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Istituzionidi FisicadellaMateria

Capitolo 9 Complementi

A. Carnera Dipartimento di Fisica G. Galilei Padova - 2010

Facevamo sempre delle scommesse, io e il Decano, perch non c'era proprio altro da fare, e anche perch l'unica prova che io ci fossi era il fatto che scommettevo con lui, e l'unica prova che ci fosse lui era il fatto che scommetteva con me. Scommettevamo sugli avvenimenti che sarebbero o non sarebbero avvenuti; la scelta era praticamente illimitata, dato che fino a quel momento non era avvenuto assolutamente niente. Ma siccome non c'era nemmeno modo d'immaginarsi come un avvenimento avrebbe potuto essere, lo designavamo in modo convenzionale: avvenimento A, avvenimento B, avvenimento C, eccetera, tanto per distinguerli. Ossia: dato che allora non esistevano alfabeti o altre serie di segni convenzionali, prima scommettevamo su come sarebbe potuta essere una serie di segni e poi accoppiavamo questi possibili segni a dei possibili avvenimenti, in modo da designare con sufficiente precisione faccende di cui non sapevamo un bel niente. Italo Calvino Le cosmicomiche

I think I can safely say that nobody today understands quantum mechanics. Richard Feynman The Character of Physical Law - 1965

A.Carnera

2010

Capitolo 9 Complementi
La Meccanica Quantistica, in poco pi di un secolo di vita, non solo ha rivoluzionato la Fisica ed ha cambiato alla radice il nostro modo di interpretare i fenomeni della natura ma ha influenzato, come mai era successo prima nella storia, il nostro modo di vivere e di produrre. Obiettivo di questo corso di applicare gli strumenti che la MQ mette a disposizione allo studio di sistemi fisici, dai pi semplici, come latomo di idrogeno, ai pi complessi, come le molecole ed i solidi. Avremo quindi modo di scoprire alcuni dei pi straordinari successi della MQ. Oggi la MQ lo strumento di lavoro principale di ricercatori nei pi svariati campi, dalla fisica subnucleare alla spiegazione delle strutture elettroniche degli atomi pi complessi, dalla natura del legame chimico alle propriet elettriche, ottiche e termiche dei solidi, fino a fenomeni quali la superconduttivit e alle propriet di materiali del tutto nuovi, progettati e realizzati per svolgere specifiche funzioni altrimenti impossibili. Pu quindi apparire strano che si inizi questo percorso ponendo in discussione alcuni aspetti di base della MQ. Lo dobbiamo fare perch i campi pi avanzati della fisica della materia si trovano oggi in quella specie di terra di nessuno che sta tra la microfisica e la macrofisica, a cavallo tra il regime classico ed il regime quantistico. Nel suo sviluppo impetuoso la fisica del secolo scorso ha scavalcato questo confine, ritenendo che su di esso non si potessero che fare delle ragionevoli congetture. Oggi per sono realizzabili in laboratorio gli esperimenti che fino a poco pi di un decennio fa erano puri esercizi logici (i famosi gedanken experiments), che costituiscono tasselli fondamentali per lintera teoria. Vedremo fra poco come queste recenti ricerche stiano gettando una nuova luce sui fondamenti stessi della MQ. In particolare in questa premessa al corso si riesanimer il concetto di funzione donda e le implicazioni del principio di indeterminazione per arrivare ai pi recenti sviluppi, teorici e sperimentali, rivolti a chiarire come dal mondo quantistico dominato dal comportamento ondulatorio e probabilistico emergano i comportamenti corpuscolari e le certezze tipiche della fisica classica.

Cominciamo quindi richiamando alcuni elementi di base della quantistica. Si tratta di concetti apparentemente elementari ma su di essi si basa linterpretazione di aspetti critici della teoria sui quali oggi possibile gettare una luce del tutto nuova.

9.1 Meccanica quantistica e principio di corrispondenza


Nel numero 112 di Nature, nel 1923, Louis de Broglie esponeva sinteticamente i risultati della sua tesi di dottorato nella quale ipotizzava la natura ondulatoria delle particelle ed in particolare degli elettroni (appendice 9.4.5 ). La predizione di un comportamento simile a quello delle onde luminose esplicita ed in particolare de Broglie prevede che si manifestino fenomeni di diffrazione nell attraversamento di una stretta fenditura. Pare che Einstein, al quale de Broglie era andato a presentare le sue conclusioni a Berlino, abbia immediatamente riconosciuto la straordinaria Dall articolo pubblicato su Nature da Louis de Broglie [de importanza dell ipotesi ondulatoria, che fondava Broglie 1923] su basi solide la quantizzazione dell energia ipotizzata da Planck e da Bohr e della sua stessa interpretazione dell effetto fotoelettrico, ed abbia poco dopo scritto a de Broglie Lei ha sollevato un lembo del grande velo. Dopo poco (1926) venne la conferma sperimentale diretta della natura ondulatoria degli elettroni con i celebri esperimenti di C. Davisson e L. Germer [Davisson 1927] sulla diffrazione di elettroni
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L. de Broglie

C. Davisson

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E. Schrdinger

da parte di cristalli di nickel e di J.P. Thomson sulla diffrazione di elettroni nellattraversamento di una sottile lamina di materiale cristallino. Negli stessi anni E. Schrdinger sviluppava l equazione che ha preso il suo nome e che descrive quantitativamente la dinamica delle funzioni d onda associate alle particelle. La visione proposta dalla Meccanica Ondulatoria di Schrdinger rappresenta una rivoluzione concettuale radicale rispetto alla fisica classica. In particolare ci che i fisici si domandano : Se la materia costituita da onde, cos che oscilla?. In altre parole, qual la natura fisica della perturbazione che si propaga e che descritta dalla funzione d onda? La cosiddetta interpretazione di Copenhagen, dovuta fondamentalmente a Max Born, d al modulo quadro della funzione d onda il significato di densit di probabilit che la particella si trovi in una particolare posizione. Nonostante linterpretazione di Copenhagen sia stata a lungo contestata da Einstein, oggi questa l interpretazione largamente accettata dai fisici. Ma come si manifesta la natura ondulatoria della materia tutt altro che un dato acquisito ed in particolare non per niente assodato quale sia il confine tra il comportamento ondulatorio e quello corpuscolare: se da un lato appare normale considerare come ondulatorio il comportamento dell elettrone che interagisce con un reticolo di atomi e classico il moto di una palla da tennis, dove possiamo piazzare il confine tra i due regimi? Il nocciolo del problema lapplicazione alla fisica quantistica del cosiddetto principio di corrispondenza che potrebbe suonare pi o meno cos:

M. Born

Ogni nuova teoria fisica dovrebbe, non solo descrivere correttamente i fatti non spiegati dalla vecchia", ma anche ridursi ad essa ad un limite definito. Questo senz altro vero per la teoria della relativit, che si riduce alla fisica classica al limite v / c ! 0 . Un passaggio al limite altrettanto chiaro non stabilito per la meccanica quantistica. Spesso si usa dire che le previsioni della meccanica quantistica devono coincidere con quelle della teoria precedente al limite classico ma come sia definito rigorosamente questo limite non viene chiarito. Il problema di descrivere come avviene la transizione dal quantistico al classico fu assai vivo nei primi anni dello sviluppo della nuova fisica. Molte furono le argomentazioni e gli esempi proposti per dimostrare che il nuovo quadro teorico era compatibile con la fisica classica ad un qualche limite. Una serie di esempi di questo tipo sono riportati nellappendice 9.4.7 . Alla fine, e per molti anni, si raggiunse un tacito consenso sullidea, tuttaltro che rigorosa, che la descrizione dei fenomeni che hanno luogo su scala microscopica, cio quando in gioco vi sono pochi atomi, necessita degli strumenti della quantistica, mentre la fisica classica ben si applica alla scala macroscopica, implicitamente definita, pi o meno, come la scala degli oggetti visibili (magari con il microscopio). E evidente che si tratta di un punto concettualmente fondamentale. Ma anche di grande attualit, dato che oggi la capacit di realizzare strutture cos piccole da contenere un numero limitato di atomi ci pone in condizione di esplorare proprio la regione di transizione dal regime quantistico a quello classico, e di sfruttare le propriet specifiche di queste nanostrutture. Prima di andare avanti con questa discussione per necessario ricordare una delle pi rilevanti conseguenze della teoria ondulatoria: il principio di indeterminazione (vedi anche appendice 9.4.6 ), esposto da W, Heisemberg gi nel 1927. Se ci si limitasse ad associare ad una particella libera, p.es. un elettrone, unonda piana caratterizzata da un numero donda k legato al suo momento p dalla relazione p = ! k , che la pi semplice soluzione dell equazione di Schrdinger per la particella libera, ci si troverebbe di fronte allimpossibilit di attribuire una qualsiasi posizione alla particella. Sfruttando la linearit dell equazione di Schrdinger, e quindi la validit del principio di sovrapposizione per le sue soluzioni, per possibile costruire dei pacchetti d onda che siano spazialmente limitati e che quindi descrivano ragionevolmente la probabilit che la particella si trovi un una posizione definita. Questo implica per che anche il numero donda della particella non sia pi perfettamente definito, in quanto abbiamo dovuto sovrapporre onde piane con k diverso. Si pu dimostrare che l indeterminazione sulla coordinata, p.es. x, della particella e quella sulla componente x del vettore donda, kx, sono legate dalla relazione di indeterminazione
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Principio di corrispondenza

W. Heisemberg

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!x !k x " 1

o, in altri termini

!x !p x " !

(1.1.1).

Relazione di indeterminazione

Il pacchetto donda costituisce quindi la rappresentazione quantomeccanica pi naturale della singola particella: il teorema di Ehrenfest (appendice 9.4.7.5 ) assicura poi che la dinamica del pacchetto donda governata da leggi formalmente identiche a quelle della meccanica newtoniana. Sappiamo dalla meccanica quantistica che la relazione di indeterminazione intrinsecamente legata alla corrispondenza fra osservabili (le quantit operativamente misurabili) ed operatori. Quando due operatori non commutano non possiamo pensare di poter contemporaneamente determinare con infinita precisione entrambe le quantit ad essi associate. Nel caso della posizione x e della componente px del momento, nel formalismo quantomeccanico abbiamo:

! X,Px # = XPx % Px X = i ! " $

(1.1.2)

Il cosiddetto principio di indeterminazione deriva direttamente dalla struttura matematica della teoria e pu quindi essere visto come un teorema. Esso per alla base, come vedremo fra poco, di uno dei conflitti pi radicali fra la meccanica quantistica e la fisica classica. In fisica classica noi possiamo misurare posizione e velocit di un corpo con una precisione che limitata solo dalla risoluzione dei nostri strumenti. In meccanica quantistica ci semplicemente impossibile.

Abstract dell articolo nel quale viene esposto il paradosso di Einstein, Podolsky e Rosen (EPR) [Einstein 1935].

A. Einstein

Questa contraddizione fu la principale causa dell insofferenza di Einstein nei confronti della meccanica quantistica e della lunga diatriba che ebbe con Max Born, della quale l episodio pi famoso fu la pubblicazione, nel 1935, dell articolo in cui Einstein contestava la completezza della meccanica quantistica. Sono controversie di quasi un secolo fa? Parrebbe di si: oggi normalmente i fisici usano senza porsi troppi problemi le funzioni d onda e sembrano aver definitivamente sposato linterpretazione probabilistica che tanto disturbava Einstein. In realt la questione non per niente archiviata. A quali fenomeni dobbiamo per forza applicare una trattazione quantistica e quando, invece, possiamo sentirci tranquilli ed applicare la fisica classica? Se la fisica classica non che una approssimazione della sottostante realt quantistica, quando questa approssimazione sufficientemente accurata?

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9.2 Feynman e lesperimento delle due fenditure


Facciamo ora un salto a giorni relativamente pi vicini a noi e in particolare ad anni nei quali la Meccanica Quantistica aveva ormai assunto la forma consolidata che troviamo sui nostri libri. Andiamo agli anni tra il 1962 e il 1964, quando Richard Feynman, uno dei fisici pi brillanti del secolo scorso, tiene le sue celebri Feynman Lectures on Physics al California Institute of Technology [Feynman 1963]. Nei primi capitoli del volume che raccoglie le sue lezioni sulla Meccanica Quantistica, Feynman discute puntigliosamente l esperimento dei fori di Young. Cos Feynman chiude il primo paragrafo del primo capitolo: In this chapter we shall tackle immediately the basic element of the mysterious behavior in its most strange form. We choose to examine a phenomenon which is impossible, absolutely impossible, to explain in any classical way, and which has in it the heart of quantum mechanics. In reality, it contains the only mystery. We cannot make the mystery go away by "explaining" how it works. We will just tell you how it works. In telling you how it works we will have told you about the basic peculiarities of all quantum mechanics. Le due situazioni che Feynman considera sono schematizzate dalle due figure che mettono a confronto quello che ci aspettiamo se facciamo lo stesso esperimento, quello della doppia fenditura, con dei proiettili o con delle onde.

Figura 9-1: lesperimento della doppia fenditura fatto con i proiettili

Figura 9-2: lesperimento della doppia fenditura fatto con le onde

Ricordiamo che in MQ la probabilit di rivelare una particella in una determinata posizione data dal modulo quadro della sua funzione d onda. Immaginiamo che h1 sia la funzione d onda che descrive una particella che, emessa dalla sorgente (il fucile o la sorgente delle onde), attraversi la fenditura 1 e arrivi al rivelatore mobile. Analogamente h2 la funzione d onda della particella che passa per la fenditura 2. Qual la differenza fra il comportamento corpuscolare (i proiettili) e quello ondulatorio?

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Caso 1: proiettili figura 1.2

La probabilit che la particella attraversi la fenditura 1 e arrivi al rivelatore che si trova nella posizione y data da P1(y)=|h1(y)| ; la probabilit che arrivi in y passado per la fenditura 2 P2(y)=|h2(y)| . Possiamo interpretare la P1(y) come la distribuzione di proiettili sul piano del rivelatore quando aperta la sola fenditura 1. Analogo discorso per P2(y). Quando sono aperte entrambe le fenditure la probabilit di avete un proiettile rivelato in y data semplicemente dalla somma delle due probabilit descritte sopra:
Cl P12 (y) = P1 (y) + P2 (y) = h1 (y) + h2 (y) 2 2

(1.2.1)

Caso 2: onde figura 1.3

Le fenditure sono sorgenti delle onde che si propagano oltre lo schermo (l adsorber). Se aperta solo la fenditura 1 si propagher l oda h1 e l intensit dell onda sul rivelatore fornir la probabilit di rivelare una particella sar, come nel caso dei proiettili, P1(y)=|h1(y)| ; se aperta solo la fenditura 2 si avr P2(y)=|h2(y)| . Fin qui nulla cambiato. Se per immaginiamo che entrambe le fenditure siano aperte allora avremo che nella posizione y si sovrappongono le onde che si generano dalle due fenditure. L equazione di Schrdinger lineare e quindi vale il principio di sovrapposizione. La probabilit di rivelare una particella sar proporzionale al modulo quadro della funzione d onda complessiva
QM P12 (y) = h1 (y) + h2 (y) ! P1 (y) + P2 (y) 2

(1.2.2)

Se sviluppiamo la relazione (1.2.2) otteniamo:


QM Cl * P12 (y) = h1 (y) + h2 (y) = P12 (y) + h1 (y)h2 (y) + h1 (y)h* (y) 2 2

(1.2.3)

da cui risulta chiaro che la probabilit classica e quella quantistica differiscono per i due ultimi termini della (1.2.3), che tengono conto della interferenza fra le funzioni d onda delle particelle passate dalla fenditura 1 e dalla fenditura 2. Il ragionamento di Feynman definisce in modo molto chiaro il criterio per definire la transizione fra il regime quantomeccanico e il regime classico: Il limite classico in ogni teoria quantistica il limite al quale gli effetti di interferenza quantistica spariscono. In linea di principio, quindi, un semplice esperimento ci pu permettere di capire se il fenomeno che stiamo studiando ha caratteristiche classiche (corpuscolari) o quantomeccaniche (ondulatorie) e magari, come vedremo pi avanti, studiare come avviene la transizione dal primo regime al secondo. Vediamo di proseguire seguendo la linea di discussione che propone Feynman: qual la differenza tra il fenomeno corpuscolare e quello ondulatorio? Essenzialmente che noi non possiamo affermare che londa passata dalla fenditura 1 piuttosto che dalla 2, mentre questa affermazione del tutto legittima nel caso delle particelle. Se noi sappiamo definire la
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Il limite classico

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traiettoria della particella, se cio in ogni istante sappiamo esattamente quale la sua posizione e la sua velocit (e quindi il suo momento), allora siamo nel regime classico e non si former la figura di interferenza. Se invece domina il comportamento ondulatorio, non potremo affermare che la particella passata da una fenditura piuttosto che dallaltra e quindi non potremo definire una traiettoria. E evidente quindi che il comportamento ondulatorio (cio quantistico) inestricabilmente legato alla impossibilit di misurare contemporaneamente con assoluta precisione posizione e momento, cio legato intrinsecamente al principio di indeterminazione. Feynman afferma esplicitamente: The uncertainty principle "protects" quantum mechanics. Heisenberg recognized that if it were possible to measure the momentum and the position simultaneously with a greater accuracy, the quantum mechanics would collapse. So he proposed that it must be impossible. Per visualizzare ci che intende, Feynman propone un esperimento concettuale (gedanken) nel quale usa il cosiddetto microscopio di Heisemberg per studiare il comportamento di un fascio di elettroni che attraversano la doppia fenditura. Supponiamo di illuminare il fascio di elettroni con dei fotoni. Quando un fotone interagisce con un elettrone vediamo un lampo di luce dovuto alla diffusione del fotone e quindi possiamo localizzare dove avvenuta la collisione e ricostruire la traiettoria dellelettrone. Quello che succede per che a seguito della collisione con il fotone, lelettrone cambia traiettoria e quindi, avendone determinato la posizione, abbiamo perturbato il suo momento e la figura di interferenza sparisce. Questo potrebbe semplicemente significare che stiamo usando delle perturbazioni troppo forti, cio dei fotoni troppo energetici: ma se diminuiamo lenergia dei fotoni, cio la loro frequenza e aumentiamo quindi la loro lunghezza donda, riduciamo s la perturbazione ma contemporaneamente diminuiamo la risoluzione del nostro microscopio, che non pu risolvere dettagli pi piccoli della lunghezza donda con cui illuminiamo il nostro oggetto. Ci troviamo quindi nella situazione in cui non sappiamo pi distinguere le due fenditure e quindi in realt non otteniamo pi linformazione che ci interessa. Siamo quindi in un vicolo cieco: se sappiamo ricostruire la traiettoria perturbiamo il sistema a tal punto che la figura di interferenza sparisce, se cerchiamo di perturbare cos poco il moto degli elettroni da preservarne il comportamento ondulatorio, non siamo pi in grado di determinare da quale fenditura lelettrone sia passato. Il principio di indeterminazione ci ha fregati! Sono stati proposti altri schemi di esperimento (p.es. la misurazione del momento trasferito dallelettrone alle fenditure nellinterazione) ma il risultato non cambia. In ogni caso la misura della posizione dellelettrone comporta la perdita di informazione sul suo momento e quindi la distruzione del fenomeno di interferenza. E viceversa. Lesperimento della doppia fenditura fornisce molti spunti significativi per andare pi a fondo su aspetti chiave dei fondamenti della Meccanica Quantistica. Vediamone alcuni.

Il microscopio di Heisemberg

Onde o particelle Se immaginiamo di effettuare concretamente lesperimento di Feynman, cosa che effettivamente stata fatta, come vedremo pi avanti, ci rendiamo conto che il comportamento degli elettroni tipicamente ondulatorio nel corso della loro interazione con le fenditure ma del tutto corpuscolare nel momento della loro rivelazione. Nei primi esperimenti nei quali si utilizzava uno schermo fluorescente, sullo schermo comparivano lampi luminosi in corrispondenza del punto di impatto dellelettrone e solo dopo lacquisizione di molti eventi, per esempio su di una lastra fotografica, si formavano le frange di interferenza. Oggi potremmo utilizzare array di rivelatori e su ciascun pixel riveleremmo eventi discreti. In altre parole lelettrone deposita tutta la sua carica elettrica in un punto preciso dello schermo, non la distribuisce seguendo la figura di interferenza. Utilizzando il linguaggio della MQ possiamo dire che levento della misura della posizione dellelettrone sul piano di rivelazione proietta la funzione donda elettronica su di uno stato spazialmente localizzato. Non si tratta di interferenza fra elettroni La pi naturale interpretazione dellesperimento della doppia fenditura di pensare che si tratti di un fenomeno di interferenza fra gli elettroni che contemporaneamente attraversano
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le fenditure. In primo luogo una interpretazione di questo tipo comporterebbe che gli elettroni avessero la stessa fase, e cio richiederebbe che avessimo a disposizione una sorgente coerente di elettroni, cosa che purtroppo non cos facile da realizzare ma, soprattutto, non vi nulla nella trattazione quantistica che dipenda dal flusso di elettroni: la teoria prevede lo stesso risultato sia che lapparato sia attraversato da un elettrone per volta, sia che molti elettroni siano in volo contemporaneamente. Pi avanti verr descritto un esperimento nel quale lapparato attraversato da un elettrone alla volta: ogni elettrone viene rivelato singolarmente in una definita posizione dello schermo ma la distribuzione finale, dopo che lapparato stato attraversato da un gran numero di elettroni, riproduce esattamente la figura di interferenza. Questi esperimenti possono essere interpretati solo se si ha ben chiaro che ci che stiamo studiando non un fenomeno di interferenza fra particelle che hanno traiettorie diverse (passano per luna o per laltra delle due fenditure) ma piuttosto linterazione di ciascun elettrone con il sistema delle due fenditure. Qualcuno ha detto, un po sommariamente ma in modo efficace, lelettrone interferisce con se stesso.

Difficolt sperimentali e limiti fondamentali Per quanto concettualmente semplice, lesperimento della doppia fenditura presenta notevoli difficolt pratiche. Lorigine di queste difficolt nasce dal fatto che anche per particelle estremamente leggere (lelettrone p.es.) e per energie relativamente basse (diciamo dellordine del keV) la lunghezza donda di De Broglie molto piccola. Per particelle non relativistiche

!=

! 2m

2" E

e, se E=1000 eV, abbiamo

!e =

1.05x10 "34 2 9.11x10


"27

2# 1000x1.6x10 "19

= 0.039 nm .
-4

Se si usassero protoni con la stessa energia, la lunghezza donda scenderebbe a 9x10 nm! Il problema della doppia fenditura pu essere studiato con la stessa trattazione che si usa in ottica nel caso di distanza fra le fenditure (d) molto pi piccola della distanza fra il piano delle fenditure e il piano dello schermo (approssimazione di Fraunhofer). In questa approssimazione la distanza angolare fra i massimi della figura di interferenza data dalla relazione

Sin ! = m

" . d

Supponendo che lo schermo si trovi ad un metro dalle fenditure e che riusciamo a produrre due fenditure spaziate di 1m, la distanza fra i massimi di interferenza risulta essere di meno di 40 m nel caso di interferenza di elettroni da 1 keV, mentre se si tratta di protoni con la stessa energia tale spaziatura si riduce a meno di 1 m. Per mettere in evidenza fenomeni di interferenza di particelle sono perci necessari sistemi di rivelazione con risoluzione tanto pi spinta quanto pi massiva la particella. Si tende quindi comunemente a ritenere che per particelle macroscopiche i fenomeni di interferenza quantistica siano di fatto impossibili da rivelare e che, di conseguenza, sia del tutto lecito utilizzare lapprossimazione classica. Come vedremo pi avanti, la possibilit di realizzare esperimenti con sempre maggiore potere risolutivo ha permesso, negli ultimi anni, di evidenziare fenomeni di interferenza di oggetti estremamente grandi. Il limite fra il regime quantistico e quello classico sembra quindi spostarsi assieme allo sviluppo tecnologico, mostrando chiaramente che il criterio che vede il regno della quantistica nel microscopico e quello della fisica classica nel macroscopico non basato su alcunch di fondamentale e non in grado di fornire una trattazione solida della transizione da un regime allaltro.

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9.3 Il problema della misura1


Un quadro di riferimento possibile per discutere gli esperimenti concettuali finora descritti (e quelli reali che descriveremo pi avanti), consiste nellinterpretare le leggi della meccanica quantistica come strumenti formali che ci permettono di prevedere quale sar lesito della interazione del sistema microscopico che stiamo studiando, per esempio lelettrone, con un sistema macroscopico come le fenditure dellesperimento che abbiamo appena descritto. Lesito di questa interazione ci che effettivamente misuriamo. Non c da stupirsi quindi che nella impostazione assiomatica che fa discendere tutte la meccanica quantistica da una serie pi o meno lunga di postulati (vedi p.es. [CohenTannoudji] capitolo 3) un posto particolare sia occupato dagli assiomi che riguardano la misura. Rivediamo rapidamente questi postulati: I. Ad un tempo fissato t0, lo stato di un sistema fisico definito specificando il ket ! (t 0 ) appartenente allo spazio degli stati E.

II. Ogni quantit fisica misurabile A descritta da un operatore hertmitiano A che agisce su E ; questo operatore un osservabile. III. Il solo possibile risultato della misura della quantit fisica A uno degli autovalori del corrispondente osservabile A. IV. Levoluzione temporale del vettore di stato ! (t) governata dallequazione di

! " (t) = H(t) " (t) , dove H(t) losservabile associato allenergia !t totale del sistema. V. Quando la quantit fisica A misurata su di un sistema nello stato normalizzato
Schrdinger i !

i postulati della Meccanica Quantistica

! , la probabilit P(an) di ottenere lautovalore an del corrispondente osservabile A


P (an ) = " uin !
i=1 gn 2

, dove gn il grado di degenerazione di an e

{u }
i n

(i = 1,gn )

un sistema di vettori che forma una base nel sottospazio En delle autofunzioni associate allautovalore an di A. VI. Se la misura della quantit fisica A su di un sistema nello stato ! d il risultato an, lo stato del sistema immediatamente dopo la misura la proiezione normalizzata Pn ! di ! sul sottospazio delle autofunzioni associate ad an. ! Pn !

Se supponiamo, per semplicit, che gli autovalori di A non siano degeneri, lo stato di una particella (o di un sistema di particelle) descritto da una funzione donda che esprimibile come sovrapposizione di autofunzioni dellosservabile A (operatore hermitiano le cui autofunzioni costituiscono una base per lo spazio degli stati) che associato alla quantit da misurare a

! = " c n un
n

(1.3.1)

con un dato dalla

A un = an un

(1.3.2).

Le teorie quantistiche della misura Complementi 8

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Fintanto che il sistema pu essere considerato isolato, i primi quattro postulati ne descrivono la dinamica sulla base dell equazione di Schrdinger che, essendo lineare, ammette che tutte le combinazioni lineari delle sue soluzioni ! (t) descrivano stati del sistema fisicamente possibili. Il processo di misura rompe la linearit del sistema, in quanto richiede che lapparato di misura interagisca con il sistema, rompendone lisolamento. Vi quindi una discontinuit, non solo nellevoluzione del sistema, ma, in qualche modo, nella teoria stessa: il processo di misura non sembra essere soggetto alle stesse leggi che governano la dinamica di tutti i sistemi quantistici. Non a caso, in molte esposizioni della meccanica quantistica, si afferma esplicitamente che lapparato di misura per definizione governato dalle leggi della fisica classica. In questo senso questa teoria non completa, in quanto presuppone fin dai propri fondamenti il supporto di unaltra teoria: la fisica classica. I postulati V e VI garantiscono la possibilit di sottoporre le previsioni della MQ alla verifica sperimentale ma affermano esplicitamente che il risultato della misura non certo, a meno che il sistema non si trovi gi in un autostato dellosservabile. Se il sistema si trova in una sovrapposizione di stati (1.3.1) la MQ ci fornisce solo la probabilit di ottenere il risultato an da una misura di A, che dato da

P an = c n

( )

(1.3.3).

Il postulato VI poi garantisce che se si effettua una ulteriore misura della stessa quantit il risultato sar ancora an, poich loperazione connessa alla misurazione ha proiettato il sistema nel sottospazio degli autostati di A associati allautovalore an, garantendo cos la condizione fondamentale della riproducibilit della misura in fisica. Quindi, secondo questa visione, il sistema evolve governato dallequazione di Schrdinger fino allistante t0 in cui si compie la misura. Nel processo di misura, il sistema viene proiettato in uno stato caratterizzato dallautofunzione un, corrispondente allautovalore an che stato il risultato della misura. Il processo di misura quindi introduce una violenta discontinuit che non pu essere descritta dalla normale dinamica quantistica di Schrdinger.

Figura 9-3: schematico del processo di misura in Meccanica Quantistica

Spesso si descrive questo processo dicendo che loperazione della misura proietta la funzione donda su di uno stato classico cio uno stato nel quale il risultato dellesperimento non pi soggetto alle leggi (probabilistiche) della meccanica quantistica ma fornisce con univocit classica il risultato an. Secondo von Neumann (1932) il sistema quantistico S (microscopico) governato dallequazione di Schrdinger fintanto che rimane isolato, ma dopo che ha interagito con lapparato (macroscopico) di misura A la funzione donda complessiva del sistema S+A (SA) ad essere governata dallequazione di Schrdinger. La natura classica degli stati di SA assunta in qualche misura implicita dal fatto che A macroscopico e quindi gli stati di A possono essere determinati, in linea di principio, con precisione assoluta.

John von Neumann

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Von Neumann schematizza il processo di misura con una transizione del tipo (vedi p.es. [Zurek 2002])

" % 1 ) $ ! c n sn ' ar (( ! c n sn an # n & n


nella quale il sistema quantistico S si trova inizialmente nella sovrapposizione di stati

(1.3.4)

! S = " c n sn
n

(1.3.5)

mentre lapparato A si trova in uno stato di pronto dato da ar . Nel processo 1, detto di premisura (premeasurement), avviene un processo irreversibile [Auletta, pag. 220], che cambia lo stato di A e fa s che la successiva misura (classica) effettuata su A dia con certezza il risultato an. A seguito dellinterazione 1 gli stati di S e di A non sono pi indipendenti (la funzione doda complessiva di SA,

!c
n

sn an

non pi fattorizzabile

come prodotto di una ! S e di una ! A ) ma i due sistemi complessivamente costituiscono un unico sistema entangled (aggrovigliato) che per mantiene memoria degli autostati an del sistema microscopico. Daltra parte viene ancora postulato che una misura compiuta, tramite uno strumento opportuno (talvolta definito amplificatore), sul sistema macroscopico SA possa solo dare come risultato uno stato puro, cio classico, e non una sovrapposizione di stati. Miracolosamente sparisce la caratteristica fondamentale degli stati quantistici che possono sempre essere espressi come sovrapposizione di autostati ed emerge la purezza degli stati classici. Dopo questo processo di cancellazione che lascia sopravvivere solo gli stati puri, non possono pi essere presenti quei fenomeni di interferenza che (p.es. nella definizione di Feynmann) sono la caratteristica distintiva della natura quantistica di un sistema. La visione di von Neumann rappresenta il processo di misura con un linguaggio coerente allinsieme della teoria quantistica e mette a fuoco chiaramente la incompletezza della teoria, nel momento in cui deve fare ricorso alle certezze della fisica classica per confrontarsi con la informazione accessibile allesperimento. Ma, anche se imposta con rigore quantistico il problema, von Neumann in realt non ne fornisce una soluzione, ipotizzando un processo di misura del quale non in grado di dare alcuna descrizione dettagliata ma solo prendere atto del suo esito classico. Il processo di misura rompe levolversi della funzione donda di S governato dallequazione di Schrdinger ed introduce una discontinuit che in molti (vedi p.es. [Penose 22.1]) considerano una forte anomalia nella costruzione della meccanica quantistica. Il problema della misura costituisce tuttora un nervo scoperto della meccanica quantistica.

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9.4 Evidenze sperimentali e modelli teorici oggi


Il dibattito sui fondamenti della Meccanica Quantistica sembrava destinato a rimanere sepolto, messo in ombra dalle pi eccitanti frontiere della ricerca teorica, ed in particolare dallobiettivo di arrivare ad una formulazione unitaria della Quantistica e della Relativit Generale, con la prospettiva di poter inquadrare in ununica, elegante, teoria la fisica delle particelle elementari (e delle altissime energie) con i pi remoti orizzonti cosmologici. Questo il sogno della big science che tante aspettative e tante sfide decisive presenta in questo inizio di secolo. Ma i nodi irrisolti, anche in fisica, non accettano di essere semplicemente rimossi: sul versante delle applicazioni della meccanica quantistica a sistemi che stanno al confine fra la microfisica, quella che si occupa dei fenomeni dalla scala atomica in gi, e la macrofisica, quella che ha a che fare con sistemi complessi, dai dispositivi microelettronici ai sistemi biologici, passando per pi esotici stati della materia che si possono realizzare in laboratorio quali i condensati di Bose-Einstein, le questioni relative a come si manifesti la transizione fra il regime quantistico e quello classico diventano cruciali. La tecnologia oggi ci permette di realizzare esperimenti che coinvolgono scale dimensionali e livelli di complessit che stanno proprio nella indistinta regione di confine fra il regime quantomeccanico ed il regime classico, attraversandola con relativa disinvoltura e facendo i conti direttamente con il problema di dove questo confine effettivamente si collochi e, soprattutto, di come poter interpretare la transizione.

Figura 9-4: tratta da Wojciech H. Zurek: Decoherence and the Transition from Quantum to ClassicalRevisited Los Alamos Science Number 27 2002 [Zurek 2002]

In questa parte del capitolo verranno descritti alcuni degli esperimenti che hanno affrontato direttamente il problema della interazione del sistema microscopico con lambiente macroscopico e hanno consentito di sondare sperimentalmente questo aspetto fondamentale della teoria.

9.4.1 Interferenza di elettroni


Dopo i celebri esperimenti di Davisson e Germer e di Thomson del 1926 che mettevano in evidenza la natura ondulatoria dellelettrone, fu lo sviluppo delle tecniche di microscopia elettronica a fornire sorgenti adatte ad effettuare esperimenti analoghi a quelli comunemente realizzati in ottica. Lanalogo di un reticolo di diffrazione fu utilizzato da Jnsson per produrre figure di diffrazione in un miscoscopio elettronico [Jnsson 1961]. Per la prima volta tecniche di microfabbricazione consentirono di realizzare reticoli con passo ed ampiezza delle
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fenditure che fossero in grado di generare una figura di diffrazione di elettroni aventi le energie tipiche dei microscopi elettronici (alcune decine di KeV). a) b)

Figura 9-5: La realizzazione del reticolo (a) e la figura di diffrazione nel caso di un reticolo di cinque fenditure (b) ottenuta da Jnsson nel 1961 [Jnsson 1961].

Lesperimento di Jnsson, per, non che una ulteriore conferma del comportamento ondulatorio degli elettroni gi evidente nelle figure di diffrazione ottenute da Davisson e Germer e da Thomson. La sfida di Feynman era unaltra: studiare linterazione di un singolo elettrone con un sistema in grado di metterne in luce il comportamento ondulatorio. Nel 1974 un gruppo italiano di Bologna composto da Giorgio Merli, Giulio Pozzi e da Gianfranco Missiroli effettua il primo esperimento di interferenza di elettroni nel quale un solo elettrone alla volta attraversa lapparato [P.G. Merli 1976].

Giorgio Merli

Figura 9-6: schema dell analogia tra il biprisma elettronico (A) ed il biprisma ottico (B). In entrambi i casi leffetto quello di sdoppiare limmagine della sorgente S in due sorgenti virtuali (S1 e S2). Nel caso A il biprisma costituito da un filo F tenuto ad un potenziale positivo rispetto a massa. Tratto da [P.G. Merli 2003].

Figura 9-7: frange di interferenza per valori crescenti della corrente del fascio (da a ad f) e tempo di registrazione costante. Si ottengono frange di interferenza anche con tempi di registrazione molto lunghi ed elettrone singolo passante[P.G. Merli 2003].

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Lesperimento di Merli, Pozzi e Missiroli inizialmente fu quasi ignorato tanto che, quando nel numero di settembre del 2002 di Physics World [PhysWorld 2002] venne pubblicata la classifica degli esperimenti pi belli mai realizzati in fisica (most beautiful experiment in physics), che vedeva in testa lesperimento dei fori di Young applicato all interferenza di elettrone singolo, esso fu attribuito a Akira Tonomura, che laveva descritto sull American Journal of Physics nel 1989 [Tonomura 1989]. Solo successivamente, nel maggio del 2003 [PhysWorld 2003], a seguito di una dettagliata precisazione inviata da John Steeds, la vera storia dellesperimento dellelettrone che interferisce con se stesso fu ripubblicata e, con la leale ammissione dello stesso Tonomura, la primogenitura dellesperimento fu riconosciuta al gruppo italiano. L editor di Physics Worls, Peter Rogers, faceva notare che Richard Feynman stava giusto tenendo le sue celebri lezioni al Caltech quando Jnsson stava compiendo il primo esperimento di interferenza di elettroni. Feynman probabilmente ne era alloscuro e la citazione che segue mostra chiaramente come in quegli anni si sia superata la barriera fra i gedanken experiments e la successiva serie di esperimenti reali. "We should say right away that you should not try to set up this experiment. This experiment has never been done in just this way. The trouble is that the apparatus would have to be made on an impossibly small scale to show the effects we are interested in. We are doing a "thought experiment", which we have chosen because it is easy to think about. We know the results that be obtained because there many experiments that have been done, in which the scale and the proportions have been chosen to show the effects we shall describe".

9.4.2 Esperimenti sulla transizione al regime classico


Nella parte iniziale di questo capitolo abbiamo visto che le per visioni della MQ coincidono con quelle della MC quando spariscono i fenomeni di interferenza tipici della descrizione ondulatoria. In particolare abbiamo visto che se la massa delle particelle in gioco aumenta, a parit di energia, la lunghezza donda di de Broglie diminuisce in proporzione inversa alla radice quadrata della massa, rendendo sempre pi ravvicinati i massimo ed i minimi della figura di interferenza, fino a rendere impossibile la loro risoluzione. Messa in questi termini, la questione sembrerebbe essere puramente tecnica e ci si aspetta che lo sviluppo della strumentazione consenta di mettere in evidenza il comportamento ondulatorio di oggetti sempre pi macroscopici. Negli anni recenti una serie di esperimenti condotti soprattutto da gruppo di Anton Zeilinger allUniversit di Vienna ha sondato questo regime della fenomenologia in una serie di pubblicazioni a partire dalla prima evidenza di frange di diffrazione in un fascio di fullereni C60, oggetti di circa 10 nm di diametro [Arndt 1999]. La principale difficolt, ma contemporaneamente anche la straordinaria potenzialit di questo approccio, consiste nel garantire che il fascio sia soggetto ad interazioni trascurabili con lambiente, perch tali interazioni indurrebbero sfasamenti nella funzione donda che distruggerebbero la coerenza e quindi la figura di diffrazione. Da un altro punto di vista, per, possibile, su questa base, progettare esperimenti nei quali il processo di decoerenza avvenga in maniera controllata e studiare quindi direttamente la transizione dal regime quantistico a quello classico.

Anton Zeilinger

Figura 9-8: interferometro di Talbot-Lau utilizzato dal gruppo di Zeilinger per la determinazione della figura di diffrazione di un fascio di fullereni C70. [Brezger 2002].

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Utilizzando un interferometro operante in campo prossimo con reticoli con passo di circa 1 m con fenditure di circa 500 nm di larghezza, si sono rivelate le figure di interferenza prodotte da fasci di fullereni C70, aventi velocit di circa 100 m/s . [Brezger 2002]. La massa di queste particelle circa 1.5 milioni di volte la massa dellelettrone e la loro lunghezza donda di de Broglie era dellordine di 4 pm!

Figura 9-9: figura di diffrazione di un fascio di fullereni C70 aventi velocit di 115 m/s nellapparato di Figura 9-8 [Brezger 2002].

Con un apparato analogo lo stesso gruppo ha determinato la figura di interferenza di macromolecole ancora pi grandi, quali la tetrafenilporfirina (C44H30N4) ed il fluorofullerene C60F48 (Figura 9-10). a) b)
Figura 9-10: molecole di C44H30N4 (a) e di C60F48 (b). Da [Hackermller 2003]

Utilizzando una versione modificata dello stesso interferometro, nel quale un laser interagiva con le molecole di fullereni scaldandole, il gruppo di Zeilinger ha potuto mettere in evidenza direttamente la transizione dal regime quantistico a quello classico, con la sparizione della figura di interferenza. All aumentare della temperatura, la radiazione termica emessa dai fullereni si sposta a lunghezze donda sempre pi piccole. In linea di principio quindi possibile localizzare con un microscopio la posizione di ogni singola molecola con precisione via via maggiore, al crescere della temperatura. Quando il massimo dello spettro di emissione raggiunge lunghezze donda pari od inferiori alla spaziatura del reticolo si potrebbe, quindi, determinare per quale fenditura la molecola passata: si realizza quindi una specifica versione del microscopio di Heisemberg.

Figura 9-11: interferometro utilizzato per lesperimento di decoerenza di onde di materia [Hackermller 2004].

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Ci si aspetta quindi che, potendo determinare la traiettoria della molecola, non sia pi possibile determinarne la lunghezza donda (cio il momento), altrimenti si violerebbe il principio di indeterminazione. Se ci vero, all aumentare della temperatura la figura di diffrazione deve gradualmente sparire. Questo appunto ci che stato visto dai ricercatori dellUniversit di Vienna: nel loro esperimento i fenomeni di interferenza spariscono e si attraversa in maniera controllata il confine fra il regime quantistico e quello classico.

Figura 9-12: figure di interferenza di fullereni C70 con velocit di 190 m/s allaumentare della potenza riscaldante. Il valore assoluto dei conteggi risente della variazione di efficienza del rivelatore in funzione della temperatura [Hackermller 2004].

Figura

9-13:

andamento

della

visibilit

I !I V = max min delle frange di interferenza in Imax + Imin


funzione della temperatura per due diverse velocit dei fullereni: a vm=190 m/s; b vm=100 m/s [Hackermller 2004].

La comune linea di pensiero di questa serie di esperimenti consiste nellidea che quando si rompe lisolamento del sistema microscopico con lambiente, in un processo, almeno potenzialmente, di misura, il sistema perde di coerenza, i fenomeni di interferenza si attenuano fino a scomparire ed emerge il comportamento classico. Significativamente questi processi possono essere letti anche alla luce del principio di indeterminazione: la scomparsa dei fenomeni di interferenza va di pari passo con la possibilit di prevedere deterministicamente la traiettoria delle particelle (which path) e quindi la conseguente indeterminazione sul loro momento preclude la rivelabilit dei fenomeni ondulatori. Un chiaro esempio di processo di decoerenza di questo tipo stato messo in evidenza da Peter Sonnentag e Franz Hasselbach [Sonnentag 2007] proprio nel caso dellinterferenza di elettroni in un esperimento che per molti versi il successore di quelli storici di Jnsson,prima e di Merli poi. Lesperimento, che era stato proposto gi nel 1997 da Anglin e Zurek [Anglin 1997], e Machnikowski nel 2006 ne aveva sviluppato in dettaglio le previsioni teoriche [Machnikowski
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2006], si basa sullidea che la perturbazione di carica indotta dal passaggio dellelettrone in prossimit della superficie del conduttore pu essere utilizzata, almeno in linea di principio, per la determinazione della traiettoria. La carica indotta sar tanto pi localizzata quanto pi la traiettoria dellelettrone prossima alla superficie. Sar quindi possibile definire con grande precisione la traiettoria degli elettroni che passano vicini al conduttore, mentre per quelli che passano lontano non si sar in grado di decidere se sono passati nel ramo di destra o di sinistra del biprisma: come conseguenza del principio di indeterminazione a figura di interferenza dovrebbe quindi essere visibile solo per gli elettroni con traiettorie lontane dalla superficie conduttiva (Figura 9-14).

Figura 9-14: schema dellesperimento sulla perdita di coerenza degli elettroni a seguito della interazione con un materiale conduttore sul quale viene indotta una carica localizzata in prossimit della traiettoria degli elettroni [Sonnentag 2007].

Il risultato (Figura 9-15) non ha bisogno di molti commenti: linterazione a distanza con la superficie conduttiva induce una perdita di coerenza delle funzioni donda degli elettroni che tanto pi marcata quanto pi la traiettoria vicina alla superficie. Gli elettroni che passano distante dal conduttore inducono su di esso una perturbazione che molto poco localizzata. La scarsa definizione della traiettoria fa s che per questi elettroni non si possa risalire a quale dei due rami del biprisma abbiano attraversato, non si possiede quindi linformazione which path e la figura di interferenza risulta ben definita. Il ragionamento simmetrico spiega la sostanziale assenza di frange di interferenza a piccoli valori della coordinata z.

Figura 9-15: figure di interferenza di elettroni dellesperimento di Sonnentag [Sonnentag 2007]. La coordinata z rappresenta la distanza dalla superficie conduttiva. Le immagini da a ad h corrispondono distanze crescenti fra i due bracci del biprisma. E evidente la perdita di coerenza delle funzioni donda associate agli elettroni con traiettorie con piccoli valori di z.

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9.4.3 Cenni sulla teoria della decoerenza


Nel paragrafo 1.3 nel quale si fatto riferimento al problema della misura ed alle contraddizioni che esso suscita nel contesto della teoria quantistica si introdotto il formalismo di von Neumann (1.3.4) per rappresentare linterazione del sistema quantistico S con lapparato di misura A.

" % 1 ) $ ! c n sn ' ar (( ! c n sn an # n & n


Questa interazione deve essere descritta nello spazio di Hilbert che il prodotto tensoriale degli spazi HS e HA che descrivevano separatamente il sistema e lapparato prima dellinterazione. Di per s questo processo non rende conto del perch una misura non possa che dar luogo che alla identificazioni di stati puri, classicamente ammissibili, e mai alla sovrapposizione di stati che intrinsecamente connessa alla linearit dellequazione di Schrdinger. Un significativo filone di ricerche teoriche si occupato, a partire dagli anni 90 di affrontare il Wojciech H. Zurek problema dei risultati definiti (problem of definite outcomes) e di come essi siano rappresentabili con una espansione unica dello stato finale composto, il cosiddetto problema della base preferita (problem of the preferred basis). Non certo questa la sede in cui poter dare una esposizione esaustiva di questi risultati, ma poich essi sembrano fornire un credibile quadro interpretativo delle recenti evidenze sperimentali sopra esposte se ne presenteranno molto brevemente le linee fondamentali. Il punto fondamentale di questo approccio quello di rompere la condizione, implicita finora, che il sistema complessivo che si sta studiando (S+A) sia isolato. Si deve quindi tener conto che esso non pu non interagire con lambiente (environment E) e che quindi lo spazio di Hilbert necessario a descrivere completamente il processo di misura sia il prodotto tensoriale, estremamente pi vasto, H = H S ! H A ! H E . Sulla base di modelli semplificati dellambiente, quali per esempio insiemi statistici di oscillatori armonici [Zurek 2002, Zurek 2007, Schlosshauer 2004], stato dimostrato che questa interazione porta al rapido scomparire dei termini non-diagonali della matrice densit locale che descrive la distribuzione di probabilit dei vari possibili risultati della misura. In altre parole, sopravvivono solo gli stati puri, e non stati di sovrapposizione, eliminando i fenomeni di interferenza incompatibili con la natura classica del risultato della misura.

Figura 9-16: evoluzione della matrice densit locale degli stati per un semplice sistema costituito da due distinti pacchetti donda gaussiani. I picchi giallo-verdi rappresentano gli stati di posizione definita corrispondenti alla diagonale principale della matrice densit. Gli stati rosso-viola che corrispondono alla interferenza fra i due pacchetti donda subiscono un rapido smorzamento da t=0 (a) ad un tempo immediatamente successivo D (b).

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Questo approccio teorico giunge a conclusioni estremamente ottimistiche sulla possibilit di spiegare in forma completamente autoconsistente lannoso problema della misura in meccanica quantistica e cio il magico comparire di un risultato classicamente puro (cio non sovrapposizione di differenti stati possibili) a seguito del processo di misura. Viene quindi superata la difficolt presente nello schema di Figura 9-3, sostituendo la discontinuit presente nella esposizione tradizionale della meccanica quantistica con un processo, sostanzialmente irreversibile a causa dellenorme numero di gradi di libert che caratterizzano lambiente. Si stimato [Schlosshauer 2004] che il processo di decoerenza avviene in tempi pi brevi di quanto una osservazione in pratica possa risolvere anche per sistemi relativamente semplici, quali macromolecole o granelli di polvere, che interagiscano solo con il background di radiazione cosmica a 3K.

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Appendici
9.4.4 Esperimenti con i fotoni
Anche se una descrizione degli esperimenti che hanno riguardato il comportamento duale corpuscolare/ondulatorio dei fotoni e dei loro stati entangled al di fuori degli obiettivi di questa trattazione, comunque utile dare qualche rapido cenno su quella che stata larchitettura fondamentale di una serie fondamentale di esperimenti che si sono dimostrati cruciali per chiudere la diatriba che era stata aperta da Einstein con il celebre articolo del 1935 sulla incompletezza della MQ. In particolare stati di fotoni entangled sono stati utilizzati per la verifica della disuguaglianza di Bell [Bell 1964] con la dimostrazione della natura non-locale e non-deterministica degli stati quantici ed il superamento definitivo delle ipotesi di esistenza di variabili nascoste. Una ragione ulteriore per accennare a queste ricerche che molti, se non tutti, gli sviluppi della computazione quantistica, della crittografia quantistica e del teletrasporto quantico, si basano sulla manipolazione di stati di fotoni entangled [Zeilinger 2005]. Nell interferometro di Mach-Zehnder un fascio di luce incide su di uno specchio semiriflettente e viene quindi diviso in due: una parte segue il percorso inferiore (A-B-D), mentre laltra il percorso A-C-D. In D si trova un secondo specchio semiriflettente, oltre al quale sono i due rivelatori 1 e 2. La luce che ha seguito il prcorso AB-D e che viene riflessa dallo specchio D, raggiungendo il rivelatore 1, ha subito uno sfasamento durante la trasmissione attraverso lo specchio semiriflettente A e due sfasamenti per riflessione da parte degli Figura 9-17: Interferometro Mach-Zehnder specchi B e D. La luce che segue laltro percorso e attraversa lo specchio semiriflettente D, raggiungendo anchessa il rivelatore 1, subisce uno sfasamento identico in quanto viene riflessa due volte (da A e da C) e trasmessa una volta (da D). Quindi, se linterferometro perfettamente bilanciato, se cio i quattro bracci sono a due a due di lunghezza identica, la luce che raggiunge il rivelatore 1 percorrendo il tratto inferiore e quella che raggiunge 1 lungo il tratto superiore sono perfettamente in fase e si ha interferenza costruttiva. Tutta la luce che incide su A raggiunge quindi il rivelatore 1, il che significa che, necessariamente, le altre due possibilit, cio la luce che fa il percorso A-B-D2 e quella che percorre il tratto A-C-D-2, danno luogo ad interferenza distruttiva. Questo significa che non arriveranno fotoni al rivelatore 2. Evidentemente se si interrompe p.es. il tratto A-B con uno schermo opaco, il 50% della luce (quella che percorre il tratto superiore) raggiunger D e di questa il 50% andr verso il rivelatore 1 ed il restante 50% andr verso il 2. Quindi se si interrompe uno dei bracci ad entrambi i rivelatori arriver il 25% della luce della sorgente. Fin qui nulla di strano: la trattazione classica della propagazione della luce spiega tutto. Ma immaginiamo che i due rivelatori siano dispositivi in grado di rivelare fotoni singoli [Grangier 1986]. Essi emetteranno una sequenza di impulsi (click), uno allarrivo di ogni fotone. Quindi siamo in presenza, al momento della rivelazione, di eventi distinti. I fotoni manifestano la loro natura di particelle. Possiamo quindi immaginare di compiere lesperimento di Figura 9-17 con intensit di luce molto basse, tali per cui un solo fotone si trovi in ogni istante nellinterferometro. Lo specchio A svolge quindi lo scopo di indirizzare met dei fotoni verso lalto e laltra met verso il basso. Non potremo quindi sapere quale braccio percorre ciascun fotone. In queste condizioni solo il rivelatore 1 emetter i suoi click, mentre laltro sar sempre silenzioso. Se per intercettiamo uno dei due bracci, sapremo
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esattamente quale percorso ha seguito ciascun fotone, ma la conseguenza sar che entrambi i rivelatori, con pari frequenza media, emetteranno i click.

Figura 9-18: Interferometro Mach-Zehnder con uno dei due rami interrotto

Il principio di indeterminazione si manifesta qui come limpossibilit di poter contemporaneamente sapere quale dei due percorsi ha seguito il fotone o quale dei due rivelatori verr eccitato. Se si sa che solo il rivelatore 1 viene raggiunto, allora non si sa quale percorso ha seguito il fotone. Al contrario se si sa quale stato il percorso fatto, entrambi i rivelatori verranno raggiunti con la stessa probabilit. Una forma, appena pi elaborata, di questo esperimento quella sviluppata da Grangier, Roger e Alain Aspect, in quello che stato uno dei lavori pi chiari nel mettere in evidenza i fenomeni di interferenza di fotoni singoli [Grangier 1986]. Nell esperimento di Grangier con fotoni singoli (Figura 9-19) si utilizzano sorgenti di coppie di fotoni correlati, uno dei quali viene utilizzato per lesperimento vero e proprio (signal, s) e laltro viene utilizzato per il trigger di un sistema di coincidenza (idle,i). All interno della finestra temporale w trascurabile la probabilit di rivelazione sul percorso del segnale di fotoni che non siano stati prodotti nel processo di cascata atomica che ha generato il fotone i. In questo senso si in presenza di un solo fotone di tipo s nellapparato durante la fase di conteggio. Il contatore Nc, relativo agli eventi di coincidenza di fotoni riflessi e trasmessi (sr e st) in questo esperimento non scatta praticamente mai: il fotone sceglie di essere o riflesso o trasmesso, ma a differenza di quello che ci si aspetterebbe se si comportasse come unonda, non pu essere contemporaneamente in entrambi i canali.

Nr Ni

sr sorgente di coppie di fotoni

Nc

st specchio semiriflettente gate

Nt

Figura 9-19: schema dell apparato per la realizzazione di esperimenti a fotone singolo realizzato da Grangier et al. [Grangier 1986]

Se lo specchio semiriflettente di Figura 9-19 viene inserito come primo elemento in un interferometro di Mach-Zehnder (specchio A di Figura 9-17), si realizza praticamente lesperimento di interferenza di fotoni singoli. Nel loro articolo Grangier, Roger e Aspect mostrano chiaramente che gli eventi di conteggio nei rivelatori 1 e 2 dellinterferometro sono in completa anticoincidenza, a conferma diretta della quantizzazione del campo elettromagnetico.
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9.4.5 La teoria dellelettrone di de Broglie


Assumiamo che la relazione di Planck per il fotone abbia la validit di una legge fisica universale, che si applica a tutte le particelle, indipendentemente dalla loro natura. Come conseguenza, la teoria della relativit impone che abbia la stessa forma in ogni sistema di riferimento. In particolare se all elettrone, come al fotone, si associa un energia E = h ! , questa relazione fra energia e frequenza dell onda associata all elettrone deve valere anche nel sistema di riferimento nel quale l elettrone a riposo. In questo sistema di riferimento l energia dell elettrone pari alla sua energia a riposo. Deve cio essere

E = h ! = me c 2

(1.5.1)

All elettrone viene associata una funzione d onda del tipo onda piana che, nel s.d.r. dell elettrone a riposo assume la forma di un onda stazionaria

! ( t ) = A sin ( 2" # t )

(1.5.2)

Nel s.d.r. del laboratorio, descritto dalle coordinate x' e t' , che si sposta con velocit ve rispetto al s.d.r. in cui l elettrone in quiete, la funzione d onda elettronica avr la forma

x' ) / , & !(x',t') = A!sin . 2" ( #' t'$ + 1 ' %' * 0 Le trasformazioni di Lorentz fra i due s.d.r. sono

(1.5.3).

x'! v e t' # 1/2 %x = 1 ! "2 % % v $ t'! e x' % c2 %t = 1/2 1 ! "2 % &

!=

ve c

(1.5.4)

Dalle (1.5.4) discendono le

p' = E' =

(1 ! " )
mc 2

m ve

2 1/2

(1.5.5)

(1 ! " )

2 1/2

= p' c + m c
2 2 2

Applicando le (1.5.4) alla (1.5.2) si ottiene

v , & & ) t'$ e x' # ( c 2 + = A sin . 2" ( ! ( x ) = A sin ( 2" # . ( 2 1/2 + 2 1$ % . ( 1$ % ( + ' * . ' -

1/2

ve c2 t'$ 1 $ %2 #

1/2

)/ +1 x' + 1 +1 *1 0

(1.5.6)

La (1.5.6) fornisce la rappresentazione dellonda associata all elettrone nelle coordinate (x,t) del sistema di riferimento nel quale l elettrone in quiete, e quindi la (1.5.6) deve coincidere con la (1.5.3). Devono quindi essere soddisfatte le

! % 1/2 ' !' = 1 " #2 ' ' v & ! e '1 c2 ' = 1/2 1 " #2 ' $' (

(1.5.7)

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la prima delle (1.5.7) fornisce la legge di trasformazione delle frequenze, che a sua volta conferma l ipotesi di invarianza della legge di Planck. Infatti dalle (1.5.5),

h!!' =

(1 " # )

h!!

2 1/2

(1 " # )

mc 2

2 1/2

= E$

La seconda delle (1.5.7) implica, assieme alla (1.5.1) e alla prima delle (1.5.5)

!' =

c 2 1 " #2 $ ve

1/2

c 2 1 " #2

1/2

me c 2 ve h

h 1 " #2 me v e

1/2

h p'

(1.5.8)

che fornisce direttamente la relazione di de Broglie

p' =

h = ! k' !'

(1.5.9).

Questa relazione, enunciata nel 1923 da Louis de Broglie, la premessa per la successiva formulazione ondulatoria della meccanica quantistica proposta da Erwin Schrdinger nel 1926. La funzione donda dellelettrone libero la soluzione dellequazione di Schrdinger in assenza del termine di potenziale

i!
e

!" (x ',t ') = H" (x ',t ') !t '

con

H= !

! 2 "2 2 m " x '2

(1.5.10)

! 2 " 2# (x ',t ') = E' # (x ',t ') 2 m " x '2

(1.5.11)

posta la funzione donda nella sua pi generale forma ! (x,t) = ei(k x"# t) le (1.5.10) e (1.5.11) impongono che siano soddisfatte le

E' = ! ! '

k '2 ! 2 = !! ' 2m

(1.5.12)

che coincidono con la (1.5.9), se si considera che lenergia dellelettrone libero appunto

E' =

p '2 2m

(1.5.13).

La (1.5.12) rappresenta la relazione di dispersione di particella libera, che caratterizzata da una dipendenza quadratica dellenergia dal numero donda. La velocit di fase dellonda piana associata allelettrone risulta essere

v 'f =

! ' & 2" # ' ) & (1 $ % 2 )1/2 ) c 2 = ( += k ' ( (1 $ % 2 )1/2 + ' 2" # ' v 'e c 2 * v 'e ' *

(1.5.14)

che implica direttamente che la velocit di fase dellonda risulta essere maggiore della velocit della luce! In realt la cosa perfettamente ammissibile, in quanto la propagazione dellonda piana non associata alla propagazione di alcuna informazione, visto che non consente la localizzazione dellelettrone ( ! * (x ',t ')! (x ',t ') " 1 ovunque). La funzione donda che rappresenta la dinamica di un elettrone reale si otterr come sovrapposizione di onde piane, costruendo quindi dei pacchetti donda.

9.4.5.2 Pacchetti donda


Il significato della rappresentazione ondulatoria delle particelle diventa evidente quando si passa dalla rappresentazione con semplici onde piane (che creano il problema della

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impossibilit di localizzare la particella nello spazio) alla sovrapposizione di onde piane, cio a pacchetti d onda. Per il pacchetto d onda si pu definire una velocit di gruppo che rappresenta la velocit con la quale si sposta nello spazio il centro del pacchetto, o meglio il punto del pacchetto nel quale la fase non dipende dal numero d onda. La velocit di gruppo risulta essere data dalla

# d! & vg = % $ d" (k=k 0 '


Le relazioni di de Broglie portano subito alla

(1.5.15)

! dE $ vg = # & " dp %p=p0


Dalla espressione relativistica della energia si ricava immediatamente

(1.5.16)

E2 = p 2 c 2 + m2 c 4
e quindi

2EdE = 2 p c 2 dp

(1.5.17)

p c2 ! dE $ vg = # & = 0 E0 " dp %p=p0


dalle (1.5.5) si ricava che

(1.5.18)

p ve = E c2
da cui

(1.5.19)

vg =

p0 c 2 = ve E0

(1.5.20)

che proprio la velocit della particella.

9.4.6 Il principio di indeterminazione


Ipotizziamo il caso semplice di un pacchetto d onda gaussiano
0.4

0.3

! (x,0) =

1 2 " #x
2

x2 2 #x 2

0.2

(1.5.21)
0.1 -3 -2 -1

! (x,0)

lindeterminazione nella posizione pu essere stimata dallo scarto quadratico medio ! " = #x . La trasformata di Fourier della funzione donda, cio la sua rappresentazione nello spazio dei dei numeri donda k, e quindi dei momenti p x = ! k , ancora un pacchetto gaussiano

0.4

0.3

f(k,0) = F ! (x,0) =

1 2"

$ #$

#ik x

! (x,0)dx =

&x 2 # k &x e 2 2"

0.2

f(k,0)

(1.5.22)
0.1 -3 -2 -1 1 2 3

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che e caratterizzato da uno scarto quadratico medio lindeterminazione in k. Di conseguenza

!f =

1 "x

che rappresenta

!x !k = 1

!x !p x = ! .

(1.5.23)

Si pu dimostrare che il pacchetto gaussiano rappresenta il pacchetto di minima dispersione, quindi per un generico pacchetto donda dve essere sempre soddisfatta la disuguaglianza

!x !p x " ! .

(1.5.24)

9.4.7 Esempi di corrispondenza


Fin dalle prime formulazioni della meccanica quantistica, i padri fondatori di questa teoria si sono posti il problema di chiarire quale fosse il limite al quale i modelli quantistici portassero a previsioni in accordo con la ben consolidata teoria classica. Si sono quindi avute diverse formulazioni di quello che viene comunemente chiamato principio di corrispondenza.

9.4.7.2 La formula di Planck


La densit degli stati dei modi del campo elettromagnetico nella cavit e data dalla

g(! ) =

dN 8" V 2 = 3 ! d! c

(1.5.25)

Se si assume che il gas dei modi di oscillazione segua una statistica classica e quindi, per il teorema di equipartizione dellenergia, lenergia media dei modi sar

! cl = k B T

(1.5.26)

e quindi la densit di energia del campo e.m. sar data dalla formula di Raileigh e Jeans

(! ) = g(! ) " cl =

8# 2 ! kB T c3

(1.5.27)

Se invece si assume che i modi del campo e.m. si comportino come oscillatori armonici quantistici, la loro energia media data dalla

!q =

h" e
h " /kB T

#1

(1.5.28)

e se ne deriva lespressione di Planck della densit di energia

(! ) = g(! ) " q =

8# 2 h! ! h! /k T c3 e B $1

(1.5.29).

Sviluppando il denominatore della (1.5.28) in serie di potenze, si ottiene

lim " q = lim


h!0 h!0

h# $ ' h# & 1+ k T + !) * 1 % ( B

= kB T

(1.5.30)

Questa tendenza al limite costituisce una delle pi classiche formulazioni del principio di corrispondenza : La teoria quantistica coincide con la descrizione classica al tendere a zero della costante di Planck. Ci si pu domandare quale sia il senso fisico di far tendere a zero una costante universale.
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9.4.7.3 Latomo di Bohr


Nell enunciare la sua teoria dell atomo di idrogeno, Bohr si preoccup molto di verificare che non vi fosse contraddizione con quanto previsto dalla fisica classica. In particolare che il suo modello non fosse incompatibile con la previsione dellelettromagnetismo che la radiazione emessa da una carica elettrica orbitante con velocit angolare fosse quella emessa da un dipolo oscillante con pulsazione . Per numeri quantici n grandi, lo spettro costituito da righe sempre pi ravvicinate, tendendo quindi allo spettro continuo. In forma pi quantitativa si pu far vedere che, classicamente e in assenza di irraggiamento (cio in un modello analogo alle orbite planetarie newtoniane), unorbita circolare definita dall equazione

m ! 2r =

Z e2 4" # 0r 2

(1.5.31)

la quale comporta direttamente

!"

1 r
3/2

(1.5.32)

Daltra parte il momento angolare

L = m ! r2 "

r2 = r 1/2 r 3/2

e cio la frequenza della radiazione emessa sar

!"

1 L3

(1.5.33).

In un modello classico, una carica che orbita con velocit angolare emette radiazione " elettromagnetica di frequenza ! = . Seguendo la regola di quantizzazione di Planck 2# l energia dei quanti emessi sar E = h ! , quindi

E !" !

1 r
3/2

(1.5.34).

Se, nel contesto del modello di Bohr dell atomo di idrogeno, si esprimono le energie in funzione del numero quantico n, si ha

En !

1 n2

(1.5.35)

e, nella transizione da un livello n+1 ad un livello n verr emessa radiazione di energia

!E "

1 1 # 2 2 (n + 1) n

Per n grandi, la sequenza di stati sar caratterizzata da valori di energia sempre pi ravvicinati e con buona approssimazione la variabile n potr essere considerata continua. Sar quindi

!E "

d # 1& 1 = . dn % n2 ( n3 $ '

Ricordando la regola di Bohr della quantizzazione del momento angolare L = n ! si ottiene direttamente

!E "

1 L3

(1.5.36).

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Si pu quindi concludere che la previsione sulla frequenza della radiazione emessa che si ottiene per grandi numeri quantici dal modello di Bohr, in accordo con la previsione classica (1.5.33). Una diretta estensione di questa formulazione del principio di corrispondenza porterebbe a dire che un sistema quantistico legato, caratterizzato quindi da stati di energia discreti, scanditi da un numero intero n, tende al suo analogo classico al tendere di n allinfinito. Vedremo tra poco che anche questa formulazione non cos solida come sembra.

9.4.7.4 Loscillatore armonico


Lequazione di Schrdinger per una particella soggetta ad un potenziale armonico 1 unidimensionale V(x) = k x 2 2

# !2 2 1 & " + k x 2 ( ) (x) = En) (x) %! 2 $ 2m '


in cui le autoenergie sono

(1.5.37)

!1 $ !1 $ En = # + n& ! ' = # + n& ! "2 % "2 %

k m

(1.5.38)

Figura 9-20: livelli energetici di un elettrone sottoposto ad una forza elastica 2 con costante k = 2 eV/nm

e le autofunzioni sono

m" ! (x) = 4 !

1 2n n! #

m" x 2 2!

% m" ( Hn ' x *= ! ) &

1 x0

1 2n n! #

1% x ( $ ' * 2 & x0 )

% x( Hn ' * & x0 )

(1.5.39)

nella quale le Hn sono i polinomi di Hermite di grado n e

x0 =

! m!

(1.5.40).

La spaziatura dei livelli energetici dati dalla (1.5.38), nel caso dellelettrone soggetto ad una eV N forza elastica con costante k = 2 = 0.16 , pari a ! E = 0.39 eV . 2 m nm Un sistema macroscopico avente massa pari ad 1 g, soggetto alla stessa forza elastica e che abbia ampiezza di oscillazione A=1 cm, avrebbe una energia totale

Ecl =

1 k A 2 = 5x1013 eV = 8x10 !6 J 2

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Se lo trattassimo come un sistema quantistico, la spaziatura fra i suoi livelli energetici data sempre dalla (1.5.38) sarebbe ! E = 8.33x10 "15 eV . Il sistema occuperebbe quindi uno stato quantico con n = Ecl / ! E = 6x10 27 ! In questo senso un sistema classico caratterizzato da numeri quantici enormi ed i suoi stati energetici costituiscono, di fatto, un continuo. Da questo punto di vista loscillatore armonico rappresenta quindi un esempio ideale per visualizzare le previsioni della meccanica quantistica su oggetti macroscopici. Proviamo allora a capire come linterpretazione quantomeccanica del modulo quadro della funzione donda, intesa come probabilit di localizzare la particella in un punto dello spazio, si concretizzi per loscillatore armonico. Classicamente la densit di probabilit che un oscillatore armonico unidimensionale si trovi alla coordinata x data dalla

Pcl (x)dx =

2dt 2 dx / v " dx dx = = = T 2! / " 2 2 ! A2 # x 2 ! k A #x m

(1.5.41)

la relazione fra lampiezza di oscillazione classica A e lenergia quantistica delloscillatore fornita direttamente dalla

!1 $ !1 $ 1 k k A 2 = # + n& !' = # + n& ! 2 "2 % "2 % m

(1.5.42)

e quindi direttamente possibile confrontare la densit di probabilit classica P cl(x) con la previsione quantistica che si ottiene dal modulo quadro della funzione donda ! (x)
2

data

dalla (1.5.39). Alcuni esempi sono dati in Figura 9-21. Il limite classico, al crescere di n, approssima sempre meglio la media delle oscillazioni della probabilit quantomeccanica.

Figura 9-21: confronto tra la densit di probabilit classica (linea rossa) e la densit di probabilit quantistica delloscillatore armonico per valori crescenti del numero quantico n.

La corrispondenza fra comportamento quantistico e classico trova per una insanabile contraddizione se si considerano le deviazioni dalla idealit degli oscillatori reali. Essi non possono essere caratterizzati dalla tendenza allinfinito dellenergia potenziale tipica dellandamento parabolico delloscillatore armonico. Si pu dimostrare che gli oscillatori reali
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presentano un numero finito di stati legati e quindi perde di significato laffermazione che essi tendono al limite classico per n che tende ad .

9.4.7.5 Il teorema di Ehrenfest


Una delle basi pi solide per confrontare il comportamento di un sistema quantistico con il suo analogo classico fornito dal teorema di Ehrenfest. Supponiamo che A sia l operatore associato ad un osservabile qualsiasi: ci poniamo l obiettivo di studiare l evoluzione temporale del suo valore di aspettazione su di uno stato ! (t)

A (t) = ! (t) A(t) ! (t)


poich la funzione d onda evolve secondo l equazione di Schrdinger

i!

d ! (t) = H(t) ! (t) dt

si pu direttamente dimostrare che il valore di aspettazione di A soddisfer all equazione

d &A A = !i ! " A(t),H(t) $ + # % dt &t

(1.5.43)

Teorema di Ehrenfest

dove ! A(t),H(t) # = A(t)H(t) % H(t)A(t) il solito commutatore. " $ La (1.5.43) rappresenta esplicitamente il fatto che, se A non dipende esplicitamente dal tempo e commuta con la hamiltoniana (e quindi una costante del moto), il suo valore di aspettazione sar costante. L applicazione diretta del teorema di Ehrenfest (1.5.43) agli operatori posizione (R) e momento (P), con una hamiltoniana tipica H =

P2 + V(R) , porta a 2m
(1.5.44)

P d 1 1 ! P2 # ! R,H # = R = % R, & = " $ dt i! i ! " 2m $ m


d 1 1 ! P,H # = ! P,V(R) # = % & V(R) P = $ $ dt i! " i! "

(1.5.45)

le (1.5.44) e (1.5.45) forniscono uno strumento diretto per confrontare le leggi della evoluzione temporale del valore di aspettazione della posizione e del momento con le equazioni della meccanica classica Meccanica quantistica P d R = dt m d P = ! " V(R) dt Meccanica classica

Definizione di momento Seconda legge di Newton

dR P = dt m dP = !" V(R) = Fclass dt

Va sottolineato che pur fornendo uno strumento concettualmente solido per mettere in relazione le dinamiche classiche e quantistiche, il teorema di Ehrenfest non pu essere applicato in maniera meccanica. In particolare nella visione classica la forza rappresentata dal gradiente cambiato di segno del potenziale nel punto in cui si trova la particella. Il corrispondente quantistico del punto in cui si trova la partivella il valore di aspettazione dell operatore R. Il corrispondente quantomeccanico della forza il valor medio del gradiente del potenziale cambiato di segno su tutta l estensione del pacchetto d onda che rappresenta la particella: in generale questi due valori non coincidono e quindi, a rigore, la traiettoria quantistica non coincide con la traiettoria classica [vedi p.es. Messiah pagg. 218 e 220].
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Il teorema di Ehrenfest, comunque, pur fornendo una fondamentale connessione fra le leggi della dinamica newtoniana classica e levoluzione dei pacchetti donda, non consente nessuna ulteriore assimilazione del comportamento quantistico con quello classico: in particolare anche nei casi particolari in cui la dinamica quantistica e quella classica coincidono rigorosamente (particella libera ed oscillatore armonico per esempio) il comportamento ondulatorio delle particelle quantistiche, evidentemente, permane e quindi continuano ad essere presenti tutti i fenomeni di interferenza che ne derivano.

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