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3. Lo sviluppo economico nella prospettiva secolare A.

Le Epoche Economiche e la loro interpretazione


Introduzione
Dal 1820, il prodotto totale dei 16 paesi capitalistici avanzati aumentato di 70 volte, la popolazione di 5 volte, il prodotto pro-capite di 14 volte e consumo reale pro-capite di quasi 10 volte. Le ore lavorative annuali sono adesso quasi la met di allora, mentre lattesa di vita si raddoppiata. Il motore principale dello sviluppo stato il progresso tecnologico, in cui la formazione di capitale ne stato lo strumento principale da cui ne stata sfruttata per aumentare loutput. Questa la lettura pi sintetica degli ultimi 180 anni di storia economica. Tuttavia, le ragioni di un tale e vigoroso sviluppo del capitalismo si possono comprendere meglio se analizzati in una prospettiva storica di lungo periodo, secolare se non millenaria. Se applichiamo il semplice schema della funzione di produzione aggregata neoclassica che combina i fattori di produzione (risorse naturali, lavoro e capitale), possiamo leggere la storia delleconomia mondiale in una chiave evolutiva che vede i fattori di produzione elementari progressivamente aumentati nel corso dei secoli dal progresso tecnologico e dallistruzione e qualificazione della forza lavoro. Le maggiori determinanti delle performance economiche nelle varie epoche si possono cos evidenziare e, a seconda del contributo relativo di ciascuna di esse, potremo distinguere le varie epoche tra loro. Nel corso dei secoli, lefficienza dellallocazione delle risorse stata migliorata da una migliore divisione del lavoro. Di tanto in tanto, alcuni paesi hanno aumentato il loro reddito saccheggiando o sfruttando altri, specialmente nel periodo del primo imperialismo coloniale e del capitalismo mercantile, ma questi non sono comunque stati fattori importanti nel progresso capitalistico.

Descrizione
Con leccezione del Giappone, tutti i paesi capitalistici avanzati (oggi) sono europei o di derivazione europea (come lAustralia, il Canada, gli USA). A datare approssimativamente dal 500 AD, i paesi europei hanno attraversato quattro epoche: lepoca agraria(500-1500), lepoca agraria avanzata (1500-1700), lepoca del capitalismo mercantile (1700-1820) e infine lepoca capitalistica (1820-corrente). La differenza tra lepoca pre-agraria (nomade) e quella agraria vera e propria (che comincia con gli insediamenti delle prime civilt nelle zone temperate dellEgitto e della Mesopotamia) fondamentalmente quella di un utilizzo di strumenti per la produzione agricola (introduzione di capitale corrente ma non accumulato), un minimo di skills per la manodopera e luso di risorse naturali che vengono appropriate e mantenute (non solo sfruttate e poi abbandonate). La fase agraria caratterizzata da lentissimo progresso tecnologico e un sistema istituzionale non prono allassorbimento di nuova tecnologia. La fase agraria si protrae per lunghi secoli sino alla fase imperialistica romana e poi medievale, in cui accanto ad una forza lavoro con un minimo di skills si affianca unelite burocratica e militare efficiente, e linvestimento in capitale corrente viene affiancato dallinvestimento in strade e infrastrutture. La fase imperialisticasempre allinterno della fase agrariabeneficia anche dei proventi di prelievi fiscali iniqui, sfruttamento, schiavizzazione e rapina dei territori colonizzati (un input aggiuntivo al processo di produzione del reddito). Nella tarda fase agraria e poi nella fase agraria avanzata si ha un sempre maggioreanche se molto gradualeinvestimento in capitale fisso (non solo corrente). Le esplorazioni geografiche e poi la nuova colonizzazione delle americhe e dellOceania danno poi gradualmente vita al commercio transoceanico, sostenuto anche da innovazioni tecnologiche considerevoli nei trasporti e da investimenti consistenti in capitale fisso. La fase del capitalismo mercantile caratterizzata da una manodopera generalmente con un minimo di skills, in parte con istruzione formale e ap-

prendimento sul lavoro, unelite burocratica, militare e scientifica. Uno stock moderato di capitale corrente viene, in questa fase, affiancato dal uno stock molto maggiore (in volume e valore) di capitale fisico. Nella fase mercantile, tuttavia, il maggiore reddito viene integrato con i nuovi proventi dello sfruttamento coloniale, sia in termini di risorse depredate che di schiavizzazione. La fase capitalistica, infine, caratterizzata soprattutto da accumulazione di capitale e progresso tecnico. Linvestimento in tutti i tipi di capitale (sostituzione di capitale obsoleto, ampliamento dello stock, nonch miglioramento del valore dello stock) il principale veicolo del progresso tecnico, che diviene sempre pi tangibile e percettibile.
Tabella 1 Caratteristiche delle quattro epoche in termini di crescita (tassi di crescita medi annuali composti in percentuale) Popolazione Agraria (500-1500) 0.1 Agraria avanzata (1500-1700) 0.2 Capitalismo mercantile (1700-1820) 0.4 Capitalismo (1820-2000) 0.9
Fonte: A. Maddison, Phases of Capitalist Development, Oxford, 1982.

PIL Pro-capite 0.0 0.2 0.2 1.6

PIL Totale 0.1 0.4 0.6 2.5

Lepoca agraria
Dopo il crollo dell'impero romano e del relativo sistema di comunicazione, lEuropa ricadde in una lunga epoca agraria (in termini economici) con relativi pochi commerci per molti secoli. Per un millennio ci fu un lievissimo aumento netto della popolazione ed nessun aumento del reddito pro-capite complessivi. Allinterno di questo quadro complessivamente stagnante ci furono fluttuazioni importanti. Ci furono due declini importanti della popolazione, con recuperi successivi. Il primo calo violento di popolazione avvenne dopo la caduta delimpero in unondata della malattie epidemiche nel VI e VII secolo. Il secondo avvenne nel XIV secolo, dopo lepidemia di peste bubbonica conosciuta come la morte nera. Esiste una certa evidenza che quando la popolazione crollava dopo queste catastrofi demografiche, gli standard di vita miglioravano temporaneamente, poich per varie decadi successive vi era pi terra fertile disponibile. La diminuzione di popolazione aveva per anche leffetto di diminuire lofferta di prodotti alimentari, che peggiorava liniziale effetto negativo delle catastrofi demografiche, con accompagnati effetti inflazionistici. Le fluttuazioni demografiche e quelle negli standard di vita per lungo tempo sono dunque state come antitetiche.

Lepoca agraria avanzata


Tra il 1500 e 1700 il tasso di progresso fu comunque basso rispetto agli standard attuali, ma chiaramente migliore che nellintero millennio precedente. Non vi furono ulteriori battute d'arresto demografiche sulla scala della Morte Nera, bench il tasso di sviluppo della popolazione fosse magro nonostante lalta fertilit (si accompagnava comunque ad unalta mortalit). Loutput procapite si svilupp ad un passo troppo lento per essere percettibile ai contemporanei. Tuttavia, la popolazione di questi paesi crebbe della met in questi due secoli e loutput pro-capite aument di poco meno della met, sebbene la produttivit aument di poco in quanto il maggiore output fu solo dovuto a un maggiore aumentare di ore lavorative (maggiore uso di forza lavoro pi che progresso tecnico labour-saving). In definitiva, lepoca agraria avanzata tra il 1500 e il 1700 fu unepoca in cui il progresso tecnico, accanto ad un modicum di formazione di capitale hanno svolto un certo ruolo.

Lepoca del Capitalismo Mercantile


Nellepoca del capitalismo mercantile, i paesi europei principali sfruttarono la loro superiore tecnologia nella navigazione, nella costruzione navale ed in armamenti per sviluppare il commercio internazionale mediante imprese commerciali monopolistiche. Nel precedente caso della Spagna, gli obiettivi mercantili e la politica coloniale non erano capitalisti mercantili ma pi simili a quelli dellantico imperialismo. Una volta esaurito il depredamento delle colonie, la Spagna cominci a declinare. Ma nei Paesi Bassi, in Francia e nel Regno Unito, limpero doltremare del periodo capitalistico mercantile ebbe un effetto pi benefico sulla capacit produttiva delle rispettive

economie, perch esso aument non soltanto risorse di capitale, ma contribu considerevolmente ad espandere i mercati. Nel periodo capitalistico mercantile ci fu inoltre un miglioramento in trasporto interno, che contribu a rompere lisolamento delle economie autosufficienti del villaggio e cre nuove possibilit di economie di scala e specializzazione. Per il Regno Unito, lesperienza capitalistica mercantile fu una necessaria rampa di lancio per dare il via ad unaccelerazione del progresso tecnico nei tessili, poich ne apr un mercato particolarmente ampio. Adam Smith, nel suo famoso libro su La ricchezza delle nazioni, descrisse brillantemente le forze che guidarono il capitalismo mercantile: egli sottoline limportanza del miglioramento dello stock di capitale mediante investimento, le opportunit offerte dalle economie di scala e dalla specializzazione, e il ruolo che le politiche economiche potevano avere nellaccelerare lo sviluppo. Il mercantilismo si stabil agli inizi dellepoca moderna (tra il XVI e il XVIII secolo), pi o meno in corrispondenza dellemergere degli Stati-nazione. Esso port ad alcune delle prime forme di significativo intervento governativo e di controllo sulle economie di mercato, nonch al sorgere del capitalismo vero e proprio. Il mercantilismi favor per anche molte delle guerre europee del periodo, e aliment limperialismo europeo, nella guerra delle potenze europee per il controllo delle risorse e dei mercati disponibili. Tuttavia, con lavvento del capitalismo vero e proprio, la rivoluzione industriale, gli argomenti di Adam Smith e di altri economisti classici ebbero la meglio nel cambiare la politica dellImpero Britannico e di altri paesi europei. Il mercantilismo si svilupp ad un tempo in cui leconomia europea era in transizione. Gli stati feudali medievali venivano sostituiti da Stati-nazione centralizzati. Lintroduzione di navi da trasporto interoceanico, il flusso di beni successivo alla scoperta delle Americhe, la crescita dei centri urbani portarono allaumento rapido dei flussi di commercio internazionale. Il mercantilismo si concentr su come tale commercio poteva meglio essere vantaggioso per gli Stati. Venne introdotta la contabilit doppia (anche nelle finanze pubbliche), che fu cos in grado di mostrare il chiaro flusso in entrata e in uscita del commercio e un migliore controllo della bilancia commerciale. Il flusso di beni inter-nazionale aument enormemente, e con esso i prezzi e il flusso di oro e di argento (mezzi di pagamento).

Lepoca capitalistica
La differenza principale fra lepoca capitalistica e quella capitalistica mercantile fu laccelerazione del tasso di progresso tecnico, che richiese un considerevole aumento nel tasso di formazione del capitale fisso. Lo sviluppo dello stock di capitale per lavoratore aument notevolmente e tutti i tipi di capitali (sostituzione, ampliamento, e miglioramento) furono resi pi produttivi perch le nuove annate di capitale contennero un continuo e sostanziale sviluppo nella conoscenza tecnica. Una differenza significativa dal capitalismo mercantile che le performance economiche dei principali paesi capitalistici non sono dipese generalmente da politiche di sfruttamento e depredamento di altri paesi del tipo beggar-your-neighbor. Ci non significa che tali pratiche sono sparite, ma sono state via via molto meno significative, tranne nel caso del Regno Unito quando il suo relativo sviluppo capitalistico cominci. Unaltra caratteristica importante dellepoca capitalistica stata il livello di formazione generale della forza lavoro costantemente in aumento. Se nel 1820 un membro medio della forza lavoro nel gruppo di paesi capitalistici non aveva probabilmente ricevuto pi di due anni di istruzione, nel 1989 la media era aumentata fino undici anni. Ci stato necessario per adattarsi con successo al rapido cambiamento economico, ma stato anche di aiuto nello sviluppo dello stock di conoscenza economica utile. Le economie di scala e la specializzazione hanno continuato ad essere le forze principali dietro alla crescita della produttivit nellepoca capitalistica, ma il loro contributo relativo al progresso economico stato pi modesto che non nellepoca mercantile, quando limportanza del progresso tecnico fu molto minore.

Lo Sviluppo Economico Mondiale


Tra lanno 1000 e il 1998 la popolazione mondiale aumentata di 22 volte, a fronte di un aumento del reddito pro-capite di 13 volte. Tra linizio dellEra Cristiana e lanno Mille, invece, la popolazione era aumentata di un sesto, mentre il reddito pro-capite medio mondiale era addirittura diminuito. Il secondo millennio si compone di due distinte epoche. Tra il 1000 e il 1820 il

movimento verso lalto del reddito pro-capite fu lento, e per il mondo nel suo complesso laumento non stato di pi del 50%. La crescita fu pi che altro estensiva, e serv ad accomodare un aumento della popolazione di 4 volte tanto. Dopo il 1820, lo sviluppo mondiale stato molto pi dinamico, e pi intensivo. Il reddito pro-capite cresciuto ben pi rapidamente della popolazione, tale che alla fine del millennio era 8,5 volte pi alto che non nel 1820, a fonte di una popolazione maggiore di 5,6 volte. Vi stata unampia disparit nella performance delle varie regioni del mondo nelle varie epoche. Il gruppo pi dinamico stato quello dei paesi occidentali, cio LEuropa Occidentale, il Canada, Gli Stati Uniti dAmerica, lAustralia, la Nuova Zelanda, e il Giappone. Nel periodo 10001820 il reddito pro-capite medio cresciuto circa 4 volte pi rapidamente che nel resto del mondo. Il differenziale continuato tra il 1820 e il 1998, allorch il reddito dei paesi occidentali cresciuto di 19 volte, a fronte di un aumento di 5,4 volte per il resto del mondo. In altre parole, la distanza in termini di reddito pro-capite tra paesi occidentali e resto del mondo aumentata. Il gap molto pi ampio oggi di quanto non sia mai stato in passato. Duemila anni fa il livello medio del reddito era pi o meno simile nei paesi occidentali e nel resto del mondo. Attorno allanno 1000, il reddito medio dei paesi occidentali fu in realt inferiore di quello del resto del mondo, principalmente per via degli effetti duraturi della caduta dellImpero Romano, a fronte di un relativo progresso economico del mondo islamico, dei paesi dellAsia Centrale e della Cina. Ma attorno al 1820, i paesi occidentali nel loro complesso avevano gi raggiunto un livello circa doppio rispetto al resto del mondo, e nel 1998 tale divario diventato in alcuni casi drammatico (si vedano le tabelle sotto).

Fonte: Maddison , Contours of the World Economy.

Vi sono anche stati cambiamenti nella distribuzione del reddito tra le varie aree del mondo nel corso della storia. Attorno allanno 1000, lAsia (escluso il Giappone) produceva pi di due terzi del PIL mondiale, e lEuropa Occidentale meno del 9%. Nel 1820 le proporzioni erano del 56% e del 24%, rispettivamente. Nel 1998, la quota asiatica era attorno al 30%, a fronte del 46% dellinsieme dei paesi occidentali. Angus Maddison ha recentemente messo a punto una serie di statistiche e studi molto accurati sullandamento del reddito nel lungo periodo per le varie regioni del mondo. Nel suo Contours of the World Economy egli raggiunge le seguenti conclusioni: a) Il reddito dellEuropa Occidentale ha avuto il suo nadir attorno allanno 1000, allorch il suo livello fu significativamente pi basso che non allinizio dellEra Cristiana, e inferiore a quello della Cina, dellIndia e di altri paesi Asiatici. b) Vi stato un punto di svolta attorno allXI secolo, quando cominciata lascesa economica dellEuropa Occidentale. Questa ha sicuramente avuto un passo lento per secoli, ma gi nel 1820 il reddito era triplicato. La leadership economica nel corso dei secoli cambiata di luogo e di caratteristiche. Mentre le Citt Stato dellItalia settentrionale, e in particolare la Repubblica di Venezia, hanno dato il via al processo di crescita e riaperto il commercio mediterraneo dopo la caduta dellImpero Romano e la conquista araba, Spagna e Portogallo hanno successivamente aperto le rotte commerciali marittime verso le Americhe e lAsia. Spagna e Portogallo furono per meno dinamiche, economicamente, dei Paesi Bassi, che divennero il paese leader attorno al 1600, seguiti poi dalla Gran Bretagna alla fine del XVIII secolo. c) LEuropa Occidentale super la Cina (leconomia leader in Asia) in termini di reddito pro-capite nel XIV secolo. Da allora, leconomia della Cina e dellAsia rimasta pi o meno stagnante in termini pro-capite sino alla seconda met del XX secolo. Tale stagnazione fu inizialmente dovuta alle istituzioni indigene e alle loro politiche, ma fu poi rafforzata dallo sfruttamento coloniale espresso dallegemonia occidentale, e fu pi marcata dal XVIII secolo in avanti. d) Lappropriazione delle risorse naturali del Nord America da parte dellEuropa Occidentale, la migrazione dei coloni europei, la tecnologia e lorganizzazione aggiunsero una sostanziale nuova dimensione allascensione economica occidentale dal XVII secolo in avanti. A questa va aggiunta la spinta economica del mercantilismo e lo sfruttamento delle colonie tropicali. Verso la fine del XIX gli Stati Uniti dAmerica era gi il leader economico mondiale. e) Il Giappone stato uneccezione alla norma asiatica. Nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX, il Giappone ha raggiunto e superato la Cina in termini di reddito pro-capite. La presa del potere dei Meiji nel 1868 provoc un radicale cambiamento istituzionale il cui scopo era quello di raggiungere lOccidente. In termini di reddito, tale obiettivo fu raggiunto attorno al 1980, ma non ancora stato raggiunto in termini di produttivit. f) La dominazione coloniale dellAmerica Latina ebbe qualche analogia rispetto a quella dellAmerica del Nord, ma le istituzioni spagnole e portoghesi erano meno propizie allo sviluppo capitalistico che quelle olandesi, inglesi e francesi. Inoltre, lAmerica Latina aveva una popolazione indigena molto pi numerosa che fu trattata come una sottoclasse, senza alcun accesso n alla terra n allistruzione. Lordine sociale, tuttavia, non cambi gran ch dopo lindipendenza. Nel

lungo periodo, laumento del reddito pro-capite fu molto pi contenuto di quello del Nord America, anche se pi rapido di quello asiatico o africano. g) Il reddito pro-capite dellAfrica nel suo insieme fu pi basso nel 1820 che nel primo secolo dellEra Cristiana e da allora laumento stato molto pi contenuto che in ogni altra parte del globo. Nel 1998, il livello di reddito stato appena migliore di quello dellEuropa Occidentale nel 1820. Laumento della popolazione ora il pi rapido di ogni altra regione ed 8 volte pi veloce di quello europeo. h) Il grande aumento del reddito si avuto comunque negli ultimi due secoli: il reddito aumentato di 19 volte nei paesi occidentali e pi di 5 volte nel resto del mondo nel suo insieme.

Fonte: Maddison , Contours of the World Economy.

I risultati e le osservazioni di Maddison gettano una luce in qualche modo nuova sullinterpretazione della storia economica del mondo. In particolare, essi differiscono da alcune precedenti interpretazioni circa la durata e la velocit dellascensione economica dellEuropa occidentale. La tendenza generale in passato stata quella di datare linizio dellascesa attorno al 1500, quando gli europei scoprirono lAmerica e fecero la loro entrata nei mercati asiatici. Max

Weber attribu lascesa europea al protestantesimo e la sua tesi ha trovato consenso perch ha anche coinciso nella datazione con lascesa economica dellEuropa. Tuttavia, non sembra esserci stato una vera e propria rottura o un punto di svolta nel 1500 che lasci pensare che fu allora che cominci lascesa. Simon Kuznets (1996, Cap. 1) sugger che la moderna crescita economica contraddistingue unepoca ben precisa che fu preceduta dal capitalismo mercantile in Europa Occidentale tra la fine del XV secolo e la seconda met del XVIII secolo, il quale fu preceduto da un epoca di organizzazione feudale. Nel suo volume del 1973, Kuznets avanz unidea accettabile circa lo sviluppo del reddito pro-capite durante lera mercantilistica, che Maddison (1995) poi fece propria. Tuttavia, il tasso di crescita del reddito pro-capite nellepoca del capitalismo mercantile non fu in realt di molto superiore a quello registrato tra i secoli XI e XV e per tale ragione non ha molto senso distinguere un epoca feudale da quella mercantile, almeno dal punto di vista economico dellaumento del reddito. Si pu invece caratterizzare lintera fase tra il 1000 e il 1820 come proto-capitalistica, con una fase agraria avanzata ed una capitalistico-mercantile. Una differenza importante tra Maddison e Kuznets sta anche nella datazione dellinizio della fase capitalistica, quella che Kuznets chiama della moderna crescita economica. La transizione, secondo Maddison, avvenne attorno al 1820, non attorno al 1760 (quando piuttosto cominciarono ad affermarsi le primissime imprese capitalistiche in Inghilterra). Il lavoro di Crafts (1983, 1992) ha certamente contribuito a sfatare la convinzione generalizzata di un improvviso decollo nella seconda met del XVIII in Inghilterra. Inoltre, i dati recenti mostrano come lOlanda avesse alla fine del XVIII secolo un reddito maggiore della Gran Bretagna, il che contribuisce a sfatare il mito delleccezionalit britannica. Gershenkron (1965) e Rostow(1960, 1963) sottolinearono entrambi lidea che i decolli avvennero in modo asincrono e sequenziale lungo il XIX secolo nei paesi europei. Kuznets (1979) condivise questa impostazione, anche se secondo Maddison i dati mostrano invece che laccelerazione nella crescita fu infatti molto pi sincrona di quanto sino ad oggi creduto. Linterpretazione della crescita delleconomia mondiale vede naturalmente varie posizioni, da Landes (1972) che enfatizza secoli di accumulazione di conoscenza e investimenti in Europa Occidentale che favorirono lo sfruttamento delle risorse che diede allEuropa la leadrship, a Bairoch (1991), che vede nello sfruttamento coloniale la ragione prima per la susseguente primazia dellEuropa Occidentale. Maddison (2007) discute queste posizioni con il contributo di una corposa evidenza empirica.

Il Mercantilismo e la Nascita del Capitalismo Moderno


Lo sviluppo del mercantilismo
Il mercantilismo stabil un sistema di commercio a fini di profitto, sebbene merci e materie prime venissero ancora in larga parte prodotte secondo metodi di produzione non capitalistici. I mercanti europei, sostenuti da controlli statali, sussidi e monopoli, cominciarono a fare profitti ne commercio internazionale e transoceanico semplicemente comprando e vendendo beni e materie prime. Nelle parole di Francio Bacon, il mercantilismo fu lapertura e il bilanciamento del commercio, il gioire dei manifattori, la fine dellapatia e dellinattivit, la repressione dello spreco e delleccesso provocato da leggi sontuose, il miglioramento e la cura del suolo e dei terreni, la regolazione dei prezzi. La regimentazione economica era cominciata gi nel tardo medioevo e si era affermata nel periodo rinascimentale nelle citt, ma fu con il mercantilismo e la contemporanea ascesa dellassolutismo che lo Stato prese il posto delle corporazioni come regolatore delleconomia. Il mercantilismo dava molta importanza allaccumulazione di oro e argento e metalli preziosi. I mercantilisti sostenevano che uno stato doveva esportare pi beni di quanti ne importava perch cos gli stranieri avrebbero dovuto pagare la differenza in metalli preziosi. I mercantilisti asserivano che solo le materie prime che non potevano essere prodotte internamente dovevano essere importate e promossero pertanto sussidi governativi, protezione dei grandi monopoli e tariffe protettive per incoraggiare la produzione interna di beni manufatti. I proponenti del mercantilismo sottolinearono limportanza del potere statale e delle conquiste doltremare come lo scopo principale della politica economica. Se un paese non pu fornire le sue proprie materie prime, secondo i mercantilisti, deve allora acquisire territori e colonie da do-

ve queste possono essere estratte. Le colonie costituirono cos non solo una fonte di materie prime ma anche un mercato per i prodotti finiti. Dacch non era nellinteresse dello Stato promuovere la concorrenza, sostenevano i mercantilisti, alle colonie non deve essere consentito di produrre beni manufatti e commerciare con potenze straniere.

La critica anti-mercantilistica
Adam Smith e David Hume possono essere considerati come i padri del pensiero antimercantilista, anche se vari studiosi avevano messo in luce importanti difetti nel mercantilismo prima che Adam Smith sviluppasse lideologia che ne permise il definitivo superamento. I mercantilisti non capirono le nozioni di vantaggi assoluti e comparati (che furono pienamente sviluppate da David Ricardo nel 1817) e i benefici del commercio libero. Nel famoso esempio di Ricardo, il Portogallo era un produttore di vino ben pi efficiente dellInghilterra, mentre in Inghilterra era pi economico produrre tessili. Cos, se il Portogallo si fosse specializzato nella produzione di vino e lInghilterra nella produzione di tessili, entrambi i paesi ne avrebbero guadagnato se avessero commerciato e scambiato vino contro tessili: un esempio di vantaggi assoluti. Nella teoria economica moderna, il commercio non un gioco a somma zero di concorrenza spietata e selvaggia, come ritenevano i mercantilisti, in quanto entrambi i contraenti possono guadagnarci. Imponendo restrizioni alle importazioni e tariffe, secondo il credo mercantilista, porta solo allimpoverimento reciproco. Fu David Hume che mise in luce limpossibilit di avere una bilancia commerciale costantemente attiva, come sostenuto dai mercantilisti. Allaumentare del flusso di oro e argento (il bullion) dovuto al flusso commerciale attivo, lofferta di oro e argento interna aumenta e il suo valore tende quindi a diminuire relativamente agli altri beni. Nel paese che esporta oro e argento (cio paga per le importazioni), lofferta di oro e argento diminuisce, aumentandone il valore (prezzo in oro e argento dei beni). Eventualmente, non pi economico esportare beni dal paese a basso prezzo a quello ad alto prezzo, e la bilancia commerciale finisce per invertirsi. I mercantilisti per lungo tempo non compresero tale meccanismo, sostenendo che un aumento dellofferta di moneta semplicemente significava che ognuno diventa pi ricco. La prima scuola di pensiero che rifiut apertamente il mercantilismo fu quella fisiocratica francese, con Raymond Quesnais, ma fu solo con La ricchezza delle nazioni del 1776 di Adam Smith che il mercantilismo ricevette una severa e completa critica. Il libro di Smith svilupp le basi di quella che oggi viene considerata leconomia classica e la prima sistematizzazione del capitalismo allora nascente. Smith critic le due fondamentali dottrine mercantilistiche che lammontare della ricchezza mondiale costantee va quindi acquisito a spese di altrie che un paese pu aumentare la propria ricchezza solo a spese di un altro paese. In Gran Bretagna le normative mercantilistiche vennero gradualmente abolite e sostituite nel corso del XIX, allorch il governo britannico abbracci in modo convinto lidea del libero commercio e del laissez faire difesa da Smith. In Francia, Prussica e Russia, allora meno sviluppate, il processo fu molto pi lento, e limportazione mercantilistica continu a prevalere nella protezione della nascente industria manifatturiere. Negli Stati Uniti, il mercantilismo fu accettato e difeso da figure come Alexander Hamilton, e dai presidenti Abraham Lincoln e Thomas Jefferson, e fu la base per ladesione al gold standard e le politiche protezionistiche e di sostituzione delle importazioni per proteggere la nascente economia americana dalla dominazione inglese. Se Adam Smith sostenne che limportanza data allofferta di moneta era eccessiva, e che la vera causa della prosperit sta nel consumo di beni e nelle istituzioni che lo favoriscono, Keynes nel XX secolo sostenne invece che qualcosa di buono nel pensiero mercantilista cera e che lofferta di moneta, la bilancia commerciale e i tassi di interesse sono importanti per leconomia. Adam Smith rifiut lattenzione data dai mercantilisti alla produzione, sostenendo che molto pi importante mantenere certi livelli di consumo per far crescere leconomia. Keynes, daltro lato, sottoline che la produzione importante tanto quanto il consumo e che importante che il governo mantenga un controllo e la capacit di intervenire attivamente nel funzionamento delleconomia.

La rivoluzione industriale
Il capitalismo industriale il cui inizio viene datato da Karl Marx e Karl Polany attorno attorno alla seconda met del XVIII in Inghilterra fu reso possibile dallaccumulazione di vasti

ammontari di capitale della fase mercantilistica e dallinvestimento in nuove tecnologie a scopo produttivo e industriale. Laccumulazione di capitale da parti di grandi capitalisti e compagnie monopolistiche era avvenuta in modo crescente per tutto il XVII e il XVIII secolo, ma fu solo grazie allapplicazione di alcune fondamentali innovazioni tecnologiche alla produzione che si avvi il capitalismo industriale. Allorch si sviluppa il sistema della fabbrica manifatturiera caratterizzata da unarticolata e sempre pi complessa divisione del lavoro che si afferma il modo capitalistico di produzione. La Rivoluzione Industriale vede il Capitalista Industriale sostituire il Capitalista Mercante come attore dominante sulla scena sociale: mentre il primo ottiene i suoi profitti dagli enormi ricavi dovuti ad una produzione crescente ottenuta a costi relativamente bassi e reinveste tali profitti nellacquisto di nuovi macchinari e in nuovi impianti, il secondo ottiene i suoi profitti semplicemente comprando a basso prezzo e rivendendo a un prezzo pi alto, reinvestendo solo nelle attrezzature necessarie al trasporto. David Landes insiegne storico delleconomia ha studiato e descritto questo passaggio nel suo libro Unbound Prometheus (Prometeo Liberato Cambiamento tecnologico e sviluppo industriale nellEuropa Occidentale dal 1750 ad oggi). Nelle parole di Landes, la rivoluzione industriale fu il primo caso nella storia di un passaggio di rottura da uneconomia agricola e artigianale ad una dominata dallindustria e dalla manifattura meccanica. La rivoluzione industriale, che cominci in Inghilterra nel XVIII secolo e si diffuse nei paesi dellEuropa Continentale e in pochi altri paesi oltremare, trasform nellarco di due generazioni la vita delluomo occidentale, la natura della sua societ e le sue relazioni con gli altri popoli del mondo. Il cuore della rivoluzione industriale fu una successione interrelata di cambiamenti tecnologici. Gli avanzamenti materiali avvennero in tre aree: (1) la sostituzione di abilit umane con attrezzi meccanici; (2) la sostituzione della forza umana e animale con forza inanimatain particolare del vapore; (3) miglioramento marcato dellapprovvigionamento e della disponibilit di materie prime, in particolare per quelle che oggi chiamiamo industrie metallurgiche e chimiche. Parallelamente ai cambiamenti nelle attrezzature e nei processi avvenne un cambiamento nelle forme organizzative del lavoro e della produzione, con nuove forme di organizzazione industriale. La dimensione dellunit produttiva crebbe: macchine ed energia richiedevano e rendevano possibile la concentrazione della manifattura, cosicch lofficina e il laboratorio diedero via a stabilimento e fabbrica. La fabbrica divenne pi di ununit produttiva: era un sistema di produzione, con proprie caratteristiche, funzioni e responsabilit dei diversi partecipanti. Da un lato cera il datore di lavoro, il quale non solo assumeva il lavoro e commercializzava il prodotto finito, ma forniva le attrezzature e i capitali e ne controllava luso nella sua funzione di supervisore. Il datore di lavoro non pi solo lartigiano: capitalista che fornisce i capitali e paga il lavoro dei lavoratori, supervisore del processo produttivo, commerciante che vende i suoi prodotti. Dallaltro lato cera il lavoratore, con le sue abilit manuali e artigianali ma non pi in grado di possedere e fornire i mezzi di produzione e ridotto allo stato di mano doperala definizione significativa e simbolizza bene tale trasformazione da produttore a puro lavoratore. A legare datore di lavoro e lavoratore una relazione economicail nesso salarialee la relazione funzionale di supervisione e disciplina. Come sottolinea Polanyi, la prima volta nella storia che il lavoro non viene remunerato in natura e che il lavoratore totalmente espropriato dei mezzi e fornisce la sua sola forza lavoro, ovvero vende il suo tempo e la sua forza: nasce il mercato del lavoro. La disciplina non cosa nuova: grandi progetti nel passato avevano sempre richiesto la direzione e il coordinamento di un vasto numero di persone e anche prima della rivoluzione industriale vi erano grandi officine e laboratori artigianali nelle quali lavoratori tradizionalmente non meccanizzati operavano sotto supervisione. Allora per la disciplina era in qualche modo lasca, senza vera supervisione. La disciplina della fabbrica era tuttaltra cosa e richiese un nuovo tipo di lavoratore, piegato ai ritmi inesorabili della macchina e dellorologio. Questo senzaltro favor anche la razionalizzazione del lavoro e la sua regimentazione completa, la riorganizzazione dellofficina e della fornitura di materiali e materie prime, nonch la disponibilit di forza lavoro. In ogni caso, in tutti i modi il cambiamento port altro cambiamento, ed ogni cambiamento fu possibile grazie ai miglioramenti complessivi. La macchina a vapore un esempio: non fu possibile produrre vapore e incanalare questa energia in un motore fino a che non fu possibile disporre di accurati cilindri metallici. Allo stesso tempo, le macchine poterono avere un impatto sulla produzione solo quando anche lorganizzazione della produzione stessa ne venne affetta. La

domanda di carbone richiese miniere pi profonde, ma ci richiese che il problema delle infiltrazioni di acqua fosse affrontato e che pompe pi efficienti fossero disponibili. Allo stesso tempo, una maggiore disponibilit di carbone fu provvidenziale per lindustria del ferro che necessitava di combustibile. Le nuove industrie tessili e della manifattura richiesero una disponibilit di energia che il carbone da solo non sarebbe stato in grado di soddisfare se non si fosse accompagnato alla macchina a vapore. Ma la stessa macchina a vapore fu possibile solo grazie alla disponibilit di ferro e poi di acciaio. Il vapore, il carbone, il ferro e lacciaio resero possibili la citt fabbrica, una domanda mai vista prima di carbone e ferro, fabbriche a pi piani e sistemi di trasporto dellacqua e delle fognature. Grandi quantit di sostanze chimiche furono anche introdotte e utilizzate, con una grande domanda di combustibile, cui si accompagn linquinamento atmosferico il fumo grigio di Londra e un ben scarso controllo dei rifiuti. Tutti questi prodotti ferro, carbone, tessili, prodotti chimici dipendevano da movimenti di beni e materie prime su terra e mare di larga scala. Il sistema dei trasporti fu quindi una componente importante della rivoluzione industriale: la nave a vapore e la locomotiva a vapore ne furono il veicolo fondamentale, che naturalmente si aggiunsero allenorme domanda di ferro e carbone. In questo senso, la Rivoluzione Industriale segn un fondamentale punto di svolta nella storia dellumanit. Fino a quel punto, gli avanzamenti del commercio e dellindustria, per quanto impressionantisi pensi ai galeoni che solcavano gli oceanierano stati essenzialmente superficiali: pi ricchezza e pi merci, citt prosperose e mercanti nababbi. Il mondo aveva gi visto periodi di prosperit industrialenellItalia medievale e nelle Fiandrema aveva anche visto in seguito la linea dellavanzamento economico recedere ogni volta. Nellassenza di cambiamenti qualitativi, di miglioramenti della produttivit, non ci poteva essere garanzia che i meri guadagni quantitativi sarebbero stati accumulati e consolidati. Fu la Rivoluzione Industriale che diede luogo ad un avanzamento cumulativo e auto-sostenuto nella tecnologia le cui ripercussioni si manifestarono in ogni aspetto della vita economica e sociale. Bisogna poi anche dire che i miglioramenti e le opportunit non sono sempre stati lineari e progressivi. Gli avanzamenti si sono avuti in alcuni settori con alti e bassi, non sempre coordinati e auto-sostenuti. Vi sono stati momenti di espansione e recessione. Le invenzioni e le innovazioni non sono sempre arrivate al momento giusto e anzi, lespansione di quelle industrie che furono il cuore della Rivoluzione Industriale tessili, metallurgiche, chimiche, del vapore e dei trasporti ferroviaricominci ad arrestarsi verso la fine del XIX secolo in molti paesi europei, al punto che taluni pensarono che lintero sistema stava per fermarsi (ma la Rivoluzione Industriale, a quel punto, era praticamente completata in quei paesi). Alcuni ritennero anche che leconomia capitalista non era pi capace di creativit sostenuta e di continuare a crescere. Ma fu allora che sopraggiunse la cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale, quella basata sulle spettacolari scoperte chimiche, elettriche e del motore a combustione interna. Il miglioramento quantitativo per solo un aspetto della Rivoluzione Industriale, in quanto la tecnologia moderna non solo produce di pi e pi velocemente ma soprattutto produce oggetti (beni) che non esistevano prima. I miglioramenti materiali hanno a loro volta provocato e promosso una serie di complessi cambiamenti economici, sociali, politici e culturali che hanno reciprocamente influenzato il passo e il corso dello sviluppo tecnologico. Questa la trasformazione che chiamiamo industrializzazione. Durante la Rivoluzione Industriale e poi in seguito, lindustria si svilupp aumentando la sua quota di ricchezza e prodotto nazionale, richiamando masse crescenti di lavoratori dalle campagne. Il passaggio vari da paese a paese, a seconda dei vantaggi comparati e della resistenza istituzionale. In Gran Bretagna, ove il libero scambio port allabolizione di ogni protezione di contadini e agricoltori, nel 1912 solo il 12% della forza lavoro era occupata in agricoltura, mentre nel 1951 tale quota era scesa ad un irrimediabile 5%. In Francia, un paese di piccole aziende contadine, un apolitica protezionistica ritard il declino del settore agricolo: se nel 1789 pi del 55% della forza lavoro era occupata in agricoltura, la proporzione era pi o meno la stessa ancora nel 1866 ed era scesa al 33% nel 1950. Lindustrializzazione si accompagno ad un processo di modernizzazione, una combinazione di cambiamenti nei modi di produzione, nel governo, nellordine istituzionale e sociale, nel corpo delle conoscenze e in comportamenti e valori, che rende una societ auto-sostenuta e che si adatta a cambiamenti ulteriori. La modernizzazione include lurbanizzazioneovvero la concentrazione di popolazione nelle citt che divengono nodi produttivi, amministrativi, intellettuali e culturali

, lattivit industriale, la transizione demograficala riduzione nei tassi di mortalit prima e poi nei tassi di natalit, la burocratizzazione, la scolarizzazione di massa. La Rivoluzione Industriale, particolarmente nei suoi stadi iniziali, tese ad allargare il gap tra i ricchi e i poveri e ad acutizzare la contrapposizione tra datori di lavorii padronie lavoratorila classe operaiaaprendo la strada ad un conflitto di classe di unasprezza mai vista prima. La fabbrica e le condizioni salariali, di lavoro e di vita, generarono unostilit di classe fortissima, in una situazione dove la classe lavoratrice aument a dismisura a fronte di un numero relativamente limitato di datori di lavoro capitalisti. La struttura di classe della societ si polarizz. Lurbanizzazione e la proletarizzazione della societ si accompagnarono a citt e periferie dove le condizioni di vita era miserevoli: ci, unito a salari vicini ai livelli di sussistenza, diede la spinta per la formazione di partiti dei lavoratori, sindacati e movimenti per il miglioramento delle condizioni di lavoro e i diritti civili. La Rivoluzione Industriale gener anche cambiamenti nella struttura del potere e delle istituzioni. Essa produsse una classe di industrialicapitalistiche fin per contrapporsi presto alla classe dei proprietari terrieriredditieri che vivevano di rendita, che erano sempre stati minacciati dalle variabili fortune delle classi mercantili senza mai venire definitivamente eliminati. Gli aristocratici della ciminiera diedero lassalto finale ai redditieri e cos, dopo una serie di rivoluzioni e sommovimenti politici in gran parte dEuropa, finirono per divenire la classe dominante in grado di esprimere le forze di governo, con lalleanza della finanza e del commercio, con o senza lestablishment terriero. In Europa centraleGermania e Austria - Ungheria le rivoluzioni fallirono nel XIX secolo e laristocrazia continu a governare fino allalba del XX secolo, laddove in Europa occidentale la nuova borghesia imprenditoriale capitalistica invece fu in grado di plasmare i nuovi regimi democratici ai suoi interessi. La Rivoluzione port con s un cambiamento nella bilancia del potere tra le classi, che poi porter alla Guerra Mondiale. Essa port ad un cambiamento nella bilancia del potere a livello continentale e mondiale, con laffermarsi degli Stati Uniti dAmerica e dellUnione Sovietica. E port anche alla spinta colonialista ed imperialista, principalmente motivata dalla necessit di garantirsi un sicuro approvvigionamento di materie prime e mercati. Lera capitalistica sar contrassegnata da tutti questi movimenti. Nella prossima lezione, vedremo pi da vicino come lera capitalistica si sviluppata.

Riferimenti e bibliografia
Landes, David (1972), Prometheus Unbound Technological Change and Industrial development in Western Europe from 1750 to the Present, Cambridge University Press. Landes, David (1994), La favola del cavallo morto ovvero la rivoluzione industriale rivisitata, Donzelli Editore, Maddison, Angus (2001), The World Economy: A Millennial Perspective, OECD Development Centre, Paris.

Per saperne di pi: approfondimenti


Landes, David (2000), Prometeo Liberato, Einaudi, Torino, ISBN 8806155016. Maddison, Angus (2001), The World Economy: A Millennial Perspective, from the OECD web-site. Maddison, Angus (2001), Economic Epochs and Their Interpretation. Maddison, Angus (2007), Contours of the World Economy and the Art of Macromeasurement (1500-2001).

B. Crescita e trasformazione delleconomia internazionale nel XX secolo

per questa parte si rimanda al manuale P. Massa G. Bracco A. Guenzi J. A. Davis G. L. Fontana A. Carreras, Dallespansione allo sviluppo. Una storia economica dEuropa, con il coordinamento di Antonio Di Vittorio, Giappichelli, Torino, 2005; in particolare, nella parte quinta,: si vedano i seguenti paragrafi del primo capitolo intitolato Il punto di partenza (pp. 335-367): 1.1. La crescita secolare 1.2. Levoluzione demografica ( 1.3. Il potenziale economico 1.4. Il reddito pro-capite 1.5. Societ con alti livelli di consumo 1.6. Il ruolo propulsore del progresso tecnologico 1.7. Il cambiamento strutturale: la decadenza dellagricoltura 1.8. Il cambiamento strutturale: industrializzazione e deindustrializzazione.

C. Dal colonialismo al neocolonialismo*


1. Il colonialismo
Che cos il colonialismo?
Il concetto di colonialismo spesso associato a quello di imperialismo sta a indicare il dominio esercitato da una nazione su unaltra nazione (o di un popolo su un altro popolo) mediante lo sfruttamento economico, politico e ideologico del differente grado di sviluppo esistente tra le due. Il concetto di imperialismo invece riconducibile a due interpretazioni: una pi ristretta (dimpronta marxista-leninista) che definisce dai primi anni del Novecento il presunto ultimo stadio del capitalismo, sullorlo del suo disfacimento; una pi ampia che comprende tutte le forme di volont espansionistica ed egemonica di una data comunit. Pi concretamente, possiamo anche dire che il termine imperialismo rappresenta lestensione dinamica del concetto in s pi statico di colonialismo. Con imperialismo, in questo senso, possiamo indicare tutte le iniziative che hanno lobiettivo di realizzare un rapporto di dominio coloniale. Allinterno di questo quadro concettuale assolutamente fondamentale la definizione degli elementi di estraneit e differente grado di sviluppo. Per essere colonialista la dominazione deve essere percepita come estranea, perch, ad esempio, sottolinea la differenza linguistica, culturale, razziale, ecc. Tuttavia, non tutte le egemonie o i domini stranieri possono definirsi colonialisti: la discriminante concettuale tra ci che dominio coloniale e ci che non lo , infatti, va anche ricercata nellesistenza o meno della categoria del differente grado di sviluppo. Lutilizzo di questa chiave di lettura permette infatti di differenziare tra imperi coloniali (esemplificati dai tipici rapporti tra Europa e Terzo Mondo) e non coloniali (ad esempio, la dominazione russa sulla DDR nel secondo dopoguerra pu essere attribuita a questa seconda categoria). Il concetto di differente grado di sviluppo va ovviamente utilizzato con grande cautela e consapevolezza, giacch rischia di apparire, da un parte, come unimpostazione sostanzialmente razzista, e dallaltra come una deformazione eurocentrica dellipotetica esistenza di ununica modalit di sviluppo. quindi necessario considerare questo concetto in modo assolutamente descrittivo (necessario per descrivere le condizioni che si stanno analizzando), e rigorosamente avalutativo (cio astenendosi da giudizi di valutazione delle differenze). In altre parole, lutilizzo corretto di questo concetto esclude lesistenza di un sentiero obbligato per lo sviluppo dellumanit (alla cui sommit troneggia lOccidente cristiano), cos come nega che sia pi evoluto e pregevole possedere le armi atomiche invece delle asce o degli archi. Lunica implicazione che deriva dalla definizione di simili differenti gradi di sviluppo che da essi discendano delle precise conseguenze storiche. Il colonialismo trae i propri presupposti logici dai concetti di colonia e colonizzazione (di derivazione romana). Il termine colonizzazione, in senso proprio, identifica semplicemente il processo di fondazione di colonie, mentre con il termine colonia si indica la realizzazione di un nuovo insediamento, che pu essere realizzato sia autonomamente, sia sotto il controllo del territorio dorigine dei coloni. In senso traslato, il termine colonia indica invece qualsiasi possedimento separato dalla madrepatria, specie se si tratta di un possedimento doltremare. Il concetto di colonia ovviamente molto esteso, e si articola in gradi diversi: da quello minimo (insediamento o dominio) a quello massimo (insediamento e dominio, e anche questultimo concetto pu distinguersi in differenti livelli). Nellesperienza storica si possono cos determinare tre modelli fondamentali di colonia, a loro volta soggetti a numerose varianti:

Sintesi basata sui Materiali di lettura a cura di Stefano Magagnoli.

1. Colonie dappoggio: hanno normalmente fini prevalentemente economici (commercio), possono rispondere alla necessit di assicurare una presenza militare, o assolvere a entrambi gli obiettivi. Si possono citare quali esempi le colonie commerciali dei mercanti italiani del Medioevo nelle citt del Levante; la rete mondiale di basi dappoggio create dagli Inglesi; le colonie commerciali create soprattutto dal Portogallo lungo le coste dellOceano Indiano. 2. Colonie dinsediamento: rappresenta il prototipo della colonia. Una quota crescente di persone proveniente da altri territori popola un dato territorio. un concetto antico, biblico, ma che fa normalmente i conti col fatto che al momento della fondazione delle colonie, ad esempio in Asia, Oceania e America ben poche terre erano spopolate, e che nella maggioranza dei casi erano invece abitate da altre popolazioni, meno sviluppate, costrette ad abbandonare le proprie terre, o a essere ridotte in schiavit. Di norma sono popolazioni di cacciatori, raccoglitori e nomadi che vengono scacciati dallarrivo di agricoltori stanziali, che impongono forme pi avanzate di coltivazione della terra, accompagnate dalla sanzione del diritto privato di propriet. Esempi emblematici che hanno comportato lallontanamento o il genocidio delle popolazioni indigene quello inglese in Oceania e nel Nord America. 3. Domini coloniali: in questo caso la colonizzazione non limitata allacquisizione di basi dappoggio commerciali, ma si estende al controllo diretto dellintero paese, senza tuttavia nessun obiettivo di ripopolamento integrale. Tale tipologia che caratterizza tutta la prima fase della colonizzazione ispanica delle Americhe rivela numerose analogie con il modello coloniale dinsediamento: un gruppo numeroso di emigrati si insedia in modo permanente, fondando per la propria esistenza sullassoluto assoggettamento della maggioranza indigena, cui viene lasciata la propria forma originaria di economia. Una delle principali varianti di questo modello di dominio (caratteristica dellIndia britannica) rappresentato dallenorme squilibrio numerico tra i dominatori (pochi, e quasi mai residenti in permanenza) e gli indigeni (che sono la preponderante maggioranza). In ogni caso, lefficace funzionamento di queste tipologie di colonialismo reso possibile unicamente dallesistenza di una solida base di collaborazione da parte di elementi indigeni, che di solito rappresentano llite sociale e culturale. Nel XVI secolo, dopo la scoperta delle Americhe, inizi la grande espansione degli europei nel mondo e la formazione degli imperi coloniali. Furono dapprima gli Spagnoli, richiamati dalle enormi quantit di minerali preziosi del Sud America, a fondare delle basi coloniali. Distrussero i grandi imperi Inca, Maya e Azteco e resero schiave le popolazioni locali impegnandole nellestrazione di oro e argento di cui poi caricavano i loro galeoni diretti in Europa, o utilizzandole come manodopera nelle grandi piantagioni. Olandesi, Portoghesi e Inglesi avevano invece stabilito le loro basi in Asia, ma inizialmente si limitarono a rapporti di tipo commerciale. LAmerica del Nord venne colonizzata prevalentemente da inglesi e francesi che vi si stabilirono coltivando le terre e sfruttando le miniere. DallAfrica arrivavano invece gli schiavi: le navi negriere approdavano sulle coste africane e caricavano migliaia e migliaia di persone, vendute come schiavi nelle grandi piantagioni americane. Nel corso dellOttocento e nei primi anni del Novecento gli Stati europei si erano divisi il mondo: Inghilterra, Francia, Olanda, Spagna, Portogallo e in minor misura Belgio, Italia e Germania avevano occupato militarmente gran parte di quello che oggi noi chiamiamo Terzo Mondo. Erano spinti da ambizioni di potenza, da una certa pressione demografica interna, ma soprattutto dalla volont di sfruttare le risorse economiche delle colonie (minerali, prodotti agricoli, schiavi) e di trovare uno sbocco alla sovrapproduzione manifatturiera creatasi nel frattempo in Europa. Tutti i paesi che subirono la colonizzazione furono profondamente condizionati nel loro sviluppo proprio perch la crescita economica rispondeva solo ai bisogni dei colonizzatori. Vennero create piantagioni specializzate in prodotti come il caff, il cacao e il the, che erano richiesti in Europa, mentre per le colture di sussistenza delle popolazioni locali vennero adibiti piccoli appezzamenti poco produttivi. Lartigianato locale venne sottoposto alla dura concorrenza dei prodotti delle industrie europee e nel giro di poco tempo and scomparendo. Poco fu fatto per alleviare le pessime condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione, che anzi spesso peggiorarono: in alcuni casi, come nellAmerica del Sud e del Nord, gran parte della popolazione fu sterminata militarmente, o mor a causa dei maltrattamenti e di malattie infettive come il morbillo e il vaiolo contro cui non aveva anticorpi. Gli imperi coloniali incominciarono a sgretolarsi solo negli anni Venti del XX secolo, ma gli ultimi atti di indipendenza risalgono a un periodo ancora pi recente, che va dagli anni Cinquan-

ta ad oggi. Attualmente le colonie sono quasi tutte scomparse, ma in molti di questi Paesi permane una forte dipendenza economica aggravata spesso dalle prepotenze della nuova classe dirigente locale. Divenuti indipendenti si sono infatti trovati di fronte al compito di promuovere il proprio sviluppo economico e, non avendo a disposizione capitali e personale tecnico specializzato, sono stati costretti a chiedere aiuto al mondo sviluppato, originando una nuova subordinazione economica, il cosiddetto neocolonialismo.

Il colonialismo antico
La colonizzazione, cio la fondazione di colonie su territori diversi e, spesso, lontani dalla madrepatria, un fenomeno che risale ai Fenici e ai Greci, che in gruppi numerosi si spostavano dalle terre dorigine e andavano a vivere nei territori vicini e, successivamente, nelle regioni del Mediterraneo occidentale. Questo primo tipo di colonizzazione, determinato soprattutto da carestie, lotte politiche o ragioni di espansione commerciale, per il rifornimento di materie prime di cui la madrepatria era carente, prevedeva la fondazione di insediamenti stabili nei quali i cittadini che immigravano trasferivano il loro modo di vita, la loro civilt, che si fondevano con quella delle popolazioni locali, dando origine a centri che sarebbero diventati fiorenti citt. Diverse sono invece le forme del colonialismo romano, che prevalentemente politicomilitare, pi che economico o demografico. Lespansione, attuata attraverso annessioni o sottomissioni, determinata dallesigenza di controllo dei confini, dellacquisizione di terre da distribuire ai veterani e, solo in periodo imperiale, per motivazioni economiche e di ripopolamento dei territori conquistati, rimasti spopolati per il fenomeno dellinurbamento. Gi dal III secolo a.C., con le guerre puniche, Roma sottomette popolazioni non italiche, fondando via via un impero che, al suo massimo fulgore, si espande dalla penisola iberica al Reno, dal Marocco al Mar Nero.

Il colonialismo in et moderna (secoli XIV-XVIII): la scoperta e la conquista


Lespansione coloniale di cui, dopo la Spagna e il Portogallo, sono protagoniste lOlanda, lInghilterra e la Francia destinata ad acquistare importanza decisiva nella storia. Dopo le scoperte, le conquiste e lapertura di nuove rotte marittime, lattivit mercantile e finanziaria europea si svolge infatti in uno spazio geografico assai pi vasto e pu usare, sulla base dellassoggettamento politico ed economico delle regioni produttrici, nuove e immense risorse. Il colonialismo quindi il fattore fondamentale della creazione di un nuovo sistema mondiale di scambi e di rapporti economici dominato dagli Stati europei e da forti gruppi di mercanti e operatori finanziari. Le sedi dei traffici, le citt, attraversano una nuova fase di sviluppo, sostenuta anche dalla crescita contemporanea delle istituzioni pubbliche e delle strutture culturali. La formazione dellimpero spagnolo in America la vicenda pi clamorosa ed esemplare di tutto il colonialismo della prima et moderna. Gli aspetti pi sorprendenti sono senza dubbio la rapidit con cui la conquista realizzata e lesiguit di mezzi e di uomini impiegati. Linsediamento dei primi coloni ha inizio con il secondo viaggio compiuto da Colombo nel 1493, lanno successivo a quello della scoperta dellAmerica. Circa 1.200 uomini iniziano la costruzione di fattorie agricole, danno avvio a ricerche minerarie e avviano la costruzione della prima citt (Santo Domingo, 1496-1497) nellarea caraibica interessata dalle prime fase della conquista. Privi di regolari contatti con la Spagna, i coloni affrontano nel primo periodo in modo autonomo i problemi dellinsediamento. Nel 1502, con la spedizione di Nicols de Ovando, viene istituita una vera e propria rappresentanza del governo spagnolo. Il problema fondamentale rappresentato dal bisogno di manodopera per sfruttare le risorse agricole e minerarie locali. Lo stesso Colombo introduce il sistema delle encomiendas, in base al quale uno o pi villaggi indigeni (encomiendas) vengono assegnati a ogni colono (encomendero) che autorizzato a riscuotere tributi dalla popolazione sotto forma di prodotti agricoli e manifatturieri o di lavoro coatto non retribuito. La popolazione indigena, gi esigua, si riduce rapidamente per le violenze cui sottoposta, per le malattie, le fughe e lo sfruttamento spietato: gi nel 1510 essa quasi completamente scomparsa. La mancanza di manodopera ostacola gravemente lutilizzazione delle risorse americane, proprio quando esse si rivelano

corrispondenti alle attese dei colonizzatori. Si cerca di fronteggiare questo inconveniente con la tratta degli schiavi neri che ha inizio nel 1503 per poi intensificarsi sino a diventare uno dei pi importanti settori del traffico sullAtlantico, contribuendo a mutare la struttura razziale della popolazione di alcune zone latino-americane (oggi, ad esempio, la popolazione di Haiti costituita per il 90 per cento da neri). Lesigenza di uomini, oltre che di terre da sfruttare, spiega lindirizzo che prendono le ulteriori conquiste, in un continente che offre spazi vuoti immensi ai pochi coloni emigrati dallEuropa. Mentre in atto la colonizzazione delle isole del Mar dei Caraibi, comincia la penetrazione nellinterno del continente. Una spedizione di modeste dimensioni (600 uomini e 11 navi) muove verso le coste messicane nel 1519, guidata da Hernn Corts. questa limpresa che pone la prima solida base dellimpero spagnolo nel Nuovo Continente. Sbarcato nei pressi dellattuale Vera Cruz, Corts si trova di fronte a un compito assai difficile. La numerosa popolazione azteca abitante il vasto territorio del Messico non disorganizzata e dispersa come le trib incontrate nelle isole dai primi coloni. Gli aztechi hanno unorganizzazione statale, che fa capo alla citt di Tenochtitlan, e un esercito regolare, condotto dal sovrano Montezuma. Corts punta direttamente verso la capitale dello Stato. Durante la marcia dalla costa verso linterno egli pu rendersi conto del malcontento esistente nei villaggi contro i signori aztechi e contro lamministrazione pubblica e riesce a sfruttarlo a proprio vantaggio, giungendo sino a stringere alleanze con importanti forze ribelli. Linsediamento di Corts nella capitale dapprima relativamente pacifico; impressionati dalle armi da fuoco e dai cavalli spagnoli cose del tutto sconosciute gli Aztechi non oppongono resistenza. Ma quando gli spagnoli cominciano a distruggere i templi e imporre tributi molto onerosi, la popolazione si ribella. Montezuma, sino a questo momento tollerante verso gli stranieri, viene ucciso dagli insorti, e Corts costretto a rifugiarsi nel territorio alleato di Tlaxcala. Di qui le sue truppe, rafforzate da un contingente di soldati venuto da Cuba, muovono poco dopo contro la capitale e, dopo un lungo assedio, la conquistano e la distruggono. Finisce cos limpero azteco, caduto nelle mani di un pugno di conquistadores animati da una grande sete di ricchezza e da uno straordinario spirito di avventura. La riorganizzazione politica ed economica viene avviata dallo stesso Corts, che distribuisce agli uomini del suo seguito i villaggi con la forma dellencomienda, spodestando lantica aristocrazia terriera locale. Contemporaneamente, la conquista si sviluppa verso il sud. La notizia dellesistenza di un altro popoloso impero che si estende in una regione comprendente gli attuali territori dellEcuador, del Per e una parte del Cile muove un altro gruppo di conquistadores capeggiati da Francisco Pizarro, un colono gi possessore di unencomienda nella zona di Panam. Lorganizzazione sociale degli Inca basata sulla propriet comune della terra; essi hanno un fiorente artigianato, specializzato in modo particolare nella fabbricazione di oggetti doro. Come gli Aztechi, non conoscono il cavallo n luso della ruota. Le scarse capacit militari di queste popolazioni rendono facile limpresa di Pizarro, partito con meno di 200 uomini e soli 27 cavalli. Egli per sa approfittare di una crisi dinastica che sta lacerando limpero degli Inca, e riesce a fare prigioniero il sovrano. Nel saccheggio dellantica capitale Cuzco, i conquistadores realizzano un bottino immenso, aumentato dalloro che il sovrano consegna sperando di riuscire a riconquistare la libert. Pizarro fonda nel 1535 una nuova capitale in un luogo diverso, vicino alla costa, lattuale Lima. I problemi pi difficili li incontra tuttavia nellamministrazione dei nuovi territori. A parte le rivolte degli indigeni e le difficolt di stabilire rapporti con essi, Pizarro si trova coinvolto in una serie di lotte feroci tra i conquistadores, provocate anche dal suo stesso comportamento, scarsamente leale e privo di dirittura morale. Egli infatti non potr godere a lungo dei frutti delle sue imprese, poich sar ucciso nel 1541. In questo modo si costituito il corpo fondamentale dellimpero ispano-americano, un territorio immenso comprendente gli Stati degli Aztechi e degli Inca, ai quali si aggiungono via via nuovi territori (Messico meridionale, Guatemala, Honduras), strappati alle popolazioni Maya. In tutta la vicenda della conquista e nel successivo svolgimento dei rapporti tra la Spagna e le colonie, la presenza di missionari cattolici ha un ruolo importante. La distruzione, da parte dei conquistadores, dellantica organizzazione religiosa e spirituale, lascia nelle popolazioni indigene un vuoto spirituale e psicologico, che i missionari riescono almeno in parte a colmare. In questo modo, seppure in condizioni molto difficili (la loro opera violentemente contraddetta dallo

sfruttamento e dal saccheggio operato dai coloni), essi stabiliscono un legame robusto tra conquistatori e popolazione autoctona. Lazione della corona ha invece diverse motivazioni rispetto a quella ecclesiastica. Col suo tentativo di limitare il potere dei conquistadores nelle colonie, il sovrano spagnolo mira soprattutto a impedire che i nuovi territori si sottraggano alla sua autorit. Viene cos creato un apparato politico-amministrativo che, poco a poco, sostituisce ai conquistadores un gruppo di funzionari fedeli, stipendiati dallo Stato. Il potere affidato a governatori e successivamente, quando i territori coloniali raggiungono estensioni vaste, a vicer. In alcune colonie (Santo Domingo, Messico e Panam) sono creati centri di amministrazione giudiziaria e civile (audiencias) sul modello di quelli esistenti nella madrepatria. Questorganizzazione politico-amministrativa si diffonde poi in tutte le colonie. In Spagna, nel Consiglio di Castiglia (organismo collegiale di governo che tratta gli affari generali della corona) viene costituito un comitato permanente per le Indie, in seguito trasformato in Consiglio autonomo, con la funzione di Corte suprema e di ministero per gli affari coloniali. Si conclude cos lepoca in cui i conquistadores hanno concentrato nelle loro mani tutto il potere (politico, economico, militare) senza alcun controllo. La maggior parte di essi sono privati della loro autorit, e rimangono semplici encomenderos. Alcuni non accettano facilmente loperazione e danno vita a episodi di rivolta che ricordano, sebbene su un piano diverso, le tendenze anarchiche della feudalit europea. Meno efficace invece lazione della monarchia per impedire che, attraverso il sistema della encomienda, si formi nelle colonie una nuova grande feudalit. I tentativi di negare lereditariet delle encomiendas e di limitare il potere degli encomenderos non hanno successo. Da allora si viene dunque formando nellAmerica Latina una struttura di tipo feudale, caratterizzata dalla concentrazione della ricchezza e della terra, da fortissimi squilibri sociali, da una divisione profonda tra i detentori della ricchezza e la massa dei lavoratori. Caratteri diversi, rispetto a quella spagnola, ha lespansione coloniale portoghese, che non mira alla conquista di vasti domini territoriali ma alla creazione di scali, porti e piazzeforti specialmente in Africa e in India. Vasco de Gama crea una base permanente a Calcutta nel 1502; subito dopo Albuquerque organizza scali portoghesi sulla costa araba e nel Golfo Persico. Goa, nel territorio indiano, conquistata nel 1510 e diviene il pi importante centro commerciale del Portogallo in Oriente. I successivi insediamenti nei punti strategici del traffico nellOceano Indiano danno ai Portoghesi la possibilit di monopolizzare il commercio marittimo con lOriente. Essi penetrano in Malesia e da l si spingono sino in Cina, dove ottengono di creare un insediamento a Macao, allentrata della baia di Canton (1530). In Africa si installano gi nel corso del 400 e possono perci diventare i principali protagonisti della tratta degli schiavi quando aumenta la loro richiesta nel mercato americano. La fragilit dellimpero portoghese deriva dalla sua stessa struttura: esso infatti costituito da scali commerciali senza trasferimenti di popolazione e senza una permanente attrezzatura difensiva locale. Per questi motivi le postazioni portoghesi in Asia saranno successivamente scalzate con relativa facilit da Spagnoli e Olandesi. Un carattere pi duraturo ha invece il dominio portoghese in Brasile (raggiunto nel 1500 dal navigatore Pedro Alvarez Cabral). Limmensa regione, popolata da trib primitive, ha allinizio interesse commerciale quasi esclusivamente per il legname da tintura, il brasil, da cui prende nome il paese. La necessit di difendere il territorio da Francesi e Spagnoli spinge poi il sovrano portoghese nel 1530-1540 a estendere loccupazione del Brasile, che rimane per a lungo limitata ad alcune zone della fascia costiera. Il territorio diviso nel 1533 in dodici circoscrizioni ripartite tra proprietari che avrebbero dovuto colonizzarle. In seguito si sviluppano le piantagioni di canna da zucchero, nelle quali la manodopera costituita in gran parte da schiavi importati dallAfrica.

Prime ripercussioni dellespansione coloniale


Una parte cospicua della ricchezza prodotta nelle colonie americane viene trasferita nella madrepatria attraverso gli scambi commerciali, dei quali la Spagna si riserva il monopolio, e soprattutto attraverso il prelievo dei prodotti minerari. Oltre le miniere delle Antille e del Messico, il centro pi importante di produzione dellargento diventano le miniere peruviane di Potos, scoperte nel 1545. Lo sfruttamento avviene attraverso il sistema del lavoro forzato degli indios, gi praticato nellorganizzazione economica degli Inca. Per sovrintendere allintenso traffico tra la madrepatria e le colonie viene istituita a Siviglia sin dal 1503 la Casa de Contratacin,

unistituzione che ha il compito di riscuotere i dazi sul commercio coloniale (che passa obbligatoriamente per il porto di Siviglia) e riceve per conto della corona i metalli preziosi delle miniere americane. A loro volta, le colonie costituiscono un mercato di esportazione per i prodotti europei. Esse abbisognano di armi, tessuti, utensili vari, vino, olio e schiavi: prodotti che la Spagna in grado di fornire solo in parte. Le richieste coloniali sono quindi soddisfatte in parte attraverso il contrabbando, esercitato dapprima dai Portoghesi e successivamente da Francesi, Inglesi e Olandesi. Laspetto di gran lunga pi importante del traffico col Nuovo Mondo limportazione in Spagna di uningente quantit di metalli preziosi. Per la monarchia spagnola impegnata in diversi teatri di guerra e tesa ad affermare la propria egemonia politico-militare sullEuropa questo apporto finanziario ha un valore assai elevato. Essa preleva infatti una tassa del 20 per cento sui metalli importati, la cui quantit molto elevata. Negli anni successivi, peraltro, limportazione aumenta notevolmente sino a toccare la punta massima di circa 35 milioni di pesos nellultimo decennio del secolo. Pi a fondo, tuttavia, operano altri fattori: il commercio internazionale non soltanto amplia il suo orizzonte, ma cambia la sua stessa natura. Ai prodotti di lusso, le tradizionali spezie, che hanno costituito la base principale del commercio intercontinentale dellet medievale, si affiancano prodotti coloniali meno preziosi ma di pi largo consumo (tabacco, zucchero, cacao, ecc.). Nascono perci nuove e assai pi numerose possibilit di arricchimento e quindi anche di trasformazione delle strutture sociali; la concorrenza tra le nazioni si fa pi intensa; in Europa, infine, accanto ai conflitti tradizionali, si cominciano a profilare nuovi contrasti provocati dallespansione coloniale. In sintesi, nella prima et moderna prevale un colonialismo mercantile, pi interessato agli scambi commerciali che al vero dominio politico. Fa eccezione la colonizzazione Spagnola in America Latina. Gli Spagnoli conquistano quasi tutta lAmerica del Sud, istituendo dei viceregni e distruggendo le civilt Maya, Inca e Atzeca; attraverso diversi sistemi, tendono ad assimilare e sottomettere le popolazioni locali, ricorrendo allimportazione dallAfrica di schiavi neri per farli lavorare nelle piantagioni. Nel XV sec. Spagna e Portogallo finanziano viaggi di esplorazione in Africa e nelle Indie. Il Portogallo, se si fa eccezione per il Brasile, pratica un colonialismo commerciale costituito in tutto da una dozzina di basi mercantili fortificate dislocate in Africa e in Asia. Gli Olandesi si sostituiscono gradualmente ai Portoghesi, la Compagnia delle Indie Orientali inizia a controllare anche la produzione dei centri, non limitandosi pi al semplice commercio. Nei secoli XVII-XVIII lInghilterra inizia a utilizzare gli Stati Uniti, prima, e lAustralia, poi, anche come colonie di popolamento.

Dalla lotta per la supremazia coloniale alla formazione dellimpero britannico in Oriente
Alla met del Seicento, lOlanda gode in Europa di un indiscusso predominio economico, fondato sulla supremazia della propria flotta commerciale e sul ruolo centrale di Amsterdam nella finanza internazionale. In questepoca la flotta olandese conta ben diecimila navi, la cui stazza complessiva superiore di dieci volte a quella inglese e di venti volte a quella spagnola; le due grandi compagnie delle Indie detengono il monopolio dei commerci delle spezie asiatiche, dei metalli preziosi, del legname e del cotone americano. Amsterdam, inoltre, il centro finanziario pi importante del tempo; l possibile chiedere denaro a prestito per le iniziative pi audaci e reinvestire i propri capitali. Al commercio internazionale e alle attivit finanziarie si unisce poi lo sviluppo dellagricoltura dovuto alle opere di ingegneria idraulica e di bonifica e alla sperimentazione di nuove tecniche di coltivazione. Sin dalla met del Seicento, per, si fa sentire la concorrenza dellInghilterra, indirizzata decisamente verso una politica di sviluppo economico e di espansione sui mari ai danni dellOlanda. Nel 1651 viene emanato lAtto di navigazione, che riserva alle navi inglesi il commercio con le colonie dellAmerica settentrionale e proibisce laccesso ai porti britannici alle navi straniere che non provengano dai paesi produttori dei beni commerciati. Cos facendo si pongono le basi per legemonia marittima inglese, a danno del principio della libert di commercio. Ben presto il conflitto commerciale anglo-olandese si trasforma in scontro militare. Le tre guerre del 1652-54,

1665-67 e 1672-74 si concludono con la vittoria dellInghilterra, che conquista anche la base americana di Nuova Amsterdam, presto ribattezzata New York. Nella prima met del Settecento, la Francia rappresenta per lInghilterra una rivale temibile, capace di farle concorrenza in tutto il mondo. un grande paese, con una popolazione doppia rispetto allInghilterra, in grado di approntare grandi eserciti, con uneconomia pi arretrata, ma dotata di notevoli potenzialit. I traffici francesi interessano tutti i paesi europei, soprattutto larea tedesca, dove i prodotti coloniali sono distribuiti dal porto di Amburgo, e quella mediterranea, attraverso il porto di Marsiglia. Nei Caraibi, i francesi contrastano gli inglesi nella produzione del caff, del tabacco e soprattutto dello zucchero, che esportano in tutta Europa e persino nelle colonie inglesi del Nord America. Queste sono circondate dai domini del re di Francia, il Canada, lIllinois e la ricca Lousiana, che minacciano di soffocare lespansione dei coloni inglesi. I porti francesi della costa atlantica, Bordeaux, Nantes e Le Havre, si sviluppano molto rapidamente grazie al commercio oceanico sino a fare concorrenza a Londra, Bristol e Liverpool. Nel settore asiatico, la concorrenza tra inglesi e francesi particolarmente accanita in India, mentre, sul commercio del t con la Cina, lInghilterra mantiene saldamente il monopolio sino al 1750. Negli anni Quaranta, durante la guerra di secessione austriaca, Francia e Inghilterra si affrontano in Europa e nelle colonie, ma senza rilevanti conseguenze. Molto pi importanti sono invece gli esiti della guerra dei Sette anni (1756-1763), durante la quale Francia e Austria, tradizionali avversarie nelle guerre dei Sei-Settecento, si schierano assieme alla Russia contro la Prussia, alleatasi precedentemente con lInghilterra. Dopo una prima fase in cui inglesi e francesi si fronteggiano sul continente, lInghilterra decide una condotta di guerra a tutela degli interessi commerciali degli inglesi. Il confronto si sposta cos dallEuropa alle colonie. In India, il governatore francese ha concepito gi prima del 1756 il grandioso piano di creare un impero finanziariamente indipendente dalla madrepatria assicurandosi il controllo della regione di Madras, ma la superiorit navale inglese ha sempre frustrato le sue ambizioni. Allinizio della guerra dei Sette anni riprendono le ostilit franco-inglesi, che hanno come esito la conquista per mano inglese di tutte le piazzeforti precedentemente tenute dai francesi. Nello scontro in Nord America la Francia oppone maggiore resistenza, grazie anche allalleanza con le pi bellicose trib indiane; gli inglesi si giovano per di una schiacciante superiorit numerica e di una maggiore forza navale. Questi due fattori risultano perci decisivi e assicurano la vittoria agli inglesi anche in Nord America. Il trattato di Parigi del 1763, che sancisce la fine della guerra, lascia immutato il quadro geopolitico europeo, ma rivoluziona lassetto delle colonie a vantaggio dellInghilterra: la Francia perde tutti i territori nordamericani e parte delle Antille, mentre in India riottiene alcuni scali occupati dagli inglesi, che ne proibiscono per la fortificazione. Di fatto, dopo la conquista del Bengala del 1765, lInghilterra resta lunico arbitro europeo del subcontinente indiano. Legemonia inglese sullIndia porta allo sviluppo di una rete commerciale destinata a rafforzarsi sempre pi negli anni successivi. LIndia diviene cos la via maestra per la penetrazione economica e politica degli europei in Estremo Oriente. Lo scontro coloniale con lInghilterra cos definitivamente perso per la Francia e a nulla vale lappoggio fornito successivamente ai coloni americani ribelli durante la rivoluzione americana. Sconfitta dallInghilterra, dissestata finanziariamente dalle spese di guerra e con un sistema politico refrattario a qualsiasi riforma, la Francia sarebbe sprofondata dopo alcuni anni nella rivoluzione. LInghilterra, al contrario, si impone come massima potenza coloniale, ruolo che avrebbe mantenuto per circa due secoli, nonostante che la rivoluzione americana la priver di l a poco delle colonie americane settentrionali. Sino alla met del Settecento la penetrazione occidentale in Asia quasi esclusivamente di tipo economico: in genere le potenze europee si accontentano di assumere il controllo dei traffici e dei commerci, creando avamposti commerciali e militari in punti chiave delle rotte marittime o impadronendosi di porti e citt di particolare rilevanza economica. Le uniche eccezioni di rilievo sono rappresentate dalle Filippine, cadute sin dalla seconda met del XVI secolo sotto la dominazione spagnola, e dai possedimenti olandesi di Ceylon, Sumatra, Giava e Borneo.

Nella seconda met del XVIII secolo gli Stati europei, e in particolare lInghilterra, iniziano ad assumere direttamente lamministrazione degli Stati asiatici costituendo un vero e proprio impero coloniale. La guerra dei Sette anni rappresenta un momento fondamentale nella storia dellespansione europea in Asia: la sconfitta della Francia lascia di fatto mano libera allInghilterra che, grazie anche alla crisi della Spagna e alla diminuita presenza dei mercanti portoghesi e olandesi, riesce nel corso di un secolo a creare un vasto impero coloniale. Oggetto delle mire inglesi soprattutto il subcontinente indiano, che alla fine del Settecento suddiviso tra limpero Moghul, una dinastia turca di religione islamica, e gli Stati dei Maratha, una confederazione di cinque regni induisti dellIndia centro-settentrionale. Gli inglesi sanno approfittare dei conflitti che oppongono i Moghul alle popolazioni induiste e gi durante la guerra dei Sette anni riescono a limitare la presenza francese in India e ad assumere il controllo della ricca regione del Bengala, imponendo un nababbo di loro gradimento. Nei decenni seguenti lopposizione alla penetrazione britannica si polarizza attorno agli Stati dei Maratha che sono defnitivamente sconfitti solo dopo tre conflitti, lultimo dei quali, terminato nel 1818, si conclude con lannessione di tali territori ai possedimenti coloniali britannici. La conquista delle nuove colonie non intrapresa direttamente dalla corona inglese, ma viene affidata, sotto il controllo del Parlamento, a una compagnia privata la East India Company che sui possedimenti indiani ha pieni poteri amministrativi e militari. Il colonialismo inglese ha pesanti ripercussioni sulla societ indiana: sino a questo momento, malgrado il rigido controllo britannico, il saldo commerciale tra India e Inghilterra nettamente a favore della prima. Mentre le esportazioni inglesi in India sono pressoch nulle, dai porti indiani partono alla volta dellEuropa navi cariche di spezie, t, porcellane e cotonate. A partire dagli anni Venti dellOttocento la piena affermazione della rivoluzione industriale rende per la prima volta competitivi i prodotti tessili europei rispetto a quelli indiani. Grazie anche a un sistema di tariffe doganali che ostacola lesportazione delle cotonate indiane nel Regno Unito e che lascia invece indifesa lIndia di fronte alla penetrazione dei prodotti inglesi, nel giro di pochi anni la produzione artigiana locale di prodotti tessili viene praticamente azzerata. Leconomia indiana cos costretta a orientarsi verso lesportazione di prodotti non lavorati come il t o il cotone grezzo che sarebbe poi stato reimportato dallInghilterra sotto forma di prodotto finito. Nei primi decenni dellOttocento gli inglesi consolidano la propria presenza in Asia ponendo un protettorato sul Nepal (1816), fondando la citt portuale di Singapore (1819) e annettendo la bassa Birmania (1826) e il Punjab (1849). Alcune di queste acquisizioni avvengono in maniera quasi casuale, profittando delle lotte interne a questo o quel paese. In genere, per, a orientare le scelte politiche dellInghilterra la volont di creare attorno allIndia degli Stati cuscinetto e di controllare le rotte commerciali che collegano la madrepatria con le colonie asiatiche.

Il tramonto dellimpero coloniale spagnolo


Allinizio dellOttocento lAmerica Latina divisa tra possedimenti portoghesi limitati al solo ma immenso Brasile e spagnoli, che si estendono su quasi tutta la parte centrale e meridionale del continente, su Cuba, Portorico e Messico. Indipendente invece, dal 1804, la repubblica di Haiti. Questi vasti territori sono abitati da circa diciannove milioni di abitanti. A causa dei flussi migratori dalla Spagna e della tratta degli schiavi di colore, la popolazione dellAmerica Latina diventata multietnica: nelle colonie spagnole a fianco di circa 200.000 emigrati iberici, si contano tre milioni di creoli (bianchi nati da genitori spagnoli residenti nelle colonie), cinque milioni tra mulatti (nati da matrimoni tra bianchi e neri) e meticci (nati dallincontro tra neri e indi), oltre sette milioni di indios nativi e circa un milione di neri. Nellenorme Brasile vivono appena tre milioni di uomini, la met dei quali schiavi di colore. Alle differenze etniche corrispondono profonde disparit sociali. Il possesso della maggior parte delle terre concentrato nelle mani della minoranza creola, gelosamente arroccata a difesa dei propri privilegi, e che, nel nome di una supposta superiorit razziale, rifiuta ogni legame con meticci e mulatti. Specie nella seconda met del Settecento, tra i creoli, si afferma unlite economica e culturale che ha esteso i propri interessi al settore commerciale e che cerca un riscontro al proprio ruolo economico in un parallelo aumento di peso politico. I mulatti e i meticci lavorano nei settori del commercio o dellartigianato, mentre la popolazione di colore e gli indios sono im-

piegati, in condizioni di schiavit o semischiavit, nei grandi latifondi appartenenti al demanio regio, agli enti ecclesiastici o ai possidenti creoli. Nel 1808 loccupazione della Spagna da parte delle truppe napoleoniche costituisce la spinta decisiva verso lo sfaldamento dellimpero coloniale iberico. I possidenti creoli assumono di fatto il potere creando delle giunte provvisorie ed esautorando i rappresentanti della corona. Il primo paese a proclamare la propria indipendenza dalla Spagna il Venezuela dove, il 5 luglio 1811, il generale Miranda proclama la nascita della Repubblica. Questo esempio presto seguito in altre aree sottoposte al dominio spagnolo: nella parte meridionale del paese, corrispondente allattuale Argentina e al Cile, le forze dei rivoltosi sono organizzate da un ex ufficiale spagnolo Jos de San Martn; nelle province settentrionali, corrispondenti al Venezuela e alla Colombia, la guida dellesercito assunta da Simn Bolvar. In questa prima fase della lotta di liberazione i paesi latino-americani possono contare sullappoggio degli Stati Uniti e dallInghilterra che intravedono nello sfaldamento dellimpero coloniale spagnolo loccasione per accrescere la propria penetrazione economica nel Sud America. Nato a Caracas nel 1783, Simn Bolvar trascorre molti anni in Europa, dove stato mandato dalla famiglia a studiare e da dove ritorna definitivamente nel 1810 per schierarsi a fianco dei rivoluzionari venezuelani. Grazie ad alcune vittorie militari, Bolvar riesce a liberare Caracas ma la controffensiva spagnola lo costringe a riparare nei Caraibi. Di l egli diffonde il suo programma che prevede la nascita di una confederazione, una repubblica degli Stati Uniti del Sud, che rappresenti per lAmerica Latina ci che gli Stati Uniti rappresentano per lAmerica settentrionale. Nel 1816 riprende la lotta contro gli spagnoli radicalizzando le proprie posizioni politiche e riuscendo cos ad accrescere la base sociale della rivolta: la messa al bando della schiavit guadagna a Bolvar lappoggio degli indios e degli schiavi liberati, alcune riforme sociali gli valgono il sostegno dei piccoli contadini e degli strati inferiori della societ. Grazie anche allaiuto dellInghilterra e allo scoppio dei moti di Spagna che impediscono alla corona di inviare nuove truppe in America Latina, egli riesce a sconfiggere pi volte lesercito spagnolo, a liberare i territori che corrispondono agli attuali Venezuela, Ecuador e Colombia e a dare vita alla Repubblica federale della Grande Colombia. Negli anni successivi anche Per, Bolivia (cos chiamata in onore di Bolvar) e Uruguay ottengono lindipendenza. Contemporaneamente, nella parte meridionale del continente, i ribelli cileni e argentini, guidati rispettivamente da Bernard OHiggins e San Martn, riescono ad avere la meglio sulle truppe spagnole. Un percorso diverso invece quello seguito dal Messico. Qui, a differenza che nel resto del Sud America, i primi a iniziare la guerra di liberazione dagli spagnoli sono le popolazioni indios e meticce delle campagne che danno alla rivolta una chiara connotazione sociale chiedendo la redistribuzione delle terre. Il pericolo spinge i creoli e gli spagnoli ad accantonare le divergenze reciproche e a far fronte comune. Una volta stroncata la sollevazione dei contadini, contrasti tra creoli e corona portano allo scoppio di una ribellione di orientamento conservatore guidata dal generale Augustn de Itrbide, che, nel 1822, si fa proclamare imperatore del Messico. Il tentativo autocratico ha tuttavia vita breve: nel 1823 Itrbide destituito da un colpo di Stato, cui fa seguito la proclamazione di una repubblica federale modellata sullesempio costituzionale nordamericano. Un percorso ben diverso da quello del resto dellAmerica Latina quello seguito dal Brasile. Nel 1807, in seguito allinvasione del Portogallo da parte delle truppe napoleoniche, la casata regnante dei Braganza trova rifugio nella colonia sudamericana. Nel 1821 lo scoppio, in patria, dei moti liberali costringe re Giovanni VI a fare ritorno in Europa. In Brasile resto il figlio Pietro che, nel 1822 e in sostanziale accordo con il padre, proclama lindipendenza del paese facendosi nel contempo incoronare imperatore. Nel 1826 a Panam convocato un congresso degli Stati latino-americani che, nelle intenzioni di Simn Bolvar, avrebbe dovuto portare alla nascita di una repubblica federale comprendente, se non tutta, almeno gran parte dellAmerica Latina. Il congresso si chiude con un sostanziale fallimento: i particolarismi e le tradizioni locali non solo impediscono la costituzione dello Stato vagheggiato da Bolvar ma, anzi, portano allo sfaldamento della Grande Colombia e delle altre repubbliche federali nate nei mesi successivi allindipendenza. Bolvar sogna uno Stato democratico nel quale i contadini godano di condizioni di vita migliori di quelle nelle quali hanno vissuto sino a quel momento, ma il suo progetto naufraga. Allinterno delllite creola protagonista della lotta contro la Spagna permane, infatti, una forte

divisione tra i ceti urbani, impiegati nei commerci, e i grandi proprietari terrieri, contrari a ogni riforma sociale. A risultare vincenti sono gli interessi dei proprietari, sicch il passaggio allindipendenza non comporta nessun miglioramento per le popolazioni delle campagne. Anzi, sebbene la schiavit sia stata formalmente abolita nella maggior parte degli Stati, di fatto i contadini continuano a vivere in condizioni di semilibert. Le mancate riforme sociali o la loro esigua portata rendono fragili le istituzioni democratiche che, sul modello americano, quasi tutti i nuovi Stati si sono date al momento dellindipendenza. Di contro cresce limportanza dei generali che, protagonisti della guerra di liberazione, nel corso della lotta contro la Spagna hanno spesso aggiunto ai poteri militari anche quelli civili. Contrari alla democrazia, essi si arrogano il diritto di intervenire direttamente nella vita pubblica al fine di dirimere le contese politiche. Questo atteggiamento quindi alle origini del clima di instabilit politica, accompagnato da guerre civili e dittature militari, che caratterizza, in parte ancora oggi, la storia dellAmerica Latina.

Il nuovo colonialismo imperialista e la spartizione dellAfrica


Diretta conseguenza della crescita delleconomia internazionale e dello sviluppo industriale lemergere, a partire dagli anni Ottanta dellOttocento, di forti tensioni politiche tra le principali potenze europee. Lo sviluppo industriale aumenta a dismisura la loro forza economia, facendo crescere la competizione per lallargamento delle sfere di influenza, e trasforma i caratteri del colonialismo europeo. Da un lato, i territori colonizzati, che sino a ora hanno assicurato la fornitura di materie prime e assorbito la popolazione in sovrannumero, diventano importanti anche come mercati; dallaltro, una crescente presenza militare e politica considerata una condizione necessaria per la tutela degli investimenti. Lespansione coloniale si trasforma cos in uno dei fattori decisivi delle relazioni internazionali, e parallelamente si intensificano le sue ripercussioni sulla politica interna dei paesi colonizzatori. Sullesempio della Gran Bretagna, che dal 1877 ha rafforzato i legami politici e istituzionali con i suoi domini doltremare, tutte le potenze europee puntano a dare un assetto imperiale alle loro relazioni con i paesi extraeuropei nei quali hanno in precedenza conquistato possedimenti o acquisito un forte potere di influenza a scopi economici o strategico-commerciali. Tale tendenza comporta ovunque lesaltazione dei sentimenti di potenza nazionale e di superiorit della razza bianca; in numerosi casi la conquista coloniale viene giustificata come missione civilizzatrice. Il carattere decisivo che distingue let dellimperialismo (1880-1914) dal periodo precedente non va dunque individuato semplicemente nellinedita estensione geografica raggiunta dallespansione coloniale, che pure giunge a interessare quasi la met della superficie terrestre, ma piuttosto nelle nuove forme assunte dal dominio coloniale stesso. Da questo punto di vista, la caratteristica principale dellimperialismo la tendenza da parte delle potenze europee a pianificare la spartizione del mondo e ad accordarsi a tavolino sulla creazione di sfere di influenza, nel tentativo di risolvere sulla base di negoziati diplomatici gli immancabili conflitti derivanti dal sovrapporsi delle rispettive direttrici di espansione coloniale. La manifestazione pi eclatante delle tendenze imperialistiche interessa lAfrica. Ancora intorno al 1840 la conoscenza del continente africano da parte degli europei assai imprecisa, e del tutto ignota risulta la maggior parte delle zone interne. Negli anni tra il 1850 e il 1870 una serie di spedizioni geografiche guidate da esploratori come David Livingstone ed Henry Stanley hanno consentito di individuare le sorgenti del Nilo e il percorso dei fiumi Congo, Niger e Zambesi. Frizioni sulla conquista delle regioni africane cominciano a emergere nel 1877, quando il governo britannico della provincia del Capo, nellAfrica del Sud, decide di annettere lo Stato minerario e diamantifero del Transvaal, governato da coloni boeri (di origine olandese); il conflitto anglo-boero sancisce, nel 1881, la sconfitta inglese e il riconoscimento dellautonomia del Transvaal, che diviene repubblica Sudafricana. Tensioni ancora pi aspre si sviluppano nel 1882 tra Gran Bretagna e Francia in seguito alloccupazione dellEgitto da parte di truppe del governo di Londra; la creazione di un protettorato militare britannico sul paese, giustificato dalla necessit di sedare la rivolta della popolazione egiziana contro le pesanti interferenze straniere, pone fine al controllo congiunto anglo-francese sulle finanze egiziane e soprattutto sul canale di Suez. La penetrazione francese dellAlgeria (conquistata nel 1830), in Tunisia e dal Senegal verso il Niger, lingresso di altre potenze nella competizione coloniale (il Belgio afferma il proprio dominio sul bacino del Congo scontrandosi col Por-

togallo, mentre la Germania acquisisce il controllo del Togo e del Cameroun, e poi del Tanganica in una zona che ha gi visto affermarsi il dominio britannico su Kenya e Uganda) moltiplica le aree di frizione. Per evitare un conflitto, il governo tedesco si propone come arbitro delle rivalit internazionali, convocando nel 1884-85 la conferenza di Berlino. Questa si conclude con un accordo che fissa le regole per la spartizione dellAfrica, e sancisce la libert di navigazione sui fiumi Congo e Niger. La conferenza pone in tal modo fine agli effetti destabilizzanti che lespansione coloniale in Africa minaccia di avere sulle relazioni internazionali. Non mancano in seguito episodi di tensione, soprattutto nel Sudan, sconvolto nel 1885 dalla violenta insurrezione antibritannica e antiegiziana della setta musulmana dei dervisci. Il paese lentamente riconquistato dagli inglesi, che finiscono per per scontrarsi con le ambizioni di penetrazione francese nella regione dellAlto Nilo. Anche dopo la conferenza di Berlino rimangono per sul tappeto nodi irrisolti, che corrispondono a una situazione molto fluida in cui la concorrenza sul fronte coloniale da parte delle maggiori potenze europee appare quanto mai dinamica. quella frenetica corsa dei diversi paesi alla colonizzazione militare ed economica del mondo, durata sino a tutto il primo decennio del Novecento, ricordata dagli storici come et dellimperialismo. Con tale definizione si evidenziano due rilevanti fenomeni: da una parte lo spostamento delle tensioni e dei conflitti dinteressi europei fuori dellEuropa, con il parallelo tentativo di ristabilire gli equilibri di potenza attraverso la spartizione del mondo e la competizione coloniale tra le grandi nazioni industriali; dallaltra la trasformazione del concetto stesso di colonialismo, che da sistema di egemonia prettamente commerciale passa a indicare il controllo politico diretto sulle colonie e lo sfruttamento massiccio delle loro risorse. Le regioni sottoposte al controllo europeo diventano colonie, oppure protettorati, con locali governi-fantoccio sostenuti dal paese dominante, la madrepatria. La ricerca di nuovi mercati non pi limitata solamente a imprese e compagnie, ma diventa una politica nazionale sostenuta fortemente dagli Stati centrali, finanziata con fondi pubblici e gestita da appositi apparati amministrativi. Ovunque, gli europei investono somme crescenti di denaro, ricavano quantit sempre maggiori di materie prime, impongono i loro modelli culturali e politico-istituzionali, guidando la politica economica e la vita interna dei paesi dominati. Gli obiettivi economico-produttivi dellimperialismo europeo si confondono peraltro molto spesso con laffermazione di una presunta missione civilizzatrice dei bianchi, che avrebbe dovuto portare la civilt alle popolazioni indigene, ritenute ben lontane dal raggiungerla. In sintesi, in una prima fase dellet contemporanea (1874-1914) levoluzione del colonialismo ottocentesco sfocia nellimperialismo. La fase imperialista volta a garantire prestigio internazionale, a formare delle aree di mercato privilegiate per raggiungere lautarchia e per esportare capitali e conseguente spostamento della concorrenza tra gli Stati dal piano economico a quello politico-militare nelle zone extraeuropee. Sviluppo dellideologia di una missione civilizzatrice e protettrice nei confronti di civilt barbare, i cui componenti sono simili a fanciulli. Limperialismo si realizza in tre forme: attraverso il controllo diretto (colonie), attraverso il controllo indiretto, attraverso cio organi locali (protettorati) e attraverso lo sfruttamento economico (come la colonizzazione informale dellAmerica Latina da parte degli Stati Uniti). Laffermarsi del modello di produzione capitalistico, in Europa e negli USA, basato sulla propriet privata dei mezzi di produzione, sul sistema salariato e sul primato del valore di scambio, accentua e impone la logica del profitto: lintero mondo diviene un unico mercato manipolato dagli imprenditori- proprietari di fabbriche, terre e denaro, che possono realizzare enormi ricchezze a condizione che i costi di produzione rimangano bassi, si amplino i mercati di vendita e le aree di investimento dei capitali accumulati. Vendendo a prezzi elevati e comprando a prezzi bassi, come sar consentito dai trattati imposti a molti paesi, monopolizzando i commerci e le risorse dei paesi colonizzati, o appropriandosi delle loro ricchezze col sistema delle imposte, Gran Bretagna, Francia e Olanda, potranno finanziare il proprio sviluppo e il proprio bilancio statale, costituendosi, nello stesso tempo, come polo delleconomia mondiale, mentre la periferia sembra sempre pi condannata alla dipendenza totale e allimpoverimento senza rimedio. Per tutto lOttocento i domini coloniali si ampliano e si rafforzano: linteresse ormai spostato definitivamente sulla conquista territoriale e gli stessi Stati si preoccupano di acquisire, anche con

le armi, nuove aree del mercato europeo. Questa nuova fase del colonialismo, caratterizzata da uno stretto intreccio di fattori economici e militari, pi propriamente detto imperialismo. LAfrica larea che ne fa maggiormente le spese. La Conferenza di Berlino (1884-1885), si svolse sotto lideologia che assegnava solo alle potenze europee e ai popoli bianchi doltreoceano il diritto alla sovranit: le altre aree erano considerate territori vuoti liberamente occupabili e spartibili. La divisione del continente africano fu fatta sulla base di una terribile violenza geografica e ideologica, seguendo cio le coordinate geografiche o il corso dei fiumi e lorografia, ma non tenendo minimamente conto delle caratteristiche storiche, culturali, antropologiche, economiche dei popoli che vi abitavano. Intere formazioni nazionali vennero cos smembrate, mentre altre, da sempre rivali, vennero costrette a convivere, scatenando contrasti sanguinosi che stanno alla radice dei conflitti del nostro secolo. LAfrica divent uno spazio tedesco, francese inglese e belga. LAsia, nondimeno, vide in quegli anni il completamento dellespansione coloniale gi avviata in precedenza dalle potenze europee. LInghilterra occup la Birmania (1886). La Francia complet loccupazione dellIndocina (1893). Ma sulla questione della Cina Il Celeste Impero che si concentrarono gli appetiti delle potenze imperialiste. Limmensa popolazione costituiva un ricco mercato e lImpero era ormai in decadimento, incapace di mantenere il controllo sugli ampi territori. La Manciuria venne minacciata dalla Russia. La Corea venne strappata con la guerra del 1894-95 dal Giappone. Nel 1900, infine, la rivolta dei Boxer (movimento nazionalistico per la cacciata degli stranieri) offr loccasione alle potenze europee per allestire una spedizione punitiva internazionale che intervenne militarmente in Cina. Sconfitti i Boxer, la Cina fu costretta a una politica di servilismo a porte aperte, garantendo la pi ampia penetrazione commerciale allOccidente. La competizione economica innescatasi tra le potenze imperialistiche europee, divenne ben presto competizione politico-militare, divenendo ben presto una delle cause predominanti della prima guerra mondiale. In un secondo periodo dellet contemporanea (1914-1945) il colonialismo conosce una fase di trasformazione del sistema coloniale. Tramonta lideologia della missione civilizzatrice e protettrice della colonizzazione precedente e si profila un nuovo modello di penetrazione economica senza responsabilit politiche n coinvolgimento militare, una forma di controllo indiretto che garantisce i vantaggi della dominazione coloniale abbattendone al contempo i costi: il neocolonialismo. Vengono seguite tre diverse politiche coloniali: i paesi di antica industrializzazione (Regno Unito, Francia, Olanda) cercano di mantenere le colonie come mercato per le proprie merci e fonte di materie prime; quelli di pi recente industrializzazione (Germania, Italia, Giappone) perseguono una politica di espansione; gli Stati Uniti sviluppano invece una politica di dominio neocoloniale. I due imperi coloniali che escono vincitori dalla Prima Guerra Mondiale (Francia e Gran Bretagna) confermano il loro ruolo in sede di regolazione postbellica. Permane forte il preconcetto che la loro potenza dipenda in larga parte dai territori coloniali. Daltra parte proprio dagli anni Venti prendono corpo i movimenti che si battono per lindipendenza. Guidati da persone formate nelle universit degli Stati coloniali i movimenti si ispirano sia ai principi democratici delle tradizione europea sia alla necessit di recuperare unidentit nazionale annullata dal processo di colonizzazione (Ghandi, Burghiba, Ho Chi-minh). Dagli anni Trenta i movimenti sono particolarmente attivi in India e in Tunisia. Subito alla fine della guerra il processo di indipendenza parte approfittando della debolezza degli Stati coloniali e delle opportunit suggerite dalla contrapposizione Est-Ovest. Alcuni leader assumono liniziativa, come Sukarno, che proclama lindipendenza dellIndonesia nellagosto del 1945 e come Ho Chi-minh che il mese dopo proclama quella del Vietnam. Daltra parte nei paesi coloniali (Olanda, Belgio e soprattutto Francia) lopinione pubblica percepisce come troppo costoso il mantenimento del sistema. Sulla scena internazionale, poi, le grandi potenze favoriscono il processo di indipendenza. Soprattutto gli USA che fin dalla fine della prima Guerra mondiale raccomandavano che le rivendicazioni di indipendenza fossero accolte. Nella Carta atlantica (1942) USA e GB si impegnano a promuovere in pieno lautodeterminazione dei popoli. Dal 1947 la linea USA si fa pi cauta a causa della radicalizzazione dei rapporti con URSS; spesso devono prendere il posto dei vecchi paesi coloniali per impedire lespansione dellinfluenza comunista (Taiwan, Corea e Vietnam del Sud). Anche lURSS come pi tardi lONU si esprime contro il colonialismo.

2. Decolonizzazione e neocolonialismo
Il processo di decolonizzazione
Dopo la fine della seconda guerra mondiale prende il via una delle pi importanti e profonde trasformazioni che abbiano caratterizzato la storia mondiale del XX secolo: il tramonto definitivo degli imperi coloniali e la conquista dellindipendenza da parte dei popoli sino ad allora soggetti alle potenze europee. Le origini di questa trasformazione epocale risalgono agli anni tra le due guerre, ma solo dopo il secondo conflitto mondiale che la decolonizzazione entra nella sua fase pi importante. allora che i molti popoli sottoposti a dominio coloniale conquistano, come ha scritto leconomista francese Alfred Sauvy, facolt di parola per la prima volta nella storia. Il processo di decolonizzazione si realizza in fasi successive, lungo larco del primo trentennio che segue la seconda guerra mondiale, e con modalit sostanzialmente diverse da paese a paese. La crisi del dominio coloniale europeo affonda le sue radici nel rapido peggioramento, negli anni tra le due guerre, della situazione economica dei paesi colonizzati. Le tensioni sociali e politiche che si scatenano in tutti i paesi coloniali, e che danno luogo a movimenti che propugnano lindipendenza nazionale, hanno alla loro origine diverse cause. La colonizzazione, ufficialmente lo sfruttamento per portare progresso e civilizzazione, stata in realt una grande operazione di sfruttamento. Ha distrutto la societ tradizionale, ha modificato unagricoltura pensata per il consumo interno con piantagioni di prodotti destinati allesportazione. I miglioramenti sanitari hanno determinato esplosioni demografiche non compensate da politiche di generale sviluppo economico. Le popolazioni autoctone percepiscono ormai che il proprio impoverimento frutto dello sfruttamento metropolitano, una consapevolezza che sviluppa un sentimento di ostilit che si traduce in vere e proprie forme di resistenza. La distruzione della comunit locale produce la nascita di borghesie locali interessate alla ricchezza e al potere. Impoverimento e imborghesimento trovano un humus ideale nel processo di urbanizzazione violento e rapido. Calcutta, che non esisteva ancora nel Settecento, oggi una delle pi grandi citt del mondo. Allinterno della borghesia locale si fa avanti un ceto intellettuale che combina ideologie occidentali (nazionalismo, marxismo) ai valori tradizionali. Sono questi intellettuali che si pongono a capo dei movimenti di liberazione pronti se necessario ad aprire guerre rivoluzionarie. I movimenti nazionalisti sono gi presenti tra le due guerre e il loro sviluppo si collega alle vicende europee. Basti ricordare come lo smembramento, nel 1918, dellimpero austro-ungarico compiuto in nome del diritto di autodeterminazione dei popoli dellEuropa centrale. Cos, i colonizzati possono disporre di argomentazioni appartenenti ai colonizzatori. Talora il nazionalismo sostiene labolizione del colonialismo. Dopo il 1945 il prestigio sovietico, il diffondersi del comunismo e lalleanza tra USA e potenze coloniali portano allavvicinamento tra comunisti e nazionalisti. Cos la Francia in Indocina si scontra con Ho Chi-minh, alleato della Cina e dellURSS. In regime di guerra fredda il comunismo internazionale ha interesse a sostenere movimenti che destabilizzano i paesi europei occidentali. Daltra parte non tutti i movimenti nazionalisti sono comunisti, mentre nei paesi islamici si collegano a movimenti religiosi. La crisi degli anni Trenta aveva messo in serie difficolt le colonie, a causa del crollo dei prezzi delle materie prime, sulla cui esportazione si basava prevalentemente, in certi casi in maniera esclusiva, leconomia di queste regioni. In molti paesi limportazione di beni manufatti aveva impedito lo sviluppo di industrie locali e la maggior parte dei terreni coltivabili era utilizzata per produrre beni da esportare in Occidente. Ci contribuisce a spiegare perch nei nuovi nazionalismi laspirazione allindipendenza politica si accompagna alla lotta contro lo sfruttamento economico. Un altro elemento di crisi rappresentato da una crescita demografica estremamente rapida: la popolazione dei paesi in via di sviluppo cresce infatti di oltre un miliardo dal 1940 al 1970, passando dal 64 al 72 per cento dellintera popolazione mondiale. Causa di questa vera e propria esplosione demografica essenzialmente il drastico abbassamento del tasso di mortalit, reso possibile dallintroduzione di nuovi ritrovati medici (soprattutto gli antibiotici) in societ in cui si continua a registrare un elevato tasso di natalit. Al rifiuto della dipendenza economica si accompagna anche il rifiuto dellassoggettamento culturale. In molti paesi le religioni tradizionali come linduismo (nel caso dellIndia) e soprattutto lislamismo svolgono un ruolo importante nella diffusione dei movimenti di emancipazio-

ne e come espressione del rifiuto di uniformarsi alla cultura occidentale. Sin dagli inizi del secolo, del resto, la religione musulmana era in rapida espansione, aveva conquistato e convertito le popolazioni di vaste regioni dellAfrica e dellAsia, presentandosi come elemento ostile allEuropa e al suo potere coloniale. Allaffermazione dei movimenti di emancipazione contribuisce peraltro anche latteggiamento non colonialista delle due superpotenze, USA e URSS, conseguenza del fatto che queste non avevano possedimenti coloniali. Nel 1941 la Carta Atlantica proclama solennemente il diritto di tutti i popoli a scegliere autonomamente la propria forma di governo, e gli americani incoraggiano con decisione, in Asia e in Africa, lo sviluppo di movimenti nazionalistici. A sua volta lURSS considera da sempre la liberazione dei popoli oppressi come uno dei principali obiettivi della lotta contro limperialismo, e nel dopoguerra appoggia, in sede ONU, le rivendicazioni delle colonie. Linsieme di questi fattori politici, economici e socio-culturali allorigine della nascita e della diffusione, in numerosi paesi, di agguerriti movimenti politici che contestano il dominio coloniale e rivendicano una piena indipendenza. La guida di questi movimenti viene assunta ovunque da minoranze di formazione europea, che riconoscono la validit di valori occidentali come il principio di autodeterminazione dei popoli, il progresso economico e il benessere sociale. A questa impostazione di matrice razionalistica, si affiancano in certi casi elementi religiosi. Lobiettivo principale dei nazionalismi in primo luogo la modernizzazione delleconomia e la formazione di strutture politiche ispirate al modello occidentale e per questo motivo, al di l delle differenti inclinazioni (dal nazionalismo autoritario a un generico democraticismo, sino allaperto richiamo alle idee del movimento comunista internazionale), tutti condividono lidea che spetti allo Stato promuovere lo sviluppo economico e tecnico, estromettendo il capitale straniero e sostituendosi ad esso con la nazionalizzazione delle risorse, creando unindustria nazionale e diversificando la produzione agricola. Dal canto loro le potenze coloniali prendono coscienza dellimpossibilit di sopportare ancora a lungo i gravami militari e finanziari della dominazione coloniale diretta e dellirresistibile ascesa delle idee favorevoli al processo di indipendenza. Tuttavia, le grandi potenze liberali hanno pi che mai bisogno di conservare i propri possedimenti, soprattutto dopo che il loro spazio economico si bruscamente ridotto in seguito alla semi-chiusura di un mercato di quasi un miliardo di persone (URSS, Cina e democrazie popolari europee). Questa necessit impone dunque la trasformazione della vecchia politica coloniale di controllo diretto, cercando di fare leva sui movimenti nazionalisti conservatori. Questa nuova politica consiste nel riconoscere lindipendenza o lautonomia dei governi, conservando per basi militari e vantaggi economici, e mantenendo sul posto missioni di consiglieri e di tecnici che, di fatto, continuano a governare indirettamente il paese. Rinunciando al rapporto coloniale si fa ricorso a metodi di espansione meno evidenti, come lesportazione di capitali e investimenti nei settori-chiave delleconomia. E siccome i territori coloniali che passano allautonomia o allindipendenza mancano effettivamente di tecnici e di capitali che possono essere forniti solo dalle vecchie potenze la contropartita di questi aiuti consiste spesso in concessioni che permettono di continuare a esercitare un certo controllo sulla vita economica del paese: privilegi fiscali o doganali, libert di esportare capitali e profitti, controllo degli investimenti, ecc. La vita politica agitata e spesso tumultuosa dei paesi giovani dove ancora tutto da organizzare, linesperienza del nuovo personale dirigente e la mancanza di maturit politica delle masse hanno dato vita a vari partiti politici che, con le loro lotte appassionate, offrono numerose occasioni di intervenire nella vita interna dei nuovi Stati, sino al punto di provocarvi questo il caso soprattutto dellAmerica Latina opportune quanto pilotate rivoluzioni. Lestrema miseria delle popolazioni, ignoranti, denutrite, esposte a tutte le malattie e soprattutto prive di qualsiasi speranza, rappresenta un terreno molto favorevole per la diffusione della propaganda comunista. Per allontanare questo pericolo e per aiutare questi territori a restaurare uneconomia stabile, ma anche per assicurarsi quei mercati di cui gli USA hanno bisogno per procurarsi materie prime destinate alla loro industria in espansione, nel 1949 viene varato dal presidente Truman il primo piano di aiuto ai paesi in via di sviluppo. Non si tratta di una novit asso-

luta per la politica estera statunitense, ma con Truman diviene un intervento di portata universale, che comporta una pianificazione e un impegno anche economico di entit rilevante. Per fronteggiare i problemi del sottosviluppo asiatico, nel 1947 lONU crea una Commissione economica per lAsia e lEstremo Oriente, una sorta di ministero economico della regione, il cui compito lo studio delle condizioni delleconomia e lelaborazione di raccomandazioni per migliorare la situazione alimentare attraverso lo sviluppo della produzione agricola e una lenta e progressiva industrializzazione. Le pressioni dirette e indirette cui sono sottoposti i paesi in via di sviluppo spiegano come essi accolgano le offerte di aiuto con molte riserve, sospettando lesistenza di moventi politici e militari a lunga scadenza, rischi di interferenze nei loro affari interni, e tentativi per impedire loro di porsi il pi rapidamente possibile sulla via dellindustrializzazione. Le popolazioni dominate, mano a mano che prendono coscienza delle possibilit di reale indipendenza, oppongono rifiuti sempre pi decisi ad essere rappresentati dalle grandi potenze bianche: questo risveglio della piena coscienza della propria forza e delle proprie possibilit lelemento dominante e pi importante della Conferenza afro-asiatica riunitasi a Bandung nel 1955, la prima conferenza internazionale dei popoli di colore nella storia dellumanit. A tale conferenza alla quale non stata invitata nessuna potenza bianca prendono parte i rappresentanti di 29 paesi asiatici e africani, abitati da pi della met della popolazione della terra, che sino a dieci anni prima erano colonie o semicolonie dipendenti da Stati europei. Le risoluzioni della Conferenza di Bandung tappa importantissima sulla strada della decolonizzazione tracciano una ferma condanna del colonialismo, del razzismo e della politica di segregazione e discriminazione tra le razze, che hanno gli stessi doveri e gli stessi bisogni, soprattutto per ci che riguarda la sicurezza economica e sociale. Coerentemente con questultima considerazione la Conferenza enuncia i principi di una politica dindipendenza economica che dovr mettere fine allegemonia del mondo bianco: cooperazione economica tra le potenze asiatiche e africane per scambio di assistenza tecnica e finanziaria, incoraggiamento alla creazione di industrie nazionali, trasformazione sul posto delle materie prime sinora acquistate ai prezzi stabiliti dal mercato occidentale, creazione di banche indigene, ecc. Sul terreno della politica internazionale, la Conferenza proclam che gli Stati asiatici e africani rifiutavano di essere trascinati in una guerra per luna o laltra delle due grandi potenze mondiali: posizione neutralista importante in quella congiuntura politica, ma pi importante ancora perch contiene laffermazione di una politica ormai indipendente da parte di quelle nazioni asiatiche e africane che sino a questo momento hanno sempre visto le potenze bianche disporre liberamente dei loro destini. In sintesi, il processo di decolonizzazione si verifica per i seguenti fattori: la partecipazione dei paesi colonizzati alla seconda guerra mondiale, che si configura come lotta contro la tirannide e per i diritti dei popoli oppressi; la divisione del mondo in due blocchi egemonizzati da due potenze non coloniali: USA e URSS; la perdita della legittimit morale e della necessit economica di mantenere dei possedimenti coloniali; i costi per adottare delle riforme nelle colonie e per reprimere i movimenti indipendentisti. linferiorit numerica delle popolazioni occidentali. le lite locali educate nelle nazioni occidentali colonizzatrici ai valori di libert, uguaglianza, democrazia, ecc.

Levoluzione generale dei nuovi Stati


Pressappoco dovunque, in Asia come in Africa, i nuovi governi seguono unevoluzione identica, e il ritmo della trasformazione pi o meno rapido a seconda delle circostanze o della forza delle tradizioni. In linea generale, anche quando la rottura con la potenza dominante avviene con la violenza, il nuovo Stato si costituisce allinterno delle frontiere talvolta artificiali degli antichi territori coloniali, di cui conserva la struttura, i quadri amministrativi e le istituzioni giudiziarie esistenti.

Daltra parte, il personale che prende in mano il governo e lamministrazione composto nella quasi totalit di antichi funzionari e di professionisti di formazione europea, spesso cristianizzati, e che hanno dunque adottato le concezioni e le maniere di vita della civilt europea. Tuttavia, diviene evidente assai presto che le istituzioni liberali di stampo occidentale, elaborate lentamente nel XIX secolo in funzione di strutture sociali ed economiche radicalmente differenti da quelle dellAsia e dellAfrica, sono del tutto inadeguate per affrontare i problemi dei nuovi Stati. Le lite che prendono in mano le sorti dei nuovi Stati, formata da intellettuali occidentalizzati, si trovano di fronte a enormi masse rurali che stato facile sollevare contro la dominazione straniera, ma che non di meno vivono ancora nel cuore di un universo materiale e morale che nulla ha in comune con uno Stato moderno. Queste popolazioni sono del tutto estranee alla nozione di coesione nazionale, sono ancora rette da un sistema comunitario di relazioni quasi feudali paragonabile a quello dellEuropa medievale basate su una relazione da padrone a cliente. Esse praticano una stretta solidariet nel quadro limitato del villaggio, del clan o delletnia, ma ignorano tutto ci che non appartiene al gruppo. Si tratta di societ nientaffatto integrate, composte di somme di comunit locali, e mancano quindi di quel minimo di omogeneit necessario per formare una nazione. Linsufficienza del personale aggrava peraltro lo stato dinadeguatezza delle istituzioni. Tranne che in qualche possedimento britannico, dove lautorit coloniale aveva incominciato a reclutare nella popolazione autoctona anche i funzionari di livello superiore, i funzionari coloniali sono sostituiti quasi immediatamente da un personale spesso incompetente e incapace di assumersi responsabilit. Rapidamente si forma una classe di politici professionisti, che tentano di trarre da questo ruolo quanti pi vantaggi possibile, e che praticano massicciamente lo spoil system. Questo moltiplicarsi di funzionari si pu spiegare col prestigio della funzione pubblica ereditato dallera coloniale, ma anche col fatto che i settori principali dellattivit economica sono spesso ancora monopolizzati da minoranze straniere. Il funzionariato e la politica sono dunque le sole carriere aperte alle lite dei paesi in via di sviluppo. In breve tempo questi paesi si trovano dotati di un apparato burocratico del tutto spropositato, elemento che genera sprechi scandalosi. Inoltre, questa borghesia amministrativa forma una casta privilegiata e pletorica, una nuova aristocrazia del denaro che distoglie dal circuito produttivo risorse umane e finanziarie considerevoli. Essa percepisce stipendi considerevoli, uguali a quelli degli antichi funzionari coloniali, ai quali si aggiungono le residenze di lusso, i domestici, lautomobile e gli autisti pagati con risorse pubbliche. unlite spesso corrotta, alla ricerca di facili guadagni nelle pieghe della corruttela, che cerca di accaparrarsi le funzioni pi remunerative: la polizia e la dogana, i lavori pubblici e la difesa nazionale. Questinsieme di situazioni portano spesso a respingere come lusso inutile e freno pericoloso le istituzioni democratiche, la libert dellopposizione, il pluralismo dei partiti. Per organizzare le masse e dare loro il senso di identit nazionale, per mobilitare e ottenere da loro la disciplina e i sacrifici necessari per la realizzazione dei piani di lavoro, per disciplinare gli interessi e i conflitti, per trasformare le strutture sociali in modo da agevolare lo sviluppo economico controllando al contempo lordine pubblico, lunica strada che viene praticata quella di una forte e salda autorit. Unautorit sociale e politica che non pu per contare sul reale appoggio delle masse se non coniugandosi a una mistica altrettanto radicata: il nazionalismo asiatico, o, nel caso dellAfrica, la mistica dellafricanit o della negritudine. Miscela nello stesso tempo di credenze del presunto mito dellet delloro precoloniale e di rivendicazioni del diritto a uno sviluppo immediato, di sentimenti di frustrazione e di sfida ai paesi sviluppati, volont di distinguere tra una modernizzazione capace di integrare la tradizione e unoccidentalizzazione vista come nuova forma di alienazione. Sempre pi sovente si profila una nuova categoria di dirigenti nazionalisti: i militari, che si propongono di combattere la corruzione e difendere la nazione contro la disintegrazione. Generalmente antifeudali e ostili allaristocrazia, come nellAmerica Latina e nel Vicino Oriente, si propongono di promuovere lo sviluppo delleconomia, ma la loro indole antidemocratica li porta a essere molto raramente costruttori di qualcosa; la loro ossessione di difendere lordine li porta spesso a frenare ogni occasione di crescita e a disvelare la loro identit conservatrice.

Il problema dellindipendenza economica


Le potenze coloniali rimangono presenti non soltanto nel campo politico e amministrativo, ma soprattutto in quello economico. Da una parte, tutto il sistema dei trasporti, ferrovie, strade, porti, lorientamento delle correnti commerciali organizzate in funzione degli interessi del colonizzatore non possono essere modificati con un semplice tratto di penna. Daltra parte i paesi colonizzati si scontrano con ostacoli considerevoli per lo sviluppo di uneconomia autonoma: penuria di capitale autoctono, deficienza di tecnici competenti e manodopera qualificata. Circostanze che aggiungono nuove difficolt a quelle gi esistenti, e che obbligano i governi dei nuovi Stati a stipulare onerosi accordi finanziari e politici con gli antichi colonizzatori. La divisione internazionale del lavoro (che una parte di eredit del patto coloniale) e la stretta dipendenza dalla congiuntura pongono cos le antiche colonie in una situazione molto sfavorevole: esse sono produttrici di uno o di qualche prodotto grezzo i cui costi sono molto instabili e hanno tendenza al ribasso. Ma per la maggior parte di questi prodotti, sono in concorrenza le une con le altre, dipendono quindi dalle grandi potenze industriali che possono scegliere tra i loro clienti, e sono, nello stesso tempo, i fornitori dei beni strumentali indispensabili. In termini generali (ma il concetto verr ripreso in seguito) si assiste a un progressivo degrado dei termini dello scambio a spese dei paesi esportatori di prodotti agricoli, e importatori di prodotti industriali dei paesi occidentali. Il fatto che questi prodotti di base sono controllati da monopoli e da cartelli internazionali che, come stato affermato, sono autentiche potenze coloniali (la Unilever in Africa, la United Fruit nellAmerica Centrale, la Alucam nel Cameroun, le compagnie petrolifere nel Medio Oriente, ad esempio). Queste grandi unit economiche interterritoriali, il cui centro sempre localizzato in un grande paese industriale, possono possedere importanti sfruttamenti nei paesi ex coloniali, ma non li integrano mai nelleconomia nazionale, subordinano interamente la loro attivit alla propria politica generale senza nessun vincolo con leconomia locale, controllano la produzione, giocano sulla concorrenza dei diversi paesi senza preoccuparsi della loro crescita e del loro interesse, e, quasi mai, reinvestono i profitti sul posto. La necessit di fare appello ai capitali stranieri, come pure la partecipazione a una zona monetaria (le ex colonie francesi, ad esempio, continuano a vendere i propri prodotti anche dopo lindipendenza in larga misura nellarea del franco), contribuiscono a mantenere i vincoli di dipendenza mentre limpianto di aziende straniere limita lefficacia degli sforzi tentati per affrancarsi. Ne consegue perci una situazione di vassallaggio cui solo un processo di industrializzazione potrebbe permettere di sfuggire. Inoltre, alla mancanza di capitali e tecnici, deve aggiungersi la concorrenza delle merci europee o americane, e la ristrettezza del mercato interno conseguenza del frazionamento territoriale, che rende impossibile la messa in opera di una produzione redditizia. A questi elementi di debolezza si aggiungono peraltro la progressione di un settore terziario improduttivo smisurato, un ventaglio dei salari molto aperto (che genera ineguaglianze stridenti), gli esorbitanti costi dellindipendenza che assottigliano enormemente i bilanci nazionali. Questi vincoli con i paesi industrializzati creano quindi rapporti di dipendenza che derivano dallineguaglianza delle strutture economiche tra i diversi paesi. Essi fanno apparire anacronistici gli interventi armati alla maniera di un tempo, allinfuori che nei casi estremi, come quelli che avvengono nel Gabon, nellAfrica Orientale e nel Congo belga, come pure nel Kenya, in Uganda e in Tanzania. Gli investimenti privati sono di norma insufficienti e di mediocre utilit, perch sono preoccupati di ottenere profitti rapidi e immediatamente esportabili. Sono dunque gli investimenti statali quelli che predominano, gravati dai vincoli degli accordi economici bilaterali, che prevedono sempre delle pesanti contropartite. Lo stesso avviene per gli aiuti e prestiti di cui beneficiano i nuovi Stati, costretti a concedere concessioni che permettono di esercitare un certo controllo sulla loro economia: privilegi doganali e fiscali, impegni di effettuare determinati livelli di acquisti nei paesi creditori, rinuncia a effettuare nazionalizzazioni, libert allesportazione di capitali e profitti. Si tratta di quello che stato convenzionalmente definito il colonialismo del dollaro, un comportamento praticato da tutte le potenze industriali. Molto spesso vengono anche imposte condizioni politiche: si tratta nel pi frequente dei casi di impedire a un nuovo Stato di pendolare nel campo avversario ( il caso della gran parte degli aiuti militari e finanziari offerti dagli

USA), di ottenere lappoggio internazionale degli ex paesi coloniali, particolarmente con il loro voto allONU. In quanto alla cooperazione tecnica che si realizza sia con linvio di esperti, di ingegneri, di medici, di professori, sia con la concessione di borse che attirano gli studenti nelle universit straniere, il loro scopo di diffondere la lingua del paese industriale, di diffonderne i prodotti (export follow experts, secondo lespressione inglese), di acquistare un influsso sui quadri autoctoni. Se vero che molti Stati appartenenti allarea dello sviluppo partecipano alle diverse forme di questi aiuto, quelli di cui limportanza maggiore sono evidentemente gli Stati Uniti da una parte, lURSS e la Cina dallaltra. Lammontare degli aiuti americani di gran lunga il pi elevato, ma questo aiuto il meno efficace: disperso tra un gran numero di paesi principalmente in funzione degli interessi strategici della geopolitica, sovente sprecato o destinato a investimenti o acquisti improduttivi, di esclusivo appannaggio delle lite dirigenti, una circostanza che rende ancora pi marcate le ineguaglianze sociali. Laiuto orientale per converso assai meglio coordinato, comporta solo raramente aiuti a fondo perduto, e prevede di norma la concessione di mutui a lungo termine (12 o anche 25 anni) a basso interesse (dal 2 al 3 per cento) e restituibili in valuta o in prodotti locali. In ogni modo, i paesi che hanno raggiunto recentemente lindipendenza preferiscono gli accordi multilaterali a quelli bilaterali. Lallargamento della cerchia dei clienti e dei fornitori consente meglio di sfuggire alle pressioni che la potenza dominante esercita su di essi.

La dissoluzione degli imperi coloniali europei in Asia: il caso dellIndia


Oltre alla Cina, due grandi colonie occidentali in Asia, lIndia britannica e il Vietnam francese, conquistano lindipendenza, sebbene con modalit estremamente diverse. Di fronte allimpossibilit di mantenere con la forza i possedimenti coloniali, latteggiamento della Gran Bretagna fu in generale pi flessibile e pragmatico di quello della Francia. Pur facendo uso in varie occasioni di violente misure di repressione, i governi britannici evitano infatti di impegnarsi in lunghe e costose guerre e finiscono per accettare come fatto inevitabile la conquista dellindipendenza da parte delle colonie, purch esse accettino di negoziare con Londra i modi e i tempi della loro emancipazione e di mantenere i legami politici e soprattutto economici con la ex madrepatria. Viceversa, il processo di emancipazione delle colonie francesi si scontr a Parigi con una concezione molto rigida dellindivisibilit dellimpero e con una difesa strenue della grandeur nazionale, anche quando linstabilit dei governi e le difficolt economiche consiglierebbero un atteggiamento pi conciliatorio. La Francia di conseguenza non capace di evitare alcuni sanguinosi conflitti coloniali (soprattutto in Algeria), dai quali esce solamente grazie allintervento americano o a prezzo di gravissime crisi politiche interne. Simbolo del pragmatico equilibrio tra repressione e liberalismo sono le vicende che portano allindipendenza dellIndia, vero centro nervoso dellimpero coloniale britannico. Paese interessato da una enorme crescita demografica, lIndia annovera anche significative risorse industriali (soprattutto nel settore tessile) che hanno consentito la formazione, nei principali centri urbani, di una moderna classe operaia organizzata in sindacati e di un vasto ceto impiegatizio. Alla principale forza politica del nazionalismo indiano, il Partito del congresso, di orientamento moderato, si aggiunta unala nazionalista radicale e socialista, guidata da Jawaharlal Nehru, che oltre allindipendenza propugnava anche lemancipazione sociale delle classi inferiori. Tuttavia, il massimo ispiratore e vero capo spirituale del nazionalismo indiano Mohandas Karamchand Gandhi, pi noto come Mahatma (Grande anima). La sua dottrina detta satyagraha (abbraccio della verit) si ispirava al tradizionalismo religioso e si basava sul rifiuto della violenza e sulla non-collaborazione con il potere coloniale. Agli scioperi, alle marce di protesta e alle campagne di disobbedienza civile organizzate dal movimento indipendentista (come nel caso del boicottaggio dei prodotti britannici o del rifiuto di pagare le imposte) partecipano milioni di indiani, e il diffondersi della non-collaborazione nella burocrazia e nella polizia mette in seria difficolt il potere coloniale inglese. La politica di Gandhi, favorevole alla conservazione di una societ ordinata in caste, lascia tuttavia insoddisfatte le pi profonde esigenze di rinnovamento sociale, divenendo perci il bersaglio dellopposizione del nazionalismo pi radicale. Egli inoltre fallisce nei suoi tentativi di favorire la cooperazione tra la grande maggioranza degli indiani induisti e la

minoranza musulmana, il cui separatismo invece appoggiato dalla Gran Bretagna con lobiettivo di dividere e indebolire il movimento nazionalista. La Lega musulmana si afferma gradualmente come la forza politica pi rappresentativa nelle province orientali a prevalente religione islamica e radicalizza progressivamente le proprie posizioni autonomiste, mentre gli scontri tra oltranzisti ind e musulmani diventano sempre pi violenti e sanguinosi. Ci rende inevitabile la divisione del paese: quando nel 1947 la Gran Bretagna accetta di riconoscere lindipendenza dellIndia, vengono cos costituiti due Stati autonomi, lIndia (a maggioranza induista) e il Pakistan (a maggioranza musulmana) da cui in seguito (1971) si sarebbe staccato il Bangladesh. Gli effetti della divisione sono per drammatici. Lesodo incrociato di 6 milioni di ind e di 8 milioni di musulmani da un paese allaltro provoca infatti massacri spaventosi, e lo stesso Gandhi cade vittima di un attentato da parte di un fanatico ind, convinto che il Mahatma abbia acconsentito alla spartizione del paese, contro la quale egli, in realt, si oppone sino allultimo. Negli anni successivi i due paesi conoscono evoluzioni profondamente diverse: lIndia, sotto la guida di Nehru, sviluppa unagricoltura e unindustria moderne e istituzioni democratiche sufficientemente solide (nonostante qualche breve parentesi autoritaria), condizioni che garantiscono uno sviluppo robusto che pure non risolve i problemi dellapprovvigionamento alimentare; il Pakistan, al contrario, dopo limprovvisa morte del leader carismatico della Lega musulmana, Jinnah, cade rapidamente sotto il controllo di violente dittature militari. Ancora oggi vecchie tensioni religiose e nuovi conflitti etnici (con la nascita di movimenti estremisti indipendentisti, tra cui quelli delle popolazioni sikh del Punjab e tamil nel sud del Paese) continuano a minacciare la pace sociale dellimmenso subcontinente indiano e la stabilit delle sue istituzioni.

Lindipendenza delle colonie francesi: Indocina e Nord Africa


Lindipendenza del Vietnam conseguita solo dopo una sanguinosa guerra che impegna senza successo le truppe francesi dal 1946 al 1954. In Indocina il regime coloniale francese particolarmente duro e iniquo- tenta inutilmente di piegare militarmente lagguerrito movimento comunista del Viet Mihn (Fronte per lindipendenza del Vietnam), gi protagonista della resistenza contro i giapponesi, che, alle richieste di indipendenza, unisce decise rivendicazioni sociali a favore dei contadini. Iniziato come guerra di liberazione dal dominio coloniale, dopo la vittoria comunista in Cina (1949) lo scontro si trasforma rapidamente, diventando uno degli scenari del conflitto che vede contrapporsi il blocco occidentale e quello socialista. Lesercito Viet Mihn infatti sostenuto, addestrato e rifornito di armi dai cinesi, mentre le truppe francesi godono del massiccio appoggio militare degli Stati Uniti, che sostengono anche la maggior parte dellonere finanziario della guerra. Solo le pesanti sconfitte militari subite dalla Francia per mano dellesercito vietnamita di Ho Chi-mihn inducono il governo di Parigi a trattare la pace. Gli accordi, che si concludono a Ginevra nel 1954, stabiliscono la completa ritirata dei francesi dallIndocina e la sua spartizione in tre Stati: Laos, Cambogia e Vietnam. Per questultimo viene decisa la separazione lungo la linea provvisoria del 17 parallelo, in attesa che elezioni generali consentano lunificazione del paese. In realt, la divisione diviene presto definitiva: a nord si instaura il regime socialista della Repubblica democratica del Vietnam, a sud un regime di ispirazione cattolica e filoamericano, nel quale trovano rifugio oltre un milione di cattolici vietnamiti in fuga dalle regioni settentrionali. La disfatta politico-militare in Vietnam accelera in maniera decisa il tramonto del colonialismo francese in Nord Africa, soprattutto nei protettorati di Tunisia e Marocco, nei quali, a differenza dellAlgeria, non era particolarmente consistente la presenza di coloni europei. Qui i movimenti nazionalisti, gi rafforzatisi negli anni dellanteguerra, traggono ulteriore forza dagli errori e dalle oscillazioni del governo francese che, dopo avere promesso lindipendenza, nel 1953 depone con un maldestro colpo di mano il re del Marocco che richiedeva lindipendenza e tenta inutilmente di reprimere con la forza il movimento nazionalista tunisino, guidato dal partito Destur di Habib Bourguiba. Di fronte alla sollevazione popolare e allintensificarsi della spirale terroristica, nel 1956 il governo di Parigi costretto infine a concedere la piena indipendenza a entrambi i paesi. Sia la Tunisia guidata dal 1957 al 1987 dal presidente Bourguiba che il Marocco retto dal 1961 dal re Hassan II danno vita a sistemi politici autoritari e di fatto monopartici, mantenendo una politica sostanzialmente filo-occidentale.

La rapida diffusione dei movimenti nazionalisti e lestendersi della guerra fredda in Asia convince i governi di India, Pakistan e Indonesia della necessit di creare una pi forte unit politica tra i paesi dellAsia e dellAfrica. A questo scopo viene convocata la Conferenza di Bandung, alla quale partecipano, come s detto, 29 paesi, tra cui anche la Cina e alcuni paesi africani indipendenti (Egitto, Etiopia e Libia). La Conferenza si conclude con la condanna di ogni forma di colonialismo e la proclamazione di una serie di principi-guida, tra i quali, giova ricordarlo, il riconoscimento dellintegrit territoriale, della reciproca non-aggressione, della non-ingerenza nelle questioni interne di altri Stati e dellintensificazione degli scambi economici tra i paesi partecipanti. La Conferenza di Bandung costituisce inoltre il presupposto per la creazione del movimento dei cosiddetti paesi non-allineati, cio di quelli che, dichiarandosi neutrali rispetto allo scontro Est-Ovest, rifiutano la logica dei blocchi e privilegiano obiettivi di disarmo, sicurezza collettiva e autonomia politica. Promosso dalliniziativa comune dellindiano Nehru, dellegiziano Nasser e dello jugoslavo Tito, il movimento dei non-allineati nasce ufficialmente nel 1961 nel corso della Conferenza di Belgrado, ma il suo limite quello di non riuscire mai a presentarsi sulla scena internazionale come una forza unita e unalternativa reale alla politica dei blocchi. Profondamente diverse sono infatti le posizioni di coloro che intendono il non-allineamento come una politica finalizzata ad allentare le tensioni tra Est e Ovest e i sostenitori di un aperto schieramento a fianco dei movimenti di indipendenza contro limperialismo e il neo-colonialismo occidentale. Per di pi, aspri conflitti sia per questioni territoriali (come nel caso delle tensioni tra India e Cina e India e Pakistan), sia in merito alle relazioni con URSS e Cina, causano unulteriore frattura allinterno del movimento.

Le origini della crisi del Medio Oriente e del conflitto arabo-israeliano


La principale conseguenza a livello internazionale della conquista dellindipendenza da parte dei paesi coloniali consiste senza dubbio nella sua carica destabilizzante. Il processo di decolonizzazione in effetti si traduce nella creazione di nuovi focolai di tensione internazionale: India e Pakistan giungono ripetutamente allo scontro militare, mentre la divisione del Vietnam, come gi quella della Corea, destinata a sfociare in una grave crisi regionale dalle conseguenze decisive per lintero Occidente. Analogamente, con la fine del protettorato britannico e francese sulle monarchie arabe del Medio Oriente, la regione diviene unarea di crisi permanente. Laffermazione del nazionalismo arabo costituisce sin dagli anni tra le due guerre una delle manifestazioni pi forti dellaspirazione allindipendenza del mondo colonizzato e la pi diretta minaccia alla tradizionale supremazia europea. Le potenze europee riescono tuttavia a mantenere intatta la propria influenza sino al secondo dopoguerra. La Gran Bretagna, in particolare, che nel 1936 ha dovuto concedere lindipendenza allEgitto, continua a presidiare militarmente il canale di Suez e considera il mantenimento della sua influenza nella regione un obiettivo essenziale per garantire la sicurezza delle comunicazioni con i suoi possedimenti in Estremo Oriente, ma soprattutto per controllare le vie di accesso agli immensi giacimenti petroliferi della regione del Golfo Persico. Nonostante il forte sentimento di unit culturale diffuso tra tutte le popolazioni di cultura araba e di religione islamica, le aspirazioni allemancipazione dalla tutela occidentale sfociano in iniziative spesso disordinate, talora in tumulti sanguinosi, ma dalle scarse conseguenze politiche. Forti tensioni interessano anche i sostenitori delluniversalismo islamico che aspira a riunire tutti i paesi islamici in ununica nazione araba e i numerosi e agguerriti particolarismi locali, spesso incoraggiati dalle potenze coloniali. Il nazionalismo arabo resta quindi per lungo tempo frammentato in diverse fazioni, alimentate dalla rivalit tra le grandi e piccole dinastie feudali dellarea. Esso costituisce quindi un fenomeno facile da reprimere, da circoscrivere e talvolta addirittura da corrompere a opera delle potenze mandatarie. La sola parziale eccezione costituita dallEgitto, indipendente dal 1936 e principale centro culturale del risorgimento arabo. Lambigua politica britannica non riesce a mitigare le tensioni nazionaliste, che finiscono per rendere, sin dagli anni tra le due guerre, la Palestina (vale a dire larea approssimativamente compresa tra il Libano a nord, il fiume Giordano a est e la regione del Sinai a sud uno dei maggiori focolai di guerra del pianeta. Da un lato, infatti, la collaborazione degli inglesi con il sionismo il movimento nazionalista ebraico allindomani della prima guerra mondiale ha portato

alla nascita in Palestina di un Centro nazionale ebraico e alla proliferazione di numerose colonie di immigrati di origine ebraica: i kibbutzim, villaggi che fungono contemporaneamente da comunit sociale, unit produttive agricole e postazioni militari. Dallaltro, i mandatari britannici non hanno smesso di promettere agli arabi di Palestina la formazione di uno Stato indipendente a prevalenza araba. La crescita massiccia dellimmigrazione ebraica in seguito alle persecuzioni antisemite scatenatesi in Europa (la comunit ebraica passa da 85.000 abitanti nel 1920 a circa 450.000 alla vigilia della seconda guerra mondiale, ossia da un decimo a un terzo del totale della popolazione palestinese) e la crescente organizzazione statuale assunta dagli insediamenti ebraici, vengono avvertite perci dagli arabi palestinesi la maggioranza della popolazione come una minaccia (tabella 3). Queste tensioni sono allorigine di periodiche rivolte degli arabi palestinesi, duramente represse dalle truppe britanniche. Nel 1939 gli inglesi, per non perdere lappoggio degli arabi del Vicino Oriente corteggiati, talvolta con successo, dalla Germania nazista con lofferta di aiuti economici e di sostegno politico alla causa nazionalista dapprima propongono la costituzione di due Stati separati, poi, di fronte al netto rifiuto di entrambe le parti, decidono di limitare limmigrazione ebraica (che per continua clandestinamente) e promettono di riconoscere entro dieci anni lindipendenza della Palestina. Di conseguenza durante la seconda guerra mondiale il sionismo assume posizioni violentemente antibritanniche, inasprite ulteriormente dal fatto che alla fine della guerra molti immigrati clandestini, sfuggiti ai lager nazisti, vengono inviati nei campi di prigionia britannici nellisola di Cipro. Nel 1947 le Nazioni Unite, approvano un piano in base al quale il paese avrebbe dovuto essere diviso tra arabi e israeliani. La proposta viene per respinta dai palestinesi e dagli Stati della Lega araba.

La nascita dello Stato dIsraele


Durante il secondo dopoguerra, in Palestina sinasprisce lo scontro tra la comunit ebraica e quella araba, reso ancora pi violento dallemergere al loro interno di agguerrite formazioni terroristiche. Falliti i tentativi di mediazione elaborati da britannici e americani, tocca allONU approvare nel 1947 un piano per la spartizione della Palestina in due Stati indipendenti, uno ebraico (pari al 55 per cento dellintero territorio palestinese) e uno arabo, e listituzione di un protettorato internazionale sulla citt santa di Gerusalemme. Questa soluzione di compromesso viene tuttavia respinta dai principali paesi arabi (Egitto, Transgiordania, Libano, Siria, Iraq) riuniti dal 1945 nella Lega araba, e dagli arabi palestinesi; il 15 maggio 1948 (scadenza del mandato britannico) le truppe inglesi abbandonano il territorio palestinese lasciandolo privo di amministrazione e di difesa. Contemporaneamente il Consiglio nazionale ebraico, il cui presidente Davide Ben Gurion, proclama unilateralmente la nascita dello Stato di Israele (immediatamente riconosciuto da USA e URSS) mentre truppe della Lega araba occupano varie zone della Palestina. Tra il maggio 1948 e il gennaio 1949 si svolge il primo conflitto tra le truppe arabe e lesercito israeliano: la guerra si protrae per diversi mesi, tra scontri, temporanee tregue e tentativi di mediazione dellONU (il cui inviato assassinato da terroristi sionisti) e si conclude con la vittoria israeliana. Dopo larmistizio (firmato nel 1949), il nuovo Stato di Israele controlla quasi l80 per cento del territorio dellex Palestina britannica. Nonostante la sconfitta, lEgitto ottiene il controllo della striscia costiera di Ghaza e la Transgiordania lannessione della Cisgiordania. Per quasi ventanni tale situazione rimane immutata. Lo Stato di Israele nato, secondo unefficace definizione, come una piccola isola in un mare di ostilit diventa una democrazia parlamentare solida ed efficace, con unarticolata vita politica dominata per quasi trentanni dal Partito laburista di orientamento socialista. Nonostante le difficolt di integrazione culturale e religiosa tra immigrati provenienti da realt enormemente diverse e una gerarchia sociale fortemente segnata dal prevalere dei ricchi e colti ebrei europei su quelli giunti dalle regioni medioorientali e dal Nord Africa, poveri e spesso analfabeti, la societ israeliana largamente organizzata secondo principi cooperativistici e comunitari capace di sviluppare un forte spirito di coesione, rafforzato dalla condizione di stato dassedio permanente in cui si svolge la vita del paese. Questa situazione implica non solo il mantenimento di un esercito efficiente, dotato di armi modernissime (negli anni Sessanta Israele verrebbe anche in possesso di armi atomiche), ma anche una crescente militarizzazione di tutti i cittadini.

Nonostante il boicottaggio commerciale organizzato ai suoi danni dagli arabi, il paese conosce uno sviluppo economico eccezionale, grazie anche ai massicci aiuti inviati dal governo degli Stati Uniti, ai fondi versati dalla Germania occidentale come risarcimento per le persecuzioni naziste, e al sostegno finanziario della ricca comunit ebraica internazionale. Tuttavia, occorre ricordare che il miracolo israeliano viene realizzato sulla segregazione di fatto della minoranza araba rimasta in Israele (a met degli anni Cinquanta, su una popolazione di 1.700.000 abitanti, appena il 10 per cento costituito da arabi palestinesi, mentre nel 1945 cerano 1.250.000 arabi e 555.000 ebrei) e sullespulsione di quasi 800.000 arabi palestinesi, costretti dopo la guerra ad abbandonare tutte le loro propriet. I loro agrumeti, oliveti, terreni, case, aziende e negozi in tal modo fanno la fortuna dei cittadini israeliani e dei nuovi immigrati affluiti dopo la guerra. Viceversa, solo a una piccola parte dei profughi palestinesi viene consentito di integrarsi nei paesi arabi nei quali si rifugiano. In massima parte, infatti, essi sono costretti a vivere nei campi profughi allestiti a Ghaza, in Giordania, in Siria e nel Libano meridionale, in condizioni di estrema miseria e deprivazione sociale. Tutto ci rende inevitabile laccumularsi, soprattutto nelle generazioni pi giovani, di sentimenti di frustrazione, di odio e di rivincita, che vanno ad alimentare le fila di movimenti di guerriglia, come quello dei fedayin, talvolta strumentalizzati dai governi arabi della regione a vantaggio dei propri interessi. Le incursioni di guerriglieri palestinesi allinterno del territorio israeliano, e le violente rappresaglie dellesercito di Tel Aviv, spesso rivolte contro i villaggi palestinesi sorti ai confini del paese, diventano da allora in poi il tragico sviluppo del conflitto tra i due popoli.

La modernizzazione dellEgitto e la crisi del canale di Suez


La sconfitta araba nella guerra del 1948 contro Israele provoca il crollo della debole monarchia egiziana, minata dalla corruzione e politicamente sempre pi sottomessa alla Gran Bretagna. La radicalizzazione del movimento nazionalista e la ripresa di sommosse e tumulti popolari, diretti a ottenere lespulsione del contingente britannico dal canale di Suez, sfociano nel luglio 1952 in un colpo di Stato effettuato da un gruppo di militari guidato da Gamal Abdel Nasser, che un anno pi tardi proclama la repubblica e instaura un regime autoritario. Il nuovo regime nazionalista vara una riforma agraria, seppure parziale, e in politica estera mantiene una posizione anticolonialista e si avvicina allURSS, con la quale avvia un programma di collaborazione militare. Per la sua politica decisionista e il suo grande carisma, Nasser diviene rapidamente un simbolo del nazionalismo arabo; la sua immagine visibile in tutto lo scacchiere mediorientale. Il fatto per di essere considerato un eroe era anche ragione di maggiori pericoli e responsabilit, per le aspettative suscitate nel mondo arabo. Abbracciando la causa del neutralismo nella guerra fredda, Nasser attira inoltre su di s lostilit degli Stati Uniti. Nel contempo Israele comincia a guardare allEgitto come al principale rivale esterno. In politica interna i suoi obiettivi principali sono la modernizzazione di un paese sino a questo momento male amministrato e la rapida crescita della produzione agricola per fare fronte a una esplosione demografica senza precedenti. Significativo a questo proposito il progetto della diga di Assuan, con il quale il nuovo regime nasseriano intende sbarrare parzialmente il corso del Nilo per creare un enorme bacino idrico in grado di produrre lenergia elettrica necessaria al paese e di irrigare, rendendoli coltivabili, pi di 800.000 ettari di deserto. Dopo che gli USA rifiutano un prestito attraverso la Banca Mondiale, Nasser proclama la nazionalizzazione del canale di Suez (26 luglio 1956) con lintenzione di utilizzarne gli immensi profitti derivanti essenzialmente dal trasporto del petrolio andati sino ad ora a beneficio degli azionisti della compagnia proprietaria del canale, prevalentemente britannici per finanziare la costruzione della diga. Alla nazionalizzazione del canale i governi di Gran Bretagna (le cui truppe hanno lasciato il canale un anno prima), Francia e Israele (questultimo accusa Nasser di appoggiare i terroristi palestinesi della striscia di Ghaza e teme la crescita della forza militare egiziana) reagiscono organizzando un attacco che punta a infliggere un duro colpo al regime di Nasser. Lesercito israeliano occupa a sorpresa la regione del Sinai (29 ottobre 1956), mentre truppe aviotrasportate francesi e britanniche sono paracadutate nella zona di Suez, ufficialmente per riportare la pace tra israeliani ed egiziani, in realt per riconquistare il controllo del canale. Liniziativa per duramente condannata sia dagli Stati Uniti che dallUnione Sovietica. Le due superpotenze infatti non hanno alcuna intenzione di venire coinvolte nelleventuale escalation di un conflitto arabo-israeliano e impongono perci il ritiro (lURSS ricorre anche al monito

nucleare) di francesi e inglesi dallEgitto, mentre il confine israeliano-egiziano viene presidiato da truppe dellONU. LEgitto mantiene cos il controllo del canale, mentre il progetto di Assuan viene finanziato grazie ai prestiti concessi da URSS, USA e altri governi occidentali. In politica estera, Nasser prosegue la lotta contro Israele, mantenendo un atteggiamento neutrale verso le grandi potenze, che per molti occidentali diviene sinonimo di filosovietismo a causa degli accordi economici che lEgitto stipula con i paesi dellarea socialista. Nel 1956, i rapporti tra Egitto e paesi occidentali registrano un netto deterioramento, in quanto questi ultimi non accolgono la richiesta di armamenti avanzata da Nasser, il quale si rivolge allora, con successo, alla Cecoslovacchia e allURSS. Gli anni tra il 1956 e il 1959 segnano lapice del nasserismo. Il suo ascendente sugli arabi soprattutto della nuova generazione notevole, tanto da essere considerato un moderno saladino che avrebbe unito il popolo arabo per cacciare gli israeliani dal Medio Oriente. Parallelamente Nasser si dedica alledificazione di uno Stato a propria misura: nel giugno 1956 viene promulgata la nuova costituzione repubblicana, che dichiara lIslam religione di stato e riconosce lEgitto come appartenente alla nazione araba. Nasser confermato presidente con un mandato di sei anni e i partiti politici sono sostituiti da unorganizzazione politica unica, lUnione nazionale. Tuttavia, nonostante la diffusione del nasserismo in tutto il Medio Oriente, rivalit personali e una serie di colpi di Stato in Siria e in Iraq allinizio degli anni Sessanta allontanano la prospettiva della creazione di una nazione araba. Il conflitto con Israele viene cos congelato: il suo riaccendersi dieci anni pi tardi (1967: terza guerra arabo-israeliana, la cosiddetta guerra dei sei giorni) sarebbe per stato destinato a influire pesantemente sulle vicende politiche ed economiche mondiali.

La guerra dAlgeria e la decolonizzazione in Africa


Tra il 1956 e il 1965 in Africa si assiste al rapido smantellamento degli imperi coloniali costruiti dagli Stati europei e alla nascita di 35 nuovi paesi indipendenti. Sin dallimmediato dopoguerra Francia e Inghilterra avevano indetto nelle colonie africane consultazioni elettorali, che avevano visto il successo dei partiti e dei movimenti indipendentisti. I partiti autonomisti, che incarnano le aspirazioni allemancipazione delle emergenti borghesie locali e la protesta anticoloniale dei ceti popolari, hanno dato vita a un vasto movimento panafricano, che si propone di abbattere le frontiere coloniali, tracciate artificialmente, senza tenere conto delle distribuzioni etniche, e di realizzare lunit di tutti i popoli del continente. Questa tendenza si concretizza soprattutto nellAfrica francese, dove i partiti indipendentisti hanno dato vita allUnione democratica africana. La decolonizzazione in Africa ha nel suo complesso un carattere pacifico e si realizza prevalentemente attraverso la collaborazione dei partiti africani con i governi delle rispettive madrepatrie. Esistono tuttavia eccezioni drammatiche eccezioni soprattutto nei paesi dove pi estesi sono gli insediamenti di coloni occidentali e pi forti gli interessi economici delle potenze europee. LAlgeria francese la prima, e la pi importante, delle colonie nelle quali lindipendenza viene conquistata solo a prezzo di una guerra sanguinosa. Qui, nonostante le promesse di assimilazione ossia di parificazione giuridica, compreso il diritto al voto fatte alla popolazione locale, il Parlamento viene eletto in base a un sistema che assegna agli europei (meno di 1 milione su 8 milioni di abitanti) la met dei rappresentati, mentre la comunit francese si oppone duramente a ogni tipo di riforma. Inoltre, lintenso sviluppo postbellico delleconomia algerina andato a quasi esclusivo beneficio della minoranza francese, mentre la popolazione musulmana ha subito un progressivo impoverimento a causa di una crescita demografica eccezionale, e soprattutto della massiccia espropriazione di terre a favore dei coloni francesi. Tutto ci favorisce sia la diffusione tra le classi medie e gli intellettuali di un nazionalismo estremista, gi radicato nei ceti popolari, sia il rafforzamento dei gruppi sostenitori dellinsurrezione armata. Tra questi si distingue il Fronte di liberazione nazionale (FLN), sostenuto e armato dallEgitto di Nasser e dagli altri Stati arabi, che tra il 1954 e il 1956 organizza una lunga serie di attentati, sommosse e operazioni di guerriglia. Il governo di Parigi risponde con la repressione (la cosiddetta battaglia di Algeri del 1956-57), impiegando lesercito e ricorrendo a ogni mezzo: arresti in massa, segregazione della popolazione e torture. Solo dopo lavvento al potere del generale Charles De Gaulle il governo francese, vista limpossibilit di ogni margine di mediazione anche per lintransigente posizione dei coloni, si

piega a riconoscere il diritto del popolo algerino allautodeterminazione. In questo clima difficile sono cos avviati i negoziati con il Fronte di liberazione nazionale, che approdano nel 1962 al riconoscimento dellAlgeria come Stato sovrano. Questi accordi sono ratificati in seguito a un referendum vinto con margini schiaccianti dai sostenitori dellindipendenza. Alla prospettiva di unAlgeria libera si oppongono tuttavia con violenza i francesi dAlgeria e una parte dellesercito, spalleggiati da unorganizzazione di ispirazione fascista, lOAS (Organizzazione armata segreta), che si rende protagonista di ripetuti attacchi terroristici contro la popolazione musulmana. Quasi tutti i coloni francesi, temendo rappresaglie, lasciano intanto il paese. Ha cos fine una guerra costata 35.000 morti ai francesi e circa 400.000 agli algerini. La nuova Algeria, governata da un regime a partito unico di orientamento socialista, procede rapidamente alla nazionalizzazione delle materie prime (metano e petrolio soprattutto) e delle principali industrie e, tra i paesi di nuova indipendenza, quello in cui lindustrializzazione guidata dallo Stato ha maggiore successo. Allo scopo di evitare lapertura di un secondo fronte di conflitti, il governo francese concede il suffragio universale ai cittadini delle colonie dellAfrica occidentale ed equatoriale, favorisce lingresso di funzionari africani nelle pubbliche amministrazioni, e, dopo avere inutilmente tentato di costituire una Comunit federale franco-africana, rinuncia a tutte le sue colonie nel 1960. NellAfrica britannica, la rivolta dei contadini di etnia kikuyu in Kenya (paese ricchissimo di risorse agricole e minerarie, con una estesa colonia europea), guidata da Jomo Kenyatta e dal movimento dei Mau Mau (1952-56) violentemente repressa dalle truppe inglesi. Ci contribuisce ad accelerare da parte di Londra labbandono della politica del dominio indiretto (basato sul controllo delle classi dirigenti nazionali) e il riconoscimento del principio dellautogoverno delle colonie.

Instabilit e neocolonialismo nellAfrica postcoloniale


Nel processo di decolonizzazione le originarie aspirazioni panafricaniste e federaliste lasciano rapidamente il posto a tendenze sempre pi nazionaliste, che fomentano divisioni e conflitti. Nonostante molti paesi abbiano sottoscritto la carta africana e sia stata creata lOrganizzazione per lunit africana (1963), finalizzata alla cooperazione e assistenza reciproca, ben presto si manifestano profonde diversit ideologiche, spesso semplice copertura di rivalit etniche e tribali. Scoppiano cos violenti scontri di personalit e di interessi economici, rivendicazioni territoriali tra governi di orientamento conservatore ed esponenti del cosiddetto socialismo africano, che rendono lAfrica indipendente un continente assai turbolento. Lillusione di potere istaurare regimi costituzionali solidi creati sul modello della madrepatria (parlamentare nellAfrica britannica, presidenziale in quella francese) tramonta perci molto rapidamente di fronte a una realt contrassegnata da una endemica instabilit, scandita da ripetuti colpi di Stato militari, dalla prevalenza di tendenze autoritarie, dal predominare di sistemi a partito unico e dalla nascita di regimi dispotici, spesso controllati dalle lite militari. In molti paesi, la prevalente connotazione etnica assunta dai partiti, comporta una radicalizzazione degli scontri tra etnie, spesso fomentati dai potenti interessi economici dei paesi occidentali, che continuano a sfruttare le risorse di molti Stati africani e a dominarne leconomia secondo un rapporto di tipo neocoloniale. Pi drammatica la situazione del Congo belga (ribattezzato Zaire nel 1967), paese della immense ricchezze minerarie in mano a multinazionali belghe, britanniche e americane. Qui le popolazioni, in passato, sono state sottoposte a un duro sfruttamento senza nessuna preoccupazione, nemmeno formale, della loro emancipazione. Il Belgio, cosciente della forza raggiunta dai movimenti nazionalisti del Congo, offre loro lautonomia, negando per ogni forma di indipendenza. Intanto nel 1958, Patrice Lumumba, un impiegato dellamministrazione coloniale, fonda lMNC (Movimento nazionale congolese), con un programma decisamente indipendentista. Dopo le elezioni del 1960, che vedono la vittoria dei partiti nazionalisti, il Belgio concede lindipendenza e Lumumba diviene primo ministro. I problemi del Congo indipendente risultano per subito gravissimi: nel luglio 1960 Moise Ciomb, dietro il quale sta la Union Minire (una societ che ha il monopolio delle miniere di rame), proclama lindipendenza della ricchissima regione mineraria del Katanga. Si apre cos una crisi ai vertici dello Stato sulle prospettive future del Congo: da una parte la linea continuista e vi-

cina alla madrepatria belga, dallaltra quella di Lumumba, favorevole a un regime rivoluzionario socialista che rompa ogni contatto con lesperienza colonialista. Luccisione di Lumumba nel 1961 da parte delle milizie di Ciomb apre la strada a una violenta guerra civile, che precipita il paese nel caos, al quale cerca di porre un freno lONU, con un intervento militare nel 1963. Lattivismo dellOrganizzazione delle nazioni unite nella crisi congolese incontra tuttavia la forte opposizione di Belgio, Francia e Inghilterra. Dopo il ritiro delle truppe ONU nel 1964, al termine di una serie di colpi di Stato e destituzioni, la crisi si conclude con la definitiva presa del potere da parte del generale Mobutu, che instaura un regime militare filo-occidentale. Negli stessi anni la Nigeria viene sconvolta da una sanguinosa guerra civile che vede il durissimo scontro tra il Nord del paese, povero e di religione musulmana, e il Sud, ricco di risorse e dominato dalle etnie ibo e yoruba, in larga parte di religione cristiana. Lo scontro conduce, nel 1967, alla secessione del Biafra, regione ricchissima di petrolio e dominata dagli ibo, e allo scoppio di una guerra tra il governo centrale nigeriano e quello biafrano. La guerra civile si protrae per tre anni e d vita a una tragedia immane che provoca un milione di morti e si conclude con la capitolazione incondizionata del Biafra nel 1970 e con la riunificazione del paese. Un altro fronte si apre nel 1974 nellAfrica orientale, dove la crisi del regime etiopico del negus Hail Selassi, provocata dalla guerra contro la secessione dellEritrea (ex colonia italiana annessa allEtiopia come provincia nel 1962) e dalla rivolta di altri gruppi etnici (come i somali della regione dellOgaden, sostenuti dal governo somalo), porta allinstaurazione di un regime nazionalista-marxista guidato dal sanguinario colonnello Menghistu e sostenuto dallUnione Sovietica. In tal modo lEtiopia, tradizionale alleato degli USA, si trasforma in un caposaldo dellinfluenza sovietica in Africa, e il Corno dAfrica sconvolto da ripetute guerre tra Etiopia e Somalia (questultima tradizionale alleato dellURSS ma passata successivamente al campo occidentale) diviene uno dei punti caldi dello scontro Est-Ovest. Mentre nel resto del continente il dominio coloniale europeo pu dirsi sostanzialmente tramontato nel corso degli anni Sessanta, esso resiste ancora a lungo nei paesi dellAfrica australe. Nelle colonie portoghesi (Angola, Mozambico e Guinea) ricchissime di risorse, la politica di discriminazione nei confronti della popolazione nera e di violenta repressione dei movimenti politici sfocia nel 1961 in una lunga e sanguinosa guerra tra lesercito portoghese (sostenuto dagli Stati Uniti) ei locali movimenti nazionalisti, guerra destinata a concludersi col raggiungimento dellindipendenza solo nel 1975, dopo il crollo del regime autoritario di Salazar in Portogallo. Lindipendenza, che porta alla formazione di regime di stampo socialista a partito unico il Movimento popolare di liberazione (MPLA) guidato da Agostinho Neto in Angola e il Fronte di liberazione del Mozambico (FRELIMO) di Samora Machel sostenuti finanziariamente e militarmente dallURSS e da Cuba, immediatamente seguita dallesplosione di una guerra civile tra i nuovi regimi e i guerriglieri di orientamento filo-occidentale, armati e finanziati dagli Stati Uniti e dal Sud Africa. Il conflitto, durato sino al 1988 in Angola e sino al 1990 in Mozambico, fa dellAfrica australe una fonte costante di tensione nelle relazioni USA-URSS. Questa situazione, tra laltro, favorisce la sopravvivenza del regime razzista del Sud Africa, che agli occhi degli Stati Uniti rappresenta il principale baluardo contro lespansione sovietica e cubana nellAfrica australe.

Il focolaio del Medio Oriente: il conflitto arabo-israeliano


Gli anni Sessanta vedono anche la violenta recrudescenza del conflitto arabo-israeliano, che trasforma il Medio Oriente in uno dei principali scenari periferici del confronto USA-URSS. Gli aiuti militari concessi dallUnione Sovietica allEgitto di Nasser nel 1956 e il sostegno sovietico al nazionalismo arabo hanno fortemente allarmato il governo di Washington, che vede nella potenziale alleanza tra Unione Sovietica, nasserismo e movimenti nazionalisti arabi una potenziale minaccia in una regione altamente strategica, in quanto porta daccesso al Golfo Persico e ai suoi immensi giacimenti petroliferi. Per questo motivo gli USA adottano in Medio Oriente una politica dintervento diretto, economico e militare, giustificandola con la necessit di contrastare lespansionismo sovietico e allo stesso tempo intensificarono il sostegno allo Stato di Israele. La prima occasione per lapplicazione di questa nuova strategia battezzata dottrina Eisenhower linvio nel 1958 dei marines americani in Libano in appoggio al governo filo-occidentale di Bei-

rut citt che allepoca rappresenta un importantissimo centro finanziario, tanto da meritare lappellativo di Svizzera del Medio Oriente minacciato dallinsorgere di un movimento nazionalista sostenuto dalla Siria. Nonostante il conflitto medio-orientale sia uno dei principali terreni dello scontro tra i due blocchi, i fattori locali sono sempre prevalenti e la partecipazione attiva di USA e URSS si limita negli anni successivi al piano diplomatico e allassistenza militare ai propri alleati, senza che le due potenze si impegnino in un intervento militare diretto. cos per il conflitto arabo-israeliano del 1967, il terzo, detto guerra dei se giorni a causa della sua durata. La guerra, scatenata da un attacco israeliano per rappresaglia contro il blocco delle navi a Suez decretato dallEgitto (appoggiato dallURSS), costa agli Stati arabi una sconfitta disastrosa: in soli sei giorni lefficiente esercito israeliano travolge le truppe egiziane, siriane e giordane e assume il controllo dei territori egiziani del Sinai e di Ghaza, della Cisgiordania e delle alture siriane del Golan. A questo punto gli Stati Uniti esercitano pressioni sul governo di Tel Aviv per arrestare lavanzata israeliana in Siria, ed evitare cos un coinvolgimento diretto nella guerra di Mosca. In tale occasione lURSS si dimostra incapace di tutelare adeguatamente i suoi alleati, fatto che provoca una profonda incrinatura nelle sue relazioni con i governi arabi. Anche per questo motivo, negli anni successivi, Washington tenta, senza successo, di convincere il governo israeliano a restituire i territori occupati nel 1967 ai paesi arabi confinanti: Tel Aviv, al contrario, accelera la colonizzazione delle zone occupate e rifiuta lipotesi di uno Stato arabo in Cisgiordania. Gli arabi, insieme allOrganizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) guidata da Yasser Arafat, respingono a loro volta una risoluzione dellONU che chiede il ritiro israeliano e afferma il diritto di tutti gli Stati della regione a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, in quanto implicherebbe il riconoscimento dello Stato di Israele. Alle tensioni provocate dalloccupazione israeliana dei territori egiziani e siriani si aggiunge infine, dal 1970, lintensificarsi degli attacchi terroristici dellOLP, con attentati rivolti contro obiettivi israeliani e dirottamenti aerei. Dopo la morte di Nasser e lascesa al potere di Sadat, lEgitto prende le distanze dallUnione Sovietica e assume posizioni sempre pi moderate. Ma nel timore che il prolungamento delloccupazione israeliana in seguito alla guerra dei sei giorni si tramuti in annessione, Egitto e Siria attaccano a sorpresa le truppe israeliane nel Sinai e nel Golan, il 6 ottobre 1973, mentre in corso la festa di Yom Kippur (giorno dellespiazione). Il conflitto che ne segue (il quarto araboisraeliano) noto, per questo motivo, come guerra del Kippur. Dopo alcuni iniziali successi arabi, gli israeliani sferrano una controffensiva che rovescia la situazione e consente alle truppe di Tel Aviv di cominciare ad avanzare in territorio egiziano. Il rischio di allargamento del conflitto viene evitato grazie alle pressioni di Washington sugli israeliani per il raggiungimento di una tregua con lEgitto (11 novembre 1973). La storica conferenza di pace organizzata a Ginevra da USA e URSS (dicembre 1973) si risolve tuttavia in un totale fallimento. La successiva azione diplomatica americana per la soluzione del conflitto consegue risultati solo marginali, ottenendo per il risultato di estromettere completamente i sovietici dalle trattative di pace per il Medio Oriente. Merito dellazione diplomatica statunitense anche la distensione ufficiale delle relazioni tra Israele ed Egitto, sancita dagli accordi di Camp David del 1979, in base ai quali, grazie allenergica opera di mediazione del presidente americano Carter, i due paesi si accordano per il ritiro delle truppe israeliane dal Sinai. Tuttavia, la questione palestinese, ovvero il diritto di questo popolo a una patria indipendente, resta irrisolto e continua ad affollare anche oggi le agende della diplomazia internazionale. La guerra dello Yom Kippur del 1973 non rappresenta soltanto il culmine di tensioni decennali nei rapporti arabo-israeliani, ma segna anche una svolta fondamentale per leconomia di tutti i paesi occidentali. Il petrolio, nei decenni precedenti, ha infatti sostituito il carbone come principale fonte di energia per il riscaldamento, i trasporti e le attivit produttive, rendendo, a partire dagli anni Cinquanta, i paesi industrializzati, e soprattutto lEuropa e il Giappone, sempre pi dipendenti dalle forniture provenienti dagli immensi giacimenti del Medio Oriente. Sin dal dopoguerra il mercato petrolifero mondiale stato dominato da sette grandi compagnie multinazionali (le americane Esso, Mobil, Chevron, Texaco, Gulf, la britannica BP e la anglo-olandese Shell), organizzate in un forte cartello internazionale che mantiene artificialmente elevati i prezzi. Le sette sorelle, cos

sono anche chiamate, controllano i giacimenti dei principali paesi produttori del Golfo Persico sulla base di accordi per loro molto vantaggiosi, che lasciano ai governi locali soltanto la met degli enormi profitti ricavati. I principali paesi produttori di petrolio Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait, oltre al Venezuela per difendersi dallo strapotere delle multinazionali fondano, nel 1960, una nuova organizzazione, lOPEC (Organizzazione dei paesi produttori di petrolio), alla quale aderiscono successivamente altri paesi tra cui anche lAlgeria e la Libia, i cui governi hanno proceduto alla nazionalizzazione dei pozzi petroliferi. Il principale obiettivo dellOPEC di ottenere una ripartizione pi favorevole dei profitti e di sottrarre alle sette sorelle il controllo della produzione e dei prezzi; la coesione allinterno dellorganizzazione per debole e soltanto dal 1970 lOPEC riesce a presentarsi con un fronte compatto e a ottenere consistenti aumenti del prezzo del greggio. Sempre pi consapevoli della propria forza, allo scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973 i paesi dellOPEC decidono di utilizzare il petrolio come arma di rappresaglia nei confronti dei paesi occidentali. Vengono cos sospese le forniture di greggio agli USA e agli altri paesi che hanno fornito sostegno militare a Israele, viene ridotta la produzione e pressoch quadruplicato il prezzo del petrolio. questultimo provvedimento, mantenuto anche dopo la revoca dellembargo (blocco totale degli scambi economici e commerciali) e il ritorno alla normalit, ad avere conseguenze determinanti per leconomia mondiale, mettendo in difficolt i paesi pi industrializzati e ancor pi quelli in via di sviluppo. Oltre a dover fare fronte alle conseguenze del conflitto tra israeliani e arabi, dalla fine degli anni Sessanta i paesi dellarea medio-orientale e del Golfo devono fronteggiare un nuovo fattore di instabilit e tensione: lemergere nei paesi islamici di agguerriti movimenti di opposizione di ispirazione religiosa. In Egitto, Siria e Iraq, e persino in Turchia (alleata occidentale, e dal 1952 membro della NATO), i partiti nazionalisti al governo, sebbene artefici di una politica di impronta laica e socialista, perdono la propria credibilit per lincapacit di uscire dalla logica dei blocchi e di avviare uno sviluppo e una riduzione delle enormi sacche di povert e di miseria. In questi paesi i movimenti islamici, duramente ostili ai gruppi dirigenti del nazionalismo arabo e sostenitori di una rigida applicazione del codice di comportamento musulmano (shariah), diventano i rappresentanti del fondamentalismo religioso. In questo modo guadagnano un fortissimo seguito di massa, talvolta anche attraverso attivit terroristiche, e assumono un ruolo politico di spicco, anche se il pi delle volte sono violentemente repressi dai vari governi.

LAmerica Latina dopo la decolonizzazione: tra dittature e rivoluzione


La seconda guerra mondiale rappresenta anche per lAmerica Latina unoccasione di sviluppo, favorendo le esportazioni e assicurando i capitali necessari per liberarsi dalla dipendenza dallOccidente. I processi di modernizzazione che investono il continente non riescono tuttavia a superare i limiti strutturali della societ latino-americana: lindustria pesante rimane fragile e lurbanizzazione ha pi il carattere di fuga dalla miseria contadina che di corsa verso il lavoro industriale. Eccetto il Messico, dove la riforma agraria assicura una parziale redistribuzione della terra, le campagne continuano a essere dominate dal grande latifondo, nelle mani delle antiche oligarchie terriere. I vecchi ceti possidenti, uniti ora alle nuove ristrette borghesie industriali, continuano a detenere buona parte della ricchezza e a esercitare il potere. Dal punto di vista politico il secondo dopoguerra fu segnato dallaffermazione di movimenti populistici, caratterizzati da un forte leader (Pern in Argentina e Vargas in Brasile), da uno stile di governo autoritario, dal nazionalismo, dallinterventismo statale in economia e dalla mobilitazione delle masse e dei sindacati per ottenere il consenso. Nonostante per certi versi il populismo, tradizionalmente, tenti di essere appannaggio della sinistra, esso viene generalmente accettato dalle oligarchie possidenti come garanzia dordine e stabilit. Negli anni Sessanta le ripercussioni della guerra fredda si estendono anche allAmerica Latina, che gli Stati Uniti si sono abituati a considerare come area esclusiva del loro dominio economico e politico. Il dopoguerra stato per molti paesi latino-americani, esportatori di materie prime (petrolio e rame soprattutto) e di prodotti agricoli (cotone, zucchero e caff), un periodo di forte sviluppo economico, che ha notevolmente rafforzato i regimi dellarea, tutti pi o meno ispirati a modelli autoritari di presidenzialismo, come ad esempio il Brasile, sotto la guida, sino al 1954, di Getulio Vargas, e lArgentina, guidata sino al 1955 da Juan Domingo Pern.

Si tratta di regimi di orientamento populista, spiccatamente nazionalisti, di ispirazione autoritaria, con qualche tratto di analogia con lesperienza del fascismo europeo, che puntano a modernizzare leconomia soprattutto attraverso la nazionalizzazione dei settori fondamentali come quello petrolifero e lintervento diretto dello Stato nel processo di industrializzazione. Essi sono inoltre caratterizzati da una forte mobilitazione delle masse popolari, dalla repressione anche violenta delle opposizioni e da strumenti di organizzazione del consenso tipica dei regimi autoritari. La caduta di Vargas e Pern a opera di colpi di Stato militari, ispirati da gruppi conservatori e sostenuti in vari modi dalla CIA americana, apre la strada a una lunga fase di instabilit, rafforzata anche dalla diffusione nel continente di numerosi gruppi di guerriglia rurale e urbana, di matrice marxista e rivoluzionaria. Per contrastare la crescente influenza dellesempio rivoluzionario cubano, il presidente americano Kennedy lancia nel 1961 il programma della Alleanza per il progresso, che prevede la concessione di aiuti ai governi latino-americani in cambio di una serie di riforme democratiche e di provvedimenti economici volti ad attenuare le profonde diseguaglianze sociali. Questa politica incontra per forti resistenze e non ottiene alcun risultato di rilievo. Nel corso degli anni Sessanta perci lAmerica Latina, stretta tra continui colpi di Stato militari (pi o meno ispirati e sostenuti dagli Stati Uniti) e lemergere di aspirazioni rivoluzionarie, vede progressivamente allontanarsi sia la democrazia sia la stabilit politica, mentre il deterioramento delle condizioni economiche di numerosi paesi alimenta il malessere e la rivolta sociale. In questo quadro il Cile rappresenta a lungo una fortunata eccezione. Qui le istituzioni democratiche sono sopravvissute agli sconvolgimenti degli anni tra le due guerre e alle tensioni del secondo dopoguerra, e si sono addirittura rafforzate durante la presidenza del democraticocristiano Eduardo Frei (1964-1970). Anche la democrazia cilena tuttavia entra in crisi nel 1970, dopo lelezione alla presidenza della repubblica del socialista Salvador Allende, a capo di unampia coalizione tra Partito socialista, ala riformista della Democrazia cristiana, e movimenti radicali dellestrema sinistra. I primi provvedimenti adottati dal nuovo governo nazionalizzazione delle miniere di rame (controllate da decenni da multinazionali americane) e dei servizi telefonici (sino a ora in mano alla multinazionale IT&T), e riforma agraria contrastano direttamente con gli interessi economici degli USA, che temono siano il segnale dellimminente instaurazione di un regime socialista e costituiscano unevidente espressione della minaccia comunista in America Latina. Lamministrazione Nixon esercita perci forti pressioni sulle forze politiche moderate (liberali e democristiane) affinch il Parlamento cileno non ratifichi lelezione di Allende, e successivamente sospende ogni collaborazione tecnica e finanziaria col governo di Santiago. Da parte sua la CIA cerca in ogni modo di destabilizzare il paese, sostenendo le azioni terroristiche di gruppo paramilitari e incoraggiando i piani golpisti di alcuni ambienti militari. La coalizione di Allende inoltre gravemente indebolita dalla fuga massiccia di capitali allestero, dalla crescente inflazione, da contrasti tra moderati e rivoluzionari e da una crescente spirale di scioperi (alimentati sia dalla sinistra radicale, sia dalle associazioni di imprenditori dei trasporti e del commercio). Tutto ci porta infine alla paralisi del paese e al sanguinoso colpo di Stato del generale Augusto Pinochet dell11 settembre 1973, che provoca la morte del presidente Allende. Il regime militare cileno, protagonista di una politica di spietata repressione, che causa migliaia di vittime tra i dirigenti e i militanti dei partiti democratici e dei sindacati, provvede immediatamente a ripristinare la grande propriet latifondista e a restituire alle multinazionali americane i loro tradizionali privilegi, ottenendo in cambio ingenti prestiti dagli USA e dalle organizzazioni finanziarie internazionali.

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