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Enrico Pugliese

Napoli

dietro la citt illegale

Raramente la situazione sociale di Napoli ha goduto di tanta attenzione come negli scorsi mesi, unattenzione quasi morbosa, cui sono seguite rappresentazioni della realt cittadina dalle tinte forti. E altrettanto raramente la confusione stata cos elevata. Tutto sappiamo della spazzatura che invade le strade e dei quotidiani episodi di violenza nelle strade, poco di ci che allorigine dei tanti mali della citt.

Tutti daccordo, comanda la camorra

E passiamo alla tematica specifica: tutti sembrano essere daccordo che la camorra domina a Napoli. Limmagine che viene proiettata allesterno quella di un controllo del territorio da parte della criminalit organizzata. Pare che a Napoli ormai tutto sia camorra e che la camorra faccia di tutto: esporta cadaveri di cinesi, produce prodotti contraffatti per miliardi e miliardi in Campania e li vende in giro per tutto il mondo, organizza le elezioni e fa le stragi. Inoltre le voci di maggior successo forniscono interpretazioni contrastanti: da una parte c un filone che ritiene che la specificit della camorra sia il suo carattere non imprenditivo, bens basato storicamente solo sullo sfruttamento del vizio (nella fattispecie luso della droga), mentre altrove c chi ne illustra anche la grande capacit imprenditoriale per cui esisterebbe un hinterland napoletano (a me per altro sconosciuto) consistente in una enorme manifattura di prodotti per carit falsi gestita e commercializzata dalla camorra.

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Le generalizzazioni indebite dominano cos come le spiegazioni superficiali. Anche a proposito di Napoli: si d per scontata la propagazione di una cultura dellillegalit e se ne individuano creativamente le cause, tanto da giungere al punto di collegarla alla diffusione di una canzonetta del genere neo-melodico (stile minore partenopeo che viene da lontano) intitolata o latitante. stato un ministro della Repubblica a sposare tesi del genere, non un maldestro sociologo di provincia. Come se cinquantanni addietro quando ancora la camorra era un fenomeno marginale e rurale non si cantassero nelle feste popolari pagliaricce e cancielle e altre canzoni aventi come protagonisti i carcerati. Come se la criminalit a Milano negli anni Settanta (Turatello o Luciano Lutrig) avesse raggiunto quel grado di potere grazie alla popolarit data da Ornella Vanoni o Giorgio Gaber alle canzoni della mala.

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Il guaio della letteratura su Napoli, oltre che nelle generalizzazioni indebite, sta nellignorare o far cattivo uso del dato empirico. Poco importa se emerge qualche importante dato che contrasta con le generalizzazioni: lo si dimentica subito. I morti ammazzati si appreso di recente con stupore sono pi a Milano che a Napoli. (Sia chiaro: sono comunque troppi.) I delitti di camorra nei giorni in cui lattenzione dei media era puntata trucidamene su Napoli perduta erano meno di quelli degli stessi mesi dellanno precedente. (Sia chiaro: erano comunque troppi.) A un convegno di qualche mese addietro un criminologo americano ha riferito che i morti ammazzati per abitante sono a Napoli nove volte in meno (insomma uno su nove) che in un grande citt americana come Chicago (di oggi non dei tempi di Al Capone) e che la tolleranza zero non funziona. Ma la notizia non d gusto: imporrebbe di dover pensare, anzich crogiolarsi morbosamente sul racconto (o la lettura) degli orrori locali. Non che questi manchino: una faida sanguinaria come quella di Secondigliano degli scorsi anni, cos dettagliatamente descritta soprattutto negli ammazzamenti nel celeberrimo Gomorra di Roberto Saviano terribile. certo che la camorra si estesa ulteriormente e in alcuni quartieri rende la vita impossibile alla gente e in alcune aree dove pi intensa lattivit di spaccio di droga c un effettivo controllo sul vicolo o sul caseggiato. Ma gi a livello di quartiere la situazione diversa e soprattutto non c come dire egemonia culturale: anzi, per dirla francamente, la gente non ne pu pi. Lo sa e lo dice. fuorviante leggere Napoli come il contesto di una continua mattanza. Va sottolineato che le inchieste e i romanzi di successo raccontano come domina la camorra (dove domina) e soprattutto dove e come uccide la camorra (dove domina e uccide) ma non vanno oltre questo (e forse non n nel loro compito n nelle loro intenzioni). La minuziosa descrizione degli orrori eccita il gusto del lettore amante del genere pulp ma non aiuta a capire origini, portata e connotazioni politiche del fenomeno. Con questo lungi da me ritenere che per anche a Napoli c del buono che non viene mai rappresentato, secondo quanto costretta a ripetere il sindaco della citt. Questo al contempo ovvio e insufficiente. La questione unaltra: quella di capire cosa succede per davvero e produrre un minimo di spiegazione economico-sociale dei fenomeni. Non si riesce a comprendere il perch, il come e il quanto della illegalit di massa (concetto diffuso ma in generale ben poco definito) a Napoli, se non c una analisi delle trasformazioni economico-sociali della citt collegate alla sua nuova realt sociale e culturale. Per quel che riguarda il potere politico, infine, le analisi alternativamente prescindono del tutto dal sistema di potere (di centrosinistra) ormai da oltre un decennio consolidato a livello di comune, regione e provincia (e comunque tengono solidamente al riparo da qualunque critica il governatore e il sindaco) oppure demonizzano il sistema politico bassoliniano e fanno del governatore della regione, e soprattutto dellattuale sindaco in carica, i capri espiatori in quanto soggetti al vertice di un potere responsabile del disastro. Comunque sulla portata del disastro sembrano tutti essere daccordo: Napoli perduta, domina il male. Come se questo non bastasse, le interpreta-

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zioni pi trucide e pi morbose della situazione sono entusiasticamente sposate a Napoli dallopinione pubblica anche colta. C poco da meravigliarsi se poi emergono le soluzioni pi creative: dalla citata guerra alla canzonetta neomelodica, allintervento dellesercito, alle operazioni pedagogiche di massa proposte dal Corriere della Sera. E se su questa trovata, cos come su quella dellonorevole Calderoli, secondo cui Napoli una fogna che va bonificata, ci pu essere il beneficio della scarsa conoscenza della citt, sullimpiego dellesercito la questione diversa: essa partita proprio da Napoli ed stata fatta propria dal ministro Mastella. Ma su questo ritorneremo. Non ambizione di questo articolo rispondere alle molteplici domande che restano inevase nella letteratura corrente n quello di costruire un quadro interpretativo della realt di Napoli. Vorrei solo introdurre qualche elemento di informazione o di chiarimento su cose che solitamente vengono sottovalutate o non prese affatto in considerazione. In particolare mi soffermer su alcuni aspetti della vita della gente, delle difficolt che essa incontra nel quotidiano in una citt difficile dove c poco lavoro e scarsi servizi, dove le famiglie dei quartieri poveri devono fare le acrobazie per tirare avanti. E lacrobazia pi difficile proprio quella tra la necessit disperata di sopravvivere e quella di farlo onestamente, tenendo al contempo i figli al riparo delle cattive compagnie, dalle insidie della strada che sono tanto pi serie e gravi quanto pi povero il quartiere, quanto pi povera la famiglia. Per intenderci, pi che fare riferimento alla mentalit napoletana, far riferimento alle difficolt economiche e soprattutto del mercato del lavoro, alla povert tanto per dirlo in (pochi) soldoni. Far infine riferimento a ci che si fatto e ci che si pu fare per contrastare il degrado e al ruolo che, in base allesperienza passata, pu e dovrebbe avere la scuola

Le basi strutturali della crisi sociale

Si parlato nel decennio scorso di rinascimento napoletano. Erano daccordo tutti. Ora sembrano tutti essere daccordo sul fatto che, se mai c stato, finito. La cosa ovviamente molto pi complicata. Sul rinascimento si esagerato, ma qualcosa a Napoli cambiato effettivamente. E qualcosa di quel cambiamento sussiste. Esso ha riguardato soprattutto la gestione della vita della citt e non la base economica e produttiva e occupazionale. Su quel piano le cose hanno continuato ad andar male anche negli anni migliori. Inoltre in alcuni casi i cambiamenti hanno avuto carattere e implicazioni pi durature, in altri il cambiamento iniziale non ha avuto una sedimentazione, un carattere strutturale. Cerco di spiegarmi meglio: innanzitutto luogo gli interventi non potevano riguardare altro che larea di competenza del comune. Non poco, ma non tutto. Significativi e varr la pena di sottolinearlo sono stati gli interventi nel campo dellassistenza (nellarea di competenza di quello che allinizio fu chiamato assessorato alla dignit) e in generale nellambito del sociale. In rapporto a una maggiore attenzione per queste tematica si svilupparono e consolidarono associazioni e in generale lassociazionismo ebbe un impulso in quel periodo. A volte i cambiamenti ebbero anche costi economici limitati per il comune

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e lo Stato proprio grazie a una spinta innovativa proveniente dalla societ, dalla gente. Fiorirono negli anni migliori iniziative di vario genere diverse fra di loro e anche molto originali. Una certa apertura delle istituzioni al cambiamento favor questi processi. Gruppi e associazioni riuscirono a trovare un rapporto con le istituzioni pubbliche. Penso alliniziativa monumenti porte aperte o, in ambito completamente diverso, alliniziativa molto celebrata del maestro di strada. E qualcosa si mosse anche sul piano urbanistico e della politica dei trasporti. Non il caso di analizzare la portata del cambiamento ma va certamente ricordato il fatto che cera un clima nuovo, un clima di speranza e partecipazione. Limmagine di Napoli allesterno era (forse impropriamente) fulgida come ora (speriamo impropriamente) orrida ma ricordo che nel frattempo la disoccupazione aumentava (o comunque non calava) e intanto i camorristi uccidevano e si uccidevano (come ora e talvolta pi di ora). comunque certo che in rapporto alla crescita delle aspettative, cresceva anche una sorta di impegno della parte pi attiva della societ. Le condizioni delle periferie migliorarono di poco. E progressivamente, con il passare degli anni, alcuni interventi si sfilacciarono. Lattenzione e limpegno delle istituzioni nel campo delle politiche sociali si ridusse con grande frustrazione dei protagonisti. A parte le deficienze politiche dellamministrazione comunale, a determinare la ripresa delle difficolt e dello stesso degrado della vita cittadina ha contribuito una sostanziale assenza di politica di sviluppo contestuale a una perdita di credibilit delle istituzioni economiche in un contesto nel quale, a partire dagli anni Settanta, lindustria e loccupazione industriale, soprattutto nella grande impresa, sono andate progressivamente perdendo di peso. La riduzione dellintervento pubblico per lo sviluppo industriale e la progressiva riduzione e chiusura dellintervento straordinario non sono stati sostituiti da alcuna politica alternativa. Il processo di deindustrializzazione della citt e del suo hinterland sono andati avanti con pesantissime implicazioni sociali. La chiusura dellacciaieria Italsider di Bagnoli ha rappresentato una tragedia che va ben oltre le questioni delloccupazione. Il libro di Ermanno Rea, La dismissione, che ne racconta le vicende si colloca certamente fuori dal coro delle geremiadi, pur presentando una tragedia sociale e umana. Non un caso che Bagnoli fosse quartiere certamente al riparo dalla camorra e dalla malavita. Non so dire come stia diventando, ma certo non pi quello di una volta. Con questo non intendo esprimere alcun punto di vista nostalgico dei bei tempi dello sviluppo industriale. Vorrei solo sottolineare come complessa e articolata la realt sociale e produttiva della citt e come al contempo le aree non le isole tradizionalmente in condizioni migliori stanno diventando anchesse a rischio. Ci non vuol dire che Napoli sia ormai popolata da lazzari, come emergerebbe dalle rappresentazioni correnti, ma certo la riduzione del peso numerico e sociale della componente operaia non avvenuto. LItalsider era una delle fabbriche pi avanzate ed efficienti del mondo (senza alcuna esagerazione): la sua non economicit era dovuta solo ed esclusivamente alle limitazioni produttive imposte dalla Cee, insomma al fatto che per produrre solo le quote assegnate non poteva trarre profitto dalle grandi economie di

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scala possibili. Non cera cattiva gestione. N gli operai e una volta tanto neanche i manager pubblici per capacit, seriet e dignit erano secondi a quelli di altre zone. Ora che Bagnoli chiusa per sempre davvero utile per capire Napoli la lettura del libro di Rea si sa che lo sviluppo pu venire solo da altre soluzioni. Ma la mancanza di una politica industriale (e in generale di sviluppo) per il Mezzogiorno continua a rappresentare il quadro di sfondo sul quale si muove il dramma della disoccupazione, della sottoccupazione, della povert e della esclusione a Napoli. Sulle responsabilit delle autorit locali e dei politici a Napoli si sono usati fiumi di inchiostro. Tuttavia non quanto se ne sprecato per prendersela con la mentalit napoletana, con la condiscendenza partenopea nei confronti dellillegalit come dato culturale innato e immanente. Sul primo aspetto le responsabilit dei politici locali e il tramonto del rinascimento napoletano, c molto di vero. Stupisce invece quanta poca attenzione sia stata dedicata alla inimicizia del governo centrale, per lo meno durante lepoca berlusconiana, nei confronti della citt. Ci sia per quanto riguarda gli interventi di sviluppo ai quali gi si accennato, sia per quel che riguarda interventi specifici nel sociale. Basti pensare giusto per fare un esempio allesperienza dellintervento sul Reddito minimo di inserimento (Rmi). La legge sullRmi, propugnata da Livia Turco, aveva scelto Napoli come una delle aree nelle quali sperimentare lintervento. Le cose andarono piuttosto bene. Le graduatorie furono realizzate con correttezza e gli effetti furono positivi sia perch lintervento a carattere ovviamente assistenziale, quale che ne fosse la sua definizione formale aiut un po le famiglie in condizione di disagio, sia perch diede fiducia nellintervento pubblico. Certo, mi sempre parsa una ingenua svista la considerazione dellistituto di valutazione, secondo il quale grazie allRmi si sarebbe ridotta la micro-criminalit nelle aree interessate. A Napoli si dice Fussa maronna!, insomma Magari fosse vero. Ma gli effetti positivi vanno ricordati, cos come i limiti. Infatti gi il carattere sperimentale dellintervento e il suo temporaneo finanziamento creavano le condizioni di rischio. Tuttavia il governo Berlusconi pens bene di cancellare completamente lintervento stesso. I risultati di queste nuove scelte e lulteriore concentrazione della povert a Napoli sono state paradossalmente celebrate dalla commissione sullesclusione sociale di nomina berlusconiana. Di questo non si parla: limpoverimento delle famiglie meno eccitante dei racconti pulp sugli ammazzamenti di camorra. Tornando alle responsabilit delle autorit locali, gli anni pi recenti sono stati anni di riduzione dellimpegno sul sociale e soprattutto sono stati anni in cui i principali attori di questo intervento i gruppi, le associazioni e le cooperative operanti in questo ambito hanno visto consolidarsi la loro posizione di precariet. Scarso intervento, scarsi finanziamenti e scarsa sistematicit degli stessi. Ci stato particolarmente grave in alcuni ambiti come quello scolastico: quello pi bisognoso di intervento per evitare che i giovanissimi imbocchino sentieri di esclusione sociale. Al contrario a questa mancanza di interventi ha corrisposto la diffusione di una convinzione relativa alle cause culturali del

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degrado. Anzich tenere fuori ragazzi dalla strada si preferito pigliarsela con le loro famiglie che trasmetterebbero loro valori camorristi e comunque lontani dalla civicness. Si creata cos a proposito di Napoli unideologia ben espressa dai termini usati per definire le classi sociali: non c pi il popolo, c la plebe, ci sono i lazzari. Costoro rappresenterebbero la base di massa dellillegalit, lambiente dal quale viene reclutato lesercito della camorra. E quando questo si fa troppo forte diventa necessario rispondere con linvio dellesercito nazionale. Come ai tempi della repressione del brigantaggio: era nel Diciotto Brumaio, se ben ricordo, che Marx parlava del ripetersi della storia come farsa dopo la tragedia.

Scampia: quotidianit difficile e immagini distorte di un quartiere

Il male di Napoli nelle rappresentazioni della citt spesso localizzato a Scampia, un quartiere della periferia Nord Est di Napoli. E qui che si svolgono in larga parte le tragedie della faida di Secondigliano. qui che indubbiamente si concentra lo spaccio di cocaina: la droga di oggi. E qui che si trovano le case dei puffi, quel gruppo di piccoli edifici della ricostruzione post-terremoto dove, per causa della droga, si esercita un elevato controllo della camorra. Ma neanche Scampia solo questo. E neanche le case dei puffi, dove molti poveri cristiani devono subire le prepotenze delle cosche. Scampia un quartiere misto: vi risiedono settori della piccola borghesia impiegatizia, insegnanti ed ex-insegnanti: le famiglie di lavoratori precari e marginali sono ovviamente la parte preponderante ma non certo lunica. Tuttavia gli indicatori correnti di disagio sociale sia che si tratti di mercato del lavoro, sia che si tratti di livello di istruzione, sia che si tratti di condizione abitativa presentano un quadro difficile. Ma anche questo non omogeneo al suo interno, anzi le differenze sono significative da una sezione censuaria allaltra. Laspetto importante da sottolineare semmai il chiaro processo di mobilit sociale discendente che nellultimo ventennio ha guardato le famiglie operaie e non solo. In altri termini le difficolt sono aumentate per tutte le famiglie. Ma esse sono particolarmente gravi per le famiglie di condizione sociale pi bassa. I servizi televisivi sul degrado di Napoli cominciano con linquadratura di alti edifici (ormai in parte evacuati): le Vele. I giornali e la televisione ci hanno abituati a pensare che a Scampia abitino tutti nelle Vele. Per fortuna, invece, grazie al Piano di recupero del 1997, finanziato dallo Stato, e allufficio Periferie del comune una larga parte degli abitanti legali delle vele sono stati trasferiti in altre palazzine ben pi umane. A Scampia ci sono le Vele, ma in prossimit di esse ci sono diverse strutture residenziali per la piccola e media borghesia, di quelle che a Napoli si chiamano parchi. Questi sono un po blindati ma certo contrastano con limmagine comune del quartiere. Insomma a Scampia non vivono solo poveri, sottoccupati in maggioranza, nonch una quota di persone coinvolte nelle attivit illegali e delinquenziali vere e proprie minoranza estrema, ma lunica nota e celebrata dalle cronache. Le Vele sono costruzioni molto alte e grandi, indubbiamente belle dal punto di vista architettonico ma frutto di una cultura urbanistica gi al declino

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allepoca della loro costruzione e comunque almeno con il senno di poi ovviamente male adatte a Napoli. La cultura urbanistica che le ha prodotte si era affermata in Italia quando gi le condizioni dello sviluppo industriale capitalistico che la avevano determinate erano andate esaurendosi. Scampia insomma il frutto di una cultura urbanistica fordista, dello sviluppo occupazionale nella grande fabbrica per la produzione di massa della societ del pieno impiego (ancorch maschile), con regolarit di occupazione e di salario. Non nego che essa stata sempre fuori luogo a Napoli: fordismo e Napoli sono due entit concettualmente troppo lontane. Comunque non va dimenticato che quando quel tipo di urbanistica era in voga Napoli, terza citt industriale dItalia, aveva i nuovi stabilimenti dellAlfa Sud, lAeritalia, la Italsider, la Ignis, la Remington, la Merrel e moltissime altre ora in massima parte chiuse. Lidea del quartiere popolare residenziale, del quartiere dormitorio, non era una follia partenopea, era il frutto di una cultura depoca. E cattiva ne fu anche la gestione. Poi vi furono le occupazioni (che ancora continuano), i terremotati e quantaltro. La tragedia che anche le soluzioni pi giuste e belle risultarono un tremendo boomerang. I grandi spazi disponibili dovuti al rispetto tra area verde e area costruita finirono per diventare inutili e grandissime spianate con effetti di agorafobia per chiunque. Nel frattempo gli edifici solidissimi come vedremo cominciarono a degradare al loro interno. Nessuna vita sociale ed economica di quartiere si realizza per la totale assenza di negozi o botteghe artigianali a piano terra. E poi il tutto si aggrav con le occupazioni degli scantinati. Insomma la lista dei fattori di malessere sociale nelle Vele pu essere portata avanti allinfinito. Ma, a dimostrazione di come un cambiamento possibile basti notare limmagine di vita sociale diversa che a prima vista danno le nuove e le vecchie strutture (abitate bisogna ancora ribadirlo dallo stesso tipo di gente). Finanche i panni stesi ad asciugare sembrano pi puliti e colorati. Gli abitanti si sono organizzati in condominio dandosi regole rispetto agli spazi comuni. Senza entrare nel merito delloperazione va ricordato che sono stati realizzati diverse centinaia di alloggi nuovi e pi 600 famiglie si sono trasferite. Le cose procedono con lentezza ed grave che non si sia riusciti ad effettuare il completo trasferimento degli abitanti e ad impedire loccupazione degli appartamenti liberati dalle Vele da parte di nuovi e pi disperati abitanti. Ma qualcosa sta cambiando: poco, forse, e comunque tardi. Dei tentativi e degli sforzi di una molteplicit di operatori per fare uscire Scampia dallinferno e per far vivere meglio la gente non si parla. Per quanto riguarda poi Le Vele anzich puntare lattenzione sui possibili effetti del trasferimento degli abitanti nelle nuove palazzine denunciare sistematicamente i motivi spesso ingiustificati delle lentezze si preferito celebrarne labbattimento, quasi che abbattendo Le Vele si risolvessero i problemi del quartiere. Bene lo racconta Daniela Lepore nel libretto a cura di Maurizio Bracci e Giovanni Zoppoli, Napoli comincia a Scampia. A questo riguardo ora rientrata nel dibattito anche lodiosa distinzione inglese di una volta tra parte sana della popolazione e classi pericolose. Pensavamo di averla buttata nel dimenticatoio un secolo addietro. Ma eccola ancora l: a Napoli ci sono di nuovo i lazzari.

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I lazzari, i loro figli, le loro donne

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Questa la cosa veramente pi terribile. Mentre in una situazione di incremento della povert, persistenza della disoccupazione e prevalenza del lavoro sottopagato (in nero, ma anche ufficiale) la gente si arrabatta per sopravvivere onestamente, nelle rappresentazioni, domina lidentit povero (o disoccupato) uguale membro effettivo (o quanto meno potenziale) dellesercito della camorra. Eppure uno studio empirico o un qualunque tipo di contatto umano e personale con questa gente porta a rovesciare completamente limmagine. Gli uomini adulti in generale cercano, e generalmente svolgono, un qualunque lavoro anche sempre meno frequentemente regolare, giustappunto a causa della riduzione grave delloccupazione industriale e il mancato decollo di attivit alternative. La preoccupazione direi langoscia per quel che pu succedere ai figli sembra essere il loro chiodo fisso. Ma sono le donne a rappresentare lanello forte: spetta ad esse far quadrare il bilancio, contribuire al reddito familiare lavorando fuori e stare pi attente ai figli in una situazione di continuo rischio per le carenze della scuola e la cattiva influenza della strada. E questo vale anche per le famiglie che si collocano in quellarea grigia tra normalit e devianza, tra comportamenti legali e comportamenti ai margini (o fuori della legalit): che cio sono state coinvolte, pi o meno pesantemente, nello spaccio di droga o in altre attivit delinquenziali. Andrebbe forse ancora precisato che non tutta la famiglia a collocarsi in questambito ma spesso un membro della famiglia stessa, magari non il padre. c lesperienza del carcere, particolarmente grave per la famiglia quando manca il padre. Ma non detto che esse siano partecipi di una cultura della camorra. che lo sforzo per tenersi fuori quando non c lavoro e non c aiuto non sempre riesce, e una tragedia se fallisce. Lesperienza del carcere un trauma forte per le famiglie. Ma, per fortuna contrariamente allimmagine corrente larea grigia non affatto estesa. Larea sociale dominante quella della eccezionale povert della gente normale. La letteratura pulp e le indagini superficiali indulgono sul ruolo, per cos dire, welfaristico della camorra nei confronti della sua presunta base sociale. Essa provvederebbe al mantenimento di mogli, fidanzate, mamme e quantaltro dei loro affiliati in difficolt. Non so quanto ci sia vero. Suppongo che lo sia per i delinquenti organicamente affiliati e con un certo riconoscimento allinterno di clan. Ai poveracci non provvede nessuno. Ma va ribadito alla gente povera e onesta e trovo gi triste dover fare questa precisazione (onesta), come se non fosse ovvio e normale alla gente che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione dei quartieri poveri non pensa nessuno. O, meglio, ci pensa, con grande sforzo, la famiglia e in primo luogo ci pensano le donne della famiglia. Non trovo miglior modo di esprimere questo se attraverso una citazione di Enrica Morlicchio e Dora Gambardella, autrici di Familismo forzato:
I costi delle solidariet familiare vengono pagati in modo preponderante dalle donne delle classi di et centrali. Infatti sono le casalinghe adulte che si occupano in modo quasi esclusivo di gestire il denaro in modo oculato e che svolgono gran parte delle attivit do-

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mestiche e di cura. Sono ancora loro a farsi reciproci prestiti denaro con altre donne allinterno e allesterno della famiglia. Soltanto in un caso esse appaiono meno centrali e cio riguardo allo scambio di informazioni relative ad occasioni di lavoro, destinate prevalentemente ai maschi della famiglia, anche se questo fenomeno tende ad attenuarsi nel passaggio alle generazioni pi giovani [] Questa centralit femminile nelle strategie familiari non senza conseguenze: per le donne che si trovano al centro di questa complessa organizzazione familiare rivestire un ruolo preminente: significa rischiare di rimanere schiacciate da lavoro e responsabilit familiari, alle quali si aggiunge in alcuni casi il peso dello svolgimento di unattivit lavorativa retribuita, quasi sempre irregolare [] questa figura della donna adulta e casalinga che si deve un controllo sulle spese familiari che impedisce lemergere di consumi distorti [] Le famiglie intervistate nel corso della ricerca presentano infatti condotte di vita normali e stili di consumo responsabili, pi vicini alla parsimonia delle famiglie della piccola borghesia tradizionale che allo spreco irrazionale delle famiglie marginali o allimitazione di modelli televisivi.

Vaniloquio e rimedi possibili: esercito o insegnanti?

Passiamo ora alle proposte per Napoli e ai rimedi possibili. Tra le prime ha determinato pi scalpore quella dellinvio dellesercito. Essa venne largamente pubblicizzata dal Mattino e fatta propria a un certo punto anche dal ministro Mastella. Essa viene da lontano e ritorna ogni tanto, in particolare quando aumenta la confusione. Ci vuol poco a capire che non il caso. Innanzitutto negli ultimi decenni a Napoli lesercito c gi stato e per fortuna lintervento non ha lasciato traccia: non hanno fatto male e non si sono fatti male. Per viene da chiedersi quali competenze ha lesercito professionale per bonificare laccesso a un caseggiato o in un vicolo sotto il controllo che pu avere forme e livelli diversi per altro pi o meno mascherati di un delinquente. Perch di

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Queste sarebbero le donne dei lazzari. Provo una sensazione di rabbia nel fare il confronto tra questa documentazione e le cose che si leggono sulla stampa. Daltronde quando si intervistano i giovani disoccupi, vengono fuori oltre alla disperata voglia di trovare un lavoro qualunque che non sia quello unico disponibile di ragazzo del bar, della pizzeria o del fruttivendolo a meno di un quarto del salario medio contrattuale le speranze, del delusioni, il senso di ingiustizia. Le interviste e le storie di vita di questi giovani ricordano quelle dei reportage di George Orwell nellInghilterra degli anni Trenta o le rappresentazioni cinematografiche dei giovani immigrati di seconda o terza generazione nelle citt francesi. E anche qui al danno segue la beffa. Alla plebe di Napoli corrisponde la racaille delle periferie delle citt francesi, secondo la complimentosa definizione del ministro Sarkozy. Finch la famiglia regge, con i meccanismi e nel modo descritto da Enrica Morlicchio e Dora Gambardella, pi probabile che i giovani riescano a stare al riparo dal richiamo della strada nei quartieri a rischio. Ma quando, per un motivo qualunque, la famiglia ha meno forza meno integra deve intervenire qualcosaltro. Personalmente io penso la scuola. E sono conscio del fatto che lintervento non sar facile Alte autorit dello Stato hanno pensato allesercito o alla polizia. Per chi pensa o ha letto che si tratta di lazzari la scelta ovvia.

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questo a volte si tratta e non come si sente dire del controllo del territorio da parte della criminalit organizzata. Non che di situazioni del genere ce ne siano tante a Napoli (sono ovviamente rare) ma ne basta una perch la situazione sia inaccettabile e imponga un intervento. Daltro canto un giovane militare, anche se non di leva e per quanto alluopo istruito, ha scarsa possibilit di agire con efficacia in un contesto a lui estraneo e difficile come questo. E lo stesso vale per quel che riguarda i poliziotti. Il dibattito tra chi voleva mandare lesercito e chi invece voleva mandare la polizia che ha fatto seguito a questa proposta a me parso subito privo di senso e crudele perch basato sullassunto che si tratti solo ed esclusivamente di un problema di ordine pubblico e di repressione, mentre lemergenza a Napoli sociale, non criminale. Da questo non discende che una azione repressiva nei confronti della criminalit e delle pi pericolose e pervasive forme di devianza non andrebbe compiuta. Sottolineo il condizionale perch compierla con risultati efficaci implica capacit, attrezzatura sul piano dellanalisi e dei metodi, scelte di priorit, qualificazione sul piano tecnico comprendente cio anche un minimo di conoscenza della realt sociale del territorio del personale e cos via di seguito. Se proprio si vuole puntare sulla repressione fermo restando che essa va operata a complemento di una azione sul sociale a cominciare dal lavoro e dalla scuola bisogna individuare il bandolo della massa, cercare di capire cosa c allorigine di questa diffusione della criminalit e della devianza. E non basta dire la droga: questo lo sanno tutti. Pare assodato infine che il successo dellattivit repressiva non sta nel quanto (ad esempio tolleranza zero) ma nel come. Ma di questo so poco. Rispetto alle altre proposte non mi pare che sia il caso di tornare sullidea di Calderoli di cacciare i topi dalla fogna o su quella della grande operazione pedagogica di massa di cui sul Corriere della Sera, alla quale non vorrei essere sottoposto. E sulla guerra ai neo-melodici che il ministro dellInterno era pronto a scatenare, credo proprio che si tratti di sparare sulla croce rossa. invece il caso di parlare della scuola e del lavoro per comprendere la vita della gente, della gente comune, comunemente povera, di Napoli. Che la scuola giochi un ruolo importante lo sanno e lo dicono tutti, magari anche quelli che vogliono portare lesercito o criminalizzare i malcapitati cantanti neo-melodici. Ma non basta dire la scuola. Si tratta innanzitutto di vederne e comprendere le carenze attuali, con riferimento al rapporto scuola-famiglia, e non solo. C da correggere le rappresentazioni correnti. Tutti sanno della scuola vandalizzata, nessuno sa del fatto che a Scampia, sede di numerose scuole medie superiori, non certo le pi scadenti in assoluto, si fanno i doppi turni. In altre parole, nonostante levasione scolastica, il carattere demograficamente giovane del quartiere comporta un eccesso di domanda non soddisfatta. Non malcostume napoletano: o lo solo in termini di mancato investimento sulla scuola. E ci vuol poco per capire che in situazioni di povert e di deprivazione culturale (anche se su questo non bisogna esagerare) i ragazzini hanno minore aiuto dalle famiglie. Ed cos anche quando queste sono semplicemente povere e numerose, come per altro capita spesso a Napoli. Ma la situazione diventa ancora pi difficile quando si determinano processi di disgregazione nella fa-

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miglia o nella vita sociale. Penso, per fare un esempio, a una famiglia nella quale non c lavoro e i ritmi della vita quotidiana vengono pertanto falsati. Quando il degrado aumenta in condizioni del genere la mattina non ci si alza in tempo per portare i figli a scuola. Oppure, quando manca un genitore seguire la scuola per i figli un compito comunque pi difficile. C bisogno di sostegno, di doposcuola, di interventi originali e seri, come quello del maestro di strada.

Conclusione

A leggere la letteratura su Napoli oggi sembra di tornare agli anni dellimmediato dopoguerra. Quegli anni erano terribili e per quel che ne ho letto e visto peggiori di quelli attuali. Ma anche allora la rappresentazione della realt cittadina era se si pu ben peggiore della realt stessa. La Pelle di Curzio Malaparte, che descrive il degrado umano e sociale della gente di Napoli, ebbe un successo strepitoso oltre mezzo secolo addietro. Quella fu limmagine di Napoli vincente, anzi lunica nota allepoca. Ricordo il senso di disgusto, pi che di piet, che essa suscitava. Per quel che mi riguarda ricordo la perplessit e la mancata soddisfazione della mia voglia di capire che mi diede la lettura di quel libro. La Pelle era o per lo meno pass per tale un romanzo-inchiesta, docufiction, anche se allora non si chiamava cos. E come ogni prodotto di questo genere va sempre bene. Se si fa prendere la mano dal gusto pulp si giustifica perch romanzo (fiction, come si dice ora), se c qualche volo pindarico o qualche uscita lirica fuori luogo, non c niente di male: c il valore documentaristico. Le rappresentazioni napoletane della docufiction di oggi penso sempre al libro di Saviano mi ricordano sempre quel modo malapartiano (a tinte fosche e indugiante sugli orrori veri o immaginari) di vedere la realt e la gente. Eppure c sempre stata unaltra lettura possibile, anche se destinata a minor successo. Cos fu per Napoli dopo la guerra, con il bel libro di Norman Lewis, Napoli 1944, che, pur raccontando lo stesso contesto raccontato da Malaparte, non morboso ed al contempo capace di indicare le ingiustizie e le specifiche responsabilit politiche e sociali . Una considerazione pi attenta e misurata meriterebbe poi la questione delle responsabilit. Mi sono limitato in questo articolo a fare riferimento al quadro strutturale, non toccando le responsabilit dellapparato politico e della classe politica locale. Essa gode tuttora di un indubbio consenso, come dimostrato dai risultati elettorali. In parte ci dovuto a uneffettiva valutazione positiva delloperato dei governi locali, nonch al giudizio sulle forze politiche di opposizione. Ma a questa valutazione se ne aggiungono altre ben pi severe, in particolare quella relativa al controllo clientelare dellelettorato. questo un tema di dibattito aperto, ma non su questo che intendeva centrarsi il mio articolo. Clientelismo si sa, ma speso si dimentica non sinonimo di camorra. Distinguere i due livelli indispensabile per raccapezzarsi. Il che non toglie che il clientelismo politico abbia nuociuto fortemente a Napoli, contribuendo alla riduzione dello slancio per il rinnovamento e alla frustrazione di quei gruppi (associazioni volontarie, gruppi allinterno di partiti politici, intellettuali impegnati) che hanno operato a Napoli negli scorsi anni.

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In ultimo c da riprendere il discorso sullarea grigia, quella in parte inquinata nella pratica e culturalmente dal malaffare, ma che pu essere recuperata, ad esempio e non solo con lintervento sulla scuola. Nella discussione con Giorgio Bocca su MicroMega, rispondendo alla questione relativa allestensione dellarea collusa con la camorra, Marco Rossi-Doria afferma:
Dato che ho fatto per anni leducatore nei quartieri difficili, so che ci sono distinzioni da fare: la vita civile, le speranze, le voglia di riscatto esistono anche nelle zone grigie della citt e fra persone vicine al malaffare per necessit. E quindi non si deve fare di tutta lerba un fascio o pensare che non ci siano possibilit di speranza; bisogno anzi sollecitare lo scollamento di queste zone grigie, che hanno caratteri anche positivi, dal malaffare organizzato, dalla struttura camorristica vera e propria.

Non sar facile. Ma questa mi sembra una scelta obbligata che si concretizza attraverso progetti di effettiva utilit sociale, che diano servizi ma anche reddito attraverso loccupazione: progetti a carattere continuo e sistematico e soprattutto affidati e gestiti secondo criteri non clientelari con il massimo di trasparenza. Saranno certamente pi utili della guerra ai neo-melodici e meno costosi dellinvio dellesercito.

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