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mercoled 4 gennaio 2012


Marco Storni

Cipolletta, Patrizia, Emozioni e pratiche filosofiche. Elisabetta del Palatinato consulta Cartesio
Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 180, euro 16, ISBN 9788857505312 Recensione di Marco Storni 03/08/2011 Cartesio dov? Non mi azzarder a dirvi che c una quantit infinita di Cartesio possibili; ma sapete meglio di me che se ne conta pi di uno, tutti molto ben attestati [] e curiosamente diversi luno dallaltro. La pluralit di Cartesio plausibili un fatto. Le parole di Paul Valry, poste da Patrizia Cipolletta in esergo al primo capitolo del suo ultimo lavoro, ben introducono limmagine di Descartes che lautrice si propone di tracciare. un Descartes dai tanti volti, con tratti oscuri e molte ombre ( Cartesio stesso a lasciar scritto in una memoria privata: sul punto di salire su questa scena mondana, di cui fin qui fui spettatore, avanzo mascherato (larvatus prodeo)). Lungi dal voler rendere al lettore un affresco tradizionale del padre della modernit, Cipolletta lavora ai margini della figura cartesiana: non le importano tanto il cogito, il metodo, i trattati scientifici quanto i vissuti, il sentire, le emozioni del signor Descartes, quegli aspetti della vita che egli [stesso] riteneva marginali (p. 17). Tali aspetti, per, non possono certo esser ricavati dalle pur assai feconde pagine delle opere maggiori; la studiosa infatti ne segue le tracce in ben altra sede, lepistolario, e in particolare nello scambio di lettere che Cartesio intrattenne con la principessa Elisabetta del Palatinato. Molto si detto e scritto intorno alla relazione tra i due: come ricorda la stessa autrice si parlato di amore intellettuale o di amorosa amicizia, di amicizia intellettuale ecc.; ma tale relazione pu trovare la sua giusta dimensione come rapporto di consulenza filosofica (pp. 11-12). Il consulente Cartesio accoglie immediatamente la richiesta di aiuto di Elisabetta (p. 97) e con costei intraprende un lungo percorso, vero e proprio esempio cos almeno lo intende lautrice di un filosofare aperto e antidogmatico, terapia dellanimo da un lato e, dallaltro, occasione di crescita e perfezionamento morale (per entrambi i personaggi, sintende). Ecco dunque il nocciolo dellintero testo: ripercorrendo la folta corrispondenza tra i due, Cipolletta mira a valutare il senso e il ruolo della filosofia al giorno doggi, la quale, dal suddetto esempio secentesco, potrebbe e dovrebbe trarre una preziosa lezione. Forse, ci dice lautrice, proprio guardando (e in qualche modo tornando) al modello del rapporto consultivo tra la principessa del Palatinato e Descartes sar possibile garantire un futuro dignitoso alla veneranda attivit del filosofare, che non si trattenga ed eserciti solamente tra le mura accademiche, ma si apra e dialoghi con gli uomini e il mondo. Nel primo capitolo, il quale verte in special modo sulla figura di Cartesio e sui suoi volti di Giano, la disamina di Cipolletta si fa strada inizialmente tra le interpretazioni che della filosofia cartesiana e delle sue molte facce hanno dato autori dellet contemporanea, quali Husserl, Heidegger e Damasio. Nellopera husserliana possiamo rintracciare, dice lautrice, un doppio Descartes: da un lato il Descartes come presentato nelle Meditazioni cartesiane e Discorsi parigini, dallaltro il Descartes de La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Le Meditazioni e i Discorsi fanno

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del filosofo francese una sorta di patriarca della fenomenologia, lautore insomma che per primo, sperimentando lepoch del dubbio, riuscito a passare da un oggettivismo ingenuo a un soggettivismo trascendentale. Nel pensiero cartesiano (si ricordi ad esempio il procedere delle Meditationes de Prima Philosophia) si compie scrive Husserl una scissione nellio, per la quale, al di sopra dellio spontaneamente interessato, si stabilisce lio fenomenologico come spettatore disinteressato (p. 22). Il pensiero del fenomenologo moravo va forse anche a quella notte del 10 novembre 1619 trascorsa da Descartes nel pole, una piccola stanza riscaldata da una stufa di maiolica (episodio questo che nel corso della trattazione lautrice riprender pi volte), durante la quale il filosofo francese ebbe tre sogni consecutivi, di importanza decisiva per la scelta delle occupazioni e dei saperi cui si sarebbe dedicato per il resto della vita. Tale scelta dello chemin da seguire, lo ha poi condotto a pensare la mens come totalmente estranea al corpo (nella formulazione rigorosa della sua dottrina); lattenzione per il corpus sar per recuperata in altro luogo e situazione, quando cio si passer a considerare la semplice quotidianit, la normale esistenza, il regno dei sensi: il piano questo che verr tematizzato nello scambio epistolare con Elisabetta. Husserl, circa quindici anni pi tardi, torner (nella Crisi) sulla figura di Cartesio: non pi qui solamente lo scopritore della soggettivit trascendentale, ma colui che ha commesso (dopo la sensazionale scoperta) lenorme errore di riconsegnare lego puro al mondo esistente, cio di sostanzializzare lanima delluomo. una ricaduta nellobiettivismo, che porta Husserl ad affermare con decisione: [Descartes] si lasci sfuggire quella grande scoperta che aveva gi tra le mani (p. 25). Con ci si prepara il terreno a quelle che saranno le molto pi severe obiezioni heideggeriane: pi duro nei confronti del filosofo di La Haye, Heidegger lo criticher aspramente in tre diverse occasioni, costantemente denunciando la colpa di cui quel pensatore si sarebbe macchiato. Descartes ha confuso lessere con lente, determinandone lessenza nella calcolabilit (Essere e tempo); ha inoltre inaugurato la metafisica del soggetto, scindendo lantica e platonica connessione di vero e bene in nome dellobiettivismo scientista (lezioni del 1940-41 su Nietzsche); da ultimo, la filosofia e la scienza cartesiane, introducendo la misurabilit del corpo, hanno sancito la possibilit di dominio (anche tecnica) sul corpo stesso (Seminari di Zollikon). Cipolletta non concorda per pienamente con le critiche heideggeriane e conclude lesposizione di queste affermando: [Heidegger] non si accorge che se vero che Descartes ha delimitato il campo di indagine, ha posto i limiti del conoscere, tuttavia proprio perch un iniziatore, ponendo i limiti, salta dentro i confini posti per fare scienza, ma esce da quei limiti prendendo in considerazione la vita pratica e la vita emozionale (p. 35). Riguardo alla discussione intorno a Damasio e al suo ben noto saggio Lerrore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano si pu ricordare come lautrice mostri linfondatezza di molte delle critiche da questi formulate e anzi metta in luce chegli stesso (Damasio), nei suoi presupposti metodologici e nella sua attivit di scienziato, pi che critico e demolitore di Cartesio ne addirittura discendente o nipote. La ricerca del neurologo portoghese su emozioni e cervello resta di grandissimo valore e significato scientifico; ma vediamo comunque (e non possiamo negare) che, per altri versi, anche in Descartes si faccia avanti lidea dellineliminabilit delle passioni e delle emozioni: le quali per, invece di essere studiate dal lato scientifico-obiettivo (come in Damasio), divengono oggetto di un sapere pratico, mai definitivo, che si affida interamente al bon sens della vita pratica (buon senso o ragione che, come recita lincipit del Discours de la Mthode, tra le cose del mondo quella meglio distribuita). Patrizia Cipolletta comincia, a questo punto, unanalisi diretta e specifica del sentire cartesiano, di notevole ampiezza e rigore, della quale in questa sede parrebbe opportuno mettere in luce solo alcuni e limitati aspetti. Il pensiero di Descartes, lo si

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gi accennato, non solo e soltanto una filosofia dellevidenza: ai margini della chiarezza metodica possiamo scovare (anche se spesso un po difficilmente) sentimenti, esperienze, pratiche di vita. In preparazione al cammino pi tortuoso e lungo entro la corrispondenza con Elisabetta del Palatinato, lautrice si propone di accennare a diversi elementi, spesso trascurati della personalit e della biografia del pensatore, che dimostrerebbero unattenzione gi presente in giovent verso la corporalit, i sensi, lemotivit. Si infatti da pi parti osservato (e, si noti, quello che si sta per citare solo uno dei tratti che Cipolletta discute) come nel prepararsi alla meditazione cos come intesa da Descartes non basti la semplice lettura di opere filosofiche, ma sia indispensabile una preparazione adeguata per mezzo di esercizi spirituali: proprio come gli Exercitia di Ignazio di Loyola. La formazione nel collegio gesuita di La Flche aveva anche in ci lasciato il segno. Labitudine mattutina alla meditazione e lesercizio di anticipare mentalmente pericoli per stemperare la tensione dinnanzi al loro effettivo verificarsi prepareranno Descartes anche a quella famosa (e pi sopra citata) notte del 10 novembre 1619. Nei tre sogni fatti, lultimo dei quali porr di fronte a Cartesio il bivio fondamentale e la scelta della vita da seguire (gli apparir infatti in sogno il Corpus poetarum aperto sul primo verso dellIdillio XV di Ausonio: Quod vitae sectabor iter?), il filosofo avr modo di sperimentare lestasi della temporalit, [] il tempo dello entusiasmo poetico. [] [Descartes] ha ascoltato il grembo delle possibilit nella sua interezza e nella sua libert, e in un attimo ha scelto il suo destino e il destino dellOccidente (p. 60). Lesperienza di quella notte un vissuto emotivamente estremo delluomo Descartes, che s determina il corso della sua filosofia e scienza, ma soprattutto reca alla sua mente sensazioni mai sperimentate prima; quei sogni infatti dice lautrice li sentiamo vibrare in modo diverso in tutta la sua opera con diverse tonalit emotive (p. 63). Possiamo concludere, anche sulla scorta dellesempio dellesperienza nella notte del pole, dicendo che in Cartesio vivono chiaramente due anime: la prima quella che cerca la certezza incontrovertibile di tutto il conoscere, rappresentata da tutto liter filosofico-scientifico che il pensatore sceglier di seguire, uno dei cui principi fondanti sar la scoperta della soggettivit trascendentale, del cogito (ci che prima si era ricordato parlando di Husserl); la seconda invece quella che sa di un sapere pericoloso di cui non c certezza, ma che riguarda tutti gli uomini (p. 69). Il riferimento qui innanzitutto allesperienza del sogno in se stessa (e quindi della scelta), esperienza che in certo senso trascende i limiti della ragione calcolante e chiama in causa la persona tutta; tuttavia, lesemplificazione pi manifestamente chiara di questa seconda anima cartesiana proprio il rapporto di consulenza filosofica con Elisabetta, nel quale si d propriamente ascolto a quelle esperienze di cui non esiste sapere certo, ma che riguardano e interessano tutti gli uomini in modi e gradi diversi. Nel secondo e pi breve capitolo, lautrice traccia una schematica biografia della principessa del Palatinato, con il fine da un lato di introdurre agli eventi e ai vissuti che fanno da sfondo al rapporto epistolare con Descartes e senza la conoscenza dei quali sarebbe difficile (o addirittura impossibile) indagarne la natura e il senso; dallaltro di far conoscere la personalit e il carattere della fragile Elisabetta, i suoi dolori e la sua sofferenza. Educata in un rigoroso calvinismo, era una giovane assai studiosa e gran conoscitrice delle lingue; ma eventi tragici colpirono la sua famiglia (che, privata dei suoi territori, dovette emigrare nelle Province Unite) e lei medesima (in tenera et perse prima un fratello, poi il padre). Durante la stessa corrispondenza con Descartes, laccusa di partecipazione ad una grave congiura aggrav nuovamente le sue tristezze e dolori, finch in et pi matura, stabilitasi ormai in Germania, non le riusc di diventare badessa di Herford e di ritirarsi in quel luogo per poter godere finalmente di serenit e pace. Descartes, con le sue lettere, accompagner Elisabetta per anni attraverso

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le sventure, con lobiettivo di darle consigli e curare cos il perenne stato di sofferenza in cui la giovane principessa viveva avviluppata. Di tale relazione epistolare, trattata ampiamente nel terzo capitolo del saggio (relazione che rappresenterebbe effettivamente un primo esempio di consulenza filosofica) non pare opportuno qui mettere in luce n la complessa evoluzione n le molte tappe intermedie. Nostro intento sar solo di mostrare brevemente alcuni caratteri fondamentali di tale rapporto, inquadrati nelle linee essenziali del suo sviluppo; fatto ci si trarranno alcune conclusioni (come lautrice stessa fa) sul ruolo della filosofia e della pratica filosofica oggi, tenendo presente linsegnamento tratto dal caso ElisabettaCartesio. Il primo rivolgersi della principessa al filosofo concerne essenzialmente la questione del rapporto tra lanima e il corpo: se lanima inestesa e separata, come pu mai interagire con il corpo? Sarebbe forse pi facile pensare anchessa come materiale suggerisce Elisabetta. Ma dietro tale problema, di natura prettamente teorica, si nasconde unaltra e pi profonda esigenza, stavolta di ordine pratico: come possibile quel patire incarnato (p. 106), quella sofferenza che dal corpo sembra inesorabilmente estendersi allanima? Descartes, mantenendosi allinizio su un piano essenzialmente speculativo, le fa notare la necessit di considerare tre diversi livelli di conoscenza del composito umano: a livello dei sensi anima e corpo si presentano uniti e mescolati; la corporalit come estensione afferrabile attraverso lintelletto mediato dallimmaginazione; infine, possibile cogliere lanima come separata e inestesa soltanto attraverso la profonda meditazione intellettuale. Solo pi tardi il pensatore francese si render conto che i bisogni della principessa non sono semplicemente crucci di natura teorica; e allora inizieranno insieme un cammino nel quale Descartes sar prodigo di consigli, sempre pi mirati, tutti finalizzati a recare del sollievo nella vita di Elisabetta, a farle considerare di poco valore tutte le disgrazie, imparando a trovare felicit ed equilibrio dentro se stessa. La rivisitazione delle regole della morale provvisoria, il commento al De vita beata di Seneca, lanalisi delle passioni sono solo alcune delle tappe che costituiranno il lungo percorso di consulenza. Lunica domanda che qui val la pena di porre per la seguente: perch questo rapporto (che Cipolletta approfondisce anche da un punto di vista storiografico con molta precisione e cura) pu essere a ragione considerato come un primo esempio di consulenza filosofica, perch dovrebbe rappresentarne in qualche modo larchetipo, lessenza? Per rispondere sufficiente in questa sede citare unaffermazione dellautrice: in questi dialoghi non c un sapere gi costruito e posseduto che si tratta di tramandare, ma un cercare insieme. questo cercare insieme che distrae la principessa e contemporaneamente le permette di esercitare il buon senso per non essere affranta dalla mala sorte (p. 115). Ci che veramente conta, il centro di tutto, il rapporto tra i due personaggi in gioco (in qualche modo tra la consultante e il consulente), che percorrono insieme lintero iter, occasione di miglioramento per entrambi. Descartes che aiuta la principessa non lo fa come il maestro dallalto della sua cattedra, ma, abbandonando i profondi abissi della meditazione e il suo deserto,si rivolge allorizzonte del finito, alla quotidianit, alla vita pratica. Questo camminare insieme e questo farsi carico da parte del filosofo dei problemi di Elisabetta hanno un esito che potremmo in fondo definire positivo: la principessa, ormai in esilio, lontana dalla famiglia e da Cartesio, non pi [per] nella condizione di totale tristezza (p. 143). Ma che centra tutto ci con la situazione della filosofia oggi (e il suo rapporto con la pratica della consulenza filosofica)? La situazione della filosofia nel Novecento (e ugualmente ancora oggi) lautrice insiste di emarginazione, decadenza: la filosofia, nellet della tecnica, non ha pi volato in alto. La civilt in cui viviamo, nel suo individualismo, nel suo dispregio di ogni valore morale e di ogni genuino sentimento, ha lentamente espunto dal patrimonio collettivo nozioni come quelle di responsabilit, di rispetto per laltro, ecc. Che ruolo pu avere allora la filosofia in questa situazione? Essa non pu porsi certo come un corpus dottrinario

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Cipolletta, Patrizia, Emozioni e pratiche filosofiche. Elisabetta del Palatinato consulta Cartesio
chiuso e dogmatico: linsegnamento filosofico deve piuttosto condurre lindividuo ad aprirsi allaltro con piet e comprensivit. Chi pratica la filosofia non pu iniziare a dare precetti e valori, ma [deve cominciare] a porre domande nellumilt (p. 115). Il grande pensatore e scienziato Descartes, nel suo affrontare la vita pratica e le emozioni, soprattutto dunque nel cammino percorso insieme alla principessa del Palatinato, massimo esempio di ci. E a questo fine la consulenza filosofica, quale immortalata dalla coppia Elisabetta-Cartesio, pu veramente essere di aiuto, pu divenire un efficace strumento e un valido mezzo per stabilire se dal bisogno, dal disagio sia possibile accedere ancora a quella zona emotiva che fa prendere carico di s, per poi vedere se ancora possibile volare in alto; ma non sar un andare in alto per dominare dallalto tutto ci che [], [bens] un volare in alto della libert (p. 173). I. Descartes e i suoi volti di Giano
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II. Donna di mondo e di cultura III. Incontro di emozioni e di passioni Conclusione. La consulenza filosofica ieri e oggi

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Marco Storni

Calabr, Paolo, Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne


Reggio Emilia, Diabasis, 2011, pp. 150, euro 15,00, ISBN 978-88-8103-753-7 Recensione di Georgia Zeami - 14/05/2011 Le cose non si osservano soltanto, n si analizzano astrattamente. Come recita una felice espressione di Raimon Panikkar che d il titolo al bel volume di Paolo Calabr, le cose si toccano: esse non solo sfregano costantemente luna contro laltra costituendo la trama composita del reale, ma di pi ci vengono incontro nellesperienza, ci riguardano da vicino. Calabr rilegge lintreccio tra filosofia e scienze attraverso leccezionale concezione cosmoteandrica del filosofo indo-catalano Raimon Panikkar. Secondo una simile concezione, poich la realt manifesta uno spettro chiaroscurale che innesta lo stesso concetto di verit in una dinamica di occultamento e rivelazione, necessario operare una conversione della nostra prospettiva, e cio oltrepassare i confini del nostro sguardo nudo (p. 65) attingendo a piene mani la trama complessa e dinamica del reale. Quando Panikkar si domanda perch dopo tutto dovrei rifiutare ci che ascolto o, per esempio, ci che vedo con minore evidenza [] E non pu darsi il caso che le cose supreme e le pi importanti siano al di l del campo visivo proprio al mio occhio nudo e limitato (ibidem), egli denuncia uno strappo fecondo non tanto tra il piano dellessere e quello dellapparire ch altrimenti ricadrebbe nellerrore che tenta di fuggire, e cio il ripristino di un infausto dualismo tra cosa in s ed apparenza , quanto tra il pensiero razionale e lessere. Affermando la non coincidenza tra ontologia ed epistemologia (ibidem), il filosofo indo-catalano libera lessere dal vincolo del pensiero razionale, la scienza dalla presunzione, per altro smentita dal progresso stesso, di esaustivit e i fenomeni unici e singolari dalla gabbia dellincomprensibilit. una lettura a tutto tondo quella compiuta da Panikkar della relazione che il pensiero intrattiene con le scienze, lettura di cui Calabr riesce a mostrare le implicazioni speculativamente pi ricche. Se in base a una semplicistica contrapposizione, infatti, il rapporto tra la filosofia e le scienze sembra destinato a una irrimediabile opposizione, a un sguardo pi attento attento e puntuale come quello di Paolo Calabr esse appaiono, invece, quali tentativi di comprensione della realt che non soltanto intersecano gli stessi sentieri, ma ne condividono, secondo la lettura di Panikkar, il sostrato mitico-simbolico. Il primo tassello per tentare di comprendere questa inedita visione del rapporto si fa chiaro fin dalle prime pagine del testo, in cui Calabr mette in luce il presupposto che anima la riflessione di Panikkar. Muovendo dalla convinzione che tra pensiero ed essere non vi sia affatto, come voleva una certa filosofia a partire da Parmenide, una identificazione, ma una relazione tale per cui il pensiero non esaurisce la complessit dellessere, il filosofo, noto soprattutto per aver avviato un fecondo dialogo tra le religioni, ritiene che se per un verso la realt si apra alla comprensione del singolo e dei singoli saperi , per laltro non si esaurisca nella singolarit dellinterpretazione. Se, insomma, ogni uomo capace di afferrare la totalit della realt che gli si fa innanzi, allo stesso tempo, per, il disvelamento della realt mantiene nel singolo una sua

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Calabr, Paolo, Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne

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parzialit. Alla base di questa visione gnoseologica si trova una strutturata teoria ontologica, in base a cui la realt intesa non in senso unidimensionale, ma relazionale e pluridimensionale. Il divino, il mortale e il terrestre costituirebbero non solo le parti di una totalit impensabili, inconoscibili e insussistenti luna senza laltra , ma le dimensioni di cui ogni essere sperimenta in proprio le profondit. Riproducendo uno dei motivi pi tradizionali della storia del pensiero, e cio lidea che la trama della realt possa sintetizzarsi nella triade dialettica a cui molti nomi sono stati attribuiti Dio, anima, mondo, Padre, figlio e spirito, Panikkar sfida la filosofia a mettere in questione i propri stessi fondamenti (identificazione tra pensiero ed essere, universalit, contrapposizione oggettivo-soggettivo). Intesa come organismo vivente, infatti, la realt non si piega alla stabilit di una definizione univoca, n esaurisce le proprie potenzialit nelle maglie comprensive di una disciplina ragione per cui priva di senso una visione di filosofia e scienza in termini di reciproca esclusione al contrario si sviluppa costantemente come materia viva. In tal modo la posizione di Panikkar, in contrasto con alcuni dei nodi decisivi del pensiero occidentale che a sua volta appare stretto a doppia mandata con una concezione scientifica prequantistica ampiamente superata interseca le pi recenti posizioni della fisica contemporanea. Il sentiero che si snoda , perci, duplice: da un lato Panikkar critica duramente la scienza moderna, intesa prevalentemente come modalit sperimentale della conoscenza scientifica, e dallaltro converge con alcune delle pi recenti acquisizioni della fisica contemporanea. Se complessa la visione del cosmo di Panikkar, non meno lo sono, infatti, le sue posizioni rispetto al carattere diabolico della scienza moderna. Non manca di certo nel giudizio del filosofo sulla scienza moderna una semantica dura e assertoria che se sganciata dal contesto generale delle sue riflessioni come Calabr testimonia riportando alcune stoccate di Sanguineti (p. 53) rischia di essere totalmente

fraintesa. Nellaffermare ad esempio che la scienza perversa o che non conoscenza nel senso tradizionale (p. 41), Panikkar non intende condannarla in modo inappellabile, n misconoscerne gli aspetti positivi. Piuttosto lintenzione quella di mettere in luce un andamento che ha permeato la societ occidentale attraverso il linguaggio della scienza sperimentale. Dinnanzi al vuoto della metafisica e della teologia, gli individui hanno creduto non solo di poter affidare alla scienza linterpretazione di ogni aspetto della loro esistenza, ma anche di assegnarle il compito di realizzare le pi umane aspirazioni di felicit, progresso e abbondanza. La perversione della scienza di cui parla Panikkar, insomma, non morale, ma relativa al linguaggio (p. 44). Prova ne limporsi della semantica scientifica ad ogni aspetto della vita, in base a cui, ad esempio, viene considerato il tempo in meri termini quantitativi o fisici, e cio come un contenitore vuoto da riempire in modo ottimale (p. 13). Pur essendo incolpevole moralmente, la scienza moderna genera, tuttavia, un impoverimento morale, dal momento che prosciuga o devitalizza (p. 45), secondo lespressione originale del filosofo, le risorse creative dellessere umano. Alla radice della perversione della scienza starebbe il primato assegnato nella modernit al procedimento sperimentale bene, dunque, osservare che il giudizio del filosofo rivolto alla manifestazione effettiva della scienza che si esplica a partire dalla modernit. Inteso essenzialmente come possibilit di dominio e di calcolo (p. 51), lesperimento non rivelerebbe affatto la natura delle cose, ma la stravolgerebbe. Da qui una netta contrapposizione tra la visione avvolgente dellesperienza, che calando interamente il soggetto nelle trama della realt comporrebbe allunisono elementi distinti, quali la singolarit del vissuto, la memoria, linterpretazione e il contesto culturale e ambientale (p. 52), e la visione fittizia e virtuale dellesperimento scientifico che, di contro, isolerebbe il fenomeno da osservare dal contesto mondano relegandolo, insomma, tra le mura di un laboratorio ritenendo

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Calabr, Paolo, Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne

di trovar delle leggi immutabili, laddove, invece, la natura mostra uneccedenza e una dinamicit resistente alle formule fisse. Forte della presunta oggettivit del sapere scientifico, la perversione moderna degenera nella contemporaneit in volont di universalizzazione della tecnologia e della mentalit scientifica al mondo intero. Il giudizio di Panikkar estremamente duro in proposito e nitido il resoconto che di questa posizione fa Calabr. Dietro la facciata politically correct della divulgazione universale del progresso e della globalizzazione del sapere si nasconde, infatti, come gi una certa filosofia contemporanea aveva profetizzato, lintenzione di occidentalizzare il mondo. necessario guardare gli eventi in modo critico e disincantato, ci sembra di poter dire sintetizzando la posizione di Panikkar, e cio saper leggere anche in quelle azioni apparentemente pi nobili, come la lotta per lalfabetizzazione, il rovescio della medaglia, che in questo caso potrebbe coincidere con il genocidio delle culture orali (p. 56).
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il caso ancora della critica alluniversalismo rispetto a cui il contributo di Panikkar rivela implicazioni troppo spesso ignorate da una certa tendenza alla globalizzazione che sacrifica sullaltare dellintegrazione lo specimen delle diverse culture. Da qui la doverosa differenza tra valori interculturali, e cio principi che mutatis mutandis compaiono nelle diverse culture, di cui giusto affermare la positivit, e valori transculturali, intesi, a ragione, come astrazioni prive di fondamento, rispetto ai quali bisognerebbe indossare labito della imprescindibilit del proprio punto di vista (p. 70). Il rinvio ai punti di vista particolari non , per, da intendersi come chiusura rispetto alla ricchezza di ci che sta fuori, ma come riconoscimento di unalterit inviolabile e irriducibile allio. Questultimo, a sua volta, non inteso da Panikkar come monolite che interseca accidentalmente laltro, ma come il punto dincontro di relazioni in costante divenire. Definendo criptokantismo (p. 74) ogni concezione che isoli gli oggetti e/o i soggetti dallinterazione reciproca, il

filosofo reputa, perci, lidea dellesistenza della cosa in s priva di senso a livello ontologico sebbene ne riconosca il senso a livello gnoseologico come esigenza della mente che ha bisogno di pensare e calcolare (ibidem) . Che la cosa in s non esista scrive Calabr non una questione di prospettiva filosofica o ermeneutica, ma un dato di fatto attestato dalla scienza. La cosa in s non mai stata indicata o sperimentata da nessuno. E poco dopo: per la sua stessa definizione [] non potr mai essere sperimentabile, nellatto in cui tale cosa in s toccasse un qualsiasi strumento di misura, nello stesso attimo cesserebbe di essere in s per diventare con lui (p. 76). Ora, sebbene la questione della cosa in s sia senzaltro controversa, ci pare tuttavia insufficiente la ricusazione di Calabr, il quale si appella ora alla veridicit della sperimentazione, poco prima, e giustamente, accusata di stravolgere la natura delle cose, per dimostrarne linesistenza. Un simile argomento rischia di tradire proprio quel presupposto che anima la riflessione di Panikkar e cio che forse le cose supreme oltrepassano la nudit dello sguardo o la chiarit del dato di fatto. Affrettandosi a chiarire in nota che il problema di dimostrarne lesistenza riguarderebbe, semmai, chi ne afferma la veridicit (p. 79), Calabr assolve con troppa leggerezza, a me pare, dalla responsabilit di una ricusazione i detrattori della cosa in s, i quali, invece, basti citare Hegel per tutti, hanno ritenuto la questione degna della massima attenzione. Sono altri gli argomenti convincenti della posizione di Panikkar e, perci, del lavoro di Calabr che, nellincalzare delle pagine, indica nella dirompente ipotesi ontologica in base a cui essere un verbo e non un sostantivo (p. 91) il vero punto archimedeo di una svolta filosofica. Solo mutando, infatti, il presupposto della filosofia quel sostrato mitico-simbolico in base a cui lessere inteso come sostanza possibile incamminarsi su sentieri nuovi. Non si tratta, insomma, di ricusare il grande mito delloggettivit e delluniversalit, ma di proporne di nuovi o riproporne di pi antichi. Le une al fianco delle

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Calabr, Paolo, Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne

altre, nel rispetto di unalterit capace di contenere davvero, e magari al proprio interno, la differenza, le varie prospettive filosofiche e scientifiche, sorrette da diverse configurazioni mitico-simboliche, potranno rimandare alla trama complessa del reale. Come nellesecuzione di un brano musicale i componenti dellorchestra, pur nella differenza dei ruoli e degli strumenti, concorrono alla creazione di ununica sinfonia, allo stesso modo gli individui, filosofi e scienziati, possono prendersi cura della terra su cui abitano coltivandola e rendendola feconda, come suggerisce una poetica immagine di Panikkar (p. 95), offrendo ognuno il proprio personale, individuale contributo. Prefazione, di Pietro Barcellona 2. Il mito e il simbolo: lapproccio alla realt 4. Una filosofia contro la scienza? 2. Critica delluniversalit
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3. Critica della cosa in s 4. Critica delloggettivit 5. Oggettivo e simbolico 6. Il ruolo della soggettivit 8. La libert della materia 10. Il pensiero modifica il pensato 11. Il tutto maggiore della somma delle parti 12. Teofisica: un progetto

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mercoled 11 gennaio 2012


ReF-Direttore

Irrera, Elena, Il bello come causalit metafisica in Aristotele


Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 284, 22, ISBN 9 788857506067 Recensione di Matteo Sozzi 29/10/2011 Un percorso originale e suggestivo allinterno della filosofia aristotelica offerto da questo testo di Elena Irrera. La tematica affascinante della bellezza infatti un indovinato fil rouge, che accompagna il lettore in una rivisitazione di diversi aspetti della speculazione aristotelica e permette di cogliere prospettive e connessioni, che sovente rischiano di sfuggire anche per la tendenza dello Stagirita ad offrire trattazioni sistematiche di definiti campi dindagine. La bellezza, invece, presenta in Aristotele le caratteristiche dellinterdisciplinariet: oggetto delle scienze teoretiche e matematiche, indagato nelle ricerche biologiche come segno del raggiungimento del proprio fine da parte degli esseri viventi, associato negli studi etici alle azioni virtuose e, infine, assume il ruolo di obiettivo da realizzare per i politici retti. Studiare il bello in Aristotele, pertanto, conduce inevitabilmente, da un lato, a indagare lintero pensiero del filosofo, dallaltro lato, a considerare lunit profonda della sua speculazione. Cos, emerger, ad esempio, come il bello in quanto oggetto di contemplazione intellettuale possa orientare la comprensione della categoria di bellezza allinterno degli ambiti morale e politico e, viceversa, come la bellezza delle azioni virtuose possa connettersi con il bello oggetto di contemplazione intellettuale. Il testo si articola in quattro capitoli. Il primo introduce al tema della bellezza quale stimolo della ricerca conoscitiva delluomo, a partire dallesperienza visiva fino allindagine sul bello offerta dalla scienze matematiche; questultima permette di cogliere la natura teoretica della bellezza, separabile dai suoi aspetti accidentali e riferibile alla struttura interna degli enti. Il bello, infatti, rappresenta una forma sussistente nel pensiero a prescindere dalla contingenza delle situazioni e, pertanto, conduce chi lo contempli a separare gli aspetti essenziali della realt da quelli corruttibili. Tale osservazione si applica significativamente non solo al campo delle scienze matematiche, ma anche alle azioni virtuose. A tal proposito, allinterno di questo capitolo, viene delineato un interessante confronto circa il rapporto tra bello e bene in Aristotele e in Platone. A questa comparazione fa seguito, infine, limportante considerazione sullimprescindibilit del soggetto contemplante per il darsi dellesperienza stessa della bellezza: qualsiasi cosa venga giudicata bella presuppone un soggetto intenzionato a conoscerla nelle sue caratteristiche essenziali. Il secondo capitolo affronta, quindi, il nucleo della tesi dellautrice: il bello come causalit metafisica. Viene richiamata la dottrina aristotelica delle quattro cause dellessere e viene motivata la pertinenza delle categorie di causalit formale, causalit finale e causalit efficiente riferite al bello, mentre viene escluso che il bello possa essere causa materiale. Allinterno di queste considerazioni vengono proposti alcuni riferimenti fondamentali della cosmologia aristotelica considerati anche nel loro rap-

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porto con la concezione platonica. Il terzo capitolo invece dedicato interamente allanalisi della bellezza quale causa efficiente. In tale prospettiva, viene illustrata una interessante interpretazione del Primum movens immobile, con particolare riferimento alla modalit con cui la contemplazione promuove il movimento. Lautrice sostiene la tesi che sia proprio la bellezza lelemento che conduce la sostanza divina a comprendere e ad amare se stessa, cos da perseverare in atto, nella propria perfezione e nella propria essenza, rimanendo eternamente quel bene da cui tutta la realt dipende. In questottica, la bellezza della sostanza prima, bene sommo e vita in atto, non mera apparenza, ma riesce ad imprimere ordine e uniformit allintero cosmo. Si tratta di un capitolo certamente impegnativo, la cui importanza dovuta al fatto che la stessa idea di causalit efficiente della sostanza divina fornisce una chiave daccesso anche alla comprensione di alcuni aspetti della natura umana: come la bellezza del Motore immobile mantiene perennemente in atto la sostanza divina, cos la visione del bello potr permettere alluomo di sviluppare strategie per il raggiungimento della bellezza ideale, mantenendo vivo il desiderio di realizzare nella pratica ci che pensato come bello, pur nei limiti dellumano. La contemplazione del bello per luomo diventa quindi esigenza di contemplazione, che lo conduce a realizzazioni nella vita pratica ad esso coerenti. Questa concezione trova piena conferma nel quarto capitolo, che si sviluppa a partire da due importanti convinzioni: la prima che letica sia in grado di indirizzare e indurre mutamenti nella vita delluomo, la seconda che lindividuo e il politico virtuosi agiscano con una motivazione e un fine legati al bello. Tali presupposti vengono illustrati con importanti riferimenti alla concezione di natura, al rapporto tra natura e arte, al Protreptico, alla dimensione politica e allarte legislativa in particolare, e conducono la riflessione al riconoscimento che la bellezza non sia per Aristotele riducibile unicamente alla sfera contemplativa, ma sia anche fattore

di cambiamento pratico delluomo in vista del raggiungimento della sua propria natura. Il pensiero aristotelico viene cos offerto alla comprensione del lettore privo di rigide separazioni, in una prospettiva unitaria, garantita dal tema della bellezza, che il filo conduttore dellintero testo. Importante infine notare il poderoso apparato critico. Sono, infatti, presenti numerosi approfondimenti di singole tematiche o significative esplicitazione di questioni dibattute, affidati a digressioni, note esplicative, riferimenti bibliografici. A tal proposito, utile notare come il testo si presti sia ad una lettura attenta agli argomenti di fondo che non voglia indugiare sui singoli contributi critici, sia allanalisi pi mirata di uno o pi aspetti in cui si voglia addentrarsi e di cui vengono forniti significativi percorsi di approfondimento. Certamente il lettore avr comunque modo di apprezzare il rigore dellanalisi dei testi e la profondit della riflessione che supporta le argomentazioni proposte. Indice Avvertenze generali per il lettore Abbreviazioni Introduzione I. Lesperienza umana della bellezza 1.1 La tensione verso la conoscenza 1.2 Il bello, il bene e le scienze matematiche 1.3 Alcune osservazioni sul bene e il bello in Platone 1.4 I rapporti tra bellezza e bene in Aristotele 1.5 La recettivit umana della bellezza e il soggetto contemplante II. In quali cause contenuto il bello? 2.1 Lassenza del bello dalla causa materiale 2.2 Causa formale 2.3 Causa finale 2.4 Causa efficiente III. La causalit efficiente della sostanza soprasensibile

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Irrera, Elena, Il bello come causalit metafisica in Aristotele

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3.1 Introduzione 3.2 Caratteristiche del primo motore 3.3 Immobilit e attualit della sostanza prima. Un confronto con Platone 3.4 Il bello e la sostanza prima come oggetti di attrazione 3.5 Come muove il motore immobile? Alcune interpretazioni 3.6 Da chi amato il motore immobile? 3.7 Il motore immobile come principio attualizzante 3.8 La sostanza soprasensibile come Noesis Noeseos 3.9 La sostanza prima come forma perfetta di vita 3.10 Come la contemplazione promuove il movimento. Conclusioni IV Dalla contemplazione allazione. Il bello come valore da realizzare 4.1 Il bello nella dimensione pratica: causa efficiente o finale? 4.2 Un comune denominatore tra bellezza teoretica e bellezza pratica: la physis 4.3 tra contemplazione e azione. Il Protreptico 4.4 Essere e divenire secondo natura 4.5 Il rapporto tra natura e arte 4.6 Dalla natura allazione politica: il caso dellarte legislativa 4.7 Conclusioni Nota conclusiva Bibliografia

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Marco Storni

Vittorio Possenti (a cura di), Il futuro della democrazia


Milano - Udine, Mimesis, 2011, pp. 259, euro 18, Annuario di Filosofia 2011, ISBN 978-88-5750-305-9 Recensione di Tiziana Gabrielli 30/11/2011 Il titolo dellAnnuario di Filosofia 2011 riprende quello di un famoso libro di Norberto Bobbio, uscito nel 1984, che aveva come sottotitolo: Una difesa delle regole del gioco. Il futuro della democrazia, che in questa fase storica dubita di se stessa (Editoriale, p. 7), non si gioca soltanto attorno ad una sua nuova determinazione procedurale, n in un appello ai valori (tolleranza, giustizia, libert), come Bobbio riteneva allora essenziale. Si tratta piuttosto di costruire un consenso compartecipato su nuclei centrali, che potremmo chiamare i fondamenti prepolitici della democrazia (ivi, p. 8), cos come suggeriva gi Tocqueville nel terzo libro de La democrazia in America: Perch vi sia una societ e, a pi forte ragione, perch questa societ prosperi bisogna, dunque, che tutti gli spiriti dei cittadini siano sempre riuniti e tenuti insieme da alcune idee principali (ibidem). LAnnuario sinterroga, dunque, su questi fondamenti e sui grandi temi del dibattito sulla democrazia di oggi e di domani: lidea di persona, le questioni eticamente sensibili, il compito del diritto, il nesso religione-politica (ibidem). Il volume collettaneo esordisce con tre importanti interviste: la prima a Robert Spaemann (a cura di Luca Grion e Umberto Lodovici); la seconda a Michael Sandel e Allen Buchanan (a cura di Roberto Mordacci); e la terza ad gnes Heller (a cura di Daria Dibitonto e Nicol Seggiaro). Lintervista a Spaemann verte sul tema del ruolo della verit in politica e prende le mosse dal nodo cruciale del rapporto tra religione e vita civile nellepoca della secolarizzazione. Secondo Spaemann, fare come se Dio non fosse (etsi Deus non daretur) (p. 15), non davvero una buona soluzione. Non pensabile ritornare alla Polis, intesa aristotelicamente come il luogo della realizzazione dellesser-uomo, della eudaimonia. In nome della ragione lIlluminismo - dice Spaemann - voleva creare una base per il consenso civile al di l delle contrapposizioni religiose. Ora sono gli eredi dellIlluminismo che cercano di distruggere questa base e sono invece i credenti che la difendono. Una base neutrale si dimostrata unillusione. Non possiamo sfuggire al Politico (p. 17). E alla domanda su come conciliare verit e regole democratiche Spaemann risponde che non c alcuna buona politica senza verit (p. 22). Lintervista di Mordacci a Sandel - che insegna Political Philosophy and Theory of Government alla Harvard University - centrata sul tema del potenziamento umano (human enhancement), considerato come una delle principali frontiere del dibattito bioetico (p. 24). Nel libro Contro la perfezione Sandel si oppone ad un uso consumistico dellingegneria genetica per scopi di potenziamento non medico, ovvero per rendere le persone pi alte, pi forti o pi intelligenti (cosa che ancora non possibile) o scegliere il sesso dei figli (p. 24). In un altro importante volume, Justice, Sandel sviluppa una prospettiva filosofica basata sullidea di bene comune, in cui le concezioni permeate dalla religione (informed by religion) hanno un ruolo nel discorso pubblico

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Vittorio Possenti (a cura di), Il futuro della democrazia

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sulla giustizia, in quanto non desiderabile separare il dibattito democratico dalle questioni sulla vita buona, sulla virt e sul carattere (cfr. p. 25). Buchanan tra i primi pensatori liberali ad applicare la base rawlsiana dei principi di giustizia alle questioni di genetica. Da questo punto di vista, espresso ed articolato nel volume From Chance to Choice. Genetics and Justice - scritto insieme a Dan W. Brock, Daniel Wikler e Norman Daniels - , il potenziamento genetico non pu essere un male intrinseco, se le scelte libere degli individui fanno parte di uno schema di istituzioni eque (p. 26). Lintervista alla Heller, dal titolo Democrazia: un ordinamento fragile, ma senza alternative, si snoda attorno al rapporto tra filosofia e politica. La filosofia - afferma Heller - come fornitrice di un servizio non pu pretendere di innalzarsi alla verit o allinfallibilit; il suo servizio per non solo utile, ma anche indispensabile per la politica democratica (p. 32). Per sopravvivere, la democrazia, secondo Heller, va rifondata ogni momento. Essa un ordinamento che si autoregola. Per dirla pi semplicemente, non ha altro fondamento allinfuori del libero consenso delle persone e dellincarnarsi di questo nella costituzione (p. 34). Nonostante la fragilit della democrazia, la Heller pensa ad una possibile combinazione tra una democrazia basata sul sistema della rappresentanza ed una democrazia diretta, questultima preferita da Hannah Arendt. Il processo della costruzione della democrazia, per Heller, stato, e sar sempre un lavoro faticoso in cui c progresso e regresso. LAnnuario articolato in tre sezioni. La prima composta dai saggi di Vittorio Possenti (curatore del volume), Eugenio Mazzarella, Paolo Costa, Roberto Mordacci e Alex Grossini. Il contributo di Possenti, dal titolo Democrazia, questione antropologica e biopolitica, difende la tesi secondo cui occorre riprendere a rinnovare la democrazia e lideale democratico per la via antropologica, consapevoli che la sola via etica non basta (p. 40). Per andare avanti la democrazia - scrive Possenti - ha bisogno di un primo motore: esso si trova nellidea di persona, che sta-

bilisce la verit antropologica della democrazia (p. 39). A sostegno della sua tesi sulla rilevanza politica dellidea di persona, Possenti cita non soltanto Boezio e Tommaso dAquino, ma anche M. de La Palisse, G. B. Vico, C. Schmitt, G. La Pira, F. Rodano e J. Maritain, prendendo nettamente le distanze dalle posizioni neoliberali di J. Rawls e di M. Nussbaum. In questo quadro teorico Possenti ritiene superate ed inadeguate sia la posizione paleo-liberale e crociana di unaurea et dei distinti, sia quella pragmatistica di Rorty sullinutilit della filosofia e dellantropologia per la democrazia (p. 45). Secondo Possenti, la biopolitica una scienza umana, non una tecnica o una scienza naturale (p. 55), una scienza pratica (p. 58), ed per questo che non pu allontanare da s il livello normativo (p. 58), pena il diventare una vera e propria biocrazia (ibidem). La forma di democrazia da reinventare ed auspicabile per il domani - conclude - una democrazia capace di riscoprire la radice cristiana che unisce persona e bene comune, e la radice greca e romana del repubblicanesimo delle virt civili che si uniscono nellumanesimo civico della vita buona (p. 61). Il saggio di Mazzarella, dal titolo Democrazia e valori, mette in chiaro lesigenza di una laicit franca e adulta, (...), disposta ad apprendere, senza falsa sufficienza, dal patrimonio di umanit delle esperienze religiose, ma insieme orgogliosa del suo ufficio politico e civile di presidio non negoziabile della libert delle coscienze e dei diritti e della dignit della persona (p. 66). E che sappia anche suggerire al legislatore un diritto mite, non proibitivo n coercitivo, in grado di saper mediare, specie nelle questioni etiche pi spinose o estreme, tra le ragioni della piet e quelle della legge. Nel suo intervento, dal titolo Vulnerabilit e rilevanza della sfera pubblica nelle democrazie moderne, Costa individua nella sfera pubblica il fulcro dellesperienza politica democratica (p. 76) e, citando la Arendt, la precondizione dellesistenza di un mondo comune (ibidem). La sfera pubblica moderna per uno spazio metatopico diverso dagli altri: uno spazio profano, ma anche

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Vittorio Possenti (a cura di), Il futuro della democrazia

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e soprattutto uno spazio extrapolitico, un criterio di legittimit dellazione statale (p. 79). Questo suo carattere extrapolitico, tuttavia, la espone al rischio di trasformarsi in uno strumento di esclusione o addirittura in unanticamera del dispotismo dolce (Tocqueville), lo specchio in cui si riflette il volto ingannevolmente affabile del Leviatano (pp. 82-83). Procedendo oltre la retorica del trionfo e del tramonto della democrazia, Costa conclude che la verit che il futuro della democrazia allo stesso tempo dipendente e indipendente da noi. Bisogna imparare a convivere con questo sano disincanto. In che stato , dunque, la democrazia? A un bivio, come sempre (pp. 86-87). Mordacci e Grossini chiudono la prima sezione con una riflessione critica su Giustizia e governo democratico in Amartya Sen. Lidea di giustizia di Amartya Sen - scrive Mordacci - il tentativo di delineare una teoria della giustizia basata sulla comparazione fra diverse situazioni ed esigenze (p. 89). Questo approccio, che Sen chiama concezione incentrata sulle realizzazioni concrete, si contrappone alla tradizione incentrata sulla struttura, tipica del contrattualismo (da Hobbes a Locke, da Rousseau a Kant fino a Rawls). La prospettiva contrattualistica, infatti, ricerca essenzialmente la definizione dellassetto istituzionale che garantisca la realizzazione di una societ perfettamente giusta, almeno in una prospettiva ideale (ibidem). Lapproccio di Sen particolarmente vicino a Smith (di cui accoglie la teoria dello spettatore imparziale) e a Condorcet (iniziatore del calcolo della scelta sociale, disciplina che lo stesso Sen ha contribuito a sviluppare insieme a Kenneth Arrow) e, in parte, a Mill, mentre si distacca dallutilitarismo, in particolare da quello di Bentham. Da Marx e Wollstonecraft Sen riprende soprattutto la critica dellingiustizia sociale. Il libro di Sen - avverte Mordacci - ha dunque molti meriti nel chiarire i limiti di una prospettiva procedurale basata esclusivamente sul profilo istituzionale di una societ giusta. Ma non riesce nel dimostrare il punto metodologico pi profondo, ovvero la praticabilit, teorica prima che pratica,

di una prospettiva in cui si sia rimosso ogni orizzonte trascendentale critico a favore di una comparazione variabile a seconda degli autori coinvolti. Probabilmente, in realt, Sen presuppone un tale orizzonte critico come la base per qualsiasi programma teorico-filosofico sulla giustizia; ma, criticando lidea stessa di trascendentale come sfondo della teoria politica, finisce, secondo il proverbio, per gettare il bambino con lacqua sporca (pp. 108-109). La seconda parte costituita dai contributi di Enrico Berti, Gustavo Zagrebelsky, Gaspare Mura e Michele Nicoletti. Tutti gli interventi sono accomunati dalla necessit di proporre una nuova declinazione del concetto di laicit e del rapporto tra laici e cattolici. Berti, ad esempio, ricorda che nelle societ moderne la laicit si identifica con la democrazia, come ha pi volte sostenuto Stefano Rodot, cio con losservanza delle regole che prevedono il governo della maggioranza, ma nel rispetto dei diritti della minoranza, che sono i diritti di tutti, stabiliti dalla Costituzione, e che non possono essere violati nemmeno dalla maggioranza (ibidem). Questa cultura laica - avverte Berti - dovrebbe essere comune a tutti, credenti e non credenti, cosiddetti laici o cosiddetti cattolici (...) (p. 115). Per cultura religiosa intendo - prosegue - una visione del mondo e della vita che, oltre a comprendere tutto ci che fa parte della cultura laica, comprende anche la fede in una religione, ma come scelta che va oltre la ragione, non si sostituisce a questa, perch ha come oggetto asserzioni non dimostrabili razionalmente, quali ad esempio, nel caso del cristianesimo, la trinit di Dio e la divinit di Ges (p. 119). Essere credente non impedisce di essere laico, e quindi democratico. Pertanto, per Berti, sebbene non vi sia opposizione di principio tra cultura laica e cultura religiosa (p. 123), di fatto, per, esistono problemi che vengono risolti diversamente da credenti e non credenti, come il dilemma tra indisponibilit o disponibilit della vita umana (p. 124). Secondo Zagrebelsky, le ragioni del conflitto tra laici e cattolici si possono comprendere alla luce di una riflessione su due binomi

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Vittorio Possenti (a cura di), Il futuro della democrazia

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buono e vero, vero e razionale e sul rapporto che, nella dottrina ufficiale della Chiesa, venuto instaurandosi tra i primi e i secondi termini di tali binomi (pp. 131-132). Se la Scolastica ci insegna che verum et bonum (e iustum) convertuntur, in realt questi tre termini non si equivalgono n dal punto di vista dello status concettuale, n da quello etico, n da quello delle implicazioni pratiche (p. 133). Attorno al buono e al giusto - precisa - si pu lavorare e costruire insieme, cio cooperare, ognuno portando qualcosa di s, perch la ricerca del bene e del giusto possono unire; attorno al vero, invece, si pu lavorare solo deduttivamente, logicamente e non dia-logicamente, richiedendosi separazioni, inclusioni ed esclusioni, approvazioni e condanne. La verit richiede di rinunciare al rapporto di se stessi con gli altri e separa (p. 135). Il terreno dincontro tra vero, buono e giusto, invece, pu essere rintracciato in modo fecondo nellesperienza sociale e politica, cui certamente anche i cattolici sono chiamati, pur essendo consapevoli della sua autonomia rispetto allesperienza religiosa.
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saggezza democratica che si nutra dei valori antichi e perenni della democrazia, quali il rispetto e il riconoscimento reciproco, il gusto per la comunicazione delle proprie ragioni e per lascolto delle ragioni altrui, limpegno a non usare la forza per modificare le opinioni degli altri, n le regole comuni della vita collettiva. Senza questa saggezza la relazione tra la ricerca della verit e la ricerca di un governo democratico non potrebbe dispiegare quelle energie creative di cui il nostro tempo oggi ha bisogno (p. 179). La terza ed ultima parte comprende i contributi di Francesco Viola, Pietro Barcellona e Vittorio Possenti. La tesi sostenuta da Viola, nel suo scritto, che il modo pi adeguato per collegare il costituzionalismo attuale con la democrazia, (...), sia quello di una revisione teorica delle procedure deliberative proprie del regime democratico (p. 183), che non riguardano soltanto i mezzi, ma anche i fini politici fondamentali. Sul problema del nichilismo giuridico si soffermano, infine, Barcellona e Possenti. In unepoca, come quella attuale, in cui il mondo si consegnato al destino della tecnica (p. 217), Barcellona osserva che la stessa democrazia diventata una tecnologia finalizzata allacquisizione del consenso sociale in merito alle scelte economiche. Il nichilismo della modernit non quindi n la conseguenza della ragione inaugurata dei Greci, come sosteneva Heidegger, n il tradimento del logos, come pensava Husserl: Il nichilismo della modernit la negazione di ogni valore, il trionfo della terribile vocazione mortifera delloccidente e del capitalismo (p. 218). Le biotecnologie hanno modificato alla radice il concetto di vita, prospettando la possibilit di creare ex novo un progetto vivente (p. 219). Ci comporta profonde ricadute sul piano giuridico: lintreccio tra neuroscienze e nichilismo, tra riduzioni evolutive della realt e negazione di ogni fondamento, ci consegnano alla dissoluzione del soggetto giuridico e delle categorie di responsabilit, di libert, di colpa, di cui si istituito il diritto come costruzione storico-sociale (ibidem). Lo studio di Possenti, che chiude lAnnuario, offre unelaborazione dei nuclei teorici che caratterizzano il quadro

Laicit tra democrazia e religione il tema anche del contributo di Mura. La Chiesa, proclamando lo stretto legame della carit con la verit, intende sostenere un laicato cristiano che sia segno profetico nel mondo, capace di coniugare i valori evangelici nel tempo della storia, non per negarla ma per vivificarla (pp. 163-164), al fine di costruire, come esorta Benedetto XVI, un ordine mondiale realmente fondato sul diritto di ogni uomo (p. 164). Per Mura, la laicit non creazione di spazi svuotati dal religioso, pena il trasformarsi in un laicismo intollerante, bens offerta di spazi in cui tutti, credenti e non credenti, possano dibattere, (...), per educare al dialogo e non allo scontro o alla propaganda (p. 164). Al dibattito su democrazia e verit dedicato il saggio di Nicoletti, secondo cui la dialettica tra democrazia e verit ha bisogno di una dialettica costruttiva tra istituzioni libere e autonome. Questa dialettica, inoltre, deve ispirarsi ad unetica della

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Vittorio Possenti (a cura di), Il futuro della democrazia

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enigmatico del nichilismo giuridico. Per Possenti le posizioni di Rosmini e Nietzsche, specularmente opposte, identificano nell800 il momento di sviluppo del nichilismo europeo. Secondo lo studioso, i principali nuclei in cui si sostanzia il nichilismo giuridico sono: A) negazione di ogni forma di diritto naturale, e dunque della persona e della sua natura universale quale diritto sussistente; B) riconduzione del diritto a mero prodotto del volere; C) negazione dellapporto della ragione al diritto (p. 243). Se il nichilismo giuridico, conclude Possenti, un affaire della tarda modernit e della postmodernit (p. 249), dobbiamo uscirne non richiamandoci al teorema della secolarizzazione e al disfattismo della ragione postmetafisica (ibidem), che riducono la natura umana ad un mero costrutto culturale e sociale destinato ad inedite trasformazioni, come quella dal postumano al transumano. Rivendicando lidea di una natura umana stabile, quale base migliore per i diritti umani, in specie per quelli fondamentali e non negoziabili (ibidem), Possenti individua nellattenzione sulluomo e nel senso profondo del diritto e della giustizia - istanze che la dimensione religiosa contribuisce a difendere ed a promuovere - lunico vero argine alle pretese del nichilismo giuridico. EDITORIALE INTERVISTE VERIT IN POLITICA Intervista a Robert Spaemann a cura di Luca Grion e di Umberto Lodovici SUL POTENZIAMENTO E LA GENETICA IN UNA SOCIET DEMOCRATICA Interviste a Michael Sandel e Allen Buchanan a cura di Roberto Mordacci DEMOCRAZIA: UN ORDINAMENTO FRAGILE, MA SENZA ALTERNATIVE Intervista ad gnes Heller a cura di Daria Dibitonto e Nicol Seggiaro DEMOCRAZIA, QUESTIONE ANTROPOLOGICA E BIOPOLITICA Vittorio Possenti IL RUOLO DELLA

DEMOCRAZIA E VALORI Eugenio Mazzarella VULNERABILIT E RILEVANZA DELLA SFERA PUBBLICA NELLE DEMOCRAZIE MODERNE GIUSTIZIA E GOVERNO DEMOCRATICO IN AMARTYA SEN Roberto Mordacci e Alex Grossini II. CULTURA LAICA, CULTURA RELIGIOSA E LEALT DEMOCRATICA BUONO E VERO. VERO E RAZIONALE Gustavo Zagrebelsky LAICIT, DEMOCRAZIA E RELIGIONE Gaspare Mura DEMOCRAZIA E VERIT Michele Nicoletti III. COSTITUZIONE, DEMOCRAZIA, DIRITTO NATURALE IL PROBLEMA DEL NICHILISMO GIURIDICO Pietro Barcellona PERSONALISMO E NICHILISMO GIURIDICO Vittorio Possenti

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Marco Storni

Democrito, Massime
Milano, La Vita Felice, 2011, pp. 275, euro 14, ISBN 978-88-7799-347-2. A cura di Guglielmo Ruiu, testo greco a fronte Recensione di Giacomo Borbone Democrito di Abdera (vissuto tra il 460 ed il 400-380 a.C.) noto soprattutto per la sua teoria degli atomi, la cui influenza sul pensiero filosofico e scientifico stata non indifferente (lo stesso epistemologo Ludovico Geymonat ne apprezz il valore non coglieva il vero messaggio democriteo, poich latomo, sebbene scevro da ogni finalit in senso teleologico, telos in s stesso: dati due atomi, con caratteristiche matematiche e geometriche determinate (posizione, grandezza, ordine, forma, peso), dal loro urto non potr che verificarsi uno stato daggregazione che gi predeterminato; quindi la concezione democritea in realt rigidamente deterministica (cosa intuita gi dal giovane Karl Marx il quale, nella sua tesi di laurea, incentrata sulla differenza tra le filosofie della natura di Democrito e quella di Epicuro, opt per latomismo epicureo proprio perch non soggetto al determinismo della fisica democritea). Gli scritti di Democrito spaziano dalla fisica al linguaggio, dalla politica alla morale e ci per un motivo molto semplice: coerentemente col suo materialismo atomistico, che riduceva tutta la realt (materiale e spirituale) agli atomi, Democrito cerca di trovare un principio unitario anche nelle, diremmo oggi noi moderni, scienze umane. Democrito, com noto, scrisse numerose opere ma a noi sono pervenuti solamente pochi frammenti, ragion per cui la nostra conoscenza dellatomista abderita si limita solo a fonti come, ad esempio, Aristotele, Simplicio, Teofrasto e Sesto Empirico. Anche nel caso delle scienze umane Democrito applica la stessa visione complessiva da questi utilizzata in fisica, e cio un principio individualistico che vede gli uomini, esattamente come gli atomi, come un insieme di aggregati. Nellottica democritea gli uomini non sono, come avrebbe pensato Aristotele, esseri sociali o politici, bens esseri individualisti che si aggregano ad altri uomini non per spirito di comunit, bens per utilit. Pertanto, nelletica

scientifico).

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Latomismo democriteo (come anche quello di Leucippo) cercano di superare la negazione del divenire, sostenuta da Parmenide, postulando lesistenza degli atomi. Infatti, pensa lAbderita, il divenire negato da Parmenide non una semplice illusione quanto invece una realt che pu essere spiegata tramite lesistenza di enti immutabili ed indivisibili, cio gli atomi; questi si muovono allinterno del vuoto, il quale si configura come il non-essere aborrito da Parmenide. In tal modo, la realt risulta essere costituita interamente da unit immutabili ed indivisibili che si muovono allinterno del vuoto; la conformazione delluniverso dipende quindi dallaggregazione degli atomi; ecco perch Dante, nella Divina Commedia, defin Democrito come colui che l mondo a caso pone. Tuttavia, il giudizio dantesco, influenzato dallautorit di Aristotele,

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Democrito, Massime

luned 16 gennaio 2012

dellAbderita, tutto ruota attorno allindividuo, il quale cerca di perseguire il proprio stato di benessere rappresentato dalla felicit (per quanto instabile e precaria). Infatti lanimo umano, secondo Democrito, non provvisto di unit come latomo, quindi lunica soluzione consiste nel ricercare il giusto mezzo, cio trovare un giusto equilibrio tra ragione e passione al fine di raggiungere la tranquillit. Questi temi etici sono rinvenibili nelle celebri Massime democritee, recentemente riproposte allattenzione del pubblico italiano in una nuova edizione a cura di Guglielmo Ruiu. Corredata da unampia introduzione storico-filologica, questa nuova edizione si distingue per la presenza di un completo apparato critico. Infatti, ogni massima scrupolosamente commentata con rigorosi criteri storici, filosofici e filologici, i quali aiutano il lettore a meglio intendere il significato di ogni massima democritea la quale, presa per s, correrebbe il rischio di sembrare banale o insignificante. Il contenuto delle massime soprattutto di carattere etico, ma laspetto pi rilevante delletica democritea consiste nella superiorit da questi attribuita al pensiero; infatti, afferma Democrito, La perfezione dellanima corregge la debolezza del corpo, mentre la forza del corpo, senza il raziocinio, non rende affatto migliore lanima (p. 50). Anche in una massima successiva viene espresso lo stesso concetto, anche se con parole diverse: Chi sceglie i beni dellanima sceglie le cose pi divine; chi sceglie invece quelli del corpo, cose umane (p. 55). Tuttavia non bisogna pensare ad una componente dualistica nel pensiero democriteo, in quanto questi, nella sua teoria della conoscenza, comprende benissimo che non si pu prescindere dai sensi e quindi dalla conoscenza che ne deriva; ma, a sua volta, questa conoscenza si rivela oscura, cio limitatamente fenomenica in senso, potremmo dire, kantiano. La vera conoscenza, invece, attingibile solamente con la ragione, la

quale opera attivamente sui dati sensibili tramite processi teoretici di astrazione o di idealizzazione. Letica democritea quindi strettamente collegata alla sua teoria della conoscenza, proprio per via della superiorit che lAbderita riconosce alla ragione (o anima); in questa impostazione possibile cogliere il senso della seguente massima democritea: N con il corpo n con le ricchezze sono felici gli uomini, ma con la rettitudine e lavvedutezza (p. 65). In conclusione, questa nuova edizione delle Massime si rivela utile soprattutto per il suo valore storico-filosofico, favorito anche dal ricco apparato critico a cura di Guglielmo Ruiu, inoltre, la lettura del volume si rivela piacevole in quanto le brevi, ma dense, massime democritee contengono una dose rilevante di spunti speculativi espressi in un linguaggio estremamente accessibile. Indice Introduzione Abbreviazioni

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mercoled 18 gennaio 2012


Marco Storni

Battaglia Fiorella, Il sistema antropologico. La posizione delluomo nella filosofia critica di Kant
Pisa, Edizioni Plus Pisa University Press, 2010, pp. 185, euro 12, ISBN 9788884927477 Recensione di Lidia Gasperoni - 03/10/2011 Che cos luomo? Questa domanda accompagna lo sviluppo degli altri tre interrogativi fondamentali che Kant pone al centro della propria riflessione filosofica, vale a dire Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi dato sperare? La quarta domanda alla base della teoria antropologica kantiana ed oggetto dellanalisi del libro di Fiorella Battaglia la quale intende portare alla luce lintento sistematico della riflessione antropologica kantiana. Come fa notare la stessa autrice, a Kant che si deve riconoscere il merito di aver fondato unantropologia filosofica in cui far confluire in modo sistematico le diverse determinazioni delluomo, a partire da quella fisiologica fino ad arrivare a quella psicologica e sociale. Battaglia riconosce quella complessa trama di questioni che a volte hanno determinato una certa esclusione delle indagini antropologiche dalla riflessione pi strettamente critico-trascendentale. Lautrice rintraccia due strategie fondamentali che articolano in parte le argomentazioni del suo saggio, attraverso cui indagare lantropologia kantiana: la prima consiste nellanalizzare il significato dellantropologia in quanto tale, riscontrando quella centralit sia temporale sia spaziale che di fatto lantropologia ha avuto nella produzione kantiana; la seconda strategia concerne invece le relazione tra lantropologia e la riflessione trascendentale e in generale si occupa di tessere e in parte di ricucire la complessa trama della scissione tra ambito speculativo e ambito pratico che spesso ha segnato e segna la critica secondaria. questa seconda la strategia che Battaglia intende seguire per sviluppare la propria indagine in cui sa ben alternare tra una prospettiva pi sistematica e una pi filologica, tenendo conto dei diversi punti di vista espressi dalla critica secondaria (con particolare interesse per le riflessioni tra gli altri di Volker Gerhardt e Rudolf Makkreel) rispetto al significato dellantropologia kantiana nellambito della filosofia politica e dellepistemologia. Il volume articolato in tre parti. La prima parte dedicata a rilevare il carattere antropologico della filosofia kantiana; la seconda parte si occupa di indagare le relazioni tra la teoria della vita e la concezione delluomo e la terza parte incentrata sul significato della psicologia nella filosofia kantiana. Nel dettaglio, la prima parte del libro riprende la famosa immagine del ciclope, vale a dire dellerudito il quale pensa con il solo occhio della scienza per contrapporla a quella delluomo ricercatore. Se il ciclope, che in senso metaforico rappresenta per Kant legoista della scienza, ha un unico occhio ossia un unico parametro di osservazione e conoscenza degli oggetti, risultando quindi sbilanciato e privo dellattenzione per la dimensione antropologica delle proprie indagini, lideale del sapere del ricercatore kantiano, risvegliato da Rousseau, mira al contrario a onorare gli uomini nella loro complessit di aspetti e interessi. Senza trascurare le tante affermazioni kantiane rivolte invece a es-

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mercoled 18 gennaio 2012

Battaglia Fiorella, Il sistema antropologico. La posizione delluomo nella filosofia critica di Kant
cludere dallimpresa critica il sapere sulla natura umana, Battaglia offre diversi spunti per considerare lantropologia e la sua ricezione allinterno della riflessione critica kantiana, soprattutto rispetto alla dimensione sensibile-percettiva e a quella politica. La seconda parte del libro intende rilevare in modo sistematico una teoria della vita in Kant che partendo dalla costituzione biologica dellorganismo arriva a render conto delle sue competenze pi eminentemente umane nella dimensione comunicativa e in quella valoriale (16). Battaglia rintraccia nel concetto di forza viva (lebendige Kraft) lattenzione di Kant verso un concetto di forza che si manifesta anche nella quiete del corpo e non riducibile solo alla presenza del movimento, una forza infine non misurabile e che sfugge quindi alla misurazione matematica. Gi in questo concetto di forza Battaglia rintraccia linteresse kantiano per il problema metodologico della metafisica, ovvero del possesso di una scienza ben fondata e per un concetto di vita che si presenti come oggetto autonomo di interesse, portatore di un carattere cos speciale da mettere fuori gioco la matematica e da lanciare la sfida riguardo al modo pi appropriato di coglierla e articolarla concettualmente (63). A partire dal carattere indeterminato della forza viva Battaglia riconosce il primato della riflessione pratica kantiana in cui si realizzano concretamente quei limiti dellincondizionato, determinati in ambito speculativo in modo solamente problematico, privi di realt oggettiva, in altre parole i limiti tra conoscenza e pensiero, tra intelletto e ragione. Attraverso lanalisi della nozione di sentimento di vita (Lebensgefhl), e il confronto con Epicuro Battaglia intende mostrare come la dimensione concreta e antropologica sia parte integrante della riflessione kantiana. La terza parte del volume dedicata alla psicologia e alla tassonomia delle facolt umane. Dal confronto tra le posizioni kantiane e quelle di Baumgarten e Wolff sulla differenza tra la psicologia e allantropologia, Battaglia rileva quella distanza decisiva tra Kant e la tradizione leibniziano-wolffiana rispetto al ruolo della sensibilit. Kant segna, infatti, una cesura rispetto alla tradizione precedente che riduceva la distinzione tra sensibilit e intelletto a un problema di chiarezza logica. Kant difende invece il carattere peculiare della sensibilit, irriducibile a una questione di chiarezza. Inoltre, come sottolinea Battaglia, nella Critica della facolt di giudizio che trova luogo lulteriore specificazione nellambito della sensazione. in questopera, infatti, che Kant cerca di dirimere lintreccio di significati che fa capo al problema della sensibilit e allo stesso tempo di situare adeguatamente le riflessioni appartenenti allambito logico-gnoseologico e a quello estetico, cio alla prima e alla terza Critica (117). qui che Kant distingue pi chiaramente, allinterno dellambito della sensibilit, tra la sensazione riferita alloggetto in grado di determinare conoscenza e la sensazione riferita solamente al soggetto, definita come sentimento che deve necessariamente rimanere solamente soggettiva e non pu condurre alla rappresentazione di un oggetto. Dallirriducibilit della sensibilit alla chiarezza dellintelletto, Battaglia passa dunque ad affrontare la questione del cosiddetto dualismo kantiano e di una possibile radice comune delle due facolt, questione assai complessa e dibattuta, che nellanalisi di Battaglia connessa forse a scapito di unanalisi pi strettamente epistemologica che indaghi il processo stesso dello schematismo a un carattere specifico della concezione dellautocoscienza che emerge dal pensiero kantiano, vale a dire quello dellimpossibilit di unassoluta trasparenza a se stesso. Alla base della coscienza non vi sarebbe quindi secondo Kant una forza fondamentale unica che, di fatto, si manifesta solo a tratti nella sua trasparenza. da questa opacit e finitezza di conoscenze rispetto allautocoscienza che Battaglia, citando Kant (A 848/B 876-A849/B877), inaugura unanalisi della psicologia che a livello epistemologico non pu aspirare a costituire una scienza: dunque nientaltro che uno straniero ospitato da tanto, e al quale si

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mercoled 18 gennaio 2012

Battaglia Fiorella, Il sistema antropologico. La posizione delluomo nella filosofia critica di Kant
concede un soggiorno per qualche tempo, fino a che egli potr accasarsi da s in una particolareggiata antropologia (analogo della dottrina empirica della natura) (123). In questa prospettiva si potrebbe dire che Battaglia, ponendo laccento sugli aspetti pi strettamente antropologici, naturalizzi la psicologia kantiana. Se questa scelta da un lato porta a una certa esclusione della caratterizzazione delle facolt e della loro interazione dallambito di indagine, dallaltro lato ha il merito di rilevare il ruolo che la dimensione corporea riveste nellelaborazione del pensiero. Seguendo il filo rosso delle relazioni tra dimensione corporea e ragione speculativa, per indagare pi in generale la dimensione dello psichico in Kant, Battaglia analizza la distinzione tra senso interno e senso esterno, confronta Kant con le posizioni di Schwedenborg e Smmering sulla questione della sede dellanima fino a giungere a evidenziare come per Kant sia impossibile applicare una metodologia definitoria per descrivere la dimensione psicofisica delluomo. allora il paradigma chimico che meglio pu descrivere questa condizione come una dimensione dinamica in cui non tutti gli elementi possono essere definiti in maniera esatta. La dimensione umana quindi si caratterizza ancora una volta nella tensione tra soggettivo e oggettivo in cui la finitezza della conoscenza oggettiva induce luomo a impiegare principi soggettivi della ragione per orientarsi nel pensiero e nellinterazione con altri individui. In questa dimensione razionale, imprescindibile da quella morale il cui dischiudersi produce lo sdoppiamento delluomo rispetto a se stesso (163), Battaglia riconosce il punto di partenza dellantropologia kantiana: Solo se si intende lantropologia come antropologica razionale, cio come unautointerpretazione che si articola nella dimensione razionale umana allora si pu chiamare antropologica la filosofia di Kant (166). infine luomo un progetto a pi mani? Battaglia nel suo libro mostra sicuramente alcuni dei gesti che formano secondo Kant lessenza delluomo e del suo fare. Di questa dimensione sistematica ancora molto rimane da indagare e il libro di Battaglia mostra ancora una volta lesigenza di tessere i tanti fili delle riflessioni kantiane e cercare di intenderne gli intrecci e le lacune. Conclusione. Luomo un progetto a pi mani

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luned 23 gennaio 2012


Marco Storni

Perullo, Nicola, La Scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida


Pisa, Edizioni ETS, 2011, pp. 209, euro 18, ISBN 9788844672961-3 Recensione di Aurosa Alison 22-07-2011 Mettere in scena la realt, contestualizzare la prospettiva realista nellesperienza: ci che Perullo concretizza, tessendo una tela di significato attraverso la percezione, il linguaggio e il pensiero. La Scena del Senso, composto da sei saggi, ripercorre il senso e il mondo comune attraversando quattro ambiti tematici e con laiuto di personaggi deccezione quali, Ludwig Wittgenstein, Jacques Derrida, Giambattista Vico e Wilfrid Sellars. Partendo dal senso primordiale del significato come fisionomia, continuando con lesperienza e seguendo regole auto-produttive, in questo testo lordinario rivalutato e rinasce estetico. Il primo saggio, intitolato La Scena del Senso. Wittgenstein, Derrida e la pratica della Filosofia, mette in luce il rapporto fra Wittgenstein e Derrida allinterno di unanarchia di senso, lasciando al margine il blocco dellermeneutica novecentesca. Fanno parte infatti della vita quotidiana i cosiddetti convenzionalismi del linguaggio ordinario, strumento con il quale i due filosofi destreggiano nel rapporto con la realt e la pratica filosofica. Fra lardire derridiano e il conservatorismo wittgensteiniano il linguaggio ordinario rimane fermo sulla soglia dellincontro. Tra sensibilizzazioni estetiche e prassi antropologiche, il linguaggio ordinario consiste nellinsieme di tutte le attivit simboliche e extrasimboliche dellesperienza (p. 40). Perullo sorvola il solipsismo di Wittgenstein, soffermandosi sul carattere essenziale del tutto ci che accade nel linguaggio, come esperienza tout-court e come motivo di relazione allinterno del tessuto inteso come costruzione linguistica, ossia la trama. I due filosofi in questo cammino parallelo, producono ognuno una teoria del significato trattando il senso che d vita ad una spazializzazione di un qui ed ora. Il senso che in tutti e due i casi un ente occultato allinterno di una fitta rete da decostruire in maniera terapeutica. Il significato in questo modo, va di scena sul senso, inteso come unico gesto possibile. Nel secondo saggio, Felicit, menzogne e giustizia: Derrida e la Speech Acts Theory, Perullo sottintende una simulazione della real life che fa parte della real life, dando merito al fatto che la realt si nutre di realt. Partendo dalla decostruzione della teoria degli atti linguistici, Perullo rimembra cronologicamente il lungo dibattito fra Derrida e John Langshaw Austin circa le condizioni di verit allinterno degli enunciati performativi. Gli scherzi e le menzogne non possono essere esclusi dal linguaggio quotidiano, dalla menzogna codificata di Searle alla percezione della realt del linguaggio, la decostruzione secondo Derrida non altro che una partecipazione senza appartenenza. La decostruzione ci che ognuno prende e guadagna, proprio come la vita stessa. Perullo cos introduce il concetto di idealiterabilit sostenendo che essa sia la vera e propria scena del senso, qualcosa avviene, mai del tutto nuovo, mai del tutto vecchio, mai senza codice, mai soltanto nei codici (p. 75) ed proprio lidealiterabilit a essere decostruita allinterno del concetto di esclusivo. In Limited Inc.

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luned 23 gennaio 2012

Perullo, Nicola, La Scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida

Derrida, rispondendo a Searle rispetto al reiterare le differenze, dimostra che tutta la realt assoluta fa parte del linguaggio. Come terzo saggio, Vedere il Tempo. Riflessione su Wittgenstein, riprende il tema della filosofia come pratica finalizzata alla descrizione. Le osservazioni di Wittgenstein possono essere considerate tutte dei giochi linguistici, allinterno della sfera del voler dire. In effetti viene dimostrato come le scene di senso si presentino come icone di temporalit allinterno dei contesti della memoria e dellimmaginazione: Io nellesperienza in corso vedo il tempo. Il tema della visione non viene scelto a caso, dal momento in cui attraverso scene di senso si destituisce unidea della comprensione. Il tema del vedere afferma un saper vedere e dunque la capacit di cogliere le sfumature e riconoscere lessenza dei concetti. Wittgenstein, riprendendo le Confessioni di SantAgostino scrive: Egli non potr spiegare il tempo, perch solo nel suo dispiegarsi possibile non solo sapere ci che esso ma anche se esso sia qualcosa. Dunque nel tempo c la relazione, una rete di connessioni istituite. Quel che vediamo e pensiamo, infatti, sempre e solo una concezione spazio-temporale iconica ed esemplare. Nella trama del vedere, troviamo i nessi dei ricordi e una topica stratificata. Wittgenstein, secondo Perullo, ci indica la possibilit di filosofare in modo diverso, egli non regala lasciti o testamenti, lascia tracce. I suoi discepoli sono soggetti filosofanti, forse davvero soli ma, soprattutto costretti a pensare ognuno per s. Linguaggio, verit e visioni, aprono la scena al quarto saggio Topica, Critica, Grammatologia. Vico attraverso Derrida allinterno del quale Perullo prova a mettere in relazione: il fautore dellorigine figurata del linguaggio, Derrida e il prodromo del romanticismo tedesco, Giambattista Vico. Perullo incide inizialmente sulla tematica dellorigine della mente in Vico, si chiede infatti se lorigine sia rozza o sapiente. Partendo dalla Scienza Nuova si avvia in un excursus sui margini della filosofia, tracciati

inizialmente sulle facolt della fantasia, intesa come attivit produttiva dellimmaginazione sfociando in una vera e propria scienza della conoscenza sensibile. Perullo effettua una disamina sulla questione dellorigine emotiva intesa come una pre-categoria. Partecipano a questo excursus Cassirer, Gadamer e Apel come antesignani della Teorizzazione del pensiero prima della riflessione. La concezione della metafora in questo caso viene esplicitata sul suo essere ambiguo e sulla lunga trattativa ermeneutica praticata. Perullo, attraverso Vico, mette in questione la possibilit di diritto e di fatto di una modalit di esperienza completamente pre-razionale e non concettuale. In questo caso la sapienza poetica sarebbe una sapienza volgare. Perullo in questo saggio, prova a concepire Vico come un antecedente di Derrida dal punto di vista della scrittura. Sostiene infatti Vico in la scienza umana:La mente umana quando non conosce proietta se stessa nelle cose e le ingigantisce. In questo caso la sapienza poetica topica e pre-filosofica. Perullo, infatti, conclude con il dire che essa un punto zero privo di estensione (p. 152). Attraverso le pagine, il rapporto fra realismo e percezione diviene man mano legato alla sensazione. Ed nel quinto saggio Realismo senza Empirismo. Percezione e Sensazione nella Filosofia di Wilfrid Sellars in cui Perullo investe il discorso sul rapporto fra esperienza ordinaria e conoscenza scientifica. Il concetto di senso comune continua a prendere posto anche nel lungo dibattito fra epistemologia e ontologia. La posizione di Sellars, in questo caso, rappresenta una tentata risoluzione di questo dilemma, propriamente fra immagine manifesta e immagine scientifica delluomo nel mondo. Dedicandosi al rapporto fra percezione e sensazione, Sellars nel primo capitolo di Scienza Metafisica, Sensibility and Understanding, induce a intendere il paradigma della percezione nellesperienza visiva. Perullo cos, riprende lesempio del cubo di ghiaccio rosa, dove presente limplicazione che

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Perullo, Nicola, La Scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida

allinterno della quale oltre alla prima percezione presente un complesso di relazioni e fatti corrispondenti a significati, denominati dallo stesso Sellars come visual thinking. Vedere capire. La filosofia ha lavorato a lungo sullimmagine manifesta e Perullo si chiede se il filosofo non debba continuare a occuparsi degli oggetti del senso comune. Evidentemente limmagine manifesta quella che viene prima dellimmagine scientifica e probabilmente il filosofo dovrebbe piegare la sua attenzione sulle cose piuttosto che sulle cause. A concludere questo iter cronologico e concettuale sulla concatenazione degli elementi di senso e di percezione, Perullo ci invita a sedere a tavola assieme a un commensale morigerato, strano a dirsi, come Derrida. Nellultimo e sesto saggio, intitolato Mangerida. Per una Gastronomia a venire, lautore si cimenta in un essay di pietanze e concetti de-strutturati. Scardinandosi dalle supreme concezioni di simposi e alti sistemi, Perullo concretizza il senso del gusto in maniera cruda, sciolta dallimpegno dellessere, colta, cotta e assimilata. Il cibo, oggetto del corpo stato relegato negli anni ai sensi inferiori, quali il gusto e lolfatto. Stesso dagli atteggiamenti quasi ascetici dei filosofi nei confronti delle vivande, la questione da rivalutare non solo nel senso ma anche nellapproccio. Non a caso Perullo inizialmente si riferisce a uno degli scritti postumi di Derrida, Lanimale dunque sono, in cui il filosofo rivendica la realt dellanimale rispetto alla supremazia assoluta delluomo. Lanimale ha gusto? Si chiede Perullo, offrendo al lettore unattiva decostruzione del mangiare. Derrida colui che vuole, mediante la destrutturazione, restituire il gusto fisico alla sua crudezza, ci che lanimale fa senza sovrastrutture o con il bisogno di pensare. Ritornano tutte in fila le tematiche iniziali della percezione, della sensibilit, del senso e della costruzione. Il gusto antropo-centrico volto allassimilazione della carne, totalmente sostituito da un senso teoretico dellattimo e della ritualizzazione come nella preparazione del caff. Interessanti le

scene, riportate dal Perullo, di un Derrida seduto in cucina mentre gusta, appunto, melanzane con sale e olio. Un parco pasto allapparire, un senso teoretico di fondo. LEmpirico non altro che lessenziale (p. 205), unapertura dunque su una nuova gastronomia, basata sullelemento primo e non pi sullintingolo sconosciuto. La decostruzione non vuole avere ragione, la decostruzione deve anche cucinare (p. 206). Si conclude con questasserzione, un appuntamento assolutamente significativo che mette in luce la questione di una decostruzione del gusto come potrebbe essere proprio quella del senso. Niente pi reale di ci che gi . 1. Il significato come fisionomia 2. La non coincidenza tra esperienza, pensiero e filosofia 3. Regole as we go along 4. La rivalutazione dellordinario La scena del senso. Wittgenstein, Derrida e la pratica della filosofia. -Linguaggio, metalinguaggio e comunicazione Felicit, menzogne e giustizia: Derrida e la Speech Acts Theory. -Dalla verit alla felicit (Siate sinceri) -Parassitismo e giustizia -Firma, propriet e indecibilit Vedere il Tempo. Riflessione su Wittgenstein. -Lesempio come memoria e immaginazione -Linguaggio in vacanza filosofia e pensiero

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luned 23 gennaio 2012

Perullo, Nicola, La Scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida

-Una conversione del vedere -Una parzialit mancante di nulla -Identit senza identificazione Topica, critica, grammatologia. Vico attraverso Derrida. -Vico tra Grassi e Derrida -Universale, fantastico e metafora: il rapporto tra genesi e struttura e il problema dellanalogia -Fantasia, scrittura, articolazione: il sistema monogenetico di Vico -Natura, cultura e matematica. Cogito e verum/factum Realismo senza empirismo: percezione e sensazione nella filosofia di Wilfrid Sellars.
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-Percezione: conoscenza, pensiero ed esperienza visiva -La sensazione come corrispondenza analogica e limmagine scientifica del mondo Mangerida. Per una gastronomia a venire. -Prima entrata(Derrida, lanimale) -Seconda entrata(Derrida, il degustatore) -Primo piatto(Derrida, il flexiteriano) -Secondo piatto(Derrida, lospite) -Dessert(Derrida, il neogastronomo) -Caff e piccola pasticceria(Derrida, in cucina)

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gioved 26 gennaio 2012


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Corbi, Enricomaria, Prospettive pedagogiche tra costruttivismo e realismo


Napoli, Liguori Editore, 2010, pp. 121, Euro 13,90, ISBN 9-788820-749330 Recensione di Salvatore Lucchese 15/10/2011 Nellambito del dibattito pedagogico contemporaneo gli assunti epistemologici di matrice costruttivista godono di un consenso, per lo pi acritico, ampiamente diffuso. Consenso favorito dalla temperie culturale del postmoderno e del disincanto, con il suo portato di decostruzione e di critica radicale dei concetti di teoria, verit e sistema. Concetti messi in discussione in quanto portatori di Weltanschauungs assolutistiche, ritenute alla base delle culture del dominio e dellautoritarismo. allattivit interpretativa del soggetto con lipotesi di una realt esterna che, per quanto impredicabile nella sua assoluta oggettivit, costituisce, tuttavia, il limite delle nostre interpretazioni e delle nostre stipulazioni linguistiche (p. 2). A partire dalle riflessioni di carattere epistemologico, Corbi giustifica le posizioni teoriche della pedagogia critica di valenza socio-politica, capace di elaborare modelli educativi tesi alla formazione di soggettivit critiche e solidali. La tesi di fondo del testo sviluppata attraverso unaccorta disamina critica delle posizioni dei maggiori esponenti del costruttivismo da un lato e del realismo dallaltro, di cui si colgono le differenze reciproche ma anche le articolazioni interne, senza indulgere a facili semplificazioni concettuali. Vengono cos analizzate le teorie di costruttivisti radicali come Ernst von Glasersfeld ed Heinz von Foerster e di neopragmatisti come Richard Rorty, evidenziandone sia le contraddizioni e le aporie in cui cadono nel tentativo di difendere le proprie posizioni, sia le loro letture distorte e di comodo della storia del pensiero filosofico e pedagogico. Nel caso di von Glasersfeld, Corbi evidenzia come il filosofo tedesco dopo avere sostenuto che i processi di apprendimento sono una faccenda soggettiva e che pertanto la teoria della verit come corrispondenza non ha un fondamento logico, afferma che deve essere sostituita dallo strumentalismo gnoseologico, ossia dalladattamento delle rappresentazioni mentali del soggetto allambiente. Non si comprende, per, rileva Corbi come avendo i costruttivisti radicali negata lesistenza di una realt esterna al soggetto, possano coerentemente continuare a trattare argomenti come quello dellin-

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Partendo da queste premesse, Enricomaria Corbi prosegue il suo percorso di ricerca sulle implicazioni pedagogiche ed educative inerenti le teorie della conoscenza percorso iniziato con La verit negata e proseguito con Lengagement pedagogico , sostenendo che tra le posizioni del costruttivismo radicale e quelle del realismo ingenuo possibile ravvisare uno spazio intermedio di riflessione ed argomentazione critiche, un punto di incontro costituito da quelle versioni del costruttivismo che ammettono un limite esterno alle rappresentazioni del mondo elaborate dai soggetti, e le posizioni del realismo contrattuale e del fallibilismo, che affermano la compatibilit tra una teoria della conoscenza ricondotta

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gioved 26 gennaio 2012

Corbi, Enricomaria, Prospettive pedagogiche tra costruttivismo e realismo

terazione tra il sistema biologico e il suo ambiente, della cosiddetta selezione negativa, intesa come risposta dellorganismo ai vincoli posti dallambiente e via dicendo (p. 28). Anche nel caso di Heinz von Foerster, prosegue Corbi, dopo avere sostenuto le posizioni del soggettivismo radicale pretende di sfuggire alla deriva solipsistica attraverso largomento delluomo con la bombetta, aggiungendo con unoperazione tutta mentale, lesistenza di un altro organismo autonomo accanto a quello del soggetto (p. 30). Sul versante del neopragmatisomo, prosegue Corbi, Richard Rorty, attraverso una lettura di comodo dellopera di John Dewey, argomenta il passaggio dalla teoria della verit come corrispondenza alla teoria della asseribilit come accordo intersoggettivo. In realt, tale teoria si basa sullindistinguibilit, in quanto non si pi capaci di porre una distinzione fra la verit di una credenza e il nostro accordo su tale verit. Richiamandosi alle posizioni di Bernard Williams, Corbi osserva che laccordo su una determinata proposizione presuppone sempre il concetto di verit e non lo sostituisce. DAltronde, lo stesso Dewey, prosegue Corbi, fonda la sua teoria sul concetto di esperienza, anche se problematica, quale limite esterno alle costruzioni conoscitive elaborate del soggetto. Infine, richiamandosi alle osservazioni di Michael Lynch, Corbi evidenzia che rinunciare allidea di verit oggettiva per puntare solo su quelle di asseribilit giustificata dal consenso della maggioranza pericoloso per la democrazia, poich disarma la critica del potere e trasforma il confronto tra sostenitori di opinioni diverse in un conflitto asimmetrico tra una maggioranza, che in quanto tale sarebbe detentrice dellunica opinione giustificata, e una minoranza cui non potrebbero essere riconosciute opinioni giustificate (p. 88). Al costruttivismo radicale e al neopragmatismo con il loro portato solipsistico e relativistico si accompagna una prospettiva pedagogica in cui la formazione

non solo si riduce a un gioco virtuale di produzione di universi possibili, ad una civile conversazione tra soggetti, individuali o collettivi, chiusi nelle loro convinzioni, ma diviene anche funzionale alla costruzione di soggetti disponibili ad adattarsi al cambiamento in modo acritico ed utilitaristico. Come sottolinea Corbi, Ci che, infatti, viene richiesto allindividuo non lintelligenza critica nellanalisi delle situazioni reali, lattenzione alle tensioni e ai conflitti, la capacit di assumersi la responsabilit delle scelte, ma la prontezza nellinterpretare e assecondare le tendenze di sviluppo vincenti, nel farle proprie modellando su di esse la propria immagine del mondo [], quanto la volont di costruirsi dei percorsi mentali, prima ancora che professionali, che sappiano sfruttare, con una buona dose di cinismo, le risorse del cambiamento (p. 14). Dopo essersi soffermato sulle teorie del costruttivismo radicale e del neopragamatismo, Corbi prosegue la sua riflessione teorica attraverso il confronto con le posizioni di Paul Watzlawick e Jerome Bruner, che hanno introdotto lidea di limite nellambito del costruttivismo. Il primo a partire da una prospettiva psicoterapeutica ed il secondo prendendo le mosse dalle ricerche sullapprendimento giungono s a considerare lindividuo come il soggetto attivo nei processi di costruzione della conoscenza, ma pongono anche un limite esterno alla sua attivit, indicato da Watzlawick nelle situazioni patogene, ossia nellorigine sociale delle varie forme di psicopatologia. Dopo una fase in cui ha considerato valido il modello intersoggettivo anche Bruner, sottolinea Corbi, pone un limite allattivit conoscitiva del soggetto nel senso comune, nella logica e nella biologia. Limite che impedisce la deriva relativistica e solipsistica propria delle posizioni del costruttivismo radicale.

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gioved 26 gennaio 2012

Corbi, Enricomaria, Prospettive pedagogiche tra costruttivismo e realismo

Ed a partire dal riconoscimento di questo limite che Corbi trova un punto di contatto con le posizioni del fallibilismo. Richiamandosi allopera di John Dewey, Karl Popper, Hilary Putnam, Amartya Sen e Jrgen Habermas, Corbi argomenta circa il carattere situato e prospettico di ogni forma di conoscenza che la rende sempre parziale e rivedibile, ma non per questo la riduce al rango di opinione equivalente ad altre opinioni, negando lesistenza di una realt oggettiva. la corrispondenza delle teorie ad una realt oggettiva che spiega il fallimento di alcune teorie e ladozione temporanea di altre. Inoltre, prosegue Corbi, il fallibilismo facendo leva sulla razionalit procedurale se da un lato critica le pretese assolutistiche della razionalit sostanziale, dallaltro contrasta la deriva relativistica del postmoderno, conciliando gli enunciati forti della tradizione filosofica con deboli pretese di status circa il loro carattere assoluto e definitivo. Se il costruttivismo radicale sul piano pedagogico implica una deriva solipsistica ed autoreferenziale del soggetto, che si concretizza in percorsi formativi incentrati sui vantaggi che i singoli possono ricavare dallaggiornamento delle loro conoscenze, il fallibilismo, dal punto di vista pedagogico, giustifica la finalit etico-politica dei processi educativi tesi alla formazione di un soggetto critico, dialogico e tollerante. La condizione perch la concezione della verit non si accompagni allintolleranza sta nel riconoscimento del carattere non assoluto e definitivo delle nostre conoscenze della realt, nel riconoscimento cio del loro inevitabile grado di approssimazione e di provvisoriet. La convinzione di poter sbagliare, lammissione che le proprie tesi, per quanto appaiano al momento vere o almeno dotate di un sufficiente grado di asseribilit garantita possono tuttavia essere, in parte o in tutto, errate indice a mettere da parte larroganza del sapere e ad assumere un atteggiamento di apertura alla validit di una tesi, sotto il profilo sia della sua coerenza interna sia

della sua referenzialit oggettiva. Il principio del fallibilismo centrale nellindagine scientifica e nella ricerca in generale ed ha insieme un valore euristico ed etico. Lesercizio del fallibilismo ha una sua indubbia portata etica. Esso, infatti, indispensabile nel rapporto con gli altri ed il principale sostegno della disposizione al dialogo e alla tolleranza (pp. 94-95). Dialogo, tolleranza e propensione critica sono alla base della formazione di soggettivit aperte e solidali. Ne segue il rapporto tra fallibilismo, educazione e democrazia, caratterizzato dalla giustificazione epistemologica e dalla costruzione pedagogica di uno spazio pubblico di confronto critico, opposto alla civile conversazione in cui ognuno rimane chiuso nel recinto delle sue convinzioni. Cos come ladozione della teoria fallibilistica permette di passare dal gioco virtuale della produzione di universi possibili tipica di una formazione che mette tra parentesi il reale allapertura sul possibile, ossia alla progettualit educativa che a partire da determinati contesti storici, si muove tra memoria e speranza. Tra riflessione critica, di natura etico-politica, epistemologica e storica, e progettualit tesa alla trasformazione dellesistente, onde promuovere una relativa autonomia dei soggetti. Fatta propria la teoria fallibilistica, conclude Corbi, la pedagogia si riallaccia alla sua consustanziale dimensione etico-politica per indicare i fini e le mete dei processi educativi, nella consapevolezza della problematicit dei percorsi da seguire per superare i guadi storici, propri delle fasi di transizione, con il loro portato di possibilit di liberazione e di emancipazione ma anche di conformazione e di condizionamento sempre pi capillari dei soggetti da parte dellesistente. I. La pedagogia tra costruttivismo e realismo

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gioved 26 gennaio 2012

Corbi, Enricomaria, Prospettive pedagogiche tra costruttivismo e realismo

La pedagogia costruttivista 11; Costruttivismo vs realismo 16; Il costruttivismo e il pensiero postmoderno 24. II. Il costruttivismo radicale Ernst von Glasersfeld e Heinz von Foerster 27; Letnocentrismo neopragmatista di Richard Rorty 35; Il concetto di esperienza da Dewey a Rorty 38. III. Per una pedagogia della comunicazione. Watzlawick e Bruner Le immagini del mondo di Paul Watzlawick 41; Jerome Bruner: il sottile gioco di biologia e cultura 52. IV. Il possibile pedagogico e lesperienza del limite La crisi della pedagogia 67; Il dialogo pedagogico e la democrazia come valore etico-epistemico 75; Relativismo e contestualit 82; Che cosa pu unire letica alla verit 85; Valori e senso comune 91. La pedagogia costruttivista e lutopia dei mondi possibili 97; Pensiero etico-politico, pedagogia e cultura delleducazione 102; La pedagogia nellet del postmoderno 106.

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