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Cartesio

Vita
Nato a La Haye, in Turaine, il 31 marzo 1596. Rimasto orfano di madre entr nel Collegio dei Gesuiti di La Flche. Si licenzi in diritto all'universit di Poitiers (1616). Si dedic in seguito a una vita piuttosto inquieta e vagabonda, di cui si ignorano molti dettagli. In Olanda, a Breda, incontr nel 1618 Isaac Beeckmann, scienziato che applicava la matematica alla fisica, con cui si confront sul suo progetto di creare una "algebra geometrica" (poi chiamata geometria analitica). Si arruol poi nell'esercito di Maurizio di Orange Nassau, contro gli Spagnoli. In questa circostanza peraltro Cartesio non ebbe modo di partecipare direttamente alle attivit militari, e si dimostr disinteressato allo specifico della guerra: lui stesso attestava di ignorare quasi per chi combattesse, e di l a poco si arruol nell'esercito, nemico a quello dell'Orange, di Massimiliano d'Asburgo. Abbandonata la vita militare viaggi in Germania, Francia e Italia. Tornato in Francia, a Parigi dove incontr il padre Marino Mersenne, che lo convinse, d'accordo col card. Brulle, a dedicarsi a un'opera di riforma della filosofia. Stabilitosi subito dopo (1628) in Olanda, vi rimase, pur cambiando spesso citt, per vent'anni, giovandosi del clima di libert intellettuale di quella nazione. Qui pubblic la maggior parte delle sue opere, e intrattenne un fitto carteggio con i pi importanti dotti dell'epoca, da Gassendi a Arnauld, da Pascal a Hobbes. Tuttavia gli stessi intellettuali olandesi, protestanti (in particolare docenti delle universit di Leida e di Ultrecht), finirono col criticare Cartesio per la sua costante volont di conciliazione con la Chiesa cattolica, e Cartesio, amareggiato, accett nel 1649 l'invito della Regina di Svezia, Cristina, recandosi a Stoccolma. L, pare a causa della rigidit del clima, mor di polmonite l'anno dopo, l'11 gennaio 1650.

Il pensiero
1. L'edificio del sapere tradizionale pericolante, insicure sono le sue basi: bisogna fondare il sapere su nuove basi, certe e indubitabili; 2. Per far ci occorre anzitutto fissare un metodo (un criterio a-priori che consenta di andare agli oggetti, alla realt, "armati" di un filtro con cui vagliare tutto). E' degno di nota che Cartesio anteponga il metodo, come nessun altro filosofo prima di lui aveva fatto: significativo di un nuovo atteggiamento mentale, per cui il soggetto pone in qualche modo delle condizioni all'oggetto, intima all'oggettivit di sottostare alle sue condizioni. In altri termini, come se per Cartesio il soggetto umano non fosse originariamente spalancato alla realt, di prima di tutto prendere atto come di un dato inesorabile, ma fosse, per cos dire, a contatto con s stesso e pretendesse di dettar legge alla realt, accettandone solo ci che obbedisce alle regole da lui fissate, ci che riesce a passare attraverso il filtro da lui posto. 3. Da notare anche come il fatto di anteporre il metodo significa mettere in secondo piano non solo, in generale, l'oggettivit del reale (extramentale), ma anche la tradizione e l'idea di maestro: Cartesio non si fida di altri, di ci che gli viene tramandato, vuole edificare un edificio del sapere che utilizzi solo del materiale tratto dalla "sua mente", vuole tutto ex mentis thesauro depromere. In ci si pu vedere ben pi che il rifiuto di inserirsi acriticamente in una Scuola: si pu vedere un misconoscimento illusorio del debito che ogni essere umano ha nei confronti degli altri, a partire dagli altri che lo hanno preceduto, e la pretesa, presuntuosa, di una autosufficiente monologicit.

Il metodo
Il metodo che Cartesio propone si articola in quattro punti, ma il fattore pi importante quello della evidenza (di tipo matematico), ossia della chiarezza e distinzione: accettabile come vero solo ci che si presenta come (perfettamente) chiaro e distinto. La stessa chiarezza che vale per la matematica deve valere per tutto il sapere. In particolare Cartesio sostiene:

Levidenza
non accogliere mai nulla per vero, che non conoscessi in modo evidente esser tale, cio ... evitare accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e non comprendere nei miei giudizi se non quello che si presentasse cos chiaramente e distintamente alla mia mente, da non lasciarmi possibilit di dubbio (Discorso sul Metodo)

Analisi
"dividere ciascuna delle difficolt da esaminare in tutte le parti in cui fosse possibile e di cui ci fosse bisogno per meglio risolverle"

Sintesi
"condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti pi semplici e pi facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei pi composti"

Enumerazione completa
"far dovunque delle enumerazioni cos complete e delle rassegne cos generali, da essere sicuro di non omettere nulla"

Il dubbio metodico
In base a questo metodo si devono cercare i contenuti certi e indubitabili del sapere, a partire da un primo oggetto, di cui possiamo essere assolutamente certi. Occorre che tale punto di partenza sia cio privo del sia pur minimo elemento di inaffidabilit e di incertezza. Perci vanno scartati non solo quei punti di partenza totalmente falsi, ma anche quelli che siano anche soltanto in parte inaffidabili. Cartesio intraprende cos un dubbio metodico, sottoponendo al vaglio della pi radicale critica ogni possibile "falsa partenza", che non possieda i requisiti da lui fissati. Cartesio comincia dunque ad escludere ci che non pu fungere da fondamento certo del sapere:

Il dato sensibile
Esso infatti ci pu ingannare: talora ci inganna, infatti, ed bene, dice Cartesio, non fidarsi mai completamente di chi ci ha ingannato anche una sola volta. qualsiasi cosa abbia finora ammessa come vera, al massimo grado l'ho appresa dai sensi o per mezzo dei sensi; ma ho poi osservato che essi ingannano, ed regola di prudenza non fidarsi mai completamente di quelli che, anche solo una volta, ci hanno tratto in inganno. (Med)

Inoltre, all'obiezione che l'inganno dei sensi riguarda solo piccoli particolari, ma non il dato sensibile, il mondo, nella sua totalit, Cartesio risponde che nulla pu farci escludere che il mondo altro non sia che un sogno Tuttavia molto chiaramente non posso non ammettere che io sia un uomo che ha l'abitudine di dormire la notte e nel sonno subire tutte quelle medesime cose, o talvolta cose ancor meno verisimili, che codesti insani patiscono da svegli. Quante volte infatti il riposo notturno mi induce a credere di trovarmi in codeste condizioni usuali, cio essere qui, indossare la vestaglia ed essere seduto accanto al fuoco, quando invece giaccio senza vestiti sotto le coperte! E ora certamente fisso questa carta con occhi desti, e non addormentato questo capo che scuoto, e questa mano, consapevolmente e di proposito, la allungo e la sento; non cos distinte accadrebbero queste cose a chi dormisse. Come se, appunto, non ricordassi di esser stato altre volte beffato nel sonno anche da simili fantasmi. [...] Supponiamo dunque che noi dormiamo e che tutte queste azioni particolari non siano vere, cio aprire gli occhi, scuotere il capo, allungare la mano, e neppure forse che abbiamo tali mani n tutto tale corpo

il dubbio Da notare che anche altri filosofi, come Tommaso d'Aquino, avevano parlato del possibile dubbio (la universalis dubitatio de veritate), nel senso della radicale spregiudicatezza che la ragione filosofica deve avere, non dando nulla per scontato e cercando di fondare il sapere (su basi solide). In Cartesio c' qualcosa di pi: il dubbio pare non sia stato solo rappresentato, ma esercitato, stato un dubbio, per dirla con la scolastica, non solo in actu signato, ma anche in actu exercitu; pare cio che l'uomo Cartesio abbia effettivamente dubitato di tutto. In ogni caso il suo dubbio appare come radicalmente corrosivo, ben oltre quanto sia richiesto dalla giusta spregiudicatezza filosofica, ed espressione di una cultura fortemente individualistica, che non riconosce la valenza gnoseologica del legame interpersonale e del rapporto con un maestro e una tradizione.

La struttura intelligibile
Ma il fondamento non pu essere nemmeno un generico dato intelligibile (le verit matematiche), che potrebbe esso pure essere frutto della potenza ingannatrice di un Essere soprannaturale. Infatti egli obbietta all'ipotesi che il mondo possa essere solo un sogno, che tra sogni e realt esistono comunque elementi comuni, gli elementi-base, semplici, e che il sogno non comunque mai totale invenzione: nella fattispecie gli elementi semplici comuni sono le verit matematiche: senza dubbio bisogna riconoscere che le cose viste nel sonno sono come delle immagini dipinte che non si sono potute formare, se non a somiglianza delle cose vere. [...] E a dire il vero, gli stessi pittori, neppure quando si impegnano a raffigurare Sirene e Satiri nelle forme pi straordinarie e bizzarre possibili, possono attribuire loro delle nature del tutto nuove, ma soltanto mescolano membra di animali diversi; [...] Per questo, forse, da ci non concluderemo male, affermando che fisica, astronomia, medicina e tutte le altre discipline che dipendono dalla considerazione di cose composte sono tutte dubbie; ma aritmetica, geometria e le altre discipline del medesimo genere, che non trattano se non di cose semplicissime e generalissime e poco si curano se queste cose siano in natura oppure no, contengono qualcosa di certo e di indubitabile. Infatti, sia che vegli sia che dorma, due pi tre fanno cinque, e il quadrato non ha pi di quattro lati; n sembra che possa succedere che verit tanto evidenti incorrano in sospetto di falsit. Ma le stesse verit matematiche potrebbero sembrarci vere, senza esserlo, se un Genio molto potente ci ingannasse: Nondimeno, una certa antica opinione insita nel mio spirito: che ci sia un Dio che pu tutto e dal quale sono stato creato tale e quale sono. Ma come faccio a sapere che egli non abbia fatto s che non vi sia nessuna terra, nessun cielo, nessuna cosa estesa, nessuna figura, nessuna grandezza, nessun luogo e che tuttavia tutto ci non mi sembri esistere in altro modo da come lo vedo ora? E inoltre come io ritengo che altri talvolta si sbaglino su ci che pensano di conoscere assai perfettamente, cos non potr essere che io sia ingannato ogni volta che addiziono due a tre o conto i lati del quadrato o faccio qualche altra cosa pi facile, ammesso che se ne possa immaginare?

La prima certezza lio!


Il fondamento certo allora l'io, il cogito, se anche venissi ingannato su tutto, almeno non lo potrei sul fatto che io penso. Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, cos, che tutto falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verit: penso, dunque sono, era cos ferma e sicura, che tutte le supposizioni pi stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo. Io sono, se mi inganna; e mi inganni quanto vuole, non potr mai fare in modo che io non sia nulla, per tutto il tempo che penser di essere qualcosa.

Che cosa l'io, affermato come prima certezza? E' res cogitans, pensiero, atto di pensare e di immaginare, ricordare, sentire, volere; mentre in questa fase C. non sa ancora se egli abbia o no un corpo e se agli atti soggettivi appena ricordati corrispondano i termini oggettivi relativi (cio le cose pensate, immaginate, ricordate, sentite, volute). Posso infatti concepirmi come pensiero, anche senza il corpo, in modo chiaro e distinto, mentre di avere un corpo non ho ancora una conoscenza chiara e distinta. Ma che cosa, dunque, sono io? Una cosa che pensa. E che cos' una cosa che pensa? una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente. sono una sostanza la cui intera essenza o natura consiste nel pensare, e che per esistere, non ha bisogno di alcun luogo, n dipende da alcuna cosa materiale D'altra parte occorre guadagnare altre certezze, oltre a questa prima: non posso certo accontentarmi di sapere che esisto io.

Dio
Dalla prima prima certezza, di me come esistente pensante, risalgo poi alla seconda: che esiste Dio. poich vedevo chiaramente che era pi perfetto conoscere che dubitare, riflettei che il mio essere, che aveva dubitato, non perfetto: perci mi volsi a cercare donde avevo imparato a pensare ad alcunch di pi perfetto di quel che ero; e conobbi che effettivamente doveva derivare da una natura pi perfetta (DM)

Dio come causa della Sua idea in me


In me infatti esiste l'idea di Infinito, come condizione della mia consapevolezza della mia imperfezione, della mia finitezza Come infatti potrei accorgermi che dubito, che desidero, cio che qualcosa mi manca e non sono del tutto perfetto, se in me non fosse alcuna idea di un ente pi perfetto, dal raffronto col quale io riconoscessi le mie imperfezioni?(Med, 3) E di questa idea non posso essere io la causa. Si tratta infatti di una idea perfetta, e non di qualcosa che progressivamente si perfezioni: vero infatti che la mia conoscenza progredisce, ma non riguardo a questa idea, che tutta attuale, e dunque non pu venire da un graduale sviluppo. Ora, una causa deve essere proporzionata all'effetto, per cui si deve escludere che una causa imperfetta possa produrre un effetto perfetto. L'idea di Dio che in me perfetta, io invece sono imperfetto, tant' vero che dubito. Dunque non posso essere io la causa dell'idea di Infinito che in me, n lo potrebbe essere alcun essere finito e imperfetto, ma solo lo stesso Infinito. Che perci deve esistere, come unica causa adeguata alla Sua idea in me.

Dio come causa del mio esistere


Se mi fossi fatto io, mi sarei dato oltre all'essere (che pi difficile), anche le perfezioni (che rispetto all'essere sono cosa pi facile): ma invece sono imperfetto.
Un altro filosofo, Caterus gli fece notare che questa la seconda via di S.Tommaso; ma Cartesio rispose che la sua diversa: non partendo da una serie di cause, che potrebbe essere infinita, ma dall'io come pura res cogitans.

Dio come causa del mio persistere


Non solo Dio deve essere affermato come causa del mio cominciare ad essere, ma anche come causa del mio continuare ad esistere. Senza il suo continuo sostegno infatti non potrei perdurare nell'esistenza.

Dio come evidenza a-priori


Infine C. ritiene valida la via scelta da S.Anselmo, quella a-priori: l'esistenza di Dio si deduce dalla Sua essenza, cos come l'avere gli angoli interni uguali a un angolo piatto si deduce dall'essenza del triangolo. Una volta raggiunta la certezza su Dio, posso tentare di ampliare la mia conoscenza verso altre realt: Lui stesso, in quanto verace e infallibile se ne far garante. Infatti se Dio ad avermi creato, ed Egli perfezione assoluta e dunque veracit perfetta, egli non pu farmi credere vere cose che siano invece false. Mi si pone per un problema: se Dio esiste ed verace, come mai mi inganno e cado in errore?

L'errore, analizza Cartesio , non solo imperfezione, ma deformazione (ossia mancanza di qualcosa che dovrebbe esserci): non basta allora dire che erro perch sono finito, limitato. Occorre esaminare allora da che cosa dipende l'errore: l'intelletto non erra, pur essendo limitato: presenta solo idee (per mezzo del solo intelletto percepisco solo idee. Med) l'errore nasce dalla volont: in quanto infinita (e massimo sigillo della somiglianza dell'uomo con Dio) essa si estende oltre l'ambito limitato dell'intelletto e pu pretendere di dire chiaro ci che non lo ("estendendosi pi ampiamente dell'intelletto, io non la contengo entro i medesimi limiti, ma la estendo anche a quelle cose che non intendo; alle quali essendo indifferente, essa facilmente si allontana dal vero e dal bene, e cos io mi inganno e pecco")

Il mondo
Si apre cos la strada per raggiungere un terzo ambito di certezze, relativo al mondo corporeo. Al riguardo il percorso cartesiano ne considera dapprima la esistenza, per determinarne poi l'essenza.

sua esistenza
Essa non , come abbiamo visto, immediatamente evidente (infatti la prima, e in fin dei conti unica, evidenza l'esistenza dell'io pensante). Dunque va dimostrata. Cartesio lo fa in tre momenti, argomentandone la

possibilit = che gli viene dal suo essere pensabile, cio non-contraddittorio, in quanto il mondo corporeo rappresentato da idee chiare e distinte; probabilit = che gli viene dal suo essere immaginabile; l'immaginazione infatti qualcosa di altro dal pensiero (ad esempio, dice C., il chiliogono lo posso pensare, ma non immaginare) ed essa nella mia anima, ma si riferisce a un dato non spirituale, perci probabile che ne dipenda, e che perci il corporeo esista; realt = che gli viene dal suo essere sentito da quei sensi che, a questo sappiamo esserci stati dati da Dio, che non pu essere ingannatore, e dunque non pu farci credere reale ci che ci appare come evidente; ed evidente che i nostri sensi sono passivi davanti al dato sentito, come se questo non fosse loro creazione, ma qualcosa di altro, di oggettivo, di reale:

non in nostro potere far s che abbiamo una sensazione piuttosto che un'altra, ma se Dio presentasse alla nostra anima immediatamente egli stesso l'idea di questa materia estesa (...)

noi non potremmo trovare alcuna ragione che ci impedisse di credere che egli si diverta ad ingannarci

sua essenza
Possiamo attribuire al mondo corporeo solo caratteristiche di cui abbiamo idee chiare e distinte. Dunque esso pura res extensa, materia estesa (in lunghezza, larghezza e profondit) in moto locale; invece dobbiamo escludere le qualit, che non sarebbero chiaramente e distintamente intelligibili. Dio stesso che, nella sua immutabilit ha creato il mondo dotandolo di una certa quantit di materia e di moto; materia e moto pertanto si conservano immutabili, non possono n diminuire n aumentare. Secondo Cartesio Dio, dopo l'atto della creazione, non interviene ulteriormente sul mondo che ha creato, ma lascia che esso proceda secondo le leggi immutabili della meccanica, il che ci che Pascal gli avrebbe rimproverato (limitare l'azione di Dio a uncolpettino iniziale). C. distingue due concetti relativi al mondo, sostanza e attributi. La sostanza res quae ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum. Perci, in senso proprio, solo Dio sostanza, ma in qualche modo lo sono anche lo spirito creato e i corpi, che esistono comunque solo per concorso di Dio. Attributo invece ci che ci permette di riconoscere la sostanza: ne il costitutivo; per lo spirito il pensiero, per la materia l'estensione. Lo spazio si identifica col corpo esteso: non esiste spazio vuoto, n rarefazione/condensazione di materia, n atomi, ma una materia indefinitamente divisibile ed indefinitamente estesa (lo spazio infinito). Cartesio poi nega l'esistenza di forze che agiscano a distanza, come quelle magnetiche, elettriche, gravitazionali e simili: il mondo una macchina e tutto vi si svolge meccanicamente, per urto tra una parte e un'altra, conservando come si diceva inalterata la quantit totale del moto. Egli dunque in contrasto con la teoria newtoniana della gravitazione universale, e trova piuttosto qualche aggancio nella diffidenza che Galileo stesso aveva nei confronti del concetto di forza (basti pensare alla sua spiegazione, puramente meccanica delle maree, per il rifiuto dell'idea di una azione a distanza della Luna sui mari terrestri, definita come magica e superstiziosa), visto come troppo legato al finalismo aristotelico e all'astrologia. I fenomeni che Newton spiegava con la gravitazione universale sono da Cartesio spiegati con i vortici, movimenti vorticosi che si produrrebbero nellamateria sottile attorno alla Terra, spiegando la caduta dei gravi come spinta operata dal vortice stesso, e attorno ai pianeti e al Sole, spiegando, in termini puramente meccanici, il moto di rivoluzione planetaria. Anche la vita viene spiegata da C. in termini meccanicistici: ogni vivente non altro che una macchina, che funziona in virt dei due principi di inerzia e conservazione della quantit di moto. Una conferma a tale sua teoria C. la vide nella recente scoperta della circolazione del sangue fatta da Harvey.

Luomo
Ne consegue anche che, dato che esistono corpi in generale, io pure ho un corpo: la mia res cogitans unita a una res extensa. In proposito si porr per il problema di come spiegare il rapporto tra due livelli tanti diversi, come una pura materia e un puro spirito. Si paragonato tale concezione antropologia cartesiana a "un angelo (la res cogitans) che guida una macchina (la res extensa)". Il corpo umano infatti una macchina, interpretabile in termini esclusivamente meccanicistici. Secondo C. l'unit tra i due livelli, la possibilit per l'anima di ricevere informazioni dal corpo e di dargli ordini, sarebbe garantita dalla ghiandola pineale(l'epifisi), punto di incontro e di scambio tra anima e corpo.

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