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CRITICA MILITANTE Che cos la critica militante?

E quasi superfluo ricordare che il termine critica deriva dal greco krinein, vagliare, ossia giudicare, sottoporre a verifica una cosa. In senso specifico e moderno diremmo che loperazione della critica consiste nellintraprendere un attraversamento attrezzato del proprio oggetto di indagine per decidere con atto responsabile e motivato quale sia la sua consistenza e i suoi valori di portato culturale. In questo senso il critico militante svolge un servizio utile, perch nel pullulare dellofferta, opera una scrematura, e tende a svolgere una funzione di trainer del gusto, di orientatore dellopinione in materia di letteratura e di arte. Il percorso che il volume compie orientato in senso cronologico e prende avvio dallinvenzione della stampa periodica, ossia da quel momento di origine della critica militante intervenuto i Europa, sullo sfondo delle temperie illuministica, quando le spinte di trasformazione sociale in atto suggerirono agli intellettuali la possibilit di intavolare un dialogo che assunse sin dalle prime battute toni vivaci e polemici, e ispirati da un intento di natura pedagogica. La storia letteraria ben rileva che le pi significative stagioni della militanza critica coincidano con i movimenti di trapasso, di crisi, allorch il senso della militanza si fa particolarmente acuto. Nel volume lattenzione quindi si appuntata in primo luogo su quei momenti salienti in cui lintervento dei critici, pur inserendosi nello specifico del dibattito culturale, ne ha travalicato i confini, acquisendo particolare valore e significativit per una riflessione sullo stato presente delle cose. Si perci riservato molto spazio alla militanza delle riviste che, a partire dalle pagine del Caff fino a quelle della Voce, dal Politecnico di Vittoriani sino alle esperienze a noi pi vicine, hanno svolto compiti essenziali nella promozione della vita culturale e democratica nel nostro paese. Linvenzione delle gazzette, poi dei periodici e delle riviste di cultura infatti stata, storicamente loccasione per trasformare unattivit aristocratica, in una cultura militante, capace di incidere sullintera societ, dallambito artistico a quello politico, come ben evidenzia il susseguirsi delle diverse stagioni delle riviste. A particolari fasi di tensione civica dedicata la sezione Letteratura e societ civile, che punta lobiettivo su tre circostanze topiche della nostra storia: quella dellItalia pre risorgimentale in cerca della propria identit nazionale, il ventennio fascista, ed il secondo dopoguerra, quando sullo sfondo del dibattito Vittoriani- Togliatti e poi della pubblicazione dei quaderni gramsciani, si svolse la polemica sulla figura dellintellettuale organico ed impegnato. LINVENZIONE DELLA STAMPA PERIODICA Lattivit militante di intellettuali e critici strettamente connessa alla possibilit di raggiungere un pubblico vasto di lettori, per questo che, sebbene ci si imbatta ancor prima del Settecento, in recensioni, commenti ecc., possiamo iniziare a parlare di critica e di critici militanti in senso moderno solo a partire dalla met del 18 secolo, a partire cio dalla comparsa dei periodici a stampa di larga diffusione, che abbiano il fine di intervenire nel vivo della realt culturale, con lintento di orientarne il gusto. La possibilit di esistenza di tali periodici naturalmente congiunta al tasso di alfabetizzazione. In Italia e soprattutto a Venezia, dove lautonomia politica e la lungimiranza del governo hanno creato condizioni che si distinguono per vivacit culturale e circolazione editoriale, i fogli o gli avvisi a stampa, lasciano il posto gi verso la met del 500 a gazzette che escono con periodicit regolare. La prima fondata nel 1555 prender il nome di Gazzetta di Venezia. Tra la fine del 17 secolo e la met del 18, in vari luoghi dItalia cominciano invece a comparire con una certa frequenza giornali che hanno una funzione pi specifica di informazione culturale e letteraria: si rivolgono ad un pubblico di specialisti, e dunque ad una lite, hanno circolazione limitata e periodicit irregolare. Impegnati in unopera di svecchiamento e modernizzazione della cultura italiana, gli intellettuali del secondo 700 guardano oltralpe, in particolare ai periodici inglesi, al Tatler e allo Spectator di

Addison e Steele. Si iscrivono in questa scia, nella seconda met del secolo, la Gazzetta veneta e LOsservatore veneto. Giuseppe Baretti per la sua Frusta letteraria (1763-1765) si ispir a modelli al di la della Manica. Stampata a Venezia, poi dopo la censura da parte del governo veneziano, ad Ancona, la Frusta un quindicinale redatto e pubblicato quasi esclusivamente a spese e a cura del suo fondatore. Di gusto arretrato, di mentalit illuministica, decisamente conservatore, Baretti mira a difendere la letteratura italiana dalla moda francese e dal discredito in cui era secondo lui caduta, in particolare nella Francia di Voltaire. La nuova atmosfera che si respira in Europa a partire dal secondo cinquantennio del 700 si riverbera anche in Italia, aprendo lorizzonte di molti intellettuali agli stimoli della cultura internazionale. La misurata politica di buongoverno avviata da alcuni sovrani illuminati, aprir proprio in questo periodo, uno spiraglio di collaborazione tra intellettuali e regnanti su temi che riguardano la vita associata e le riforme atte a migliorare le regole di convivenza, anche nella prospettiva di unauspicata ripresa economica. La militanza intellettuale pu ora iniziare a manifestarsi in forme pi libere e combattive. E il caso di Giuseppe Parini il cui rifarsi a stilemi aulici della classicit innervato di fattivo spirito critico, di una preoccupazione di utilit che rinnova il magistero poetico, imprimendogli tratti di polemica modernit. Il Caff fondato da Pietro Verri una rivista di carattere aperto e spregiudicato, impiantato come il periodico di Adison su una finzione narrativa (quella di una bottega di caff in cui gli avventori si ritrovano per ragionare su argomenti di generale interesse). Il Caff usc ogni dieci giorni, ad opera di un gruppo che ha la fisionomia di una vera redazione. Gli interventi del Caff sono ispirati ad unidea di letteratura quale di esercizio militante, animato da un forte intento pedagogico. Pietro Verri dalle pagine del Caff contribuiva a riaprire un dibattito secolare connesso al problema dellidentit nazionale, al ruolo degli intellettuali e della funzione della letteratura, un dibattito in un clima arroventato dalle future rivendicazioni unitarie e libertarie, a divenire centrale per gli scrittori di generazione successiva ( da Leopardi a Cattaneo, da Manzoni a Graziadio Ascoli) e ad intrecciarsi strettamente, soprattutto in Manzoni, in una prospettiva di alta pedagogia nazionale, con la riflessione sui generi e sulla necessit di una letteratura popolare educativa, accessibile a tutti. 2.1 LA MILITANZA DELLE RIVISTE Nel trentennio successivo al compimento dellUnit gli italiani inizieranno a confrontarsi con la prosaica quotidianit dei governi parlamentari, che tra alleanze e mediazioni, nellottica di un accentramento amministrativo che penalizza le aree pi depresse, si troveranno a far fronte ad una situazione disomogenea e complessa, in cui, accanto alle spinte centrifughe emergono forti conflitti sociali. Tra gli scandali politici che caratterizzeranno il lungo periodo di governo di Giolitti, i moti operai e le richieste di protagonismo di nuovi soggetti sociali, inducono molti tra le nuove generazioni ad un atteggiamento aristocratico e scontento, di polemica sfiducia, di inquieta ricerca di nuovi orizzonti ideali entro i quali situare il proprio operato. Un importante rigoglio di iniziative di periodici, di traduzioni e attivit editoriali contraddistingue i primi anni del secolo, allinsegna di una costante richiesta di modernit, di una notevole riduzione dellanalfabetismo e dellampliarsi di un ceto di intellettuali di estrazione piccolo-borghese. Si aprir a partire da queste premesse un decennio di intenso fervore di rinnovamento. I grandi sono infatti nel pieno della loro stagione: DAnnunzio, Carducci che ha affiancato ad una prestigiosa attivit accademica quella di autorevole critico dellattualit e che lascer alla sua morte un magistero di esempio critico a cui si continuer a guardare a lungo dopo la sua morte. Proprio adesso daltra parte si affacciano sulla scena poeti che assumono un ruolo di primo piano nel 900: da Palazzeschi a Saba, da Ungaretti a Croce. Croce ha posto con la sua Estetica (1902) i fondamenti di una prospettiva critica destinata ad influenzare fortemente tutta la prima met del secolo. Sempre in questo periodo attiva quella corrente di poeti cheBorgese chiamer crepuscolari. Martinetti, gi noto per la rivista Poesia (1905-1910) accende i roghi dellavanguardia sulle pagine diuna

quantit di riviste che nascono e muoiono in rapida successione. Iniziale punto in comune di vari atteggiamenti e discussioni fu soprattutto tra i nati dopo il 70 la reazione al positivismo, cio a quellhabitus di pensiero che aveva dominato incontrastato gli ultimi decenni del secolo trascorso, e che sebbene avesse voluto educare le menti allesercizio di un metodo obiettivo, analitico e rigoroso, aveva finito per risultare pedante ed asfittico, per scadere in una moda culturale. Al positivismo si rimproverava una generale attitudine di pressappochismo e ignoranza. La polemica si svilupp in parallelo, da una parte per opera di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce attraverso il rilancio dellidealismo critico, dallaltra per lattivit di un vasto ed eterogeneo schieramento che si rifaceva alle parole dordine dellestetismo e del superomismo dannunziano o di un idealismo aristocratico e spiritualista, nutrito di interessi per locculto e per le correnti esoteriche della religione. Particolarmente interessante nel quadro culturale dellepoca fu la citt di Firenze, in cui videro la luce a distanza di poco tempo luna dallaltra diverse nuove riviste: Il Marzocco (18961932) attiva rappresentante dellestetismo dannunziano, Il Regno (1903-1906) fondata da Enrico Corradini, portavoce dellirrazionalismo nazionalistico antiparlamentare e antisocialista, Hermes di Giuseppe Antonio Borghese anchegli su posizioni dannunziane, nazionaliste e anti democratiche, da cui pi tardi si allontaner, Il Leonardo di Papini e Prezzolino, Lacerba fondata da Papini e Soffici, organo del futurismo interventista, LItalia futurista e La Voce. Il gruppo fiorentino si rivel particolarmente attivo nel tradurre e far tradurre autori poco conosciuti in Italia, in questa maniera il nostro paese si apr alla circolazione della letteratura e del pensiero europeo. Del Leonardo Giovanni Papini fu, insieme Prezzolino lanima e lispiratore: la rivista nata sotto la suggestione di Nietzsche e Steiner, di Novalis e dellidealismo magico, si avvaleva della collaborazione di intellettuali, letterati, filosofi e pittori eterogenei tra di loro. Il loro idealismo era nutrito di aspirazioni estetizzanti, venato di individualismo superomistico e magico, intorbidito dal disprezzo per le espressioni liberali e riformiste dellet contemporanea. Nei primi articoli di Papini e Prezzolino gi era presente una sprezzante polemica antiborghese, il positivismo era deprecato soprattutto come espressione dello spirito pratico e razionale della borghesia., lodio delle masse si mescolava a quello per la citt industrializzata. Il Leonardo finir cos, in nome del vitalismo irrazionalistico per proclamare la morte della filosofia e per approdare ad una fase occultistica ed esoterica che sar aspramente criticata da Benedetto croce. Papini, presto esaurita questa fase ne racconter speranze e delusioni nel libro Un uomo finito. Croce aveva intanto iniziato a redigere La Critica bimestrale di cultura, polemiche e recensioni stampato a Bari, in stretto sodalizio con leditore Laterza. Il lavoro svolto attraverso La Critica fu di fondamentale importanza. Impontato ad uno stile di pacata e convinta razionalit, di sereno distacco e misurata classicit, contribuir a rafforzare lautorevolezza della sua figura di intellettuale, che pur isolata dallaccademia, riuscir pi tardi in forza dl proprio prestigio ad opporsi alla dittatura. Anche Prezzolino si era frattanto allontanato, sin dal 1908 dalle posizioni dellultimo Leonardo. Nelleditoriale del secondo numero della Voce da lui fondata e diretta fino al 1914, prender le distanze dal recente passato, impegnandosi su un programma ben moderato e concreto. Accostandosi alla filosofia crociana, di cui la rivista fu strumento di conoscenza e diffusione tra le giovani generazioni, Prezzolini diede cos spazio a personalit di varia provenienza e di diverse convinzioni che, in una prospettiva quasi neo illuministica, si impegnarono a realizzare analisi, inchieste, numeri unici sulle problematiche pi attuali e scottanti: la questione meridionale, il suffragio universale, la scuola, il cattolicesimo modernista. Anche su piano dell'informazione culturale La Voce svolse un ruolo notevole: basti pensare che, oltre ad aver fatto conoscere Mallarm, Ibsen, Gide, rester sino al secondo dopo guerra l'unica rivista ad aver dato notizia in Italia delle ricerche che Freud stava svolgendo. La discussione interna determinata dall'approssimarsi della guerra di Libia, provoc il primo scisma tra i collaboratori: Salvemini giudic troppo debole la posizione critica mantenuta dalla rivista nei confronti delle scelte governative, e abbandonata La Voce fond un periodico con un pi incisivo taglio politico L'Unit. Nell'orizzonte della Voce si mossero Umberto Saba e Alberto Savinio, Camillo Sbarbaro e Corrado Govoni ecc. accantonata la fase del dibattito intellettuale, La Voce divenne

cos una rivista di scritti creativi, prevalentemente antologica, intenta soprattutto in un'attiva collaborazione con la poesia, interrogata nelle sue valenze umane. Tuttavia nella ricerca di un assoluto poetico, l'ultima Voce finiva paradossalmente per farsi sostenitrice di una produzione rarefatta, concentrata, frammentaria, di una letteratura modernamente decadente, ben lontana dall'ideale di Croce. 2.1.LA MILITANZA DELLE RIVISTE 1919-1930 Primo dopoguerra. Le perdite dell'Italia ammontarono a circa 650.000 morti, 600.000 prigionieri e dispersi. Si parla di debito pubblico e di riconversione industriale. Ci si lamenta della vittoria mutilata, dei governi imbelli, delle umiliazioni subite al tavolo delle trattative internazionali a Versailles. Si apre la questione di Fiume e della Dalmazia. Le manifestazioni nazionaliste e irredentiste si alternano ai moti popolari contro il caro vita, agli scioperi agrari e alle manifestazioni operaie. Gi dal 1919 Mussolini ha fondato a Milano i Fasci di combattimento. Nascono tra il 1919 ed il 1921 il Partito Nazionale Fascista, il Partito Popolare italiano ed il Partito Comunista di Gramsci e Bordiga. Sui primi mesi di pace incombono gi le premesse del corso che assumer la politica italiana, che con la Marcia su Roma (1922) e l'assassinio Matteotti (1924), sfocer nella dittatura. Anche sulle pagine delle riviste che aprono questo ventennio si intravedono gli inizi di orientamenti che si trasformeranno in contrapposti schieramenti. Dal 1918 al 1928 anche in ambito letterario si assiste ad un assestamento di posizioni: chi dentro comincia ad ambire ad un ruolo di primo piano, chi fuori scompare, chi si astiene e sceglie di navigare in acque infide, pur senza opporsi in modo aperto e manifesto, sopravvive pericolosamente. Se l'avanguardia futurista gioca le sue ultime carte, tra chi si schiera all'interno delle accademie, come Marinetti che ne fece parte a partire dal 1929, e gli altri che dopo la fase contestatrice della giovinezza e la dura lezione della guerra, sono ora inclini a propugnare il ritorno a valori stabili e universalmente riconoscibili, alle regole ed alle tradizioni. Di richiamo all'ordine si parler a proposito della Ronda. Erede dell'ultima Voce, in esplicita polemica contro le intemperanze dell'anteguerra, La Ronda volle sostenere un'idea di letteratura come elevato esercizio di humanitas. I rondisti guardarono ad una letteratura epurata da elementi extra letterari, si rivolsero agli esempi degli ultimi classici della nostra tradizione, soprattutto al Leopardi delle Operette Morali. Il rondismo sar la cifra perfetta, elegante e misurata del giornalismo culturale durante il fascismo, quando la terza pagina dei quotidiani diverr da strumento privilegiato della militanza della critica, palestra di raffinati e sicuramente pi innocui esercizi di stile. Molto si parla in questo periodo di prestigio della nazione e la difesa dei valori di una non ben definita italianit. Di qui a poco l'esperienza di 900 (19261929) la rivista di Massimo Bontempelli promossa in una prospettiva di un moderato appoggio al regime, con l'intento di definire il programma ed il canone estetico della Nuova Era preannunciata da Mussolini, ma avvalendosi della collaborazione di un autorevole comitato di redazione internazionale, dovr sospendere le pubblicazioni, incolpata di inadempienza a questo imperativo. 900 Riscuoter molti consensi tra coloro che, pur essendosi lasciati alle spalle la fase pi intemperante delle avanguardie, si mantenevano fedeli ad un orizzonte modernistico. Il Novecentismo nella duplice declinazione letteraria ed artistica, ad un certo punto sembrer che quasi stia diventando l'indirizzo estetico ufficiale del regime, vicino come era ad una posizione di ragionato compromesso, ad un classicismo modernizzato, ad uno stile oggettivo e filosofico che meglio di altri esprimeva gli obiettivi culturali del regime. La polemica contro 900 e con gli scrittori di Stracitt, fatti bersaglio degli integralisti del fascismo, fu per durissima e serrata sin dal primo momento. A Bontempelli proprio Curzio Malaparte co fondatore di 900 dall'opposta sponda di Il Selavggio (1924-1943)la rivista diretta da Mino Maccari rimproverava a distanza di poco pi di un anno dall'inizio delle pubblicazioni, sia il bilinguismo ( 900 infatti usc nella sua prima edizione in francese, poi dal 28 in italiano e francese e poi in ultimo in italiano) che l'apertura europeista e pariginale alle seduzioni della letteratura borghese e decadente, cui gli strapaesani

contrapponevano la difesa di una presunta italianit, identificata con il carattere rurale e schietto del popolo italiano, con la natura solare e mediterranea, aliena dagli psicologismi e da intellettualistiche complicazioni. A partire da una legge che dal 1926 vietava la libert di stampa, Mussolini andr organizzando una capillare struttura burocratica per il controllo delle pubblicazioni, che arriv a prevedere la lettura preventiva delle opere. Incapparono cos nelle maglie della censura opere come Tre Operai di Carlo Bernari (1934) e L'Uomo forte di Corrado Alvaro, mentre nel 1934 fu sequestrato il numero di Solaria in cui compariva uno sgradito episodio di Garofano Rosso di Elio Vittorini, pubblicato a puntate su questa rivista che fu, tra i periodici indipendenti, quello che riusc a sopravvivere pi a lungo. Piero Gobetti (1901-1926) aveva ridefinito il senso e la statura della militanza culturale, affiancando alla pubblicazione di riviste politiche capaci di raccogliere la stima dell'elite antifascista, un'attivit editoriale di sicuro intuito e un'intensa operosit di critico. Liberale senza essere conservatore, guidato dalla convinzione che non si dia impegno intellettuale e morale se non militante, Gobetti riserv la sua lucida carica passionale nel Baretti (1924-1928). Ma oramai in quegli anni sar sempre pi difficile parlare apertamente: la resistenza culturale, a meno di non voler scegliere la strada della clandestinit o del martirio, passava ora attraverso le proposte di autori non allineati, di tematiche considerate non corrispondenti agli ideali diffusi dalla propaganda. La militanza di Solaria, ad esempio, nella recensione tempestiva dei libri di Valery, di Colette, di Hamingway, nello spazio dedicato ad autori come Saba e Svevo. Solariano era una parola che in ambienti letterari significava antifascista, europeista, antitradizionalista. Negli anni successivi anche alla chiusura della rivista, l'eredit di Solaria fu raccolta da La Riforma letteraria fondata e diretta sempre a Firenze da Carocci e dal combattivo Giacomo Noventa che, in una prospettiva antiermetica e cautamente antifascista, raccolse attorno a se giovani forze che avrebbero dato il meglio del dopoguerra: da Franco Fortini a Mario Soldati.. 2.3 LA MILITANZA DELLE RIVISTE 1945-200 Larticolo di Vittoriani Una nuova cultura, apparsa nel numero iniziale della rivista costituisce il primo atto di una riflessione che, presto sconfinata in confronto ideologico, coinvolse le forze politiche e gran parte degli intellettuali che, allindomani della Liberazione, si interrogavano sui modi e sui temi della militanza culturale, sui rapporti con i partiti, sulla funzione della letteratura nellambito della societ civile. Nel corso degli anni 50 60, Vittoriani sar unimportante figura di riferimento, non solo per le sinistre. Il Menab di letteratura che egli fond nel 1959 Torino e diresse insieme a Italo Calvino. Sui suoi numeri monografici si discute del rapporto tra lingua e dialetto, si parla di narrativa meridionale, si avvia una prospettiva di aggiornamento dellorizzonte culturale e letterario, alla luce dei mutamenti economici e strutturali in atto. Nel numero 2 si propose lintervento di Fortini sulle Poesie italiane di questi anni e nel numero 5 sia apre un ampio spazio agli scrittori della neoavanguardia, si apre infine unampia fase di riflessioni e confronto sul linguaggio della poesia, sul senso ed i modi della sperimentazione letteraria, sullincisivit ideologica dei procedimenti avanguardistici. Calvino convinto che anche dallespressione letteraria pi negativa, possano scaturire utili elementi di conoscenza e nutrimento per una morale rigorosa. Distante sia dalle posizioni che impongono unortodossia di contenuti sia da quelle che rivendicano unassoluta e terroristica libert di temi e di linguaggio, egli richiama ad una vigilanza che, pronta ad accogliere tutti i fenomeni del mondo e lespressione dellarte, non rinunci a comprenderle e giudicarle. mistilinguismo e registrazione scritta della vita, inventari di materiale sonoro, riproduzioni di elementi bioformi. Larte che dovrebbe essere riflesso del mondo interiore delluomo, appare ora come sommersa dal mare delloggettivit, intenta ad una allucinata catalogazione del mondo che non ha pi nulla a che fare con la poetica neorealista. Di fronte alla alluvione delle merci, sembra incrinarsi il millenario rapporto polare tra io e natura, tra il se e il mondo esterno: si annulla la relazione dialettica che rende possibile il processo di

scambio conoscitivo. E la resa dellintelligenza di fronte al flusso solenne e spietato della stoiae di ci che chiamiamo progresso. Lanalisi critica si conduceva con una accenno agli esempi di Gadda e Pisolini. Calvino si muove insomma ancora sotto il motto gramsciano di un pessimismo dellintelligenza che avanzi illuminato dallottimismo della volont, fede che lo indurr due anni pi tardi a riprendere il discorso ne La sfida del labirinto. Qui egli ribadisce che la rappresentazione artistica non pu limitarsi ad una registrazione passiva dellesistente, al naufragio nel caos delle cose: essa deve essere unoperazione consapevole di razionalizzazione: poich rappresentare equivale comunque ad introdurre il logos nel caos. Le implicazioni politiche di queste tesi saranno ancora esplorate da Calvino nel saggio LAntitesi operaia, del 1964, mentre i suoi interessi cominciano a muoversi sul versante dello strutturalismo, strumento critico- conoscitivo che lo avvier ad un approccio pi completo e complesso con la realt contemporanea, che sempre pi gli parr indefinibile nel suo assieme e descrivibile solo per livelli e segmenti, come rete di rapporti e di funzioni gerarchico - significative. Ma negli anni 50 e 60 lattivit militante di Vittoriani e Calvino si riflette anche nellintensa attivit professionale svolta per lEinaudi. La sorica casa editrice che ha in anteprima pubblicato nel 1946 il primo volume della Recherche nella versione italiana di Natalia Ginzburg, vara ora unimportante collana di narrativa I Gettoni, diretta dallo stesso Vittoriani, che favorisce lesordio e la conferma di scrittori come Lalla Romano e Beppe Fenoglio. Ottiero Ottonieri, Giovanni Testori e Carlo Cassola, Anna Maria Ortese e Leonardo Sciascia e moti altri, con un risultato complessivo straordinario. Anche Calvino ebbe un ruolo fondamentale allinterno della casa editrice, contribuendo con un intuito illuminato come consulente, ad unapertura alla saggistica internazionale della Piccola biblioteca Einaudi, per un certo periodo diretta da Franco Fortini. Un ruolo fondamentale sempre allinterno della casa editrice ebbe anche Cesare Pavese che, in coerenza con i suoi personali interessi per il mito promosse la pubblicazione di una serie di autori orientati nella ricerca in questo campo. Tutto il mondo editoriale vive nel secondo dopoguerra un periodo di straordinaria crescita e non solo per quel che riguarda le grandi case, da Mondatori a Bompiani alla pi recente e dinamica Il Mulino. In questi anni nascono molte nuove case editrici: tra le altre, Adelphi (1962) e Feltrinelli (1955). La prima scaturita da una costola dellEinaudi anche per le sollecitazioni degli interessi eterodossi, non allineati con la politica della casa madre, si affermer con una lenta e sicura ascesa per gli elevati livelli della sua scelta di campo, attinente ai settori della letteratura filosofica, religiosa e fantastica. Daglia anni 70 anche per la straordinaria apertura impartitagli dal suo direttore Roberto Casso, critico- promotore e scrittore di grande livello. La Feltrinelli invece dopo aver indovinato uno dopo laltro due casi letterari quali il Dottor Divago di Posternack e Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, metter a segno il colpo clamoroso di 100 anni di solitudine. Nellespandersi del mercato, anche editori minori e raffinati riescono a caratterizzarsi con valide proposte controcorrenti o di nicchia rispetto ai grandi editori. Su questo vivace sfondo, nellambito delle riviste di tendenza, si segnale il Verri, fondata nel 1956 da Luciano Anceschi, singolare figura di critico la cui attivit di promotore culturale spicca nel panorama italiano dagli anni Trenta ai Settanta. Anceschi in Autonomia e eteronomia dellarte 81934) aveva posto le basi di una distinzione epistemologica che si sarebbe rivelata molto feconda. Anceschi inoltre va citato come curatore almeno di due antologie Lirici nuovi (1943) e Linea Lobarda (1952), fondamentali, la prima per la definizione di un canone dellermetismo ovvero dello sperimentalismo tra le due guerre, la seconda premessa della collana Oggetto e simbolo, per aver colto nel presente una situazione nuova che attraverso un confronto nuovo con le cose del mondo giunge ad effetti di impressionistica deformazione. Anche i Novissimi, lantologia curata nel 1961 da Alfredo Giuliani, che radunava i testi poetici e metteva a fuoco le proposte teoriche di quello che sar il Gruppo 63. Nata in un anno sabbatico della letteratura, quando cio le esperienze precedenti si rivelarono ormai esaurite, Il Verri fu rivista di informazione e di formazione, poich sulle sue pagine si and configurando ed organizzando, anche a livello teorico, la sperimentazione della neoavanguardia. Per iniziativa del Gruppo 63 nasceranno quindi altre riviste che, allinsegna dellautogestione e di una progettualit disponibile a sollecitazioni provenienti da altri campi artistici, gi preannunciavano un

desiderio di espressione creativa fuori dagli schemi. Tra queste riviste ricordiamo: Quindici, Grammatica Marcatr ecc ecc. A partire dal 1962 1963 anche gli scrittori della neoavanguardia cominceranno a collaborare al Caff che ospiter nel 1967 una lunga serie di interventi su satira e politica, scaturiti in risposta a un intervento di Cesare Milanese, il quale, sottolineando la capacit che ha il sistema di assorbire e vanificare ogni contestazione, invitava gli scrittori a raffinare le armi dellumorismo e della satira, in vista di una strategia letteraria di eversione corrosiva e demistificatrice. Nel frattempo il 1968, spartiacque di una trasformazione che investe tutto il mondo occidentale, apre un decennio percorso da uno straordinario impulso innovativo, sia nel costume che nelle istituzioni che nellorganizzazione sociale. La ventata eversiva, che comporta per molti la politicizzazione di tutti gli aspetti dellesistenza pubblica e privata, coinvolge, insieme ai valori dellordine borghese, anche la stessa ricerca letteraria, la quale, in una generale enfatizzazione del peso delle componenti ideologiche e per effetto di una contestazione globale, finisce per lessere penalizzata in nome di una decretata morte della letteratura. Gli aspetti letterari recedono insomma di fronte allavanzare della politica. Ricordiamo tra le riviste. Che fare Ideologie Quaderni. Come reazione a tutto questo, gli anni 70, nellincupirsi dello sfondo politico ( sono gli anni di piombo) vedono il rilancio di riviste letterarie dalla veste povera. Tra le tante ricordiamo almeno Tam tam di Adriano Spatola e Giulia Niccolai e Salvo imprevisti di Mariella Bettarini Periodo ipotetico di Pagliarani e Niebo. Ma in questo decennio si registra anche un nuovo protagonismo femminile, si intensifica in questo periodo la battaglia delle donne per lemancipazione, per il raggiungimento di una parit dei diritti. Effe un mensile autogestito di cultura femminile redatto a Roma e diffuso su territorio nazionale; Differenze Rosa. Quaderni di studio e di movimento sulla condizione della donna. Alla fine del decennio, in un panorama gi profondamente mutato, inizia la pubblicazione Alfabeta. Ma negli anni 80 90, caratterizzati da un processo di forte espansione economica, di normalizzazione politica e di fine delle utopie, di irrigidimento dei processi produttivi e di frammentazione dei comportamenti sociali, liniziativa culturale si presenta ancor pi soggetta alla leggi della redditivit e del mercato, agli effetti di un sistema di informazione talmente invasivo da nascondere ci che non in grado di competere, per mezzi e visibilit, con la grande industria culturale. Torna il fantasma della fine della letteratura, aggravata dallo spettro della morte della critica. Calvino suggerisce una via neoilluministica di ponderata e corrosiva leggerezza, di operativa fiducia e che, convinto di poter analizzare con coraggio, pure con Le armi del comico, le cose tanto terrificanti e talvolta regressive espresse dal mondo di oggi, si affida alla letteratura in tutte le sue espressioni, come strumento di scandaglio, di comprensione e anche di opposizione. A questi ideali rimanda anche leditoriale Lilluminista diretto da Walter Pedull. 3.1. CASI LETTERARI. IL FUTURISMO. Nel 109 esce il manifesto di fondazione del futurismo, n autore Filippo Tommaso Marinetti, gi conosciuto nell'ambito della cultura italiana per le sue pubblicazioni su una rivista Poesia (19051909), rassegna internazionale di letteratura. Poesia fece scalpore per le sue inchieste, importante fu quella sul verso libero. Originale era nel manifesto del futurismo l'aggressiva risolutezza del proclama, in cui si annunciava la nascita di un nuovo movimento determinato a recidere ogni legame con il passato e con la tradizione. Dell'azione militante del futurismo facevano anche parte un tratto utopistico visionario e una perentoria attitudine pedagogica. Al primo seguiranno ben presto altri manifesti, ed in seguito anche i Manifesti tecnici come il Manifesto tecnico della letteratura futurista ad esempio (maggio 1912) che impone di scardinare la sintassi e il filo a piombo della logica e getta le basi di una sperimentazione a tutto campo. essere compresi non necessario, postula Marinetti, convinto che bisogna creare senza altre preoccupazioni che quella di una assoluta originalit novatrice. In realt a ben vedere marinetti aveva attinto a realt gi circolanti a livello europeo: elementi derivanti dal superomismo di D'annunzioe Papini,

l'intuizionismo formulato da Bergson, con l'aggressiva violenza anarcoide e anti borghese di Sorel, con l'irrazionalismo spiritualista e teosofico ecc. Nel crogiolo di Marinetti confluivano reminiscenze mitiche e fantasie tardo romantiche, i portatori della cultura scientifica venivano declinati nel linguaggio meccanico di un inedito sintetismo modernista. Marinetti seppe attirare nelle sue fila quasi tutti i migliori ingegni allora circolanti in Italia. Nato nel segno dello scandalo, il Futurismo prosegu nella strada della provocazione terroristica per circa un decennio. La maggior parte del gruppo della Voce, fautrice di una letteratura civilmente impegnata, fu invece recisamente avversa al futurismo. Slataper gli rimprover di muoversi nella direttrice dannunziana di un estetismo tumefatto Giovanni Papini si decider ad accettare di blocco gli ideali e le tendenze degli amici futuristi, staccandosi dalla voce per fondare con Soffici Lacerba, quindicinale destinato a distinguersi nel campo della militanza nazionalista ed interventista. Dell'ideologia futurista Papini condivideva in primo luogo la volont di svecchiamento anche violento della cultura italiana, lo spirito di avventura e di conquista, una certa anarchica spregiudicatezza che a molti in quegli anni sembrava necessaria. Il suo sodalizio con Marinetti per dur assai poco, gi nel febbraio del 1914, nel corso della polemica con il pittore Umberto Boccioni, dalla quale prende avvio il suo distacco, osservava che il futurismo stava divenendo una ricetta precisa, un metodo imposto, una marca di fabbrica. Nel febbraio del 1915, in un articolo firmato anche da Palazzeschi e Soffici operer una distinzione tra il futurismo e il marinettismo. Interessante ed acuto l'intervento di Antonio Gramsci sul futurismo, visto innanzitutto come un movimento rivoluzionario, assolutamente marxista. 3.2.CASI LETTERARI. IL TEATRO DI PIRANDELLO La grande stagione teatrale di Pirandello inizia relativamente tardi, inaugurata dalla messa in scena romana nel 1916 della versione dialettale di Lumie di Sicilia, per la compagnia di Angelo Musco. Pirandello fino a questo momento ha affermato di non amare la forma drammaturgica, mezo d'arte limitato dalla necessit di servirsi di mediatori che si intromettono tra l'autore ed il pubblico e finiscono per snaturare fatalmente il testo. Fino a quel momento ha pubblicato molte novelle, dalle quali trarr poi lo spunto per molti lavori teatrali, il romanzo Il fu mattia pascal (1904), L'umorismo (1908) e altri importanti saggi in cui sono evidenti i temi di una polemica che lo opporr per tutta la durata ella sua produzione a Benedetto Croce, in una insanabile, reciproca incomprensione. Autore poco stimato ai suoi tempi, rimproverato di essere autore di opere borghesi inutilmente complicate. Sar Angelo Musco, commediografo e capocomico catanese a spingerlo energicamente verso il teatro inducendolo non solo a tradurre in dialetto Lumie ma anche a trarre una commedia in dialetto dalla novella Pensaci Giacomino!, a scrivere Liol, 'A birritta cu i ciancianeddi, A giarra, che saranno rappresentati in rapida successione al teatro Argentina di Roma. Tilgher che in anni successivi rivedr il suo giudizio, arrivava in un articolo a definire la drammaturgia di Pirandello arte di ozio, divertimento, senza contenuto profondo e utilizzava per la prima volta in riferimento all'agrigentino il termina grottesco. Ancor peggiori le critiche per la messa in scena di Cos (se vi pare), Gramsci la descrisse priva di ogni connessione drammatica e filosofica, mentre Silvio D'Amico di fronte al primo teatro di Pirandello rimase come perplesso e lo accostava ad un teatro come di marionette. Sono questi alcuni esempi della querelle che sempre accompagnavano all'epoca la rappresentazione di commedie pirandelliane, dimostrandone la carica innovativa e rivelandone la ricchezza e forza eversive della concezione teatrale di Pirandello. L'evento bellico sembra aver dato a Pirandello una forte spinta verso la produzione teatrale: l'abituale forma narrativa gli pare improvvisamente inadeguata, tutto gli sembra dover essere teso all'azione e verso la battaglia. Nel 1921 al teatro Valle di Roma viene messa in scena Tre personaggi in cerca d'autore. Alla prima scatenarono una battaglia tra gli spettatori, divisi tra entusiasti e scandalizzati, il giorno dopo la stampa fu concorde nell'ammettere di trovarsi di fronte ad un formidabile ingegno. Sar Silvio D'amico, dopo la messa in scena al Manzoni di Milano che inizier a mettere a fuoco il carattere europeo dell'originalit di Pirandello. Gobetti invece, nella rubrica di critica teatrale che tiene per

L'ordine nuovo di Gramsci interpreta Pirandello come poeta della dialettica. Mettendo finalmente il pensiero dell'agrigentino in relazione a quello dei maggiori filosofi contemporanei, Gobetti spiegava i Sei personaggi come opera polemica e ne sottolineava l'istanza idealistica. Tra i pochi veri estimatori dell'anteguerra si segnala invece Marinetti che nel 1937, all'indomani della morte, commemorer entusiasticamente Pirandello per la sua coraggiosa ricerca di un teatro nuovo. Tuttavi Marinetti riconosce che come un grande scrittore futurista egli rompe le vecchie consuetudini della tecnica del palcoscenico. 3.3. CASI LETTERARI. ILCASO PASOLINI Pier Paolo Pisolini nacque a Bologna nel 1922. Durante la guerra si trasfer a Casarsa con la madre ed il fratello Guido, che morir ben presto ucciso durante unazione partigiana. Qui Pisolini inizia ad occuparsi di poesia dialettale. Personalit lacerata da conflitti interiori, assunse lo scandalo del contraddirsi e del contraddire come metodo di ricerca e strategia di intervento, in una tensione sperimentale che coinvolse ogni aspetto dellesistenza e della creativit e che fin per proiettare nella sfera pubblica molti aspetti di quella privata. Lazione militante di Pisolini si situa al cuore di un paradosso tra passione e intelligenza, in un continuo ed agguerrito confronto con il mondo a partire da una sofferta soggettivit: lattivit di poeta, di scrittore e di operatore culturale si riflette in unesausta attivit giornalistica. Sono innumerevoli i suoi scritti per i periodici ed i quotidiani: tra laltro ricordiamo lattivit per il settimanale comunista Vie nuove, la direzione di Nuovi Argomenti!, gli articoli come critico letterario sul settimanale Tempo, la quantit di articoli degli anni 70 soprattutto per Il corriere della sera e per Il mondo. Il suo lucido sguardo accoglie con grande anticipo gli scempi che la modernizzazione inizia a creare in Italia e nel mondo, nella vita e nella coscienza dei singoli: i nuovi, dissimulati volti che assumono il potere e la corsa ai consumi, i danni allambiente urbano e naturale, linsensibile e progressiva mutazione antropologica che colpisce anche le classi contadine e operaie, la cattiva coscienza delle classi borghesi, lavanzata trionfale di un edonismo cinico e spregiudicato, Lagnosticismo becero, la degradazione sociale che con il benessere si sta diffondendo a tutti i livelli della societ, sostenuta e capillarmente diffusa dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo dalla televisione. Lesordio poetico in friulano, le Poesie a Casarsa (1942) che suscitarono linteresse di Gianfranco Contini, e la raccolta La meglio giovent (1954), in una lingua priva di antecedenti colti. In questo dialetto materno, originario, Pisolini cala forme dellimmaginario attinte alla tradizione novecentesca, alla poesia decadente, con effetti di grande intensit. Seguono poi le antologie che raccolgono la Poesia dialettale del 900 (1952) e Il Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare (1955). E il periodo in cui con il neorealismo anche nella volont di attingere alla esperienza di vita delle masse, ci si pone il problema della mimesi linguistica dei dialoghi, della loro verosimiglianza rispetto al parlato: pi in generale il problema della aderenza delle parole alle cose, ostacolata dalle stratificazioni storiche e culturali che si sono accumulate sulla lingua, soprattutto di uso letterario. In concomitanza con questa esigenza e come suo riflesso politico, si era aperta, soprattutto tra gli intellettuali di sinistra, una parallela prospettiva di riflessione sulla neutralit del linguaggio, sul suo portato ideologico, sulla sua matrice di classe e, soprattutto sullo stampo borghese della lingua letteraria e nonch della sua possibilit di rinnovare in senso nazionalpopolare questa lingua in una situazione, come quella italiana, cos fortemente condizionata dal peso della cultura umanistica e accademica, per farne uno strumento di denuncia politica, di solidariet interclassista e di educazione popolare. Parallelamente gi dalla fine degli anni 50 ci si iniziava a rendere conto di quanto la cultura di massa tenda a standardizzare l'uso della lingua, e di come le lingue tutte vadano perdendo di profondit e ricchezza. In questa prospettiva, tra adesione al neorealismo e tensione neo sperimentale, tra impegno e rifiuto del prospettivismo tra denuncia sociale e trasfigurazione sperimentale e mitica, si colloca nel 1955 il romanzo Ragazzi di vita. Dei suoi protagonisti Pasolini si sforzava di riprodurre la vera parlata:

un dialetto contaminato da elementi spuri, stravolto da neologismi, in bilico tra turpiloquio e sporadiche impennate di lirismo, mantenendosi come voce narrante su un piano di grande semplicit linguistica. Era una scelta che forzava il neorealismo in direzione espressionistica ma, proprio in virt dell'adesione sentimentale, riusciva ad imprimere ai registri bassi del dialetto romanesco, un'alta dignit umana e tragica. Tra i due romanzi Ragazzi di vitae Una vita violenta esce per Garzanti nel 1957 Le ceneri di Gramsci, una serie di poemetti quasi tutti costruiti in terzine di impianto colloquiale e narrativo, dove il modello pascoliano si rinsangua per la passione ideologica e stilistica che fa lievitare l'endecasillabo verso effetti di alta oratoria. Nella raccolta Pasolini parla agli intellettuali additando loro i segni della degradazione in atto, per la quale si accende la sua indignazione di poeta e si libera il suo canto. L'operazione pasoliniana fu duramente attaccata da uno dei futuri rappresentanti del Gruppo 63, Alfredo Giuliani che, dalle pagine de Il Verri rimproverava al poeta bolognese non solo di cercare papinianamente la bellezza nella spazzatura ma anche e soprattutto di aver aperto lo stile per dar pi ampio pascolo alle proprie attitudini morbosamente automitografiche di sapore dannunziano-crepuscolare. Era un attacco che puntava dritto al cuore di quell'intervento sulla libert stilistica pubblicato nel giugno del 1957 sulle pagine di Officina. Qui Pasolini spiegava che il neo-sperimentalismo e post-ermrtismo coesistono fondendo le loro aree linguistiche e sottolineava di non aver mai operato alcuna identificazione tra spirito innovatore e sperimentalismo. Secondo Pasolini tempo ora di abbandonare le istituzioni stilistiche che imponevano libere sperimentazioni inventive come nell'ermetismo e nella tradizione dell'avanguardia novecentesca, in forza di una nuova convinzione morale che chiede un confronto diretto e continuo con la prosa, cio con la storia nel suo farsi, rivendicando un'indipendenza che vuol prescindere sia dalla base laica crociana sia dalla prona adozione della della filosofia marxista. Per Pasolini l'unica possibilit adottare un atteggiamento indeciso, problematico e drammatico, una indipendenza ideologica che richiede un continuo e doloroso sforzo del mantenersi all'altezza di un'attualit non posseduta ideologicamente. Questo sul piano linguistico dovr tradursi in un atteggiamento antiavanguardistico, cio in una ricerca stilistica esattamente opposta a quella precedente. Lo sperimentalismo che Pasolini guarda e che lo opporr decisamente alla sperimentazione della neoavanguardia si qualifica dunque per un'attitudine filologica, innervata da un orientamento logico e storiografico che mira ad una verifica continua della lingua, in cui denuncia i limiti classicistici. Da queste considerazioni che conducono Pasolini all'individuazione di una linea antiermetica alla poesia del 900, sarebbe di qui a poco scaturito il diverbio con gli esponenti del Gruppo 63, ai quali egli rimproverava la scelta di operare entro un orizzonte autoreferenziale e non-comunicativo, dunque sostanzialmente di disimpegno, che a loro volta, non comprendendone le intime ragioni, gli contestavano un eccesso di ideologizzazione, la tendenza ad un pesante contenutismo, il suo permanere nel cuore delle contraddizioni senza risolverle, ma facendone al contrario una bandiera. 3.4. CASI LETTERARI. AVNGUARDIA E SPERIMENTALISMO Durante la Resistenza e nell'immediato dopoguerra, di fronte all'urgere del drammatico concretarsi di problemi effettivi, la narrativa era tornata alla realt, scegliendo nuovamente di occuparsi ddei fatti. Il canone del vecchio naturalismo, il canone verghiano di una letteratura che sembra essersi fatta da s era tornato d'attualit riproponendosi, ora, in un'ottica nuova: come testimonianza dell'esperienza e della storia appena vissuta dalla nazione. La letteratura sentendosi chiamata all'impegno, aveva iniziato a muoversi in una prospettive democratica, trasportando l'esperienza collettiva in un orizzonte epico, nell'intento di rivolgersi ad un pubblico ampio, coincidente con l'insieme del popolo italiano, aveva attinto all'oralit, ricercando un linguaggio di tipo medio che sembrasse emanare da un'anonima voce corale, aveva lasciato molto spazio ai dialoghi e cercato di riprodurre entro le forme dell'italiano scritto, il ritmo e la concretezza del parlato. Questo modello di approccio era entrato per in crisi gi dalla met degli anni 50. Da una parte infatti, dopo il 1956. dopo i fatti di Ungheria, nel declino dello stalinismo, apertasi grandi vuoti nelle file del PCI, si era

avviata in tutta la cultura di sinistra una fase di riflessione critica sui presupposti ideologici dell'impegno e delle sue ricadute sull'arte, dall'altra in concomitanza con le trasformazioni sociali e per effetto dell'opera di sprovincializzazione culturale intrapresa da alcune riviste, era iniziata una fase di confronto pi spregiudicato con i fenomeni e le istanze della cultura moderna. L'Italia stava infatti conoscendo in quegli anni, tra il 198 e il 1963, uno straordinario balzo in avanti verso la modernizzazione. Assistiamo in questo decennio, al massiccio trasferimento di lavoratori dall'agricoltura all'industria, ad uno spostamento di massa dalle campagne alle citt, crescono soprattutto le citt industriali del nord intorno alle quali iniziano a sorgere squallide periferie. Contemporaneamente la produzione industriale cresce del 70 %, il boom, il miracolo italiano, che nel giro di pochissimi anni trasformer il nostro paese in un paese industriale e moderno, vicino al modello delle nazioni pi avanzate. Il capitalismo stava dimostrando una velocissima capacit di sviluppo. La diffusione dell'automobile e della televisione, i pi importanti tra i beni di consumo che invadono il mercato, modifica profondamente abitudini e stile di vita di milioni di italiani. Pubblicit, tendenza alla standardizzazione, un nuovo senso di benessere influiscono sulla percezione dell'essere nel mondo: l'individuo condizionato nelle sue scelte, indotto ad identificare la felicit con il possesso di oggetti, alienato da se stesso, si riduce ad uno strumento docile e inconsapevole dell'apparato produttivo. Gli intellettuali e gli uomini di cultura si trovano obbligati ad inserirsi nel meccanismo di produzione: divengono impiegati dell'editoria, giornalisti, funzionari televisivi, scrivono sceneggiature e soggetti e la diffusione delle loro idee sono direttamente proporzionali alla loro visibilit, dunque al loro inserimento nel sistema della produzione culturale. Il libro ormai diventato anch'esso una merce. Tuttavia nell'ambito dello schieramento di sinistra, cominciano ad essere elaborate delle posizioni che non coincidono con i partiti ufficiali e che mettono seriamente in discussione l'ipoteca contenutistica che grava sulla produzione letteraria, nonch il ruolo dell'intellettuale organico. Una rapida panoramica di alcuni contemporanei eventi culturali rende ben evidente la contraddittoria ricchezza di un momento di passaggio che ha gi cominciato ad influire sui moduli narrativi e sulle forme estetiche. Nel 1955 esce metello di pratolini, nel 1956 Laborintus di Sanguineti, nel 1957 Quer pasticiaccio brutto di via Merulana di Carlo Emilio Gadda. A livello teorico alcune di queste tematiche si erano gi affacciate sulle pagine di Officina. Nel 1960 esce l'emblematico Critica del gusto di Galvano della Volpe che apre la critica marxista ad un'attenzione per gli aspetti formali dell'arte. Ma proprio Elio Vittorini, vecchia guardia della generazione postbellica, come sempre acutissimo nell'individuare i problemi in campo, che agli inizi degli anni 60, sul neonato Menab di letteratura affronta la questione di letteratura e industria, osservando che nuovamente la letteratura si dimostra lontana da bisogni espressi dal paese, estranea ai problemi generati dai mutamenti in atto. Per Vittorini vi la necessit di sperimentare tecniche narrative sintonizzate con i cambiamenti che l'uomo sta vivendo. Da questo punto di vista appaiono particolarmente interessanti alcuni romanzi comparsi all'estero, i noveaux romans, prodotta dalla cosiddetta ecole du regard. In conseguenza di queste convinzioni, il n.5 del Menab di letteratura sar interamente dedicato ad accogliere i contributi di un gruppo di scrittori Novissimi, da poco presentatisi al pubblico in un'antologia omonima apparsa sotto l'egida de Il Verri di Luciano Anceschi e stampata da Einaudi, ricca anche di interventi teorici che argomentano il rifiuto, da parte di quei poeti, dei modelli letterari tradizionali, delle strutture linguistiche fin da ora accreditate e l'inizio di una ricerca a tutto orizzonte che intende sfidare il deperimento del linguaggio, esasperarne l'insensatezza, rivoluzionando il rapporto con il lettore. Si profilano cos sempre pi chiaramente i due filoni dello sperimentalismo che attraversa gli anni 60: da una parte la ricerca avviata dal gruppo di Officina, guidato da Pasolini, che lega il suo sperimentalismo stilistico ad una matrice esistenziale e passionale, dialetticamente pedagogica e moralistica, che rifiuta il preziosismo astorico e iperletterario dell'ermetismo come il disimpegno del nichilismo avanguardista e non rinuncia ad assegnare al linguaggio una funzione di mediazione a fare della poesia un ambito di conoscenza, di comunicazione ideologica e discorsiva. Dall'altra la direzione dello sperimentalismo informale e mimetico della neoavanguardia, che, lavorando sul piano verbo-

linguistico, in continuit on l'opera di decostruzione comunicativa avviata dalle avanguardie storiche, utilizza la provocazione della lingua che la realt parla di noi, sceglie di calarsi interamente nella dialettica dell'alienazione (Giuliani). Di fatto nella speculazione teorica e nella prassi poetica degli autori del Gruppo 63, che assimilarono precocemente e contribuirono a diffondere la lezione dello strutturalismo e del formalismo dei russi, l'attenzione del linguaggio riveste un ruolo centrale, anche se, come abbiamo detto, in una prospettiva diversa da quella di Pasolini. Per i Novissimi il linguaggio potenziato nella sue forza eversiva e trasgressiva deve essere utilizzato in funzione strategica per sorprendere l'orizzonte di attesa del lettore comune, per dinamizzare e oggettivare le tensioni dell'inconscio. La lingua diventa uno sterminato repertorio cui attingere senza preclusioni, mescolando i registri, contaminando gli stili, innescando l'una nell'altra lingue diverse, frequentando indiscriminatamente l'alto e il basso, il sacro ed il profano, il sublime ed il triviale. La parola stessa diventa oggetto di un vero e proprio gioco di massacro. Alla lingua letteraria Giuliani e i suoi oppongono lo statuto incerto, polimorfico e polisemantico della parola individuale, colta nelle occorrenze estreme di lapsus e di provocazione, variata sui registri dell'ironia, del comico, della deriva simbolica. Si approda cos ad un poliglottismo che, dir sempre Giuliani recensendo Laboriuntus di Sanguineti mira a suggerire la dismisura dell'anima materiata di parole. Fine ultimo e sociale di questa strategia sar quello di obbligare il lettore ad uscire dal suo ruolo passivo e distratto fruitore per costringerlo a compiere, insieme allo scrittore analogamente a quanto avevano cercato di fare le avanguardie dell'inizio del 900- quel percorso di decostruzione critica che obbliga il linguaggio a rivelarsi a se stesso. Cos Alfredo Giuliani nell'introduzione dell'antologia dei Novissimi getta le basi per una polemica che in comune con quella pasoliniana aveva il rigetto del canone alto novecentesco, si scaglia contro le forme della recente poesia, ricondotte ad una sorta di neo-crepuscolarismo o di stanco neorealismo, comunque viziata da un eccesso di io. La composizione del gruppo dei neoavanguardisti per eterogenea: i cinque (Giuliani, Porta, Balestrini, Pagliarani e Sanguineti) sono accomunati dal rifiuto del recente panorama culturale, da un'ansia di sperimentazione, dalla volont di abbandonare ogni rapporto diretto con le istituzioni e la mediazione imposta dalla nozione di imopegno, e affermano di volersi orientare verso un atteggiamento critico a largo raggio, verso un'azione anarchica e provocatoria di disturbo. Giuliani sempre nella prefazione dell'antologia contestava soprattutto l'ambito comunicativo e ideologizzato in cui si muovevano ancora i poeti proposti dal Menab e salvava tra loro soltanto Pagliarani, che su quelle pagine aveva pubblicato la sua ragazza Carla punto di partenza di un percorso che, attraverso la rivisitazione dei modelli scapigliati, attraverso l'ampio ricorso alle tecniche del collage e del pastiche, arrivava secondo Giuliani a sintonizzare il linguaggio poetico con il diffuso e disorientante malessere della contemporaneit. Giuliani sar anche uno dei pi agguerriti teorici di un movimento che rappresenta l'ultimo tentativo di organizzazione degli intellettuali in un gruppo o cenacolo, sulla base di un programma comune, che presto comincia ad articolarsi in incontri ed in pubblicazioni e a segnalare nuove adesioni: esce nel '62 Opera aperta di Umberto Eco, nel '63 vede la luce Capriccio italiano di Sanguineti e, nel convegno di Palermo, si forma il Gruppo 63. La costellazione dell'avanguardia accoglier sempre nuovi nomi, alcuni dei quali si discosteranno dalle forme di militanza collettiva, e si distinsero per la loro personale ricerca, che attinge a risultati di particolare originalit. La parola poetica, sulla spinta anche di una rivisitazione critica delle avanguardie storiche tender in questi anni sempre pi ad evadere dalla pagina scritta per espandersi in rappresentazioni verbo -visive e performative, verso la poesia sonora e la poesia di azione. Ma con questi sviluppi, attraversata la ventata libertaria del '68, siamo gi alle soglie degli anni 80, quando l'ampiezza delle sperimentazioni, che hanno provocato in itinere anche effetti paradossali, involutivi ed inattesi, giunge a toccare estremi invalicabili da non plus ultra che induce molti al ritorno verso moduli simbolisti ed ermetici. Nanni Balestrini il fautore di una linea che coniuga l'impianto sperimentale con un estremistico sfondo politico, il suo articolo, Linguaggio e opposizione, apparso per la prima volta sulla Rivista letteraria lascia ben intravedere la valenza ideologica dello sperimentalismo, che sfocer nel 1971 nel romanzo Vogliamo tutto, sulle lotte operaie del 68, risultato di un lavoro critico di montaggio di

slogans, di volantini. Importante anche l'intervento di Angelo Guglielmini avanguardia e sperimentalismo fondamentale per comprendere non solo le posizioni del Gruppo 63, ma anche i mutamenti che si innescarono negli anni 60 e che hanno condotto all'attuale mutamento di orizzonte, e che divenne poi nel 1964 un libro che, con la raccolta Gruppo 63. Teoria e critica, curata con Barilli per Feltrinelli, ritornava sull'idea di sperimentalismo, intesa come esercizio di intelligenza critica a tutto campo, da opporsi a avanguardia, concetto ormai storicamente inadeguato a rappresentare un mondo di estrema libert, di estrema tolleranza in cui non c' pi nessun argine o ostacolo da abbattere. Si deve riconoscere che, se da una pate la neo avanguardia seppe creare nel giro di pochi anni una nuova sensibilit nell'ambito delle ricerche sulla lingua, aprendo un orizzonte di dibattito teorico fecondo e moderno, che ag a fondo sull'ambiente intellettuale italiano e favor la comprensione di importanti manifestazioni della cultura internazionale, d'altra parte persino la sua opera di modernizzazione linguistica, che ha pericolosamente sfiorato i limiti della non comunicativit assoluta e della fine della letteratura, ha avuto un suo risvolto paradossale, finendo per fornire alla comunicazione mass mediatica inediti strumenti di diffusione pubblicitaria e spettacolare. 3.5CASI LETTERARI. LETTURE, RIFLETTURE, TRADUZIONI Gli scritti antologizzati mostrano in quanti modi possa esercitarsi la militanza e rivelano come nel parlare in pubblico, la parola del critico si riempia di responsabilit. L'ampiezza delle implicazioni si intende solo risituando il testo critico nel vivo del tessuto storico che lo ha generato, quindi un'operazione di contestualizzazione delle argomentazioni e delle conclusioni cui il critico perviene. Difficile ad esempio percepire l'importanza della lettura critica desanctisiana di Macchiavelli se non la si riconduca alla situazione politica italiana nel 1860-1870. de Sanctis pur nella condanna del principio della Ragion Stato, elevato in Macchiavelli a valore di necessit superiore, rialacciandosi ad una linea interpretativa che va da Gianbattista Vico a Foscolo, mostra di voler rivalutare, nella catolicissima e manzoniana Italia, all'indomani della presa di Roma e del Sillabo promanato da Pio IX, la dignit di una tradizione anticlericale e laica di alto lignaggio, sulla quale crede doveroso ora fondare il futuro del nuovo Stato. Tuttavia assorto nella sua causa De Sanctis incorreva in una forzatura che, come la critica successiva ha messo in luce, se da una parte splendidamente rappresentava l'istanza unitaria del Risorgimento, dall'altra rivelava con i suoi tratti semplici e decisi, la sopraffazione spiccia che ai fini dell'Unit era stata imposta alle differenze reali e tradizionali della vecchia Italia (Carlo Dionisotti). Alla comprensione delle quali, invece, avrebbe dato un sostanziale apporto quel filone di studi storico-sociali fiorito tra il '75 e l'80 e incentrato sul Meridione d'Italia, il quale contribu non poco ad ispirare e motivare la narrativa del nostro naturalismo. Ma in fondo anche la querelle sul naturalismo e sul romanzo moderno, che da noi all'epoca, sembra realizzarsi al meglio in ambientazioni regionalistiche e popolane piuttosto che nazionali e borghesi, acquista, sullo sfondo delle lezioni di Bernardo Spaventa e della rinascita hegeliana in Italia, una risonanza in qualche maniera patriottica, anche se di un patriottismo che non vorrebbe vedere rinnegate le differenze ma chiederebbe al contrario fossero comprese in un progetto politico che, pur in una prospettiva unitaria, rinunciasse al rigido accentramento amministrativo in favore di pi flessibili ipotesi di governo, lasciando spazio alle autonomie o a ipotesi federalistiche, come voleva Cattaneo. Ci signific l'inizio di una lacerazione destinata ad opporre sino ai nostri giorni le regioni di un Mezzogiorno agricolo e arretrato alle esigenze del Nordo, industrializzato e moderno, Luigi Capuana da parte sua lavorava per il bene della letteratura italiana, richiamandola ad una produzione che, obbligando il lettore a rinunciare alla paternalistica tutela dell'autore, si allineasse a quella modernissima forma d'arte che trovava nel romanzo della perfetta impersonalit. Se cio il naturalismo presuppone l'osservazione spassionata del Vero che lo scrittore impassibilmente registra a mo' di scienziato, allora, in un'Italia che ancora non possiede un suo volto unitario, non potr esservi romanzo moderno se non nella produzione delle verit regionali. Occorrer arrivare al secondo dopo guerra perch venga corretta questa lettura e

per veder riconosciuto all'opera verghiana un valore di rappresentativit, anche alla luce della nuvelle vague neorealistica. Molto critica negli anni '50 e '60, tuttavia, nell'ottica di un certo rigorismo marxista, contest a sua volta a Verga il suo disimpegno, la sua fondamentale aderenza ad una visione immobilistica e reazionaria della storia, condiviso con il ceto di piccoli possidienti terrieri al quale egli stesso apparteneva. Si deve ad alberto Asor Rosa e a Romano Luperini il fecondo rovesciamento di questa interpretazione: secondo Luperini in particolare, proprio il pessimismo che consente a Verga di aderire al mondo popolare e di darne una rappresentazione efficace. Altrettanto interessante la lettura marinettiana della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Da avnguardista invent uno stile nuovo, spudoratamente di parte, tutto proteso a sostenere l'affermazione del suo movimento e del suo approccio anti accademico e moderno alla tradizione letteraria, secondo quanto evidenzia anche dalla sua interpretazione della Gerusalemme liberata, considerata opera antisignana grande nel suo potere di anticipazione, da cui sempre possibile estrarre quella lezione del futurismo, indispensabile per la nostra vita. Con Giacomo Debenedetti al contrario la critica diventa osmotica, sguardo simpatetico sui e dentro i percorsi della scrittura tentati dall'autore. Debenedeti si impadron precocemente degli strumenti pi sottili, e anche allora pi inconsueti, di cui un esegeta potesse farne uso: la psicoanalisi nelle diverse declinazioni teorizzatene da Freud e Jung, poi la matematica, la fisica, la fenomenologia, la sociologia, l'antropologia culturale e persino la musica. Cos Debenedetti ci ha lasciato stupende pagine che guidano lo sguardo del lettore sotto la superficie della pagina, a intravederne le invisibili fonti. Debenedetti ha la capacit di saper guardare nei meandri del testo e nella psicologia dell'autore, la sua disposizione al ritratto- racconto critico del suo metodo indiziario che procede verso una finale agnizione. Ci rivela anche il motivo per cui Debenedetti fu per anni e anni docente seguito e amato dai propri studenti. Pi malizioso Giorgio Manganelli, scrittore barocco e critico paradossale, scrive su Ennio Flaiano, lo definisce scrittore dalla loquacit occulta, inquietante, da leggere tra le righe, ed apprezzare lo stile del critico che procede da ossimoro a paradosso, la forzatura espressionistica e cerebrale della parola, il gusto degli accostamenti imprevisti, delle complicazioni che sciolgono enigmi da lui stesso creati. La letteratura ed il linguaggio sono per Manganelli palestra dell'intelligenza. 4.5.ALL'ITALIA E AGLI ITALIANI (1816-1870) il pi largo diffondersi delle gazzette e di almanacchi, di fogli a stampa e periodici di carattere agile e moderno che, per attirare il lettore, puntano sull'attualit e sulla verit degli argomenti, non da tutti fu salutato come progresso. A molti questo sembr al contrario ulteriore indizio di decadenza. Secondo Ugo Foscolo, ad esempio, gli italiani, in mancanza di uno robusta letteratura, si nutrono di sciocchezze e di vizi ed imparano a disprezzare le lettere. Anche Leopardi nella sua Palinodia al Marchese Gino Capponi, mostra di non apprezzare la giornaliera luce delle gazzette. Pur tuttavia anche Foscolo e Leopardi furono chiamati a collaborare ad alcuni periodici del loro tempo. La prolusione foscoliana del 1809, la celeberrima Dell'origine e dell'ufficio della letteratura si incentrava su questo binomio, le lettere e la nazione le une specchio delle altre. L'orazione anticipa temi ed argomenti che in seguito nel dibattito tra classicisti e romantici troveranno sintetica e popolare espressione nel tirtaico decasillabo manzoniano che, nel Marzo 1821, esorter l'Italia nel riconoscersi nel proprio retaggio. A partire da queste premesse ideali si comprende il senso delle polemiche e delle vicende che coinvolsero le pi significative testate di questi anni, sulle cui pagine il confronto intellettuale, muovendo da un retroterra illuministico che implica la valenza civile del magistero letterario e la funzione pedagogica della letteratura, sfocia su un orizzonte romantico e risorgimentale. Esemplare in tal caso, sar la ben nota disputa tra classicisti e romantici, che, pur incentrata sui temi letterari, assumer da subito una evidente valenza politica, anche per la sede che ne ospit le prime battute. La Biblioteca italiana, uno tra i pi importanti periodici di questi anni,

nata per volont degli austriaci subentrati nel milanese dopo la sconfitta di Waterloo e la pace di Parigi, era stata infatti promossa dal barone H.von Bellegarde, governatore della Lombardia, come organo di propaganda culturale e di promozione del consenso. Il governatore era convinto che un periodico ad autonomia vigilata fosse uno strumento ideale per avviare un principio di collaborazione con i ceti medi e con l'intellighentia delle regioni occupate. E per diffondere l'idea che l'Austria potesse garantire al Lombardo Veneto un'amministrazione illuminata. In questa ottica pens di offrirne la direzione ad Ugo Foscolo, letterato gi illustre e di fama patriottica. Questi di ritorno a Milano dopo l'esilio fiorentino inizi a redigerne il programma, ma presto chiaritoglisi il senso dell'operazione, lasci l'incarico e, consapevole delle conseguenze, ripar in esilio prima in Svizzara e poi a Londra. La direzione della Biblioteca proposta tra gli altri anche a Vincenzo Monti fu affidata in fine a Giuseppe Acerbi, diplomatico, viaggiatore, geografo che le imprimer pur nell'orientamento filo governativo, un carattere di cauta e intelligente apertura. Portavoce della politica culturale austriaca in clima di restaurazione, la Biblioteca si trovava per naturalmente schierata nel campo del conservatorismo, della difesa della tradizione e del classicismo. Di qui il carattere clamoroso della polemica letteraria che si apr nel 1816 a partire dall'articolo di madame Necker de Stael Sulla maniera e la utilit delle traduzioni, che invitava i letterati italiani a tradurre le moderne opere straniere affinch agissero come fermento capace di svecchiare la loro letteratura. I letterati italiani insorsero e anche i conservatori, dalle pagine dell'austriacante Biblioteca, pur ammettendo la fondatezza di alcune critiche, finirono con il difendere il classicismo sulla scorta di una italianit di tradizione e di sentimento, insomma in nome della patria identit. I sostenitori del romanticismo invece, riallacciandosi a tematiche gi esposte dalla De Stael nel suo trattato De l'Allemagne, in mancanza di una rivista che ospitasse le loro idee, intervennero nel dibattito con una serie di opuscoli che costituiscono altrettanti manifesti della nuova poetica. Desiderosi di conciliare l'utile con il dilettevole, i valori della tradizione cattolica con i fermenti della sensibilit romantica, gli interessi coltivati in Italia con quelli espressi dalla contemporanea cultura europea, soprattutto tedesca, eredi dell'Illuminismo e del Caff, gli uomini del Conciliatore muovendosi nella chiara prospettiva della formazione di una coscienza nazionale di cui essi stessi si consideravano Leadership, memori di Foscolo e del suo esempio di passione civile, impostarono il menab del giornale secondo uno schema legato ad una fattiva concretezza, che, a una parte letteraria, ricca di recensioni di opere straniere, ne affiancava altre dedicate alla scienze morali, ad articoli di economia politica, di statistica di agricoltura, arti e scienza. Sul piano pi squisitamente letterario, essi furono decisi sostenitori della poetica romantica e contribuirono a consolidare, agli occhi della pubblica opinione, quell'equazione multipla (poesia romantica=poesia sentimentale=poesia nazionale) che finir per caricare di significati patriottici e , di conseguenza politici, le posizioni romantiche, rendendole sempre pi sospette agli occhi degli occupanti. In questo quadro cos vivace e drammatico, ricorderemo ancora, tra le riviste del periodo, la fiorentina Antologia, mensile fondato nel gennaio 1821 da Gian Pietro Vieusseux editore e libraio di formazione cosmopolita, che manifest precocemente la sua vocazione di animatore culturale con l'istituzione di un gabinetto scientifico letterario il cui prestigio rimasto inalterato sino ai nostri giorni. L'Antologia sostenuta da grandi industriali e da imprenditori fu oltre che organo di promozione culturale dei liberali moderati toscani, una sede aperta di confronto tra le pi importanti tendenze culturali dell'epoca. Cattaneo da parte sua di qui a poco fonder il Politecnico che diriger dal 1839 all'inizio del 1945, sulle cui pagine stroncher il libro di Tommaseo Fede e Bellezza. Il Politecnico fu strumento essenziale per la modernizzazione del Lombardo Veneto. Accesamente anti sabaudo, repubblicano e federalista, Cattaneo riprese a pubblicare la rivista nel 1959.

4.5.LETTERATURA E SOCIETA' CIVILE Aveva cominciato tra i primi Enrico Corradini su Il Regno una delle riviste fiorentine di quest'inizio di secolo, a sdegnarsi per la vilt della presente ora nazionale, a invocare un'ascensione. Corradini se la prendeva innanzitutto contro quell'ignobile socialismo che rappresentava ai suoi occhi l'ira dei pi bassi istinti della cupidigia e della distruzione. Papini e Prezzolini sin dal primo numero del Leonardo si erano dichiarati seguaci de L'ideale imperialista, si erano appellati alla giovinezza, al paganesimo, all'individualismo e al pensiero per dirsi adoratori della profonda natura e della vita piena. Borgese dal canto suo staccandosi dai compagni leonardiani e postosi all'ombra di Corradini e di D'Annunzio, aveva continuato a reclamare su Hermes il gusto di essere idealisti in filosofia, aristocratici in arte, individualisti nella vita Rigettato il paganesimo degli amici del Leonardo, Hermes dichiarava di simpatizzare con le forze conservatrici del cattolicesimo di cui amava l'energica tendenza al dominio e, gi riempiendo di spirito reazionario la parola d'ordine del classicismo, la coniugava con il culto della stirpe, di cui D'Annunzio era riconosciuto profeta. Il tono declamatorio caratterizz molti interventi alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, quando in Italia si scatener la polemica tra neutralisti ed interventisti. Ma ci che colpisce l'affacciarsi, in questo inizio di secolo, come fermenti gi impiantati nello scontento di una parte della classe intellettuale, le cui aspirazioni e i cui orizzonti coincidono con quelli della piccola e media borghesia desiderosa di elevazione. Cos i programmi di tante riviste accolgono, travisandoli di segno, elementi idealistici e nietzcheani, attingono a Stirner e a Sorel, in una confluenza ideologica per ora abbastanza vaga e confusa, ma che via via, sempre pi precisamente, come ben spiega Croce nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 trapasser dal piano delle convinzioni individuali a quello delle parole d'ordine collettive, dall'ambito culturale a quello politico. Non tutti seguirono la stessa via: Borgese, gi dal 1909, deprecher l'ideologia patriottica di D'Annunzio. Corradini invece, strenuo ammiratore di D'Annunzio e della sua interpretazione dell'oltreuomo, fonder nel 1911 Lidea nazionale che appogger energicamente l'impresa coloniale e la guerra in Libia (1912). Di qui a poco Salvemini lasciata La Voce in un articolo pubblicato sulla neonata Unit, cercher di compattare le posizioni contrarie alla guerra libica, al rinnovo della Triplice Alleanza, proclamandosi un democratico contro la democrazia, a favore della nazione ma contro il nazionalismo. Rispetto al trionfalismo stolido che inneggia al conflitto come occasione di rinnovamento sociale ed umano, la malinconica voce di Renato Serra suona nella sua perplessa problematicit. Fedele ad un ideale classicistico di esercizio letterario come otium colto ed elevato, rivolta ai valori perenni e immutabili, signorilmente distaccato dai valori della cronaca, Serra depreca, per dirla come Gozzano, il poeta che tra clangor di buccine s'esalta. Piegato dal suo stesso nichilismo e dal senso di una solitudine che, come in carcere d'inchiostro, lo separa dalla vita degli altri, Serra finir per rispondere all'emergenza cercando di riscattare la propria mancanza di fedi con un atto di volontaristico egoismo: partir spontaneamente, anche lui per la guerra, e vi lascer la vita.. in realt destino di tutte le parole alla moda quello di doversi prestare a una serie di travisamenti, di essere utilizzate al di fuori del proprio contesto originario. Croce si era gi schierato, a partire dalla Risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani al manifesto degli intellettuali fascisti promossa i replica al Manifesto di Giovanni Gentile e dall'articolo Il dovere degli intellettuali pubblicato nel 1926 sul Barretti. Dall'alto di un'autorevolezza ormai pienamente riconosciuta, Croce chiamava gli scrittori a non tradire la verit e ad allinearsi sull'esempio di Gobetti. Con il quale poco prima che Rivoluzione liberale (1922-1925) venisse dichiarata organo antinazionale da Mussolini, aveva deciso di collaborare anche Eugenio Montale. In risposta alle difficolt di un presente tanto compromesso con la politica, questo gruppo di poeti, peraltro abbastanza diversi tra loro, deciso a liquidare il dannunzianesimo pi invadente e il pascolismo pi dolciastro guarda al simbolismo francese, a Mallarm e a Valry, all'esempio di

Ungaretti, a Quasimodo, del mistico e segreto Arturo Onofri, insomma ad un'idea di poesia pura, lontana da rapporti troppo immediati con la realt e intenta a distillare il significato della vicenda umana. 4.3.LETTERATURA E IMPEGNO NEL SECONDO DOPOGUERRA Il 20 Maggio 1945, a poco meno di un mese dalla liberazione, usciva sull'Unit, periodico politico fondato da Gramsci nel 1924, soppresso nel 1926 dal fascismo e ora dalla clandestinit tornato alla luce come quotidiano, un dolente articolo di Cesare Pavese Ritorno all'uomo, che ricordava come nelle giornate chiassose dell'era fascista un'intera generazione aveva cercato nella letteratura d'oltreoceano un calore umano un modo di essere pi schietto, pi vivo e pi sincero. Al pari di molti anche Pavese aveva continuato come traduttore e saggista, ad occuparsi letteratura americana soprattutto dalle pagine della rivista Cultura. Sinclair Lewis, Melville, Dos Passos, Faulkner, Hemingway, Caldwell erano divenuti cos i modelli di tutta una generazione che guardava anche agli esempi di quegli scrittori che, fin dagli anni trenta, in Italia, si erano opposti alla letteratura di propaganda e a quella di evasione, al soggettivismo della lirica e al disimpegno della prosa d'arte, accostandosi alla realt e affrontando tematiche di rilievo sociale. A questi, oltre che a Verga e a Zola, si ispirer il neorealismo italiano, un indirizzo pi di una scuola di scrittori, caratterizzato da un forte impegno civile e sociale. Il Neorealismo che implicando un principio estetico di rispecchiamento era in particolare consonanza con le idee politiche di molti intellettuali, fu anche un orientamento condiviso da ampi settori del mondo culturale. Molto ci si interroga infatti, nel dopoguerra, di fronte alle devastazioni causate dal conflitto, di fronte agli orrori che emergono dai campi di sterminio, all'inizio di un'epoca che tutti sperano di pace, ma che si inaugura all'ombra delle bombe atomiche, sulla responsabilit degli intellettuali. Nell'articolo che inaugura l'uscita del Politecnico, Elio Vittorini che ne il fondatore e il direttore, sostiene che la sconfitta pi grave quella subita dalla cultura: una cultura millenaria, che ha prodotto splendidi capolavori ma che non ha saputo impedire gli odi, arginare le barbarie e ha lasciato che tutti valori sui quali si regge il concetto di civilt venissero calpestati. Ci accaduto, sostiene Vittorini, perch la cultura si sempre limitata a consolare gli uomini dalle sofferenze e dalle oppressioni, chiusa nella sua torre d'avorio, la classe intellettuale, aristocraticamente separata dal resto della nazione, non ha neppure pensato a crearsi degli strumenti per difendere quei valori. All'articolo di Vittorini risposero in molti, proponendo un allargamento del concetto di cultura, che includesse il terreno dell'economia, della produzione e distribuzione delle ricchezze. La convinzione che la classe intellettuale debba partecipare organicamente al movimento progressivo della societ, sar ampiamente dibattuta negli anni successivi, soprattutto dopo la pubblicazione dei Quaderni dal carcere di Gramsci. Il tema della militanza, del ruolo organico e progressivo degli intellettuali nella vita della nazione, era particolarmente avvertito dai critici e gli scrittori della sinistra, in larga maggioranza iscritti al partito Comunista guidato da Palmiro Togliatti; ma sullo sfondo oltre all'analisi gramsciana, vi era anche la lettura dell'idealismo progressista di Croce e quella del liberalismo integrale e democratico di Gobetti, corretti, alla luce dei trascorsi eventi, dall'amara consapevolezza che la storia non necessariamente il luogo d'attuazione di razionalit. L'intervento di Vittorini sulla nuova cultura si concludeva anche in linea con quella prospettiva unitaria che era stata promossa da Togliatti nella svolta di Salerno che nel 1944 aveva compattato le forze antifasciste e preparato il governo di coalizione, con un appello a idealisti e cattolici, chiamati a collaborare attivamente alla promozione di una letteratura impegnata, largamente accessibile, dialetticamente coperante con le forze politiche per la difesa dei diritti e dei valori umani. Cos il politecnico nato per sostenere questo programma, che si richiamava sin nel titolo alla lezione di impegno civile di Carlo Cattaneo, pubblic affianco a testi critici, di saggi letterari e traduzioni, una serie di importanti articoli riguardanti l'attualit politica e sociale. Sulla questione dei rapporti tra cultura e potere, tra intellettuali e politica, si apr per ben presto un'aspra vertenza tra la rivista ed i vertici del partito comunista, che esercitava una forte egemonia

sugli intellettuali di sinistra e che, in linea con le posizioni del comunismo staliniano, si attendeva dai propri iscritti il rispetto dell'ortodossia decretata dal partito sovietico. In URSS i modelli proposti dal realismo socialista guardavano alla tradizione 800entesca, tendevano a forme di rispecchiamento, che favorisse la presa di coscienza del popolo e lo preparasse all'azione rivoluzionaria. L'indirizzo culturale proposto dal Politecnico appariva dunque ai quadri comunisti italiani deviante rispetto al canone estetico dichiarato corretto dal dirigismo sovietico, che condannava recisamente tutta quella letteratura estenuata e intellettualistica, difesa invece da Vittorini e compagni come espressione di una crisi della coscienza borghese, come momento di autocritica preliminare ad una conversione in senso rivoluzionario. Ben presto Mario Alicata su Rinascita, una delle riviste attraverso le quali il PCI definiva le linee della sua politica culturale, rimproverava a Vittorini di aver fallito, per eccesso di intellettualismo, nell'obiettivo di educare le masse e di creare un vasto movimento di interessi morali e pratici., capace di costruire un ponte sopra la frattura che da sempre aveva separato i ceti medi e gli intellettuali dalle grandi masse popolari. Secondo Vittorini la politica tiene alla sfera della cronaca, del particolare, del contingente, mentre la cultura storia, appartiene all'universale. Perci, concludeva, sebbene il dovere culturale non ci liberi dal dovere politico, noi dobbiamo adempiere al primo, a costo di andare contro il secondo. Ribatteva Togliatti in persona rovesciando i termini della contrapposizione: per lui, mentre la politica lavora anche i periodi oscuri a preparare le grandi trasformazioni del futuro, la cultura costantemente soggetta ad errori ed opacit. Di rimando Vittorini, a sua volta, affronter direttamente il tema dei rapporti tra politica e cultura, in un noto articolo in cui, precisando di non aver mai ritenuto che i politici non debbano interferire con la cultura, sosteneva, citando ad esempio Marx, la necessit ad aprirsi ad una visione pi ampia, non dogmaticamente orientata, disposta ad accogliere tutte le sollecitazioni e a confrontarsi con esse. In quegli anni in fin dei conti i migliori risultati furono raggiunti da coloro che seppero travalicare i canoni del neorealismo in senso lirico (Vittorini), fantastico (Calvino), simbolico (Pavese). La fase calda e utopistica della militanza organica, conclusasi nell'aprile del 1948 con l'estromissione della sinistra dal governo e l'affermarsi della maggioranza democristiana guidata da De Gasperi, continu nell'opera di promozione culturale condotta dai protagonisti laici di quegli anni. 5 LETTERATURA E SOCIETA' DI MASSA. Nel 1844 Carlo Tenca pubblic sulla Rivista europea un lungo saggio intitolato Del commercio libraio in Italia e dei mezzi per riordinarlo. In esso lamentava il monopolio degli editori per la letteratura, che l'ha fatta scendere nella sfera del pi volgare industrialismo. Quando Tenga scriveva, l'Italia stava entrando in un momento molto delicato di trapasso economico: ad una forte spinta di riorganizzazione, ad una nuova richiesta imprenditoriale, si opponeva l'inerzia dei vecchi sistemi produttivi, la frammentazione politica e, nel milanese, un forte controllo politico. Nello stesso periodo fuori d'Italia anche i quotidiani si avviavano alle grandi tirature, superiori alle 50.000 copie. In Italia al tempo di Tenca, i ruoli dell'editore, dello stampatore e del libraio sono spesso ancora non ben distinte. La tutela della propriet intellettuale si afferma infatti abbastanza tardi, soprattutto in Italia, anche per via dell'ambiguit inerente a quel tipo speciale di merce che il libro. Solo nel 1861 fu esteso a tutto il territorio nazionale un accordo per il riconoscimento della propriet letteraria, nel 1886 venne firmata a Berna una Convenzione internazionale europea, poi progressivamente estesa verso la fine dell'800 cominciarono a costituirsi anche associazioni nazionali per la tutela degli autori. Tenca coglieva insomma, grazie anche alla sua sensibilit per i fenomeni sociali e per le sinergie tra letteratura e fattori ad essa esogeni maturata nella collaborazione con Carlo Cattaneo, le cause ed i processi dei mutamenti avviatisi con l'industrializzazione, con l'aumento dell'alfabetizzazione, con la fine del mecenatismo e l'inizio della civilt borghese e i massa: dove gli scrittori, finalmente emancipati dalla protezione dei principi,

dipendono per dal favore del pubblico e dalle scelte degli editori, i quali per poter mantenere la propria attivit, devono a loro volta ricavarne profitto e occuparsi del libro come di una merce tra le altre, soggetta agli stessi imperativi di mercato. La posizione dell'autore, nonostante l'avvenuto riconoscimento della propriet letteraria, diviene cos via via pi debole. L'Editoria d'altra parte, nel corso del XIX secolo va gi specializzandosi in collane finalizzate ai bisogni, culturali, strumentali, del pubblico, al target diremmo oggi. Generi di ampia circolazione, si apre un campo del tutto nuovo che quello della cultura come consumo, fruizione generalizzata o massificata del prodotto letterario, che fa emergere, gi alla fine dell'800, elementi destinati a divenire peculiari nella societ delle comunicazioni di massa. Il fenomeno della diffusione su larga scala di una letteratura facile e di largo consumo, che ancora poteva essere osservato nel secondo anteguerra nel suo risvolto positivo, come inizio di una produzione letteraria nazional-popolare, oggi, in uno scenario completamente mutato, appare sotto tuttaltro aspetto: l'attuale orizzonte della comunicazione, la chiacchiera cultural-scandalistica universalmente diffusa, finisce per cancellare ogni discrimine o gerarchia, per annullare le necessarie distinzioni tra la cultura che conta davvero, che dice qualcosa di essenziale sul mondo, e i prodotti di intrattenimento ben confezionati e di ampia circolazione. Questi risvolti della modernit faranno temere sin dal lontano 1959 una eclissi dell'intellettuale. D'altronde pur giusto sottolineare che il sistema editoriale, insieme alle tante contraddizioni che ha messo in essere, ha pure consentito una diffusione senza pari della cultura. In un sistema economico dalle mille risorse, gli anelli deboli della catena restano tuttavia proprio i produttori e i mediatori culturali, ovverosia gli scrittori e i critici, ormai obbligati a relegare l'attivit creativa al ruolo di secondo lavoro, a meno di non essere giunti ad una posizione preminente. Sulla responsabilit della letteratura e sull'impasse in cui la stessa attivit critica, delegata a difendere i valori umani e letterari, si trova, si sofferma gi Franco Fortini in quella Verifica dei poteri, saggio nato dalla revisione e dall'approfondimento della sua risposta ad un'inchiesta tra gli addetti ai lavori. Critico, ideologo, traduttore, soprattutto poeta, Fortini visse con lucida e drammatica partecipazione la storia del suo tempo, in un incessante e problematico interrogarsi che la caratteristica di fondo della sua personalit. Sullo stile saggistico di Fortini pure importante soffermarsi, sin dalla raccolta di Dieci inverni 1947-57. Contributo a un discorso socialista, la sua una parola critica, che anche quando tenta risposte, risuona di problematicit e di disperata urgenza, piena di tensione comunicativa e tuttavia solitaria, e sempre rimanda ad un ulteriore orizzonte di interrogazione radicale sull'uomo e sul senso del suo operare, qui ed ora, con gli strumenti concreti che la storia gli offre e gli nega. Il saggio Verifica sul potere, conserva ancora oggi la sua forza ed il suo valore, e dava il titolo ad un volume che costituir un importante punto di riferimento per l'esperienza del '68. Ripresentato in versione accresciuta nel 1969, essa conduceva un'indagine storico-ideologica sulla funzione svolta da scrittori ed intellettuali nell'Europa del Novecento, sul loro status sociale, e sul ruolo che la societ da un lato, le organizzazioni rivoluzionarie dall'altro, intesero attribuire alla poesia, nel tentativo di svuotarla del suo potere eversivo radicale. Secondo Fortini, avvelenare i pozzi il compito vero della poesia: essa dovr istillare, nelle convenzioni del linguaggio e nelle istituzioni culturali cui si abbevera il consesso civile, quei veleni che rendono infungibile il sistema delle menzogne e la logica delle finzioni ideologiche, impegnarsi in un'operazione subdola, visto che l'azione frontale o rivoluzionaria per adesso impraticabile, introducendo feroci vermi preziosi nel nocciolo stesso della realt, soprattutto di quella apparentemente pi compatta. Da allora sempre di pi avvicinandoci ai nostri giorni, assistiamo al turbato interrogarsi degli intellettuali sulla residua forza d'impatto della letteratura nei pullulanti e contraddittori scenari della societ dello spettacolo e della cultura dell'immagine. Al nichilismo di tanti intellettuali che sembrano compiacersi di una cupa brama di degradazione, quasi nella gioia di veder punita e depressa la cosiddetta cultura alta, si contrappone la certezza, variamente declinata negli interventi antologizzati, che, se la critica la forma caratteristica della societ moderna, espressione della sua libert e del suo pluralismo, allora essa non pu, nell'indeterminato livellamento di valori che sembra essere la peculiarit del post moderno, rinunciare a fiancheggiare la letteratura e la societ in ci che esse esprimono di migliore e di costruttivo.

6 ULTIME BATUTE SULLA CRITICA MILITANTE Gli ultimi mesi del 2005 hanno visto una ripresa del dibattito sulla critica militante. Il disagio degli intellettuali che lavorano nel mondo della comunicazione di massa forte, quindi si cercava di indagare le cause di questo disagio, le motivazioni, di indicarne i rimedi. Unanime la denuncia che nel proliferare di merci librarie e culturali, molte delle quali scaturite dalla scaltrita e addestrata competenza di marketing raggiunta dagli operatori del settore, colui che deve recensire si trova stretto tra l'esigenza di dare visibilit a iniziative volte a promuovere il concumo culturale di un pubblico molto allargato e la premessa deontologica che sottende la sua stessa funzione. E' evidente che si sommano poi altri malesseri. Quindi si propongono dei testi di addetti ai lavori: Paolo Febbraro, autore di un'ampia antologia della Critica militante, condirettore dell'Annuario di poesia di Castelvecchi, collaboratore delle pagine culturali del Manifesto e della Gazzetta politica Gabriele Pedull redattore del il Caffe illustrato, di Meridiana e di Filmcritica, collaboratore di Alias e del Manifesto Michele Trecca critico letterario della Gazzetta del Mezzogiorno Paolo Balmas critico controcorrente, consulente della Biennale di Venezia Stefano Chiodi talento emergente nel campo della critica dell'arte Ivana D'Agostino direttore artistico di varie galllerie Giorgio di Genova La critica spogliata dai suoi interessi immediati e della sua funzione resistenziale, ha valore anche come itinerario esperienziale, ricorda Pedull.

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