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Direttore Luca Beltrami Gadola

Numero 15 anno II
20 aprile 2010

edizione stampabile

Editoriale LBG - DOMENICA NON FACCIAMOCI DEL MALE Ambiente e Scienza - Fiorello Cortiana - LAMBRO: NASCONDERE LA VERIT Societ - Oreste Pivetta LIBRI MILANESI: LA TRINCEA DELLA DENUNCIA Architettura - Giorgio Origlia - LA DARSENA DI MILANO, UNE AUSSI LONGUE ABSENCE Dallarcipelago - Giuseppe Torrani - GOVERNO DELLA CITT METROPOLITANA Lettera - Guido Martinotti - PEDOFILIA E CHIESA. IL DELIRIO DI MESSORI E GALLI DELLA LOGGIA Citt - Marco Ponti - LA RICCHEZZA DELLA CITT QUANTO VALGONO LE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO DI MILANO. Primo Piano - Gianni Zenoni - LA COMMISSIONE PER IL PAESAGGIO Urbanistica - Pietro Cafiero - PGT E CITT METROPOLITANA Metropoli - Alessandra Tami - IL BELLO DI MILANO Speciale elezioni 1 - Walter Marossi - LASTICELLA OVVERO DECALOGO PER PREVENIRE LE ARGOMENTAZIONI DEI GIORNO DOPO Speciale elezioni 2 Carneade - ULTIME DAL FRONTE

Video IL CAPOLISTA DEL PD A MILANO FABIO PIZZUL Musica CLAUDE DEBUSSY (1862-1981) Suonata per flauto, alto e arpa Finale Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualit in ARTE & SPETTACOLI MUSICA a cura di Paolo Viola TEATRO a cura di Guendalina Murroni ARTE - a cura di Michele Santinoli

Editoriale 25 APRILE E IL CARRO DELL PADRONE L.B.G.


Da un po di tempo le anime belle di destra e purtroppo anche di sinistra, quelle che accusavano chi paventava la rinascita del fascismo di avere un atteggiamento politicamente poco corretto e di non volere la pacificazione del Paese, tacciono. Tardi. Che si fosse visto giusto lo dimostrano anche questa volta le organizzazioni dellestrema destra che vogliono dar vita a contro manifestazioni per il 25 Aprile: fiutano laria e hanno capito che il clima politico sta diventando per loro sempre pi favorevole. Dobbiamo credere a loro o alle anime belle? Dunque ci risiamo e assisteremo allennesimo penoso spettacolo di chi partecipa alle celebrazioni della Resistenza per mero opportunismo e di chi per la stessa ragione non vi parteciper, tutti pronti a dichiarare qualcosa nel disperato tentativo di inserirsi nel filone del politicamente corretto, uno dei pi diffusi sinonimi di ipocrisia. A partire dallunit dItalia si cercato con pi o meno acume di definire gli italiani e di capire se questa parola avesse lo stesso significato guardando indistintamente gli abitanti della penisola e delle isole che la geopolitica chiama Stato italiano. La ricerca dei tratti unificanti stata spasmodica e sempre si dovuta fermare ai tratti peggiori, quella quali di un popolo incline a saltare sul carro del vincitore. Oggi questo tratto poco lusinghiero stato superato da uno nuovo: un popolo incline a saltare sul carro del padrone. LItalia ha trovato qualcosa di pi di un vincitore, qualcosa che la affascina e che la fa correre come la mosca al miele: un uomo ricco, che si fatto da s, poco importa come, che riesce a vendere se stesso come il futuro del Paese e che ha trovato in Bossi e nella Lega quello che a lui mancava: la fierezza della propria ignorante grossolanit. Ma il cerchio non era ancora chiuso, gli mancava il genuino fascismo, quello alla Storace, la miscela di antisemitismo e di razzismo e intolleranza per i diversi della destra pi truce. Pensava che fosse naturalmente confluito nel PdL attraverso AN. Ma non stato cos. Fini, il leader di AN si smarcato, anzi continua a smarcarsi e probabilmente tra lui e la destra pi estrema il Cavaliere sceglier questultima perch l che lo porta il cuore e il timore di essere scavalcato a destra. Tra le riforme della Costituzione prepariamoci a vedere cancellata persino la memoria della XII disposizione transitoria, quella che vietava la ricostituzione del Partito Fascista, e prepariamoci alla conseguente abrogazione della legge 645 del 1952, che ne era lesplicitazione. Per quella legge la riorganizzazione del partito fascista vi era quando un'associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalit antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libert garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attivit alla esaltazione di esponenti, princpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista. Serve altro? Ma il Padrone queste sottigliezze non le ama, meno che mai ama la Costituzione. Vorrei, per parte mia, che la sinistra, di questi tempi, non pronunciasse pi la parola perdono e "riconciliazione" pensando alla Resistenza e al 25 Aprile. Vorrei almeno che la sinistra, senza divisioni, se proprio non ce la fa a scendere in piazza unita, quanto meno difendesse questo nostro diritto a ricordare chi vogliamo senza se e senza ma e senza perdersi in raffinate giravolte allinsegna del politicamente corretto. domandare troppo?

Primo Piano IL 25 APRILE NON UN RITO Oreste Pivetta


Appartengo a quella generazione neppure sfiorata dalla guerra, ma neppure troppo lontana dalla guerra, figlia di madri e padri che la guerra avevano visto, conosciuto, sofferto e che quindi sapevano dire per esperienza propria, diretta, non solo della guerra, ma anche del fascismo e dellantifascismo, della Resistenza e della Liberazione. Ne potevano parlare. Il mio primo incontro con quella storia fu grazie alla maestra delle elementari che per compito mi diede quello di trascrivere sul quaderno quanto si poteva leggere sulle lapidi che nel quartiere ricordavano i morti partigiani. Il quartiere era quello della Mac Mahon, via Mac Mahon, la via della Gilda testoriana. Le lapidi si vedevano e si vedono sui muri delle case popolari che si affacciano, sullaltro lato, attorno a piazza Prealpi, che a quei tempi si indicava ancora comeMarioasso, cos in una sola parola, che racchiudeva due nomi propri logorati dalluso, senza pi significato. Mi pare che Mario Asso fosse un fascista, eroe dellaviazione. A quella passeggiata con mia madre tra le memorie dellantifascismo ripenso di frequente: la mia educazione era cominciata presto. Non ci sono lapidi che ricordano caduti partigiani dove nato, in Sicilia, il mio amico Giuseppe, che di anni non ne ha neppure trenta, i cui nonni hanno fatto la guerra sul fronte francese e in Africa e i cui genitori hanno conosciuto attraverso loro quelle tragedie. Chiedo a Giuseppe se ha partecipato ad altre manifestazioni per il 25 Aprile e se parteciper alla prossima. Mi risponde che fino ai diciottanni, in Sicilia, celebrazioni non ne aveva viste, che cominci a parteciparvi a Roma, da universitario, e che domenica sar in piazza del Duomo. Della lotta di Liberazione ho appreso soprattutto dai libri, a scuola, perch gli insegnanti ce ne parlavano. A casa mi era pi facile sentir nominare don Sturzo, perch era di Caltagirone, siciliano come noi, e perch mio padre faceva politica ed era di area cristiano sociale. Da noi la Resistenza era geograficamente lontana, una cosa del Nord. Al contrario di tanti amici di Milano non avevo nonni che potevano testimoniare e raccontare Poi quella storia mi entrata dentro, grazie alle letture appunto e alle mie prime esperienze a Roma. Quella storia continua a rimanermi dentro e credo che onorare quei momenti sia un dovere. Ci si dice sempre del rischio che la celebrazione diventi un rito, una consuetudine stanca, che parla poco ai giovani? Credo che anche i riti servano per salvare la memoria Ma io sono

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orgoglioso di quella nostra stagione e quindi non temo affatto di partecipare a un rito. Il ricordo bisogna tenerlo vivo. Anche una passeggiata in mezzo a tante persone un modo per ricordare. Mi piace ritrovarmi in un ambiente che sento familiare, qualcosa che mi appartiene e al quale appartengo. E un po ritrovare la comunit e la solidariet della comunit. Mi colpiscono alcune tue parole, come passeggiata, ambiente famigliare, comunit, solidariet, perch non le sento retoriche. Ma perch dovrebbe esserci retorica nel ricordare latto di nascita di un paese, finalmente nella democrazia. La celebrazione una festa. Come la Liberazione fu una festa. Ma poi senza la politica, e direi senza la politica giusta, anche le certezze si consumano. E significativo che il governatore Formigoni non si senta in dovere di partecipare e

che una settimana prima i neofascisti organizzino a Milano le loro messe per Mussolini. Sedici anni fa, alla prima vittoria di Berlusconi, il 25 Aprile fu una grande giornata di battaglia politica. Con la Lega in corteo. Sotto una pioggia torrenziale. Quanta politica c nella tua festa? Ma io la politica di mezzo ce la metto sempre. Non riuscirei a vivere prescindendo dalla politica. Ma ovviamente contano nella mia formazione una famiglia dove di politica sentivo sempre discutere e alcune esperienze personali. Capisco che nella confusione doggi molti se ne allontanino. E successo anche prima per molti giovani come me o poco pi grandi di me, quando crollato il muro di Berlino, quando finito il Pci, quando scoppiata tangentopoli. Per molti il riferimento culturale diventato Drive In. Non per tutti, fortuna-

tamente. Giuseppe mi ricorda intanto che il settanta per cento degli italiani si informa solo dalla televisione. Giovanni Sartori, il politologo, giorni fa ricordava che il settanta per cento degli italiani non sa pi leggere o non capisce che cosa legge. La nostra scuola e le lapidi di via Mac Mahon (e le nostre famiglie) ci hanno salvato dalla schiera degli analfabeti televisivi e degli analfabeti di ritorno. E allora? Allora ci saremo. Mi rincuora in fondo quel disincanto nel definire la manifestazione: una passeggiata. Una festa per il ricordo, per chi pensa ancora che in quei lontani giorni si sia fondata la nostra Repubblica. La memoria serve contro chi cerca di scassarla e una passeggiata il compito che non pu avere: di un voto, di una consultazione elettorale.

Lettera VENTICINQUE APRILE 1945 Guido Martinotti


Quel venticinque aprile noi ci trovavamo dallaltra parte. Anzi, come la gran parte degli italiani, eravamo in mezzo, ma pi di l che di qua. In mezzo lo eravamo davvero perch la casa del nonno, dove tutta la famiglia si era rifugiata dopo il primo bombardamento di Milano del 23 Ottobre 1942, stava in terra di nessuno, a un paio di chilometri dal lago sulla strada per Premeno. Di giorno la zona era sporadicamente pattugliata dai fascisti repubblichini, accompagnati, ma solo nelle grandi occasioni, dai tedeschi. Di notte i partigiani scendevano per lo stradone con la venti millimetri per andare a sparare alla Casa del Fascio di Intra dal giardino della Villa Tranquillini al Motto. La venti era montata su un carro che, di giorno, come tutti in paese sapevano benissimo, stava nascosto sotto il fieno nel garage dellarchitetto Minali su a Cargiago. Ma il pi delle volte era proprio terra di nessuno, cio di chi ci abitava, ma sopratutto dei bambini del paese che, grazie a quella straordinaria situazione, se ne erano totalmente impadroniti con la massima libert, tanto che in certi momenti il paese mi appariva veramente come Timpetill la citt senza genitori, uno dei miei livres de chevet di allora. La casa del nonno giaceva allungata sul pendio come una nave a poppa quadra, con la prua rivolta in gi. Il giardino era triangolare e finiva a valle con un terrazzino rialzato coperto di glicini. A met stava il cubo della casa, quattro lati e un tetto rosso, con un terrazzino a due piani sul fronte, vera plancia di comando e ponte panoramico della casa, mentre la base del triangolo stava a monte verso Premeno. Qui si trovavano il garage, il pollaio e una seconda casetta dove il nonno, che non andava pi in negozio a Milano dopo il colpo che gli aveva lasciata la bocca storta, stava tutto il giorno rintanato a curare i polli, far la posta ai piccioni con strane trappole a ghigliottina da lui stesso costruite e generalmente a starsene al riparo dalla famiglia. La casetta del nonno era collegata alla casa principale con un cavo elettrico: se il nonno stava male o voleva qualcosa girava un grosso interruttore a vista e faceva suonare da noi un campanello grosso come quello di una doppia sveglia a molla. Noi bambini razzolavamo dappertutto, ma sopratutto sul castello di prua ricoperto di glicini, punto di osservazione avanzata per guardare chi saliva lungo il bianco stradone che costeggiava la casa. La prua si affacciava anche su un piccolo crocicchio su cui convergevano anche le stradine che, da un lato, portavano alla frazione di Biganzolo e, dallaltro, a un torrente che si chiamava il Riale(Riaa) e poi a San Giorgio, quattro case in fila collocate su un costone dietro cui spuntavano in lontananza le cime del Monterosa. Oltre la prua lo stradone scendeva verso lago fino al curvone del Brusati che ci chiudeva la vista dopo un centinaio di metri. I bambini non avevano un nome per questa localit, ma con il tempo ho scoperto che veniva chiamata La Campagna come se il resto fosse una gran citt. Questa posa di urbanit trovava eco nella pretesa delle maestre che a scuola si adottasse il testo di lettura per le classi urbane e non quello per le classi rurali, con effetti catastroficamente esilaranti quando linconsapevole autore cercava di spiegare a quellespertissima scolaresca a piedi scalzi, la vita di lucertole e uccellini, che lui probabilmente non aveva mai visto dal vero. In effetti se guardiamo ai nomi il paese era tutto campagnolo. La scuola elementare, losteria, che poi pass in gestione alla cooperativa rossa, e la villa a castellozzo (con i merli di prammatica) della Signora del paese, si affacciavano su uno spiazzo chiamato La Pastura, nel quale i bambini giocavano al calcio, ma che pi in generale serviva alle feste del paese e da balera per la cooperativa. Unaltra frazione si chiamava Antoliva, anche se le olive ai miei tempi non cerano pi, e unaltra, La Selva. In paese, salvo noi e una manciata di sfollati dalle citt bombardate, erano tutti con i partigiani. Mio padre era fascista, come lo erano stati quasi tutti gli italiani, ma forse con un impegno civile maggiore. Certamente non era stato un

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picchiatore, ma, come si diceva allora, uno che ci credeva. Intendendosi nel codice non scritto della borghesia italiana, uno un po fesso, che credeva ai valori sbandierati dal regime senza approfittarne. Figlio di un militare di carriera piemontese, morto dalle parti di Misurina nei primi giorni della Grande Guerra, vittima della ritardata eliminazione della sciabola lucida e della pessima logistica che lo aveva lasciato dissanguare era orfano con madre vedova di guerra, e non era stato richiamato in guerra nellesercito regolare. Per questo si era presentato come volontario nella milizia nazionale fascista per la campagna in Africa Settentrionale. E, come benvenuto, lui che lasciava un posto direttivo in una grande assicurazione, si era sentito dire dal perenne sportellista italiano: ecco un altro morto di fame. Un primo significativo contatto con il mondo degli otto milioni di baionette, di cui mio padre ha riportato una straordinaria testimonianza fotografica, avendo comperato da un ufficiale tedesco una Contax a tendina, scatti fino a 1/1250 con obiettivo Zeiss anteguerra che ho ancora. I rullini delle pellicole, raccattati qui e l di sottobanco, li nascondeva cucendoli nel bordo del cappotto grigioverde che diventava via via pi rigido dandogli unaria pomposa da uno sempre sullattenti. E il racconto di una guerra di poveri straccioni, morti di fame per davvero, mandati allo sbaraglio da un dittatore buffone, commediante tragico che, come spiegher bene Denis Mac Smith, nel suo splendido libro sulla propaganda fascista, era soprattutto un formidabile esperto di comunicazioni di massa, da giornalista di professione. Ma sopratutto da retore ignorante e senza vergogne: Ma evidentemente mio padre godeva di stima generale, perch poco prima dellla liberazione, quando ormai i destini erano segnati, si rifiut di passare in Svizzera con altri che temevano a torto o ragione rappresaglie da parte dei partigiani vittoriosi. Che non mancarono perch sulle montagne del Verbano e dellOssola la lotta era stata dura e per vario tempo dopo la fine della guerra, verso sera si sentivano le raffiche di mitra delle esecuzioni provenire dal Campo sportivo di Intra. Insomma eravamo stati sbattuti l dalla gran risacca della guerra e tutto sommato ci trovavamo come su unisola inquietantemente felice, nellocchio del tifone, come leggevamo nei romanzi di Salgari, che rappresentavano una delle letture principali dei due o tre intellettualini della classe. Che discussero a lungo sul modo in cui si dovesse pro-

nunciare la Y, deliberando poi che stava per una V. Cosicch lo yacht di Yanez suonava il Vact di Vanez. Attorno a noi la guerra si aggirava piuttosto allorizzonte degli eventi. Ogni tanto l sulle montagne si sentiva il tah pum! del 91. Ecco il tapum commentavano i ragazzetti pi esperti on laria di chi sa tutto. O qualche raffichetta di Sten, che arrivava assai pi attutita. Pi di frequente arrivavano gli aerei. Quelli facevano paura, aveva un bel dire mio padre che quando erano sopra la testa il pericolo era gi passato. In genere, venendo dalla Svizzera, sganciavano proprio allaltezza di casa nostra e la bomba esplodendo qualche centinaio di metri pi in basso, faceva un frastuono tremendo. Quando suonava lallarme tutti scappavamo in casa tirandoci dietro anche quelli che in quel momento passavano sulla strada l davanti. Mi ricordo che una volta cera anche un signore alto di Arizzano o Cargiago, uno dei paesi pi a monte, entrato nel corridoio tenendosi stretta la sua bicicletta e con il suo bel cappello in testa, che, mentre ci stringevamo tutti tremebondi nel retro della casa sotto le scale, incitava gli Alleati a bombardare e, quando finalmente si sentito il botto gridava, cercando di indovinare da dove veniva, lha centrata, lha centrata!. Intendendosi la caserma della X Mas di Intra, che forse il pilota non sapeva neppure dove si trovasse, ma forse si. In realt si seppe poi che la bomba era andata a finire sul campo sportivo, ma il giorno dopo, quando come al solito stavo a spiare dalla siepe lanabasi dei ciclisti, il signore col cappello, che ormai era entrato a far parte delle nostre conoscenze, passando gridava lhanno mancata di poco e ci faceva vedere con le mani giostrando sul manubrio quanto vicino era andata la bomba allobiettivo che lui le aveva assegnato. E poi cera il Pippo, che capitava di solito a met mattinata con il ronzio regolare dellelica che a un certo punto aumentava di frequenza e tutti sapevamo che stava scendendo in picchiata su un bersaglio. Un paio di volte il Pippo passato fragorosamente sopra la scuola senza che avessimo neppure il tempo di evacuare. Cos tutti, scolaresca e maestre, stavano li seduti e impietriti in attesa dellesplosione finch il rumore non si allontanava. Ma il rumore pi terrorizzante era quello sordo e notturno degli squadroni che a ondate andavano a bombardare Milano. Passavano per ore parecchio alti sopra di noi, ma erano tanti e il rombo faceva tremare i vetri della casa. Allora la zia veniva in camera dalla mamma e stavano a torcersi le

mani e a consolarsi a vicenda, al lume delle abat-jours, perch un poco dopo il passaggio della prima ondata si cominciava sentire il rumore delle bombe su Milano. Un brontolio sordo, proprio come si legge sui libri, lungo, insistente e senza sosta, che si accompagnava ai bagliori della contraerea che sintravvedevano nella foschia verso la fine del lago, come un mostruoso budino di cioccolata che tremolava l nel fondo nella notte. Dentro al quale stavano gli uomini della casa, mio padre e lo zio Dodo, che lavoravano in citt e che sicuramente in quel momento erano da qualche parte l sotto. Io affinavo e temperavo il mio udito al calor bianco del mio terrore, un terrore metafisico, non collegato a un pericolo immediato, perch avevo imparato che in quei casi pericolo per noi non cera e forse non riuscivo neppure a concepire il pericolo per pap, che per me era unentit immortale che prima o poi rispuntava sempre dalla curva dello stradone. Ma cerano il rumore, la tensione delle donne, i tremori della veglia notturna e tutte le altre paure collegate al buio fragoroso e minaccioso che ci circondava. Quanto a rumori di aerei io ero lesperto incontestato della maison. Si diceva in famiglia perch avevo le orecchie a sventola, che poi a guardar bene non era neppur vero, sta di fatto che io sentivo gli aerei in arrivo un buon cinque minuti prima degli altri. In realt la spiegazione positivistica, o ingegneristica che dir si voglia, era del tutto sbagliata. La mia straordinaria capacit aerofona non dipendeva dalla superficie auricolare, ma era direttamente proporzionale al terrore per i bombardamenti che aveva le sue radici dallesperienza del primo bombardamento dellOttobre del 42, subito in una cantina di Piazza Diaz. Di giorno per, quando capitava, gli aerei si dovevano guardare bene perch poi a scuola seguivano lunghi dibattiti sullo spotting. Di aerei nostri non ce nera praticamente pi, ma una prova sicura che fossero americani era il loro scintillio. Tutti gli altri erano mimetizzati, color cachi o oliva a macchie, ma le fortezze volanti Liberator (gli americani erano gi bravini con le parole) attraversavano il cielo scintillando con limprontitudine di chi se ne sbatte nel modo pi assoluto. Era un gran bel vedere, soprattutto quando passavano un po in l. E noi, i ragazzini del paese, ma certo anche gli adulti, stavamo l con il naso in su, rapiti a vedere questi uccelli dai baluginii brillanti come unarborella nello stagno. Cos appena i miei padiglioni auricolari fisici, poten-

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ziati dalla paura mi segnalavano un aereo in avvicinamento io correvo fuori sul terrazzino per fare il rilevamento. Spesso erano lontani, ma capitava che in mezzo a un frastuono assordante passassero a volo radente gli spitfires, con quel movimento danzante con le ali che fanno mentre mitragliano e con le fiammelle dei cannoncini che ci avresti potuto accendere il fuoco. I partigiani. Che in paese tutti fossero con i partigiani, salvo i pochi borghesi sfollati, e le pochissime famiglie impegnate con la Repubblica di Sal, lo si capiva benissimo perch tra i miei compagni di scuola ero lunico che, ripetendo le cose che sentivo in casa, prendevo talvolta le parti dei fascisti. E un giorno che eravamo tutti sulla prua del giardino con i miei compagni, mia madre mi ha chiamato in casa e mi ha detto un bruscamente di non usare quegli argomenti. Ma i partigiani rimanevano soprattutto unentit mitica che si muoveva nella notte. Una sera, mentre eravamo nel soggiorno, che veniva chiamato tinello, bussano alla porta, da estranei. Rapidamente il pap e lo zio vanno ad aprire, mentre si diffonde il clima delle emergenze e si chiude ritualmente la porta tra il soggiorno e l'anticamera. Non tanto rapidamente per perch non si faccia in tempo a intravedere qualcuno che entra con un mitra in mano a canna in gi. I partigiani! Si sente confabulare e poi qualcuno sale al piano di sopra mentre chi rimasto scambia rade parole con i visitatori piazzati mezzo dentro e mezzo fuori sulla porta. Finalmente chi salito scende e, dopo un altro breve scambio gli ospiti se ne vanno mentre gli uomini di casa chiudono la porta di ingresso e riaprono quella della cittadella, rientrando in salotto con l'aria soddisfatta. La tensione esplode in una serie di domande confuse. Cosa volevano. Chi erano. Gli uomini spiegano che erano tre partigiani e che avevano chiesto "molto educatamente" dei vestiti. Al che lo zio era salito per prendere una giacca a vento, dei golf e delle calze e guanti di lana. Non credo che abbiano lesinato nel dare, il sollievo di essersela cavata a buon prezzo era tale che delle cose date, che pure non erano abbondanti neppure per noi, quasi non si parlato. E poi non avevano intenzioni aggressive; mio padre, che era stato in guerra, ripeteva con soddisfazione di essersene accorto subito perch non avevano il caricatore innestato. Li conoscevo bene questi caricatori del Beretta adattato o dello Sten, 9 mm corto parabellum. Una scatoletta rettangolare di lamierino nero di un paio di cen-

timetri per uno, alto un venti centimetri con una molla in fondo che si poteva togliere sfilando a slitta il fondalino di lamiera. La molla terminava con un soppalchino di alluminio sagomato tondeggiante a due piani che, a caricatore vuoto, si bloccava su due ricciolini della lamiera del caricatore. Le pallottole si infilavano facilmente dallalto a una a una premendo in basso la molla e facendole poi scivolare dentro in due file parallele sfalsate di mezza pallottola. Questo marchingegno spingeva su una pallottola alla volta verso la camera da sparo del mitra che poi buttava fuori il bossolo da unaltra parte. Noi, dico noi bambini e bambine piccolissimi, passavamo ore a riempire un caricatore e a svuotarlo, o togliendo la slittina del fondo o spingendo fuori le pallottole a una a una dallalto con il pollice. Un marchingegno di una semplicit ipnotizzante, mi domando quanto spesso sinceppasse quando lavorava davvero. Vuoto non pesava nulla, ma con le due file di una ventina di pallottole aveva una consistenza rassicurante. Di pallottole di mitra ce nerano tante che non mi ricordo che fosse mai un problema riempire un paio di caricatori che venivano poi ostentati alla cintura nella repubblica dei bambini. Il partigiano Manzoni. Chi aveva condotto le trattative era un certo Manzoni, quello dei tre entrato in casa e che, forse, mi era sembrato di capire, aveva anche tenuto a bada pretese pi spinte di qualcuno che era rimasto minaccioso nel buio brontolando. Ma in ogni caso un po' per la paura passata un po' per genuina simpatia la serata fin con la generale soddisfazione di aver stabilito un contatto con qualcuna delle divinit minori che si aggiravano nel buio della notte fuori dai confini del compound e che si manifestavano spesso con spari secchi, tonfi di bombe lontane, sbrillii di mitraglia e cattivi ronzii di pallottole. Da quella sera il partigiano Manzoni fu adottato dalla famiglia: a poco a poco la sua figura emergeva dall'ombra, anche perch era uno abbastanza conosciuto in paese e le sue gesta venivano amplificate enormemente nei racconti degli scolari. Una volta fummo presi in mezzo a una scaramuccia proprio all'uscita della scuola e ci gettammo tutti a ridosso di un muro dove stavano gi accovacciati un gruppetto di partigiani, compreso il Manzoni che ci strizzava l'occhio sopra la spalla per rassicurarci. Me lo ricordo bene con i pantaloni tesi che aspettava l'occasione per saltare via. A sua insaputa il "Partigiano Manzoni" era cos diventato un nume tutelare della casa e quando, dopo un primo non

riuscito assalto, qualche settimana prima della Liberazione, la colonna dei partigiani si ritirava risalendo verso Premeno, noi eravamo tutti sul terrazzino del primo piano a guardare lo stradone e a un certo punto il Partigiano Manzoni ci ha visto e ci ha salutato, consolidando definitivamente il tutelage con il farci vedere a grandi gesti la giacca a vento dello zio con dentro qualche foro di pallottola o forse solo strappi. E ci gridava tutto allegro, adesso ci ritiriamo, ma torneremo presto. Nella mia memoria la Liberazione coincide con limmagine anticipatoria della colonna del Partigiano Manzoni che si ritirava in allegria. Del giorno preciso del 25 Aprile non ho altri ricordi, salvo che eravamo tutti in strada ed io ho visto che sullerba del Prato Comune era caduta una spolverata di neve. NOTA Questo lo stralcio di un articolo pubblicato in Diario, in occasione del 25 Aprile di 8 anni fa. La storia per ebbe un seguito, che richiede una premessa. I ricordi che raccontavo nellarticolo erano molto privati e non credo di aver mai pi parlato di quegli eventi con alcuno nella mia famiglia, del resto nel 2002 tutti scomparsi da tempo, con leccezione di mia madre gi molto vecchia e sicuramente non lettrice di Diario. Quindi i ricordi di cui parlavo, compreso il nome del partigiano, venivano dal profondo del mio ricordo e (esatti o falsi che fossero, il problema non me lo ponevo in alcun modo) erano incontaminati. E quindi immaginabile la mia sorpresa e lemozione, quando dopo un paio di settimane, mi telefona una persona che si annuncia: io sono il figlio del partigiano Manzoni. E mi spiega che dopo aver letto il raccontino avevano a lungo discusso in famiglia ed erano giunti alla conclusione che quel partigiano era il padre, nel frattempo scomparso. Poi ci siamo visti: un giovane simpatico e mingherlino che, tra laltro, aveva anche seguito un corso con me a Scienze politiche negli anni 60 e che ora lavorava in Svizzera alla RTI. Quella volta mi ha anche portato un libro scritto dal padre, sulla sua esperienza partigiana. Un bel libro che ora non trovo, (ma ce lho, ce lho ancora) e che mi sono messo a leggere con grande interesse, ma anche con un certo disagio perch facevo fatica a ricollocare in una figura storica veramente esistita, il mito del mio ricordo. E bench fosse evidente che lautore conosceva bene i luoghi della mia infanzia, non ero convinto che fosse la stessa persona della mia memoria; intanto le fotografie non coincidevano con il ricordo visivo che avevo elabora-

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to e poi non sapevo se desideravo una conferma oppure se mi disturbava che qualcuno si fosse intruso nel mondo della mia mitologia personale. Cos proseguivo nella lettura passando da una convinzione a quella opposta, lui, no, non lo , finch nelle ultime pagine del libro si descrive, vista dal basso, la medesima scena che racconto io nelle ul-

time righe del racconto, quando i partigiani risalgono verso Premeno salutando e salutati dalle persone affacciate ai balconi. Questo corto circuito per cui i due racconti si incastrano come due tessere di un mosaico e, per cos dire, due persone si guardano negli occhi attraverso il tempo, mi ha provocato una sensazione cos forte che non sono in

grado di raccontarla senza retorica. Non retorica invece, io credo, pensare che parlare con una persona morta attraverso il tempo e grazie ai reciproci scritti forse lesperienza pi toccante che possa capitare a chi ha la fortuna di raccontare e raccontarsi con la parola scritta.

DallArcipelago 25 APRILE. I GIOVANI SUL SENTIERO DELLA STORIA Giorgio Uberti


Questa storia inizia da un vecchio slogan emerso da un armadio polveroso in unex sezione del Partito Comunista Italiano. Un giorno lungo una storia. Un messaggio sempre attuale in occasione di un giorno lungo come il 25 Aprile. Un giorno da sempre oggetto di critiche e ora pi che mai minacciato da una classe politica incapace di leggerne il valore attuale. Per accorgersene basta sfogliare un autorevole quotidiano come Il Giornale il quale scrive: La Liberazione solo un pretesto per aizzare la piazza contro Berlusconi. Il Comitato antifascista, oggi unarma in mano alla sinistra. Segnali negativi arrivano anche dalla giunta leghista di Montichiari, Brescia, dove sono stati persino vietati i festeggiamenti sia della Liberazione sia della Festa del Lavoro. A Milano, nel frattempo, si sta organizzando un raduno nazifascista con la copertura di alcuni settori del PdL e della Lega Nord. Di fronte a questo decadimento culturale, prima ancora che morale, i Giovani Democratici di Milano reagiscono e organizzano una loro carovana diniziative. Il titolo: un giorno lungo una storia. Un percorso, composto da tre tappe in tre quartieri di Milano, tutte rivolte alla grande manifestazione di Domenica 25 Aprile. Un cineforum e due percorsi alla memoria. La regia curata da tre ragazzi, da anni impegnati socialmente nei loro quartieri: Chiara Vitale, Marcello Dassi e Antonio Rinaldi. La partenza era fissata Venerd 16 Aprile, presso il Circolo del Partito Democratico Lia Bianchi, zona Certosa con la proiezione del film: Ogni cosa illuminata di Lev Schreiber. Lidea di un cineforum non certo una novit, ma collegata a un percorso sulla memoria assume una connotazione moderna. Chiara Vitale ci racconta il perch: La memoria un valore importante da mantenere soprattutto tra i giovani Per questo abbiamo pensato a uno strumento in grado di possedere un certo appeal tra i giovani stessi. Ecco com nata lidea di proiettare un film. Un mezzo immediato, in grado di restituire forti emozioni. Sicuramente pi avvincente rispetto allo studio di documenti o alla mera discussione dei fatti. Differente ma altrettanto affascinate liniziativa che si svolta Sabato 17 Aprile, nel pomeriggio. I Giovani Democratici della Zona 7, attraverso labile organizzazione di Marcello Dassi e sotto la guida di Loris Vegetti, partigiano e presidente dellANPI locale, hanno reiterato il percorso alla memoria tra le lapidi degli eroi della resistenza gi descritto in passato dal nostro giornale. Questa volta la partenza era fissata da Via Forze Armate, tappa ad Assiano e conclusione a Figino con aperitivo offerto dal Circolo PD Montoli. Anche i Giovani della Zona 6, esportano il modello Zona 7 e sotto labile regia di Antonio Rinaldi, supportati dallANPI locale hanno organizzato per Sabato 24 Aprile un analogo percorso tra le lapidi dei partigiani della Barona e di Giambellino. Qual il segreto del successo? Dobbiamo aprirci a ci che c allesterno racconta Marcello Dassi altrimenti rischiamo di rimanere la solita sinistra salottiera. Lerrore pi grosso che, principalmente come giovani, vogliamo evitare quello di finire a parlare solo di noi, tra di noi. Eppure ad appena 65 anni dalla liberazione, come sottolineavo allinizio, le critiche e le minacce si sprecano. In Francia la libert, luguaglianza e la fratellanza sono valori universali da quasi duecento anni cos come lindipendenza americana festeggiata con grande vanto ancora oggi. La Chiesa Cattolica celebra lo stesso rito da quasi duemila anni eppure la nostra generazione vive la minaccia di una revisione ogni anno. Abbiamo chiesto quindi chiesto ai nostri ragazzi cosa si aspettano dal futuro per il 25 Aprile, se verr demonizzato a tal punto da essere criminalizzato o se saremo lultima generazione a festeggiarlo. Antonio Rinaldi dichiara: Il sacrificio della resistenza un sacrificio sempre attuale. Finch riusciremo a mantenere viva la Democrazia saranno vivi anche i valori della resistenza. Il nostro dovere quello di insegnare e spiegare a quelli pi giovani di noi la differenza tra sudditanza e cittadinanza, quella la chiave, quella la nostra missione. Chiara Vitale ribadisce: Senza la lotta partigiana oggi non saremo quello che siamo. Quelli che hanno combattuto lo hanno fatto per liberare tutti, anche chi oggi critica e quindi bisogna fare di tutto perch questa festa sia riconosciuta da tutti. Saremo noi giovani a mantenere viva questa iniziativa. Ora tocca a noi. Conclude Dassi, concorda e ribadisce: Molto dipender da noi, come sapremo prenderci carico del lascito degli anziani, e come sapremo trasmetterlo ai nostri figli. Dobbiamo assumercene la responsabilit e questo percorso ne una prova. Insomma il 25 Aprile sembra una tradizione ben lontana dallo scomparire, per ora. Un giorno lungo una storia.

Metropoli LA RICCHEZZA DELLA CITT Giulio Rubinelli


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Milano oggi vive una dimensione a doppia interpretazione. Chi la vede come nel suo massimo splendore e chi ne vede la progressiva decadenza. Detto questo innegabile che su questa citt si sia acceso un faro internazionale teso a controllarne i movimenti e le azioni, quasi con curiosit, come a volerne capire il futuro, se da lei imparare o se evitarne lemulazione. Milano quindi ora al centro dellattenzione. Tra tensioni, come quelle vissute in via Padova, scandali- vedere alle voci Pennisi e Prosperini e leterno allarme smog, Milano si prepara al suo evento madrelExpo. In molti sollevano dubbi a tale riguardo, dalle infiltrazioni mafiose nella costruzione delle strutture a esso adibite alleffettivo raggiungimento di tutti gli scopi prefissati. LExpo si terr o no? Ma non di questo che voglio parlare ora. Faccio un passo indietro e torno alle interpretazioni che oggi di Milano vengono date. Milano vive dunque, volgarmente riassumendo, un momento di ricchezza o di povert? Come ogni grande citt e metropoli che nellultimo secolo ha vissuto una fase di forte mutamento, il fattore predominante che saltato allattenzione di ogni esperto osservatore, la progressiva propagazione della diversit. Quel faro al quale prima accennavo comporta, tra le altre cose, lavvicinamento alla societ in espansione di nuove culture, etnie, generi di vita e di comportamento. Ogni realt tende a cercare il proprio spazio, a coltivare le proprie opportunit, in poche parole, il proprio posto al sole. La diversit diventa quindi, in se e di per se, una ricchezza. Un patrimonio da proteggere, da elaborare e da far crescere. Nel momento in cui lattenzione dellopinione pubblica e delle istituzioni internazionali si concentrano sulla citt

nel suo insieme, omologando la popolazione milanese a un insieme, questa cerca di districarsi da ogni generalizzazione e a ricercare la propria autonomia ed eccezionalit. Quasi per scongiurare leventualit di venire dimenticati. Ci troviamo quindi di fronte a un sempre maggiore moltiplicazione di realt totalmente differenti tra loro e il diverso si fatica sempre pi a trovarlo. Troppo spesso per farlo ci si butta sulle disuguaglianze fisiche. Ma non questo il punto. Il punto adesso Milano un vortice che cresce di giorno in giorno. I giovani hanno sempre maggiori difficolt nel difendere i propri spazi e nelle discoteche ormai non ci si va pi per divertirsi ma per fare a botte, sostituendosi allo stadio. Le separazioni anche tra di loro si fanno sempre pi nette. Non si solo giovani. Non si giovani e basta. Si emo, interisti, punk e via dicendo. In qualsiasi ramo della vita quotidiana di un ragazzo oggi avviene una scissione netta, una presa di posizione che lo accomuna con un gruppo e lo differenzia da un altro. E fin qui nulla di strano. Come gi detto, queste diversit vanno a formare la vera ricchezza di Milano. Il problema vero che ogni posizione presa cos ben radicata che ci si dimentica anche delle pi basilari comunanze di esseri umani e listinto prevale sulla logica. La violenza impera. E quindi un nero, un tifoso della squadra avversa, un poliziotto cessano di essere perfino persone e diventano bestie giustificando qualsiasi atto di coercizione nei loro confronti. Cos la diversit perde ogni connotazione positiva e valore di ricchezza per andare a raggiungere solamente i pi bassi istinti dellindividuo. I mezzi di comunicazione in questo di certo non ci aiutano.

Servirebbe quindi una rivoluzione bilaterale della popolazione milanese. Da un lato lincremento dei mezzi di comunicazione alternativi alla televisione e in secondo luogo dei contenuti che vadano a sottolineare quali siano i punti di aggregazione fondamentali al di l delle differenze soggettive di tipo caratteriale. Insomma, valori. Questa spinta dovrebbe arrivare dallinterno. Dal cuore della popolazione milanese. Dai giovani. Che forse non si sono fatti corrompere il cuore dal soggettivismo e ancora riescono a superare le barriere imposte loro da una Milano sempre pi alienata e che tende a non riconoscersi. La diversit si riconosce nelle idee. Nei valori comuni che si disposti a spartire con altri concittadini, connazionali, esseri umani. Quindi proteggiamo le nostre caratteristiche individuali, forgiamoci una figura, una personalit che solo a noi appartenga. Questo ci render pi forti individualmente. Poi pensiamo agli altri. Pagare le tasse fattore identitario. fattore di rispetto. Il tentativo dovrebbe essere quello di condividere il pi possibile pensieri e idee in un momento di cos forte e radicale cambiamento della nostra citt. Cercare di analizzare freddamente quale potrebbe essere un nuovo aspetto da dare a chi ci osserva dallesterno. Se lasciare che i politici siano il nostro riflesso o dimostrare la nostra diversit, il nostro disaccordo con essi dandoci da fare e riprendendoci quegli spazi che solo a noi a ppartengono. La ricchezza di Milano la sua diversit. come sempre la sua diversit. Continuiamo a essere padroni di queste nostre diversit, capiamo come controllarle, come farle interagire tra loro. Condividiamo. E poi torniamo a essere cittadini, esseri umani, orgogliosi della nostra citt.

Citt RADETZKY PER SINDACO O DISSOLUZIONE Marco Vitale


Confesso che il tema propostomi come arrivare al prossimo sindaco - da Luca Beltrami Gadola non mi entusiasma, anzi mi crea una certa sofferenza. E solo per il mio profondo senso dellamicizia che non ho avuto la forza di rifiutare il suo cortese invito. Ma anche per dargli un segnale di riconoscenza per aver dato vita ad Arcipelagomilano, una voce veramente libera, quanto mai preziosa in una citt e in un paese dove le voci autenticamente libere sono ogni giorno pi rare, pi deboli e oggetto di volgari intimidazioni. Circa quindici anni fa, di fronte alla stessa domanda (chi desidereresti come sindaco di Milano?), scrissi un articoletto nel quale esprimevo la mia preferenza per Giovanni Giuseppe Venceslao Antonio Francesco Carlo conte Radetzky di Radetz. Dopo tanto tempo confermo questa preferenza. Il grande generale austriaco, infatti, am veramente Milano, tanto da rifiutarsi di usare il cannone nelle sue strade durante le Cinque Giornate. Si ritir ordinatamente e, poi, ritorn ordinatamente, sempre accompagnato da un grande amore per Milano, che testimoni sino alla sua morte e che la cosa di cui, Milano, anche oggi, ha pi bisogno. Egli rappresentava, inoltre, una sintesi perfetta di autorevolezza, professionalit, sobriet, onest che erano, un tempo, le tipiche distintive qualit meneghine. Naturalmente, se potessi scegliere, prima di

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Radetzky metterei Ambrogio, il pi grande sindaco che Milano abbia mai avuto, ma per non puntare troppo in alto, mi accontenterei di Radetzky. Poich, purtroppo, Radetzky non c, bisogna pensare a qualche alternativa. Lo stimolo pi creativo e intelligente lo ha, a mio giudizio, fornito Aleotti su da Milano a Milania del 7 aprile 2010. Ma procediamo con ordine. 1) Io sono la persona pi felice del mondo quando posso dire: chi ci governa lo fa molto bene e noi possiamo, tranquilli e sereni, dedicarci alle nostre occupazioni preferite. Questo non il caso del governo di Milano con il sindaco Letizia Moratti. Il suo governo un flop totale su quasi tutti i fronti che contano e Milano, nonostante la sua straordinaria vitalit e molti punti di eccellenza, destinata a un relativo ma sicuro declino: per mancanza di pensiero strategico, per mancanza di pensiero urbanistico (che larchitettura abbia sopraffatto lurbanistica non un male solo di Milano, ma a Milano particolarmente evidente), per mancanza di pensiero sociale, per protratta e peggiorata inefficienza della macchina comunale, per aver rovinato, con pretese stravaganti, lunico risultato positivo, lassegnazione a Milano di Expo 2015. Letizia Moratti ha sperperato quella autonomia relativa che le offrivano il fatto di essere stata eletta con una lista propria e di poter contare su una forte dotazione di denaro di famiglia, ed diventata organica e tesserata del PDL e quindi rappresenta ed esprime tutte le contraddizioni di questo partito di stampo populista e insieme plutocratico. 2) La Lega attuale, con la sua chiusura demagogica e provinciale, che ci sta tagliando fuori dallEuropa e dal mondo internazionale, una minaccia micidiale per la prosperit di Milano, se possibile ancora pi minacciosa della plutocrazia rappresentata da Letizia Moratti. Perch Milano sempre stata prospera quando stata citt aperta, accogliente e inserita nelle reti internazionali. 3) Allora sui grandi temi che il confronto deve avvenire: Come liberare Milano dalla plutocrazia e dal regime degli amici degli amici e riportarla nei suoi caratteri fondanti di citt aperta, libera da padroni o signori, socialmente integrata e viva, interclassista?

Come dare una guida e un pensiero urbanistico a questa citt preda di architetti archistar e di imprenditori immobiliari spesso quasi falliti e di sette affaristiche? Come, finalmente, progettare veramente, nelle cose (trasporti, ambiente, abitabilit, cultura), la grande Milano, insieme ai comuni dellhinterland? Come trovare una convivenza equilibrata con i nuovi immigrati, impostata e gestita con rigore ma anche evitando improvvisazioni feroci e belluine? Come allentare la presa su Milano dalle sette che la stringono in una morsa di interessi spesso occulti? Come far ritornare Milano nellelenco delle citt dotate di una vigorosa vita democratica? Come far leva sulla citt mobilitando e valorizzando le sue grandi energie, la sua professionalit diffusa ed il desiderio di partecipare veramente (non attraverso stati generali o simili pagliacciate mediatiche)? Non si tratta di fare piani di programma dettagliati che (labbiamo imparato), lasciano il tempo che trovano; ma di rispondere, con spirito di verit e con convinzione, a poche domande strategiche e fondamentali. Milano ha bisogno di una rivoluzione neoborghese, non plutocratica. 4) Se si guarda allopposizione politica il quadro deprimente. Il vuoto di pensiero , se possibile, ancora pi grave. Le alleanze occulte tra sette vedono tra i protagonisti gruppi che, in teoria, dovrebbero fare riferimento all opposizione, in un patto spartitorio di interessi che rappresenta il vero governo della citt. Lunico contributo serio del maggior partito di opposizione , che pu contare, sul denaro pubblico, proveniente dalle nostre tasse e contribuire a bilanciare il peso monetario della plutocrazia. Nessuna personalit forse neppure Radetzky, da solo, potrebbe cambiare o anche solo migliorare questa realt. Forse lunico che potrebbe farcela sarebbe SantAmbrogio, ma molto occupato in paradiso, a mettere un po di ordine nei rapporti tra il paradiso e la Santa Romana Chiesa. 5) In sintesi, da un punto delle prospettive politiche, la situazione scorag-

giante. Qui si inserisce la proposta di Aleotti, che mi trova del tutto consenziente. Invece di mettersi alla ricerca di una personalit come sindaco (il campione della societ civile) tentativo gi fatto, con esiti infausti con lex prefetto, amico di Ligresti, mettiamo mano allo sviluppo di un progetto (non di un programma, ma di un progetto culturale politico), ed alla costruzione di una classe dirigente. Scrive, con espressione felice ed efficace, Aleotti: Si tratterebbe di dissolvere la figura del Sindaco e candidare al suo posto una squadra in possesso di una idea condivisa di trasformazione della citt. Posto che questo non pu essere fatto sul piano formale, la dissoluzione del Sindaco significa candidare, non una figura attiva che sfidi la Moratti, bens una figura simbolica che sia funzionale a un progetto politico di autentica trasformazione della citt.Da molto tempo penso che questa sia la via da percorrere. Sembra una visione controcorrente e lo , in unepoca di caudillismo imperante. Il fatto che questa epoca, questa cultura, questo peronismo brianzolo, questo caudillismo, non va cavalcato, ma combattuto. E per fare questo necessario dissolvere il sindaco in una vera squadra portatrice di un pensiero e di una visione. Scrive ancora Aleotti e sottoscrivo totalmente: E ovvio che questa strada di dissoluzione del Sindaco caricherebbe di enorme importanza il lavoro progettuale in capo alla squadra che, ovviamente, dovrebbe essere presentata insieme al sindaco. Si tratterebbe di unipotesi suggestiva, poich creerebbe una distinzione strutturale con il centrodestra che, invece, saldamente radicato in un paradigma di personalizzazione verticista e gerarchica (che peraltro non si sta dimostrando particolarmente efficace nei risultati). Atteso che qualunque altra via, di tipo tradizionale, sarebbe destinata a sicura rovinosa sconfitta, meglio rischiare questa via innovativa, che pu rappresentare un interessante esperimento anche a livello paese e che ha buone probabilit di almeno creare a Milano unopposizione democratica seria, rivitalizzando gli istituti democratici, contro loperazione di strangolamento che in corso da parte della plutocrazia e della demagogia leghista.

Economia LA RICCHEZZA DI MILANO: NON PROFIT E VOLONTARI Alessandra Tami


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La domanda che ci si pu porre : ma Milano solo la citt del business? Per fortuna la risposta no. A Milano non solo operano importanti aziende profit, ma anche tante realt non profit, con la qualifica di Onlus, e che soprattutto coinvolgono nelle loro iniziative migliaia di volontari. Il tema di estremo interesse in questo periodo in cui si parla di crisi del capitalismo, si discute del fine delle imprese, si tornano a riscoprire, dopo un periodo in cui la teoria manageriale americana aveva orientato le stesse business school, gli autori italiani delleconomia aziendale, a partire da Zappa, che sottolineava gi negli anni 30 come le imprese avessero come fine il soddisfacimento dei bisogni umani, mentre negli anni 60 Pietro Onida sottolineava che le imprese avessero un insieme di molteplici obiettivi da conseguire congiuntamente, intendendo con ci che luomo nella sua attivit non ha solo una dimensione puramente economica, ma che vi agisce con tutta la sua persona, con valori che non possono limitarsi allinteresse individuale, ma che devono considerare il bene comune. I nuovi economisti stanno finalmente scrivendo che obiettivo delleconomia la felicit, e la felicit dipende non dal possesso di beni, ma dallinsieme delle relazioni con gli altri individui. Finalmente ci si accorti che parlare di homo economicus un non senso, in quanto in tale assunzione si dimentica... il volontariato. E quindi lagire delle persone allinterno delle organizzazioni pu essere spiegata solo considerando gli attori economici in tutte le loro dimensioni. Questo preambolo per parlare di una grande ricchezza che contribuisce a rendere Milano una societ vivibile, la ricchezza rappresentata dalle persone che lavorano gratuitamente a favore del prossimo, che donano parte del proprio tempo e parte di s agli altri: i volontari. I volontari, favoriscono una societ migliore, contribuiscono alla presenza di un capitale sociale (come dicono i sociologi) che rende vivibile la citt, per altri versi difficile, inquinata, e soprattutto poco adatta ai bambini. Volontari donatori di sangue, volontari che donano il loro tempo: limportanza di questa presenza attestata dalla Mappa del volontariato che lo stesso Comune di Milano ha redatto e di cui proporremo una breve sintesi. Scorrendo il rapporto, emerge la ricchezza del fenomeno, in quanto accanto a volontari che operano per convincimenti religiosi, legati alle attivit delle Parrocchie e del Vescovo nella Caritas dio-

cesana, ci sono volontari che operano allinterno di organizzazioni laiche, e anche in organizzazioni imprenditoriali, con lo scopo di diffondere le buone pratiche della responsabilit sociale delle imprese (CSR), per migliorare la qualit dei rapporti fra imprese e comunit di riferimento. Milano ha molti enti non profit: grandi Fondazioni di emanazione bancaria, che spesso sostengono lattivit delle associazioni a cui partecipano i volontari, grandi organizzazioni fondate per lassistenza dei meno fortunati, a cominciare dalla Fondazione Don Gnocchi, alla cui attivit collaborano associazioni di volontari, fino a fondazioni molto recenti, espressione della imprenditorialit milanese, come Sodalitas, che organizza anche gruppi di volontari ex dirigenti, che mettono a servizio delle diverse realt non profit le loro competenze, per favorire la crescita di quel capitale sociale che la vera ricchezza di una citt, anche se le statistiche economiche spesso non sono in grado di misurarlo. Il tema del volontariato e del terzo settore hanno assunto una dimensione qualificante dagli anni 70, quando, rendendosi conto che lo Stato non era in grado di fornire tutti i servizi pubblici, dallassistenza alleducazione, si sviluppato un movimento didee per il superamento del sistema diadico, costituito dal mercato e dallo stato, non pi in grado di soddisfare tutti i bisogni e le istanze emergenti da una societ che si andava sempre pi articolando. Una societ civile pi ricca e differenziata e quindi complessa, favorita da un processo di cetimedizzazione con forte spinta partecipativa (De Rita). In questo scenario si assitito a un processo presente in tutti i sistemi europei di emersione o riproposizione di forme organizzative e giuridiche promosse dalla societ civile. Il volontariato e lassociazionismo, gi presenti nel paese, hanno assunto una consapevolezza nuova, con processi di innovazione sociale e organizativa, che hanno portato alla nascita delle cooperative sociali, e allo sviluppo del terzo settore o economia civile che favorisce la partecipazione diretta dei cittadini. Molteplici provvedimenti legislativi hanno accomapgnato il processo, dalla legge quadro sul volontariato, L. n. 266/91, al D.Lgs. n. 460 del 1997, disposizioni riguardanti le organizzazioni non lucrative di utilit sociale (Onlus), che ne ha perfezionato la stessa disicplina fiscale. Lo sviluppo del terzo settore viene cos a riconoscere al privato un ruolo

nella fornitura di servizi pubblici, che lo Stato non era pi in grado di fornire. Daltra parte mentre molte persone dispongono della risorsa tempo da donare e meno della risorsa denaro, la legislazione sul non profit, prevedendo un sistema di controlli e di rendicontazioni, venuta incontro alla domanda di partecipazione attiva di molti cittadini, pur lasciando al pubblico il ruolo di supervisione. Infatti le organizzazioni di volontariato devono iscriversi in specifici registri regionali, mentre stata istituita lAgenzia per le Onlus, con sede a Milano, con ruoli di controllo e indirizzo. La realt del terzo settore quindi ricca e variegata. La Mappa del volontariato sociale e delle banche del tempo di Milano pubblicato a gennaio 2009 a cura dellAssesorato Famiglia, Scuola e Politiche sociali del Comune di Milano Ufficio volontariato ricorda che lUfficio volontariato stato istituito trentanni fa con la finalit di favorire lintegrazione dei Servizi Sociali del Comune con lopera di persone anziane, e nel tempo lattivit diventata vero e proprio volontariato. Il volume censisce 371 organizzazioni di volontariato, che coinvolgono 33.700 volontari. Ma Milano conta anche 35.000 donatori di sangue, che donano nei diversi ospedali cittadini. Il volontariato a Milano e Provincia stato oggetto anche della ricerca a cura di Ciessevi e della Provincia di Milano presentata nel novembre 2009. I dati confermano la presenza di un universo ampio e rinnovato. In provincia di Milano si contano 1790 organizzazioni di volontariato, di cui 995 sono iscritte al registro del volontariato, con una significativa presenza a Milano citt. Prevalgono organizzazioni di piccole e medie dimensioni, mentre i campi di attivit sono: sanit, assistenza sociale, sviluppo economico e coesione sociale, filatropia e promozione del volontariato, cooperazione e solidariet internazionale, ambiente, tutela dei diritti, cultura, sport, ricreazione, istruzione e ricerca, religione, protezione civile. Volendo illustrare alcuni esempi, ci piace citare il caso della Fondazione Don Gnocchi, importante presenza nella realt di Milano, che nei suoi centri vede attivi (dato 2008) pi di 760 volontari, che si dedicano alle categorie sociali ospitate nei vari centri: bambini, anziani, disabili e ammalati. Amici della Fondazione, Amici del Palazzolo, Avo, Auser, Gruppo Scout, Unitalsi e molte altre associazioni collaborano con il personale nelle attivit di

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socializzazione degli ospiti, offrendo anche un supporto indispensabile alle famiglie. Ma i volontari non si trovano solo in Fondazioni di origine religiosa. Unimportante Fondazione di Milano, espressione della realt imprenditoriale, Sodalitas, conta su ex dirigenti che dedicano volontariamente il loro tempo alle inziative della Fondazione. Il rapporto sociale 2008 pubblicato dalla Fondazione, presenta la mission di questorganizzazione, costituita da 72

Fondatori dimpresa (fra cui le maggiori imprese milanesi) e da 90 Fondatori volontari, che poi per le sue attivit si avvale anche di 104 volontari attivi, e di 12 in inserimento. Promuovere la cultura della responsabilit sociale d Impresa e della Sostenibilit, sostenere lo sviluppo mangeriale delle organizzazioni non profit attraverso progetti di sistema e interventi gratuiti di consulenza on demand, promuovere nei giovani leducazione ai valori sociali del

lavoro, incoraggiare la partnerschip con soggetti diversi, oltre che collaborare ai vari eventi della Fondazione sono i compiti ai cui sono chiamati i volontari. Volontariato significa partecipazione attiva alla crescita del capitale relazionale, vera ricchezza di una comunit. Un orecchio pi attento alle istanze che vengono da queste realt quanto ci si aspetta dai nostri politici, locali e nazionali.

Sanit IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE E LA TESSERA SANITARIA Claudio Rugarli


La notizia di pochi giorni fa. A una bambina nigeriana di 13 mesi, la piccola Rachel Odiase, stato rifiutato il ricovero nellospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio perch sprovvista della tessera sanitaria e, dopo che questo avvenuto per lintervento dei carabinieri, la piccola paziente morta, sembra per disidratazione. Le notizie riportate dai giornali non aiutano a capire quello che successo realmente. Non si trattava della figlia di clandestini perch si apprende che il padre aveva lavorato regolarmente fino a poco tempo prima, ma aveva perso il posto da poco e perci la sua tessera sanitaria era scaduta (e poi, se anche fosse stato un clandestino, non vedo quale differenza ci sarebbe stata). La bambina era verosimilmente affetta da uninfezione gastrointestinale da qualche calicivirus, perch si apprende che era gi stata vista al Pronto Soccorso dello stesso ospedale e rimandata a casa con la prescrizione di tre farmaci antivomito. Ora, tra gli effetti importanti del vomito ripetuto c anche la disidratazione, ossia la perdita di acqua nellorganismo, non solo per il liquido eliminato direttamente dallo stomaco, ma anche per limpossibilit di ritenere il liquido bevuto. E di disidratazione si pu morire, soprattutto a 13 mesi. Cerano state difficolt a ricoverarla? Le prime notizie hanno riferito che il motivo della mancata accoglienza era il fatto che la tessera sanitaria era scaduta. Tuttavia lazienda ospedaliera dalla quale dipende lospedale di Cernusco sul Naviglio ha fatto sapere che loro ricoverano tutti, secondo precise normative che garantiscono ai cittadini stranieri lassistenza sanitaria, senza nessuna discriminazione sulla base della regolarit dei documenti di soggiorno. E allora perch sono dovuti intervenire i carabinieri, sempre a quanto riferisce la stampa, per fare ricoverare, ahim troppo tardi, la bambina? Forse la colpa era dei medici, che non lhanno voluta? Mi rifiuto di crederlo perch, anche se il giuramento dIppocrate non molto di moda, mi sembra impossibile che dei colleghi si siano resi protagonisti di una vessazione burocratica e razzista. Certo che sul caso della piccola Rachel stata ordinata uninchiesta dei NAS e si in attesa dei risultati dellautopsia che saranno resi noti in forma definitiva il 12 maggio. Perci, la possibilit che la morte sia stata dovuta a disidratazione deriva da considerazioni cliniche, ma che sono molto fondate. Questo triste episodio unoccasione per riflettere su un problema pi generale che la interferenza di interventi politici e amministrativi su scelte mediche che dovrebbero essere affidate solamente alletica della nostra professione. E di qualche tempo fa il provvedimento che elimina lobbligo di riservatezza, e perci il divieto di denuncia, relativamente agli immigrati clandestini che si presentano nelle strutture mediche per problemi di salute. Si gi discusso a lungo sulle conseguenze negative per la salute collettiva della persistenza in circolazione di persone con possibili malattie infettive che rifuggono dalle cure mediche per timore dellespulsione. Molti medici hanno gi dichiarato che non avrebbero mai denunciato un immigrato clandestino che si rivolgesse a loro perch malato. Sulla soglia di un ambulatorio a Venezia ha visto, in bella evidenza, la scritta Qui non si denuncia nessuno. Ma il punto che pi mi disturba che i governanti hanno considerato seriamente lipotesi che un medico denunci una persona malata che gli si rivolge per avere soccorso. E poich lintento, manifestamente, non stato quello di fidarsi tanto delletica dei medici da considerare superflui dei divieti, quanto piuttosto di procurarsi delle opportunit in pi per identificare ed espellere immigrati clandestini, questo significa che i governanti hanno considerato una prospettiva realistica che i medici mettessero in pratica questa forma odiosa di delazione. A questo ridotta la nostra professione? Personalmente, e non credo di essere tanto originale, ritengo che il medico debba fare del suo meglio per chiunque, indipendentemente dalle sue idee e dai suoi interessi, senza mettere a profitto la sua posizione, che nel rapporto terapeutico inevitabilmente di superiorit, per colpire chi gli antipatico o nemico. Amo ripetere che, se Stalin o Hitler redivivi (per non parlare di personaggi pi vicini nel tempo e nello spazio) chiedessero il mio intervento medico, mi impegnerei a fondo in loro favore come per qualsiasi altro ammalato. Credo che questo precetto etico debba valere anche per le altre attivit, per esempio per quella del magistrato, dato che il medico pu beneficare e il magistrato punire. Non si pu escludere che tra i magistrati che colpiscono qualche politico vi sia qualcuno che ne approfitta per portare vantaggio alla parte cui si sente legato. Ma sono sicuro che, a differenza di quanto sostenuto da chi ha interesse a dirlo, la stragrande maggioranza dei magistrati agisce secondo la propria coscienza, cos come fanno, o dovrebbero fare, i medici. Purtroppo, sono tempi difficili non solo per i magistrati, ma anche per i medici. Ricordarsi del giuramento di Ippocrate pu essere anche pericoloso. E il caso dei medici dellospedale di Emergency di Lashkar Gha in Afganistan, la cui colpa reale stata, agli occhi di chi li ha arrestati, quella di curare egualmente

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governativi, Talebani e popolazione locale, indipendentemente dalle convinzioni di chi cercava la loro assistenza. E che cosa avrebbero dovuto fare? Lidea della croce rossa nata sul campo di battaglia di Solferino secondo il principio che lassistenza medica debba essere somministrata indifferentemente alle parti combattenti di una guerra. Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Gino Strada e sua moglie e nessuno mi persuader mai a credere che in un loro ospedale si complottasse per uccidere un governante. E evidentissimo che il ritrovamento delle armi

stata una messa in scena per avere il pretesto di colpire. Tanto pi che certamente si contava su una blanda difesa degli arrestati da parte delle nostre autorit governative, come in effetti, almeno in un primo momento, avvenuto. Si pu anche supporre che il pacifismo del fondatore di Emergency si prestasse a equivoci e allidea che simpatizzasse per gli avversari del governo di Kabul e dellalleanza NATO. Ma questo significa non avere capito niente. Personalmente non condivido fino in fondo questa idea radicale di pacifismo, c sempre il problema che i cattivi so-

no prepotenti e non si pu fare a meno di opporsi alla loro violenza. Ma sono anche convinto che Emergency ha scelto la sola strada che pu giovare alla diffusione di una cultura pacifista, dimostrando che esiste qualcosa che al di l e al di sopra della violenza, com il caso della medicina. Credo che questo faccia onore allItalia e ricorda a noi medici limportanza della nostra professione e del giuramento di Ippocrate. Se una guerra sanguinosa non riesce a cancellarlo, figuriamoci se possa riuscirci una tessera sanitaria.

Societ UBOLDO, ASSASSINI IN OSPEDALE Giuseppe Ucciero


Rachel stata assassinata. La sua colpa: essere invisibile, perch piccola e nigeriana. Non poteva parlare e non doveva parlare, e anche se avesse potuto non sarebbe stata udita. Daltra parte, neppure le parole, le urla, il dolore straziante gridato dal padre stato udito. Invisibili ai ciechi, inauditi ai sordi, intoccabili agli insensibili. LOdio generato e diffuso a piene mani dalla Lega trova i suoi primi silenziosi esecutori. Per carit, niente pogrom, niente assalti sanguinosi, niente violenza, basta lasciar fare al mercato e ai regolamenti, basta ripetere ossessivamente il mantra dellodio, che poi qualcuno si incarica, nel silenzio dei suoi adempimenti tecnico formali, nel gelo della prassi tecnocratica, di eseguire le condanne a morte. Cos Rachel, bimba di tredici (13) mesi stata lasciata morire senza cure nella civilissima Uboldo, in un ospedale che, siamo certi, assolutamente in regola con i gelidi criteri dellaccountability federalista, ma non ha trovato la sensibilit, il cuore, lumanit consapevole, per salvarle la vita. Prima negandole lassistenza, poi fingendo di apprestargliela, in realt lasciandola morire come una piccola bestiola condannata. Prima di lei, a Melzo, stessa ASL, morto nelle medesime circostanze un piccolo albanese di 18 mesi. In 200 poi i migranti extracomunitari hanno urlato sgomento e rabbia per le vie di Carugate. Hanno protestato civilmente, come certamente padri e madri italiani non avrebbero fatto. Hanno gridato con la morte ma anche la paura nel cuore, paura di essere cacciati, colpiti, ancora pi esclusi: la furia del debole che non sa che fare neppure del suo dolore. Ma questi piccoli corpi, questi dolori strazianti, questo sgomento senza parole, a qualcuno vanno messi in conto e non si pensi che qui basti fare il nome degli esecutori materiali di questi veri e propri assassinii, di questa pulizia etnica sub specie sanitaria. Qui non solo questione del medico ignavo (ma quanto sarebbe stato solerte e apprensivo di fronte al figliolo malato della Gianna) o del manager dellASL (i regolamenti sono i regolamenti, ma quanto si sarebbe sbattuto per trovare una soluzione al figlio del politico a cui deve tutto). Ignavia e burocrazia sono lo schermo della mano dei mandanti della campagna di odio, di disprezzo, di indifferenza: gli assassini hanno altri nomi, sono molto pi importanti e arroganti. I Bossi, i Maroni, i Calderoli, i Borghezio, questa spuma sociale proveniente da chiss quale spurgo della storia nostra, hanno sulla coscienza, propria e personale, morale anche se non penale e non solo politica, la responsabilit di avere propagato nel paese, e fin nella nostra cattolicissima Brianza, la teoria e la prassi di unapartheid spirituale che inquina le coscienze, ottunde le sensibilit, distoglie la memoria dalle nostre radici pi profonde. A chi ritiene che la Lega sia una sorta di DC verde, un po pi sanguigna e maleducata, ma tutto sommato tanto simile alla cara vecchia balena, sfugge il momentum, sfugge la comprensione essenziale della rottura culturale che questa formazione culturalmente eversiva si porta dentro geneticamente: la DC era tanto inclusiva, quanto la Lega escludente, fondata su clivage verticali ricavati dal concetto di nemico: prima i terroni, poi gli extracomunitari, domani chiss. E non sia di schermo il fare bertoldesco, quellaria da ragazzotti di campagna, onesti, e magari solo un po rozzi ed eccessivi solo verbalmente. No, qui vi di pi, molto di pi, vi un changement dellanima, un chiudersi nel proprio, un cercare riparo dalle onde furiose della globalizzazione condotto privilegiando uno spirito di falsa comunit, un rinserrarsi sui dan, sulla roba, un gridare alluntore che ce la vuole portare via, un untore cercato e individuato indipendentemente, e anzi, proprio per la sua innocente debolezza, ch il capro espiatorio assolve alla sua funzione esattamente perch innocente. Povera Rachel, poveri genitori di altri paesi, e poveri noi.

Urbanistica GIOCHIAMO A NON-OPOLI? Giorgio Origlia

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Proviamo a fare della fanta-politica? Se lidea si potesse trasformare in un gioco, lo potremmo ad esempio chiamare il gioco di Non-opoli. Lidea si basa su di una fantasia ovviamente assurda, che questa. Nel 2016, dopo aver riscoperto con lExpo che fuori Milano c la natura, folgorati da questa illuminazione i cittadini milanesi si convertono in massa a modelli di consumo virtuosi. E alle elezioni comunali un nuovo partito ecologista, che chiameremo degli Ecoradicali, sbaraglia destra e sinistra e stravince. Immaginiamo che il primo provvedimento degli Ecoradicali, forti di una maggioranza assoluta e intenzionati a segnare una svolta drastica verso la difesa dellambiente, sia quello di abrogare la legge per rendere abitabili i sottotetti e il Piano Casa. Ma non solo: udite udite, decidono di bloccare qualsiasi nuova edificazione in tutto il territorio comunale, revocando tutte le licenze edilizie per nuove costruzioni, e rifiutando di concederne di nuove. Gli unici interventi ammessi sui terreni che prima erano edificabili saranno le creazioni di orti e serre. Nessun volume edilizio potr pi subire incrementi, neanche per laggiunta di servizi. Da quel momento si potr lavorare soltanto allinterno delle volumetrie esistenti. Vimmaginate le prime reazioni? Proprietari terrieri e impresari edili in lacrime a stracciarsi le vesti e a paventare alla bancarotta, vibrate proteste per solidariet da parte di Confindustria e delle associazioni di settore, ricorsi al TAR, minacce di trasferire le aziende in Lichtenstein lasciando a casa migliaia di addetti, eccetera. Fantapolitica, avevamo detto... anche perch nessun municipio sarebbe cos pazzo da rinunciare ai soldi che direttamente o indirettamente provengono dalledificabilit dei

suoli. Ma se state al gioco proviamo a immaginare cosa potrebbe accadere nel giro di qualche anno, se malgrado il putiferio scatenato la giunta degli Ecoradicali mantenesse le sue posizioni. E chiaro che la rendita di posizione rester come discriminante nel valore degli immobili: la novit che non se ne potr creare di nuova. O piuttosto, per incrementare quella esistente si dovr lavorare non pi sullespansione del costruito, ma sulla qualit degli insediamenti esistenti. Le imprese edili abituate a ricavare profitti dalla creazione di nuove rendite di posizione pi che dalla produzione di valore aggiunto sarebbero costrette o a chiudere o ad accettare il fatto nuovo. Ovvero che, come per tutte le altre attivit produttive, anche nelledilizia da quel momento il profitto dato la differenza tra il costo di produzione e il prezzo del prodotto. Le imprese pi intelligenti scoprirebbero cos che si pu benissimo vivere lavorando a migliorare la qualit del patrimonio edilizio esistente e delle infrastrutture, ad esempio convertendo edifici per uffici vuoti o palazzi fatiscenti a nuovo uso, migliorandone la classe energetica, collaborando con il Comune per una dotazione di infrastrutture pi efficiente, pubblicizzando queste qualit per poi affittarlo o rivenderlo per ricavarne un giusto profitto. Innescando cio una competitivit basata sull offerta di qualit, oltrech sulla posizione. Ammettiamo poi che il blocco delle nuove edificazioni lasci insoddisfatta anche solo una parte lenorme domanda potenziale (pensiamo alla Milano di due milioni di abitanti) immaginata dallattuale governo. Molti edifici per uffici vuoti o semivuoti di cui piena la cintura milanese, che stanno dove sono solo per costituire una garanzia da dare alle banche compiacenti per farsi pre-

stare altri soldi, diventerebbero improvvisamente e miracolosamente appetibili, pronti a rientrare sul mercato. Magari non per farci degli uffici, se la domanda non c, ma per trasformarli ad esempio nelle abitazioni per ospitare le masse di abitanti nuovi che fremono per trasferirsi a Milano. Dunque molti edifici esistenti subirebbero consistenti trasformazioni interne, sempre nel rispetto del vincolo delle volumetrie esistenti. Questa attivit di ristrutturazione e riqualificazione dellesistente sarebbe affidata ovviamente ad artigiani e piccoli impresari, ovvero a coloro che, prima dellavvento degli Ecoradicali, gi lavoravano in subappalto per costruire nuovi edifici per conto delle imprese pi grandi. Quindi si potrebbe scoprire dopo qualche anno e con stupore che, contrariamente alle pi cupe previsioni, n il numero delle aziende n quello degli addetti risulta diminuito, essendo solo dirottato ad attivit di recupero edilizio, anzich di nuova costruzione. Cos anche il Comune di Milano, non pi costretto a sprecare denari per correre dietro a nuove iniziative immobiliari sparse sul territorio con costose urbanizzazioni, si ritroverebbe anchesso interessato a investire nel recupero qualitativo delle infrastrutture esistenti. Intanto i terreni non pi edificabili sarebbero messi almeno temporaneamente a reddito riscoprendo le loro dimenticate vocazioni agricole. Dando cos lavoro duraturo ad altre persone, e producendo cibo per i milanesi a chilometri zero. Follia, eh? Certo, abbiamo scherzato. Ma teniamo lo scherzo per noi, non raccontiamolo ai comuni cittadini di Milano: altrimenti c il rischio che davvero diventino tutti Ecoradicali

Scrive Paolo Lozza


Prima di tutto un po di sana polemica, non con Mario De Gaspari che stimo, ma con Penati. De Gaspari ci dice che la proposta di Penati va presa sul serio, salvo poi affermare che sconta una certa improvvisazione e, come una giustificazione non richiesta, aggiungere anche che stata fatta durante un incontro con lavoratori in lotta per la difesa del posto di lavoro. Quasi a dire che, in quel contesto, si possano anche lanciare sparate a capocchia. Se cos, non condivido. Per cui mi risulta difficile prendere sul serio una proposta manifestata improvvisamente, senza un minimo di articolazione, senza un minimo di supporto disciplinare, senza un minimo di dibattito pregresso, senza che ve ne fosse traccia, almeno cos mi pare, nel programma elettorale (ebbene s, almeno sul sito di Penati Presidente, cera anche un programma), una proposta buona magari a prendere un applauso dagli operai presenti ma poco utile ad altro. Aggiungo: una proposta espressa da un Presidente della Provincia di Milano che non ha saputo (o voluto?) sostenere lapprovazione di un Piano Territoriale Provinciale che avrebbe dato basi serie a una sana gestione del territorio; una proposta espressa da un Sindaco di Sesto San Giovanni che, a suo tempo, non mi pare abbia posto grandi ostacoli al progetto di trasformare larea falk una delle pi grandi speculazioni immobiliari. Polemica terminata, veniamo alla proposta. E perfettamente vero che favorire la valorizzazione delle aree

produttive non pu che accelerare la crisi delle aziende, anche se non collegherei direttamente valorizzazione e crisi. Pi spesso, almeno storicamente, si trattato di collegamento diretto tra valorizzazione e semplice delocalizzazione. Il punto : pu un vincolo urbanistico di destinazione duso impedire il fenomeno? Io credo di no. E daltra parte anche De Gaspari si chiede, nel suo intervento, se dieci anni di blocco edificatorio siano utili a scoraggiare speculazioni immobiliari che, aggiungo io, quasi sempre si possono permettere tempi di rientro dellinvestimento ben pi lunghi di un solo decennio. Ho in mente lesperienza fatta dai Comuni del rhodense che - fin dalla prima met degli anni novanta, quando la Fiat inizi la riduzione di personale che nellarco di un quindicennio ha portato allattuale sostanziale dismissione dellex Alfa Romeo simpegnarono a non consentire cambiamenti di destinazione duso dellarea e crearono perfino, con la Provincia e la Regione, un ente pubblico per la reindustrializzazione del sito (CRAA - Consorzio per la reindustrializzazione dellarea di Arese). I risultati sono stati a dir poco deludenti, tanto che oggi gli stessi Comuni

accettano di buon grado di insediare ad Arese centri commerciali e residenza. In quel caso quindici anni di blocco edificatorio non sono bastati. (Certo, oggi i comuni del rhodense hanno un segno politico diverso, ma non forse lecito pensare che, anche con giunte di centrosinistra, il risultato sarebbe analogo?) Che fare allora? Forse la strada per contenere le speculazioni sulle aree industriali passa per altri luoghi. Forse la disciplina urbanistica ci pu aiutare, ma attraverso altri strumenti. Forse si pu pensare che lurbanistica possa introdurre regole che raddrizzino un poco le distorsioni del mercato immobiliare. Forse si pu pensare che, a fronte della proposta di un programma integrato di intervento su unarea exindustriale, il sindaco di turno non vada alla trattativa con il cappello in mano accontentandosi di elemosinare il rinnovamento palazzo comunale, piuttosto che il nuovo centro civico o il nuovo auditorium comunale, oppure (ho sentito anche questa) una piscina che diventer di propriet pubblica dopo trentanni, giusto quando dovr essere completamente rifatta. Forse imponendo alloperatore oneri che intacchino ben pi pesantemente

i margini operativi delloperazione immobiliare, si potrebbe pervenire a una dissuasione economica pi efficace di un blocco edificatorio per sua natura temporaneo. Ma per fare questo - ha ragione De Gaspari - ci vuole una legge urbanistica regionale che, al contrario dalla legge 12/2005, non consenta la concertazione al ribasso. Forse, aggiungo io, ci vorrebbe una legge urbanistica che non consegni nelle sole mani del sindaco i poteri decisionali sul territorio; una legge urbanistica che, privilegiando la pianificazione di area vasta, veda i sindaci - oggi deboli di fronte alla grandissima forza economica della rendita immobiliare essere rafforzati attraverso la condivisione delle scelte, e quindi degli oneri e degli onori, con gli enti sovraordinati. Imporre oneri molto pesanti rendere significa economicamente meno vantaggiosa la speculazione sulle aree e forse spingerebbe gli operatori industriali a continuare a fare il loro mestiere, magari un po meglio, con vantaggio per il mondo del lavoro. Sommessamente aggiungerei che trarrebbe vantaggio la citt tutta che eviterebbe di soffocare nel cemento inutile dei centri commerciali. Ma questa, forse, unaltra storia.

RUBRICHE MUSICA
Questa rubrica curata da Palo Viola rubriche@arcipelagomilano.org

Le novit della prossima stagione musicale


Una Stagione Sinfonica da settembre a giugno, ricca di 38 programmi, un nuovo ciclo de laVerdi Barocca, una rassegna dedicata a Nino Rota nel centenario della sua nascita, Crescendo in Musica, per la prima volta una Stagione da camera. E una collaborazione con la Yale Opera che prosegue. Cos stato presentato alla stampa, il 14 aprile scorso, il programma per la stagione 20102011 dellOrchestra Verdi con grande soddisfazione di tutti coloro che solo due anni fa temevano di essere gi arrivati alla fine di un sogno durato poco meno di ventanni; una vera e propria resurrezione di cui a ogni concerto, sia in platea che in palcoscenico, ancora palpabile la gioia. Un programma densissimo che in 270 giorni - dal 5 settembre al 9 giugno vedr lAuditorium aprire il sipario su circa 200 concerti dimostrandosi cos una delle istituzioni musicali pi attive in Europa. Pare anche non sia lontano il ritorno, sul podio della Verdi, di Riccardo Chailly che ne stato direttore stabile dal 1999 al 2005; un ritorno che sembra quasi riecheggiare quello ormai mitico del 4 e 6 giugno prossimi di Claudio Abbado alla Scala (a proposito, lultima speranza di trovare qualche posto ai due concerti quella di connettersi via internet alla biglietteria del teatro alle 9 del mattino del prossimo gioved 22 aprile: buona fortuna!). La prossima stagione musicale milanese si presenta movimentata su diversi fronti: mentre dunque la Verdi allarga significativamente la sua programmazione a giovani e giovanissimi, ad autori moderni e contemporanei, alla musica barocca a quella da camera, la Scala sembra stia trovando il nuovo direttore stabile (nei salotti buoni milanesi non si parla daltro e qualcuno propone anche scommesse) dopo linstabile epoca che ha visto protagonista assoluto del nostro grande teatro Daniel Barenboim; il quale laltra sera, alla prima del Simon Boccanegra, dopo aver vissuto anni di vero amore con il suo pubblico, ha dovuto incassare con grande sorpresa di tutti qualche buuh (noi, a dire il vero, avevamo gi avanzato qualche riserva su una certa superficialit direttoriale manifestata nella Carmen, peraltro bellissima, di Emma Dante). Altre sorprese potranno poi arrivare dal Conservatorio dove, con una sgradevolissima decisione ministeriale di sapore

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squisitamente politico, non si voluto rinnovare lincarico di presidente a Francesco Saverio Borrelli il quale finalmente, dopo gli anni opachi delle precedenti gestioni, era riuscito a dare un po di smalto a uno dei pochi Istituti di cui i milanesi si vantano; alluscita di scena di Borrelli, che con grande nobilt danimo ha rifiutato linutile presidenza onoraria con cui altri volevano lavarsi la coscienza, segue larrivo di Arnoldo Mosca Mondadori il cui curriculum vitae non racconta nulla che riguardi la musica, almeno quella che sinsegna in un Conservatorio, ma in compenso risulta essere - oltre che editore, come ci ricorda il nome - esperto di eventi e dunque staremo a vedere. Dei Pomeriggi Musicali la meritoria istituzione della Regione Lombardia che opera stabilmente al teatro Dal Verme di Milano con la sua collaudata e apprezzata orchestra si ha notizia che abbiano in programma lesecuzione integrale delle nove Sinfonie di Beetho-

ven e quanti non avessero mai avuto occasione di ascoltare lintero ciclo in poche serate non se lo dovrebbero lascar scappare: una vera, rara e indimenticabile avventura dello spirito. Lintegrale sar concentrata in soli quattro concerti (Seconda e Terza, Quarta e Quinta, Sesta Settima e Ottava, Prima e Nona) che si terranno fra il 10 e il 22 giugno al teatro degli Arcimboldi, dunque in un ambiente certamente meno gradevole del Dal Verme ma con unacustica sicuramente pi felice. Sar diretta da Antonello Manacorda, direttore stabile dei Pomeriggi e colto musicista, che ci auguriamo approfitti di questa preziosa occasione per trascinare lorchestra nella sublime visionariet beethoveniana infondendole entusiasmo e ridandole quello slancio che in altri anni non mancava e che ultimamente sembra essersi un po appannato. E un vero peccato che questorchestra milanese sia cos poco promossa al di fuori della regione lombarda; c da

sperare che il nuovo direttore artistico, il compositore Ivan Fedele, forte delle sue importanti frequentazioni internazionali, riesca a portarla pi spesso in giro per il mondo e a farla diventare pi protagonista della vita musicale cittadina. Ma non vi una sorta di conflitto dinteressi nel fatto che un compositore sia il direttore artistico di unistituzione che per sua natura promotrice di nuova musica? Questo ciclo beethoveniano ci sembra un ottimo inizio di programmazione attraente, ma riteniamo che per diventare come merita un vero evento dovrebbe e potrebbe essere pubblicizzato meglio e di pi. A meno di due mesi dallinizio se ne sa poco o nulla, non abbiamo visto alcunch sulla stampa, e non ve n traccia n sul sito dei Pomeriggi n su quello degli Arcimboldi. Che dipenda dal fatto che lOrchestra della Regione e il Teatro del Comune, e che dunque stiano litigando tra loro per come apparire in cartellone?

ARTE
Questa rubrica a cura di Virginia Colombo rubriche@arcipelagomilano.org

Fundaci Joan Mir - Barcellona


Se avete intenzione di fare un viaggio a Barcellona, una delle tappe che non potete saltare sicuramente la Fundaci Joan Mir. Creata nel 1981 dallo stesso Mir, la fondazione voleva essere un centro di aggregazione e di studio dell'arte contemporanea. In essa sono riuniti pi di 11.000 pezzi: 5.000 disegni, pi di 200 dipinti, opere grafiche, 150 sculture, ceramiche, arazzi e altre testimonianze di quellartista poliedrico e sperimentatore che fu Mir. La maggior parte di queste opere furono donate alla Fundaci direttamente dallartista, altre invece provengono dalle collezioni di Joan Prats, amico fraterno, e di Pilar Juncosa, vedova di Mir. Anche ledificio degno di nota. Si tratta infatti di un blocco in cemento armato a vista, opera di Josep Lluis Sert, strutturato attorno a 2 giardini con sculture di Mir e alberi mediterranei. Innovativa l impostazione delle sale, progettate con grandi vetrate e collegate con i giardini esterni per sfruttare labbagliante luce mediterranea e nel contempo per permettere al visitatore di avere, tra unopera e laltra, una vista mozzafiato della citt. Il percorso espositivo si snoda su tre piani e procede per ordine cronologico. E possibile seguire i suoi primi passi nel mondo dellarte, i suoi contatti con le avanguardie di inizio secolo, fino ad arrivare alle sperimentazioni pi estreme con ogni tipo di materiale, passando attraverso lesilio volontario a Parigi durante la guerra civile spagnola. Pannelli descrittivi in ogni sala permettono al visitatore di capire lo sviluppo del suo stile, molto lirico, gestuale, libero ma allo stesso tempo rigoroso nelluso del colore e delle tele di grande formato. Una parte delledificio dedicata alle mostre di arte contemporanea, e un apposito spazio, lEspai 13, un laboratorio di sperimentazione e innovazione che permette di far conoscere gli artisti emergenti pi originali. Troverete un ulteriore pretesto per fare una passeggiata fino alla Fondazione Mir, nel verde e nei panorami che si possono godere dalla collina di Montjuic.

Fundaci Joan Mir. Barcellona. Orari: da ottobre a giugno 10-19; da luglio a settembre 10-20. Gioved 10-21.30. Domenica 10-14.30. Chiuso luned. Biglietti: intero 8,50 ; ridotto 6 .

Il Grande Gioco. Forme darte in Italia. 1947 1989


Tre mostre per fare una panoramica sulla storia italiana dal secondo dopoguerra alla caduta del muro di Berlino, mettendo in rete tre importanti realt del territorio lombardo: la Besana di Milano, la GAMeC di Bergamo e il nuovo Museo dArte Contemporanea di Lissone. Il titolo della mostra, "Il Grande Gioco", stato scelto per evidenziare la ricchezza di quegli anni di scoperta e sperimentazione, caratterizzati da un'intensa collaborazione tra gli artisti e quanti operavano in territori affini, come l'architettura, il cinema, il design, l'editoria, il teatro, la televisione e la pubblicit. Storia e arte spesso vanno di pari passo, e analizzare tutti gli elementi culturali di una societ in un determinato tempo pu essere unutile chiave di lettura per farci comprendere e interpretare ci che stato. Il criterio scelto per la distribuzione delle opere nei diversi spazi di tipo cronologico. Si inizia con Lissone, 1947-1958, si passa a Milano con gli anni 1959-1972 per poi giungere a Bergamo agli anni 1973-1989. A Milano tocca quindi rappresentare gli anni

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che vanno dal boom economico alle contestazioni studentesche. La generazione artistica di quegli anni si svincola dalle nozioni di tela, dipinto o scultura per approdare a uno spregiudicato uso di forme, spazi e materiali. Le lamiere di Burri, i libri tagliati di Munari, Kounellis che espone un pappagallo vivo. Ma anche oggetti di design (la radio Brionvega e i Moon Boots), le canzoni

di Adriano Celentano e Mina, il carosello, le pubblicit di Armando Testa. Tutto fa da contorno a unesposizione labirintica anche in senso fisico, che si snoda tra Manzoni, lArte Povera, gli specchi di Pistoletto, i manifesti di Rotella e le installazioni che pendono dal soffitto o che il visitatore quasi costretto a scavalcare. Unoccasione preziosa per assaporare la vita di una societ italiana

vitale, culturalmente propositiva e coraggiosa. Il Grande Gioco. Forme darte in Italia. 1959 1972. Rotonda di Via Besana, 12. Orari: 9.30-19.30. Gioved 9.3022.30. Luned 14.30-19.30. Biglietti: intero 8; ridotto 6. Abbonamento tre sedi: 10,50; ridotto 9. Fino al 9 maggio.

Schiele e il suo tempo.


Schiele e il suo tempo: nome azzeccato per una mostra che non solo permette di vedere una quarantina di opere del maestro austriaco, ma che ci conduce attraverso la storia e la vitalit della Vienna degli ultimi anni dellOttocento e dei primi del Novecento: attorno alla figura di Schiele, infatti, viene ricostruita la vita politica e culturale della capitale austriaca. Partendo dalla fondazione della Secessione e attraverso le opere dei pi grandi artisti esponenti di questo movimento (Gustav Klimt, Oskar Kokoschka, Richard Gerstl, Koloman Moser), il percorso ci conduce fino al 1918, anno segnato dalla fine delle Grande Guerra e dalla morte prematura di Schiele e Klimt. Possiamo cos seguire linfanzia di Schiele nella campagna austriaca, la sua naturale predisposizione per il disegno, lamicizia sincera che lo leg sempre a Klimt, le sue storie damore, la prigionia dovuta a uningiusta accusa, il servizio di leva a Vienna. Tutto questo segna la sua produzione, dai quadri che ritraggono sua sorella minore, a quelli sulle sue fidanzate, fino a quello che stato definito come il suo omaggio a Klimt (Gli eremiti). Schiele il primo artista a essere spregiudicato nel ritrarre la fisicit umana e le pulsioni pi intime: il punto di vista sui suoi soggetti spesso inconsueto e le posture disarticolate. Della stessa intensit i paesaggi proposti. Completano il percorso, oltre alle foto e alle testimonianze della decadenza dellImpero Asburgico, una piccola didascalia su un giovane Hitler che, al tempo, si aggirava ai margini di quella societ, mentre le note di Mahler e Strauss accompagnano i visitatori lungo tutto il percorso.

Schiele e il suo tempo. Palazzo Reale. Piazza del Duomo, 12. Orari: 9.3019.30. Luned 14.30-19.30. Gioved e sabato 9.30-22.30. Biglietti: intero 9; ridotto 7,50; ridotto scuole 4,50. Fino al 6 giugno.

Roy Lichtenstein. Meditations on art


Dopo il successo delle mostre su Warhol, Haring e Basquiat, la Triennale di Milano presenta un altro grande nome dellarte contemporanea, lartista Pop Roy Lichtenstein. Una mostra antologica che sar visitabile dal 26 gennaio al 30 maggio e che sar poi ospitata al Ludwig Museum di Colonia. Una retrospettiva suddivisa in sezioni tematiche che partono dalle opere pre-pop degli anni 50 e arrivano agli ultimi lavori dellartista, morto nel 1997. La mostra non espone le classiche icone pop o i famosi fumettiin formato gigante, ma esplora la produzione legata al lavoro di rivisitazione che lartista fece delliconografia medievale, delle scene di storia americana e in generale di opere famose di artisti del passato pi o meno recente, come Monet, Carr, Dal, Magritte, Picasso e Matisse. A partire dalla riproduzione di unimmagine celebre, una banale copia, Lichtenstein trasfigurava e reinterpretava il soggetto negli stilemi suoi tipici: bidimensionalit, colori accesi e i punti Benday, ovvero quei puntini risultato di un processo di stampa che combina due (o pi) diversi piccoli punti colorati per ottenere un terzo colore. Questo era il procedimento tipico dei fumetti delle origini e che divenne il leitmotiv dellintera opera dellartista. Una rassegna per capire chi rappresent Cubismo, Espressionismo, Futurismo, Action Painting, Minimalismo, ritratti e nature morte con unironia dissacrante tipicamente americana. Tutto questo Lichtenstein, tutto questo Pop.

Roy Lichtenstein. Meditations on art. Triennale di Milano. Viale Alemagna, 6. Orari: 10.30-20.30, luned chiuso. Gioved e venerd 10.30-23.00. Biglietti: intero 9; ridotto 6,50 o 5,50. Fino al 30 maggio.

TEATRO questa rubrica a cura di Guendalina Murroni rubriche@arcipelagomilano.org (Stiamo) Aspettando (seriamente) Godot?
Questa settimana: Sabato 24 aprile La bicicletta di Lia, organizzato dal Teatro della Cooperativa, ritrovo alle 14.30 presso i giardini Gina Galeotti Bianchi. Percorso partigiano in bicicletta. Per ulteriori informazioni: http://www.teatrodellacooperativa.it/ AllElfo avremo ancora in cartellone Nel buio dellAmerica Dissonanze, fino al 25 aprile La Notte poco prima della Foresta, monologo di Bernard Marie Kolts con Claudio Santamaria e

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fino al 16 maggio andr in scena Shopping and Fucking. Enrico V, moltissimo liberamente tratto dallEnrico IV di Luigi Pirandello con

Michele di Mauro al Teatro i dal 19 al 22 aprile. Democracy A.D., al Teatro Litta dal 20 aprile al 2 maggio.

Alessandro Giachero al Pim Spazio Scenico, 25 aprile, concerto di pianoforte

CINEMA
questa rubrica a cura di Simone Mancuso rubriche@arcipelagomilano.org

Green Zone di Paul Greengrass


Dopo United 93, The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum, il regista Paul Greengrass firma questo bellissimo drammatico di guerra. Basato sul bestseller del giornalista del Washington Post Rajiv Chandrasekaran, Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraqs Green Zone, scritto dal premio Oscar Brian Helgeland (Mystic River), un ritorno di tutti gli elementi autoriali del regista dai suoi tre film citati prima. Dalluso della macchina a mano, al montaggio serrato che descrive le scene di estremo realismo. Un thriller, come molto spesso si rivela essere la politica internazionale, se si scava un po' dietro quella che vorrebbero inocularti come verit ufficiale. 'Green zone' questo: un film che affronta sotto le mentite spoglie di un action movie i fantasmi di quella guerra irrisolta, di un conflitto che ha saturato gli schermi di tutto il mondo lasciando per lunghe ombre sugli aspetti pi ambigui della conduzione militare. Dopo la vittoria della Bigelow agli oscar, torno prepotentemente lIraq nel cinema Hollywoodiano, che come fu per il Vietnam, fornisce infinito materiale per produzioni cinematografiche. Certamente escono fuori le esperienze da shooter che Greengrass ebbe allinizio della sua carriera, quando per la BBC filmava in giro per il mondo conflitti e devastazione, raccontandoli con documentari per la rete nazionale britannica. E lo spirito con cui gira questo film, quasi lo stesso di quei documentari, con qualche artifizio in pi, ma vi sempre un scopo finale: la ricerca della verit, o meglio, delle verit.

Shutter Island di Martin Scorsese


Claustrofobia. E' questa la prima sensazione che scaturisce da questo film. Non solo per l'ambientazione in un penitenziario su di un'isola, ma soprattutto per il lavoro del regista, che non riesce ad andare oltre alla perfezione del genere, consegnandoci un prodotto di ottima fattura, che non rispecchia quel senso naturale di avanguardia e sperimentazione che, da sempre, hanno caraterizzato il genio di Martin Scorsese. E' come se la produzione non avesse voluto rischiare un flop ai botteghini, cosa al quanto difficile direi, quando in cartellone vi sono i nomi di Scorsese e Di Caprio, richiedendo al regista ed alla sceneggiatrice Laeta Kalogridis, uno sviluppo il pi lineare e classico possibile. Niente di sbagliato, in se le sceneggiature a sviluppo classico, se ben dirette, possono creare ottimi film. Il problema che qui, l'hanno chiesto al regista a mio avviso meno adatto. Comunque, alla fine il prodotto notevole, Scorsese pur sempre un oscar. Per mi sembrata una snaturalizzazione, e nel film si vede. La buona riuscita sicuramente dovuta alla gi citata sceneggiatrice, e ad uno dei miei preferiti direttori della fotografia, soprattutto nei lavori con Scorsese, Robert Richardson. Cito solo alcuni dei film in cui era cinematographer, da Platoon, Kill Bill 1-2, Al di l della vita, The Aviator, fino all'ultima nomination agli oscars con Inglorious Basterds. Non dimentichiamoci la montatrice che da sempre segue Scorsese, Thelma Schoonmaker. Poi ci sono le conferme, dalla musa Di Caprio a Ben Kingsley, fino ad arrivare per le scenografie ai coniugi italiani pi famosi ad Hollywood, i premi oscar Dante Ferretti e sua moglie Francesca Lo Schiavo. Insomma un cast elaborato da una produzione che non voleva lasciare minimo dubbio sul fatto di fare incassi, senza scontentare troppo la critica. Operazione riuscita.

Invictus di Clint Eastwood


Continua la ricerca di Eastwood sui temi a sfondo sociale. Sull'onda di Gran Torino, riemerge il tema, sempre attuale, dell'integrazione, toccando i punti cardine di una morale e di un'etica ormai confuse nella societ contemporanea. Mandela disse: Il perdono cancella la paura, libera l'anima. Per questo un'arma cos potente. Suggerimento di Eastwood su di un elemento cruciale della religione cattolica, il perdono. Evocato anche nel precedente film per abbattere i superficiali pregiudizi sulle diverse culture, a favore di una vera integrazione. Quindi questo film usa il racconto degli anni di presidenza della Repubblica sudafricana di Mandela, e la sua intuizione sulla potenzialit politica di una squadra, i verde-oro, ed uno sport, il rugby, per in realt parlare della rinascita di un paese, che porta in se i problemi di qualsiasi altro paese che affronta un cambiamento. E lo fa tramite una regia perfetta ed elegante, come al solito, ed un riuscitissimo adattamento dal libro Ama il tuo nemico di John Carlin, con la sceneggiatura di Anthony Peckham. Fotografia affidata al fedelissimo Tom Stern. Ben due le candidature all'oscar 2010, l'impeccabile Morgan Freeman nei

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panni di Mandela come attore protagonista e il capitano della nazionale sudafricana Matt Damon, per la categoria di attore non protagonista. Forse avrebbe meritato la candidatura

anche per la sceneggiatura, ma visti gli altri candidati, va bene cos. Nella produzione,ovviamente come ormai di consueto ad Hollywood, figura il regista, mentre nella produzione esecutiva, c' la partecipazione di

Morgan Freeman. Evidentemente l'avere anche un peso economico e quindi decisionale sul set, ha influenzato molto sulla libert d'espressione del suo personaggio, fruttandogli la candidatura.

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VIDEO OSCAR LUIGI SCALFARO: MESSAGGIO AI MILANESI www.youtube.com/watch?v=wUX-4cI6V2c

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