una componente casuale (la turbolenza stessa) e ad oggi non ci sono strumenti per affrontare uno studio del genere. Nel caso della turbolenza libera, invece, c' un vastit di metodi statistici consolidati che si adattano al problema. Turbolenza libera Le caratteristiche della turbolenza linera sono: 1. Intermittenza: in ogni punto dello spazio possibile definire il rapporto tra il tempo in cui presente la turbolenza e il tempo totale. Tale rapporto dipende dalla posizione nello spazio del punto in cui viene calcolato. t I = turb t tot 2. Inglobamento: il meccanismo con cui la frontiera della turbolenza si espande: la zona turbolenta circonda una zona non turbolenta, la isola e la trasforma in turbolenta. Allo stesso modo avviene il viceversa sui vortici isolati. 3. Autosimilitudine: la struttura dei profili con cui si allarga la turbolenza una funzione universale. Se si adimensionalizzano le grandezze in gioco rispetto a grandezze tipiche del problema (la velocit rispetto alla velocit al centro del getto, la lunghezza rispetto alla dimensione del getto) si ottiene infatti che la seguente relazione sempre la stessa: v y =f ( ) vc La propriet della autosimilitudine strettamente legata alla conservazione della quantit di moto: grazie a essa possiamo studiare la forma con la quale si allarga un getto o una scia. Preso infatti un prisma attraversato da un getto orizzontale, abbastanza sottile in direzione del flusso (x) e abbastanza esteso in direzione trasversale da comprendere tutta la zona turbolenta, considerando il fluido al suo interno vale l'equazione globale della dinamica dei fluidi: I P +F c + +M e +M u =0 Poich la direzione del moto orizzontale, possibile considerare l'equilibrio delle forze lungo x. La forza peso non ha componente lungo x. Poich dx molto piccolo, le traiettorie sono sensibilmente rettilinee e parallele, quindi la distribuzione delle pressioni idrostatica. Questo fa s che le forze al contorno siano uguali e opposte e la risultante Fc sia nulla. Considerato il getto costante, l'inerzia locale nulla. L'equazione diventa dunque: M e =M u ovvero la quantit di moto invariante. 2 La quantit di moto definita come: M = v dy =cost e poich, per l'autosimilitudine, v =v c f ( y ) allora: y 2 M =v c f d ( )=costante lungo x 2 ovvero v c =cost perch queste sono le uniche grandezze che dipendono da x. E quindi, trovata la funzione vc2(x) si trova . Per trovare la funzione della velocit al centro del getto si applica il teorema :

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v c =v c (x , ,M ) Per Reynolds sufficientemente elevato, si osserva che il processo sempre uguale a se stesso indipendentemente esso (autosimilitudine di Reynolds). M v c e quindi x x ovvero il getto si allarga secondo due rette. Per una scia invece, applicando lo stesso procedimento, si ottiene x I fenomeni di turbolenza libera sono caratterizzati dall'instabilit di Kelvin-Helmotz: quando due fluidi sono a contatto e si muovono parallelamente l'uno all'altro, la superficie di contatto non rimane piatta, ma presenta delle ondulazioni. Ipotizziamo che vi sia una piccolissima perturbazione su tale superficie: immediatamente si forma un'onda. In corrispondenza della cresta varia la superficie, e quindi la velocit. Variando la velocit, si modifica anche la pressione. Accade cos che uno dei due fluidi diminuisce la propria velocit, aumentando la pressione, e l'altro si comporta in maniera opposta. Si innesca cos un feedback positivo che amplifica l'effetto della perturbazione, con il risultato che il fluido si allontana sempre di pi dall'equilibrio.

Turbolenza di parete A causa delle forze di adesione, le particelle a contatto con la parete hanno la stessa velocit della parete, quindi se la parete ferma v=0. Facendo le ipotesi di parete liscia e senza curvatura, Millikan definisce uno strato molto prossimo alla parete, il wall layer o inner layer: questa zona abbastanza vicina alla parete da non risentire di ci che accade alla scala globale del fluido. In essa il profilo di velocit dipende da vari fattori: U=U(y, , , ). Per conoscere tale profilo possibile applicare il teorema di . Le due variabili contenenti la massa, dal momento che a primo membro questa non compare, devono combinarsi in modo che essa sparisca, ovvero con un rapporto. Inoltre, affinch ritroviamo la velocit, necessario estrarre la radice quadrata di tale rapporto. Viene fuori la velocit di attrito u* e quindi U=U(y, , u*). yu U =f ( )=f ( y T ) Applicando il teorema si trova: u Ovvero, nell'inner layer la y va adimensionalizzata secondo il raggruppamento u Si noti che quindi tale scala varia al variare della velocit. possibile effettuare un ulteriore ragionamento: si consideri lo strato dell'inner layer pi prossimo alla parete (sottostrato viscoso), nel quale, visto che la presenza della parete impedisce le oscillazioni, possibile dire che la turbolenza si spenta. In questa zona scompaiono allora le tensioni di Reynolds e restano soltanto le tensioni legate alla viscosit: 0 dU = e quindi U = y +cost dy Per y=0 la velocit zero, quindi la costante di integrazione nulla. Moltiplicando e dividendo per u* si ottiene un profilo delle velocit rettilineo nello strato vicinissimo alla parete: lailmil

U =yT u Si focalizzi ora l'attenzione su una zona lontana dalla parete, detta outer layer. nb: per convenzione, il profilo di velocit si d come complemento rispetto alla velocit massima U (legge del difetto di velocit U-U) Il difetto di velocit funzione di y, di u* e della dimensione complessiva : in questo caso, infatti, le scale di interesse saranno le scale pi grandi U U =F ( y ,u ,) La velocit adimensionalizzata sar quindi funzione della y adimensionalizzata rispetto : U U y =F ( )=F () u A questo punto, Millikan fa un'ulteriore ipotesi: esiste una zona di sovrapposizione tanto vicina alla parete da non essere interessato da , ma abbastanza lontano da non sentire l'effetto di . Questo strato detto overlap layer. In esso valgono contemporaneamente: U U U =f ( y T ) =F ( ) e u u Allora deve esserci un vincolo che lega le due funzioni f e F:

{ {

dU u df = dy dy T dU u dF = dy d

dF df 1 = yT = d dy T k con k=0,4 costante di Von Karman da cui

nb: dal momento che a sinistra e a destra dell'uguale vi sono due funzioni di due variabili diverse, affinch l'equazione abbia senso necessario eguagliare le i due membri a una costante. Integrando si ottiene: yu 1 f ( y T )= ln( )+A k 1 y F ()= ln( )+B k ovvero nell'overlap layer il profilo di velocit ha una struttura logaritmica. I valori delle costanti di integrazione si trovano per via sperimentale: A=5 B=-1

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La figura tratta dalle dispense sulla turbolenza di J. M. McDonough , Departments of Mechanical Engineering and Mathematics, University of Kentucky. In essa u+ indica il rapporto U/u* . La zona delle scale grandi (indicata in figura come defect layer) si allontana dal profilo logaritmico. Tuttavia, dal momento che lo scostamento non eccessivo, si considera che anche qui valga il profilo logaritmico. La stessa approssimazione non pu invece essere fatta per le scale molto piccole, perch l che il gradiente di velocit maggiore e, quindi, si forma la turbolenza. Negli altri punti, la turbolenza viene sostanzialmente trasportata e diffusa. Analizziamo adesso le ipotesi iniziali del modello: Parete idraulicamente liscia Una parete scabra quando le asperit superano il sottostrato viscoso. Questa definizione dipende dalla meccanica del fluido e non dalla geometria della parete. Infatti, lo spessore del substrato viscoso : y u =5 e si vede che, a parit di scabrezza, se si aumenta la velocit diminuisce la y. Pi un fluido veloce, infatti, pi la parete idraulicamente scabra. In questa situzione si formano delle scie (fenomeni di turbolenza libera), quindi nel caso di parete scabra non esiste pi il sottostrato viscoso (perch coperto dai picchi di scabrezza). Assenza di curvatura Quando c' una parete curva esiste il fenomeno della separazione: a valle della curva le traiettorie si staccano dalla parete e si formano delle correnti di ricircolazione. Anche in questo caso si formano delle scie. lailmil

Quando Re bassissimo (dell'ordine di 10-1) scompare qualunque effetto della separazione e le traiettorie sono perfettamente simmetriche. In questi casi il fluido estremamente lento (creeping flow) e in esso accade che il campo di moto simmetrico sia a monte che a valle e ci comporta che anche le pressioni sono simmetriche a monte e a valle. La conseguenza di questo fenomeno che un corpo immerso in un creeping flow subisce la stessa spinta da monte e da valle e resta fermo nonostante il fluido si muova. La lava un esempio di creeping flow.

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