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ROBERTO VALANDRO

IL GRUPPO BASSA PADOVANA E I MUSEI CIVICI ETNOARCHEOLOGICI TRA ADIGE E COLLI EUGANEI Molte sono ormai le pagine che ho dedicato alla narrazione di alcune delle innumerevoli vicende che hanno disegnato, nel tempo, il profilo della minore patria euganea. Perfino la semplificante espressione geografica (dapprima incera e nebulosa: Bassa Padovana, resa concretamente viva e definita territorialmente dalla fruttuosa azione culturale dellomonimo Gruppo) mi ha incitato al gioco linguistico, memore di unoralit dalle perdute energie creatrici, coniando quel Padovanabassa in cui coagulare listintivo attaccamento filiale e la frequentazione di un ampio e articolato progetto di ricerca. Eppure, a ogni occasione di meditazione o di scrittura, ecco riproporsi il fascino di uno spazio, sia pur circoscritto, poco esplorato ed ecco nascere e crescere un pungente sentimento di nostalgia nellanimo di chi ha percorso, da ragazzo, le antiche strade polverose che ricamavano campi e colline, un microcosmo verzicante fitto di siepi e alberate, di bine e campanili, di viottoli silenti e cared erbose, di grumi di case contadine e salde fattorie, di capitelli e crosare a delimitare limpalpabile confine duna contrada, di una comunanza dialettale distinta dalle viciniori per cadenze e sonorit espressive. Le motivazioni del giovanile peregrinare, a piedi o in bicicletta, erano allora legate alla curiosit dindividuare spazi nuovi, fascinato da una Natura educata dalla mano delluomo ma lussureggiante, ricolma di voci misteriose, di canti e versi danimali che occorreva imparare a imitare volendo intrattenere un colloquio affidato ai sensi corporali pi che ai ragionamenti di un apprendistato scolastico ancora incapace (per fortuna) di inaridire listintiva affinit. Oppure mi spingeva leccitante immersione in feste paesane, soprattutto nei mesi estivi. A dire il vero il primo appuntamento cadeva, per me, in aprile con la sagra di Megliadino S. Vitale, nel segno della ricorrenza pasquale e di una primavera il cui risveglio, allora, mi appariva prorompente pi che mai, profumato di viole e scintillante di teneri colori. Percepivo del tutto vagamente il sottile richiamo che la rifatta pieve medievale del prossimo San Fidenzio e le asservite cappelle di San Vitale di Santa Maria dellAnconese di San Lorenzo e San Silvestro a Saletto ingeneravano agli occhi di un imberbe che le visitava di tanto in tanto nel periodico giro parentale, vantando ascendenze paterno-materne tra Ponso e S. Margherita dAdige (dAdige per solo dopo lunificazione allItalia nel 1866). In realt lirripetibile acume delladesione popolana che le sostanziava era costituito da due esaltanti appuntamenti: da San Mato al Tresto di Ospedaletto Euganeo e ai Santi di Monselice, fra un miscuglio inestricabile di trasporto religioso, di gioiosa spensieratezza, di piet cristiana, di fedelt agli atavici richiami legati al cibo e ad ancestrali costumanze. Molti anni dovevano passare perch potessi percepire, ad esempio, la variopinta trama di fatti e personaggi che avevano contribuito a fare del santuario mariano trestense il monumento folclorico forse pi significativo della Padovanabassa. Infatti, recuperando tra gli innumerevoli frammenti di un mosaico pur sempre incompiuto la denominazione i Tresti, permettemmo a Aldo Luigi Prosdocimi di esercitare il suo straordinario acume filologico su di un termine allapparenza incolore, perch da una base *terg-, che apparenta il Tresto agli antichi Tergeste (Trieste) e Opitergium (Oderzo), forse possibile riconoscere un luogo di mercato, di scambi e commerci in essere almeno dal tempo dei venetici. Che langolo euganeo-atestino possa vantare in epoche remote il privilegio di una stabile frequentazione lo (di)mostrano anche recenti scoperte archeologiche, segnalando plurime stazioni che dal neo-eneolitico si proiettano, adattandosi di volta in volta agli habitat pi favorevoli, alle meglio conosciute et del bronzo e del ferro, anticipatrici della per noi fulgida civilt dei veneti primi. Lo conferma, daltro canto, leredit pi nascosta misteriosa e un po aleatoria, quella dei toponimi, trasmessa (cosa troppo spesso sottaciuta) oralmente, bocca a bocca, fissatasi poi in rare testimonianze epigrafiche e nelle pergamene notarili fino ai moderni stradari. Questi nomi di luogo, che sovente individuano non paesi o frazioni ma frammenti minimi di territorio, muovendo proprio dal mimetizzato venetico si sono contaminati col celtico di nuovi immigrati e impastati col latino di Roma, col greco dei bizantini e col barbarico di stirpi germaniche, goti e longobardi in particolare, identificando spazi abitati coltivi, opere di bonifica e di canalizzazione, tracciamenti viari o impianti militari di difesa (e di offesa), consacrati in fine dalle dedicazioni ai santi adiutori di un cristianesimo primitivo e medioevale tuttora insondato. dunque una chiara prova, non archeologica, della continuit abitativa tra Adige e Colli: una presenza antropica che ha potuto contrarsi, diluirsi, perfino inabissarsi, senza venir meno alla solidale simbiosi, n facile n scontata, con la terra e la Natura, con le erbe le piante e gli animali, con le acque e le colline, amalgamati tutti in equilibri a volte stupefacenti grazie al lavoro fruttificante del contadino, fattosi ispiratore e costruttore di borghi e contr, di argini strade e ponti, di casoni osterie e cappelle, di monasteri grange e turrite citt. Le denominazioni diventano per ci elementi rivelatori di una cultura ostacolata e vilipesa, costretta a rifugiarsi nella memoria dialettale dei parlanti, fino a ieri vitale e produttiva. Ora essa tace, travolta da una rivoluzione che ha toccato nellintimo ogni uomo, ricchi e poveri, umili e potenti, intellettuali e lalfabeti. in tale contesto diacronico che si sono rinnovate o hanno preso vigore le comunit rurali accanto alle quasi citt dEste Montagnana e Monselice, profittando magari degli insediamenti dossivi di cui i grandi cicli climatici avevano svelato la duttile capacit dadeguarsi allabbondanza di acque come al prolungato inaridirsi delle stagioni. Lungo il

macinare dei secoli esse sono apparse e scomparse, lasciando indizi sotterranei, segreti, conservati quali preziosi tesori dal seno fecondo della terra atesina, vero e proprio archivio di memorie. E hanno cominciato a riaffiorare grazie alla paziente testardaggine di quanti non accettavano la conclamata periodica totale desertificazione antropica della piana euganea:averli raccolti come venerande reliquie e conservati in teche luminose mi pare un gesto damicizia e di saggezza culturale che la civilt della Padovanabassa merita davvero. Ed questo il concreto riconoscimento che lomonimo Gruppo Culturale si guadagnato in un quarantennio di costruttiva, vivace presenza. * Nel Museo civico-etnografico di Stanghella, creatura nata dallimmaginifica caparbiet di Camillo Corrain padrefondatore del Gruppo Bassa Padovana (GBP), esiste una grande sala totalmente dedicata allesposizione in piano di una mastodontica Mappa catastale (lunga m 7,950 e larga m 3, 385) approntata dal perito Hercole Peretti rifacendo, o in parte sostituendo un precedente disegno cinquecentesco <<smarrito e in qualche parte corroso dal tempo>>. Lordine esecutivo era venuto dai Provveditori sopra li Beni Inculti, una magistratura burocratica veneziana nata da poco, e il nostro tecnico sottoscrisse lo splendido lavoro novo con giuramento <<questo d 20 Gienaro 1633 in Este>>. una delle maggiori rappresentazioni cartografiche esistenti in Veneto, dedicata al Retratto del Gorzon e comprendente gran parte dellattuale Padovanabassa, ottenuta accostando 121 listelli di cartoncino colorati a tempera e stesi su tela di lino (reincollati su lino e canapa dopo il restauro effettuato nel 1980). In essa vengono descritte minuziosamente la rete idraulica e le parcelle coltivate e incolte, col nome del proprietario e lestensione, mentre i nuclei abitati e le case sparse sono raffigurati con vedute prospettiche, il tutto denominato con cura usando un inchiostro tannico di colore marron. La strepitosa mappa offre quindi una straordinaria occasione di recupero toponimico e permette un retrosalto di quattro secoli resuscitando voci prolungatesi fino allepoca moderna, alcune create allora da poco o rinnovate, altre fissate da consuetudini vetustissime. Ne riporter qui una congrua esemplificazione, senza la pretesa di un compiuto catalogo, suddividendo empiricamente i termini secondo una prospettiva dindagine tesa a restituire lo spessore temporale del monumento, la sua profondit spaziale, i colori e i sapori di una fantasia popolare che inventava con spontaneit e realismo ammirevoli, ripetitiva se necessario, originale e libera quando nessuna barriera fisica o psicologica la imbrigliava. Con la fine della Signoria Carrarese e lavvento della Serenissima Repubblica, tra quattro e cinquecento conquistarono la Bassa casate aristocratiche e santi vecchi e nuovi. I loro nomi si sono fissati nella materialit dei luoghi, riflettendo i primi la collocazione veneziana, i secondi un contingente dinamismo religioso che sembra avere assecondato pi la ben orchestrata occupazione del suolo che spontanei movimenti missionari o di culto. Trascrivo a immediata chiarificazione: val de Pocastro, canal Zen, via nuova delli Magnifici Pisani, condutto particolare dei Mag. Fratelli de Ca Pisani, sgarba della M. ca M.na Paula Pisani, fossa de confin de Ms. Paulo Conte, K. [Ca] Cumani, K. Morosini, K. Nani, rotta del Lando, canal de S. Bonefatio [i conti...], cuore de M. ci Dandoli, Contr di Nigri, degora Bolduta, arzere del Barbarigo. Sono i cognomi illustri (non solo del patriziato marciano) che, da apposizione indicante generico possesso o imprese bonificatorie, si sono identificati presto con le propriet stesse, ridotte a unit agricole produttive e affittate: alle Zabarelle, le Catriate, le Fibe, le Chamuse, le Cironte, le Alvisete, alle Taviane, le Renaldine, alle Bressane, le Pelegrine. Sintomatica lazione di Almor Pisani, acquirente dei locali domini estensi posti allincanto dal Senato Veneto il 30 dicembre 1467. Con una decisa politica di accorpamento i Pisani costituirono una specie di feudo familiare, ristrutturando lampio comprensorio in quattro fulcri aziendali, la Pisana di Solesino Stanghella Vescovana e Boara, portandone avanti insieme la bonifica e il ripopolamento. Il villaggio medioevale di Santa Caterina venne abbandonato e riaggregato attorno alla nuova chiesa di Stanghella, mantenendo questa identico titolo. Sorte analoga tocc alla comunit di Vescovana con la vetusta ecclesia S. Christine: si sposter nellodierna ubicazione dove il cardinale Francesco Pisani, ancora prima del 1570, aveva fatto erigere la chiesa intitolata a s. Giovanni decollato martire, mentre a s. Cristina verr affidata la protezione del nuovo centro di Granze, sviluppatosi dalla primitiva contrada in localit Gazuolo. Nel 1536 i Pisani avevano intanto provvisto i contadini di Boara di un loro edificio sacro, elevato a parrocchiale nel 1563 col titolo di S. Maria della Neve, cos come nel 1669 alzeranno in Solesino un altro oratorio, quello della Pisana, onorando s. Antonio di Padova. La serie toponimica dei nomi di persona non si esaurisce qui, offre anzi spunti di notevole spessore. Se compaiono anonimi personaggi in val Bertoloza, lago Le Tomase, gra di Zorzon, alcuni svelano subito il sapore del medioevo: canton de Rigo, lago di Bazoi, fossa del Basilio, dosso ditto di Baldachar, dosso de Azo, canal de Spilfredo, canal de Amateo. Confermando, credo, lattenzione costante alla realt ambientale da parte di uomini che sovente agivano su mandato di comunit e istituzioni, pubbliche o religiose. Mi fermo al dosso de Azo, localit di Carceri. Sappiamo che il suo monastero, una tra le architetture pi maestose della Bassa, fu caro ai capostipiti degli Estensi, famiglia in cui il nome Azzo ricorrente: potremmo cogliervi il sopravvissuto lacerto di una delle innumerevoli donazioni che facevano grassi di terre enti ecclesiastici, ordini monacali, capitoli e mense vescovili, collegiate plebanali e parrocchie. Un salto allindietro di quasi due millenni consente invece lorigine antroponomica di alcune denominazioni prediali. Ne propongo una manciata. Carmignano stato generato dal nome Carminius, di probabile ascendenza venetica; Passeggian, tra S. Margherita dAdige e Ponso, viene dal latino Passilius; Barbugian di S. Urbano da Barbuleius; Contr delli Angarani, tra Villa e S. Elena, da Ancarius; via del Guzan, verso Merlara, da Acutius; Vallerana in

Casale di Scodosia da Valerius; Orbana, Urbana, da Orbius (?), oltre a loco dito Zoldrigo in Pozzonovo e, forse, al lago de Locaran, ai confini di Castelbaldo con Masi. Risultano tutte caratterizzate da suffissi che rinviano sicuramente ai proprietari di un praedium ossia podere depoca romana o tardoromana, con una distinzione ipoteticamente stimolante: i toponimi che finiscono in -ano, -ana potrebbero evidenziare il possesso di una determinata gens romana o di un indigeno romanizzato; quelli in -igo, -iga si riferirebbero invece a proprietari gallo-romani, quindi dorigine celtica, tenendo conto che larea veneta nel momento della romanizzazione era stata <<ampiamente permeata da ondate galliche>> (G.B. Pellegrini). Continuando a seguire la medesima traccia, non sono da sottovalutare i nomi di luogo terminanti in -lus, suffisso molto usato nellalto medioevo in Italia, in particolare nellantroponimia di et longobarda, sostituito poi dal suffisso ingus, -iscus per nomi di persona di tipo franco, associati a termini che testimoniano la trasformazione insediativa del paesaggio in et feudale. Segnalo, sempre muovendo dalla mappa, Vigizuol, un lago de Fogarolo, nella campagna di S. Margherita dAdige, una valle di Zenigola, ai confini di Megliadino con Piacenza, il luogo detto Perariolo, tra le Minotte e Merlara, accanto a quello denominato Zudolenga, in Altadura di Casale della Scodosia. Da un nome dorigine germanica, Warzo, potrebbe derivare quello del fiume Gorzon. I luoghi di culto forniscono a loro volta sicuri indizi di popolamento, in particolare le chiese e le specifiche intitolazioni, caratterizzanti, se antiche, il tipo di dominazione. Ad esempio, la motta della Giesia de S. Michel, localizzata a sud della Crosarazza di Ponso, si presta a un chiarimento esauriente. Nel XII secolo in Pulso compare questa cappella soggetta alla giurisdizione dellabbazia della Vangadizza, fondata al di l dellAdige. Il titolo tipico della tradizione longobardo-bizaqntina come quello di S. Giorgio, mentre se diamo unocchiata ai pi vetusti edifici sacri della zona ne troviamo due dedicati a s. Maria, come la chiesa matrice patavina: la Ciesazza, sempre in Ponso, e S. Maria dellAnconese, in Megliadino S. Vitale, cui va aggiunto il S. Silvestro, tra Saletto e la Cavadizza, sulla strada che porta a Noventa Vicentina. Siamo di fronte alle pi antiche architetture cristiane superstiti, che affiancherei per arcaicit e integrit, specie il S. Silvesto, o ci che rimane della chiesa altomedioevale dello sconsacrato S. Paolo in Monselice, datato al VII-VIII secolo e avente la probabile funzione di cappella palatina. E richiamo ancora lattenzione sulla chiesa di Megliadino: ben due elementi, s. Vitale e il toponimo Anconese, ancona <<immagine, nicchia>> (cfr. il bizantino eikna) rinviano ad ascendenze ravennati: correr rammentare che, prima della definitiva conquista longobarda del 603, Monselice era una solida roccaforte tenuta dai bizantini di Ravenna e tutta la zona tra Colli e Adige costituiva una probabile linea di difesa apprestata, ma unipotesi che meriterebbe dessere approfondita e verificata, a partire dal V-VI secolo. Nonostante la sommaria campionatura gi saffacciano considerazioni decisive: la toponomastica prediale rivela insediamenti che vanno dallepoca di romanizzazione intensa, avviata nel primo secolo ineunte dellera cristiana, a quella longobardo-franca, dal medioevo comunale allet veneziana. I micro-insediamenti coprono tutta la fascia della Bassa e i pi remoti fanno immaginare un territorio abbastanza popoloso agli albori dellet volgare e organizzato per sfruttamenti agricoli intensivi. Vicende climatiche e storiche hanno in seguito creato una pesante frattura, mutando lambiente con sfaldamenti e diradamenti abitativi, ripristinando un panorama naturale dominato dalle acque esondanti cos comera allaffacciarsi delluomo nelle et del bronzo e in epoca protostorica, non al punto per da cancellare lantropizzazione, favorendo anzi una resistenza che alla fine s mostrata vittoriosa grazie alla tenacia degli abitatori che, e lo insegnano le dure esperienze belliche o certi disastri ambientali, non abbandonano tanto facilmente spazi e luoghi fino a quando esista una sia pur minima possibilit di sopravvivenza. * Un visitatore che muovesse adesso alla scoperta del territorio bassopadovano porterebbe con s immagini impressioni e sensazioni un po diverse da quelle che mezzo secolo fa riempivano occhi e mente di quanti stavano maturando lidea di un Gruppo che avesse quale motivo ispiratore le vicende di paesi rischiarati, assai poco a dire il vero, da luce riflessa, assoggettati psicologicamente ed economicamente ai centri-guida dei tre comprensori costituenti grossomodo la Bassa: il Monselicense lEstense e il Montagnanese con limportante appendice della Scodosia e qualche timida intrusione del Conselvano. Quando, dopo la riunificazione del Veneto allItalia (1866), si provvode a meglio individuare le localit omonime, non sebbe idea migliore per alcune daffiancare al toponimo un aggettivo portante in s il debito di tutele a volte malsopportate: Saletto di Montagnana, Villa Estense, Ospedaletto Euganeo, Lozzo Atestino, trascinando con loro una SantElena dEste che, in realt, si qualifica tuttora dal punto di vista burocratico senza la fastidiosa appendice. Altri paesi hanno invece preferito identificarsi con le caratteristiche storico-ambientali determinatesi nel tempo: Boara Pisani, ad esempio, dai (ri)fondatori veneziani; Piacenza dAdige e Santa Margherita dAdige, inducendo questultima al facile equivoco, pi o meno fantasioso, del vero alveo atesino, scorrente nei secoli prima e dopo Cristo; San Pietro Viminario, legato alla diffusa presenza dacqua e salici da vimini buoni per fabbricare cesti e oggetti duso; Arqu Petrarca, infine, debitrice duna fama turistico-letteraria carpita grazie alla dimora ultima e alla tomba del grande poeta trecentesco. Il panorama odierno di paesi e quasi-citt s trasformato in forme caoticamente ossessive, con gli abitati che sembrano confondersi lun laltro, con accresciuti insediamenti filiformi lungo le principali arterie quasi senza soluzione di continuit, con aree industrial-artigianal-commerciali stringenti in una morsa pericolosamente soffocante i centri storici o che sincuneano proterve, come pure troppi capannoni isolati, in spazi fino a ieri dediti in toto allagricoltura. Certo, le piazze i palazzi le mura e i belvederi collinari, le chiese le ville e persino i capitelli di qualche contrada stanno

ancora l, sovente ristorati, valorizzati da un moderno arredo urbano e restituiti alla fruizione della gente, ma la solennit direi monumentale di molti tratti della campagna nostrana s smarrita, come si perduto il senso di affratellamento con la Natura violentata dalle cave dei colli o depauperata dallo sfruttamento intensivo delle terre coltivate, privandola di siepi e alberate salvifiche. In effetti, spingendo lo sguardo oltre la ramificata ragnatela stradale lucida dasfalti pi o meno recenti e proliferante con nuovi invasivi tracciati, possibile ancora incontrare spazi serenanti, specie nella fascia prossima allAdige e ai corsi dacqua che rigano la Bassa dopo le poderose bonifiche depoca veneziana. Esemplare lampio ritaglio inselvatichito della localit Bosco dei Lavacci, che dalla Grompa di Villa Estense sallunga verso Vescovana: larea golenale compresa tra il canale Masina e il pi familiare Gorzon, toccando pure i comuni di SantUrbano e Granze; potremmo anzi considerarla una specie di paleo-ambiente, ricordo di habitat estinti, l dove creature terragne e acquatiche, uccelli e piante vivevano in simbiosi pacificata con lessere umano, uno degli abitatori e non il pi importante e distruttivo. Tuttavia laggressiva cementificazione del territorio e il diuturno affannoso scorrere del traffico automobilistico ne fanno isole obsolete, quasi fastidiose, destinate prima o poi (ma laugurio, sincero e pressante, che ci non accada) a essere immolate. il progresso, mi si obietter, che ha portato benessere economico, cancellando (del tutto?) lassillante povert delle generazioni vissute qui appena ieri e che hanno dato i natali a molti di noi, donne e uomini ormai maturi o quasi vecchi. In pi la fatica stremante del lavoro contadino, fatto di braccia e di forza animale, stata sostituita dalle macchine, tanto che la parola contadino uscita dal vocabolario e dalla sensibilit diffusa, restando la connotazione dialettale spregiativa per chi, nel passato, era considerato portatore di rozzezza superstizione e ignoranza. Immagino per che un giovane lettore potrebbe a buon diritto meravigliarsi dun giudizio criticamente amaro, ma esso frutto di una personale esperienza che so condivisa da quanti oggi, pur apprezzando i miracolosi progressi tecnologici, guardano anche ai pericoli di una scienza senza coscienza, piegata troppo spesso a totalizzanti criteri economico-utilitaristici, spersonalizzati e trasformati tutti in numeri e codici a barre, catalogati come formiche di un immenso formicaio globalizzato. Ci si pu chiedere ancora se esistono gli ultimi testimoni della nostrana antica cultura, oscurati da sempre dallindifferenza o, peggio, dallirrisione delle classi colte. Pochi davvero oggi i sopravvissuti, confinati nelle Case di riposo a vegetare in attesa della dipartita o, se pi fortunati ma non sempre, affidati a improvvisate badanti, incapaci comunque dintrattenere, per diversit di lingua e di mentalit, quel necessario rapporto umano di confidenza e di consonanza eclissatosi con la scomparsa del culto parentale e delle famiglie patriarcali o a queste assimilabili. Alcuni li ho incontrati, venti o trentanni fa, e ne ho fissato lapprossimativo e purtroppo frettoloso ritratto in articoletti per La Difesa del Popolo. Allora pi dei vecchi di pianura mi sorpresero, per capacit memorativa, per forza danimo e vivacit, quelli radicati nella fascia collinare meridionale da me frequentata, appendice non secondaria n insignificante della Padovanabassa, portatori dei tratti tipici di una razza in via di rapida metamorfosi. Erano gli eredi dei colligiani, dei contadini che avevano terrazzato pertica dopo pertica i calcarei declivi a mezzod, incanalando acque dilavanti o sorgive un tempo opime sia a formare ruscelli perenni, rii e calti con fontane e laghetti, vissuti entro uno spazio che a noi sembra tuttora privilegiato dalla Natura, e mantenevano viva in s la maestria di abili vignaioli, di carbonari e boscaioli, di ortolani e frutticoltori sapienti nel crescere e selezionare piante fiori e frutta gustosissime, pesche pere fichi castagne noci, invidiate in ogni regione dItalia, vantando alcuni il millenario blasone dei priaroli, di cavatori dalle mani possenti che con magistrale perizia scolpirono i monumenti funebri pagani e cristiani o ammassarono di secolo in secolo le pietre squadrate per stratae romane e mura poderose, lacerti ammutoliti depoche svanite. Qualcuno aveva sperimentato pure la vita da barcaro, un mestiere tramandato di generazione in generazione da antenati penetranti per valli e canali nel cuore degli Euganei, ai porti di Arqu Valsanzibio Lispida Battaglia Marendole Este, con piatti navigli davviare, stracolmi di derrate, di legname calce masgne (e... delicate rose) alla dogale Venezia. Insomma protagonisti anonimi, non certo senzanima, epigoni di una cultura caratterizzata dal proficuo rapporto fra piante animali e uomini di comunanze fino a ieri in sostanziale equilibrio ecologico, con intrusioni calate dallalto (castelli conventi ville) senza gli effetti degradanti o distruttivi del moderno approccio consumistico, turisticoindustriale. E dai differenti gruppi dabitatori, sovrappostisi in unincredibile mescidanza etnica, scaturita una peculiare civilt rurale che ha dato il nome a ciascun colle per esempio, sminuzzando ogni pezza di terreno sfruttabile in una miriade di microtoponimi (purtroppo ignoti o in gran parte ignorati nella loro straordinaria valenza storicolinguistica), applicando di volta in volta tecniche e conoscenze indirizzate a incrementare una produzione di primizie eccellente per qualit ma piuttosto avara, destinata, pi che al sacrificato consumo familiare, a racimolare un po di denaro esibendola quotidianamente nei mercati cittadini, fiorenti sino alla met del novecento anche nei nostri centri maggiori. Questa dunque, lumanit a cui si sono ispirati i fondatori del GBP, me compreso, consapevoli che la quasi totale estraneit al bagaglio libresco di cui eravamo portatori, creato da scuola e universit, non era per nulla dostacolo al nostro desiderio di penetrare in profondit nella sua storia e nelle sue storie. Il fatto che avevamo capito, distinto direi e grazie al radicamento di genitori e nonni, prosecutori essi stessi daltre generazioni cresciute tra Adige e Colli, che gli strumenti dindagine clti andavano sostanziati dal senso della vita della gente umile, popolana, che aveva affidato alla terra pensata maternale ogni speranza di sostentamento. Una terra da esplorare lungo tutta lestensione cronologica possibile: dallindividuazione dei paleoalvei del fiume-padre, ltesis con la significante radice onomastica forse prevenetica, ai millenni avanti Cristo portatori dei primi insediamenti umani documentabili; dalla lenta e riordinata

colonizzazione romana allabbandono e al ripopolamento legati a un medioevo oscurato da scarse cognizioni e pregiudizi pure in mbito dotto; dalla rivoluzione socio-economica provocata dalle bonifiche veneziane agli innumerevoli rivoli di vicende vissute dagli attori senza volto dellepopea contadina. In effetti, quando muovemmo i primi passi con lentusiasmo dei nefiti e della giovane et, non avevamo ancora un cammino ben tracciato, ci mancava la percezione concreta della possibile dimensione di un impegno storico-divulgativo che aveva trovato subito terreno propizio fra i banchi di scuola. Sentivamo infatti di doverci dirigere non solo e non tanto verso lapproccio scientifico-accademico, necessario comunque quale base di partenza e di confronto, quanto e pi dindirizzarci alla ricerca di un colloquio da instaurare con quella parte di abitanti che si percepiva estranea alla conoscenza e al recupero del passato comunitario perch del suo passato non cera quasi traccia (e, se cera, appariva in genere negativa) nei lavori dei molti affannatisi a esaltare le glorie municipali tentando dilluminarle e di nobilitarle richiamandosi ai grandi personaggi che, nella concezione diffusa, avevano fatto la storia. Occorreva rimboccarsi le maniche, andare controcorrente, superando, fra laltro, lostacolo di sensibilit nuove, in apparenza collimanti con le nostre, tendenti invece a privilegiare orientamenti ideologici partecipi e fautori della radicale contestazione politico-sociale e di costume il cui vento aveva cominciato a soffiare, forte e dirompente, nei primi anni sessanta del secolo appena tramontato. Occorreva, in ultima analisi, definire lidentit del Gruppo nascente, circoscriverne spazi e interessi, cercare una collocazione ri9spettosa di progetti e aspirazioni anche individuali, avviando insieme attivit che permettessero di uscire allo scoperto con azioni inedite, popolari nel significato pi intimo e originario della parola, lontani da quel pop che musica arte pubblicit e mode straniere, specie anglofone, cominciavano a spargere a larghe mani tra i giovani, disorientati e confusi dai balenii della modernit. Occorreva, da ultimo, calamitare desiderio di adesione e partecipazione: e cos accadde. S capito oramai che le colonne portanti degli studi avviati dal Gruppo erano costituite da due elementi fondamentali: i materiali darchivio inesplorati con al centro la grande mappa del Peretti, regina incontrastata delle sale museali stanghellane, e la ricerca archeologica vagante nel senso che ogni terreno, giudicato appetibile dai segnali osservati in superficie o rilevati leggendo le mappe catastali e non, era sottoposto a una diligente ricognizione, profittando di arature o, cosa piuttosto originale e possibile grazie a operatori nostri adepti, dalla palificazione di linee elettriche minori incuneatisi a ragnatela tra campi e carrarecce. Lesame cartografico e autoptico degli spazi individuati divenne in tal modo una delle armi vincenti, specie se sorretto da strumenti di ultima generazione come le foto aeree a raggi infrarossi. Assumendo quale termine di confronto la Bassa Padovana, risult infatti didatticamente produttivo poter seguire, anche negli esempi considerati a partire dal cinquecento, il succedersi variato delle tecniche di rappresentazione con gli adattamenti che luomo ha provocato nellarco di alcuni secoli, passando, come s visto, da un ambiente paludoso, ricco di acque stagnanti in bassure con grandi laghi come quello di Vighizzolo o della Griguola, a un reticolo di canali artificiali ridisegnato in funzione della programmata bonifica intrapresa con i retratti veneziani e conclusa (ma non senza vigilanti e assidue manutenzioni affidate ai Consorzi di bonifica) dagli interventi a cavallo delle due guerre mondiali. Sar opportuno sottolineare che levolversi del territorio a opera delluomo visualizzato con efficacia nella misura in cui le carte raccontano tali imprese. E non si tratta soltanto di sistemazioni irrigue; ci sono strade ponti ferrovie, insediamenti agricoli e industriali che possono mutare in profondit condizioni di vita e di sviluppo di quella certa comunit identificatasi con la porzione di territorio diventata, attraverso i confini paesani o parrocchiali, uno spazio sacralizzato fino a ieri da abbandonate cerimonie di ricognizione, le processioni rogazionali ad esempio, oppure difeso a oltranza dalla minaccia di manomissioni burocratiche, frequenti col mutare dei governi e dei loro programmi riformistici. La Bassa ha avuto la ventura di assistere, nel breve volgere di centanni, al succedersi di ben tre dominazioni: la veneziana la napoleonica e laustriaca, se consideriamo laffrancamento italiano del Veneto con la mente sgombra dalla tentazione di vedere pure in questatto finale una specie di conquista, almeno della borghesia e dellaristocrazia nemiche delle autonomie locali e dello sviluppo culturale ed economico-sociale degli strati inferiori. Fu invece tappa irrinunciabile di libert e di maturazione politica per una massa rurale e bracciantile ridotta a ritmi esistenziali di mera sopravvivenza, minacciata da malattie endemiche quali pellagra e tifo, da epidemie colerose e da un cronico analfabetismo. Lindagine cartografica evidenziava con tratti simbolici tali passaggi storici e le lingue usate nelle didascalie, latino veneziano francese e italiano, testimoniavano un ibridismo di cui oggi magari ci scandalizziamo, sopraffatti da esotismi e neologismi forsennati oppure vittime di linguaggio tecnologico di matrice inglese, convinti della trascorsa purezza calata in cui un ieri monolitico mai esistito. Ci sono comunque molti altri aspetti degni di considerazione, come la persistenza delle contrade e dei villaggi contadini o la loro scomparsa, il rafforzamento dei tradizionali punti di convergenza, la fortuna economica di siti strategicamente importanti sui gangli viari, una rete di comunicazioni a maglie pi fitte, consolidatasi con la costruzione delle strade ferrate e delle autostrade superando barriere naturali prima insormontabili o quasi. E tornando allantico, ecco ancora i toponimi che racchiudono, quasi fossero un favoleggiato scrigno sepolto e arrugginito, la chiave dinterpretazione di vicende persino lontanissime. Le vecchie carte le mappe i fogli catastali conservano in proposito una miriade di denominazioni che basterebbe interrogare e smontare per ottenere una perfetta e parlante casistica di come luomo s mosso, ha lavorato inventato modificato e distrutto o caduto nellavvicendarsi fortunoso delle stagioni. Informazioni illuminanti scaturirebbero insieme sulle colture, sulla tipizzazione agraria delle terre, debitrici a loro volta di complessi fenomeni di sedimentazione erosione o alluvione... Avviatosi oramai il Gruppo attorno al 1970 nel contesto scolastico e sulla strada della sistematica ricerca onnicomprensiva, divenne imprescindibile elaborare uno Statuto che ne definisse meglio scopi e confini e alluopo

venne organizzato nel 75 un incontro per la presentazione al pubblico del monumento cartaceo, la pi volte citata mappa del Peretti, su cui avrebbe poggiato in seguito una delle irrinunciabili chiavi di volta del Museo etnografico. Notevole, in quel contesto, lannuncio di voler aprire il Gruppo ai non insegnanti, un passo ineludibile per ampliare azioni e coinvolgimento, avendo compreso che il recinto scolastico non bastava a suscitare il cercato costruttivo dialogo con la popolazione dei paesi bassopadovani, accettando e/o sollecitando comunque anche la collaborazione degli Istituti locali affini come le biblioteche comunali, allora in fase davvio, o le Pro loco oppure la sinergia con associazioni culturali gi presenti e attive. Il successo dellincontro stanghellano e la curiosit suscitata ci convinsero ad affrettare i tempi; per ci il 27 aprile venne indetta una specifica riunione con un sol punto allordine del giorno: -Stesura di un abbozzo di Statuto del Gruppo concordato da tutti-. Lappuntamento era fissato alle Valli di Megliadino S. Vitale, in una vecchia casa bracciantile abbandonata: l il comitato promotore avrebbe potuto discutere con tranquillit, pregustando magari quanto cuochi pi o meno improvvisati sapprestavano a rosolare sulle braci dun annerito fogolaro. Era uno di quei pranzi allaperto tanto cari a Camillo Corrain, durante i quali si smussavano eventuali attriti facendo crescere nel contempo reciproca conoscenza e cameratismo, necessari al buon esito di quanto si stava progettando. Tra mani circolavano intanto le copie fresche di stampa dei fascicoli ciclostilati con le relazioni presentate nei primi seminari, mentre stava prendendo forma unaltra idea geniale: quella di arrivare nei paesi con qualcosa di tangibilmente visivo, con una mostra documentaria itinerante, da spostare profittando delle sagre o daltre propizie occasioni. La prima esperienza venne affidata a una mostra di ceramiche medioevali, che prese le mosse da Monselice, ospitata nel cuore del centro storico, al pianoterra del prestigioso Palazzo della Loggetta, sede antica del Monte di Piet. Ricordo come fosse ieri il fervore creativo dei sodali: occorreva selezionare i materiali, ordinarli in sequenze tematico-temporali; progettare e allestire gli espositori mobili, con uno sforzo cospicuo data la povert di mezzi economici e di strumenti operativi; redigere il catalogo con gli approfondimenti le aperture e i collegamenti che gli oggetti stessi suggerivano, tentando qualche restauro dei pezzi pi attraenti e/o significativi, il tutto appellandoci pi che a collaudate esperienze alla buona volont, al sacrificio personale, allintelligenza progettuale di chi possedeva la manualit dei vecchi mestieri, come quello del fabbro o del falegname. Nel Gruppo, apertosi definitivamente ai non insegnanti, stavano infatti confluendo soci dalle multiformi capacit artigianali, legate ai modi tradizionali o innovative e sperimentatrici, giacch il nuovo soffiava con forza anche in Padovanabassa. Il fatto che sera aperta unampia discussione sulle tematiche suscitate dal Gruppo, coinvolgendo altri nuclei attivi sul territorio; in primo piano, per esempio, si proponeva Battaglia Terme, con la biblioteca-centro culturale e sociale C. Marchesi, promotrice di un convegno intitolato: -Un libro di testo nuovo per una scuola rinnovata-, con interventi concordemente critici nel sottolineare il palese disinteresse, sia pur non totalizzante, per linsegnamento della storia locale o, comunque, il disorientamento nel definire modi e confini. Tuttavia uno dei tanti segni che riproponevano, senza possibilit di equivoci, il ritorno alla storia locale era dato dallintensa fioritura di opere di respiro municipale o che trattavano aspetti legati alla propria citt o regione. Nelle comunit pi piccole erano ancora le parrocchie a farsi promotrici di una riscoperta indirizzata, indistintamente, agli adulti e agli studenti della scuola dellobbligo, profittando della disponibilit economica di Istituti bancari, Casse Rurali in prima fila. Il valore di tali testimonianze scritte appariva spesso (e lo tuttora) discutibile: si voleva rinnovare in qualche modo una produzione che aveva trovato nellottocento e nei primi decenni del novecento un terreno assai fertile con risultati apprezzabili, ma nel concreto in molti compilatori prevalevano la fretta e il desiderio di approntare in qualche modo strumenti ritenuti di prestigio per il paese o la citt che li ispirava. Si tendeva cos a colmare empiricamente uno spazio lasciato libero dalla produzione strettamente scientifica, togata, legata alla ricerca universitaria che sembrava dilettarsi del particolare, evitando le sintesi pi popolari e accessibili. Cera in atto, vero, uninversione di tendenza e molte tesi di laurea si spingevano a esplorare contesti ritenuti fino a poco prima di scarso credito: il pi delle volte per rimanevano (e rimangono purtroppo) confinate negli archivi di facolt, pagine incolori di una fatica per noi inutile. Nel contempo, accanto alla pubblicazione di una storia, nasceva pure lesigenza di raccogliere le testimonianze del passato, soprattutto della civilt contadina cos pregna di fermenti e giunta al limite di un irreversibile processo di distruzione o, meglio, di totale mutazione. E non erano soltanto gli aspetti folclorici che si volevano salvaguardare: in aree ricchissime di vicende come tutti i paesi dItalia si poneva insieme il problema dellarcheologia, antica e medioevale, della valorizzazione dei monumenti e di un ambiente vario e sempre originale. Ecco emergere allora il tema affascinante del museo locale, lontano il pi possibile dalle remore di un controllo statale, burocratico e imbalsamatore. Lindirizzo di fondo era quello di puntare a un museo didattico, magari non localizzato in un unico edificio, aperto e strettamente integrato con strutture gi disponibili come la biblioteca, comunale o scolastica. Tale svolta, che si allontanava molto dal concetto tradizionale di museo, trovava appunto la sua incontestabile giustificazione nel crescente interesse per la storia locale, un interesse che saliva ora dal basso e che poteva finalmente essere meglio orientato e soddisfatto. In verit, come s visto, era questa una materia di studio trascurata o travisata: obbligatoria alle elementari, facoltativa alle medie inferiori, inesistente alle superiori, affidata alla buona volont e alla preparazione specifica degli insegnanti, troppo spesso estranei per nascita formazione e interessi alle problematiche socio-economiche culturali e, quindi, in senso lato storiche dellambiente in cui si trovavano a operare, separati perfino da evidenti barriere linguistiche dovute alluso del dialetto da parte degli allievi. Per questi e altri motivi a noi del Gruppo sembrava maturo il tempo di attivare un nostro modello di museo didattico cittadino, meglio se paesano, centro motore di attivit inerenti alla realizzazione di piani di ricerca pi o meno ampi, di strumenti scientifici scritti o no, sonori o per immagini e finalizzati allo studio della storia locale, tenendo magari conto

delle nuove articolazioni territoriali proposte dalla riforma regionale allora in atto. Comunque, parlando di storia locale e di ricerca, bisognava badare poi a un altro aspetto molto importante, che stava condizionando il dibattito teorico su tali discipline: il valore cio della testimonianza orale, reperibile in loco e utile a esplorare vasti campi della vita di comunit attraverso i contributi attivi di almeno tre generazioni, ma implicante un discorso assai complesso e problematico, specie per lambigua scientificit di interventi che potevano apparire troppo approssimativi, partigiani o privi di possibilit di verifica. Era facile comprendere allora come la pur decisiva proposta del museo locale comportasse una lunga fase di dibattito, di preparazione di studio e di riflessioni, in rapporto anche alla professionalit degli operatori sprovvisti in genere di nozioni pratiche e teoriche. Museo didattico poteva infatti significare fucina, campo di esperimenti, organismo vivo e vitale atto a innescare un irreversibile processo di modernizzazione della didassi della storia e delle materie a essa collegate (e pensavamo alla geografia alle osservazioni scientifiche alleducazione artistica a quella musicale alla religione allitaliano...), ponendo al centro di ogni interesse quello di una completa rivalutazione del locale, del popolare, di tutto ci che abbraccia la vita della gente in ogni suo aspetto, anche il pi insignificante e trascurato. Nel frattempo lattesa pubblicazione di un altro quaderno, da affiancare alla collanina rossa che sta prendendo corpo, permise al Gruppo di proporre un inedito esperimento. Profittando del titolo, Vecchio mondo contadino e manufatti preistorici nella Bassa Padovana: analogie e ipotesi di convergenza, pensammo di allestire la seconda mostra itinerante mettendo a confronto la civilt nostrana con quella, famosa e ben pi studiata, dei Camuni, la popolazione alpina che ha lasciato tracce del suo plurimillenario cammino incise sulle rocce della Val Camonica. Il gruppo di lavoro, formato da Giovanni Comisso Lina Baroni Corrain Alberto Merlin Mario Piccolo M. Francesco Polato Bruno Sette Antonio Spolaore e Gianfranco Baso, aveva operato con solerzia, scegliendo per la presentazione ufficiale la collaudata vetrina del Palazzo della Loggetta durante la secolare Fiera dei Santi. Il successo non manc, per numero di visitatori e per i favorevoli riscontri giornalistici, ma in una dimensione pi intrinseca la mostra assunse per noi un significato che oltrepassava le evidenze immediate: costituiva, grazie alloriginale cataloghetto, il riuscito tentativo duna sintesi provvisoria del lavoro di scavo in atto e in pi direzioni, unirrinunciabile azione esplorativa continuatasi poi negli anni diventando una delle pietre dangolo della nostra testimonianza culturale. Laccoglienza monseliciana venne replicata e moltiplicata a Pernumia, dove si realizzarono in maniera encomiabile le sinergie tante volte auspicate, chiamando a collaborare nellallestimento presso laccogliente edificio delle elementari lamministrazione comunale, la parrocchia, la scuola stessa e il centro culturale intitolato al Ruzante, a quellAngelo Beolco famoso commediografo cinquecentesco esaltatore in pavano dei diseredati dallora. Dal 23 divembre 78 ai primi del gennaio 79 fu un continuo andirivieni di ragazzi e genitori, di amici e parenti, di gente dei paesi viciniori, favorito il tutto dal festoso clima natalizio. Venne coinvolto pure lo storico Sante Bortolami, nostro indimenticato amico e mntore, che present la sua opera prima sugli Statuti medioevali del comune pernumiano. Il tempo scorreva veloce, tra iniziative di vario genere e la caparbia ricerca sul campo, e il gi movimentato 84 si chiuse con un altro festoso traguardo, luscita del sesto quaderno con un impegnativo e promettente titolo: Territorio e popolamento in Bassa Padovana. Il volume di 280 pagine, abbondantemente illustrato, si presentava in veste pi che dignitosa e raccoglieva, per la prima volta, la somma di una decennale esplorazione di carattere archeologicodocumentario, archivistico e orale avente per oggetto gli insediamenti umani. Il coordinatore dellimpresa, quanto mai onerosa e condotta stavolta senza alcun aiuto n pubblico n privato, era stato al solito di Camillo Corrain. Innumerevoli le difficolt superate, ma alla fine il prodotto aveva compensato la fiducia riposta nella collaborazione e nella partecipazione della gente pi umile. Lidea-guida muoveva da un soppesato presupposto: che lambiente tardo medioevale del nostro territorio potesse essere simile a quello preistorico del Bronzo medio e tardo, umido e fresco con la formazione di paludi nelle conche naturali preesistenti. Poich cera la ragionevole convinzione che lattuale percorso dellAdige in epoca storica non avesse subito mutamenti di rilievo, se non nella portata delle acque legata alle fasi climatiche secche o piovose, era stata organizzata unintensa esplorazione sul terreno per individuare i segnali antropici e fisici di questa complessa realt. Va ribadito che linedito strumento per cui avevano preso avvio le indagini era la famosa mappa del Retratto del Gorzon: la sua straordinaria precisione, con la dettagliata elencazione delle localit minime e la traccia visiva di strade canali paludi e laghi, aveva infatti permesso un costruttivo confronto con la cartografia moderna. I risultati furono strepitosi: le ipotesi di partenza stavano trovando verifiche sempre pi attendibili e le pagine del sesto quaderno raccontavano per filo e per segno lincredibile avventura che, se confermata definitivamente, avrebbe costretto la storiografia ufficiale a riprendere in considerazione molti luoghi comuni dati per scontati, come il passaggio per Este e Montagnana del ramo principale dellAdige in epoca romana. Le prove fornite dagli estensori dei vari contributi erano comunque sufficienti ad aprire almeno un sereno e serio dibattito nella speranza di coinvolgere finalmente gli studiosi di mestiere. A noi bastava aver dimostrato che si poteva fare storia anche partendo dal basso, con lumilt di chi riconosceva pienamente i propri limiti, convinti insieme dessere testimoni di una conoscenza povera s, ma fondante, che viveva accanto alla tradizione orale e alla quotidiana e faticosa esperienza degli abitanti. Al diuturno esercizio sul terreno saffiancavano comunque lattenta documentazione bibliografica e lesplorazione darchivio, anche se qui le difficolt potevano aumentare perch occorreva (ri)prendere confidenza col latino, specie per i gruppi di lavoro intenti a indagare nei depositi parrocchiali, liberandoli dalla polvere secolare depositatasi sui registri pi vecchi. Stavano infatti resuscitando, come per incanto, i nomi e le vicissitudini sovente drammatiche che si accompagnavano al quotidiano degli antenati, restituendo il vero ritratto popolare della Bassa, senza infingimenti o voli pindarici. Era in atto unimportante collaborazione con alcuni docenti delluniversit di Padova, in particolare col prof.

Franco Fasulo, per uninchiesta a largo respiro sulla demografia della Bassa, nella prima et veneziana. I ricercatori, affinatisi nel metodo con seminari daggiornamento, avevano lavorato sui documenti di una ventina di paesi, da Castelbaldo a Masi da Santa Margherita dAdige a Solesino da Granze a Vighizzolo. Davanti ai loro occhi stava emergendo una dimensione esistenziale complessa e nientaffatto secondaria rispetto allavviata ricostruzione storica del passato nostrano. Sfogliando i preziosi tomi manoscritti, con le sequenze pluri-secolari di battesimi matrimoni e morti, silluminavano frammenti di una realt trascurata o travisata, come le correnti migratorie, le professioni o la tipologia familiare, le malattie e le epidemie, landamento dei prezzi o lavvicendarsi delle colture. La pubblicazione dellottavo quaderno nel dicembre 1991, intitolato Aspetti demografici in Bassa Padovana nei secoli XVI-XVII. Cronache costumi personaggi, conferiva cos alla Padovanabassa uno spessore criticamente aggiornato, resuscitando il positivo sotterraneo retaggio di una societ popolata da braccianti e fittavoli, da pastori e artigiani, caratterizzata dallintreccio dei soprannomi dei clan familiari, dallassuefazione a modi dessere tendenti a cristallizzarsi o a maturare assecondando gli eventi pi dirompenti come i rivolgimenti politico-economici, il tutto dominato da una presenza religiosa capillare, cadenzata da cerimonie e devozioni che hanno contribuito a sacralizzare fino a ieri ogni azione, individuale o collettiva, del mondo rurale. In effetti, con questa minuziosa indagine demografica, si chiudeva un ventennio straordinariamente produttivo, il giro duna generazione impegnata a contrastare o, meglio, a sostanziare in termini civilmente e democraticamente costruttivi la rivoluzione in atto nei comportamenti e nella mentalit della gente comune. In pi le plurime sinergie culturali col Sodalizio Vangadiciense, pure questo animato dallinstancabile operosit del Corrain, avevano sollecitato e favorito unosmosi produttiva, disattesa almeno in parte in tempi a noi vicini, tra le comunanze rivierasche atesine, sottolineando gli stretti rapporti economico-sociali che si perdevano nei millenni... Ma giunto il momento daffrontare lo specifico tema museale. * Dei quattro tratti decennali percorsi dal GBP potremmo intitolare il terzo Gli anni dei musei. Lidea di una raccolta museale serpeggiava dunque da tempo, direi anzi che nellintimo pensiero di Camillo Corrain le selci lavorate e gli inumati di Selva di Stanghella, la sua prima decisiva scoperta archeologica legata a un sito neo-eneolitico di straordinario rilievo per tutto il basso Veneto, dopo averli posti al sicuro nella torre campanaria della parrocchiale erano stati subito immaginati collocati in splendenti arche vitree da affidare alla reverente custodia dei paesani, vestigia inseparate dun passato tanto distante da saperlo ricreare solo con limmaginazione. Fu proprio questo seme fecondante a mettere germogli copiosi, crescendo essi lenti perch dovevano prima interrarsi saldi e profondi. Gli esempi trascinanti venivano dallottocento, dalle raccolte di anticaglie che il conte Vincenzo Fracanzani, podest di Este aveva avviato nel 1834, oppure dallalacrit antiquaria di Stefano Piombin, labate monseliciano cacciatore tra laltro dogni minimo reperto rammentasse lepoca venetico-romana, la cui prestigiosa e preziosa collezione conflu per volont testamentaria nel Museo Civico patavino. Era stata allora lindividuale perseveranza a conquistare lalloro museale, anche se le comunit locali, ma non tutte, avevano poi fatto proprio e difeso il lievitante retaggio. In qualche caso invece il deposito documentario accumulato con infinita pazienza si dileguato per grettezza di eredi o pel crudo disinteresse di chi avrebbe dovuto e potuto assicurarlo alla pubblica fruizione. Cito un solo esempio a dir poco singolare, che avrebbe mantenuto vivo in Padovanabassa un incredibile tesoro avifaunistico a monito dellassalto proditorio nei confronti della Natura perpetrato giorno dopo giorno dalla presente societ dissipatrice e avvelenatrice. Ho sempre amato curiosare tra i cataloghi delle case editrici specializzate in ristampe di opere ormai introvabili potendo fare scoperte impensate e istruttive, come i due grossi volumi riediti anni fa dalla Cisalpina Goliardica, firmati da Ettore Arrigoni degli Oddi e dedicati allornitologia dEuropa e dItalia. Lautore, che lavor per la milanese Hoepli nei decenni iniziali del novecento, era solito datare le poderose fatiche da Ca Oddo di Monselice perch nella villa padronale, rifatta ai primi dellottocento, aveva ammassato una strepitosa collezione sfortunatamente involatasi verso asili romani, impoverendo di unaltra insostituita tessera culturale la cittadina euganea. LArrigoni infatti affermava con orgoglio che <<nella compilazione di questo Libro, mi sono servito quasi esclusivamente della mia Biblioteca ornitologica di Ca Oddo presso Monselice e dellannessa Collezione: questa comprende parecchie migliaia dindividui, ed senza dubbio la pi importante collezione paleartica oggi esistente in Italia. Essa venne da me iniziata nel 1883; nei numerosi miei viaggi in ogni parte dEuropa dalle pi boreali alle circummediterranee, in oltre 40 anni di pazienti e fruttuose ricerche ho potuto mettere assieme un notevolissimo materiale di confronto e di studio, che mi stato molto utile.>> La provincia sapeva esprimere cos personalit di notevole rilievo, cultori appassionati (e appassionanti) di discipline che oggi tornano alla ribalta, dopo i traumi dellinquinamento e dello sperpero naturalistico, sotto la spinta del verbo ecologico che per ottenere i risultati sperati dovr prima farsi mentalit e costume diffusi. Quella riproposta dal Corrain era invero una malattia virulenta, che contamin lintera Padovanabassa, tanto che oggi un territorio piccolo come il nostro pu vantare uninvidiabile concentrazione museale: da Stanghella a Montagnana, da Este a Cinto Euganeo, da Carceri a Urbana, da Granze a Villa Estense, da Monselice a Casale di Scodosia tutto un susseguirsi di Istituti statali regionali provinciali e comunali che potrebbero meravigliare un foresto se non prendesse coscienza di un fatto inconfutabile: che a sostenere e a far maturare un fenomeno cos ampio e capillare fu anche la mobilitazione del GBP, che sugger e realizz modelli inusuali e originali accanto ad altre forme sperimentate e calibrate dai fondatori ottocenteschi.

Ciononostante, se un lettore partecipe ci chiedesse un resoconto dettagliato del definitivo bilancio tra progetti e realizzazioni, non potremmo negare qualche dfaillance, dovremmo ammettere che i sogni nel cassetto non si sono tutti avverati, anche se molto stato fatto e agli occhi dellosservatore equanime il nostro quarantennale cammino ha il sapore confortante di una marcia vittoriosa in apparenza senza ostacoli. Tra il 79 e l83, con unappendice nell86, prese comunque forma e sostanza il Museo civico etnografico di Stanghella. Fu una battaglia dura ma appassionante, che vide il Gruppo stringersi calorosamente attorno allinesauribile presidente, mentre io mi ponevo nello sperimentato ruolo di cronista capitato a indagare sui fatti e ne riferivo con solerzia, registrando s il punto di vista di casa, perseguendo invero una serena obiettivit impostami dalla deontologia giornalistica, rispettosa pure del settimanale diocesano con cui collaboravo. Nell84 pure lAtestino si vest a festa e ne tracciai la cronachetta riconoscendo, comera giusto, i meriti degli allestitori e le novit dimpostazione, auspicando unalleanza che, nel concreto, non ha avuto esito se non in maniera sporadica e quasi ininfluente. Casomai tentativi di colleganza nascevano al di fuori dellIstituto statale, per esempio con le Proloco o con similari organismi votati alla valorizzazione turistico-economica dei prodotti del territorio, dai cibi ai monumenti dal patrimonio paesaggistico allindotto culturale, rappresentato in primo luogo proprio dalla fitta maglia museale via via arricchitasi fin oltre il passaggio epocale dal secondo al terzo millennio. Nel dicembre 97, addirittura un decennio dopo la risistemazione (tuttora non definitiva!) del Museo stanghellano, ebbi occasione di leggere su il mattino di Padova, a pag. 9, un articolo firmato da Ferdinando Camon, un figlio illustre della Bassa, un autore considerato oggi un classico del novecento, nato e amato in Italia e fuori, nato e cresciuto a Urbana, un paesino forse troppo anonimo perch Camon lo proclamasse, almeno inizialmente, terra maternale, pur avendo ricavato da essa la linfa vitale dei suoi primi capolavori. Era, lintervento, una lettera aperta ai sindaci proprio di quel territorio che avevamo battezzato Padovanabassa, con le naturali entrature oltrAdige e nel Basso Veronese e Vicentino. Mi colp al punto da ritagliare il pezzo pensando di conservarlo a futura memoria. Eh s, perch nelle accalorate e doloranti espressioni rivedevo in parte il diario, evidentemente segreto (?), del GBP e della sua prolungata testimonianza culturale; ma mi chiedevo anche come mai al nostro Camon fossimo del tutto sconosciuti, immaginando che lo scrittore impegnato non avesse avuto modo dosservare quanto invece accadeva nella Bassa e proprio nella direzione da lui invocata. Fu una delle tante sottrazioni di cui eravamo vittime incolpevoli; chiss, forse perch non praticavamo i piani alti di un metaforico palazzo culturale, frequentati dalla intellighenzia pi o meno sinistrosa, lunica (?) abilitata a trinciare giudizi, a promuovere i meritevoli dattenzione e considerazione. Sarebbe bastato che Ferdinando Camon sfogliasse i quaderni rossi del Gruppo, che avesse la pazienza di farsi un giretto fino a Stanghella, che sacrificasse una o due ore del suo prezioso tempo per leggere il Catalogo-guida edito nel 94 con lausilio della Provincia e avrebbe temperato, cos almeno mi piace immaginare, il suo appello, in s totalmente condivisibile, considerando almeno che qualcuno aveva lavorato sodo, e da parecchi anni, realizzando una sia pur piccola parte di quanto auspicato e senza scomodare scrittori affermati o le voci di unaristocrazia intellettuale troppo spesso democratica e chinata verso il basso a parole. Dicevo del Catalogo-guida, firmato da me e da Corrain, anche se la parte di Camillo rappresentava la polpa prelibata dellopuscolo. Esso costituisce, pur nella sua essenzialit, un perfetto manualetto per una successiva visita didattica, raccontando con immagini e parole le sei sezioni in cui il museo si suddivide: lOsteria, le Officine rurali, la Sala della mappa del Retratto del Gorzon, la Sala dei documenti cartografici del territorio, la Sala della ruralit e la Sala della ceramica dal medioevo in poi. Litinerario conduce, con la coerente sequenza di oggetti carte e manufatti, alla scoperta della Bassa, riesumando suggestivamente gli aspetti salienti di una terra popolata soprattutto da contadini, anche se il termine non rende appieno la stratificazione sociale che comunque esisteva ed era operante sia nei centri minori o minimi che nelle quasi-citt, le cui brevi periferie, i borghi dantica menzione, pulsavano di vita artigianalcommerciale in osmosi con la campagna, quella campnea attribuita poi dai documenti medioevali alla giurisdizione dei nascenti comuni. Il visitatore si trova immerso, dimprovviso, in una realt altra, di cui magari conosce, a seconda dellet, qualche aspetto o ha in memoria i racconti familiari, e mentre si muove lento, lo vedo meravigliarsi per linventiva dei ruvidi facitori, capaci di conservare o innovare con intelligente duttilit oggetti e strumenti, adattandoli sinergicamente alla mano dellartigiano delle donne di casa o del contadino-bracciante, puntando allessenziale, senza inutili fronzoli, disdegnando quasi sempre lornato artistico, caro invece ai progenitori pi lontani, quando il segno-simbolo rappresentava per essi il necessario modo di comunicare con le entit divinizzate della Natura o con i santi-mediatori cristiani volendo ottenere la protezione celeste. Lunica eccezione visibile e godibile la ceramica, pure quella dozzinale, che pretendeva il coinvolgimento dellocchio oltre la pratica funzione di contenitori accanto allassai pi diffusa materia lignea, usata ancora oggi nella domestica utensileria da cucina. Tuttavia le centinaia di oggetti in s parlanti hanno bisogno di manifestarsi appieno attraverso la voce umana, necessitando intanto di una guida scritta quale approccio preparatorio allinsostituibile presenza di chi sa amplificare e raccontare. Linterprete massimo e pi genuino di questa familiare rappresentazione, vissuta nelle sale museali ogniqualvolta si aprono ai fruitori, senza dubbio lamico Camillo. Lho visto e ammirato pi volte, impegnato in una mansione che ha sempre sentito come piacevole obbligo, capace dadattarsi al pubblico presente, dalla scolaresca di ragazzetti curiosi e ciarlieri al gruppo smaliziato di professionisti rotariani in visita fugace. Egli usa larte dun attore consumato: piega la voce al tono suadente o al richiamo insistito, comunica con le mani, sceglie dun tratto lattrezzo strano, lo mostra in giro, lo fa toccare, fa domande, provoca, ironizza o scioglie la lieve tensione con frizzanti battute, con osservazioni

spiritose, sempre puntuale nella descrizione e informato. Dovrebbe proprio istituire unaccademia museale e insegnare leclettico mestiere a quanti lo praticano in maniera troppo spesso superficiale e approssimativa... Un altro decisivo apporto del GBP nel delineare un ritratto dal vero del territorio tra Adige e Colli Euganei testimoniato a Villa Estense, presso il Museo civico dei villaggi scomparsi. Il fenomeno, replicatosi nei secoli se non nei millenni e in regioni diverse e tra loro distanti, ha assunto qui da noi uno specifico rilievo alla fine del medioevo quando la tragica epidemia di peste nera, famosa per essere stata descritta da Giovanni Boccaccio nel Decamerone, capolavoro assoluto della letteratura nazionale, falcidi le popolazioni dEuropa, innescando una crisi demograficoeconomica che segn, al dire degli storici, lavvio del lento declino dellItalia dopo lpice due-trecentesco. In pi lo sviluppo urbanistico aveva gi determinato una parziale fuga dalle campagne di manodopera, richiesta da attivit manifatturiere e dal fervore edilizio (baster rammentare che le nostrane citt murate devono in genere le loro alte superstiti difese di pietra e mattoni proprio al XIV secolo), completato, labbandono, dalla fondazione di novelli insediamenti provocata o favorita dalle imponenti bonifiche iniziate nella seconda met del 500. Quattro sale attendono il visitatore (lultima riservata al Centro di documentazione); egli pu usufruire del Catalogo guida pubblicato nel 1999 grazie allintervento della Provincia tramite lallora assessore alla cultura Andrea Colasio, particolarmente attento e sensibile alle problematiche perorate dal Gruppo. Nella prima saletta ricostruito lhabitat del villaggio medioevale, sorto in genere tra i bordi rialzati delle paludi, i familiari dossi, e la trama insediativa romana: erano nodi topografici restituiti pure da toponimi come Calmana (dal latino callis magna, oggi diremmo strada statale o regionale) e Castellaro, nel significato di antico luogo fortificato, attribuendo a questultimo termine una valenza blanda, diminutiva, legata pi che altro a difese piuttosto elementari, con terrapieni e palizzate o fasce di vegetazione intricata e spinosa, da cui il termine frata. Numerose le localit recanti tracce di popolamento addirittura preistorico, riferibili di solito al Bronzo medio o recente, ripropostesi poi in epoca romana e altomedioevale. Le emergenze pi rilevanti sono rappresentate invece nelle due sale successive. La seconda sezione dedicata infatti a Santa Colomba di Ancarano, l dove la desinenza prediale -anus segnala un presumibile fundus romano dal nome del primo assegnatario, di solito un veterano dellesercito, rimasto vivo perch trascritto nelle tavole catastali dellepoca e trasmesso oralmente quando queste sono andate perdute, prova sia pure indiretta dellinconfutabile continuit abitativa, da supporre semmai, come si detto, alquanto rarefatta ma non scomparse. Le foto aeree mostrano il chiaro disegno perimetrale del fossato scavato a protezione del villaggio e dalla chiesuola, liniziale nucleo cristiano il cui titolo migrato da ultimo nellattuale parrocchiale di Villa associato a quello di s. Andrea. La tradizione popolare si incaricata di tramandare il ricordo giacch i vecchioni sostenevano dudire, la sera del 30 dicembre vigilia della festa di S. Colomba, un lontano rintocco di campane via via soffocato dal rapido propagarsi delle foschie sertine, flebile voce di fantasmi vaganti ricreati dallimmaginazione dei nostri nonni, un dono che oggi purtroppo ci negato. Nella parete a fronte fanno invece bella mostra di s i frammenti ceramici altomedioevali recuperati nel sito delloriginario villaggio di Villa di Villa con lantica sua pieve, nei cui pressi doveva sorgere pure il convento benedettino di S. Andrea. La terza saletta dedicata alla Cesazza del Finale (laccrescitivo qui non denota affatto spregio ma vecchiezza), localit citata in una pergamena del 1077 come villa Finale, la cui presenza devessersi estinta prima di consimili insediamenti ignorandone lesistenza le visite vescovili quattrocentesche; ne testimonierebbe oggi loriginaria ubicazione larea cimiteriale individuata dai cercatori del Gruppo, fertile pure di frammenti in cotto depoca romana (mbrici tegole anfore pesi da telaio) accanto alle diffuse tracce di vasellame datato fra XI e XII secolo. Nella parete opposta spicca la memoria oggettiva di Santa Cristina de Vescovana, ben documentata da carte risalenti allet medioevale di mezzo e da un disegno vergato sulla mappa del Peretti, una chiesetta miracolosamente restituita dalla risacca del tempo, spingendo quindi avanti i propri ruderi almeno fino al cinquecento, quando i suoi preti potevano ancora vantare diritti, penso decimali o livellari, su luoghi circonvicini. Completano la convincente ambientazione i reperti del villaggio scomparso, coprenti un arco temporale davvero cospicuo: dalle schegge silicee ai pesi fittili romani con tessere di mosaico tegoloni anfore e vetri, dalle fusarole preistoriche ai frammenti ceramici di vasellame duetrecentesco. La visita permette cos uninsolita immersione in un ieri millenario, tanto pi accattivante se consideriamo la povert dei reperti, trascurati in genere perch ritenuti irrilevanti, raccolti e ristorati da mani pietose, vestgia desistenze oscurate, cancellate dallinesausto rincorrersi delle stagioni, degne tuttavia dessere riscoperte e riproposte rappresentando meglio daltri documenti di faticoso vissuto degli antenati bassopadovani, un quotidiano spesso doloroso, impastato di terra e acqua, sospinto nel futuro di padre in figlio con coraggio e sotto il segno protettivo della Croce invocata e, chiss, pure maledetta, portatrice di amare sofferenze accanto alla speranza della promessa felicit ultraterrena. E dun angolo paradisiaco, immerso in una dimensione atemporale, occorrerebbe parlare dicendo di San Salvaro, il quarto pilastro delledificio museale del GBP. Questa seducente appendice di Urbana lho scoperta tanti anni fa, quando il progresso che ha scosso le nostre campagne non aveva ancora punteggiato di moderni edifici la strada daccesso n la fiancheggiava unincredibile pista ciclabile che dal centro del paese sincunea tra i campi, smorzandosi a ridosso del fiume Fratta. lo scorrere lento delle sue acque che rammento con vivezza, tra rive inselvatichite, alzate a protezione dun recesso monacale sorto su un vetusto tragitto unente la Bassa Padovana e Veronese, proprio al punto dincontro fra i comitati monseliciano veronese e vicentino istituiti dai franchi di Carlo Magno vincitore di Adelchi e Desiderio, ultimo re dei longobardi. Luoghi suggestivi, carichi di vicende appena intraviste nel silenzio delle fonti scritte, una storia dormiente in attesa pure questa dessere resuscitata.

Gi lesterno della chiesa incuriosisce per la salda compattezza, per la riproposizione in vista di stretti pertugi (le finestrelle romaniche originarie?), pei fregi in cotto, per la tozza torre campanaria; allinterno, a navata unica, la vista corre irresistibilmente verso labside nel cui catino si staglia imponente laffresco quattrocentesco (?) del Pantocreatore, di Dio Creatore dogni cosa, scampato, immagino pel soggetto intoccabile, alle manomissioni subite dal sacro edificio. nellala monasteriale restaurata dun fabbricato in rovina, acquistato da parrocchia e comune nel 1995, che si insediata alla fine degli anni 90 il Museo delle antiche vie della Bassa Padovana, lultimo nato della covata ma non meno importante ed evocativo. La Sala dei trasporti ricavata nel chiostro parzialmente ristorato: espone mezzi di locomozione per derrate su terra e acqua, con i finimenti degli animali da tiro. La contigua osteria, ripetizione non pedissequa della stanghellana, sta a significare col propinquo ostello laccoglienza che viandanti e pellegrini ricevevano dai monaci lungo itinerari fangosi e polverosi, minacciati da pericoli dogni genere. Nella superiore Sala della cartografia storica i pannelli documentano tracciamento e sviluppo degli antichi percorsi viari, mentre la Sala ergologica dellartigianato e del gioco di strada contiene attrezzi cari agli artigiani di campagna, con fvari marangoni e scarpari cui saffiancano gli strumenti adatti a coltivazione e lavorazione della canapa, un prodotto caratterizzante le valli nostrane, comandato e sorvegliato dalla Serenissima Repubblica che requisiva il raccolto dellintera Scodosia concentrandolo nella Tana, nellapposito magazzino di Montagnana; qui savviavano al lavoro molti fanciulli, privati per ci della felice libert dei giochi comunitari nelle corti di casa o nei quadrivi di contrada. Da ultimo la Saletta di processioni e rogazioni rammemora, se ce ne fosse bisogno, la simbiosi inestricabile tra presenza del sacro nella vita rurale e lavoro contadino, due mondi ciclicamente congiunti al temuto alternarsi delle lunazioni, legati a una concezione circolare e ripetitiva del tempo perfettamente assecondata dallanno liturgico e dalle cerimonie che la Chiesa officiava (e officia tuttora tra un gregge disperso) a vantaggio del credo cristiano ma pure in soccorso delle nfime necessit dei propri fedeli, ancorati a una visione esistenziale assai pi vicina alla Terra che al Cielo. Con lentrata trionfale degli amici di San Salvaro tra i sodali del Gruppo Bassa Padovana si concludeva un altro decennio di conquiste, onerose specie sul versante economico giacch le casse del Gruppo erano (e sono) regolarmente vuote n potevano riempirsi con le scarse sovvenzioni degli enti pubblici ai quali facevamo di necessit riferimento. Sentivamo comunque che un lungo ciclo stava per chiudersi, suggestionati pure dallimminente fine del secondo millennio: al terzo avremmo affidato nuove speranze e nuovi traguardi. Nel febbraio 2003 stato presentato al pubblico il Catalogo guida dellArchivio del Museo civico etnografico di Stanghella, edito dal comune e curato da Marco De Poli in collaborazione con Camillo Corrain e Francesco Bottaro. Nella premessa si sottolineava la variet dei fondi esistenti, dal pi rilevante detto Polcastro, donato dalla famiglia Centanini e originato dal cospicuo materiale amministrativo-contabile dellaristocratica schiatta veneziana, ai registri di controllo delle attivit produttive dellagenzia di casa Pisani inerenti alle estese propriet di Vescovana e Boara padovana, al fondo Tosato, una collezione di carte militari della Grande Guerra e di altro materiale topografico utilizzato per esercitazioni a fuoco. Lapplaudita cerimonia, immersa in una festosa atmosfera, aveva concluso la scoppiettante campagna culturale dautunno-inverno avviata nel 2002 con la rivisitazione del Centro di documentazione delle bonifiche romane di Granze, collocato in una nuova sede che speravamo di rendere funzionante con regolarit grazie al coinvolgimento dellamministrazione comunale, e col basilare convegno ospitato nellevocativa cornice medievale di San Salvaro, intitolato Problemi di assetto territoriale in epoca romana tra Brenta e Adige. Il qualificato consesso ha assunto ai nostri occhi unimportanza decisiva non tanto e non solo pei risultati messi in fila dalle esplorazioni del Gruppo e degli studiosi via via aggregatisi, quanto per la presa datto di autorit statali e accademiche, condividendo con la loro fattiva presenza un punto fondamentale: che la rivoluzione conoscitiva proclamata a gran voce dal GBP doveva essere finalmente recepita o, almeno, presa in seria considerazione. Decisivo, a mio avviso, il dibattito storico suscitato in Padovanabassa dalla scoperta di plurime centuriazioni depoche diverse e intersecantesi, legate al principale ramo atesino e ai suoi diversivi secondo una mappa innovativa che Camillo Corrain e collaboratori stavano ormai da troppo tempo riesumando sul terreno senza ottenere la dovuta considerazione. Dopo le ponderose elucubrazioni di studiosi e cercatori e vinta, forse, la prima vera battaglia di una contesa culturale che ci ha visto schierati da sempre in difesa dellinalienabile diritto di scrivere la nostra storia dal basso e utilizzando materiali autoctoni e in gran parte disattesi, una novit dolce e carezzevole venne a colorare un 2004 un po ingrigito dalla routine a cui qualcuno sera assuefatto. Esordiva infatti nellautunno il complesso etno-musicale Piva Piva Sona..., sorto in seno al Gruppo con lo scopo dichiarato di salvare e riproporre canzoni nenie e testi ballabili vivi fino a ieri tra la nostra gente, ricostruendo, quando possibile, limpianto musicale e ritmico che saccompagnava a queste espressioni del gusto popolare caratterizzanti momenti di lavoro di festa dintimit o di dolore. Il quartetto aveva preso la denominazione dal tarssaco o, meglio, dallimprovvisata e fragile piva sonante ottenuta (ah, quante volte lho fatto da bambino) spezzando il gambo con leggeri ripetuti piegamenti e canticchiando una nenia che parla, ma a me sembrava uninnocente filastrocca puerile, dei drammi tormentosi patiti, specie dalla popolazione rurale, lungo un ottocento pieno di fame di pellagra di sottaciuta prostituzione e di migranti in cerca di fortuna: <<Piva piva sona / to mare va a Verona / to pare va in preson / par on gran de formenton>>. Infine il 6 maggio 2007 inauguravamo ufficialmente la nuova sede del Centro di documentazione delle bonifiche romane di Granze con la gradita presenza di Simonetta Bonomi, una illuminata studiosa, gi funzionario della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, che sera spesa per la valorizzazione del nostro patrimonio dissotterrato, contribuendo a sedimentare lidea che le Raccolte municipali, se ben protette organizzate con criteri

razionali e regolarmente fruibili, costituiscono un bene culturale da difendere e potenziare. La prova ultima di questa apertura, che con Corrain ho tante volte auspicato, noi del GBP labbiamo vissuta durante la conferenza stampa tenuta nel giugno 2008 presso losteria del Museo civico etnografico, annunciante la ripresa degli scavi a Selva, proprio dove sono cominciate le straordinarie e incredibili vicissitudini degli scheletri sepolti in canonica. Se ne fatta promotrice Elodia Bianchin, altra amica acquisita che svolge il benemerito mestiere darcheologa e tutrice presso il Museo Nazionale Atestino. Il comunicato di stampa chiosava perfettamente un pellegrinaggio culturale di cui Camillo ha portato, con infinita pazienza e a guida simbolica, il fatidico bordone che sosteneva i romei in cammino per le antiche strade alla volta di Roma, la citt delle Sette Chiese basilicali, da due millenni culla pulsante e drammaticamente contradditoria del Cristianesimo, una sia pur problematica eredit che siamo spinti a rifiutare o di cui dovremmo addirittura vergognarci assecondando atei e materialisti oggi imperanti nonostante le cocenti sconfitte, sul versante socio-politico ed economico, delle teorie che li nutrono e li sostengono nella loro alterigia culturale fin dal secolo dei lumi. Che dire di pi! Il valore assoluto in termini archeologici e storici dei reperti salvati e rivitalizzati dal GBP stato confermato in maniera inoppugnabile, riproponendo casualmente alla fine dun operoso quarantennio una nuova scommessa: il definitivo e conclusivo disvelamento di una delle tante storie raccolte e raccontate in Padovanabassa da un Gruppo di persone dal semplice sentire ma coraggiose, che hanno accettato uneredit invisa al potere culturale delle categorie sociali egemoni perch aveva gravato le spalle di innumerevoli generazioni di contadini, di individui disprezzati per la povert e lignoranza, portatori invece dun tesoro immenso: la propria genuina umanit e unincrollabile fede in un avvenire migliorabile col sacrificio del lavoro... Ma giunto il momento, come in un racconto, dappendice allettante per i curiosi episodi e i colpi di scena, di scrivere la parola fine a queste paginette dialoganti e vagantive, a un canovaccio multicolore intessuto con i fili della memoria e aperto al contributo di quanti vorranno ritesserlo o prolungarlo, da affidare a mani giovani perch non sia possibile, mai, raccontare di noi con lavvio caro alle nonnine favellanti dei perduti fil: <<Cera una volta il Gruppo Bassa Padovana...>>. Nota alle illustrazioni. I reperti archeologici qui raffigurati sono conservati presso il Museo civico etnografico di Stanghella o nelle sue appendici territoriali, mentre i vari particolari cartografici riprodotti nelle immagini sono tratti dalla mappa catastale firmata dal perito Hercole Peretti.

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