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Michele Marziani

La trota ai tempi di Zorro

2006 DeriveApprodi I edizione: maggio 2006 P.zza Regina Margherita 27, 00198 Roma tel 06-85358977 fax 06-97251992 e-mail: info@deriveapprodi.org www.deriveapprodi.org Tutti i diritti riservati Progetto grafico: Andrea Whr Immagine di copertina: ISBN 88-89969-07-5

Avere un doppio cognome a volte peggio che portare gli occhiali. Ecco i due crucci principali della vita di Stefano Baldazzi Morra. Il cognome e gli occhiali. Il cognome perch da bambini gi difficile averne uno di cognome, figuriamoci due, con maestra, supplenti, direttore e poi professori e presidi sempre a interrogarlo sullesatta posizione di Morra e Baldazzi. Sei un Baldazzi Morra o un Morra Baldazzi? Quanto avrebbe voluto essere un semplice Rossi o un anonimo Bianchi. Stefano Baldazzi Morra nato il sette dicembre del millenovecentosessantadue a Laigueglia, sulla Riviera di Ponente. Ed l che ha sempre vissuto, tra la spiaggia, la vecchia cittadina di pescatori e gli stabilimenti balneari per turisti sempre pi stagionati. Pap e mamma a Laigueglia cerano andati per il mare, perch a Emilia, sua madre, il mare scorreva nel cuore. Lei in fondo cera nata sul mare, ma su un altro mare, da tuttaltra parte: a Trieste. Con pap si erano conosciuti alluniversit, a Milano. Pap era nato pure lui a Laigueglia, ma la sua famiglia veniva dal Piemonte, quello vero. Precisamente i Baldazzi Morra, badava a dire sempre pap, venivano dalle colline del Roero, da Priocca dAlba. Pap per, era nato in Liguria ed era cresciuto in un altro Piemonte, dove gi si parla lombardo, a Gozzano, sul piccolo lago dOrta. A pap del mare non importava nulla, ma gli importava della mamma. Ecco allora che laureati di corsa, presa la
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prima supplenza ad Albenga, si trasferiscono al mare armi, bagagli e pancione della mamma. Gi, stavo arrivando io. Il doppio cognome insomma me lo sono beccato perch quello di pap. Quanto agli occhiali non so bene a chi li devo perch sia pap sia mamma li ho visti sempre con gli occhiali inforcati. Addirittura pap ne ha tre o quattro diversi per leggere, scrivere, guardare lontano, vicino e guidare la macchina. Cos a quattro anni sono stati la mia prima eredit: sono ipermetrope astigmatico (quasi un doppio cognome e come un doppio cognome non so mai se va prima ipermetrope o astigmatico). Beh, gli occhiali sono una sorta di calamit capace di attirare le battute e gli sghignazzi di tutti i miei compagni di scuola. Ma dai, dice pap, chi vuoi che negli anni Settanta faccia pi caso agli occhiali? Orde di bambini, pap. Almeno alla mia scuola. Forse anche per gli occhiali che mi piaciuta lidea di andare a vivere a Gozzano. Spero che l ci facciano meno caso. E poi Gozzano lho vista. Siamo andati a farci un giro per cercare casa. un posto bellissimo, non c lumido del mare, dice pap. Ci sono invece boschi e sentieri nei boschi e castagneti e il lago e i cavalli che sono degli Zucca, quelli che fanno il rabarbaro. E poi c un torrente, alberi di robinia dappertutto, da lontano si vedono le montagne, quelle vere, le Alpi. un posto dove staremo bene, me lo sento. Nel giugno del millenovecentosettantacinque, appena finita la scuola, ci trasferiamo da Laigueglia a Gozzano. La nuova casa in fondo a via dei Grissini, lungo la strada che dalla Gozzano vecchia, da via Regina Villa, conduce a Bolzano Novarese. La casa un po la somma dei sogni miei, di mamma e di pap. Io ho il giardino con la possibilit di tenere un cane, pap lo studio dove lavorare in santa pace e mamma una casa senza vicini con cui litigare. Gi, la nuova casa proprio una casa, una villetta, non un appartamento dove, come dice mamma, sul pianerottolo sincontra chissacch (di solito solo i signori Palladio, quelli che la mamma non sopporta proprio).
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A me non piacciono le case, le esploro sempre con diffidenza, ma questa grande, c tanto sole in giardino, le scale, la ringhiera, il garage che una volta era una stalla. Il garage immenso, dovevano starci almeno tre o quattro mucche visto che oggi c posto per lottocinquanta, la lavatrice e le riviste che pap un giorno o laltro butter via. Da oggi ci metter anche le canne da pesca. Gi, ho deciso che diventer un bravo pescatore. La canna e il mulinello li ho portati da Laigueglia, ma ho bisogno di spazio per quando comprer gli stivali, il cestino e soprattutto per tenere i vermi che mamma assolutamente non vuole in casa. Come alla fine non vuole neppure il cane. A Laigueglia non avevamo il giardino e le mie promesse di portarlo a passeggio al mare tutti i giorni non erano valse a nulla. Qui il giardino ce labbiamo talmente grande che ci tocca chiamare un signore a far ordine di tanto in tanto ma la mamma trova sempre delle scuse per rimandare. Mi consolo con il panorama dalla finestra di camera mia, mi piace proprio, se guardo in alto si vede una chiesa, si chiama il Castello, ma assomiglia a un maniero solo quando il sole sta per tramontare. Allora il Castello cupo, avvolto dai raggi aranciati del sole calante. Gli arbusti sulla montagna scompaiono e le vie intorno diventano fredde. Per a me piace guardare lo stesso, mi d la malinconia, ma la malinconia, dice pap, a volte pu essere un piacere. Glielo auguro perch a volte ne ha proprio tanta di malinconia. Al contrario della mamma che sempre allegra, anche quando non c proprio motivo. Giulio Baldazzi Morra, classe millenovecentotrentasei, laurea in lettere classiche, insegnante al liceo scientifico di Borgomanero (un treno da prendere tutti i giorni) e soprattutto giovanissimo (vista let media di certi ambienti) e promettente curatore dellantologia della lingua italiana per le scuole medie di Bruno Gobbi Editore, casa editrice di Milano specializzata in editoria scolastica. il pap di Stefano. Una bella famiglia, una bella moglie, una vita tutto sommato invidiabile e una nota di
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tristezza negli occhi azzurrissimi, quelli che Stefano, a differenza del doppio cognome, non aveva ereditato. A Gozzano stato lui a volerci tornare anche se non sapeva poi troppo bene perch. Se nera andato per lUniversit. Da allora aveva inseguito ostinatamente prima i suoi sogni, poi Emilia, la mamma di Stefano, poi Poi quellinsoddisfazione di fondo che mestava i suoi pensieri. E lo sguardo fisso sulla finestra dello studio, nella nuova casa di Gozzano. Il suo primo studio. Non un angolo di cucina, non un pezzetto di ripostiglio, non una porzione di terrazzo (sia pure sul mare), ma una stanza intera. Libri nelle librerie, finalmente. E una scrivania, non grande, ma di legno con la Lettera trentadue, nuova di zecca, azzurra, con la piccola scritta al centro e la scatola con la cerniera riposta dietro la sedia, pronta a partire in qualunque momento. Solo nastro nero, Giulio non sopportava i nastri bicolore nelle macchine da scrivere. E poi fogli, tanti. Un portapenne, la stilografica, qualche Bic, la foto di Stefano ed Emilia che lo guardano sorridendo proprio l, nellobiettivo della Rollei. Non aveva visto la guerra Giulio Baldazzi Morra. Aveva passato linfanzia a giocare e a mangiare pane bianco, ad Ascona, non lontano dal lago, dagli zii in Svizzera. Mentre lEuropa mangiava pane nero e a volte neppure quello, lui la guerra la vedeva sui giornali. Lavrebbe sentita raccontare dopo, dagli amici, dai genitori degli amici, da un intero paese che sembrava essere uscito da uno schiacciasassi, da un rullo compressore. Giulio no, era salito in macchina assieme alle sorelle, pap Amilcare alla guida, mamma Rosetta dietro con le femmine. Erano scesi a Locarno, poi via lungo il confine del lago e infine di nuovo in Italia. Siamo italiani, ricordalo sempre, gli aveva detto suo padre. Italiani un po pi fortunati degli altri, le macerie della guerra si facevano sempre pi fitte scendendo dal lago verso Gravellona con le fabbriche distrutte e i posti di blocco dei soldati senza divisa. Sono partigiani, sono loro che hanno liberato lItalia gli aveva detto ancora suo padre. In Svizzera, aveva pensato, i liberatori sono vestiti un po meglio. A dieci anni era ritornato italiano. E non pi
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un italiano di Laigueglia, del mare, come quando era bambino piccolo. Un italiano di Gozzano, in Piemonte, da bambino ormai grande. Ci aveva vissuto bene Giulio Baldazzi Morra nella Gozzano della ricostruzione. Poi si era allontanato di nuovo. Verso Novara per il liceo, verso Milano per lUniversit. in piazza Santo Stefano che ha conosciuto Emilia, rampolla prodigio di famiglia triestina, cocciutamente laureanda in filosofia. Che sguardo scuro, nero, luminoso come una meteora, un lampo Gli stessi occhioni neri di Stefano. Capelli corvini, lisci, morbidi come la giovinezza. Amarsi, studiare, laurearsi, sposarsi stato un tuttuno. E a Emilia piaceva il mare. A Laigueglia cera il mare e Giulio cera pure nato. E cerano anche le supplenze alle medie di Albenga. E Stefano nato subito, neppure il tempo di immaginare una casa e un bambino. Amilcare, suo padre, in realt spingeva perch facessero in fretta, pi in fretta. In fondo la gamba matta non si vede, ma ti ha evitato di fare il militare. Gi la gamba matta. Giulio aveva avuto la polio da piccolo ma se lera cavata, segno che aveva davvero fortuna, con una gamba leggermente pi corta dellaltra. Pi che un difetto sembrava una postura un po ancheggiante, quasi una parodia. Per non gli aveva impedito di amare la montagna, i sentieri, le sfacchinate. Laveva salvato dal servire la patria, ruolo nel quale, con tutti quegli occhiali sparsi per le tasche, si sarebbe sentito un po a disagio. Aveva provato una volta a immaginarsi a cambiar lenti di continuo sotto un elmo da bersagliere. No, di militare (e di militaresco) Giulio Baldazzi Morra aveva ben poco. Anche nelle idee: i Baldazzi Morra, diceva suo padre Amilcare, sono sempre stati socialisti, anche prima del socialismo. Gli unici socialisti, o quasi, di Priocca dAlba. E socialisti, nellidea di suo padre, significava anche pacifisti. O, comunque, contrari alla guerra. Eppoi con quattro paia di occhiali davvero difficile fare la guerra. complicato pure vivere una vita normale. Giulio Baldazzi Morra portava sempre una giacca di velluto di quelle da caccia con diverse tasche, ognuna delle quali occupata da una montatura con lenti diver9

se: per vedere vicino, lontano, guidare e leggere. Il problema era lestate perch la giacca pesava, ma gli occhiali da portare erano sempre quattro. Ai quali andava aggiunta la pipa che da qualche tempo Giulio si era incaponito a voler fumare al posto delle Nazionali Esportazione senza filtro. Per fortuna lestate sta finendo, pensa Giulio allimprovviso guardando fuori dalla finestra dello studio. I pomeriggi stanno cominciando ad accorciarsi. Lautunno iniziato assieme alla scuola e, nonostante il trasferimento a Gozzano, Giulio non riesce a mandar via quellinspiegabile irrequietezza che accompagna la sua vita da qualche anno a quella parte. Tutto era cominciato per caso, lentamente, senza motivo. I ragazzi a scuola non lo facevano pi sorridere, anzi, a volte la loro presenza lo infastidiva. Era come se avvertisse linutilit di quello che stava insegnando. Sar, aveva pensato, che insegnare italiano allo scientifico come insegnare matematica al classico. Significa stare al posto sbagliato. E si era cos gettato sulle carte, a divorare libri, ad ampliare quellantologia della lingua italiana che imperversava nelle scuole medie e, grazie ai diritti dautore, gli aveva permesso di acquistare la casa di via dei Grissini. Ma nemmeno i libri avevano per lui molto senso. Cos come lo stava perdendo la politica: grazie ai compagni della sua et, quelli che non riconosceva pi, il partito stava passando sarebbe accaduto di l a poco in mano a un borioso con gli occhiali (un paio solo, ma molto pi brutti dei suoi) e la ics nel cognome, tutti gli ideali infranti, gli operai arrabbiati nelle fabbriche e i primi sentori di qualcosa che stava avvenendo. Il serpeggiare di un malessere politico forte dal quale si sentiva tagliato fuori. difficile fare il giovane a quarantanni quando tutti i tuoi coetanei fanno i vecchi. E poi questa famiglia cos presente, cos necessaria e cos difficile da gestire. Dopo la nascita di Stefano con Emilia non era successo pi nulla, mai pi un momento di intimit. O quasi. Le rare, rarissime, occasioni in cui avevano fatto lamore lei era distante, assente, lontana. Talmente lontana che pure lui si era stufato di chiedere, di essere gentile, di
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provare a sedurla di tanto in tanto. Erano passati quattordici anni cos e non se ne erano neppure accorti. N loro, n gli amici. Chi avrebbe mai pensato che dietro Giulio e le suoe quattro paia di occhiali e la prorompente allegria di Emilia si nascondesse il silenzio dei sentimenti? Emilia Grandori amava Giulio Baldazzi Morra di un amore immenso, inossidabile, deciso da sempre. O almeno dalla prima volta che lui laveva guardata con quegli occhi chiari, silenziosi, quasi vagabondi, poggiati sopra una sigaretta spenta. Proprio come nei film, solo che Humphrey Bogart non aveva gli occhi azzurri. Da allora il suo stato un amore militante. Sopravvissuto a tutto, disposto a tutto. E sempre con allegria. Con lo stesso sorriso sulle labbra, con la stessa battuta di spirito o una dolce frase consolatoria, sia che Giulio lasciasse i calzini sporchi sul tavolo, sia che le chiedesse a bruciapelo di abbandonare il mare per andarsi a rinchiudere in un paese pieno di rubinetterie. Un posto con lumidit del lago senza neppure esserci affacciato. Un luogo che non pianura e non montagna. Non citt e non provincia. Un paese da operai, gli aveva detto. Gli operai sono lossatura del nostro paese, aveva risposto Giulio. Che imbecille quando faceva cos, quando buttava le cose di casa in politica. Daltra parte Emilia era comunista, militante, convinta, con la tessera e sugli operai non poteva dire nulla, neanche quando le scappava. In fondo lunico litigio vero, lei e Giulio, lavevano fatto quando lei pretendeva di andare la domenica mattina a vendere lUnit ai vicini. Porta a porta, come un piazzista di aspirapolvere. Con la sveglia che suonava prima dei giorni normali. Emilia amava Giulio e gli aveva dato vinta anche quella. Tra loro forse le cose non andavano sempre bene ed era molto tempo che non avevano pi occasioni dintimit. Daltra parte il bambino stancante, faticoso, completamente accollato a lei mentre Giulio scrive, insegna, entra, esce, si dimentica di andare a prendere Stefano a scuola. Eppoi a lei non piace, c qualcosa di sporco, di poco intimo, di ridicolo addirit11

tura in quella frequentazione di corpi, in quello scambio di nudit, di liquidi, di odori. No, a lei che pure da ragazza laveva desiderato tanto proprio non piace. Per fortuna col tempo Giulio ha smesso di chiederglielo e lei si sentita molto sollevata. Lui lamava lo stesso. Avrebbe chiesto il divorzio altrimenti. Si erano battuti tanto negli anni precedenti per far passare la legge. Adesso che avevano vinto se volevano potevano anche usarla la legge. E invece no. Stavano bene lei e Giulio. E lui in fondo non era neppure un grande amatore, magari non gli interessava neanche pi. Erano spesso pi insistenti certi spasimanti casuali che Emilia aveva occasione di incontrare, soprattutto al partito. Ma bastava che inforcasse gli occhiali o gli lanciasse unocchiataccia di sottecchi che subito tornavano in riga, al loro posto. Forse con il segretario, s proprio con Enrico Berlinguer, le sarebbe piaciuta una storia damore. Anche a letto se fosse stato necessario. Ma Berlinguer era una persona troppo impegnata, troppo perbene per preoccuparsi di fornicazioni. Proprio come il mio Giulio, pensava. Emilia Grandori aveva insegnato un poco storia ad Albenga, poco prima che nascesse Stefano. Poi le cose andavano bene e lei aveva preferito fare la mamma a tempo pieno. Tanto la laurea laveva e se le fosse tornata la voglia dinsegnare avrebbe potuto farlo anche pi avanti, una volta che Stefano fosse cresciuto a sufficienza. Altri figli no, non avevano voluto farne. Non era chiaro chi lavesse deciso ma Stefano bastava. Lei era figlia unica ed era cresciuta bene da sola. Molto meglio di Giulio soffocato da quelle sue insopportabili sorelle. E poi Stefano un bambino in gamba, un ragazzo ormai, e d tante soddisfazioni. Un po timido forse, un po troppo fissato con i libri, tanto che spesso bisogna mandarlo a giocare fuori per fargli prendere un po di sole. E poi bello, Stefano bello come suo padre, il padre di Emilia, che stato capitano di Marina. Un padre conosciuto in fotografia, mai tornato a casa dalla guerra. Emilia che era nata nel millenovecentotrentotto era troppo piccola per ricordarselo alla partenza.

Gozzano un paese che a volte piace e a volte no. Dipende con quali occhi lo si guarda e un po anche da dove lo si raggiunge. Di certo a quelli che arrivano in treno rischia di piacere di pi. La stazione piccola, appartata, quasi timorosa di dar fastidio allo scorrere delle cose. Da l si risale per viale Parona. Allinizio ci sono i giardini, un villino e poi su, da Villa Caprera, il viale sale, lentamente, verso il cuore del paese. Il cuore un incrocio, pomposamente chiamato Purtn, il Portone, anche se nella toponomastica ufficiale un nome non ce lha proprio. La mia vita e la mia casa per non centrano nulla con il paese. Anzi, in paese andiamo poco. Quando siamo arrivati sono venuti a casa il farmacista, il giornalaio, persino lAntonioli, a salutare pap che era tornato. A ricordare qualcosa di simile ai vecchi tempi. A conoscere mamma e a dirmi che bel ragazzo. Ma pap li ha guardati gentile di quel gentile che dice di non tornare. E loro non sono tornati. Mamma se pu non va a fare la spesa nei negozi, rimanda al sabato, quando c il mercato con le verdure fresche in abbondanza e la pescheria ambulante proprio in piazza. l che ho visto le trote, certe trote grosse e colorate che mi piacerebbe proprio pescarne una. E poi le tinche, dalla pancia gialla, quelle che piacevano agli antichi romani. E mamma sempre a comprare le sarde, a chiedere se sono fresche persino con le domande a trabocchetto. Dovresti saperlo, penso, che a Gozzano le sarde non possono essere fresche, siamo pi vicini alla Svizzera che al mare. Ma mamma testarda, lei il mare ce lha nel sangue e quando pu ce lo propina pure per pranzo. A me non piace il pesce, ma mi piace il mercato. Ci passo il sabato tornando da scuola. Non faccio religione lo sa che non mai accaduto in questa scuola? Ha spiegato il preside a pap e esco a mezzogiorno. Corro lungo via Gentile e sbuco in piazza. Ogni volta ho il fiatone e mi fermo davanti al banco del pesce. Guardo le code delle trote uscire dalla cassetta di polistirolo, sono veramente immense. Vuoi qualcosa ragazzino? Vorrei tutto tranne le sarde, penso. Ma sorrido e vado via, mi defilo tra i banchi con le arance e quelli con le mutande, raggiungo la biblioteca, salgo
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e trovo, come tutti i sabati, Elsa che sta chiudendo. A Elsa sono simpatico perch sono lunico che passa a trovarla. Fra qualche mese il comune non avr pi i soldi e lei non star pi in biblioteca. Io passo solo per vedere se ci sono dei libri nuovi. Non ci sono. Scendo allora in via Sottoborghetto e mi ritrovo, volutamente, ogni volta, di fronte alla vetrina del fotografo. Ce ne sono due di fotografi a Gozzano. Il pi importante di sopra in via Dante, la via principale. Poi questo con una stupenda Voigtlander in vetrina. Il mio sogno. Pap me lha promessa per il mio compleanno, ma lui promette tante cose che se ne comprasse la met non si entrerebbe pi in casa. Dopo il fotografo vado sempre in piazza San Giuliano. unaltra piazza, un po appartata. C un grande negozio di fiori dove la mamma ogni tanto passa per farsi un regalo. C il cinema dove danno i film pornografici, mi pare si dica cos. Pap mi ha spiegato cosa sono. Sul manifesto ci sono due grandissime tette con sopra due stelle per non farle vedere, ma si capisce lo stesso che tanta roba. Il film cambia ogni giorno. Di fianco al cinema ci sono portoni e cortili. Nei dintorni c pure lunica pizzeria. Mi piace gironzolare dopo la scuola fino a infilarmi in via Regina Villa dove le case sono un po meno belle, i portoni pi polverosi e ingombri di cose che sembrano un po da buttare e un po da tenere. Carrozzine tenute insieme dal filo di ferro, un grosso bidone di olio da macchina, una bici senza ruota, sacchi pieni di chissacosa. S, mi piace sbirciare dentro alle case, sentire gli odori di minestrone sul fuoco, il profumo del brodo di dado, sbirciare i panni stesi, le mutande che le guardi e sai quanto sono grossi i culi in quella casa In via Regina Villa poi ascolto parlare. Ascolto la radio, le radio, la televisione con il venditore di mobili, le donne che chiamano i bambini e lo fanno con altre parlate, con grida del sud. Via Regina Villa, dicono a scuola senza vergognarsi tanto, la via dei terroni. E infatti parlano tutti come gi, come a Peschici dove siamo andati un anno in vacanza, come in Sicilia, Calabria, Marocco Qui dicono Marocco e ridono. C un bar in mezzo alla via dove pap mi man14

da a comprare il vino con il bottiglione. Dice che buono, che Primitivo, il vino, il bar pure. Anzi, il bar sembra ancora pi vecchio dellet della pietra. il bar dellet della polvere. Sempre buio, puzza di vino vecchio e di uova, i tavoli e le sedie sono di formica rossa e al banco c un uomo coi baffi che mi ricorda un disegno sul banditismo che c sul libro di storia. In via Regina Villa mamma mi manda invece a comprare il pane. C un pane pugliese profumato, morbido, a volte gommoso ma colpa dellumido del lago, dice il fornaio. Apro sempre con attenzione la porta, mi sembra di vetro troppo sottile, con gli infissi di legno vecchio e la maniglia ancora pi vecchia. Ho paura che se entro troppo di corsa mi rimane in mano la maniglia e il vetro si frantuma. E qui a Gozzano, mi dice a volte mamma sottovoce, non ci vogliono troppo bene. Beh, se rompessi il vetro ci odierebbero anche i terroni. Terroni, s, in via Regina Villa ci sono solo terroni. Anche i bambini sembra che si comprino i vestiti in negozi apposta per essere diversi dagli altri. A scuola mi sento bene. Qui piacciono quelli che studiano. E agli altri li guardano male. un bel posto per uno che porta gli occhiali e si diverte sui libri. A casa posso fare quello che voglio. Non ho amici, non ancora. Mamma un po si preoccupa, ma a me non importa. Io sono stato solo anche a Laigueglia, ma lei non se lo ricorda. E passo molto tempo a camminare, a cercare le castagne arrivato lautunno e mi faccio pure spiegare da Berto, uno col cappello da alpino che incontro sempre nei boschi, a riconoscere i chiodini, i funghi che profumano di foglie bagnate e crescono in famiglie grandi, grandissime che se ne trovi una fai il risotto per tutto linverno. Mamma non vuole che porti i funghi. Non si fida. C gente che c morta, mi dice. Pap non c mai e io non ho pi voglia di chiedere dov. Sono preoccupato perch sento dentro qualcosa che non va. Anche se tutto va bene. Anche se sono felice. Tra due mesi sar il mio compleanno. Pap mi comprer la Voigtlander e Elsa, quella della biblioteca, mi ha promesso che mi fa insegnare dal suo moroso. alto, altissimo, il
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moroso di Elsa, ha i capelli lunghi, molto, e i vestiti un po stracciati, un eskimo vecchio. Si chiama Rodolfo, non parla mai, ma fa il fotografo professionista. Ogni volta che Elsa ne parla la calca molto questa parola, professionista. E io mi lascio impressionare, penso che chiss quante cose sa, quanti segreti per fare le fotografie. Lavora per un giornale che non conosco, che pap non legge. Si chiama Avanguardia operaia. Chieder alla mamma. Lei comunista e sa di operai. Chiedo alla fine a pap che mi dice che un giornale di ragazzi, come Lotta continua. Che vorr dire lo sa giusto lui. Io pensavo fosse cosa di operai. Guardo il telegiornale la sera alle otto. Ci hanno detto di farlo a scuola. Non mi piace. Preferisco i giornali, le notizie sembrano pi importanti con i titoli grossi e neri e le fotografie. E poi il giornale grande, bisogna saperlo piegare, bisogna sapere dove sono le cose importanti da leggere. Pap legge il Giorno e lAvanti, mamma legge lUnit. Al telegiornale ci sono le facce di quelli che parlano e le notizie importanti sono tutte allinizio. Comincio a capire di politica guardando il telegiornale. Perch l vedo i segretari dei partiti che dicono cosa pensano. A pap piace Sandro Pertini che non segretario, ma deputato. Credo che pap fumi la pipa da quando ha conosciuto Pertini. Lha detto una volta la mamma. A me piaceva Ugo La Malfa, mi sembrava che dicesse delle cose molto giuste. Poi un giorno eravamo a Stresa ad aspettare il treno per Milano e si fermato un treno svizzero che non doveva fermarsi. Si fermato per far salire Ugo La Malfa che era a Stresa anche lui. Pap si arrabbiato col capostazione e siamo saliti anche noi cos siamo arrivati prima a Milano. Per La Malfa non mi piaciuto pi, mi piacciono quelli che viaggiano coi treni di tutti gli altri. Poi una sera lo vedo, lo sento parlare. Enrico Berlinguer, il segretario della mamma. Glielo vedi negli occhi che non dice bugie, che non ferma i treni solo per s. Mamma dice che comunisti vuol dire tutti uguali. Anche i terroni di via Regina Villa. Anche i bambini magri con i vestiti strani. Tutti uguali, tutti
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a scuola, nessuno viene preso in giro. Mi piacciono i comunisti. Guardo Berlinguer e sono comunista anchio. Forse novembre. La scuola va bene e le castagne sono finite. Non manca molto al mio compleanno. Ho chiesto la Voigtlander e anche il cane. Pap e mamma parlano fitto la sera da un po di tempo. E non sono felici. Almeno pap. Un giorno facciamo una riunione in cucina. Dobbiamo parlare, dice pap. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, dice mamma. C qualcosa nellaria che non capisco e non lo capisco perch non sto mai a sentire i discorsi dei grandi. Sto diventando grande anchio, credo, ma tutto da unaltra parte. Te lo ricordi Giovanni? Chiede mamma. No, non me lo ricordo. E zio Luciano? Nemmeno. E poi chi zio Luciano che mamma figlia unica e pap ha solo sorelle? Zio Luciano il cugino di pap. Forse lho visto una volta e nessuno mi ha detto che era zio. Giovanni suo figlio ed un po pi piccolo di me. Non tanto, un anno o due. La mamma di Giovanni morta che lui era piccolo, mi raccontano. E ora zio Luciano sta male, molto male. Che malattia ha? Chiedo. Silenzio. Chiedo ancora. Silenzio di nuovo. Devessere una malattia davvero grave se mamma e pap non ne sanno neppure il nome. Beh, Giovanni viene a vivere con noi. Non con zia Clara o con zia Anna, che sono tanto indaffarate. Con noi che si vede che non facciamo niente. Arriva la settimana prossima. Andremo a scuola insieme, dice mamma. Giovanni mi porta via la stanza e anche la speranza di avere il cane. Dobbiamo volergli bene, lo so mamma. sfortunato e io devo fargli da fratello pi grande, lo so pap. Intanto per il sette dicembre il mio compleanno, ma le attenzioni, lo so gi, saranno tutte per Giovanni. Che io non ricordo e non conosco proprio perch non lho mai visto. Lo vedo una domenica mattina, Giovanni. Arriva in treno e siamo tutti a prenderlo in stazione. Io ho cominciato a farmi crescere i capelli e non mi piace lidea di radermi con il rasoio.
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Mi vergogno di quei quattro peli che mi crescono sulla faccia, ma ancor di pi ho paura di tagliarli. Mi sento ancora il ragazzino che correva per le vie di Laigueglia e allo specchio vedo questi sparuti pelucchi sotto il naso e sotto il mento. E i piedi che crescono pi in fretta del solito. Giovanni scende da solo dal treno con la valigia e un bel sorriso. Me lo aspettavo carico di infelicit e tristezza. Invece no, spaesato, ma non triste. Ed biondo. Non sapevo che potevamo avere dei parenti biondi. Giovanni non parla. Mamma gli fa complimenti e moine. Un po troppe, non un bambino Giovanni. Alla fine grande quasi come me. Io faccio tredici anni il sette dicembre, lui a febbraio, poco dopo. Per non siamo coscritti, dice pap, lui del sessantatr. Non parlo con Giovanni in stazione. Non parler con lui fino a domani. Mi limito a guardarlo. Lui fa altrettanto, ma pi sfrontato. Delle cose del mondo, penso, deve intendersene. Nel letto a castello lui sta di sotto. In fondo sempre la mia stanza anche se da oggi pure la sua. Vorrei chiedere ancora a pap della malattia di zio Luciano, ma sento gi il tic-tic della Lettera trentadue. Pap scrive nervoso. E dallo studio si sente anche la puzza della pipa. Non giornata. Se entriamo in confidenza lo chieder a Giovanni. Domani intanto andiamo a scuola insieme. Lui in classe con me perch ha cominciato la scuola un anno prima, perch sapeva gi scrivere. Giovanni Morra, un solo cognome. Niente occhiali. Mamma e pap lhanno gi iscritto. Adesso nella scuola quelli che non fanno religione sono due. Luned siamo in quattro a fare colazione. Giovanni respira forte di notte e ha i piedi che puzzano. Divora i biscotti cos velocemente che la mamma dovr comprarne il doppio. Sorride, ma a me non piace sorridergli. Non mi va gi. Gi mi tocca accompagnarlo a scuola che il primo giorno. Lui porta i libri sottobraccio, stretti con una cinghia. Io li metto nel tascapane da caccia che ho preso a pap. Mi sembra una cartella molto bella. Anche a scuola ha fatto colpo. Pure Giovanni fa colpo. Piera mi
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chiede chi quel bel ragazzo. Sar che lui biondo, sar che Piera ci capisce poco. Per mi rimane un po qui, nel gargarozzo. Altra cosa che non mi va gi, il pomo dAdamo. Meglio quando si piccoli che non c che quando arriva poi non sai cosa fartene e non va da nessuna parte. Giovanni come pap. Guarda fuori dalla finestra e non si capisce dove. Gli ho chiesto se voleva leggere il mio Corriere dei ragazzi. Gli ho detto che a me piace Valentina Melaverde e lui si messo a ridere. roba da femmine, dice. Il Miura mica una femmina, rispondo io. la prima volta che parliamo e non abbiamo cominciato proprio bene. Faccio finta di niente e gli faccio vedere la Storia a fumetti, me lha regalata pap e a me piace molto. Mi ha detto lo zio che hai una canna da pesca, dice Giovanni. S, ma non niente di speciale. Porto comunque Giovanni in garage a vederla. un po corta per le trote, dice. Sai dove abitavo, a Domo, andavo sempre con mio pap a pesca nel Toce. Appena guarisce mi ha promesso che torniamo. Ma lo dice con la voce strana di chi pensa che suo pap non guarisce. Vorrei chiedere ancora a pap, al mio, della malattia di zio Luciano, ma quando lo incontro gli domando dov questo posto che si chiama Domo dove viveva Giovanni. Pap ride di gusto da sotto gli occhiali e mi spiega che dovrei arrivarci da solo. Ci siamo anche passati andando in Svizzera. A me viene in mente Momo, ma Domo proprio no. Allora pap chiama Giovanni e gli chiede di dirmi dove abitava. A Domodossola, dice Giovanni. E il fatto di non aver capito un po mi umilia. E poi non mi sembra una cosa intelligente dare i nomi tagliati ai paesi. un po come se noi adesso abitassimo a Goz e andassimo pure a dirlo in giro. Comunque a me pap non mi ha mai portato a pescare e questo un po mi dispiace. A Laigueglia ci sono sempre andato da solo, sugli scogli, sul porticciolo Qui non saprei dove andare. Nei giorni che vengono mi tocca far vedere il paese a Giovanni e pure presentarlo, se incontro qualcuno, e dire che mio cu19

gino. Lui sa sorridere subito e rimane simpatico anche se non dice niente. A scuola piace alla Piera, alla Valeria, alla Silvia Tutte vengono da me a chiedere di Giovanni, a darmi i bigliettini da passargli. Io non glieli passerei, ma so che non giusto ed da poco che sono diventato comunista. E i comunisti vogliono le cose giuste, dice mamma. Giovanni pi bello, pi simpatico e pure pi alto, pi esperto in tutte le faccende. Sa aggiustare la bicicletta, fare i palloncini con la gomma da masticare, gioca a calcio, non porta gli occhiali. Che fai Giovanni, sei matto? Gli dico mentre lo vedo andare a fuoco, andare in fumo. Non ci credo, siamo in via Sottoborghetto e Giovanni sta accendendo una sigaretta. Dove lhai presa? Buttala via Giovanni sorride e dice che un anno che fuma, solo Muratti. Ma i tuoi non lo sanno? Mi lavo le mani e mastico un po di caramelle prima di andare a casa. Vuoi provare? Ho paura, mamma dice che il fumo fa male, pap racconta sempre di quando ha provato la prima volta e ha tossito per ore e la nonna gliele ha date di santa ragione e il nonno la sera lha ripassato pure lui con la cinghia. Dico che ho gi provato e non mi piace. Giovanni comincia a ridere Gi provato? Tu? Ma va Gli strappo la sigaretta di mano, lavvicino alle labbra, la prendo in bocca e tiro, tiro forte e sento il fumo che gira in bocca e non tossisco e divento rosso e tiro ancora e rid la sigaretta a Giovanni. Va l che non sai fumare lhai bagnata tutta, mi dice. A me sembrava gi bagnata. Vieni che ti faccio vedere e lo porto davanti al fotografo a vedere la Voigtlander. Fumiamo davanti alla vetrina, una sigaretta per uno, io ho paura che ci vedano, ma Giovanni dice che anche se ci vedono non se ne accorgono. Ormai siamo grandi, non importa a nessuno se fumiamo. Non credo che mamma la pensi proprio cos, ma non voglio fare la figura del fifone. Dal negozio esce Rodolfo, il moroso di Elsa, con le macchine fotografiche al collo. Ha una Rollei come quella di pap, una Hasselblad e una Olympus, nuova, bellissima. Ha la borsa con gli obiettivi. E gli occhiali che mi fanno pensare che anchio far
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il fotografo da grande. E leskimo verde, gli occhi stanchi, i capelli lunghi, la barba lunga, i jeans della Levis quelli che mamma non mi compra perch costano troppo, le Clark, i giornali spiegazzati che escono dalle tasche e quel profumo di oriente che mi sento stregare ogni volta che lo sento. Patchouli, si chiama, me lha detto Elsa. Come vorrei che Rodolfo fosse mio fratello. Come vorrei che ci fosse Elsa a ricordargli che quando avr la Voigtlander ha promesso di insegnarmi a fare le foto. Lui passa, ma guarda da unaltra parte e a me che voglio salutarlo mi si strozzano i saluti in gola. Chi ? Mi chiede Giovanni. un fotografo professionista, rispondo calcando anchio professionista come fa Elsa. Non se la deve passare tanto bene. E poi hai sentito come puzza? Pap a Domodossola ha un amico fotografo professionista che fa i matrimoni, si veste benissimo e guadagna un pacco di soldi. Un vero professionista non fa i matrimoni, rispondo. E cosa fa allora? Fotografa le cose che accadono, tutto quello che succede, le guerre, le ingiustizie e pubblica le fotografie sul giornale. Giovanni ha gi smesso di ascoltare. il sei di dicembre. Domani compio tredici anni. Sono andato almeno sei volte a vedere la vetrina del fotografo per vedere se pap ha comprato la Voigtlander che mi ha promesso. sempre l. Giovanni andato a trovare dei suoi compagni di scuola. Io non vado mai a trovare nessuno. Non che non ci vado daccordo e che non so cosa farci insieme di pomeriggio. Preferisco girare per il paese. Poi oggi ho paura che pap si dimentichi la macchina fotografica che mi ha promesso. E cos controllo il negozio. Fa freddo, non sapevo che facesse cos freddo in Piemonte. Piove sempre, per giorni interi. Ho imparato a camminare con gli stivali di gomma. E porto la sciarpa. E il cappello per le orecchie. Oggi non piove. Forse verr la neve. Forse verr pap a comprare la Voigtlander. Hai preso il regalo per Stefano? Lo sai che ci tiene tanto. Emilia guarda Giulio con aria di rimprovero. La domanda re21

torica. Giulio, sicuramente, si pure scordato che il compleanno di Stefano. E lui cos poco allegro da quando divide la camera con Giovanni. E anche cos taciturno, solitario, da quando ci siamo trasferiti a Gozzano. Sar let, rispondi sempre tu. Ma alla sua et io ero una ragazzina curiosa delle cose della vita. Mi piaceva invitare a casa le amiche. Cercavo occasioni di confidenza. Sai che ho chiesto a Stefano se voleva fare una festa con i suoi amici? Sai cosha risposto? Se ti fa piacere, mamma. Se fa piacere a me, ti rendi conto. Dai Emilia, lo sai che sempre stato un bambino un po speciale, un po sognatore, sempre con la testa sui libri, sugli insetti, sui disegni, su cose tutte sue Sei sicuro che voglia la macchina fotografica per il suo compleanno? In realt avrebbe chiesto anche il cane Lo sai Giulio che adesso non si pu. E poi inverno. E dobbiamo ancora abituarci a Giovanni. Ah, mio nipote sarebbe un cane Non intendevo questo. Gi Giulio aveva infilato la giacca e la porta, lo aspettava il regalo da comprare per Stefano. E non sarebbe stato un regalo a quattro zampe neppure questanno. No, Emilia non lo capiva pi quando parlava. O forse non laveva capito mai. Sar let, anche per lei sar let. Mentre lo dice sorride ed una smorfia di freddo. Forse verr la neve. Ecco, da mezzanotte il mio compleanno. Ho compiuto tredici anni e non nevica. Mi alzo come fosse Natale, per cercare da qualche parte, sotto un albero immaginario, il mio regalo. So che non sar un cane, conosco troppo bene la mamma. Non lo prenderemo mai, ne sono certo. Mamma ha un segno leggero sopra locchio destro, sembra un ruga, una piccola ruga. Invece la cicatrice di un incidente fatto in Lambretta con pap. Quando parla del cane quel segno sulla pelle si fa pi profondo, significa che non le va proprio lidea. Io penso spesso che quel graffio che rende la mamma pi bella glielabbia fatto un cane, di notte, nel sonno. Poi si sono inventati la storia dellincidente. In casa non c un luogo dove depositare un regalo di compleanno. Torno a dormire, oggi sono pi grande, posso aspettare. Temo
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per che non trover neppure la Voigtlander, ieri sera stava ancora in negozio. Giovanni dorme sotto, il letto si muove quando faccio le scale e lui si sente respirare ancora pi forte. Eccola, la trovo sul tavolo assieme alla colazione, la scatola della Voigtlander con il biglietto di auguri di mamma e pap. Pure Giovanni mi ha fatto un regalo. un disco. Io ascolto poco la musica. A Giovanni lha appassionato suo padre. Il disco sintitola Rimmel ed di Francesco De Gregori. Mamma cos Rimmel? Serve per truccarsi, risponde. Io guardo il disco e credo sia un disco da donne. Invece mi sbaglio perch Giovanni mi ha fatto conoscere i cantautori con quelle canzoni che ascolto dieci, cento volte e non capisco. E come sempre non chiedo. E immagino. La Voigtlander bellissima. Io faccio finta di essere sorpreso. E forse lo sono davvero perch pensavo che pap si fosse dimenticato di comprarmela. una macchina fotografica vera, con anche lesposimetro incorporato e la messa a fuoco a telemetro. Bessamatic c scritto sulla confezione. C la custodia in pelle, c un rullino intero da scattare. Il libretto delle istruzioni anche in italiano. Grazie pap, grazie mamma. ora di andare a scuola. Corriamo, io e Giovanni, per non arrivare tardi. E anche un po per sfida. Comincio a pensare che si possa stare bene insieme con questo mio cugino biondo piovuto da Domodossola non so ancora perch. Sono felice. il mio compleanno. Nel pomeriggio prendo la bicicletta e corro a Monte Rosso, a casa di Elsa. Devo stare attento a non farmi vedere perch mamma non vuole che vada cos lontano. E devo stare attento anche perch a Monte Rosso c sempre il ghiaccio e si scivola e oggi ho al collo la Voigtlander. Non sono pi un bambino. La Voigtlander non una macchina fotografica per bambini. Elsa non c, non cera neppure in biblioteca. Sua madre mi chiede se voglio entrare, me lo chiede in siciliano. Loro vengono da Palermo dove non si poteva essere comunisti. Racconta il padre di Elsa che bisognava dormire con la pistola sotto il cuscino per paura
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dei fascisti e dei mafiosi. Questa cosa della pistola sotto il cuscino mi fa paura ogni volta che la sento. No, grazie, aspetto di fuori. Faccio un giro a vedere se ci sono gli altri miei compagni di scuola che vivono nelle case popolari di Monte Rosso. Una sorta di ghetto, una catasta di brutti palazzi a fianco di una polveriera militare. Sopra c una montagna, piccola, brulla, ma sufficientemente grande per togliere il sole dinverno alle due del pomeriggio. Per questo c sempre il ghiaccio a Monte Rosso. Io ho freddo e Elsa non arriva. Mi siedo sulle giostre arrugginite, quelle messe dal comune per i bambini senza sapere che i bambini troppo poveri le giostre non sanno usarle, sanno mandarle solo in malora (lho sentito dire una volta dal nonno, quandera assessore). Cala la nebbia e in fondo al vialetto, dietro al cancello mezzo divelto, vedo Elsa e Rodolfo, mano nella mano. Corro tutto felice mostrando la Voigtlander come un trofeo di caccia. Rodolfo dice a Elsa che una macchina fotografica troppo importante per un bambino della mia et. Io un po mi offendo, ho pure un po di baffi. E tredici anni interi. Oggi compio gli anni, dico a Rodolfo. Lui sorride e Elsa mi dice che mi insegner a usarla. Verremo da tuo padre a chiedere se possiamo portarti un po con noi la domenica. Non c bisogno di chiedere, penso, ma non dico nulla. Rodolfo prende in mano la macchina, la sfiora, la guarda, inquadra cose vicine e lontane. Si vede che lui le sa usare le macchine fotografiche, la tiene con pi tenerezza della mano di Elsa. Questo per a Elsa non lo dico. Torno a casa convinto di aver passato il pi bel compleanno della mia vita. Racconto a pap che Rodolfo mi insegner a fotografare, che dovr darmi il permesso di andare con lui la domenica. Posso insegnarti anchio, se vuoi. Lo so che sei bravo con la Rollei, pap, ma Rodolfo un fotografo professionista, calco anchio professionista. Pap incassa, ma so che non felice. Daltra parte la verit che lui non avrebbe mai tempo per insegnarmi. Pap ha detto s. Posso andare con Rodolfo a imparare le foto. Si sono parlati nello studio. Elsa stata di parola. Ha portato
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Rodolfo con il suo eskimo e le sue macchine fotografiche. Sono arrivati un pomeriggio. Io e Giovanni eravamo da poco tornati da scuola. Eccoli. Suonano. Mamma va ad aprire e sorride, sa gi chi sono. Pap li invita in salotto. Parlano, ma non so cosa dicono. Pap mostra la Rollei. Si stringono la mano con Rodolfo. Vanno via, ma mamma mi strizza locchio. Si pu fare. Dopo Natale. Dopo le feste. Qualche volta la domenica, ridimensiona pap. Puoi portare anche Giovanni, mi dice. Ma quel puoi suona come un ordine: devi. Porter Giovanni, comincio a volergli bene. Giovanni ti insegner a fare fotografie, ti insegner tutto quello che mi far vedere Rodolfo. Potrai usare anche la Voigtlander, qualche volta, finch non avrai una macchina fotografica tua. Giovanni sorride, forse sa gi fotografare e non me lha detto. Sa fare tante cose, lui. Quando aprir la pesca ti insegner a pescare, dice. Cos siamo pari. Giulio perch non vai a fare una passeggiata? Magari compri due pasticcini per i bambini stasera? Sei sempre cos lontano, cos taciturno Ed un po di tempo che ti guardo. Non scrivi pi. Non leggi pi. Passi il tempo a fissare fuori dalla finestra. Ad accendere la pipa. A E poi lo sai che oggi hanno telefonato dalla Bruno Gobbi? Erano preoccupati. Dicono che sono mesi che non ti fai sentire, che la nuova edizione dellantologia indietro Mi hanno chiesto se stai male. Io non sapevo cosa dire Ecco perch ti interessi tanto a come passo il tempo, hai paura che non finisca lantologia e magari ci rimettiamo dei soldi Giulio inforca gli occhiali e guarda distrattamente Emilia, alza lo sguardo quel tanto che basta per sottolineare un po di sarcasmo. No, non vero, mi stavo preoccupando per te dice Emilia con un sorriso che Giulio finge di non vedere. Che forse proprio non vede perch gi alla finestra e non gli importa di sorrisi, di antologie, di case editrici, di Emilia. Il suo dovere lo stava facendo. Si era anche accollato la responsabilit di Giovanni. Forse era un po stanco, forse la primavera lavrebbe aiutato. Natale, si sa, non mai un momento felice.
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In primavera va sempre in montagna, diventa pi allegro, vedrai che gli passa si trova a ripetersi Emilia quasi soprappensiero. Natale non una bella festa. Questanno c da pensare ai regali. Stefano ma anche Giovanni. Li sento sempre parlare di pesca, che dici Giulio se gli compriamo una canna da pesca per uno? Tutte e due uguali? Parlano sempre anche di cani, lancia l Giulio sapendo bene di lanciare un sasso a vuoto. deciso, per Natale due canne da pesca. Partiamo che ancora buio con lottocinquanta che tossicchia un po prima di prendere il via. Guardo Giovanni e vorrei piangere, ma lui non piange. Non guarda. Non l con me sul sedile dietro. un bambino pi piccolo di me e non ha paura. Se avesse paura piangerebbe e saprei cosa pensa. Gioved pap arrivato col treno. Mi ha incontrato prima degli altri e mi ha detto: adesso Giovanni tuo fratello. Io non ho capito. Lui era stanco, molto stanco, glielo si leggeva negli occhi. Poi ha chiamato la mamma e si sono chiusi nello studio con Giovanni. E lui uscito senza dirmi niente. uscito dallo studio ed uscito di casa. Lascialo andare ha detto mamma. Avrei voluto rispondere che era mio fratello, ma non avevo capito. Sono uno che capisce tardi e a volte anche male. A sera abbiamo cenato in silenzio. Giovanni non cera. Mamma ha detto di non preoccuparsi. Con pap hanno parlato del funerale. Era morto zio Luciano, non lo avevo capito. Aveva un tumore al cervello, ecco perch non poteva tenere Giovanni. Lho aspettato Giovanni finch non tornato. Era sera e non piangeva e non parlava. E neppure io sapevo cosa dire. Io se morisse pap piangerei fino a finire le lacrime. Adesso siamo qui, stiamo andando al funerale. Per me la prima volta. Non lho mai visto un funerale. A Giovanni non lo chiedo, tanto a lui gi morta anche la mamma. C la nebbiolina sul lago. Pap guida ed vestito di nero. Non lavevo mai visto quel vestito. La mamma non si messa il rossetto. A me e a Giovanni hanno cucito un bottone nero molto grosso. Hanno discusso un po sulla fascia e sul bottone. Ci
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sono tante curve sul lago e io devo vomitare. Pap un po si scoccia, mamma lo calma: lo sai che Stefano non sopporta la macchina. Adesso tra le mura delle fabbriche di Omegna va meglio, la strada sussulta perch fatta con il pav (lho imparato quando leggevo della Parigi-Roubaix), ma non ci sono pi le curve e c un po di sole. Passiamo sopra lo Strona e lacqua luccica, lo guardo dai vetri appannati dellottocinquanta. A Crusinallo ci sono le bandiere rosse fuori dalle fabbriche. Pap chiede a mamma, ma lei non sa niente. Lui sorride, vuol dire che lei poco comunista, ma stamattina glielo risparmia. Pi la strada si avvicina a Domodossola pi le fabbriche diventano grandi e dai camini esce il fumo. E non un fumo bello. Alcuni camini hanno il fumo nero, altri degli odori densi che entrano nella macchina. In una fabbrica si vede il fuoco, tanto, come unimmensa fiamma ossidrica, altrove ci sono torri di ferro, tralicci, bocche di fuoco, camini, puzza E in fondo la montagna, la neve, i ghiacciai, le cime. Come due mondi, dice pap che commenta. Ecco a sinistra una fila di case di montagna, tante, tutte uguali, sembra un villaggio svizzero, coi comignoli e le finestre con le persiane in legno Sono le case della Sisma, spiega pap. Sono le case costruite per gli operai, per farli scendere a valle dalle montagne e farli vivere vicino alla fabbrica. La Sisma unacciaieria, una fonderia, qualcosa di simile. Un posto dove a lavorare si prende la silicosi, dice ancora pap. E poi si muore. E io non capisco perch ti costruiscono le case per farti morire. un mondo strano che non avevo visto mai. Anche un funerale un mondo strano di gente vestita di nero che parla sottovoce e piange in silenzio. E se provi a parlare ti dicono sss Pap saluta alcune persone, altre vengono da mamma, molti abbracciano Giovanni, tutti dicono qualcosa che suona male, stonato, sbagliato. Non mi piace e non posso dirlo a nessuno. Comincia il funerale dice qualcuno. Pap e mamma litigano sottovoce, non gridano ma si vede che non sono daccordo. Qualcuno dovr portarlo il ragazzo, sento dire da mamma.
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Pap resta fuori dalla chiesa a leggere il giornale e fumare la pipa. Giovanni e la mamma entrano. Io non so. Ci provo. Inginocchiati, sento bisbigliare. Inginocchiati prima di entrare. La signora parla con me, bisbiglia con gli occhi, segnati con lacqua, ripete due volte Io ho paura e esco di corsa. Da dentro arrivano una cantilena solenne e lodore dellincenso. Qualcuno ogni tanto esce a fumare e si sentono forti le parole del prete. Ci guarda, a me e a pap, chi esce a fumare. E noi siamo l, fuori dalla chiesa e vogliamo bene a zio Luciano e soprattutto a Giovanni. Salga da questaltare, cantano a squarciagola le signore col velo nero. Pap appoggiato al muretto della chiesa e io vorrei parlargli, ma anche lui che non entra in chiesa sta in silenzio e se deve dire bisbiglia. Arriva la macchina dei beccamorti e si spalanca la porta della chiesa. La macchina con la bara dello zio apre la strada, dietro c lottocinquanta di pap, dietro ancora un sacco di macchine. Zio Luciano si fatto voler bene, commenta mamma guardando la fila. Si fa ancora molta strada. Il funerale a Domodossola non si sa chi lha voluto, ma al cimitero di Fondotoce ci voluto andare lo zio. Cos si scende per Premosello con la gente ai lati della strada che mormora preghiere e scongiuri. E li vedo pap li ho visti con i miei occhi quelli che si segnano e quelli che si toccano. Stiamo seguendo la macchina della morte, piano piano, per una strada che scorre pi bassa del treno, che scivola in paesi silenziosi, che arriva a un lago, un altro, il Mergozzo, dove ancora c nebbia, c silenzio. Giovanni non parla, io non parlo. Pap e mamma dicono cose, ma come se non parlassero. Non avevo mai visto un morto e neppure il silenzio che pu fare. La macchina dei beccamorti, quella con zio Luciano, frena allimprovviso e dietro ci fermiamo pure noi. Mi giro e leffetto a catena. Mi viene da ridere a pensare la notizia di un tamponamento al funerale. Una volpe! una volpe! grida Giovanni che ha visto un animale sgusciare davanti alla macchina dei beccamorti. Porta fortuna, dice ancora Giovanni. La volpe
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porta fortuna, lo diceva mio pap, adesso Giovanni piange e io gli voglio bene. Non so cosa fare ma gli voglio bene. E voglio bene anche alla volpe che ci ha fatti uscire dal silenzio. Vorrei dire a Giovanni che la volpe gli porter fortuna, ma so che non mi ascolterebbe. E poi io non sono sicuro, non so bene cos la fortuna. Ripartiamo tutti per raggiungere un piazzale di ghiaia lungo un rettilineo. Non c niente di l della strada. Di qua un cancello e dentro un cimitero. Io non sono mai entrato in un cimitero, ma credo che questo non sia diverso dagli altri. Mamma non entro, pap non entro, ho paura. Non fare lo sciocco Stefano, accompagna Giovanni. Non ci penso nemmeno mamma. Dai, fa il bravo. Mamma ho paura. Paura degli scheletri, dei morti, dei fantasmi, dei fuochi fatui Non c niente di tutto questo, dice mamma, ma non sorride. Ha paura anche lei a entrare. Io non voglio proprio. Se avessi la Voigtlander, farei delle foto e sono sicuro che sui negativi ci sarebbero i fantasmi senza lombra. Lo so, lho visto in un film. Se non vuole venire lascialo qui, in fondo cosa cambia dice pap alla mamma. Lei si stizzisce, ma smette di insistere. Io non voglio entrare. Non entrer mai al cimitero di Fondotoce. Non torner pi in questo angolo di mondo. E aiuter Giovanni a non tornarci pi. inverno ma come se fosse caldo. Guardo in alto e c un monte ferito a morte, ha una parte che non c pi, sassi, pietre strappati via dalle gru, dai cavi, da non so cosa un monte triste. il Montorfano mi dice pap. In un giorno solo ho visto la morte, ho visto Domo, ho visto un cimitero, un monte distrutto e sono diventato fratello di Giovanni. E pensare che sarei ancora quasi un bambino. Questo non lo dico, neppure a mamma. Hanno finito, saliamo in macchina e torniamo a casa. sera, notte, buio, umido, pap vorrebbe fermarsi a mangiare la pizza, mamma gli ricorda che io vomito quando viaggio. Arriviamo la sera tardi, ma andiamo a mangiare la pizza a Gozzano, da Patac, lunica pizzeria, sono tutti del sud e chiudono a mezzanotte. A me piace il calzone ripieno, anche Giovanni mangia di gusto. Tra poco Natale, poi si cominceranno le foto. La morte finita.
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Anche per Giovanni. Lo guardo mangiare la pizza e lo so. mio fratello adesso. Secondo Giovanni la pesca alla trota apre pi o meno per carnevale. La festa a scuola labbiamo gi fatta. Le canne ce le ha regalate pap per Natale. Dovremmo esserci. Forse ci vuole la licenza, dice Giovanni. Forse. Forse ci vogliono anche altre cose. marted pomeriggio, prendiamo le canne da pesca e andiamo in paese, al negozio di pesca. Stiamo un po davanti alla vetrina a guardare. Ci sono cose di caccia e cose di pesca. Canne, mulinelli, bobine di filo, coppe, piume, un libro che si intitola A pesca coi campioni, retine, reticelle, cestini di vimini e una lampada da campeggio. Sulla porta c scritto che la pesca alla trota apre domenica. Entro io? Entri tu? Ci guardiamo in faccia, abbiamo la stessa canna da pesca. Entriamo insieme. Vogliamo sapere cosa fare per andare a pescare. E pure dove andare. Il negoziante ci guarda, ci prende sul serio, ci spiega che dobbiamo fare la licenza, basta il versamento e domenica potete pescare, tremiladuecento lire, a testa, io e Giovanni pensiamo ai nostri risparmi. Poi ci vuole la lenza, il filo sul mulinello, i piombi, le girelle che sono le girelle? Vedere per favore gli ami del numero sette, i vermi. I vermi? In negozio si comprano anche i vermi. vero, ce li fa vedere, sono dentro alle scatole dello yogurt, se lo sapesse la mamma Abbiamo tutto, abbiamo speso tutto. Sappiamo dove andare a pesca. SullAgogna. Il negoziante ci ha fatto anche la mappa. Giovanni dice che se ne intende, ma secondo me ne sa poco anche lui. Domani si va a fare un sopralluogo, subito dopo la scuola. Prendiamo le biciclette, freddo, inverno. Scendiamo lungo la strada di San Lorenzo, c la chiesa immersa nella bruma, gli alberi sono spogli, se parliamo facciamo condensa. Eppure adesso, ci hanno detto, si prendono le trote. Arriviamo sullAgogna, lacqua luccica, il sole sta per tramontare, il rumore delle cascate mormora nel cervello, quello che sento un brivido ma non so se di freddo. Giovanni guarda la cascata, ha capito qualcosa che non mi dice. Io vedo gli
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alberi senza foglie e le spine dellacacia. Se fossi un bravo fotografo come Rodolfo ti farei una foto adesso Giovanni, con gli occhi nellacqua e lacqua negli occhi. Torniamo domenica e ci divertiamo, te lo giuro. Non c bisogno che giuri, lo so anchio Giovanni, la sento lacqua, la sento eccome. Non sei mai tornato a casa a questora, non sei mai uscito senza dirmi dove andavi Non c rimprovero negli occhi di Emilia, c sconcerto. Giulio la guarda con gli occhi di chi non riesce a sentire. Dove sei stato? Hai bevuto? Era una festa? C unaltra? Lo sai che non mimporta, lo sai che non sono gelosa Dai parlami. Non c motivo, n donne, n altro in questo ritorno allalba, infreddolito, sudicio di sudore, di vomito forse, di freddo nei vestiti. C il vino che batte in testa, vino cattivo, di quello che Giulio non berrebbe mai. Dove sei stato? Dove sono stato? Non lo so Emilia, non so Che importanza ha se la notte Giulio lha passata nellosteria di via Regina Villa, a bere Primitivo e Sicilia, a pregare con gli occhi il gestore di non chiudere, di non mandarlo via, di non? Poi la notte finita, il vino salito nello stomaco assieme al freddo, le scale erano tante, il garage vicino, ho dormito in garage Perch ero l? Perch ci sono andato? Non lo so, Emilia. Non mi manca nulla eppure tutto mi sfugge dalle dita Non riesco a dirti adesso Non parlare Giulio, vai a letto. Pu succedere a tutti Non a me, Emilia, non a me Il vino sbocca da solo, sfiotta sul tavolo di via dei Grissini, un vino nero denso che puzza di zucchero e alcol, un vino inadatto a quel tavolo C il vuoto, ma un vuoto profondo, lucido, lubrificato dallalcol, negli occhi di Giulio, c il silenzio degli occhiali a proteggerlo, c la paura, labbraccio di Emilia, gli abiti sporchi, la vergogna di una sera imprevista, il battito delle gambe che reclamano sedia e letto Lo guarda Emilia e non capisce davvero. No, mai aveva visto il suo Giulio cos. Forse zio Luciano, ma non erano poi cos legati. Forse Giovanni, no, ci sta cos volentieri. E Stefano? Lo adora. La scuola? No, non si mai visto uno ubriacarsi per colpa di un liceo di provincia Lanto31

logia da consegnare forse? Forse stato un caso, una brutta serata, un po di stanchezza, la compagnia sbagliata. Non laveva visto mai Giulio cos accasciato sulla spalliera della sedia, con addosso il puzzo della strada, e i capelli che gli cadono sugli occhi, lo sguardo vuoto, la giacca a terra e lorologio Gi lorologio Giulio, dov il tuo orologio? Lho buttato. Come hai buttato lorologio di tuo padre? Non andava, non andava pi, stringeva il polso, era vecchio Ma era un Longines No, era solo vecchio Giulio, non ti capisco. Non mi hai capito mai, voleva vomitargli con rabbia Giulio, ma invece un conato di vomito vero invischia di nuovo sedia e tavolo Fatti una doccia Dopo, adesso ho sonno, mi appoggio un po qui Dopo Abbiamo preparato tutto. Pap ci ha dato anche un libretto che regalano i distributori dellAgip pieno di consigli per la pesca. Mamma ci ha fatto un sacco con la merenda se ci viene fame e ha detto che domattina ci prepara un termos di t, se si sveglia. Abbiamo controllato: licenza nuova di zecca per me e per Giovanni, canne da pesca, cestini (il mio di plastica verde, Giovanni ha quello di vimini di suo padre, secondo me un po gli pesa, non perch grande, ma perch gli ricorda zio Luciano), vermi, ami, fili, piombi, le forbici multiuso comprate alla Standa di Borgomanero, stivali, calzettoni di lana pesante, eskimo, maglioni, sciarpe, berretti, la sveglia alle cinque che alle sei, anche se buio, vogliamo essere al Bachitn, la grande buca, quasi un laghetto, che c sullAgogna. Giovanni dice che le trote, dinverno, si prendono l. Non dormo per tutta la notte, controllo che la sveglia sia puntata davvero, mi giro nel letto, sento il respiro di Giovanni, sento pap che gira per casa, vado a controllare lattrezzatura, vado a vedere la caffettiera (vista loccasione mamma ci permette di mettere un po di caff nel latte), stringo la vitina degli occhiali con il cacciavite di pap, non vorrei si rompessero proprio il primo giorno di pesca, prendo la Voigtlander, cerco uno zaino dove metterla, voglio portarla sul torrente. E se poi cade in acqua? A Rodolfo non cadrebbe. Ma a me
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s, ne sono sicuro. La rimetto via. Torno a letto. Non mi ero mai accorto che la sveglia facesse tanto rumore. Tic-tac, tic-tac, guardo lora, le due, mi giro dallaltra parte. Mi alzo. Cerco il latte condensato, trovo il tubo nel frigo e comincio a succhiare. Finalmente le cinque. Chiamo Giovanni e in un attimo siamo in cortile. buio, mamma non si alzata per il t, tiriamo fuori le biciclette dal garage e partiamo. Giovanni prendi una pila. Gi, meglio. Eccome se meglio, prendiamo la strada per San Lorenzo dal cimitero ed buio, molto buio. Con la pila si intravedono le ombre degli alberi che si richiudono al nostro passaggio. Anche con i guanti ho freddo alle mani. Leghiamo le biciclette a un cancello, chi mai lavr messo un cancello per andare in riva a un torrente? Sento il rumore dellacqua vicino. il mio primo giorno di pesca alla trota. La lenza gi pronta. Lha fatta ieri sera Giovanni. Guarda Stefano, mi dice, ti faccio vedere come si infila il verme sullamo. Prende un lombrico e lo tiene stretto tra le dita, poi lo trafigge con la punta e lo fa scorrere sul gambo. Zac, lamo scomparso dentro al lombrico che si contorce selvaggiamente. Facile, penso e prendo un verme anchio. Attento che sono scivolosi, stringili bene. Me ne sono accorto gi caduto nel prato. Ne prendo un altro, ma si arrotola tutto, non riesco a infilare lamo. Giovanni mi spiega che per quelli di citt vendono anche degli aghi apposta perch proprio non sono capaci a mettere il verme. Io non sono mica uno di citt, penso, ma intanto non ci riesco. Il primo lombrico me lo innesca Giovanni. Io imparer pi tardi. Il cielo si fatto meno scuro e al Bachitn, oltre a noi, ci sono altri pescatori. Qualcuno accende un fuoco. C il ghiaccio sulla punta della canna ed difficile lanciare. Non si prende niente stamattina, dice un signore nascosto dietro al fumo di una sigaretta. Ma tu non sei il figlio del professore? domanda. Del professore con due cognomi dico Baldazzi Morra? Chiedo io che sono abituato. S, s, Baldazzi Morra S, sono io Ciao, io sono Mario Giurati, il pap dellAntonella, Antonella
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Giurati, che va a scuola da tuo padre E cos ti piace la pesca? il primo giorno, ma credo di s, mi piacer molto Fa vedere come peschi Ah ma se fai cos con lacqua bassa prendi poco Ci vuole il filo fine, il galleggiante La lenza da fondo come la tua va bene in montagna Un giorno che ci incontriamo sul fiume ti spiego bene Salutami il tuo pap, ricordati, Giurati Stefano corri, lho presa, grossa, vieni ad aiutarmi Giovanni che urla come un dannato in fondo alla buca, ha la canna piegata e pure lui non sembra tanto dritto Vado vicino e guardo il filo che parte dalla canna e si inabissa in acqua e in fondo un lampo giallo che si gira, la pancia della trota, credo. Faccio fumo dalla bocca mentre parlo. Giovanni cosa devo fare Devi prenderla quando la porto a riva Giovanni suda. E se non sono capace e la perdo? Non la perdi, devi afferrarla forte, sotto alle branchie, prendi uno straccio magari. Ecco cosa non abbiamo, penso, lo straccio. Mi tolgo il fazzoletto dalla tasca. Entro in acqua con gli stivali, sento il freddo fuori dalla gomma, intorno ci sono anche i pescatori grandi, ma non parlano. La vedo la trota di Giovanni che arriva verso la sponda, grande, enorme, ha una pancia gialla, il dorso scuro e da sotto la superficie dellacqua si vedono dei pallini rossi, arancioni forse. Le giro intorno, mentre Giovanni indietreggia sulla riva, anchio adesso sudo, vedo la testa fuori dallacqua, arrivo con il fazzoletto, stringo forte e sollevo il pesce, sento tutta la potenza dei muscoli della trota che vorrebbe divincolarsi. Io non posso tradire Giovanni e stringo forte e tiro il pesce sulla riva. Giovanni lascia la canna e corre a prendere la trota. Arriva un pescatore adulto e ci dice uccidetela, senn soffre Come si fa? Chiedo a Giovanni, ma lui non ascolta, guarda il suo pesce che ormai un po anche mio. Devi sbattergli la testa su un sasso, dice il pescatore. Giovanni lo sa, se lo ricorda, prende il pesce con due mani e lo sbatte su un grosso masso. La trota si irrigidisce, cola del sangue sulla pietra. Giovanni la lava nellacqua del torrente. Io la guardo incantato. Bella bestia, sar mezzo chilo, dice il pescatore dietro di noi. Prendi il metro Stefano. Eccolo. Fa quarantatr centimetri. Sai
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che la pi grossa della mia vita? ansima Giovanni. Per me bellissima. Non avevo mai visto un pesce come quello, cos liscio, lucido, possente, con la schiena cupa, la pancia giallastra, i puntini neri e rossi sui fianchi, le pinne lunghissime e la mascella pronunciata, possente come quella dei salmoni canadesi dei documentari. Guardo il cielo, c aria da neve, freddo. Giovanni felice. Chiss se lo prender mai anchio un pesce cos? Cara Cosetta, scrive Emilia, con tratto sicuro, rotondo, in quella domenica mattina, con i ragazzi a pesca e Giulio fuori, a prendere giornali e caff. Guarda il foglio, sorride e prosegue: So in questi anni di esserti stata poco vicina, di averti scritto poco, di non essere mai venuta a trovarti. Per, credimi, oggi che ho bisogno di confidarmi con una persona cara ho scoperto che tu sei la migliore amica che ho e che abbia mai avuto. Spero allora che mi perdonerai se ti scrivo solo in questo momento per me cos difficile. Tu mi conosci bene e sai di quante poche persone mi possa fidare. In questioni che riguardano Giulio poi non posso neppure confidarmi con mamma. Non voglio fartela troppo lunga. Giulio malato. Non so se di una malattia grave, non so neppure se una malattia. Non so, Cosetta cara, neppure come scriverla questa cosa senza mettermi a piangere. E pensare che abbiamo fatto tanto, io e te come tante altre donne, per non trovarci pi ad aver paura, a piangere, ad aspettare sole in casa. Bene, cercher di essere forte, di dirti le cose come sono, anche con la crudezza necessaria. Giulio, il Giulio che tu conosci, il Giulio che amo, beve, si ubriaca. Non in compagnia, non con gli amici. Da solo. Inizialmente la sera, adesso anche di giorno, nelle peggiori osterie del paese. Mi hanno anche telefonato un giorno per andarlo a prendere. Lui non parla, non dice nulla. La mattina dopo sembra normale. Va al liceo, insegna, torna a casa, si chiude nel suo studio, magari parla un po con i ragazzi, legge. Poi di colpo esce, sparisce e non torna se non di notte, a notte fonda e puzza di vino. E non parla. Laltra sera mi sono arrabbiata per provare a fargli dire qualcosa. Ha tentato di
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spingermi via, non gli riuscito, mi ha chiesto scusa, si messo a piangere. Non so bene quando abbia cominciato, ma so che dura da tempo e peggiora sempre pi. Credo che persino in paese ne parlino. Cosetta io sono sola con un figlio quasi adolescente e Giovanni, il figlio del cugino di Giulio, che come sai, oggi vive insieme a noi. Sono sola e non so come fare. Dimmi qualcosa tu che hai sempre trovato le parole giuste. Ti abbraccio, la tua amica Emilia. Che sciocca, mandare via una lettera bagnata dalle lacrime, pensa Emilia mentre piega il foglio e chiude la busta. Sul lato destro lindirizzo di Cosetta, ben scritto. In alto a sinistra il mittente con quella via via dei Grissini cos difficile per Emilia da ricordare, da riportare come casa propria. Forse avrebbe dovuto spiegarsi meglio, forse doveva essere meno sbrigativa a spiegare langoscia di Giulio, la sua malattia, ma Emilia aveva solo lurgenza di scrivere a Cosetta, non di fare un trattato, non di perdersi in lunghi distinguo. Le parole non erano mai state il suo forte, specie quando erano troppe. Sono quasi le sei del pomeriggio, siamo sul torrente da questa mattina allalba. Giovanni ha gi catturato sette trote, compresa quella colossale. Io niente, neppure una trota piccola piccola. Forse la pesca non fa per me. Il torrente un viavai di pescatori che si salutano, che mostrano le catture, che si siedono attorno ai fuochi accesi per far fronte al freddo. Adesso il verme credo di saperlo infilare sullamo, ma non mi serve a molto. Giovanni soddisfatto e mi dice di insistere. Io ho provato dappertutto, sono stanco. Lancio lontano, sotto a un albero spoglio che protende i rami in acqua. Su unacqua che sta diventando cupa perch ormai quasi buio. Appoggio la canna a un muretto e guardo la punta. Giovanni cammina nellacqua. Stai attento, porca miseria, mi hai mosso il filo Guarda che io non ho toccato niente, dice Giovanni. un attimo, il filo si tende di nuovo e capisco che in fondo, laggi, un pesce sta mangiando lesca. Tiro con forza, la canna si piega, mamma mia come si piega, sento qualcosa in fondo che tira, si muove, non ne vuol pro36

prio sapere di venire a riva. Stefano fai con calma, mi sussurra Giovanni in un orecchio, credo che sia grossa. Io tiro e lei non viene. Faccio s con calma, ormai quasi buio, ma ne intravedo la sagoma sulla superficie dellacqua. unombra enorme, sembra uno squalo con quella silhouette scura, ombrosa, piena di rabbia e di sconcerto. Vedo la schiena con la grossa pinna salire in superficie. Adesso sudo, tanto. Ho paura di perderla, di perdere il pesce pi grande della mia vita, la mia prima trota Non so come fare. Vedo la spiaggetta e istintivamente indietreggio e faccio scivolare piano la trota sulla sabbia della riva. Eccola che esce dal suo elemento, eccola allasciutto, sto per andare a prenderla, ma lei fa due salti e si slama. Sta per tornare in acqua, ma Giovanni ci si butta sopra con tutto il corpo, la schiaccia, lafferra, la stringe. troppo bella per lasciarla andare. lunga, molto lunga, scura, quasi nera, magra, molto diversa dalla trota che ha preso Giovanni la mattina. Ha dei puntini rosso fuoco sui fianchi che si vedono anche adesso che quasi buio. Sar otto etti, dice Giovanni, pi grossa della mia. Non pensavo nemmeno che ci fossero delle trote cos grosse nellAgogna, dice un pescatore che arrivato attirato dal trambusto. Giovanni tutto sporco di sabbia e tiene in mano la mia trota che diventata anche un po sua. Una per cominciare, una per finire, dice soddisfatto. La misuriamo, fa quarantasei centimetri davvero grande. La mia prima trota la trota pi grossa che stata pescata quel giorno in tutta lAgogna. Smontiamo tutto, mamma ci star aspettando. Incontriamo il Giurati che fuma, guarda le trote che abbiamo preso e dice che siamo stati i pi bravi di tutti. No, non dice proprio cos. Dice che abbiamo avuto pi culo di tutti, ma lo dice con ammirazione. la prima volta che un adulto mi prende davvero sul serio. S che mi piace la pesca alla trota. la mia passione. Prendiamo le biciclette e andiamo verso casa, ma passiamo dal centro, da via Dante. Ormai lo sanno tutti che abbiamo preso le trote pi grosse e ci fermano tutti per vederle. Le abbiamo messe nel cestino di Giovanni, quello di vimini, quello di zio Luciano. Nel mio la trota che ho preso non ci
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stava proprio. Non ti abituare troppo bene che cos grandi non si prendono mica tutti i giorni, dice Giovanni. E chi se ne importa. Siamo noi che abbiamo preso le trote pi grosse dellapertura. Io e Giovanni. Siamo una forza io e te insieme. Puoi dirlo fratello. Gi, da oggi siamo fratelli, fratelli di pesca. Ci sono pap e mamma sulla ringhiera, allaperto, quando arriviamo. Forse sono un po preoccupati perch buio, ma non lo dicono. Pap sta fumando la pipa, mamma lo abbraccia, ha messo il poncho di lana e sorride. Indovinate cosa abbiamo preso? Niente. Ma va l niente. Guarda qui pap, sette le ha prese Giovanni, ma la pi grossa lho presa io. Bisogner pulirle, dice mamma entrando in casa. Siamo tutti sporchi, abbiamo sabbia, terra, fango dappertutto e un freddo polare che sul fiume non sentivamo. Vi preparo il t che non vi ho fatto stamattina, dice mamma. Meglio una cioccolata, che dici? Dico che quasi ora di cena. Ma dai, hai visto che pesci? E che pescatori Ci mettiamo tutti a ridere. La pesca d allegria, il fuoco nel camino d allegria, anche pap sorride con i suoi occhi chiari e io sento laroma della pipa che si spande per casa. un odore strano, di tabacco, ma anche di tessuti, di sudore, di cognac, di tante cose. Che belle risate, che grande giornata lapertura della pesca alla trota del millenovecentosettantasei. Da segnare sul diario, da raccontare a scuola, da fotografare Cavolo, la Voigtlander. Porca miseria, non ha il flash. Arriva pap con la Rollei, ci ha pensato anche lui. La guardo spesso quella foto in cui io e Giovanni teniamo in mano le trote e le canne da pesca davanti al camino. Nella foto c uno spruzzo di fango sui miei occhiali e Giovanni ha la faccia da pescatore. Pap fa anche una foto a mamma mentre fa finta di essere lei ad aver preso le trote. Fa una bella smorfia la mamma in quella fotografia. Cioccolata calda, biscotti, foto, bagno in due nella vasca e in un attimo ci addormentiamo. Anche la giornata dellapertura della pesca alla trota finita. Domani scuola.

Professore, ancora lei, che piacere averla qui Sei sempre gentile Carmelo, dammi un bicchiere di Sicilia, mi metto qui a leggere il giornale Per Giulio Baldazzi Morra, la vecchia osteria di via Regina Villa diventata il salotto di casa. Poco importa che ci siano solo vecchi ubriaconi che giocano a carte e polvere sui tavoli di formica e vecchi croissant imbustati nel cellophane e bicchieri unti pieni di ditate prima ancora che di vino. La luce bassa, lodore intenso, di vinaccia mista a vomito, la parlata lenta, cadenzata, spesso pugliese, altre volte calabrese, altre siciliana. Giulio ci stava bene in mezzo a quellumanit silenziosa. Ossequiosa ma di poche parole. Di giorno, in unosteria, ci si va per stare in pace, non per far baccano. Ognuno ad annegare nel vino il proprio silenzio interrotto, al massimo, dalle bestemmie di una carta calata sbagliata sul tavolo di briscola. Non sapeva Giulio perch o cosa lo spingesse l, armato di libri e giornali per dare un tono alla sua presenza. Ed era certo entrando, ogni volta, che non avrebbe bevuto pi di un bicchiere. Gli piaceva il luogo, la gentilezza di Carmelo, la posizione in disparte, il vezzo di mescolarsi coi terroni, con gli immigrati, con la gente che ai gozzanesi piaceva davvero poco. A lui stava piacendo poco Gozzano. Eppure era stato lui a volerci andare, a trascinarci Emilia, a convincere Stefano. Ma non gli piaceva pi, non sapeva che farci, non sapeva dove girarsi nello studio troppo grande di via dei Grissini, nel treno troppo affollato per andare a Borgomanero, nelle chiacchiere troppo impegnate della sala insegnanti, nelle lettere pressanti delleditore che chiedeva gli ultimi aggiornamenti per lantologia. Cera qualcosa che ronzava fuori dalla sua vita, cera quella rabbia insolita e a tratti incomprensibile che animava i giovani, cerano le piazze cariche di protesta. A Gozzano non cera nulla, persino gli operai non scioperavano anzi si portavano il lavoro a casa. E lui si sentiva vecchio per la rivoluzione, stanco per ricominciare qualunque cosa, troppo solo per proporre a Emilia qualsiasi cambiamento. Un altro, Carmelo. Professore non che le fa male? In vino veritas. Che cazzata stava dicendo. S che faceva male, allo stoma39

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co, ai pensieri, a Emilia con cui non riusciva pi a parlare, a Stefano e Giovanni che chiss cosa penserebbero se lo trovassero l. Ma non l due ore fa. L adesso con la testa che si fa di piombo, i pensieri che hanno la stessa pesantezza dellalito. I libri che forse sono caduti per terra. Gli occhiali appoggiati sul tavolo. Vuole che laccompagni a casa professore? Pi tardi Carmelo, pi tardi, magari quando chiudi. Non star in pensiero la signora? No, Carmelo, stai tranquillo. Va bene, laccompagno dopo, per mi faccia un piacere personale, smetta di bere per oggi, troppo vino fa male. In vino veritas. Anche troppa verit fa male. Se devo smettere portami lultimo Carmelo. Va bene professore, lo offro io, ma mi prometta che lultimo. Hai visto Carmelo, anche oggi c stato un agguato delle Brigate rosse Non cos che si fa la rivoluzione, quelli, con tutto il rispetto, sono figli di signori. Gi, sono figli di signori. Anchio sono figlio di signori, pensa Giulio, e com, vorrebbe chiedere a Carmelo, che io figlio di signori me ne sto qui, tra voi, tra i figli del popolo Il professore andato pure oggi, lasciamolo dormire, Concetta, mettigli una coperta sulle spalle. Certo che i signori il vino lo reggono proprio poco. Quando serve pap non c mai. Chiss dove si cacciato. venuto Rodolfo a chiedergli se domattina pu passarmi a prendere. sabato, ci sarebbe scuola, ma a Novara c una manifestazione di operai, viene anche il segretario del sindacato. loccasione giusta per cominciare a insegnarmi a usare la Voigtlander, gli ha consigliato Elsa. Per Rodolfo una giornata di routine. Lei s che una grande amica. Voglio il permesso da pap e non lo trovo. sempre in giro. Mamma dice che ha degli impegni di lavoro. Una volta quando lavorava molto era sempre in casa. Io unoccasione cos non me la perdo, mamma dimmi tu se posso andare domani a fare le foto. Mamma guarda Rodolfo, lo so che non le piace. Ha i capelli lunghi e lorecchino e a mamma non piacciono le persone cos. Nemmeno se sono comunisti come lei. Lo so che un giorno di scuola, ma ho pro40

messo a Stefano che gli avrei insegnato e ho sempre poche occasioni per mantenere la promessa, dice Rodolfo a mamma quasi per scusarsi. Lei gli chiede se vuole un caff. Non una manifestazione importante, non succeder nulla, il giornale mi ci manda e cos avrei un po di tempo per Stefano, viene anche Elsa. Bravo Rodolfo! Alla mamma Elsa piace, si fida di lei, una brava bibliotecaria, dice sempre. Preferirei chiedere a Giulio cosa ne pensa, prende tempo mamma. Va bene, potete telefonare a me stasera, dice Elsa con un sorriso. Ma stasera pap non c e siamo punto a capo. Mamma, vorrebbe venire anche Giovanni domani a far le foto, ma se pap non torna come facciamo a dirlo a Elsa Cosa dici Stefano? Scusami ero distratta Sei sempre tanto distratta, lo so, ma sono quasi le dieci di sera. Beh, pap sar stato trattenuto, magari da qualche collega. S, ma io voglio sapere se posso andare. Mamma chiama Elsa e dice che possono passarci a prendere, a me e a Giovanni. Mi raccomando, sono due ragazzini, la sento bisbigliare. Per la pesca ormai ci ho fatto il callo ad alzarmi presto e la sera mi addormento, ma per la nostra giornata fotografica non riesco proprio a prendere sonno. Che invidia Giovanni, lui dorme sempre, si sveglia solo quando deve. Io controllo la Voigtlander, la borsa, i panini preparati da mamma. Che ci fai ancora alzata mamma? notte perch leggi in cucina? E pap perch non torna? Ha chiamato che dorme fuori, dice mamma con un sorriso, ma quando sorride cos tanto mi sa sempre che dice una bugia. Non ho sentito il telefono, provo un po malizioso. Ha squillato una volta sola, ero vicina, lho preso subito. Perch non torna pap? Ha avuto un guasto alla macchina. Ma lottocinquanta in garage mamma Era con lauto di un collega, quella si guastata, sono in albergo. Dove? A a Vercelli, dai vai a dormire Stefano che tardi e domani non ti alzi. S mamma che mi alzo, il mio primo giorno da fotografo. Mio pap faceva cos quando aveva unamica e non voleva farmelo sapere, sento la voce di Giovanni nel buio della stanza. Cos come? Come zia
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Emilia, lho sentita, non la racconta giusta su zio Giulio. Gi, ma secondo te cos? Magari zio Giulio ha unaltra donna. Unaltra donna, non credo proprio Giovanni, la mamma cos bella e gli vuole cos bene Gli uomini sono strani in questioni di donne, Stefano Non ci credo, buonanotte Dai non prendertela, dicevo cos Non me la sono presa S, che te la sei presa S, me la sono presa. E tanto. Giovanni non ha ragione e se pap avesse unaltra donna mamma non lavrebbe difeso. gi ora di alzarsi, avrei voluto dirlo a pap che andiamo a Novara. Se tu fossi tornato a casa avremmo potuto dirtelo e magari ci andavi anche tu a Novara, credo che ai ragazzi avrebbe fatto piacere. Stefano ci teneva tanto ad avere il tuo permesso Pi Emilia lo guardava con quellaria da maestrina, anzi da professoressa del primo anno, pi otteneva solo silenzio. Perch te ne vai in giro tutta la notte da solo? Silenzio. Perch torni a casa sempre che puzzi di vino in quel modo? Silenzio. Ma ti sei visto come sei conciato? Silenzio. A volte si guardava Giulio Baldazzi Morra, passava distratto davanti allo specchio e si fermava un attimo. Si passava una mano sul viso, si avvicinava al vetro, vicino, vicino, per vedere le rughe che gli si scavavano attorno agli occhi. Sar la fatica di portare gli occhiali Voleva sorridersi, ma ne usciva una smorfia. Spesso anche un rigurgito. Sentiva il sudore sul collo, vedeva la camicia bianca velata di nero, l, nellangolo del colletto. Sapeva che il sonno prima o poi lavrebbe condotto con s, lontano. Lontano da Emilia che ripeteva sempre le stesse domande, convinta forse che a forza di farle lui avrebbe trovato risposte. Ma lui non lo sapeva. Non lo so, Emilia, non lo so, le aveva ripetuto allinfinito nelle sere, nelle notti in cui lei piangeva e chiedeva con ostinazione perch. Poi aveva smesso di dire non lo so. Non lo sapeva e basta. Succedeva, succedeva sempre pi spesso forse, ma succedeva e basta. E lui, Giulio, era convinto che dovesse durare un attimo, un minuto, il tempo di un bicchiere, al massimo due. Cos, per sentirsi un po pi a proprio agio nelle cose del mondo. Poi i bicchieri di42

ventavano tre, quattro, tanti. E a lui piaceva il vino nero del sud, o ancor di pi quello dolce, lo Zibibbo, il Sicilia. Vini che legano e non sciolgono. Legano la lingua e i pensieri, accompagnano come una carezza verso una sorta di torpore rassicurante. Come un grande abbraccio dal sapore zuccherino. Emilia quante volte avrei voluto che tu mi abbracciassi Emilia, quanto vorrei essere ancora quello di prima Emilia, tu sai che voglio bene a Stefano, che voglio bene ai ragazzi Emilia Quante Emilia avrebbe voluto dire, ma si fermavano tutte l, in bilico, appoggiate sullorlo del bicchiere, mentre il silenzio si faceva spazio e piano piano lo portava con s, lontano. Lontano da Emilia, da Gozzano, da via dei Grissini, da Stefano, da Giovanni, dalle loro cose da ragazzi, le trote, la scuola, le macchine fotografiche, lantologia da finire Via tutto, lontano. Ecco cos Emilia, avrebbe voluto dire. E invece stava zitto a guardarsi le mani mentre a lei crescevano delle rughe sottili dove gli occhi si sforzano in pianto. Erano belle le rughe di Emilia, mica le sue. Lui stava andando via, anche la sua faccia laveva capito e lo stava lasciando solo, lo stava trasformando in un vecchio. Eppure era giovane con i suoi quarantanni. Troppo giovane per la saggezza richiestagli da tutti, troppo in fretta. Che paura sai Emilia la prima volta che mi hanno riportato a casa i carabinieri, volevano sapere chi fossi e io sboccavo vino nero e sonno lungo la strada che dalla stazione porta a Briga Novarese Che paura, avrebbe voluto ancora dirle, ma non aveva voce, non aveva forza neppure per la paura. Alle nove, pi o meno era quella lora, la manifestazione a Novara era gi cominciata. Speriamo che Stefano si diverta, che Giovanni si diverta. Ho sonno Emilia, questa lunica frase che riesce a uscire davvero dalla bocca di Giulio. Abbiamo preso il treno. Scendiamo alla stazione di Novara che sembra non esserci quasi nessuno, i binari sono deserti, c qualche ferroviere, pochi viaggiatori. Entriamo nel sottopassaggio, saliamo le scale che portano ai giardini della stazione, gi dai primi scalini si sente un brusio che diventa sempre pi for43

te man mano che ci avviciniamo e diventa boato appena usciamo dalla rampa delle scale e i muri finiscono e smettono di attutire i suoni. C il sole un sole invernale, forte, intenso, che azzurra il cielo e fa rimbalzare il rosso delle bandiere, tante, grandi mentre avvolgono il piazzale davanti alla stazione e sembrano sventolare al suono dei tamburi, al ritmo dei fischietti. un grande abbraccio quello che sento, una stretta al cuore, lItalia di cui parla sempre la mamma, gli operai di pap Per la prima volta li vedo tutti insieme, tutti in piazza, con i simboli e i colori che al telegiornale non si vedono mai. Rodolfo ha gi impugnato la sua nuova Olympus e io lo vedo muoversi felpato, veloce, come se danzasse con lobiettivo. Lo guardo rapito mentre scatta e riconosce, in mezzo a centinaia, migliaia di persone urlanti, i volti che raccontano la rabbia, la gioia, la disperazione, la fatica. Seguo con locchio dove punta lobiettivo. Rodolfo davvero un grande mentre scova il baffo del sud con il fazzoletto rosso al collo e la coppola del paese. C la storia di quelluomo nel suo volto. Quando ho visto le foto ho capito che Rodolfo con lobiettivo sa leggere i cuori, sa rubare i segreti dellanima, sa fare magie Anche Giovanni rimane in silenzio, al centro del piazzale con i giardinetti, a guardare questo esercito variopinto e chiassoso, eppure serissimo. Dai ragazzi, muoviamoci se vogliamo fotografare la testa del corteo, dice Rodolfo facendoci cenno di correre lungo il corso. Arriviamo in una piazza dove ci sono le camionette della polizia e i poliziotti con i caschi e gli scudi. Un esercito minaccioso e silenzioso contrapposto a quello urlante e colorato che abbiamo appena lasciato. Rimango senza fiato a sentire gli umori della piazza, le tensioni, le paure che avverto e non capisco. Non doveva essere una manifestazione tranquilla? A me tutte queste armi, tutte queste divise, tutti questi volti immobili, tirati, sottovoce fanno una paura tremenda. Anche Rodolfo a disagio, si avverte, ma sa qual il suo posto. Dai, mi dice, tira fuori la macchina fotografica. Ecco qui scatti, qui controlli lesposizione, qui i tempi, qui i diaframmi In meno di un minuto mi ha spiegato tutto quello che secondo
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me ci volevano mesi per impararlo. Guarda e scatta Stefano, quello che vedi lo devi vedere nel cuore e rapirlo spingendo sul pulsante di scatto. A me sembra matto, ma la sua fretta, la sua frenesia, la sua eccitazione mi piace e mi convince. Il boato sta salendo dalla stazione, rumore e colore dietro a uno striscione immenso e pugni chiusi che si levano in alto verso il cielo azzurro. Rapisci con lo scatto quello che ti dice il cuore. Eccoli l, sono gli stessi uomini che incontro quando vado a comprare il vino per pap, che vedo passeggiare con la cicca in bocca la domenica mattina, solo che adesso non hanno i volti rassegnati delle osterie o quelli un po finti della domenica. C unenergia solenne in questo baccano infernale, in queste bocche dai denti ingialliti, in queste mani che non sembrano pi callose, ma forti, serrate, pronte a conquistare il mondo Io questo vedo, io questo fotografo. Dai Stefano, muoviti che ti schiacciano, sento Giovanni che mi chiama. Vedo Elsa che sorride. Vedo Rodolfo che si arrampica sulla statua di Cavour e scatta da l e raccoglie la forza di questa marea umana che passa a fianco dei silenzi dei poliziotti armati, con casco, scudo e manganello. Se pap fosse qui potremmo parlare Scatto, eccome se scatto. E adesso lo faccio da dietro, alle spalle, mentre il corteo si incammina lungo un viale costeggiato dai giardinetti. Qualcuno mi vede, un ragazzo mi sorride. Io sono un bambino che gioca a fare il fotografo, ma mi sento felice. Felice per la Voigtlander, felice per questa piazza cos bella, cos variopinta, per questa gente cos tanta, cos convinta, cos la mia prima manifestazione. Non so neppure cosa chiedono gli operai, ma dentro di me so con precisione che hanno ragione. Daltra parte sono comunista anchio, lho deciso al telegiornale, mica ho cambiato idea. solo per caso che mi trovo di fianco al bar dove in un colpo solo vanno in frantumi le vetrine, mentre il corteo urla fascisti e un gruppo di persone si stacca di corsa, forse tira qualcosa che non vedo. Sento il vetro infranto, sento grida diverse dalle urla del corteo, vedo fumo, mi metto in posizione per fotografare e
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sento Rodolfo che mi afferra e mi trascina mentre urla, vieni via incosciente, andiamo sbrigati Se ti succede qualcosa chi lo sente tuo padre Gi chi lo sente pap. Ma io non ho mica fatto niente, solo una foto stavo per fare. Cambiano in un attimo rumori e colori, noi corriamo verso i giardini, ma vedo fumo, sento spari, botti, vedo lampeggianti, sento sirene, vedo lingue di fuoco, sento Rodolfo che mi strattona, non vuole che mi fermi, non vuole che mi giri indietro Corre. Corro. Corrono Elsa e Giovanni. Sento laffanno, il mio, mescolarsi con quello di tutti gli altri. Entriamo in un portone, nel cortile di una vecchia casa a ringhiera. Io non ho capito cosa successo Rodolfo Non preoccuparti, stai bene? Certo che sto bene anche se non so neppure come mi chiamo. Ho il cuore pieno di emozioni. questa la giornata pi lunga della mia vita. Non ne ricordo altre. Aspettatemi qui, dice Rodolfo che ha ritrovato il tono calmo di sempre, vado a vedere cosa successo, poi torniamo in stazione e andiamo a casa. Posso venire anchio? Lo chiedo, ci provo, lo vorrei tanto. Tu bada alle mie macchine fotografiche, dice Rodolfo consegnandomi il borsone. Adesso s che sono un fotografo, che sono entrato nel mondo dei grandi. Grazie Rodolfo, non potevi farmi regalo pi bello. Non successo nulla mi creda e i ragazzi non hanno corso alcun rischio. Rodolfo non ha dubbi quando parla con pap che si sta chiedendo come ha fatto la mia foto, cio una foto di me, non fatta da me, a essere sulla Stampa. Scontri tra manifestanti e polizia, titola il quotidiano e sotto c limmagine del bar Basilica, si chiamava cos il bar, con le vetrine rotte, qualcuno che scappa e io l con i miei occhialoni e la Voigtlander. Guardi professore che fino a un attimo prima era tutto tranquillo, incalza Elsa. Non ci mica successo nulla, dice Giovanni. Se tu fossi stato l avresti potuto vedere come sono andate davvero le cose. Rodolfo ed Elsa sono stati premurosi e hanno portato a casa Stefano e Giovanni sani e salvi, taglia corto la mamma. Eppoi la prima volta che qualcuno di noi finisce
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sul giornale, conclude mamma, facendo sorridere tutti, anche pap. Grande mamma, ci volevi tu per togliere a pap quellaria, ingiusta, da accusatore, da professore, che non gli avevo mai visto. Adesso ho solo paura che pap non mi lasci pi andare a fare le foto con Rodolfo. Vedr professore che belle fotografie deve aver fatto Stefano, si dato molto da fare. Grazie Rodolfo, grazie Elsa, scusatemi per lo sfogo, ero un po preoccupato, pap chiude lincidente. Colgo la palla al balzo: quando mi riporti con te a fare foto? chiedo a Rodolfo. Rodolfo guarda pap con tono interrogativo. Quando vuole, dice pap che ormai tranquillo. Presto, Stefano, presto, mi risponde Rodolfo mentre Elsa mi strizza locchio. Ci provo anchio, ma come sempre non ci riesco. Ho capito che a Giovanni della fotografia non importa un fico secco. Pazienza, saremo solo fratelli di pesca. Pap dice che cos gentile il Giurati perch pensa di convincerlo ad alzare il voto alla figlia Lo dice per ridendo e ci lascia andare a pescare con lui. Giovanni si annoia a vederlo pescare, a sentirlo parlare, per Giovanni la pesca alla trota non roba da raffinatezze, da donnicciole, da cavedanari. La trota un predatore, dice, e va pescata come fanno i montanari, senza perdere tanto tempo come fate voi in un posto solo Il Giurati fuma, fuma e sorride e i denti sono gialli, ma il sorriso fresco: e quando lacqua si abbassa come fate voi montanari a prendere le trote? Le prendiamo lo stesso Adesso il sorriso del Giurati una grassa risata. Giovanni lha sparata grossa e lha fatto davanti a uno che va a pesca da almeno trentanni. E io e Giovanni non li abbiamo trentanni, nemmeno a metterci insieme. Beh, con lacqua bassa meglio non pescare, si corregge. Poi guarda il Giurati che prepara la lenza, ma si capisce che per lui la pesca quella di suo padre, quella di zio Luciano. Non pu essere altrimenti, non sarebbe neppure giusto, penso. Io invece vado in brodo di giuggiole a guardarlo il Giurati che usa il filo sottile e infila un galleggiante fatto con una penna di pavone, oppure, dove c corrente, con il sughero lavorato al tornio. Lo mette sul47

la lenza e lo ferma con grande precisione, senza fretta. Poi inforca degli occhialoni con le lenti bifocali e non capisco se guarda sopra o guarda sotto, ma comincia a prendere dei piccoli pallini di piombo da una scatoletta che ne contiene tanti, di varie misure. Li mette sul filo, calcolando la distanza uno dallaltro, serrandoli coi denti, con precisione. Io lo guardo, rapito dai gesti da orologiaio, dallarmonia di questa lenza fatta di cose piccole, di piombini minuscoli, di ametti, di fili sottili. Vedi, tutto questo serve a presentare lesca alla trota in modo assolutamente naturale Certo, col filo sottile devi stare pi attento a recuperare il pesce, ma anche molto pi sportivo Sportivo voleva dire che dava delle possibilit alla trota di tornarsene in acqua Mi piace questa pesca, pi di quella di Giovanni. una tecnica di precisione, bisogna stare attenti, saper aspettare, credere che la trota, prima o poi, uscir e si far ingannare da un vermetto, da una piccola larva nascosta in un amo piccolo piccolo legato a un filo invisibile Eccolo laggi, il galleggiante rosso, in fondo alla buca, dove lacqua verde si fa cupa, rallenta e gira. Il galleggiante danza con il filo della corrente in unacqua trasparente nella quale si possono contare i sassi del fondo. E mentre conto i sassi la profondit aumenta e il fondale si fa cupo. L il galleggiante rosso del Giurati affonda, si inabissa, lo vedo viaggiare sottacqua, andare lontano, verso chissadove E vedo il Giurati ritornare un ragazzo, balzare sulle gambe, fare un salto allindietro, inarcare la schiena e con il braccio ferrare. La canna da pesca si piega. Devessere bella. S, dico io, devessere bella. La trota non viene e il filo troppo sottile per forzarla verso riva. Il Giurati non ha fretta. Io s, ma lui che pesca e discende il fiume lentamente, seguendo la trota che cerca un appiglio, un rifugio, un angolo dove potersi infilare, dove spezzare quella lenza cos sottile e invisibile che non laveva proprio notata La trota sale, stanca, verso la superficie, si gira su un fianco e luccica al sole In quel momento vedo un riflesso arancione e sento il Giurati dire: uniridea. Lo dice con tono deluso, quasi dispregiativo. Linteresse per il pesce cambia di colpo, lo
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tira verso riva, lo prende, lo uccide, lo appoggia sulla roccia. Sar trentacinque centimetri, sar rimasta da una gara. Rimasta? Gi, mi spiega il Giurati, le trote iridee sono pesci americani, pesci dallevamento, che vengono messi nellAgogna gi adulti, gi grossi, quando si fanno le gare di pesca. Perch? Perch con tutto il chiasso che fanno i pescatori durante le gare quante trote del posto pensi che prenderebbero E sorride con i denti gialli. E anchio sorrido. Peschiamo ancora. Io guardo. Dai prendi la canna prova. Provo. difficile seguire quellantenna rossa che gioca con la corrente e poi dove il fondo non si vede pi ha gi fatto un bel chiasso liridea Non preoccuparti, lho portata fuori subito dalla zona dove si prendono i pesci Come fa a saperlo? Lo so. Anchio lo so che non prender nulla. Lo penso e mentre lo penso il galleggiante si ferma e poi va sottacqua di colpo e io non so piegarmi sulla schiena come ha fatto il Giurati. Io non so cosa devo fare e tiro e la sento l in fondo, viva, saettante, vera. E io che non ci credevo. Viene subito pi piccola delliridea. La misuro, fa ventisei centimetri, la uccido, la guardo, ha la testa nera il corpo magro e i pallini rossi fitti fitti. Questa una piccola fario dellAgogna, le pi belle, le pi rare. Il Giurati contento. Fuma e mi spiega che non tutte le trote nascono l e non tutte sono uguali. Molte, la maggior parte, vengono immesse dai pescatori e dalla provincia. Si seminano questa la parola che usa: seminare, come per i campi trote molto piccole, altre un po pi grandicelle, altre addirittura gi grandi, pronte da pescare. E poi si possono mettere le uova, gi fecondate, le vendono dentro a delle scatolette che si chiamano Vibert come il francese che le ha inventate. Io ascolto e penso che allora tutto finto. Ma non lo chiedo, non siamo in confidenza, non cos tanto. Magari per non mi ci riporta pi a pescare e allora che mi importa di star zitto. Allora lo dico. Prendo fiato e lo dico: ma cos tutto finto E il Giurati fa una smorfia che un po un sorriso, forse un sorriso, se lo , amaro. Non tutto Stefano, la tua trota non lo Gi, ma le altre s. Ma la tua si salvata e si fatta pescare da te Mi piace il Giurati, fuma come una ciminiera, ma parla
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come un poeta. Un po parla come faceva pap. Adesso pap parla poco ed sempre via o comunque ha da fare. Arriva Giovanni, passato tra i rovi, si vede dalle mani. Ho provato in un piccolo affluente qui vicino, ma lacqua bassa, troppo. trasparente, le trote scappano Non tutte, gli fa il Giurati e gli mostra le nostre catture. Giovanni incassa, ha imparato presto a incassare lui. Dai che quando salza lacqua ci fai neri a tutti e due, gli dice il Giurati strizzando locchio. Chiss se il prossimo anno andremo nella stessa scuola, mi dice Giovanni. Perch no? Magari ti bocciano Scemo Magari vuoi fare una scuola diversa dalla mia Magari tu vuoi fare qualcosaltro Gi, che scuola facciamo lanno che viene? Ne parliamo presto ragazzi, dice mamma. Per lei la scelta della scuola un affare di Stato. Per pap la scuola una sola: il liceo classico. Mamma ci mostra dei libri che spiegano tutte le scuole, ce ne sono davvero tantissime. Il classico lontano, Giulio Io ci andavo in treno tutti i giorni Perch non possono venire allo scientifico dove insegni tu? Sar mica una scuola quella E perch no? Gi perch no pap? Perch ci insegno io, ovvio Dai non scherzare La mamma tira un cuscino a pap. Pap toglie gli occhiali e si getta allassalto. Anchio vado in camera a prendere un cuscino. Giovanni un po imbarazzato nella lotta dei cuscini, per lui mamma e pap sono solo due zii Per mi lancia il cuscino, io sono suo fratello, lo sono davvero adesso. Andremo al classico, ormai deciso. Andremo a Novara anche se pi lontano. Ad Arona vanno solo gli sfaccendati, taglia corto pap. Treno tutte le mattine alle sette e quattordici, dice mamma con aria grave. Che mi importa? Devo ancora finire la terza media, devo dare gli esami, devo fare le foto notturne al Castello, devo andare a pesca tutti i giorni per tutta lestate, per tutta la vita Adesso che ho imparato a pescare con le lenze sottili riesco a volte a prendere pi di Giovanni. Il latino lo sappiamo tutti e due, sono due anni che la Domeniconi ce lo instilla a tappe forzate Mamma che ti importa se saremo lontani, se
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verremo a pranzo alle due del pomeriggio, se Sono il figlio di Giulio Baldazzi Morra, uno che un nome nella scuola italiana, me lha detto il prof Bisceglie, quello di storia. Vuoi che non riesca a fare un liceo lontano da casa? Vuoi che non riesca a badare a Giovanni che, tra parentesi, bada benissimo a se stesso e anche a me Dai mamma che lo scientifico dove insegna pap non mica una scuola, lha detto uno che un nome nella scuola italiana, lha detto pap Se pap non si sbriga a consegnare gli aggiornamenti dellantologia vedrai che bel nome che diventa Pap si gira di scatto, vedo che sta per dire qualcosa a mamma, poi le tira il cuscino, sorride, ma non un sorriso bello e ci dice che ha da fare Mamma perch hai rotto tutto? Perch non sai mai cucirti la lingua quando serve? Lo penso, ma non lo dico, non posso vederli andare via tutti e due la sera che ho deciso, che con Giovanni abbiamo deciso, che scuola fare, dove diventare grande. Sapessi come mi piace lidea di tornare a Novara col treno e uscire dal sottopassaggio della stazione e rivedere la statua della mondina e le bandiere rosse, i fischi, i tamburi Diresti che non ci sono sempre gli operai. Lo so, mamma, ma prima o poi ritorneranno pure, mica gli daranno in una volta sola tutte le cose che chiedono E poi fammi sognare un po, non dici sempre che sono il tuo bambino? Beh, mamma, i bambini sognano, soprattutto quando mandi via pap e rimangono soli. Buonanotte. Buonanotte. Ci ritroviamo nel corridoio io e Giovanni con i cuscini sottobraccio. Basta unocchiata e si ricomincia alla grande in camera nostra. Peccato non ci sia un cane, si sarebbe divertito coi cuscini, ne sono sicuro. Mamma partita. Ne abbiamo discusso a lungo. Star solo il minimo per non sentirmi inutile, per non sentire di aver abbandonato la mia gente, ha detto e ha ripetuto. E lha detto come solo lei sa dire quando vuole qualcosa e la vuole davvero. Pap ha capito subito che non poteva dire di no, ma ci ha provato lo stesso a convincerla, a dirle che sarebbe stata pi di impiccio che altro Se l presa da morire mamma quando ha sentito
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questa frase. Giulio, tu sei solo un ometto ossessionato dalla solitudine e dal potere Pap sbiancato e pure io e pure Giovanni. Mamma non riesce a sopportare che a casa sua, che in Friuli, sia crollato tutto, il terremoto abbia sparso case e morti e lei non possa fare niente Con il partito e con il sindacato stanno organizzando squadre di volontari per andare a dare una mano, ha detto a cena quando eravamo tutti a tavola. Pap dice di capire, ma non vuole mandarla. Io non sono mai stato in Friuli e poi Trieste, mi ha sempre spiegato mamma, non proprio Friuli. Io e Giovanni ce la possiamo cavare benissimo, pap non lo so. Mamma comunque partita. Noi la guardiamo al telegiornale. Cio non che guardiamo proprio lei, ma seguiamo le notizie del terremoto, guardiamo le immagini della tragedia (cos la chiama la televisione). Mamma chiama tutti i giorni anche se da l difficile. Lei riesce sempre. Pap risponde asciutto, chiede se sta bene, malinconico mentre con noi non lo affatto. Poi me la passa e lei racconta di come tanta gente come lei si sta dando da fare, di come manca lacqua e le case sono polvere e Ti devo lasciare Stefano altri aspettano il telefono, ti voglio bene, ti bacio forte, bacia Giovanni, bacia pap, mi manchi tanto Anche tu mamma Ma io lo penso e non lo dico, sono orgoglioso di avere una mamma che ricostruisce il Friuli. Pap passa tutti i giorni o quasi dal Piacente compra salami, prosciutti, formaggi e mangiamo panini quasi sempre. A volte la sera andiamo in pizzeria. Un giorno ci ha portati al lago alla Poncetta che un ristorante. Ho mangiato il pesce persico, ma non del lago mi ha detto pap, nel lago non c pi niente, tutto inquinato. Eppure dalla terrazza della Poncetta si vedono dei pesci e io so che sono cavedani, ma questi non sono giorni in cui discutere con pap. Infilo la testa nel piatto e finisco il persico, mangio persino linsalata. Andiamo a prendere mamma alla stazione che sono le due del pomeriggio e comincia a fare caldo. Sono stati giorni belli per me, veloci, silenziosi, passati nella mia stanza senza Giovanni che esce sempre di pi con i nostri compagni di scuola (io proprio non li sopporto).
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Dovrei prepararmi per lesame, ma Giovanni non lo fa e allora non lo faccio neppure io. Avete sgobbato parecchio non c bisogno che vi venga la gobba come a Leopardi. La storia della gobba di Leopardi mamma la tira fuori spesso. E io posso non studiare con il permesso di mamma. Sono contento. giugno, pap ha compiuto quarantanni da pochi giorni e non ha voluto la festa perch dice che ormai vecchio. S, un vecchio sciocco, gli ha detto mamma e lha guardato con gli occhi da donna. Sto imparando adesso a vedere gli occhi da donna, me lha insegnato Giovanni. come se fossero appena appena umidi che stanno per piangere e invece sono complici. Li ho visti anche a Piera quando guardava Giovanni. E lui uscito con Piera. E sono le quattro del pomeriggio e ancora non torna. Mamma vado a pesca, vengo a casa col buio Stai attento. Certo che sto attento. Cosa ti credi che vado in giro a farmi male? Magari apposta Son proprio cose da mamma, penso. caldo sullAgogna, si sente lumido uscire dal bosco, laria togliere il respiro in mezzo alle robinie, il sudore mi scende dappertutto e dove c sudore arrivano i tafani. Il bosco troppo verde, il vento immobile, lacqua bassa, non corre, stringe il letto, forse pure calda da farci il bagno Anche le lenze sottili del Giurati sono pesanti, grosse come corde, in un fiume trasparente come questo dove conto i sassi e guardando con la luce di taglio vedo il fondo anche nelle tane pi nascoste, nelle buche pi profonde. Le cascate, gli schiumoni, sono saltini dacqua, schiumette sotto alle quali le trote sostano diffidenti. Lo so, me lha insegnato il Giurati che la trota senzacqua ha paura. Non si prende niente oggi, non si pu prendere nulla, nessuno prender nulla Incontro il Nardi che viene a scuola con me e pesca bene con le esche fini, con locchio di quello bravo. Scuote la testa quando mi vede, la scuote piano per non sudare troppo. Tutto andrebbe rimisurato in un pomeriggio come questo. La canna da pesca lunga, troppo lunga. Gli stivali non servono, pesano, si riempiono del sudore dei passi. Il cestino persino ridicolo. Smetto di pescare quasi
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subito. Mi siedo. Non c nessuno, cerco nella tasca segreta del gilet e trovo una sigaretta di quelle prese con Giovanni. La metto in bocca e la accendo e c un fumo denso nellaria che mi fa svenire dal caldo allidea di fumare. Io mi impegno, mimpegno tanto ma non ce la faccio proprio a prendere il vizio. Giovanni dice che perch me la faccio sotto che mi scoprano, ma a me non piace proprio, mi fa venire mal di testa e lo stomaco pesante e le mani che puzzano che non esistono saponi che ti puliscono del tutto. Guarda che alla tua et meglio pensare ai pesci che alle sigarette Mi giro di scatto e butto per terra la cicca cercando di spegnerla. sbucato silenzioso dal bosco questo pescatore con la canna corta, un cestino di cuoio a tracolla, un cappellone grande, da brigante, con la piuma, una smorfia divertita incorniciata dalla barba e gli occhi che mi guardano come fossi uno studente impreparato. Ne hai prese? Chiede il pescatore. Oggi impossibile, rispondo. Oggi difficile, dice lui, ma le trote difficili sono le pi belle. Ne ho fatte due non male Lo guardo stralunato, come fosse un marziano, uno sceso da un altro pianeta. Posso vederle? Azzardo curioso, timido. Non so come, ma azzardo. Certo, risponde aprendo il cestino di cuoio e spostando le felci dentro alle quali sono avvolte due fario stupende, dalla livrea piena di puntini infuocati, lunghe almeno due spanne. Saranno pi di quaranta, dico io. Sono quarantuno e trentanove centimetri, hai un buon occhio. Ho un occhio che trasuda invidia, altroch. Come pesca? chiedo. Col cucchiaino. Con il cucchiaino? domando sbigottito guardando la canna corta e un piccolo cucchiaino di metallo colorato penzolante. Ma se qui tutti dicono che col cucchiaino non si prende niente, che roba per quelli di citt Se per questo non sbagliano, vengo da Genova, sono qui di passaggio Da Genova? Anchio sono ligure, sono nato a Laigueglia, ma vivo qui Ma come fanno le trote a mangiare un pezzo di metallo con tre ami attaccati che pure si vedono? Non mangiano un pezzo di metallo, ragazzo, mangiano lidea che questo pezzo di metallo gli d mentre si muove Bisogna muoverlo sempre, far credere ai pesci che sia qualcosa
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di vivo, guarda Guardo, eccome se guardo, con due occhi sgranati che trapassano gli occhiali lo vedo lanciare quello strano oggetto di metallo con un solo secco movimento del polso. E il cucchiaino vola, lontano sotto le fronde, tagliando laria come un missile e arriva in acqua silenzioso che sembra una farfalla. Plof! Il signore di Genova col cappello da brigante ha gi chiuso larchetto del mulinello mentre il filo era in aria. Adesso d un colpetto con la punta della canna, inizia a recuperare il filo e io vedo il cucchiaino girare, frullare, brillare nellAgogna come un gioiello sottomarino. Bellissimo, sto per pensare, ma non faccio a tempo, da sotto una pietra di quelle profonde, nascoste, che si vedono solo con la luce di taglio, schizza unombra nera. Non riesco a pensare neppure che sia un pesce che gi sguazza in superficie. Viene a riva in un attimo, non molto grossa, ma di misura. Il pescatore si bagna la mano, prende una pinza, gira la punta del cucchiaino conficcata nella bocca della trota e libera il pesce. Lo tiene fermo nellacqua, facendolo andare delicatamente su e gi. La sto ossigenando, mi dice. Poi la lascia e la trota sinabissa in un lampo, lo stesso con cui uscita dalla tana. Perch la rilascia? Sarebbe di misura, qui diciotto Lo so, ma io le tengo solo sopra ai trenta Solo sopra i trenta! Mi si ferma il fiato a mezza gola. Lui saccorge e ride. S, a diciotto vanno lasciate crescere e poi a cucchiaino si prendono le pi grosse Sempre? Sempre. E perch qui dicono che non si prende niente? Perch non ci pescano e non sanno usarlo. Cosa bisogna fare per saperlo usare? Crederci. Come sarebbe? Sapere che prende i pesci, credere che prende i pesci, il resto si impara usandolo. Ne vuoi uno? Mamma dice che non sta bene dire s subito. Sarebbe stato meglio dire no grazie, ma correvo il rischio che cambiasse idea e io non volevo, non volevo proprio che la cambiasse. Davvero me ne darebbe uno? Certo, eccolo, tuo. E mi trovo in mano un aggeggio di metallo con una paletta che sembra davvero un cucchiaino, tutta dorata, con sopra disegnati dei puntini blu. Ho occhi solo per questo aggeggio strano che prende pesci. Sento il saluto del pescatore di Genova. Rin55

grazio. Credo di aver ringraziato. Credo di aver salutato. Guardo il cucchiaino e vedo le due trote nel cestino di cuoio. Chiudo gli occhi e mi attraversa limmagine della trota che saetta fuori dal suo rifugio sommerso per prenderlo al volo questo pezzo di metallo colorato. Non ci credo ancora. effetto del caldo. una magia. Magari funziona solo con lui, magari funziona solo con quelli di Genova. Per magari funziona anche con me che sono ligure. Buttala via quella roba l che non serve a niente Sento la voce arrivare alle spalle, ma la riconosco, quella del Giurati che sta tornando a casa. Son aggeggi per pescare quelli di citt, li usano i negozianti e vedi come abboccano i pescatori di Varese e di Milano E quelli di Genova? Sto per chiedere, ma mi fermo. Chiedo al Giurati se ha preso qualcosa, mi dice no, con una giornata calda cos, con lacqua bassa neppure un mago potrebbe prendere una trota. Un mago s, vorrei rispondergli, un mago di Genova, col cucchiaino Non glielo dico per, so che non mi crederebbe Il mago di Genova venuto solo per me. Metto in tasca il cucchiaino e comincio anchio a smontare tutto. quasi buio. Magari mamma si preoccupa. Chiss se Giovanni ancora con Piera, chiss se vero che si toccano. Me lha detto Giovanni, ma io non ci credo, di notte lo sento, lui che si tocca. Metto la mano in tasca, il cucchiaino l. Vado a casa contento. Sono tornata apposta per il tuo compleanno. Nessuno te lha chiesto. Potevi almeno far finta di essere contento. tutta la vita che faccio finta Emilia, avrebbe voluto dire Giulio, ma si ascolta mentre dice: a quarantanni si comincia a invecchiare, non si pu essere contenti. Continuava a far finta. Non riusciva a farne a meno. Lunica cosa vera della sua vita erano quei pomeriggi allosteria di via Regina Villa. Pomeriggi che si dilatavano fino a diventare sere, notti E l si sentiva autentico, sincero, comunque s stesso, luomo miserabile e miserabilmente solo che in realt era, tra il calore del vino, il silenzio di unumanit impegnata a consumarsi con misurata lentezza, lodore delle cose che se ne vanno, il sudore di giornate in fabbrica e cantiere
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che vedeva annegare nel rosso nero di Puglia. Non sono stato bene quanderi in Friuli Pensi che io mi sia divertita tutto il giorno a spalare macerie? Tu sei voluta andare. Non potevo fare altrimenti. Lo so Emilia che non potevi fare altrimenti, pensa Giulio, ma nemmeno io posso fare altro che brontolare, recriminare, cercare un po di affetto, una briciola di piet, sento la vita che mi scivola via dalle mani, persino mio figlio cerca altrove risposte a domande che un tempo faceva a me, non servo a nulla Emilia. Ma ancora Giulio non riesce a parlare, gli si strozzano i pensieri nel momento esatto in cui prendono forma di parole. E ancora le parole sono altre. Giulio abbraccia Emilia, la stringe, forte, da mozzare il respiro, con la bocca cerca le sue labbra Sai di vino. Sono mesi che non facciamo lamore. Sono mesi che tu non ci sei. S, ma quando ci sono ti giri dallaltra parte. Per non sentire la puzza di osteria che ti porti dietro. Avrebbe voluto dire la puzza di morte, di solitudine, di malattia, ma anche Emilia non aveva il coraggio delle parole. O comunque non lo aveva fino in fondo. Giulio cerca il corpo di Emilia, il tepore delle cosce. Emilia lo spinge via con un grido, duro, durissimo: non provarci mai pi, mai pi! Poi lo guarda con i capelli sudati che cadono sulla voragine dei suoi occhi azzurri. Mai pi in questo modo, aggiunge con calma, calcando bene le parole. Non so cosa mi ha preso Emilia che non sono pi io E questa volta i pensieri rotti dal pianto diventano parole e la rabbia di Emilia diventa carezze su quei capelli bagnati, su quellanima stanca perduta in un bicchiere di vino nero, scuro. Entra la brezza fresca del mattino che arriva. Anche se estate, anche se unestate calda, il vento che annuncia lalba riesce a scuotere la pelle con quella sensazione di freddo tanto rara di questi tempi. Giulio dorme arrotolato tra gambe e lenzuolo. Emilia lo guarda il suo quarantenne ossuto e peloso, sudato e con gli occhiali anche nel sonno. Si avvicina lentamente e gli toglie gli occhiali. Poi si siede e cerca di capire, ma pi guarda Giulio e pi Giulio, il suo sonno, i suoi pensieri, diventano una nebbia che si allontana. Questo Emilia lo sa, ma non trova la forza di dirselo. Do57

vresti stargli vicino, dovresti capire cosa c che non va, dovresti parlargli, vedrai che un periodo poi gli passa, le aveva scritto Cosetta. Quante frasi fatte, quante parole inutili condiscono lamicizia quando non si sa cosa dire, aveva pensato Emilia. Pentendosi subito dopo. Anche lei avrebbe scritto le stesse cose. Ma Giulio intanto viveva in un mondo dove n lei, n Stefano, n Giovanni, n la scuola, n la politica, n lantologia da finire potevano sperare di entrare. E da l Giulio non sapeva o non voleva? uscire. Il dubbio che Giulio non volesse uscire da quella situazione le veniva spesso ed era la cosa pi difficile da capire. Perch un uomo che ha tutto quello che si possa desiderare cerca qualcosa ma cosa? in una polverosa osteria di operai, in un litro di vino cattivo? Forse perch gli operai erano lossatura del paese come Giulio diceva in altri tempi? No, credo proprio che gli operai non gli passino pi per la testa. E cosa gli passa per la testa allora? Non so, non riesco a saperlo, non so E sulla fila infinita dei non so la brezza del mattino accompagna anche Emilia in un sonno leggero. La notte, anche oggi, finita. Tanto basta per dormire. A pesca con questo caldo? E col cucchiaino? A te aver passato lesame ti ha fatto diventare un po scemo, mi sa, dice Giovanni con unaria di compatimento che tutto un programma. Ma si prendono delle trote cos Allargo le braccia forse un po pi del dovuto. Dovresti pensare alla morosa. Non ce lho. Appunto. Stronzo. Scemo. Arriva mamma e ci spiega che non va bene che litighiamo. Lo sappiamo da soli mamma. Si pu sapere il motivo? Non te lo dico, daresti ragione a Giovanni. Anche secondo te sarebbe ora che pensassi alle ragazzine. Chiss perch poi le mamme delle ragazze non sono mai daccordo e pensano lesatto contrario. Io penso alla pesca, mamma, e, credimi, sono felice. Pap ha sempre pensato a te, ma non felice. Lo penso, ma non te lo direi mai, mamma. La vecchia canna, quella di Laigueglia, lideale per il cucchiaino, lho letto su un libro. Cos lho tirata fuori, rispolverata. Le ho messo il mulinello con
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il filo nuovo e oggi sono pronto. Lesame finito e non era nemmeno tanto difficile. Oggi vado a pescare, anche se caldo. Porto lAutan contro i tafani. Non porto Giovanni che non vuole venire. presto, la brezza del mattino taglia laria, arriver pi tardi lafa. Adesso ci vorrebbe la maglia per andare in bicicletta, ma meglio prendere freddo ora piuttosto che portarsi dietro un impiccio come la maglia. Me lha insegnato pap che con tutti i suoi occhiali di impicci se ne intende e tutti quelli che pu evitare li evita. Non passo davanti alla stanza di mamma e pap tanto dormono. E se non dormono litigano e quindi sono impegnati. Lascio un biglietto sul tavolo, prendo un Buond e due mele, infilo gli stivali e sono in strada. Prendo la via per Invorio, oggi si cambia. pi lunga in bicicletta ma l potrebbe esserci un filo dacqua in pi sullAgogna. E comunque ci vado cos di rado. Lascio la bici ai bordi di un campo e scendo a piedi. Preparo la canna, guardo lacqua, chiss se sapr pescare a cucchiaino? Gi, chiss? E chiss perch pap sempre cos assorto, sempre chiuso nel suo studio, oppure sempre via. Giovanni mi dice che resta in paese, ma mamma dice che no, che va fuori, va a Borgomanero. Forse vero che ha unaltra donna. Pap? Che stupidaggine, solo Giovanni pu pensare una cosa del genere. Forse stanco, mamma lo fa arrabbiare troppo con tutte quelle sue idee, quelle cose da fare, sempre in movimento, anchio mi stancherei se dovessi seguirla in questo modo Povero pap. Il cucchiaino gi in acqua, c arrivato da solo mentre pensavo a pap. Mi sembra di essere nato per pescarci, lo vedo luccicare, ruotare, passare dallacqua ferma alla corrente Sono incantato, abbagliato Sono un imbecille! uscita la trota da sotto il ramo lha seguito e io non ho fatto niente, mi sono quasi spaventato Epper! Al terzo lancio Mi sa che con noi liguri funziona, altro che specchietto per quelli di citt Ma cosa fai? Sei scemo? Peschi col cucchiaino? Eccolo quellantipatico del Nardi che arriva sempre al momento sbagliato. Volevo provare, gli dico vergognandomi un poco. Ma dai, si vede che sei un secchione, ti ha fregato quello del negozio? No, lho letto su un libro di
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pesca che mi hanno regalato Vedi che sei un secchione. Il mio pa lo dice sempre che voi che siete venuti da fuori avete troppi libri in testa I libri sono belli. Gi, per insegnano a pescare coi pezzi di ferro. Guarda che ho visto uno di Genova che ha preso due trote cos A te ti fa male il sole. E poi non si mai visto nessuno di Genova a pescare sullAgogna. Beh, io lho visto. Contento tu, continua pure se ti va di non pescare niente. Lo odio il Nardi quando fa cos, anche a scuola fa cos, ma l c Giovanni che gli tiene testa. lo stesso, lui non pu capire, forse il cucchiaino davvero roba da liguri. Forse anche quello che ha scritto il mio libro di pesca ligure. Ho fatto cento metri di torrente per lasciare indietro il Nardi e guardo sotto alla profonda radice di un albero sommerso, la mano lancia senza neppure che io ci pensi, il filo fa entrare il cucchiaino proprio l sotto, tra la radice e lacqua, senza impigliare da nessuna parte. Chiudo il mulinello e non ho nemmeno il tempo per girare la manovella che l sotto sta succedendo di tutto, sento trascinare verso il profondo della radice e il pesce che si muove fa onde in superficie. Tiro, lei tira. Non so bene cosa fare, la vedo uscire finalmente da sotto le radici e mettersi con il fianco alla debole corrente. Sembra un siluro, uno squalo, una balena enorme, enorme davvero Sar un metro, sar un chilo, saranno due chili, no due metri troppo Scendo il letto del fiume trainato da questa specie di batiscafo dalla schiena scura e possente. Vedo il cucchiaino appuntato al lato della bocca. Mi sembra di essere Hemingway. Ho appena letto Il vecchio e il mare. Ho fatto quasi duecento metri di fiume dietro alla trota e sono tutto sudato, dalla schiena alle mutande, ai piedi che bollono negli stivali. Adesso tira di meno e io provo a trainarla verso riva, viene, piano, ma viene La vedo scodare verso di me e poi ripartire verso il fiume Adesso in acqua bassa, stanca, sbanda sul fianco ed davvero un pesce stupendo, con dei punti rossi che sembrano dei francobolli Si arrende, viene verso riva, come faccio a prenderla? Sar due chili, sar tre chili Sar che lei abituata a salvarsi la pelle, ma proprio quando ce lho davanti inarca la
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schiena, fa un guizzo, si gira e il cucchiaino come dincanto si stacca Mi butto nellacqua per prenderla, ma stringo tra le mani solo la sua ombra, lei gi lontana, rapida come un siluro, svelta come un sogno E io rimango l, bagnato, infangato, con gli occhiali tutti sporchi e la mia canna da cucchiaino, quella con cui non si prende niente Mi siedo sul greto dellAgogna. Non pensavo esistessero pesci cos, da noi a Gozzano proprio no. la prima volta che penso da noi a Gozzano. Finalmente questo il mio paese. Non ho pi voglia di pescare. Non avevo mai visto una trota cos grande. Non Ho la mente affollata di non che si inseguono lun con laltro mentre lei tornata laggi, sotto alla sua radice. Avrei voluto vederlo il Giurati a prendere un pesce cos. Avrei voluto vedere anche il Nardi. Comincio a discendere il fiume, vado a casa, per oggi non pesco pi, ho troppe emozioni che mi girano addosso e io sono troppo piccolo per tutti questi pensieri, in fondo sono ancora un bambino Gi, mi piace essere un bambino, mi piace molto di pi di questo qualcosa che sto diventando, che mi ha cambiato la voce e la faccia. Sono un bambino. No sono un pescatore di trote. Col cucchiaino. Dora in poi solo col cucchiaino. Come quelli di Genova. Come Cosa hai fatto? il Nardi che me lo chiede, non lavevo visto. Sto per rispondergli che ho incontrato la regina di tutte le trote, la signora dellAgogna, il marlin di Gozzano Sono caduto in acqua, sono scivolato, rispondo. Te lho detto io che con sta cosa del cucchiaino ti sei un po rincoglionito. Non mi piace il Nardi anche perch dice parolacce da grandi che a me suonano male. Sono solo scivolato, gli dico scocciato. Non parler a nessuno della mia trota. Nessuno mi crederebbe. E poi mi piace lidea di avere un segreto. Un segreto tutto mio. Sei sicura che non sia pericoloso? Ma dai Giulio una festa, c andata anche Cosetta lanno scorso. S, ci sono un po di giovani colorati, c tanta musica, magari gira pure qualche spinello, ma con Stefano e Giovanni ci sarebbero Elsa e Rodolfo. So che ne hanno parlato a lungo prima di venircelo a chiedere Ve61

nircelo a chiedere? A te lhanno chiesto, non a me S, Giulio, ma tu sei intrattabile in questo periodo Io sono quello di sempre Va bene non scaldarti e torniamo ai ragazzi Ti dicevo che una festa, bella, con tanta gente, tutta di sinistra Non so pi cos di sinistra in questo paese Emilia Come? Tu che leggi lattualit con una lucidit che fa paura e mi prendi sempre in giro perch non capisco? Adesso sono io che non capisco Emilia, non comprendo i giovani, sono violenti, sono sporchi, non sanno cosa vogliono, cambiano umore in fretta Noi volevamo giustizia sociale e libert, ricordi? Volevamo la scuola per tutti, questi vogliono essere tutti promossi senza studiare Dai Giulio non fare il vecchio professore, lo sai che non cos, non cos per tutti Guarda Elsa e Rodolfo come sono belli Ma dai un capellone che fa foto per un giornaletto che non so nemmeno se lo paga e una bibliotecaria innamorata con un orecchino infilato nel naso, questa la sinistra degli zul Sei ingiusto e razzista Giulio e ai ragazzi passare qualche giorno da soli far solo bene Sembra che li mandiamo dai boy scout secondo te, ma hai letto che questi mangiano macrobiotico che non so nemmeno cosa sia, che pensano allIndia come una meta di viaggio e non come un paese sottosviluppato, che sicuramente si drogano, che studiano come non pagare la bolletta della luce, che lottano per non fare il biglietto dellautobus Che forse non si lavano nemmeno, gli fa eco Emilia abbracciandolo. Lo guarda con un sorriso e dice: secondo me tu non vuoi capire che Stefano e Giovanni non sono pi bambini Secondo me invece sei tu che vuoi farli crescere a forza Guarda che lhanno chiesto loro S, ma sono quel fotografo e quella zingara che glielhanno messo in testa Ecco che ridiventi ingiusto Ok, mi arrendo. Si va allora. Ho ascoltato la discussione di mamma e pap dal sottoscala, facendo finta di mettere a posto la roba da pesca. Giovanni contento di venire perch gli ho spiegato che ci si diverte, ma sono io che ho vinto, sono io che ho convinto prima Elsa e Rodolfo e poi mamma. E lei ha pensato a pap. Non so per62

ch ci tengo tanto ad andare, ne ho letto sul giornale dove lavora Rodolfo e anche il Manifesto che ogni tanto mamma compra ne parlava. Cosa mi aspetto non lo so, ma adesso che vado a Milano alla festa del Parco Lambro, alla festa del proletariato giovanile, scandisco le parole anche col pensiero, mi sento davvero grande. Un po lo sono, ne sono sicuro. Cerco il vecchio sacco a pelo militare di pap. Giovanni il suo ce lha. Rodolfo ha detto che si dorme dove capita con le macchine fotografiche per cuscino cos non ce le rubano. Perch a una festa di compagni rubano le macchine fotografiche? ho chiesto. Non si sa mai, ha risposto Rodolfo. Giovanni ha voluto sapere se ci sono ragazze della sua et. Ci sono anche bambine, una festa per tutti. C tanta musica, ho saputo, e tanta gente e tanto non so tanto cosa, ma voglio andarci, non sto nella pelle. E voglio fare le foto, un mare di foto, colorate bellissime. So che Milano sar bella. Questa volta andiamo in auto, niente treno. La Renault quattro di Rodolfo piena come un uovo di noi che siamo felici e di tutto quello che forse potr servirci. Elsa radiosa, ha i capelli al vento che da bibliotecaria non le ho visto mai e profuma di fiori mentre fa svolazzare una sciarpa indiana. Rodolfo bianco come un cencio sotto alle maniche arrotolate della camicia. Io e Giovanni siamo dietro. Il rumore della macchina con i finestrini aperti infernale. Rodolfo racconta che ascolteremo gli Area, Eugenio Finardi, Gianfranco Manfredi Io non conosco davvero nessuno. Giovanni qualcosa ha sentito, ma siamo troppo piccoli per conoscere questa musica, lo dice anche Elsa. E zio Luciano era troppo grande quando faceva ascoltare i dischi a Giovanni, penso io, mentre attraversiamo il Ticino sul ponte di ferro. Sotto blu e immagino i pesci, intorno tutto sa di lago e di pianura e pi si va verso Milano pi aumentano case e strade. Arriviamo in citt, non avevo mai visto tanto cemento da vicino, tanta aria grigia scendere sotto il sole e poi il caldo e le macchine, tantissime, e il tram, e le piante che non sono verdi, i cartelloni della pubblicit sono enormi, luccicanti, ma grigi da qualche parte anche loro grigi Rodolfo ha gli occhi da sognatore e un po mi ricorda
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pap. Gi, lui non era daccordo e forse aveva ragione: c una patina di tristezza sulle strade, sui pali della luce, dentro ai portoni, attorno alle ringhiere Non so cos, ma non sono pi felice, anzi mi preoccupo un po Non siete mai stati a Milano? No, rispondiamo in coro ed un coro sperduto quello mio e di Giovanni, noi siamo bambini di montagna e di mare, pescatori di trote, studenti di provincia, come si fa a vivere qui vorrei chiedere, come si fa solo a pensarlo un posto cos Passa la Renault quattro e vedo le capanne e le roulotte e gli zingari e le giostre e il sole che sta sciogliendo lasfalto e il caldo e limmondizia e lodore della citt un odore che non mi piace Fermiamo la macchina dove ce ne sono altre e intorno ci sono persone colorate nei vestiti, con i cani, un uomo con il trombone, una ragazza con gli occhi dipinti di verde e piccoli tappeti per terra che fanno da botteghe dove si vendono borse, cinture, orecchini, anelli, sciarpe, incensi, libri, giornali, maschere dipinte, essenze, profumi, erbe, pipe per fumare lhashish, mi spiega Rodolfo, si chiamano chilum o qualcosa di simile, non capisco. La droga mi fa paura. Lhashish non proprio una droga, dice Elsa. Secondo un libro che ho letto s, a quarantanni fa diventare impotenti. Non ho ben chiaro cosa vuole dire, ma Rodolfo ride di una risata forte che rompe laria, che toglie quella patina grigia che c anche qui dove tutti sembrano usciti da un accampamento di indiani e alcuni girano mezzi nudi, altri hanno il cappello con la piuma e ci sono donne con le pietre preziose nei denti che leggono le carte o stanno sedute per terra e fumano E i fumi sono intensi, mescolati, dolciastro di hashish che mi insegna Elsa a riconoscerlo, di erba secca che brucia che quello di marijuana, di pipa forte, pungente di bidi che sono sigarette indiane di gelso mi spiega ancora Elsa e di chiesa, di incenso, del funerale di zio Luciano, di oriente, di cose lontane Una mescolanza di fumi che scivola nellaria a zaffate e quando mi investe mi lascia stordito. Rodolfo cerca qualcuno, Elsa si dondola in un vestito colorato, grande, vistoso, leggero che la rende bellissima come una fata In biblioteca non lho mai vista cos.
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Sento la musica. C gente che passa. Qualcuno barcolla. Qualcuno saluta. Tutti si guardano, molti sorridono. Gli occhi, gli occhi di tutti sorridono. Giovanni mi guarda serio: ma qui si drogano tutti, dice. No, solo un altro mondo, rispondo, ma neppure io so dove sono, di tutto questo a casa, a scuola, sui libri non ho sentito parlare mai. diverso, molto diverso, da quando siamo andati a fotografare gli operai, di operai in casa se n parlato sempre, mentre di questo mondo inebriante fatto di cani, di capelli lunghi, di vestiti colorati, di ciondoli e collane, non ho sentito parlare mai. Guarda l un ragazzo con il cappello a cilindro e il violino E quello che sembra Mos mentre apre le acque E quella ragazza dai capelli rossi e le unghie lunghissime arrotolate che ci guarda come fosse una strega Seguiamo Rodolfo che sorride sempre meno e ha qualcosa che gli vela lo sguardo, ogni tanto si ferma, parla con qualcuno, a volte scatta, ma scatta poco Gira, cerca. Noi abbiamo lasciato tutto in macchina, anche la Voigtlander, ma non mimporta di fotografare questo mondo, io voglio esserci in questo mondo, voglio sentirne le vibrazioni me lha detto un signore, quello che sembra Mos: ascolta le vibrazioni chiedo quanto costa un braccialetto a uno seduto col cane e due occhiali grandi in mezzo ai capelli lunghissimi. Ce li ho i soldi. Lo compro, chiedo a Elsa se me lo lega, di cuoio intrecciato. Adesso mi sento pi uguale. Giovanni dice che vendono dei panini con i wurstel. Sar quello mangiare macrobiotico come diceva pap? Elsa stavolta che ride di gusto, con i denti che si aprono come un arcobaleno e ci spiega che i macrobiotici mangiano lenticchie, riso e carote, scondite. La musica avvolge il parco e tutti quelli che ci passano. E anchio sono ormai un tuttuno con questi odori, con i profumi doriente, con la voce potente di Demetrio Stratos che canta giocare col mondo facendolo a pezzi Che brivido, sento la pelle che si tende e diventa un tamburo di spilli, desidero un mondo migliore, lo desidero davvero e mi sento leggero, pronto a partire verso un viaggio nel quale la musica mi sta gi accompagnando. la stessa forza delle voci potenti degli operai di Nova65

ra, qualcosa che mi dice chi devo essere e cosa voglio fare La mia rabbia legge sopra i quotidiani La musica pulsa come un motore di trattore mi manca il fiato Leggi nella storia tutto il mio dolore E io lo sento il dolore del mondo, sono un bambino, sono un uomo, sento comunque qualcosa che mi fa esplodere il cuore Non colpa mia se la tua realt mi costringe a fare guerra allumanit Intorno c un mondo che la mia famiglia, adesso lo . E anche pap e mamma se fossero venuti capirebbero. Che voce, che musica, che profumi, che colori, che Che cosa succede perch Rodolfo arriva di corsa? Perch scuro in volto? Perch sta parlando con Elsa come quando mamma e pap litigano? Non ci si ferma pi a dormire ragazzi, meglio che andiamo a casa Elsa risoluta come una maestra, non la immaginavo cos. Oppongo resistenza, voglio almeno capire perch. meglio tornare a casa. Ma sto cos bene qui Elsa. Ma se vi accadesse qualcosa i tuoi genitori se la prenderebbero con me e con Rodolfo. Ma cosa vuoi che succeda Rodolfo preoccupato. Voglio sapere perch, alzo la voce per sapere perch e la sento stridula, da bambino e un po me ne vergogno Per me se andiamo lo stesso, io mi sono gi divertito, dice Giovanni. Ma per me non lo stesso, non lo proprio. Dai Stefano, fammi un piacere, fallo per me. Elsa mi guarda preoccupata e io le voglio troppo bene per farla preoccupare. Andiamo, ma almeno mi spieghi perch. Per strada. Per strada. Rodolfo rimane a Milano. Elsa che guida e ci riporta a casa con la Renault quattro che diventa una macchina triste e grigia come la citt che attraversiamo col buio. Fa paura Milano, non so perch, ma fa paura, non vorrei mai che ci dovessimo fermare. So che dietro a ogni pilone c una citt pronta a sbranarci. Non avevo mai visto una puttana prima di stasera. Allinizio non ho capito perch sul bordo di questo immenso vialone ci fossero donne con la minigonna ad aspettare. Poi Giovanni ha detto hai visto quante troie Allora ho capito. Ci sono parole migliori per chiamare quelle signorine, dice Elsa con il filo di
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voce di chi si vergogna. Ma sempre troie rimangono, sentenzia Giovanni che di malumore. triste, dico io. Lo fanno per i soldi, dice Giovanni. Magari hanno i figli piccoli e il marito disoccupato, dice Elsa. Chi quella? indica Giovanni con una punta di disprezzo. S, quella lo rintuzza dolce Elsa. Sei meglio della mamma a sostenere le discussioni, vorrei dirle ma, come sempre, non ho il coraggio. Allora chiedo perch siamo andati via. Succeder qualcosa alla festa, dice Elsa. Che cosa? Niente di importante Sono un ragazzino ma non mi freghi cos, se non niente di importante perch ci hai portato via Perch non si sa mai. Dai dimmi cosa deve succedere Ci sono degli spacciatori di droga in mezzo a quelli che ascoltano la musica pieno di droga, dice Giovanni No, non il fumo, non le droghe leggere, quelle non fanno male a nessuno Mi vengono in mente le risate di quando ho detto che porta allimpotenza, come cambiato il clima in poche ore. Come siamo seri. Tristi. Intendo droghe pesanti, eroina prosegue Elsa. Leroina fa morire, annichilisce il cervello, una droga che vogliono i padroni e non si pu vendere tra i compagni diventata seria, serissima, Elsa, fa quasi paura quando parla cos. Stanotte Rodolfo e altri compagni manderanno via gli spacciatori, ma pu essere pericoloso per questo che vi porto a casa Potevamo dare una mano, azzardo. Non una bella cosa. Gi non una bella cosa essere dei ragazzi quando servono degli uomini finiti. Anche pap sarebbe rimasto con Rodolfo, lo so. Leroina uccide, lho letto in un libro. Cosa diciamo a casa? Chiedo a Elsa. La verit, si fa prima che a inventare bugie. Mamma non ci aspettava proprio nel cuore della notte, credeva fosse pap. Ma perch pap non a casa? uscito. Ma sono le quattro. Mamma non risponde. invecchiata. Ha le occhiaie. Mi abbraccia, accarezza Giovanni, dice grazie a Elsa. Allora come andata ragazzi? Per chiederlo indossa il suo sorriso migliore, ma c qualcosa che non va anche a casa. Sembra di essere a Milano. O forse sono io che non vado. Sento girare la
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chiave nella serratura, la porta si apre. Quelluomo dalla camicia slacciata e i capelli unti sul viso pap. Non lho neppure riconosciuto quando entrato. Non ha salutato. entrato ed andato dritto in bagno. Vengo subito ragazzi, dice mamma prima di corrergli dietro. Vedi Giovanni non ha unaltra donna, mi verrebbe da dire, ma Giovanni preoccupato, si vede. Aspettiamo mamma che arriva dicendo che ora di andare a letto. Cosha pap? stanco. Anchio a volte sono stanco, ma mai cos. Doveva essere una grande avventura e invece siamo qui che ormai lalba coi sacchi a pelo in mano e pap che sembra essere uscito da una betoniera. Mamma non vado a letto, vado a pesca. Anchio zia Emilia, dice Giovanni. Mamma ci guarda e fa s con la testa. Avrei voluto raccontare tutto quello che ho visto, sentito, capito s, anche capito stasera a Milano, ma mamma ha altro in testa e pap pure. A me rimangono i pesci che per fortuna mangiano allalba. Non ho esche, dice Giovanni. Io s, vado a cucchiaino. A cucchiaino? Gi Giovanni, ma anche tu non puoi capire. Senza i vermi non vengo e poi mi venuto sonno. Non importa, vado da solo, io non ho sonno, non ho nulla, ho solo una moltitudine di pensieri da sciogliere davanti allacqua. Forse se non avessi finito le scuole medie non avrei tante cose che mi si mescolano dentro senza farsi capire e senza mamma e pap pronti a scioglierle come sempre. Che brutto affare smettere di essere un bambino. Guardo il braccialetto di cuoio comprato a Milano e sento la voce di Demetrio Stratos che mi accompagna mentre in bicicletta scendo verso San Lorenzo. Vado al Bachitn, dove ho perso la trota gigante. No, stamattina non ho il coraggio. Respiro a pieni polmoni laria del fiume che il vento sospinge verso il paese. Qui la vita verde, non grigia come a Milano. Chiss dove stato pap stanotte, lultimo pensiero prima di arrivare di fronte allAgogna, da l in avanti solo le trote sono importanti. Dov pap? Aveva da fare. S, ma dove. Mamma sorride, ma non mincanta pi con i suoi denti bianchi e i suoi occhi neri.
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Cosa ha fatto pap stanotte? Cosa gli sta succedendo? Avete litigato? Non gli vuoi pi bene? Sono stato io che lho fatto arrabbiare? Mi escono domande che traboccano e non riesco a trattenere, voglio sapere tutto, voglio sapere che cosha pap, voglio sapere dov, voglio sapere se mi vuole bene, se gli ha fatto male la morte di zio Luciano, se forse lavora troppo, se Siediti Stefano, dice mamma. Pap in un brutto periodo, molto stanco, ha tanto da fare, ma ti vuole molto bene e ne vuole anche a Giovanni. Cosa me ne frega di Giovanni! Grido con tutto il fiato da bambino che mi rimasto e poi esplodo in un pianto grande, di quelli di quando ti fa male, molto male. Sento le lacrime che scendono e sanno di sale e le mani di mamma mi stringono, mi abbracciano, mi accarezzano, accompagnano la voce che dice cose dolci, belle, che non riesco a sentire Stai tranquillo, Stefano, io voglio molto bene a tuo padre, al mio Giulio mamma che adesso non pi forte e fa scendere le lacrime lungo il viso, silenziose, discrete, come piangono le donne. Non mi basta mamma, io voglio sapere, vorrei chiedere. E voglio sapere se Giovanni un problema per pap, per te, come un po lo per me. Ma non chiedo, non dico, non parlo. Ho paura di pensare cose brutte di Giovanni che gi solo e che in fondo, se un po antipatico, non colpa sua. Ma cosha pap? Io ho bisogno di saperlo davvero, non sono pi un bambino, non posso pi farmi incantare dalle favole del lavoro e della stanchezza. Voglio sapere se ha unaltra donna. Magari altri figli. Magari ho un fratello o una sorella e non lo so. Voi grandi tenete sempre tutto per voi come se tenere le cose nascoste le facesse un po sparire, ma il male che ho qui, che non scende dalla gola e non sale dallo stomaco, quello, mamma, non sapete farlo sparire, n con le carezze, n con le bugie. Dimmi cosha davvero pap. Lo dico con tutta la forza che ho, la parola davvero mi esce adulta, anchio sono un uomo oggi, mi avete costretto voi a esserlo. Mi hai costretto tu che non vuoi dirmi la verit, mi ha costretto pap che viene a casa la notte che sembra uno spazzino e ha sempre il vuoto negli occhi e non mi parla pi e non mi porta pi con s. Vai a dormi69

re Stefano tardi, quando pap rientra ne parliamo insieme, te lo prometto. Davvero me lo prometti? S, mamma mi d un bacio sulle labbra, leggero, un bacio che non sa di mamma che mi fa sentire grande. E lei stasera vecchia di nuovo, con gli occhi grandi, gonfi, pesanti, assenti, lucidi di lontananza. A che ora torner pap? Non lo so, ma tu dormi. Alle cinque non ancora tornato. Mi alzo, preparo la canna da pesca, lascio un biglietto e parto in bicicletta. LAgogna lultimo luogo della mia infanzia. Signora sicura che non ci sia tra voi qualche dissapore? Il maresciallo Fez guarda Emilia e ammicca per farle capire cosa intende per dissapore, un uomo di esperienza e di mestiere, chiss quante ne ha viste lui di donne disperate che indossano una faccia perbene e vanno dai carabinieri a chiedere del marito. Senta, dice Emilia, mio marito in un brutto periodo e ogni tanto, ogni tanto La voce si strozza tra le lacrime. Il maresciallo la guarda con comprensione e le allunga un fazzolettino di carta. Emilia piange come una bambina, non riesce a fare altro. Il maresciallo si alza in piedi, si avvicina alla finestra, fa il giro largo di questufficio che sa di Arma da ogni parte, dal calendario alla bandiera, alla monumentale macchina da scrivere. Ogni tanto cerca altra compagnia? Domanda secco il maresciallo. Emilia smette di piangere e lo guarda fisso negli occhi come per dire non giudichi mio marito un puttaniere qualunque, non si permetta Poi raduna tutta la voce possibile e dice no, non questo il punto maresciallo, la stanchezza, lo stress lo portano a bere. Lavevo sentito dire, scopre le carte il maresciallo. Laveva sentito dire? Domanda Emilia esterrefatta. Beh, sa, in un paese piccolo come questo il maresciallo dei carabinieri sa un po tutto di tutti, il fatto che non volevo crederci, un uomo come il professore Gi, un uomo come Giulio, come il mio Giulio, avrebbe voluto dire Emilia, ma le parole si fermano in gola e si trasformano in una supplica: me lo trovi per favore, mi faccia sapere se gli successo qualcosa
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Emilia aveva deciso di rivolgersi ai carabinieri dopo cinque giorni che di Giulio non aveva avuto pi notizie. Con Stefano, con Giovanni, si era arrampicata sugli specchi per giorni lunghi secoli e anche con s stessa aveva tenuto duro consumando la speranza fino allultimo filo, esile, che laveva condotta nella caserma dei carabinieri. Stefano per fortuna sembrava forte e aveva smesso di preoccuparsi. Andava a pesca tutti i giorni e non chiedeva pi di pap, se non distrattamente tornando a casa. Torner presto, ripeteva Emilia come un ritornello. Caro Amilcare, sai che non ti ho mai scritto e non mi sono mai permessa nessuna confidenza. Sai anche quanto tempo mi ci voluto per darti del tu. Ti scrivo questa lettera perch mi sento in dovere di farlo, deciderai tu se il caso di farla leggere a Rosetta. Credimi, se potessi risolvere da sola la cosa che ti sto scrivendo Emilia rilegge le parole indirizzate al padre di Giulio, poi accartoccia il foglio con rabbia e lascia cadere la penna sulla scrivania. Alza gli occhi e guarda la foto di lei con in braccio Stefano bambino al Passo dello Stelvio. Limmagine che Giulio tiene sullo scrittoio. E la penna stilografica, la carta intestata Giulio Baldazzi Morra, uno dei tanti vezzi di Giulio la carta intestata. Uno dei tanti vezzi per i quali lei lo aveva sempre amato, per le sue stranezze, per i suoi legami con oggetti che adesso stavano qui, tra la carta per scrivere, la pipa, il tabacco, la Lettera trentadue Aveva cercato Emilia tra le carte di Giulio due righe di spiegazione, un biglietto daddio, un indizio di tutto questo tempo senza farsi vedere, n sentire Il caldo di questa estate pi arida di tutte le estati, di questa estate senza mare e senza montagna, le toglie il respiro mentre lo studio di Giulio le gira attorno con i colori e calori del legno scuro, del ventilatore con le pale grandi che muove solo aria calda, con le tende che filtrano la luce che gi sta andando via Prende i fogli di carta Emilia. Carta, buste e una Bic blu e va in cucina dove c pi luce. E meno ricordi. Caro Amilcare, ricomincia su un foglio nuovo, se potessi non ti scriverei queste righe che so potrebbero allarmare te e
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Rosetta. Daltra parte se non te le scrivessi potresti un giorno rinfacciarmi di non averti detto nulla. E poi credimi, sono sola e non so pi cosa fare. Giulio, il tuo Giulio, il nostro amato Giulio perch io lo amo quanto lo ami tu, quanto lo ama Rosetta Non ce la fa Emilia a scrivere la verit: Giulio, il suo Giulio, il loro Giulio, un ubriacone alcolizzato che da cinque giorni non mette pi piede a casa. E se poi gli capitato qualcosa? pensa Emilia. Se Giulio sta male, ha avuto un incidente, magari morto Oh dio non voglia che sia morto Ma se gli successo qualcosa e io scrivo ad Amilcare che se n andato Sono proprio una scema Prima di scrivere devo almeno aspettare di sapere cosa fa, dov Riporta i fogli di carta sullo scrittoio appena in tempo per sentire squillare il telefono. Sentirlo o pensarlo? tutto il giorno che a Emilia sembra che il telefono suoni, che corre a dire pronto a una cornetta muta capace solo di un tristissimo tuu-tuu Eppure questa volta suona davvero il telefono, trilla, vibra, vuole farsi sentire tra i mille suoni fantasma che accompagnano il pomeriggio di Emilia. Pronto Pronto, sono il maresciallo Fez, posso venire a trovarla? Ho delle notizie per lei Certo, maresciallo. Certo Giulio, avrebbe voluto dire Emilia. Chi ti ha detto che ero qui? Sono giorni che ti cerco Giulio, potevi lasciare almeno un biglietto, telefonare Non ho carta e penna, non ho soldi per chiamare Vuoi dei soldi? Non mi servono, Emilia, non mi servono proprio Non hai caldo? Ho freddo, un poco, a volte, ma come hai fatto a sapere che ero qui? Me lha detto il maresciallo Mi hai fatto seguire dai carabinieri? Non arrabbiarti Giulio ero Eravamo solo molto preoccupati per te Non c motivo di preoccuparsi Emilia, io qui sto bene, vedo il lago e sto bene Giulio non essere ridicolo, non penserai di passare la vita in questa stazione senza che nessuno ti mandi via Cambier stazione, forse andr al mare Al mare tu che lhai sempre odiato? tardi Emilia per odiare e per amare Ma cosa c Giulio che non va? Non lo so Emilia, credimi,
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non lo so, ma meglio cos Ma perch mi fai questo? Perch fai questo a Stefano? Perch fai questo a Giovanni? Grida e stringe i pugni e fende laria Emilia in quel pomeriggio estivo alla stazioncina ferroviaria di Orta, ma non c voce n gesto capace di sollevare Giulio dalla sua panchina. Dove hai messo gli occhiali? Dice Emilia accorgendosi di colpo che Giulio non ha occhiali, n la giacca per tenerli. Ha gli occhi rossi, gonfi, vuoti, soli Indossa la camicia di una settimana prima, ha il viso sporco, la barba troppo lunga, i capelli incollati, i pantaloni spiegazzati, le mani ferme sulle cosce, non si muove quando parla. Non mi servono pi gli occhiali, non ho pi niente da vedere Ma perch fai cos? Silenzio. Non torni a casa con me? Emilia lo abbraccia disperata, lo bacia su una guancia con una sensualit antica, dimenticata. Giulio tace. Dai che i ragazzi ti aspettano Sorride, ride, allegra per un attimo Emilia che sfodera i suoi occhi grandi e il suo sorriso migliore, quello dei tempi delluniversit. Ti ricordi quanto ci siamo amati io e te? Giulio vorrebbe dire che era unaltra vita, ma non riesce pi a parlare, quellimprovviso, gioioso, tentativo di Emilia di riportarlo indietro comincia a infastidirlo. Devo andare Emilia, scusami. E scusami anche con i ragazzi Dove devi andare Giulio? Non vedi come sei conciato? Come un barbone? Tutti i barboni prima erano qualcosaltro. Saccente come sempre. Emilia non lo sopportava quando pontificava a quel modo. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo mi lasci cos, per una stazione, per un bicchiere di vino, neanche per una donna Le donne sono cos noiose Emilia, sai quante ne ho provate Come quante ne hai provate? Non crederai che abbia passato tutti questi anni da solo? Come da solo? Io cero, io sono sempre stata con te, io ti ho seguito ovunque anche a Gozzano che la cloaca del mondo Ma non mi hai mai amato Emilia Come non ti ho mai amato? Io ti ho sempre amato Giulio Mai qui, dice Giulio mettendosi una mano in mezzo ai pantaloni con il gesto pi volgare che Emilia gli avesse mai visto fare. Fai schifo Giulio Lo so Per te era tutta una questione di sesso allora? No, Emilia, tanto che non sono anda73

to via con unaltra donna Vieni qui, dice Emilia non pi inferocita, passando una mano sulla testa di Giulio. Sto bene qui, credimi. Si scosta con un gesto che non ammette repliche. Si alza, Giulio, e cammina sulle pietre della ferrovia, zoppicando vistosamente. Tu zoppichi? cos che dovevo essere Emilia, dimentichi che ho avuto la polio Ma non hai mai zoppicato Ho avuto fortuna, tanta inutile fortuna Perch ti lasci andare cos Giulio? Silenzio. Non vuoi tornare? Silenzio. Se non torni ora non ti vorr mai pi Silenzio. Il sole tramonta sul lago e fischia il treno dei pendolari. Dovr mandare via Giovanni Silenzio. Cosa dir a Stefano? Silenzio. Ricordi che andr al liceo, al tuo liceo? Silenzio e fumo dellultima locomotiva a vapore pronta ormai per la pensione. E lacrime silenziose sul volto di Emilia. E un dolorosissimo nulla negli occhi di Giulio. Ho voglia di bere Emilia, lo pensa ma non lo dice. Come sempre. Mamma non racconta pi bugie. Ha deciso che sono grande, me lha detto lei. Lha detto anche a Giovanni. Ci spiega che la situazione grave che pap se n andato perch sta male, depresso, a volte eccede con il vino, ma una persona in gamba e ne uscir fuori. Perch non possiamo aiutarlo noi mamma? Perch non vuole farsi aiutare. Ma dove vive? Da amici. Il Nardi dice che fa il barbone alla stazione e guadagna qualche soldo dando una mano al ferrovecchio, interviene Giovanni. A volte vive da amici, a volte no, mamma non ha pi voglia di mentire. Giovanni non pu pi vivere con noi, non possiamo farcela, andr da zia Clara a Laigueglia. Parla di Giovanni come se non ci fosse e non ha il coraggio mamma di guardarlo negli occhi. Non lavrei neppure io il coraggio di cacciarlo di casa. Mamma perch mi fai questo? Perch fai questo a Giovanni? Dobbiamo andare al liceo insieme il mese prossimo, come faccio da solo a fare tutta la strada per andare a Novara? Come faccio a fare la guerra dei cuscini? E ad andare a pesca? Non bastava pap che se n andato? Perch mamma fai andare via tutti da questa casa? Penso e non parlo, in realt mamma ha gi deciso tutto, co74

munica e basta. Mi ha imbrogliato ancora, mi ha detto che ero grande e poi ha deciso lei, tutto lei. Non preoccuparti zia io mi adatto, Giovanni rompe il silenzio. Gi, Giovanni si adatta, come no, tutta la vita che gli muoiono madri, padri, lo abbandonano gli zii, lo allontanano le zie, eppure lui resiste. Giovanni s che un uomo, lo penso davvero e lo guardo con fierezza: sono fiero Giovanni di essere tuo fratello, di esserlo per sempre. Zia Clara ti ha gi iscritto al liceo di Albenga cos ti accompagna lo zio che va in studio tutti i giorni e poi voi, mamma adesso ci guarda negli occhi, potrete passare tutte le estati insieme. Qui o al mare, dove vorrete. Anchio mamma vorrei tornare a Laigueglia, con Giovanni, stavolta non penso, dico. Noi dobbiamo restare qui Stefano, rimanere per quando torner pap. Quando torner pap? Appena star meglio. Quelli che vivono nelle stazioni non stanno mai meglio, se ne vanno in silenzio, dimenticati da tutti, perch mi prendi in giro mamma? Ma anche stavolta non parlo, voglio crederci anchio che pap torner un pomeriggio. Entrer e dir, buongiorno miei cari, ti bacer mamma e mi dar una carezza tra i capelli. Allora ci abbracceremo e saremo felici. S, torner un pomeriggio pap, non pu averci dimenticato, solo stanco, gli passer. C gi aria dautunno quando arriva la Giulia di nonno Amilcare, fresco la sera, c pi acqua nel torrente e le trote sono nervose. Mi capita gi di catturarne alcune piene di uova e so che si stanno spostando per riprodursi, come i salmoni. E come piccoli salmoni le vedo saltare, guizzare fuori dallacqua come un fascio di muscoli tesi, tentare inutilmente di attraversare la briglia in massi e cemento di Gozzano. Quando ci sar la piena, quando salir lacqua passeranno, mi ha detto il Giurati che adesso non mi dice pi di salutare pap. Nessuno in paese parla mai di pap. E la casa di via dei Grissini sta diventano buia, il vento la spazza spesso e ci porta davanti le prime foglie mentre il sole sul castello ricomincia a tramontare al pomeriggio. Mamma spolvera ogni giorno lo studio di pap, la vedo che lo fa quando pensa che io non
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me ne accorga. E a volte la scopro seduta alla scrivania e la sento stanca. Non te laspettavi mamma? dovevi aspettartelo, tu lo sapevi, tu lo vedevi pap che stava male. Io ero un bambino, un bambino al quale raccontavate bugie per impedirgli di crescere. La casa grande adesso che Giovanni ha preparato le sue cose. Abbiamo parlato, lo accompagner a Laigueglia, ci scriveremo pure. Nonno Amilcare venuto solo, senza nonna. sceso dallauto senza giacca, con un gilet scuro sulla camicia bianca e il sigaro in bocca. Per un attimo mi sembrato pap, solo pi vecchio. Lo stesso sorriso. Ciao Stefano Baldazzi Morra. La stessa ironia. Perch pap non poteva essere come il nonno e diventare un vecchio signore gentile? Forse lo diventer. Puzza di toscano il nonno, non lo si sopporta. Vuole venire anche Stefano ad accompagnare Giovanni, sento mamma che impone al nonno i miei desideri. Grande mamma, quando vuoi puoi ottenere tutto. Nonno Amilcare non obietta. Dice va bene, lo riporter indietro io, volentieri. Vuoi venire anche tu, c spazio in macchina se vuoi, dice rivolto a mamma. Mamma non ci aveva neppure pensato a un viaggio a Laigueglia. Non posso ho da fare. Non hai niente da fare che non possa aspettare, vieni ti far bene Anche nonno sa imporre quel che vuole, ma lo fa in modo gentile che quasi non te ne accorgi. Pranziamo insieme e ancora si mangia in giardino. Mamma ha fritto un po di salvia e a me il profumo della salvia fritta ricorda il mare da bambino. Nonno parla di cose inutili, ma lo fa da vero signore. Nonna Rosetta e la sua artrite, i lavori per mettere a posto la casa, Renato, il marito di zia Clara che diventato il pi bravo avvocato del ponente ligure e domani, ci potete scommettere, di tutta la regione E zia Anna sempre insieme a quel matto che vuol fare il giro del mondo in barca a vela. E chiss dove prende i soldi. E tu piuttosto come te le passi Emilia? Mi fa piacere che non vi ha lasciato in mutande. Non vi ha, intende pap, ma non lo nomina mai nonno Amilcare, neppure quando ne parla. E beve vino e fuma a tavola. Fai ancora attivit di partito? Magari un giorno ci si trova al governo assieme, sai noi si sta con la Dc solo per preparare lalternativa, il nostro cuore ros76

so e batte a sinistra S, rosso come il vino, vorrei dire al nonno. Il vino che a te d allegria, fa parole, cicaleccio e sorriso, e che a pap d tristezza, malinconia, fa silenzio. Potevi almeno insegnargli il vino a pap in tanti anni che stato figlio tuo. Dai ragazzi andate a prendere la vostra roba che il nonno ha fretta di partire, vuole guidare con la luce. Gi, come pap, stessi occhiali, stesse manie e come bello il nonno a capotavola, al posto tuo, pap. Ha i sedili di pelle e le finiture in radica la Giulia del nonno. Davvero una gran macchina. Ci guardo tutti seduti qui dentro e mi viene in mente Milano e la Renault quattro di Rodolfo. Non so, non so davvero, quale macchina mi piace di pi. Non so nemmeno se mi piacciono le macchine. Quella del nonno vecchia, ma tenuta come un salotto. Il nonno gira la chiave e il motore obbedisce come un orologio e frulla con un rumore da orchestra che rende il nonno orgoglioso. Glielo si legge negli occhi. Chiss nonno se sei mai stato cos orgoglioso di pap? Scivola la guida del nonno, scivola lauto lungo la strada che conduce nella bassa, porta a Novara e poi passa in mezzo alle risaie ormai asciutte verso Vercelli e le colline di Casale Monferrato, Asti e poi, di qua del Tanaro, in Roero, a Priocca dAlba. sera e si cena da zia Nilde, la moglie di un fratello del nonno morto in guerra. Pap non mi aveva mai portato a Priocca, dove nascono i Baldazzi Morra, come dice il nonno che ancora, con il vino e la gioia di essere a casa, raggiunge il massimo dellallegria. leggero, il nonno, leggero come un ragazzo. E dice cose che fanno sorridere mamma e fanno arrabbiare zia Nilde, parla di politica, parla con me e Giovanni e dice che il mondo oggi diverso e che tocca a noi capire com. Eppure gliela vedo, un attimo, per un secondo solo, la malinconia di pap. Gli passa negli occhi chiari quando di colpo dice io sono nato in un altro secolo. Per un anno solo, ma in un altro secolo. Non lo diresti mai che il nonno viene dallOttocento. Neppure lui lo direbbe stasera, ma se lo sente addosso il suo secolo cambiato e i suoi occhi fanno la smorfia che fa sempre pap. Eccolo il tuo segreto non77

no: tu hai nascosto, hai mentito, hai sopito le cose che a pap sono esplose fino a farlo schiavo del vino. Tu hai fatto il vino schiavo della tua allegria, ma anche tu dentro hai la malattia di pap. Ecco cosa abbiamo noi Baldazzi Morra, non il doppio cognome, non gli occhiali, ma la malinconia, una malinconia che ci fa stare lontani. Anchio adesso sono lontano nonno, sono lontano, mamma. Io adesso sono con pap mentre voi ridete, scherzate, sorridete, raccontate storie che non esistono pi, vi raccontate le bugie che vi aiutano a vivere. Io sto con pap che di bugie non riuscito a raccontarsene pi. Non sei contento di andare al liceo Stefano? Nello stesso liceo in cui Nonno Amilcare si ferma, non sa andare avanti. Nello stesso liceo in cui andato pap, dovrei dire. Nello stesso liceo in cui si era iscritto anche Giovanni? rispondo. Anchio dico bugie pap, anchio non ho coraggio. Assaggio il vino di zia Nilde. Poco che non sei abituato Poco s che non voglio abituarmi mai. Forza ciurma che il battello parte, grida il nonno che stamattina sembra un giovanotto. Sta in piedi, in maniche di camicia, al centro dellaia di zia Nilde. Tiene il cappello in mano e ci dice che ora di partire. Noi mettiamo fuori il naso dalla stanza di sopra dove abbiamo dormito e vediamo il nonno e mamma con i capelli sciolti e zia Nilde che ci dice che la colazione pronta. Ed una colazione ricca di pane, di marmellata, di crema di nocciole, di latte buono, di caff che non siamo pi bambini. Vorrei fosse pap a dirmi che sono cresciuto, che sono un uomo. E invece il nonno che contento di suo nipote e di questa nuora dai capelli neri che in questo viaggio ha ritrovato la voglia di scherzare. S mamma, tu non sei fatta per le tragedie, per i noiosi come pap. Ce lhai lorologio Stefano? Mostro il polso con lorologio tutto di metallo regalatomi allinizio delle scuole medie. Ma non lo vorresti un orologio vero? Cos un orologio vero, nonno? Questo un orologio vero e il nonno mi mostra il suo da taschino. un Longines, dice, noi Baldazzi Morra portiamo solo questi. Anche pap aveva un Longines da polso. S, glielave78

vo regalato io. Adesso che di pap si parlato nonno non sorride pi e ritorna un vecchio, di colpo. Tienilo, mi dice, mettendomi in mano lorologio e la sua mano non pi sicura. Lui di un altro secolo e ha un figlio che gli fa male. O forse solo se ne vergogna. Hai vergogna di pap? vorrei chiedere, ma dico grazie e guardo Giovanni. Ma a Giovanni sta bene cos, Amilcare non nonno suo e lui ha lorologio che gli ha lasciato zio Luciano. A ognuno i suoi parenti, a ognuno i suoi orologi. Ci capiamo in unocchiata. Non ci siamo mai compresi tanto come in questo viaggio, io e Giovanni. Siamo tutti e due soli e stanno per dividerci. Sai che Stefano vuole mettere lorecchino? Dice mamma al nonno. Lui mi guarda, mi osserva, sputa: i vecchi anarchici di Priocca lhanno sempre avuto, se vuoi puoi metterlo marinaio E di nuovo sorride. Mamma cercava una sponda per dirmi di no, ma questa volta non lha trovata. Grazie nonno. Anche pap faceva cos a volte. Solo col cane non ha vinto mai. Queste sono le colline di Pavese, Fenoglio, di Lajolo Dice sempre le stesse cose il nonno quando passa per Alba, le Langhe, Bossolasco, Murazzano Quando si arriva a Ceva e si entra nellalta valle del Tanaro gli scrittori finiscono. E finisce pure la resistenza. Bagnasco, Garessio, nonno presenta tutti i paesi come fossero amici suoi. Scendiamo dalla valle di Neva, fino ad Albenga e finalmente il mare, lIsola Gallinara, Alassio e poi Laigueglia. Zia Clara sta in un villino verso linterno, zio Renato sempre abbronzato ma non uomo di mare. Ci sono tutti e due e anche le piccole Alice e Rebecca, le mie cugine. Rebecca si chiama cos perch zio Renato ebreo. Alice e Rebecca non lo sono perch lui ha sposato zia Clara. Una volta mi ha detto che sono le donne a trasmettere la religione, ma che a lui importava poco, il suo era un dio sfortunato e poi, come pap, anche zio Renato socialista e i socialisti, dice sempre pap, hanno poco a che fare con dio, anche quello degli ebrei. Nonno Amilcare ferma la Giulia in mezzo al piazzale che c davanti a casa, scende per primo e apre la porta alla mamma. Io
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guardo Giovanni e so che pronto. Possiamo scendere. Come ti sei fatto grande Stefano, ma guarda hai i baffetti, ma non che mangi un po poco E questo Giovanni, che bel ragazzo, che giovanottone Ciao zia Clara, ciao zio Renato, ciao Alice, ciao Rebecca Fatto buon viaggio S, ci siamo fermati da Nilde, la sua cucina sempre impareggiabile La facciata della villetta rosa pallido, quasi finto, smorto, colorato coi pastelli. Tutti si abbracciano, si rispondono, sorridono. questo il mondo che piace a te, vero nonno? questa, mamma, la vita che volevi con pap? Ma a pap non piacciono i villini di collina, le risate di parenti, gli avvocati come zio Renato e le auto che sembrano salotti. Lo capisco pap perch sei andato via. Non dovevi per dimenticarti di me. Io sono uguale a te, non alla mamma. Mi accorgo che mi si stringe il cuore e sto per piangere. Seguo il muro della recinzione fino a un angolo dove si apre il capanno degli attrezzi. Mi siedo di fianco alle damigiane vuote messe ad asciugare e aspetto. Aspetto le lacrime e la fine dei saluti. Addio Giovanni, fratello per pochi mesi. Penso lungo la strada del ritorno. Nonno Amilcare passa dal mare e io siedo davanti, mamma sta dietro e ha lo sguardo di chi torna a casa dopo una vacanza. Certo, ha anche quella smorfia che le leggo sulle labbra da quando andato via pap, per sta bene, si vede che le ci voleva questo viaggio a Laigueglia e forse per lei Giovanni era un peso troppo grande. Forse anchio sono un peso troppo grande, mamma. Tu che vorresti una vita da signora, da signora comunista, sulle barricate ma con qualcuno che ti apre la portiera e ti chiede notizie del tempo e dei parenti. Io sono un figlio a cui hai pensato tanti anni e adesso toccava a pap occuparsi di me che vado al liceo. Invece, invece Penso a pap spesso, ma non riesco ad arrabbiarmi con lui. Lo so che dovrei, in fondo lui che ci ha lasciati, abbandonati in via dei Grissini. Per lo penso nelle sue stazioni, o dagli amici, o alle osterie e so che sta un po come me al Parco Lambro, anche le cose che non ti piacciono ti dicono che quello comunque il posto tuo. A cosa pen80

si Stefano? Chiede il nonno allimprovviso. Al mare. Non vero, ma mi sembra una risposta. Vorresti tornarci? Chiede mamma. No, non pi, non ora, non so. Di tutti i no riesco a dire solo non so. Nonno guida con i finestrini abbassati e a mamma dietro volano i capelli. Io guardo il mare. Nonno me lo presenta: Borghetto Santo Spirito, Loano, Pietra Ligure Scendono torrenti al mare in Liguria e io non ci ho pescato mai. Varigotti, Noli, Spotorno, Savona Sul mare si affaccia la fortezza, al porto navi gigantesche, non pensavo ce ne fossero di cos grandi. Vuoi un gelato Stefano? Coppa di crema e pistacchio ad Albisola a fine di stagione con pochi villeggianti. Mamma sembra davvero in vacanza. Varazze, Cogoleto, Arenzano Vuoi fermarti a Genova, Emilia? No, se non sei stanco Amilcare, preferisco arrivare a casa appena possibile. Nonno Amilcare non mai stanco di guidare, dovresti saperlo mamma. A Voltri si sale allora la montagna, si va verso il Piemonte. Addio al mare. Addio per sempre? No, finch c Giovanni Laigueglia ancora casa mia. Campo Ligure, Ovada Qui fanno un ottimo dolcetto, ne prendo due damigiane tutti gli anni. In ogni paese il nonno fa qualcosa o lo ha fatto o lo far. Anche a pap piacciono i posti nei quali viaggia, ma il nonno conosce davvero tutto. Mi chiedo se conosce tutti. Se conosce te pap, se ti conosce davvero in fondo al cuore, se sa perch sei andato via. solo una piccola deviazione, vedrai che ne vale la pena Mi sveglio che sento nonno che convince mamma a girare per Novi Ligure a comprare il cioccolato con le nocciole. Il pi buono del Piemonte, dice nonno. Ma non lo fanno ad Alba il pi buono? Chiedo ricordandomi che laveva detto nonno allandata. Questo diverso, risponde un po piccato. Hai voglia di girare nonno, te lo si legge in faccia. Sgranocchiamo cioccolato che sporca le mani e fa i baffi quando passiamo per Alessandria. Nonno ha anche unaltra idea. Unidea per cena, dice. Passiamo da Mortara, mangiamo qualcosa, poi con calma raggiungiamo Novara e poi Gozzano. Ma arriveremo a notte fonda, dice mamma che stanca. Stanca di viaggio, ma non ancora di nonno. Lui insiste, fa gli occhi dolci, dice
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che vorrebbe riposarsi un po del viaggio. Bugiardo nonno, lo sanno tutti che per te il viaggio riposo. Mamma accetta. Siamo a tavola sotto il pergolato che ancora c il sole e qui la luce malata. Mamma preoccupata per le zanzare, ma la signora della trattoria la invita dentro e le d una lozione. Vieni Stefano, vieni Amilcare che ci danno lAutan fatto in casa Io preferisco questo allAutan, dice nonno alzando il bicchiere, rosso, spumoso. Si chiama Bonarda dice quando lo versa. Nonno Amilcare appoggia la giacca sulla spalliera della sedia, arrotola le maniche della camicia che sembra pap e racconta dei salami doca che son fatti cos non solo perch sono buoni, ma perch cos li mangiano gli ebrei che hanno il divieto del maiale, parla dei genitori di zio Renato perseguitati dai fascisti, dice dei campi di concentramento, della guerra, dellItalia che non lhanno rifatta troppo bene, che la colpa un po loro, ma un po anche di quelli dellet di mamma Che ci sono i giovani che non si sa cosa vogliono, che sono duri, che pretendono nelle piazze, che non cos che si costruisce un paese, non urlando per strada Per fortuna che ci sono i bravi ragazzi come Stefano dice a mamma, ma guarda me Io urler per le piazze nonno, eccome se urler, vorrei dirgli. Ho capito che la forza sta nellurlare tutti insieme quello che si vuole. Mica come voi socialisti che state al governo e dite male di quelli che ci stanno. Dovrebbe dirle mamma queste cose. Mamma comunista, ma stasera dice che loca buona, che il risotto squisito,che nonno vuole ubriacarla per farle la corte e ride, ride di gusto. Anche a me piace questa trattoria dove le zanzare succhiano sangue e lozione, dove il vino frizzante e fa girare la testa anche a me, dove la sera pulisce laria e porta via la polvere, dove fanno da mangiare agli ebrei. Pap se ceri avresti detto al nonno che ora che il partito smetta di leccare la dicc, che ora di fare sul serio, anche con i comunisti, anche con i ragazzi che gridano nelle piazze Lo so che lavresti detto e io sarei stato orgoglioso. Io e mamma non siamo capaci di fare politica col nonno, abbiamo
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paura di fare i comunisti. Poi mamma col nonno sta in vacanza e anchio un po mi lascio conquistare. In fondo ancora estate, tra poco vado a scuola e se tu non ci sei a divertirti con noi solo colpa tua. S, pap solo colpa tua. Se io sono triste, se Giovanni se n andato, se a mamma tocca divertirsi con nonno che vecchio solo colpa tua. Mi si strozza in gola la colpa di pap, mi resta tra il poco vino e le tonsille. Nonno dice che ora di partire A mamma che chiede il conto risponde che lui non ha mai fatto pagare le signore Tra Novara e Gozzano non c neppure unauto per strada. Nonno si ferma nella camera degli ospiti, io faccio un giro per casa a vedere se Giovanni ha scordato qualcosa o se pap tornato o anche solo passato. La canna da pesca al suo posto. Domani allalba sullAgogna. A cucchiaino. Solo. Non ci si abitua facile a una scuola nuova dove ti danno del lei anche se non hai ancora quindici anni, non hai sentito la sveglia in tempo per lavarti la faccia, porti lorecchino e la camicia da boscaiolo. Lorecchino me lha messo Elsa, dopo che mamma ha ceduto ed di quelli da pirata, come Corto Maltese. doro ed un regalo di Elsa e Rodolfo. La camicia lho comprata io per andare in una scuola dove c chi viene con la cravatta tutti i giorni. A quasi quindici anni con la cravatta, questa pap non me lavevi detta quando ho scelto la tua scuola. Forse anche tu, ai tuoi tempi, andavi a scuola con la cravatta. Con mamma, soli, viviamo bene. Ci facciamo compagnia quando serve e lei ha ripreso a insegnare, per adesso in una scuola privata a Borgomanero, ma ha fatto domanda per tornare alle scuole pubbliche. Mamma che insegna dai preti ce la vedo davvero poco. Lei a scuola ci va con lottocinquanta. Io in treno. Tutti i giorni corro da via Regina Villa al Purtn e poi sempre pi affannato gi per viale Parona. Io e il treno arriviamo insieme al passaggio a livello, lui, per fortuna, fa un po pi di strada a entrare in stazione. Alle sette e quattordici si parte, spesso sbuffando visto che qui c una delle ultime locomotive a vapore. Linea DomodossolaNovara, sempre in piedi i primi giorni. Poi mi sono fatto degli
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amici che vengono da Omegna e mi tengono il posto. Studenti che partono al mattino da Gozzano? Solo io e Chiara, la sorella gemella del Nardi, quello che incontravo sempre sul fiume a pescare. Gli altri sono pendolari, gente che lavora. A Borgomanero salgono alcuni ragazzi che fanno il mio liceo. Io per parlo sempre con Chiara. Lo ammetto, mi piace. A volte penso che sarebbe bello baciarla. Ma ci vorrebbe Giovanni. O ci vorresti tu, pap. Insomma qualcuno che sa come si fa, da che parte si comincia. La pesca alla trota ha chiuso, tu pap non ti sei pi fatto sentire e neppure il maresciallo per dare notizie. Io scrivo a Giovanni, gli scrivo spesso, lettere lunghe dove gli racconto cosa accade. Lui risponde di rado con lettere corte, come ci si pu aspettare da Giovanni. A scuola ci fanno sudare sui libri, su materie incomprensibili come il greco, quando suona la campana se sono veloce riesco a prendere un treno che mi porta a casa per le due. Ma di solito non sono affatto veloce, se torno alle quattro mangio pi tardi, ho poco tempo per studiare, ma viaggio con Chiara. E con tanti amici, quanti non ne ho avuti mai. Tutti conosciuti in piazza, alle prime manifestazioni dellautunno per avere scuole migliori. Pap non mi avevi detto che a Novara la mia scuola, la tua scuola, lhanno appena ricostruita perch la scuola dei ricchi, mentre tutte le altre cadono a pezzi, hanno il tetto che ci piove, i termosifoni che non si accendono. E noi manifestiamo, occupiamo, urliamo, s proprio come non piace al nonno, ci conosciamo, ci scazziamo anche perch facciamo parte di un movimento con molti nomi. Gi, mi cambiata la vita. Tra tante sigle io non mi trovo, sto con altri e siamo cani sciolti, siamo un po anarchici, mi piace pi di comunisti, e, mi spiega Aleardo che simpatico ed pi grande e pi addentro di me, stiamo nellarea dellautonomia. Io dove sto adesso sto bene come non sono stato mai. No, non sono felice, mi manchi pap. Mamma dice che sono cresciuto di colpo e non mi riconosce pi. Credo abbia ragione perch anchio mi riconosco poco, sia sui banchi di scuola dove quello che studio per la prima volta non mi interessa ti ricordi quando mi dicevi di smetterla coi
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libri e andare a giocare? sia fuori dove mi sembra che stiamo facendo la rivoluzione, una bella rivoluzione e non mi sento pi troppo piccolo per farla. Con mamma di politica ci azzuffiamo a volte, con te forse ci capiremmo, tu hai sempre avuto un occhio pi lungo degli altri, non diresti che siamo solo ragazzi incazzati che fanno casino. Ti penso spesso alle fermate del treno, quelle del ritorno che sono davvero tante: Vignale, Caltignaga, Momo, Vaprio, Suno, Cressa, Borgomanero Mi chiedo se vero che vivi in stazione e in quale stazione vivi e se non ti viene voglia mai di tornare a casa da noi, di vedermi adesso che sto parlando con Chiara e ho paura di dire cose sbagliate, di dire troppo, di annoiarla, di arrossire. In tutte le cose, tante, troppe, che sono accadute in questi mesi, tu manchi davvero. Non dovevi andartene cos, non adesso almeno. Con Rodolfo ed Elsa non faccio pi le foto, adesso discutiamo di politica. Rodolfo dice che a noi autonomi non ci capisce. E io mi chiedo cosa ci sia da capire a volere libert e rivoluzione e a volerli subito, adesso, non quando sar il momento. Lui dice che sbagliamo che prestiamo il fianco alla lotta armata che anche per colpa nostra che si sciolta Lotta continua. Ecco cosa non riesco a capire dei compagni pi grandi come Rodolfo. Sono divisi in un sacco di sigle, alcune fanno persino ridere, ma non glielo puoi dire se no si offendono e ne fanno una questione politica: Avanguardia operaia, Quarta Internazionale, Lotta continua, Pdup, Servire il popolo, Manifesto, Mls che non sono sigarette ma Movimento lavoratori per il socialismo Anche i vecchi anarchici sono incomprensibili tra anarchia, anarchismo, individualisti, libertari, insurrezionalisti Mi chiedo quanto tempo ci si debba perdere dietro a queste cose, mentre Rodolfo dice che noi non abbiamo storia e quindi neppure futuro Pu darsi ma abbiamo ragione da vendere nel chiedere la cultura gratis per tutti, libri, musica, concerti senza padroni. Perch gli operai non possono mangiare le aragoste al ristorante? Perch gli operai non mangiano aragoste, dice Rodolfo. I tuoi operai so85

no tristi e condannati a vivere da operai tutta la vita. I tuoi sono destinati a trasformarsi in padroni. No, i miei sono destinati a vivere felici. Lo diceva anche mio pap che il suo maestro di socialismo era un compagno che di mestiere faceva il sarto: il socialismo era la possibilit per tutti gli operai di avere un principe di Galles per uscire la domenica Tuo pap alla politica ha preferito la Barbera. Rodolfo sei uno stronzo, sei uno stronzo Lo grido con tutte le forze, con rabbia, con voce adulta e anima bambina, anima ferita Stai zitto, imbecille! dice Elsa a Rodolfo. Si discute di politica Elsa e nella lotta non ci sono affetti, non ci sono colpi sbagliati Sei solo uno stronzo Ha ragione Stefano, perch dovevi insultare suo padre? Dov suo padre adesso che ci stiamo facendo un mazzo cos per costruire lalternativa? Ma di quale alternativa vai parlando che pensi come tutti qui intorno, pensi che mio pap sia solo un ubriaco Non era questo che volevo dire, scusami. Ma questo che hai detto, ti credevo diverso. Dai non prendertela. Vaffanculo. Vaffanculo tu e il vostro movimento di autonomi che sta rovinando tutto. Lascialo perdere Stefano, andiamo via io e te. Elsa una che capisce. Rodolfo preoccupato dice che voi farete tutti la lotta armata, che finirete male, che ha gi visto amici suoi sparire in clandestinit, solo per questo che un po nervoso Un po nervoso? uno stronzo solo per questo che un po stronzo aggiusta Elsa con dolcezza. Cos va bene. E rido. E sono contento perch Elsa dalla mia parte, perch adesso mi parla da grande e anche Rodolfo mi parla da grande. Mi sta crescendo anche un po di barba, pi che ai miei compagni di scuola. Io ti ho difeso pap, ma la verit che Rodolfo ha ragione: tu ci hai traditi tutti per il vino e io non posso nemmeno urlartelo in faccia perch sei anche un vigliacco e te ne sei andato. Mamma quando triste e ti vorrebbe dice che sei un vigliacco. Anche lei ha ragione. passato in fretta un altro anno, un altro compleanno, il primo senza te, pap. Mamma mi ha chiesto cosa volevo e io mi sono fatto regalare una nuova canna da pesca per il cucchiaino e
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un Abu cinquecentosei, un mulinello che una specie di orologio svizzero. Anzi svedese, lo fanno in Svezia ed un miracolo di precisione, un gioiello della meccanica. Costa un pozzo di quattrini, ma mamma ha detto: quello che vuoi. E io non ho risposto il cane per non costringerla a dire di no. Ho detto una cosa che desideravo, che ho passato ore a guardare in un negozio di Novara nei pomeriggi in cui rimango in citt dopo la scuola. A Gozzano non si trova nemmeno. Mamma si fatta dire come si chiama e lha procurato in non so che modo. Giovanni mi ha scritto che da lui non si fa tanta politica, che sono in pochi, ma lui c e si d da fare. Mi ha mandato per regalo una foto dove lui assieme a una ragazza ed entrambi sono avvolti in una bandiera rossa. Mi manca Giovanni. A Natale abbiamo pranzato da soli perch non abbiamo avuto voglia di prendere il treno e andare a Laigueglia. Io il treno lo prendo tutti i giorni, mamma stanca di guidare e nella bassa ci sono ghiaccio e nebbia. Lultimo dellanno sono andato via con gli amici, in Valsesia, in una baita in montagna, a Rimella, il primo ultimo dellanno da solo fuori casa, cera anche Chiara abbiamo parlato fino allalba e io ho pensato che potevo baciarla, ma non capisco, davvero non capisco, come si fa, come si comincia. Adesso freddo, nella casa di via dei Grissini, mamma ha chiuso il termosifone dello studio, quando ci entro ad annusare il passato, a pensare a te, pap, sento il gelo, ma gelo di freddo vero quello che mi prende. Non pi solitudine, non pi mancanza. Non malinconia. Non ho tempo per essere malinconico, la fine del quadrimestre fa sgobbare sui libri, lapertura della pesca alla trota alla fine di febbraio. Mamma esce a volte la sera, credo con un uomo, credo sia uno della sezione del Pci. A me non piace che mamma esca, ma lei mi lascia andare dove voglio quando lo chiedo e cos mi pare che siamo abbastanza pari. Dormo spesso a Novara, a casa di Aleardo che un compagno, non di scuola, di politica, uno molto pi grande di me con il quale mi piace restare a parlare. Sua moglie dice spesso: per fortuna che c lui che ti sta a sentire. Solo i giovani riesci ancora a incantare Aleardo e Gianna, cos si
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chiama lei, hanno una bambina di pochi anni che porta il nome di non so quale eroina di non ricordo quale rivoluzione. un nome che non riesco a imparare, a ricordare, ma lei una bambina dolcissima che tutti chiamano Megghi e cos la chiamo anchio. diversa questa famiglia dalla mia, Aleardo non lavora nemmeno, hanno una casa che sembrano profughi eppure sono un pap, una mamma e una figlia. Proprio come siamo noi. Come eravamo noi. La rivoluzione impegnativa, soprattutto se c da finire le interrogazioni a scuola. Ma Aleardo che con la rivoluzione ci deve pure mantenere una famiglia mi sembra ancora pi inguaiato. Anche perch adesso le cose non stanno andando bene per il movimento. C unaria pesante. Compagni che vogliono usare le armi in piazza. E forse hanno ragione. C una sinistra che non ha pi niente da dire e i sassi in testa se li va a cercare, dice Aleardo parlando dellUniversit di Roma dove hanno abbiamo, se ci fossi stato lavrei fatto anchio preso a sassate Lama, il segretario della Cgil. Mi dispiace un po perch la Cgil e Lama sono gli operai della mia manifestazione a Novara, ma Aleardo mi spiega che no, i sindacati li stanno fregando agli operai. Proprio come Rodolfo che non vuole fargli mangiare le aragoste. Stiamo discutendo di questo al circolo anarchico, stiamo decidendo cosa faremo domani. Partecipiamo oppure no alla manifestazione dei sindacati? Fabbrica scuola, la lotta una sola, dice una voce dal fondo della stanza. Chi parla? Chennes, qui tutto fumo, la politica tanto fumo, nelle riunioni, nei collettivi. Domani si va e si chiede ai sindacati di parlare anche noi, alla fine, in piazza. Ma sei scemo? Dopo quello che successo a Roma Dopo quello che successo ci devono stare a sentire per forza Guarda che quelli hanno il servizio dordine della Fiom. E noi quello dellAutonomia operaia. Ecco unaltra sigla nella quale siamo finiti dentro un po anche noi. Che casino compagni. Allora domani ci si vede nel piazzale della stazione e se siamo abbastanza si fa una manifestazione anche noi. Assieme ai sindacati? Assieme ma distinta. Non autorizzata? Non autorizzata. Quali sono gli slogan? Vediamo l, adesso tardi, andiamo
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a spargere la voce. Andiamo a spargerci a letto Aleardo, da qualche mese cos sempre, tutti i giorni e sembra che sar sempre peggio. Forse meglio davvero diventare clandestini. Dopo devi toglierti lorecchino e mettere la cravatta Lidea non mi piace proprio, alla clandestinit ci penso unaltra volta. Come vorrei che Chiara fosse qui. Come vorrei che ci fossi tu, pap. Eccola Chiara che sale dalla scalinata della stazione e io faccio finta di non vederla dopo che la aspetto da pi di mezzora. Ha i capelli raccolti dietro la nuca, la pelle bianca da inverno, gli occhi color nocciola, un orecchino che un cerchio grande, da zingara e laltro piccolo con la falce e il martello, la sciarpa a righe colorate sopra a un giaccone bianco che sembra di lana di pecora Ah ci sei anche tu? Non ti avevo vista Bugiardo e timido, altro che rivoluzionario. Aleardo organizza la prima vera manifestazione dellautonomia a Novara. Ci sono almeno duecento compagni, tantissimi. Gli operai del sindacato saranno almeno quattromila, gli studenti che sfilano con gli operai almeno un migliaio. Noi per siamo pi belli, me lo dico guardandoci, sembriamo usciti da una riserva indiana, con le bandiere rosse avvolte attorno ai bastoni, e le bandiere nere degli anarchici, e le sciarpe colorate e i passamontagna e le kefie palestinesi Chiss cosa direbbe zio Renato se mettessi la kefia anchio? Chiss. Come lontano il mondo di ieri da questo mondo nuovo che mi ha adottato. Chiss pap se ci leggi sui giornali, se ci guardi alla televisione in qualche bar, se pensi anche tu che siamo i nuovi fascisti lha detto quello stronzo che esce con la mamma se credi anche tu che finiremo con il mitra in mano Vedo Rodolfo che scatta fotografie, anchio voglio fare il fotografo, ma non ora che sto cambiando il mondo. Fabbrica scuola, la lotta una sola Partiamo, siamo dietro agli studenti che sono dietro agli operai. Il corteo, quello grande, il loro, ha il megafono che dice gli slogan da scandire e gli operai con la fascia rossa al braccio. Il servizio dordine. Non lavevo visto laltra volta. Sono brutti, brutti da far paura, senza sorrisi tra barbe e baffi
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sotto ai caschi da muratori, con mani grandi come badili e sguardi duri che guardano verso di noi. Siamo noi il nemico oggi. Non i fascisti, non la polizia. Berlinguer sei come un rapanello, rosso di fuori e bianco nel cervello Sto facendo a pezzi anche il segretario della mamma, non sono pi comunista, anzi sono loro a non essere pi comunisti. Pala, piccone e fonderia sono i rimedi per lautonomia gridano dal corteo e gridano contro di noi. Altro che aragoste agli operai. Non so quando succede e nemmeno perch succede. C del fumo tra noi e il resto del corteo. E in mezzo al fumo vedo volare i bastoni, le bandiere, le nostre, quelle della Fiom, bandiere sbattute sulle teste, sulle teste di chi? C fuoco in strada, c fumo, c Aleardo che grida via, via che qui ci fanno il culo Via di corsa prima che arrivi anche la pula E allora via, via di corsa, dove, che importa dove. Vieni Chiara Chiara scappa con Daniele E allora scappo da solo Corro da solo con il cuore che palpita tra le tonsille e la milza che urla vendetta e un nemico immaginario che mi insegue Ci vuole il fisico anche per la rivoluzione Ci vediamo allangolo delle ore Uno alla volta senza farsi vedere Poi si va in piazza delle Erbe che proviamo a forzare il servizio dordine Chi quegli specie di catanga? S, loro Ma tu sei matto Corri, non sprecare fiato Corro, corro, coi pensieri, con le gambe, con le polacchine con il pelo che adesso sono pesanti mentre sudo e sono solo e ho paura e ci sono facce di compagni attorno a me Conosco tutti e non conosco nessuno La corsa si stringe a imbuto nelle viuzze di Novara Chi ha scelto le strade per scappare? Nessuno, ovviamente nessuno, limbuto esplode sul corso davanti alla Upim E no, porca miseria, chi spacca le vetrine? Chi sta scrivendo con lo spray sulle colonne? Metto nel tascapane il fazzoletto rosso, prendo fiato, non corro pi, non scappo pi. Vado allangolo delle ore e non in piazza. L c Chiara con Daniele, c Lupo, c Arpo, ci sono tutti quelli che non hanno, adesso, pi voglia di guerra. Gli altri sono in piazza a dar battaglia. Io ho voglia damore forse. Ma Chiara ha occhi
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solo per Daniele. Io ho voglia di riposare, di dormire, di andare in ferie dalla rivoluzione. Almeno per stamattina. Perch non andiamo al Cantinone? Al Cantinone? Che schifo, unosteria piena di ubriaconi e di terroni. Bel compagno che sei, non sai pi distinguere gli sfruttati? Ma che sfruttati, il Cantinone un posto da poeti S, da poeti che non si lavano Ma il vino buono e costa poco. Hanno uno Zibibbo dolce da brivido. Dai andiamo senn i brividi ci prendono a noi Si entra da una porta piccola di legno vecchio al Cantinone e fuori dallingresso c odor di candeggina. La usa la signora per lavare il vomito degli ubriachi. Qui capita e capita spesso che chi esce barcollando scarichi tutto nel muro di fianco alla porticina. E allora via con stracci e candeggina a fare un po di pulizia prima che si lamentino i vicini e si perdano i clienti. Per essere un posto di terroni e ubriaconi ci vedo in giro tanti ragazzi come noi, fuori dalla scuola, fuori dalla manifestazione, fuori da tutto a provare lebbrezza del postaccio. Ci va tutta la sinistra fricchettona a bere vino al Cantinone. E loste corpacciuto con il grembiale impataccato guarda strano questa nuova clientela che gira sotto ai soffitti bassi, si siede ai tavolacci e bere Zibibbo di Sicilia e Nero dAvola. Ci si ubriaca per poche lire qui e con vino fatto duva. Siamo cos tanti che gli avventori soliti cercano rifugio nei tavoli contro il muro, ad angolo, lontano. Gente abituata ad annegare la vita nel vino, in silenzio, si trova un po impacciata di fronte a questo nuovo movimento che va a bere sempre pi spesso e facendo sempre pi rumore. Parla Chiara al tavolo con Daniele, Lupo legge Lotta Continua, Arpo racconta di come il vino uguale a quello di un suo zio, io ascolto e guardo nella penombra di questa cantina senza finestre, senzaria, dove lodore forte di vino zuccherino inebria anche chi al bicchiere non si attacca a un tavolo da solo quel signore con gli occhiali che fissa il vino nero nel bicchiere. lunico tavolo per bevitori soli. Lo guardo e mi fa un po di tenerezza, chiss cosa racconta a quel bicchiere, chiss se anche tu sei cos pap, chiss Puttanavac91

camiseria, sai che non parlo male mai, ma sei tu pap quelluomo che sto guardando solo al tavolo del suo bicchiere nero Ti guardo bene, voglio essere sicuro, pulire gli occhiali prima di decidere Sei tu, a due tavoli da me senza saperlo. Come sei vestito male, come sei magro, con la barba che cos lunga e quasi bianca ti mostra molto pi che quarantenne. E gli occhiali per leggere cosa li tieni a fare in fronte al vino? E le spalle cos curve? Ti pesata cos tanto la vita, pap? Eccolo il momento per dirti cosa penso, che non dovevi andare via, che non dovevi lasciarci soli, che Ti guardo e lo capisco solo adesso: sei tu il primo che hai lasciato, appeso in qualche appendiabiti su un treno, o gettato via dal finestrino dove c scritto di non lanciare oggetti Li ho imparati tutti in questi mesi i cartelli ferroviari, le scritte sui vagoni, quanto pericoloso sporgersi, cosa non aprire prima che il treno sia fermo, cosa tirare in caso di emergenza Adesso vengo l e cosa ti dico? Alza gli occhi pap, sono Stefano. E se tu non li alzi e sei ubriaco? In fondo sei stato tu ad andare via. Perch non volevi rivedermi pi? Forse perch non volevi rivedere pi nessuno, neanche te. Posso parlarti, salvarti, raccontarti, ma mi arrendo. Non ho neppure quindici anni e gi mi arrendo. In quel bicchiere di vino sei sparito, ti vedo l dentro e sei sparito. E io ho paura di tirarti fuori. Adesso dico a Chiara che voglio andare via. Adesso, adesso un accidente, se non ti parlo ora quando mai? Pap. Sussurro stando in piedi davanti a te in modo che tu possa vedermi. Allinizio non pensi che stia parlando con te. Forse non senti neppure la mia voce. Forse non la riconosci, non pi voce da ragazzo. Poi vedo un brivido che ti percorre sulle mani e sento le spalle incassate aprirsi quel tanto per capire che stai alzando la testa. Pap, sono Stefano. Mi guardi, finalmente, con quella faccia strana, tutta tua, di uno che non riconosce bene. un vezzo da occhialuto, mi hai riconosciuto, lo sento e sento anche che non pensavi di trovarmi l. Cosa fai qui figliolo, non posto per un bambino come te. Neppure per un
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pap, dovrei risponderti. O dovrei dirti che non sono pi un bambino, ma a che servirebbe? Ti cambierebbe la vita la notizia? No, dovrei sedermi e raccontarti di questi mesi senza te, ma se tu non ceri che ti interessano mai i mesi? Adesso, adesso che hai parlato, adesso che hai detto una frase da pap, ora so che non dovevo venire al tavolo. Ma gi che son venuto mi ci siedo e ti racconto, di me, di mamma, di nonno Amilcare, di Giovanni. Avrei dovuto immaginare che sarebbe andato via Non andato via, mamma ce lha mandato, lunico andato via sei tu. Parlo e non penso e non piango e infilo gli occhi negli occhiali perch non mi sfuggano quelli di pap. Ce lhai il cane? No, sai che mamma non vuole. Pensavo che per farti compagnia lavrebbe preso. Mamma si fa fare compagnia da uno della sezione. Avrei fatto anchio cos Ma lei non ci avrebbe mai lasciati, non sarebbe andata via. Che vuoi capire tu che sai ancora di latte. E tu troppo di vino Mi devi del rispetto, sono sempre tuo padre Lo dici e piangi finalmente, hai capito che stai dicendo stupidaggini e che io non ti voglio male. Adesso devo andare dici rapido cercando dalzarti. Non senza avermi detto perch Perch che cosa? Perch vivi cos. Non so. Ma lavrai unidea? Non so, so solo che tutti volevate tante, troppe cose da me e io non sapevo essere tante e troppe cose Silenzio. Devo andare. Non torni a casa? Sapevo di non dovertelo chiedere, ma lho fatto. S, torno. Bugiardo. Lasciami andare Stefano, ti prego, ho un impegno. Sai cosa non abbiamo mai fatto insieme? No. Non siamo mai andati a pesca. Sono diventato bravo, sai? Peschi trote? S, col cucchiaino. Faccio a tempo a sentire una carezza che gi pap andato. Chiara si avvicina e chiede: chi era quel vecchio? Un amico di mio padre, un uomo sfortunato. Non era poi cos difficile baciare, ho appoggiato le labbra e ho sentito il sapore, quello di Chiara e quello del vino.

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