Il crollo dell’Unione Sovietica. Fattori di crisi e interpretazioni
di Alexander Höbel
A più di dieci anni dal crollo dell’Unione Sovietica, i tempi per una analisi storica esaustiva di questo evento di enorme portata storica – che ha sconvolto, in peggio, il quadro mondiale – probabilmente non sono ancora maturi. Esistono, tuttavia, molti documentati studi successivi al crollo, oltre all’immensa bibliografia precedente. In questa relazione, si cercherà di fornire una “griglia interpretativa”, incrociando l’esame di vari fattori di crisi con quella di alcune tra le analisi più interessanti. Due elementi si possono dare per acquisiti. Il primo è il fatto che il crollo dell’URSS è un evento
storicamente determinato
, per cui le letture ideologiche circolate in questi anni – “crollo del comunismo”, “fine dell’idea comunista”, ecc. – sono fuorvianti e strumentali. Il secondo è proprio la complessità del problema, che rende inadeguata ogni interpretazione
unilaterale
, che isoli solo un aspetto del problema e lo assolutizzi, considerandolo la “causa vera” del crollo. Al contrario, una lettura che voglia tentare di comprendere questo che è un processo e non solo un evento, deve tener conto di una molteplicità di aspetti, cause, fattori di crisi. Vi sono infatti fattori
endogeni
, tutti interni all’esperienza storica sovietica, e fattori
esogeni
, indotti in vario modo dall’esterno; fattori
di “lunga durata”
, risalenti a processi storici di ampio respiro, anche precedenti la nascita dell’URSS o relativi alla fase storica nel suo complesso, fattori
“strutturali”
, che hanno caratterizzato la vicenda sovietica in modo più o meno persistente, e infine fattori
“contingenti”
, come gli eventi degli ultimi anni e mesi di vita dell’URSS.a) Fattori storici di “lunga durata”
1. L’immaturità delle condizioni di partenza; il problema storico dell’arretratezza
Il primo dei problemi storici di
lunga durata
che l’esperienza sovietica ha scontato è quello dell’
immaturità delle condizioni
oggettive, riguardo cioè alla possibilità di realizzare un esperimento socialista vincente nella “fase storica della borghesia”, e di farlo nella Russia arretrata e con mezzi di produzione rigidi, arretrati, parcellizzanti e difficilmente “piegabili” ad un processo di liberazione del lavoro. È noto che per Marx il socialismo si fonda sul
massimo sviluppo
delle forze produttive capitalistiche. Di qui la polemica dei menscevichi contro l’idea di portare “fino in fondo” la rivoluzione nella Russia del 1917. Replicando a Suchanov, nel 1923 Lenin afferma:
Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potuto creare innanzitutto quelle
premesse della civiltà
che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi
per poi
cominciare la marcia verso il socialismo?
.
1
V.I. Lenin,
Sulla nostra rivoluzione. A proposito delle note di N. Sukhanov
, in Id.,
Sulla rivoluzione socialista
, Edizioni Progress 1979, p. 588 (corsivi miei).
In sostanza, dunque, il primo compito che Lenin assegna al potere sovietico è quello di avviare la
modernizzazione
del Paese, ben sapendo che dal socialismo la Russia è separata da un abisso ma pure che occorre “gettare un ponte” su questo abisso, ponendo le basi dello sviluppo economico, culturale e politico, a partire dalla creazione di un nuovo “apparato statale” e di partito che possa dirigere questa immensa trasformazione
. Il che fu quanto poi si cercò di fare, pur con le distorsioni e i limiti noti, nei decenni seguenti. Tuttavia, l’arretratezza – non in termini assoluti, ma relativi al confronto coi paesi più avanzati – è rimasta nonostante tutti i progressi una tara che ha pesato su tutta la storia dell’URSS, sia come
handicap
di partenza, sia appunto come fattore da superarsi a tappe forzate (che racchiudevano l’equivalente di secoli dello sviluppo dei paesi occidentali) per costruire e difendere il socialismo. In questo senso, A.G. Frank parla di una “rincorsa per raggiungere i paesi più avanzati”, aggiungendo che “le cause dell’arretratezza dell’Est” vanno cercate “nelle differenze accumulatesi storicamente”
.Anche altri studiosi marxisti si sono soffermati sull’
immaturità delle condizioni di partenza
. Per Holz, l’URSS nei suoi primi anni “mancava di un’adeguata base economica; di una classe operaia fortemente sviluppata [...]; di masse maturatesi nella lotta per strutture statali democratiche e che fossero, poi, capaci di servirsene [...]; di un movimento culturale incisivo [...] come era stato l’Illuminismo in Occidente”.
In queste condizioni il Partito si addossò “quei compiti, sia amministrativi che educativi, che in condizioni ‘organiche’ di transizione [...] avrebbe invece assolto una classe operaia” matura: ne derivò “un apparato burocratico di partito – non come ‘deformazione’, ma come forma determinata che l’organizzazione dei rapporti socialisti di produzione doveva assumere”, data “l’immaturità economica e sociale del paese”. Nel secondo dopoguerra, “lo sviluppo fu orientato ancora una volta alla crescita della produttività sociale”, cosicché “la priorità economica fu riconosciuta agli investimenti nell’industria pesante; e il benessere individuale [...] dovette arrestarsi molto al di sotto dei livelli di una moderna industrializzazione complessiva”. Tuttavia, pensare “che la caduta del socialismo fosse già contenuta nelle contraddizioni che ne caratterizzarono l’inizio”, significherebbe trascurare il ruolo dell’elemento soggettivo nella dialettica storica
.Dunque l’esperienza sovietica è stata segnata sia da una
arretratezza relativa
(rispetto ai paesi occidentali), sia da un
modello di
sviluppo estensivo
(ossia basato sull’uso di grandi quantità di materie prime e forza lavoro, più che sul loro sviluppo qualitativo). All’inizio degli anni ’80, l’URSS costituiva una società industriale di tipo “fordista”, in cui gli operai erano il 61.5% della popolazione attiva, con 12.5% di contadini colcosiani e il rimanente 26% di impiegati, funzionari e intellettuali. Si presentava il problema di ‘una struttura socioprofessionale adeguata ai bisogni di un sistema scientifico-industriale [...] costretta entro un sistema produttivo ancora impantanato in un’età tecnica e
2
Getzler,
Ottobre 1917: il dibattito marxista sulla rivoluzione in Russia
, in
Storia del marxismo
, Einaudi 1978-82, vol. 3*, pp. 46-47.
3
Nel XVI secolo “l’Europa occidentale esportava già manufatti, mentre quella orientale esportava prodotti agricoli e materie prime”; a ciò va aggiunto l’oro americano che l’Europa occidentale usò “per pagare le proprie importazioni dall’Est e per colonizzarlo economicamente” (A.G. Frank,
Il socialismo reale: cosa non ha funzionato
, “Alternative”, 1995, n. 2, pp. 15-16).
4
H.H. Holz,
Sconfitta e futuro del socialismo
, Vangelista 1994, pp. 116-118, 128.
tecnologica antiquata’
. Al contrario, per i sostenitori della
perestrojka
, la contraddizione stava nell’inadeguatezza dei “rapporti di produzione” rispetto a “forze produttive” molto più sviluppate e complesse che negli anni ’30
.
Anche per Hobsbawm, i meccanismi economici e politici stabilizzatisi nel periodo staliniano – alto grado di centralizzazione, sviluppo prioritario dell’industria pesante, compressione dei consumi ecc. – erano serviti a trasformare un paese arretrato in un paese industriale, ma erano inadeguati rispetto alla società più avanzata che essi stessi avevano contribuito a creare
. Insomma, il problema stava nell’
incapacità di passare da un modello di sviluppo estensivo ad uno intensivo
, in cui – andando peraltro esaurendosi i surplus di forza lavoro e materie prime – avessero maggiore peso l’elemento qualitativo, gli investimenti ad alta intensità di capitale, la tecnologia avanzata
. Negli anni ’80, quando l’Occidente realizzava la “rivoluzione informatica”, questo mancato adeguamento sarà fatale.
2. La dialettica isolamento/integrazione rispetto al “sistema-mondo” capitalistico
La vicenda sovietica, naturalmente, non si è svolta “in laboratorio” o in un contesto
separato
dalla storia e dal mercato mondiale. Rispetto a quest’ultimo, si verifica un processo di rottura e di progressivo “riassorbimento”. Il rapporto tra URSS e “sistema-mondo” capitalistico – caratterizzato da un permanente “accerchiamento” e dalla dialettica isolamento/integrazione – si è sviluppato su tre direttrici: a) accerchiamento e
isolamento
sovietico; b)
confronto/competizione
con l’Occidente; c) graduale
integrazione
nel “sistema-mondo”.a) Inizialmente, l’
accerchiamento capitalistico
si esprime come
isolamento
dell’URSS e in una politica di aggressione nei suoi confronti. È noto l’intervento di truppe tedesche, britanniche, francesi, americane, ceche, giapponesi ecc. in appoggio alle “armate bianche” controrivoluzionarie nella guerra civile successiva all’Ottobre. Intanto “il governo bolscevico fu posto progressivamente nel più completo isolamento” e “un totale blocco economico si strinse attorno al paese”. Nei primi anni ’20, la Russia sovietica riuscì ad aprirsi qualche spiraglio nel “cordone sanitario” che la circondava, ma presto si ritrovò ancora isolata e accerchiata
. Ne seguì la decisione di avviare una massiccia industrializzazione, al fine di garantirsi una piena autonomia economica. Negli anni ’30, all’isolamento economico (e tecnologico) si aggiunge il nazi-fascismo e dunque un pericolo di guerra potenzialmente mortale. Quindi, l’aggressione tedesca e la seconda guerra mondiale, e poi quasi mezzo secolo di “guerra fredda”. Sul piano economico, fino agli anni ’70 l’URSS “costituì un universo separato e largamente autonomo [...]. Le sue relazioni con il resto dell’economia mondiale [...] furono sorprendentemente
5
M. Lewin,
La Russia in una nuova era
, Boringhieri 1988, pp. 39-40, 48-49, 56, 127 (corsivi miei).
6
A. Catone,
La parabola di un’idea: 1985-1990
, in AA.VV.,
Crollo del comunismo sovietico e ripresa dell’utopia
, Dedalo 1994, p. 156.
7
E.J. Hobsbawm,
Il secolo breve
, Rizzoli 1995, p. 577.
8
Cfr.
Class Societies: the Soviet Union and the United States. Two Interviews with P. Sweezy
, “Monthly Review”, 1991-92, n. 7.
9
Carr,
La rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin (1917-1929)
, Einaudi 1980, pp. 15-16, 19-20 e segg.; G. Boffa,
Storia dell’Unione Sovietica
, l’Unità 1990, vol. 1, pp. 132-135, 225-230, 242-243.
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