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Decrescita economica: una meta sociale?

Giorgio Osti
Docente di Sociologia dellambiente e del territorio dellUniversit di Trieste (Aggiornamenti Sociali gennaio 2007)

La prospettiva della decrescita, intesa in prima approssimazione come critica ai processi economici che dispensando benessere e progresso illusori determinano il superamento della capacit di carico della Terra, riscuote oggi un certo interesse: ne parlano i sostenitori di economie alternative e di finanza etica; il tema inizia a comparire nei mass media e anche esponenti del mondo politico cominciano a menzionarlo. La maggior parte degli operatori economici sono invece per ora piuttosto scettici, se non sospettosi nei suoi riguardi; la crescita economica vista ancora come una base sicura su cui misurare e organizzare le politiche. Metterla in crisi sembra a molti un gesto stravagante o irresponsabile. I sostenitori della decrescita si affrettano a dire che non vogliono mettere in discussione i progressi del passato e che il termine piuttosto una provocazione per sollevare un problema grave e urgente 1. Tuttavia, la scelta delle parole non indifferente e sembra utile un'opera chiarificatrice. La decrescita si pone come un giudizio fortemente negativo sulle tendenze socio-economiche del mondo intero, affermando con chiarezza che l'attuale processo di sviluppo non sostenibile, n socialmente n ecologicamente 2.

1. Una nuova critica al progresso


II filone della decrescita nasce dalla fusione di due movimenti culturali: quello che critica i processi e i progetti di sviluppo nei Paesi pi poveri 3 e quello che legge la questione ecologica non solo come inquinamento, ma anche come esaurimento dello spazio necessario alla vita di uomini ed ecosistemi 4. I due filoni si saldano in una pi generale critica del progresso quale stato proposto o imposto in tutto il mondo dai Paesi occidentali. Ed proprio in alcuni di questi che il movimento per la decrescita si evolve, pur assumendo connotazioni di vario genere 5. La decrescita pu essere vista come una meta socio-politica che prevede una diminuzione del volume delle attivit economiche. Questa per resta un'affermazione ancora molto generica. Che cosa si vuole realmente far diminuire? La decrescita sembra esprimere almeno tre tendenze: a) la riduzione della quantit di materia ed energia utilizzate a livello globale e relativamente a ogni unit di bene; b) il ridimensionamento della meta del profitto rispetto ad altri fini dell'economia; c) la contrazione delle attivit economico-professionali (produzione, lavoro, distribuzione e consumo) rispetto ad altri ambiti della vita sociale. La prima tendenza si potrebbe definire dematerializzazione, la seconda responsabilit sociale dell'impresa e la terza convivialit. Le tre dimensioni sono tutte meritevoli di attenzione, ma necessitano di alcune precisazioni nonch, eventualmente, di scelte molto coraggiose. Per sostenere le tre prospettive appena delineate, i sostenitori della decrescita partono da tre argomenti di base: il superamento del limite di riproducibilit delle risorse naturali, l'eccessiva finanziarizzazione delle imprese e l'affermarsi del paradosso della felicit o del benessere.

2. Ridurre la materia, l'energia e il lavoro


Una prima tendenza con cui si pu esprimere la decrescita quella della dematerializzazione. Secondo una prima accezione, la dematerializzazione intesa come riduzione della quantit di materia ed energia per unit di bene prodotta o fruita 6. Si tratta, ad esempio, di ottenere il medesimo effetto (riscaldare un ambiente o far muovere un'auto) con una minore quantit di energia. Altre versioni di questo concetto si riferiscono alla riduzione della quantit di lavoro per unit di bene o per unit di prezzo monetario:

quanto pi alta la quota di ricchezza ottenuta con fattori immateriali (conoscenza, relazioni, organizzazione, ecc.), tanto pi alta sar la dematerializzazione. Quello che qui ci interessa il primo parametro, declinabile per non solo in termini di dematerializzazione relativa ad una singola unit di bene, ma anche in termini di riduzione della quantit totale di materia ed energia utilizzate per produrre tutti i beni che servono al funzionamento di una societ (dematerializzazione a livello di un intero sistema, detta anche assoluta 7). Ad esempio, non si tratta solo di usare meno rame per un singolo motore elettrico, ma di ridurre la quantit totale di rame estratto nel mondo. a) Dematerializzazione assoluta L'importanza di questo parametro dovrebbe essere chiara a tutti: viviamo in un mondo finito in cui le risorse fisiche, per quanto abbondanti, sono limitate. L'esempio pi efficace riguarda l'aria. Ben pochi nel passato avrebbero immaginato che anche l'aria nella sua composizione attuale a prevalenza di azoto e di ossigeno sarebbe diventata un bene limitato o degradabile in maniera irreversibile. Eppure, l'emissione massiccia di anidride carbonica attraverso la combustione tale da richiedere politiche che limitino il degrado dell'aria, come dimostra il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici, in vigore dal febbraio 2005. Discorso analogo si pu fare per l'acqua e per il suolo. Per quest'ultimo la scarsit un fattore noto da tempo, tanto da indurre prima una regolazione urbanistica e poi pianificazioni pi specifiche come quella dei siti industriali e delle infrastrutture. Tale pianificazione era inizialmente indotta dalla necessit di tamponare i fallimenti del mercato, provocati dall'incapacit degli attori privati di usare razionalmente le risorse naturali in un lungo arco di tempo. In seguito emersa anche la preoccupazione per la totale scomparsa di interi ecosistemi, per cui si sono introdotte misure di riduzione e prevenzione dell'uso dei suoli: tipico il caso dei parchi forse la prima politica della decrescita che ha imposto, con alterne fortune, una moratoria di tale uso. b) Dematerializzazione relativa Anche la dematerializzazione in senso relativo, cio per unit di bene, ha avuto andamenti altalenanti. Essa una tendenza di fondo dell'economia di mercato che premia i prodotti che a parit di prestazioni costano meno. Un modo per abbassare il costo unitario quello di utilizzare pi tecnologia e meno risorse fisiche. Le imprese hanno perseguito questa meta in modo ampio. Ad esempio, le auto pesano molto meno di un tempo, per rendere pi bassi i costi di costruzione e di esercizio del mezzo. Sempre nel caso delle auto, anche i motori sono pi efficienti e quindi si pu parlare di una dematerializzazione del bene prodotto in funzione del servizio di trasporto. La dematerializzazione relativa non solo un processo lineare di progressivo aumento dell'efficienza della produzione e della distribuzione dei beni, ma anche un processo indotto da eventi storici particolari. L'esempio pi noto la guerra dello Yom Kippur del 1973, che spinse gli Stati arabi a un rafforzamento del cartello del petrolio e a un innalzamento repentino del prezzo di tale fonte energetica. Ci a sua volta indusse la ricerca di maggiore efficienza nel consumo di energia. Anche l'incidente nucleare di Chernobyl dell'aprile 1986 ha determinato indirettamente un aumento dell'efficienza dei sistemi produttivi: i costi della sicurezza nell'approvvigionamento di energia sono diventati cos alti da spingere verso l'introduzione di severe misure di risparmio ed efficienza nelle centrali per la produzione di unit di energia. c) Insuccesso del programma di dematerializzazione Nonostante gli sforzi, la dematerializzazione, soprattutto a livello globale, incontra forti resistenze. Il consumo di materia ed energia in termini fisici aumenta costantemente in tutte le parti del mondo. Gli unici casi in controtendenza sono stati i Paesi dell'ex blocco sovietico che, in seguito al crollo dell'impero, hanno avuto un periodo di recessione cos forte da contrarre l'uso di materia ed energia 8. I processi pi significativi, tuttavia, sono di segno contrario: un Paese come la Cina sta letteralmente esplodendo per materializzazione della propria economia. La ragione di questo fenomeno in apparenza contraddittorio crescono sia l'efficienza sia il volume complessivo di materiali ed energia messi in circolazione si spiega con il fatto che i consumi crescono pi rapidamente dell'innovazione tecnologica volta al risparmio di fattori fisici. La richiesta di materiali da parte dell'industria e di beni finali da parte dei consumatori molto sostenuta e in forte crescita nei Paesi emergenti 9. La tecnologia per rendere meno dispendioso l'uso o per recuperare i beni dopo l'uso (riciclaggio dei rifiuti) non in grado di stare al passo con l'aumento dei consumi intermedi e finali. I dati ora disponibili sulla richiesta totale di materiali

parlano chiaro: nel caso dell'Europa occidentale, area per la quale possiamo presumere che i dati siano abbastanza attendibili, la movimentazione di materia sempre pi cresciuta; magari la sua origine non l'Europa stessa, ma in generale il fardello ecologico della somma complessiva dei beni di cui disponiamo aumenta 10. Gli studiosi non sono in grado di dire quale sia la soglia di prelievo limite per il sistema-mondo; n possibile fare calcoli precisi per un singolo bene di grande rilevanza quale il petrolio. Vi sono per alcune previsioni decisamente pessimistiche, che prefigurano grandi conflitti sociali derivanti dal progressivo calo della disponibilit di petrolio in economie fortemente dipendenti da questa fonte n. A meno di immaginare un salvifico salto tecnologico, anche le previsioni pi cupe non possono essere ignorate. In questo scenario la decrescita intesa come dematerializzazione dell'economia si presenta come un forte impegno per garantire risorse alle generazioni future. Esso richiede di sviluppare i miglioramenti tecnologici per ridurre la quantit di materia ed energia per unit di prodotto e di servizio. Se questo progresso non sufficiente come successo finora si rende necessario ridurre nel loro complesso sia i consumi intermedi sia quelli finali. Dunque, non pi un problema di efficienza, ma di riduzione dell'entit fisica globale dei prodotti che entrano ed escono dall'economia.

3. La responsabilit sociale dell'impresa


II secondo oggetto di analisi dei fautori della decrescita riguarda in maniera pi specifica la forma dell'economia. Le fonti di critica sono sostanzialmente due: la prevalenza dell'economia monetaria e le dimensioni degli apparati produttivi. a) Alla ricerca della ricchezza finanziaria L'idea di fondo, cara non solo agli autori che sostengono la decrescita, ma anche a esperti come Stefano Zamagni, professore di Economia politica nell'Universit di Bologna, che l'economia sia troppo finalizzata al profitto, cio al bisogno di massimizzare i rendimenti dei fattori produttivi. Zamagni distingue opportunamente economia di mercato da economia capitalistica, imputando solo alla seconda una spasmodica ricerca del profitto. Il capitalismo aggiunger il "motivo del profitto" e cio la finalizzazione di tutta l'attivit produttiva a un unico obiettivo, quello della massimizzazione del profitto da distribuire a tutti i fornitori di capitale, in proporzione dei loro apporti. con la rivoluzione industriale che si afferma quel principio "fiat productio et pereat homo" che finir per sancire la separazione radicale fra conferitori di capitale e conferitori di lavoro 12. Evidentemente non si tratta di negare le esigenze dell'accumulazione al fine di avere scorte per il futuro o di fare investimenti che richiedono una grande concentrazione di mezzi; si tratta di denunciare il fatto che la crescita della ricchezza finanziaria diventa un fine in se stesso che rende secondari o irrilevanti altri fini dell'economia. La critica si rivolge al cosiddetto capitalismo di marca anglosassone, tutto proteso all'aumento dei dividendi per gli azionisti e poco o per nulla attento all'oggetto e alle modalit di produzione. In questo caso non bisogna far decrescere l'economia in assoluto, ma ridimensionare quella ricerca esasperata del rendimento che facilmente si trasforma in speculazione finanziaria. Si sottolinea una visione positiva del mercato come ambito di libert, allocatore efficiente di risorse e fornitore di lavoro, a patto che rispetti alcune regole di fondo quali una relativa simmetria fra i competitori e l'assunto che l'impresa debba riferirsi a una pluralit di stakeholder 13, non ultimi i consumatori o i residenti nelle aree di insediamento delle fabbriche. il tema della responsabilit sociale dell'impresa 14. L'economista e filosofo francese Serge Latouche, dal canto suo, contesta il fatto spesso dato per scontato che la finanziarizzazione dell'economia sia effettivamente un fattore che permette una veloce circolazione del denaro. Egli dimostra che, in economie basate sul principio di reciprocit, il denaro circola pi velocemente perch tale mezzo debitore nei confronti dei rapporti sociali 15. Quando un attore entra in possesso di una somma uno stipendio o un incasso deve soddisfare una tale quantit di obblighi sociali che il suo denaro viene quasi tutto immediatamente utilizzato e passato di mano molte volte. Ci fa s che non si accumuli in mano a nessuno, ma soddisfi molti bisogni nei suoi molti passaggi. In tali situazioni non c' risparmio monetario o deposito, ma c' accumulazione sociale, nel senso che si mantiene sempre forte il vincolo di reciprocit fra un numero considerevole di persone. Anche in questo caso, decrescita significa diminuzione dell'accumulazione finalizzata unicamente a produrre ulteriore accumulazione. Il denaro serve per lubrificare i rapporti sociali, mantenerli vivi, anche se finisce per limitare la libert di disporre in maniera individuale dei propri averi.

b) Imprese sempre pi grandi I fautori della decrescita contestano anche un altro aspetto dell'attivit delle imprese: il fatto che esse abbiano dimensioni sempre maggiori. La crescita dimensionale, argomento molto dibattuto in Italia, considerata un fattore di efficienza delle aziende, dato che permette ampie economie di scala 16. In realt, queste producono anche effetti negativi come l'elevata standardizzazione dei prodotti e uno scarso adattamento dei manufatti a particolari mercati di consumatori. Se infatti, da un lato, le stesse componenti per una vasta gamma di prodotti o le stesse procedure per una vasta gamma di servizi ottengono un risparmio di risorse, dall'altro forniscono un prodotto poco flessibile e adattabile ai diversi contesti socio-culturali. In tal senso economie di scala esasperate portano a trascurare le specificit territoriali, che sono fonti di differenziazione dei beni e antidoto ai rischi di crisi ecologica. Ad esempio, in campo agricolo-alimentare il dominio di poche variet di coltura, oltre a impoverire il patrimonio genetico e la gamma dei beni, espone maggiormente le produzioni a rischi derivanti da eventi estremi, come la siccit o la diffusione di malattie delle piante. Le economie di scala inducono quell' indifferenza allo spazio che sembra uno dei caratteri salienti della globalizzazione economica. Da ci deriva anche uno sviluppo enorme dei trasporti al fine di collocare le diverse fasi produttive negli stabilimenti o nelle aree che garantiscono la minimizzazione dei costi. Ma non vi solo questa critica, ancora inseribile nella ricerca di efficienza da parte dell'impresa, che pu calcolare abbastanza agevolmente il punto di equilibrio fra economie di scala e flessibilit produttiva. Vi una critica pi indeterminata, ma non per questo meno corrosiva. Il gigantismo aziendale produce enormi apparati manageriali la cui convenienza dubbia e che finiscono per entrare in una logica di autoconservazione sganciata dai fini istituzionali dell'azienda. Come l'accumulazione finanziaria rischia di diventare un fine in s, cos i manager rischiano di creare strutture aziendali iper-trofiche e autoreferenziali: II cammino verso un sistema economico e sociale sostenibile non potr avviarsi seriamente sino a quando non si diverr consapevoli che la maggior parte delle risorse e del lavoro sono oggi impiegate non per produrre benessere, ma per alimentare le tecnostrutture stesse 17. Decrescita significa qui ridurre le dimensioni delle imprese, ricondurle a proporzioni adatte a un territorio. Si ricorder il successo del motto piccolo bello; un modello ormai irriso a fronte di tendenze e inviti rivolti a tutte le imprese a crescere per essere competitive su scala mondiale o continentale. Strutture aziendali gigantesche pongono grossi problemi di governance e sicuramente rendono difficile la partecipazione dei lavoratori. Non possibile dire quale sia la dimensione ottimale di un'azienda; allo stesso tempo non si pu pensare che grande sia comunque meglio. In campo energetico, si sono costituite nel tempo grosse imprese, veri e propri colossi nazionali, che spesso operano in regime di monopolio. Ci si giustifica con il fatto che sono necessari grandi impianti e massa critica nelle contrattazioni sugli approvvigionamenti. Questo un caso come molti altri dove le autorit antitrust faticano non poco nell'imporsi per garantire dimensioni e quote di mercato minori. In fondo, non esprimono anch'esse una domanda di decrescita, sia pure a livello di singola impresa? 18.

4. Il paradosso della felicit o del benessere


Un terzo modo di intendere la decrescita concerne la riduzione delle attivit strumentali remunerate rispetto a quelle espressive gratuite o remunerate in maniera simbolica. Qui la critica diventa pi facilmente condivisibile, ma anche pi generica. Essa si appunta sul fatto che economia e lavoro sono diventati padroni del nostro tempo e del nostro immaginario; non a caso si cita anche il lavoro, inteso come attivit altamente razionalizzata, oltre che inquadrata in precisi contratti e remunerazioni. Riecheggia la critica di Max Weber alla progressiva razionalizzazione del mondo, che porta a vivere in una gigantesca gabbia d'acciaio in cui tutto organizzato secondo i dettami della razionalit strumentale 19. Tutto viene quantificato e inserito dentro la coppia mezzi-fine, fattori che esaltano l'individuo calcolatore e autocratico. Anche il tempo rientra in questo schema e finisce per diventare un'agenda fitta di impegni, regolata dal solo principio di massimizzazione delle prestazioni per unit di tempo. Ci evidentemente non riguarda solo il tempo in cui si esercita la professione. Il lavoro impostato in termini razionali diventa il modello da estendere anche alla vita privata. Cos per le attivit del tempo libero, per quelle educative o, ancora, per quelle che riguardano la societ civile, si adotta un'impostazione simile: far crescere l'efficienza delle proprie prestazioni. La decrescita si pone allora come contenimento delle attivit impostate in senso economicolavorativo per rivalutare momenti di espressivit che si colgono nell'arte, nell'azione volontaria

gratuita, nelle relazioni affettive e anche in una certa dose di ozio 20. La decrescita si coniuga con l'aggettivo lento: lentezza nel mangiare, nel viaggiare, nel parlare al fine di esaltare le tante sfaccettature degli oggetti, delle pratiche e delle persone che si incontrano. facile fare dell'ironia su queste tendenze, giudicandole forme di snobismo oppure un lusso che possono permettersi i ricchi. In realt, vi sono ormai molti tentativi di misurare queste esigenze di maggiore qualit della vita. Ad esempio si parla di paradosso della felicit, per mettere in luce che il Prodotto Interno Lordo (PIL), indicatore di benessere per eccellenza, non adatto a cogliere le dimensioni sociali, psicologiche e ambientali del benessere 21. Il tentativo pi noto di superare questo metodo di misurazione probabilmente il Genuine Progress Indicator (Indicatore di progresso genuino: GPl) 22 . Negli Stati Uniti l'andamento del PIL e del GPI si sono divaricati a partire dalla met degli anni '70. Il primo ha continuato a crescere, il secondo rimasto stabile. Ci per non dimostra che la crescita in termini monetari sia all'origine di una minore qualit della vita e che quindi si debba far decrescere il PIL per rendere le persone pi felici. Non possiamo avallare una relazione di segno negativo tra ricchezza monetaria e aumento della felicit. Semmai, la disgiunzione fra PIL e GPI mette in luce una volta di pi la difficolt del primo indicatore nel cogliere tutta una gamma importante di espressioni umane. La decrescita, in questo senso, quindi un invito a sviluppare indicatori rispondenti alle reali attese umane di felicit. Si entra allora nel problema del metodo. Abbiamo indicatori di benessere oggettivi e soggettivi; quelli oggettivi risentono del problema dell'opacit e del fatto che non sono univoci 23, quelli soggettivi mostrano un altro rischio, quello delle aspettative crescenti. In una societ in cui aumentano le aspettative e la capacit critica o riflessiva, molto probabile che diversi servizi siano giudicati in via di peggioramento nonostante il loro livello sia aumentato. Quindi, utilizzando indicatori basati sull'opinione delle persone possibile che si ottengano indicatori di benessere con punteggi pi bassi, pur avendo a disposizione servizi pi ampi e diversificati. Si esce da questo duplice problema con una forte opzione ideologica e con una conseguente rigorosa metodologia. In altri termini, si esplicita una definizione netta di benessere e se ne cercano gli indicatori pi adeguati da misurare in maniera impeccabile. Allora, il vero bersaglio polemico dei sostenitori della decrescita diventa una societ altamente mercificata, che riduce tutto a scambio economico, una societ che dovrebbe invece potenziare gli scambi basati sul principio della reciprocit. Solo supponendo l'abbinamento fra relazioni reciproche e felicit, possiamo ridimensionare la portata cognitiva e simbolica della crescita del PIL. In tal caso il PIL potrebbe anche diminuire, perch molte transazioni avvengono fuori dal mercato o con parametri non quantificabili con il metro della moneta. Non detto che tutti concordino con questa opzione ideologica. Ad esempio, un economista come Enzo Rullani sottolinea che il criterio forte per promuovere e valutare il benessere sia la conoscenza; aumentandola a tutti i livelli, possiamo arrivare a una maggiore felicit, oltre che avere una migliore economia 24. Tuttavia, un maggior tasso di conoscenza personale e collettiva, coniugato con la libert, non diminuisce gli scambi commerciali; anzi facile che li aumenti. Infatti, persone pi colte diventano pi autonome, pi dinamiche, pi capaci di creare beni e servizi e di esercitare su di essi diritti di opzione. Pertanto, in una societ con maggiore conoscenza facile che il flusso di materia e di energia cresca piuttosto che diminuire. Ma non questo il punto: conoscenza e riflessivit aiutano senza dubbio a sviluppare quegli accorgimenti tecnici e organizzativi che servono a dematerializzare l'economia. Il punto cruciale invece trovare una forma e un limite per l'economia che permetta di coniugare felicit umana e sostenibilit ambientale. I teorici della decrescita privilegiano il valore della convivialit. Con tale valore si insiste di pi sugli aspetti relazionali della felicit rispetto a quelli cognitivi e materiali.

5. Conclusioni
Nel movimento per la decrescita si coagulano diverse anime e aspettative. Vi una prospettiva ecologica che impone una seria riflessione sulle previsioni di esaurimento delle risorse. L'economia capitalistica non sembra in grado di autolimitarsi o di autoregolarsi portandoci a un passaggio graduale e indolore verso nuove fonti energetiche. La somma delle azioni di attori miranti esclusivamente alla massimizzazione del profitto porta invece a un rapido deterioramento delle risorse con conseguenze incalcolabili ma probabilmente molto violente nelle fasi preliminari all'esaurimento delle stesse. Resta poi irrisolto il problema del valore dei beni naturali. Per quanto il mercato si ingegni, non in grado di dare un prezzo alla perdita di una specie o al degrado di un

ecosistema. Serve un accordo di tipo sociale sul valore di questi beni, che ben lungi dall'essere anche solo abbozzato. Nel movimento della decrescita c' anche una prospettiva pi spiccatamente economica che chiede non un ribaltamento dell'organizzazione produttiva e commerciale, ma una seria riflessione sulle linee di sviluppo del capitalismo. Se esso si struttura in modi che finiscono per negare la stessa economia di mercato (oligopoli, finanza autoreferenziale, sistemi produttivi elefantiaci, ecc.), diventa uno strumento inefficiente, oltre che profondamente ingiusto verso diverse sue componenti. Ben vengano allora le riflessioni su modelli di economia di mercato alternativi. Non si dovrebbe per riproporre il capitalismo di stampo renano o il compromesso socialdemocratico, basati sul triangolo capitale-lavoro-welfare state. Il compito consiste piuttosto secondo quanto suggerisce Zamagni 25 nell'inserire logiche lavorative e aziendali plurime all'interno del mercato. In questo senso importante il ruolo delle attivit non-profit, finora poco considerate sia dalle istituzioni sia dagli stessi protagonisti del terzo settore. Nel movimento delle decrescita troviamo, infine, l'anima conviviale, quella che richiama a una civilt non dominata dal principio di razionalit strumentale, che non vuole che tutto sia organizzato per settori funzionali e per corpi professionali. Si tratta di un'ideologia efficace nel momento della critica, ma non nel momento propositivo. Si formano cos galassie di esperienze scoordinate, che facile incontrare nelle rassegne dell'economia alternativa. Nonostante precariet e frammentazione, in quel mondo sorgono domande pertinenti: possibile vivere con (molto) meno di quello che lo standard di consumo occidentale? E possibile fare a meno di auto e di treni ad alta velocit? possibile ridurre la produzione di rifiuti fino al punto di non avere pi bisogno degli inceneritori? E, soprattutto, possibile ridurre questi beni e nonostante ci vivere felici? In queste domande vi la dimensione pi profonda della decrescita. Essa coglie aspetti essenziali della vita umana e spinge a interrogarsi seriamente sul futuro. In tal senso, la decrescita una prospettiva destinata in un gioco di parole a crescere e a uscire dai circuiti marginali in cui si sviluppata finora. Vale la pena dunque di accoglierla nei percorsi formativi, nei programmi politici, ma ancor pi nelle scelte quotidiane di vita. Non un caso se i cosiddetti consumatori critici si trovino a essere nelle societ ultramoderne sempre pi soggetto politico, occasione di aggregazione sociale e, perch no, fonte di senso.

Sulla decrescita, si vedano: LATOUCHE S., Pour une societ de dcroissance, in Le Monde diplomatique, 11 (2003) 18-19; BONAIUTI M., Obiettivo decrescita, EMI, Bologna 2004; FALLANTE M., La decrescita felice. La qualit della vita non dipende dal PIL, Editori Riuniti, Roma 2005; DE BENOIST A., Comunit e decrescita. Critica della ragione mercantile, Arianna, Bologna 2005. Altri saggi forniscono il retroterra filosofico alla riflessione sulla decrescita: MAUSS M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle societ arcaiche, Einaudi, Torino 2002 (ed. or. 1923); POLANYI K., La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974 (ed. or. 1944); CALLE A., Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1998; LATOUCHE S., Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia vernacolare e societ conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2004. Tra i siti dedicati all'argomento, il principale <www.decrescita.it>. 2 BONAIUTI M., Crescita senza benessere o benessere senza crescita?, in L'Ippogrifo, 2006, 9. 3 Cfr SACHS W. (ed.), Dizionario dello sviluppo, EGA, Torino 1998. 4 Cfr WUPPERTAL INSTITUT, Futuro sostentane. Riconversione ecologica - Nord Sud - Nuovi stili di vita, EMI, Bologna 1997. 5 Negli Stati Uniti si manifesta di pi in senso ecologico-esistenziale nel movimento per la semplicit volontaria. In Francia e Italia vi una critica della scienza economica e del capitalismo di matrice pi filosofica. Nell'area tedesca e scandinava si registrano le pi vaste applicazioni pratiche (quartieri ecologici) e i tentativi pi sistematici di misurare concretamente i flussi di materia ed energia. Cfr GRIGSBY M., Buying Time and Getting By. The Voluntary Simplicity Movement, State University of New York Press, Albany 2004; SAN-CHES S., Sustainable consumption a la franca/se? Conventional, innovative, and alternative approaches to sustainability and consumption in France, in Sustainability: Science, Practice, & Policy, 2005, in <http://ejournal.nbii.org>. Per gli altri Paesi rilevante l'azione di centri di ricerca, come il Wuppertal Institut (Wuppertal, Germania), l'IFF Soziale kologie (Vienna) o la European Environmental Agency (EEA), l'Agenzia per l'ambiente dell'Unione europea con sede a Copenhagen. 6 Cfr GERELLI E., Societ postindustriale e ambiente, Laterza, Bari 1995. 7 Cfr AMBIENTE ITALIA, Ambiente Italia 2002. 100 indicatori sullo stato del Paese nei 10 anni di globalizzazione da Rio a Johannesburg, Edizioni Ambiente, Milano 2002,44. 8 Cfr EUROPEAN ENVIRONMENTAL AGENCY, Europe's environment: the third assessment, Copenhagen 2003, in <http://reports.eea.europa.eu>. 9 Cfr MYERS N. - KENT J., I nuovi consumatori. Paesi emergenti tra consumo e sostenibilit, Edizioni Ambiente, Milano 2004. 10 Cfr OSTI G., Nuovi asceti. Consumatori, imprese e istituzioni di fronte alla crisi ambientate, il Mulino, Bologna 2006, 48. 11 Cfr LEGGETT J., fine corsa. Sopravviver la specie umana alla fine del petrolio?, Einaudi, Torino 2006. 12 ZAMAGNI S., Quale modello di sviluppo per una societ globalizzata?, in Notiziario UNPSL [Atti del Convegno La cittadinanza tra diritti e responsabilit, Quartu S. Elena (CA), 22-25 aprile 2006], 4 (2006) 49, disponibile in www.chiesacattolica.it/pls/ccLnew/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=1826>. 13 In questo caso: i portatori di interessi, le parti in causa rispetto a una iniziativa economica. [N.d.R.] 14 Cfr GALLINO L, L'impresa irresponsabile, inaudi, Torino 2005. 15 Cfr LATOUCHE S., Altri mondi, cit, 90 s.; Io., L'altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 2000. 16 Cfr PONTAROLLO E., La politica industriale nell'Unione Europea, in Aggiornamenti Sociali, 1 (2005) 33-45; lo., Il declino economico italiano. Cause e possibili rimedi, in Aggiornamenti Sociali, 9-10 (2005) 691-702. 17 BONAIUTI M., Crescita senza benessere o benessere senza crescita?, cit, 10. 21 Cfr BRUNI L. - ZAMAGNI S., Economia civile, il Mulino, Bologna 2004.

L'indicatore di progresso genuino parte con gli stessi dati sul consumo personale su cui si basa il Prodotto Interno Lordo, ma dopo fa alcune cruciali distinzioni. Esso si corregge per certi fattori (come la distribuzione del reddito), ne aggiunge altri (come il valore del lavoro domestico e volontario) e ne sottrae altri ancora (come i costi della criminalit o dell'inquinamento). Dato che il PIL e il GPl sono entrambi misurati in termini monetari, essi possono essere comparati sulla stessa scala (<www.rprogress.org>). 23 Un alto tasso di divorzi, ad esempio, indica una societ migliore o peggiore? Per alcuni, a partire dagli estensori del GPl, negativo; per altri (cfr BARBAGLI M., Sotto lo stesso tetto, il Mulino, Bologna 2000) neutrale: pi divorzi non significa necessariamente che la societ e i singoli stiano peggio. 24 Cfr RULLAMI E., Una modernit da riconquistare, in L'Ippogrifo, 2006, 15 s.; Io, Economia della conoscenza. Creativit e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma 2004. Lo stesso Amartya Sen fonda il vero benessere sulla conoscenza e sulle capabilities (intese come capacit essenziali della persona che la rendono capace di esercitare i diritti e le facolt di scelta fondamentali). L'economista indiano pu essere considerato uno degli ispiratori dell'Indice di sviluppo umano, nel quale oltre al PIL compaiono il livello di istruzione e la speranza di vita alla nascita. Cfr SEN A., Lo sviluppo libert, Mondadori, Milano 2000 (ed or. 1999). 25. Cfr ZAMAGNI S., Quale modello di sviluppo per una societ globalizzata?, cit.

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