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numero 44 anno III - 14 dicembre 2011

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L.B.G. LINSOPPORTABILE LEGGEREZZA DI UN DON GIOVANNI MASCHILISTA Riccardo Lo Schiavo MARIO MONTI: SISMI E TERRITORIO, NON SOLO ECONOMIA Valentino Ballabio SALVA ITALIA PROVINCE AZZOPPATE E DEMOCRAZIA Raffaello Morelli GOVERNO MONTI: CONFORMISMO ILLIBERALE Franco DAlfonso GI LE MANI DALLE MUNICIPALIZZATE Ilaria Li Vigni FURTI IN CASA: MANUALE DUSO Bruno Rindone CORAGGIO PISAPIA! DIFENDI LARIA DI MILANO Federico Turchetti LAVORARE A MILANO. CHI DENTRO CHI FUORI Gregorio Praderio PGT: COSA NE FACCIAMO DELLA CITT CONSOLIDATA? Jacopo Gardella CONTINUA - DIALOGO SU DARSENA E NAVIGLI FRA UN URBANISTA (B) E UN ARCHITETTO (A)

VIDEO CRISTINA TAJANI ASSESSORE AL LAVORO, SVILUPPO ECONOMICO, UNIVERSITA E RICERCA: I MIEI PROGRAMMI

COLONNA SONORA Smith & Burrows WHEN THE THAMES FROZE

Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualit MUSICA a cura di Paolo Viola ARTE a cura di Virginia Colombo LIBRI a cura di Marilena Poletti Pasero TEATRO a cura di Emanuele Aldrovandi CINEMA a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

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LINSOPPORTABILE LEGGEREZZA DI UN DON GIOVANNI MASCHILISTA Luca Beltrami Gadola


Quando Tirso de Molina con il suo El Burlador de Sevilla y Convidado de piedra, diede dignit letteraria alla maschera di Don Giovanni non prevedeva certo di aver creato un personaggio che avrebbe sedotto non solo donne d'ogni grado/d'ogni forma, d'ogni et ma uno stuolo di scrittori, letterati, pensatori, filosofi di ogni tempo: non forse mille e tre ma di questo passo ci arriveremo. Lultimo per la cronaca Robert Carsen, il regista del Don Giovanni mozartiano della prima alla Scala. Non n scrittore, n letterato e tanto meno filosofo. Tutti quelli che lhanno preceduto - quasi sconosciuti o famosissimi e di alcuni parleremo - hanno calato il personaggio nella cultura del loro tempo e cos ha voluto fare Carsen, consegnandoci il suo Don Giovanni, un vincitore maschilista odierno, invadendo il campo letterario, operazione legittima, ma anche quello musicale mozartiano, operazione invece discutibilissima per com stata fatta. Non annoier i lettori col catalogo completo di chi letterariamente si sia dedicato a interpretare il personaggio di Don Giovanni. Possiamo per partire da Molire che vede in Don Giovanni un ateo, un empio consapevole, un eroe dellinganno ma anche lo svelatore dipocrisie. Lo fa comunque condannare pur considerandolo un libero pensatore. Anche Goldoni non resiste al fascino ma scrive forse una delle sue pi brutte commedie: il Don Giovanni Tenorio o il dissoluto. Il Romanticismo non pass indenne dallattrazione fatale tanto che Puskin dedic uno dei suoi quattro microdrammi al tema del Convitato di pietra e trasforma Don Giovanni in un poeta rigenerato dallEros. Il massimo lo fa Dumas padre, che vede coinvolti nel dramma di Don Giovanni la Madonna, angeli vari e una redenzione finale. Vediamo qua e l un Don Giovanni redento, suicida, in viaggio per il Paradiso insieme a Donna Anna, rapito da pirati e venduto; pi di recente Schnitzler ne fa un gaudente di mezza et, impotente ormai ma alla ricerca di sensazioni virtuali. E qui mi fermo per non citare Brecht o Max Frisch. Lultimo forse a tentare unardita interpretazione del personaggio Carmelo Bene che senza esitazione dice: "Don Giovanni una figura femminile. La sua coscienza e autocritica sono affidate alle parole di Leporello e lui non salta, come si crede, di letto in letto bens salta i letti perch quelle donne si rivelano dei maschi dai quali fuggire. Dobbiamo dunque stupirci della nuova interpretazione letteraria o antropologica che di questo personaggio ne fa Carsen? Perch mai? Quello che non gli perdono che abbia travolto lopera di Mozart - Da Ponte: tradimento del testo e della musica. Perch lha fatto? Forse per stupirci o forse perch pensava di doverlo calare nella cultura inesorabilmente e colpevolmente maschilista di oggi. (Forse la sua?) Se voleva fare unoperazione di quel genere, le maschere di ieri nella realt di oggi, i personaggi da reinterpretare senza travolgere tutto erano altri: Donna Anna e Donna Elvira per esempio. Chi non ricorda il magnifico duetto di Donna Anna e Donna Elvira (Edda Moser e Kiri Te Kenava) nella bellissima versione cinematografica del 1980 con Ruggero Raimondi e la bacchetta di Lorin Mazel? Quello semmai era lo spunto da cui partire: due donne furibonde, dai toni accesi, oggi diremmo incazzate, due donne che non si sarebbero perse una sola manifestazione di Se non ora, quando?. Invece no, le donne nella versione di Carsen sono ugole doro innamorate e perch no, mentitrici. Non cos, e se la giustificazione di tutto che Donna Anna non pu non aver riconosciuto Don Giovanni, come dice Carsen, vuol dire che ha dimenticato lingrediente dello scambio di persona consueto in tutto il teatro da quello greco in avanti: noi spettatori per non siamo alla ricerca della veridicit poliziesca, non ragioniamo come Poirot, lasciamo libera limmaginazione travolti dalla musica. Per altro, il libretto di Da Ponte, nelle versioni che conosco, dopo lesordio di Leporello Notte e giorno faticar dice: (entra Donna Anna tenendo forte pel braccio Don Giovanni ed egli cercando sempre di celarsi). Niente letto. Dopo di che Donna Anna: Non sperar se non muccidi,/chio ti lasci fuggir mai e Don Giovanni: Donna folle!Indarno gridi,/chi son io tu non saprai!. Qualcuno ha dei dubbi sul significato del testo? Perch inventarsi un amore corrisposto? Per stupirci e mostrarci un letto e due amanti improbabili? Anche questa non per una gran novit: ci aveva gi pensato il regista Pier Luigi Pizzi nel 2009 allo Sferisterio Opera Festival di Macerata. (vedi immagine nella Gallery). Ma arriviamo di corsa alla fine dellopera, anche se altro vi sarebbe da dire. Pensate che stiano sprofondando colpevoli allinferno Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, Leporello, Don Ottavio mentre cantano cosi? Resti dunque quel birbon/con Proserpina e Pluton./E noi tutti, o buona gente, /ripetiamo allegramente/lantichissima canzon.. Donna Anna e Donna Elvira: Questo il fin di chi fa mal. e tutti in coro: Questo il fin di chi fa mal;/ de perfidi la morte/alla vita sempre ugual!. Cala il sipario. A tutti i costi si vuole travolgere il senso del libretto trasformando Don Giovanni e gli altri personaggi chi in un arrogante sciupa femmine, chi in uno stupido promesso sposo tradito che ovviamente deve far finta di non sapere e chi in una futura moglie fedifraga e bugiarda. Come osserva Umberto Curi in un suo interessante saggio per i tipi di Marsilio sul mito di Don Giovanni nellopera mozartiana, lo stesso Mozart non sembrava condividere in tutto il testo di Da Ponte tanto da voler dar forza al mito spingendo la musica a contraddirne sistematicamente limpostazione introducendo deliberatamente conflitti e dissonanze, scarti e anomalie, squilibri e forzature nella geometria elementare delluniverso delineato da Da Ponte pur di rinvigorire il mito di Don Giovanni e la componente tragica: le poche ma intelligenti forzature con la sapienza musicale e listinto mozartiano. Lui solo legittimato a farlo. Oggi si d mano alla rozzezza culturale di stampo berlusconiano, Mediaset, strisciante, invasiva ma purtroppo lenta a uscire di scena. Questa s vorremmo sprofondasse e invece galleggia su superficiali platee.

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MARIO MONTI: SISMI E TERRITORIO, NON SOLO ECONOMIA Riccardo Lo Schiavo


Egregio Professore, Le scrivo in qualit di cittadino italiano animato dallidea che il suo periodo a palazzo Chigi possa smuovere questa nostra nave incagliata tra i ghiacci del localismo, del frazionismo, del qualunquismo. Io sogno unItalia migliore, dove la parola speranza possa essere la prima nel dizionario delle nuove generazioni, ma non solo. Sono sicuro che riuscir a dare dei colpi decisivi ai ghiacci che bloccano questa nave. Le scrivo per chiederle in particolar modo di occuparsi del monte Marsili, un vulcano dellarco insulare eoliano scoperto nel 1920, un gigante silenzioso che giace sul fondo del mar tirreno, occupa una superficie di 2100 km quadrati circa e si innalza dal fondo posto a 3500 mt sino a -450 mt dalla superficie, un mostro gigantesco che da un giorno allaltro potrebbe eruttare. Il sismologo Enzo Boschi, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha dichiarato: La caduta rapida di una notevole massa di materiale spiega Boschi scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri. (1) Ma perch le scrivo di questa montagna sommersa quando alle prese con lEuropa i conti che non tornano, il pareggio di bilancio, e soliti i partiti politici che giocano facendo melina. Insomma il solito sentiero strettissimo che solo gli uomini come lei sono in grado di percorrere. Fare una campagna di stampa e allarmare inutilmente le popolazioni specie di Campania, Calabria, Sicilia per un terremoto ma soprattutto per uneventuale onda di Tsunami non ha senso. Il Sud con la sua precariet strutturale non farebbe altro che far spallucce. Ma partendo dal Monte Marsili per andare a invertire la rotta del paese in merito a questioni quali prevenzione e gestione del territorio, potrebbe essere il momento giusto, uno dei grimaldelli per uscire dalla crisi. Le crisi sono fasi di analisi e di scelte a volte dolorose ma necessarie e spesso foriere di cambiamenti positivi. Roosevelt nellambito delle sue azioni per uscire dalla crisi del 1929 aveva fatto approvare anche il: Tennessee Valley Authority Act An act To improve the navigability and to provide for the flood control of the Tennessee River; to provide for reforestation and the proper use of marginal lands in the Tennessee Valley; to provide for the agricultural and industrial development of said valley; to provide for the national defense by the creation of a corporation for the operation of Government properties at and near Muscle Shoals in the State of Alabama, and for other purposes. (2) Della serie come impiegare disoccupati e sistemare i problemi dellitalico suolo, due piccioni con una fava. noto da tempo che gli interessi di pochi nel business della ricostruzione da Terremoti Inondazioni Frane etc. etc. prevaricano gli interessi di tutti, come disse gi nel 1971 il procuratore generale della Repubblica di Milano Luigi Bianchi dEspinosa: soprattutto necessario vincere non lievi resistenze per la strenua opposizione che a qualsiasi provvedimento oppongono ben precisi interessi individuali e la volont di chi mostra di curarsi soltanto di accrescere i propri profitti, incurante degli interessi della collettivit, nell'introdurre il convegno sul tema L'ambiente la legge il giudice, tenuto a Cervia. (3) Partire dal Marsili per avviare un nuovo new deal rooseveltiano potrebbe essere una strada per voltare pagina. evidente che cos come stanno le cose non possiamo andare avanti. Il suo incarico a palazzo Chigi durer forse diciotto mesi, ma rispetto al fluire del tempo, ai tempi geologici, sar un batter di ciglia. Gi nel 2010 lOrdine nazionale dei geologi, che in parlamento conta non molto, aveva segnalato: LItalia un territorio fragile: le aree a elevata criticit idrogeologica rappresentano il 10% della superficie italiana e riguardano l89% dei comuni; le aree a elevato rischio sismico sono circa il 50% del territorio nazionale e il 38% dei comuni. () La rilevanza del problema emerge con forza. Secondo lo studio sono circa 6 milioni le persone che abitano nei 29.500 kmq del nostro territorio considerato ad elevato rischio idrogeologico e vi sono 1 milione e 260 mila edifici. La popolazione residente nelle aree di elevato rischio sismico pari a 24 milioni di persone e comprende 6 milioni e 300 mila edifici.. (4) La crisi durer forse non sei mesi come nel 1929, quello che io le chiedo, nel suo breve periodo a palazzo Chigi, di gettare le basi per una nuova Italia che sia pi consapevole delle sue risorse naturali del suo capitale umano, che coniughi lo sviluppo e il benessere con la riduzione degli sprechi finanziari ma anche energetici, e che possa garantire un futuro alle generazioni che verranno. Il pianeta Blu, la terra, un sistema ad alta entropia che nel secolo breve ha visto una accelerazione del processo di degradazione oltre le peggiori aspettative. Il nostro paese in specifico ha visto una disordinata ma poderosa crescita non accompagnata da una gestione intelligente del territorio. Magari questa loccasione buona per mettere un poco di ordine.

(1)http://it.wikipedia.org/wiki/Marsili (2)http://www.tva.gov/abouttva/pdf/T VA_Act.pdf (3)http://www.vajont.info/roubault19 70/roubault3full.html (4)http://www.consiglionazionalegeologi.


it/cngwww/AODocumento.asp?iddoc=56 48&idcat=10

SALVA ITALIA PROVINCE AZZOPPATE E DEMOCRAZIA Valentino Ballabio


La primavera araba concorre alla salvezza dellEuropa attraverso una delle misure apparentemente secondarie del decreto salva-Italia: lapplicazione delle cifre arabe ovvero il riconoscimento della dignit di numero anche allo zero e di conseguenza la periodicit del sistema decimale, laddove greci e romani non ci erano ancora arrivati! Tanto vale la provocazione a Costituzione invariata del Governo Monti che affida tali entit alle Giunte Provinciali (zero) e ai relativi Consigli (dieci). Si tratta evidentemente di un gesto di professorale sarcasmo del Governo tecnico verso la politica che, se conservasse un tanto di dignit e lucidit, risponderebbe con una possibile contro-proposta: dimezzare, in ogni regione, le province e ridurre a un terzo (o un quarto) gli esecutivi, non le assemblee elet-

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tive al fine di conservare un minimo di democratico pluralismo. In casa nostra allora come si potrebbe ridisegnare la carta geografica della Lombardia nel senso di accorpare e modificare le sue province? Un primo rozzo criterio consiste nel taglio lineare: via quelle sotto i 300/500.000 abitanti. Questa soluzione per non tiene conto di fondamentali fattori territoriali e logistici nonch economici e sociali. Allora bene cominciare dalla definizione dellarea metropolitana, visto che la istituzione della Citt Metropolitana, dopo anni di disprezzo e ironia, comincia a essere sdoganata nel linguaggio politico ufficiale. Uno sguardo dal satellite mostra subito che mentre a sud la soluzione di continuit facilmente individuabile appunto nel Parco Sud, a nord la citt infinita si estende sin quasi alle falde dei laghi minori. Posto dunque che larea metropolitana riMilano Monza Brianza lecchese e comasca (stima) Bustocco (stima) Citt Metropolitana Como meno brianza Varese meno bustocco Como e Varese Lecco meno brianza Sondrio Lecco e Sondrio Bergamo Brescia Pavia Lodi Pavia e Lodi Cremona Mantova Cremona e Mantova LOMBARDIA

guarda il territorio urbanizzato entro il quale avvengono spostamenti di massa quotidiani, il confine nord non pu che ricomprendere tutta la Brianza nonch la densa zona di Busto-Gallarate (per una puntuale e documentata dimostrazione vedi lo studio di G. Boatti LItalia dei sistemi urbani, Mondatori, 2008). Formulata cos una Citt Metropolitana corrispondente al bacino della metropoli reale, che assorbe quasi met degli abitanti della Regione, diventa relativamente facile pensare unipotesi di accorpamenti, sintetizzabile nella seguente tabella, per arrivare a non pi di 6 province residue di popolazione compresa tra 750.000 / 1.250.000, con una sola eccezione di pi piccole dimensioni. Chiaramente tale estensione deve essere compensata da una radicale redistribuzione delle competenze verso i Comuni, escluse solo poche funzioni strategiche attinenti la pia3.156.000 850.000 200.000 200.000 4.406.000 495.000 683.000 1.178.000 240.000 183.000 423.000 1.098.000 1.256.000 548.000 227.000 775.000 363.000 415.000 778.000 9.914.000

nificazione territoriale, la mobilit, le risorse ambientali (sufficienti Giunte residue di 3 / 4 assessori). Certamente tale soluzione pu apparire forzata e incontrare resistenze e riluttanze, magari nel nome di anacronistiche identit, ma qual lalternativa? Mantenere le attuali 12 in Lombardia e 120 in Italia con leffetto di delegittimarle tutte a furor di popolo, dopo gli incauti ma ripetuti e autorevoli proclami multipartisan per labolizione tout court nonch la garbata demolizione operata infine da Mario Monti? P.S. Analoga proposta stata pubblicata da ArcipelagoMilano il 19/07/2011, dunque prima della lettera BCE, decreti Tremonti, ecc. di agosto e seguenti.

GOVERNO MONTI: CONFORMISMO ILLIBERALE Raffaello Morelli


Nel n.41 di ArcipelagoMilano, un entusiasmo neofita ha sciolto inni alla rivoluzione liberale di Monti. il sogno della sinistra che prima non ha preparato un progetto alternativo al berlusconismo e ora chiude gli occhi su quello che il governo Monti. Di certo non una rivoluzione liberale. Come nei governi precedenti, le scelte politiche liberali sono pressoch assenti nel governo Monti. Non perch si siano traditi i cittadini, dato che il parlamento ha votato il Governo. Perch non si vede traccia di scelte politiche liberali nella procedura con cui si formato (un soprassalto di realismo tecnico voluto da Napolitano per supplire allirresponsabile incapacit di maggioranza e minoranze 2008 di pensare progetti di governo e di collaborare per togliere il paese dai ritardi strutturali non nascondibili ai mercati globalizzati; in pratica, i tecnici sono lo strumento per sopire le risse dellantipolitica). Non si vede traccia di scelte politiche liberali nel criterio selettivo della compagine ministeriale, che stato s quello del rilevante prestigio personale ma non quello dei pubblici intendimenti politici sullorganizzare la convivenza. Non ve ne stata traccia nel discorso programmatico, di molto buon senso apprezzabile solo perch merce rara. Fino alla manovra, la sola novit del nuovo Presidente del Consiglio stato cambiare il clima politico e il tono del dibattito per il risanamento. Molto importante ma non sufficiente, visto che la politica affrontare il conflitto democratico sui problemi reali. Poi la manovra ha marcato la lontananza dalla rivoluzione liberale. Prima lepisodio del Presidente del Consiglio che distinto voleva pre-

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sentare le decisioni del governo agli italiani in TV prima di presentarle in Parlamento (lessersi corretto, non restituisce listinto del parlamentarismo liberale). E infine il decreto Salva Italia. Un nome indicativo dellidea del governo: fare credere che si pu salvare l'Italia solo con i sacrifici di questa manovra. Non affatto vero. una manovra di tipo tradizionale fatta di molte tasse, di limitati tagli alle spese, di poche parole sullo sviluppo e di quasi niente per attivarlo. Una manovra con lo sguardo al riassetto del bilancio annuale, che grava soprattutto sui soliti (cespiti immobiliari, pensionati, consumatori) e che non investe il problema del debito accumulato. Il solo intervento strutturale per diritti uguali e sostenibili, nel settore pensioni, cio eliminazione della pensione di anzianit e calcolo con il metodo contributivo (il che rende urgenti interventi sul lavoro e sugli ammortizzatori sociali). E anche i corretti atti emblematici, come la rinuncia del Governo al cumulo delle retribuzioni a carico dello Stato, come il dimagrire delle Province salvo la Costituzione oppure come il resistere alla restrizione del contante a duecento euro chiesta dagli statalisti per legare il cittadino. Questa manovra tamponer la crisi del momento senza affrontare i problemi strutturali. Manca il disegno politico. Non c rivoluzione liberale se non si affrontano i problemi di struttura. A cominciare dal drastico taglio del debito, per non trovarsi

presto daccapo. Non casuale la disattenzione al problema del debito. Dipende dalla dissennata mentalit pauperistica che ne stata lorigine, snobbando il produrre reddito e trascurando sviluppo e liberalizzazioni. Immerso in questo clima, il governo ha tagliato poco le spese, fatto quasi niente per lo sviluppo e insistito per coprire il bilancio annuale con pi imposte indirette in tanti rivoli (dagli effetti economici recessivi). Conservare uno statalismo debordante, il nido del pauperismo assistenziale. Per tagliare il debito accumulato, ci sarebbe voluta una robusta patrimoniale pagata in proporzione da tutti i cittadini (dico tutti, anche perch tutti sono pi o meno responsabili) e cedendo beni pubblici superflui, magari gestita con la certezza che il ricavato pagasse solo i titoli in scadenza. Una simile patrimoniale, facendo risparmiare una massa di interessi sul debito e lesporsi per mesi al giudizio di aste di rinnovo, avrebbe tolto alla mentalit burocratica la scusa per opporsi ai tagli di spese (mirati non proporzionali) e allabbassare numero e livello delle aliquote fiscali. Provvedimenti catalizzatori di sviluppo e mercati, quindi in grado di ridurre lo statalismo inefficiente e inutile. Ecco perch il governo Monti stato indotto ai comportamenti tradizionali, praticando il pauperismo dei concetti e togliendo lindicizzazione ai pensionati pi deboli, elevando le gi alte accise su benzina, aumen-

tando i bolli e le addizionali regionali, imponendo balzelli (incostituzionali) ai patrimoni scudati, in pi ignorando unindagine di Mannheimer: quattro quinti degli italiani favorevole a una patrimoniale pur di ridurre il debito. In realt, il Presidente del Consiglio Monti, dietro parole forbite, ritiene la politica un gioco di potere in cui limportante l'essere un notabile rispettato, non le idee strategiche per agire. Se lo slogan da lui pronunciato in TV da Vespa il mercato non va n demonizzato n divinizzato corrispondesse alla sua volont politica, non sarebbe stato cos timido e avrebbe ridotte le tasse puntando con decisione sullo sviluppo. Cos non stato e neppure sar, perch il governo Monti non la rivoluzione liberale. Anzi, aleggia un nuovo disegno conformistico illiberale. Avvalorare lidea che il sistema del governo Monti sia la prospettiva giusta per il paese. Casini lo ha espresso auspicando che Alfano e Bersani restino insieme dopo le prossime politiche e in Parlamento ha sollecitato un patto di consultazione tra chi sostiene il governo. Nostalgia della democrazia consociativa? Ma la democrazia alternativa di progetti politici. Con la maggioranza degli opposti, si accetta la politica di solo potere e si soffoca la politica della sovranit del cittadino nello scegliere il futuro della convivenza. Questo il vero contrario dellequit.

GI LE MANI DALLE MUNICIPALIZZATE Franco DAlfonso


Fra i tanti paradossi di una crisi nata dal debito privato degli Stati Uniti e diventata quella del debito pubblico europeo puntuale si ripresenta la giaculatoria delle privatizzazioni come rimedio e linimento di tutti i mali. Senza distinguere fra carrozzoni di Stato e aziende che gestiscono servizi pubblici, fra Spa e consorzi inventati (generalmente dal centrodestra liberista, ma questo viene di solito considerato un dettaglio) per dare un gettone extra a un assessore e aziende di storia secolare come quelle del Comune di Milano, il furore liberista vorrebbe colpire, anche attraverso il decreto Monti, quella che soprattutto per i Comuni del Nord una delle leve di politica di sviluppo create dalle comunit locali e che costituiscono lasse portante di qualsiasi sistema di autonomia locale che si rispetti. Una politica non dico federalista ma semplicemente moderatamente autonomista di Milano e Lombardia non avrebbe il minimo senso se non potesse poggiare sulle eredit che il municipalismo del sindaco Caldara e le associazioni di arti e mestieri dellinizio del Novecento hanno lasciato e che le amministrazioni riformiste degli anni del dopoguerra hanno consolidato e sviluppato: la rete ferroviaria diventata urbana delle Ferrovie Nord o la rete di distribuzione gas ed energia della Aem voluta dal sindaco Tognoli sono asset strategici oggi fondamentali, cos come lo sarebbe la disponibilit della rete in fibra ottica di Metroweb sciaguratamente svenduta dai predecessori di Giuliano Pisapia, che non posso pensare vengano affidate a presunti capitani coraggiosi privati che intendano ripetere su scala locale quanto gi esibito con le operazioni Telecom o Alitalia . Un Comune come Milano ha il diritto e il dovere di sviluppare una propria politica industriale, decidendo secondo le proprie priorit e convinzioni quali siano le societ strategiche e quali no, quali siano gli ambiti nei quali la collaborazione con i privati sia utile e soprattutto quando e in che modo un servizio pubblico possa essere affidato a una gestione privata e quando invece non lo sia. Decidere secondo vulgata liberista ha portato, per fare solo un esempio, la citt di Vienna a essere in affannosa ricerca dei fondi necessari per ricomprarsi da un fondo Usa la propria rete di metropolitana, che da quando stata privatizzata non avanzata di un solo km, si deteriorata in maniera

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intollerabile per i cittadini di una capitale della Mitteleuropa trionfante e soprattutto costa agli utenti pi del doppio in termini reali rispetto ai tempi della gestione propria. E le priorit strategiche del Comune di Milano sono chiare: infrastrutture di trasporto (quindi la Sea), trasporti urbani (Atm), reti e servizi di area (Mm, A2A, Amsa e wi fi), casa e immobili di servizio, dagli uffici ai parcheggi. Quello che lamministrazione Pisapia chiamata a fare darsi una propria strategia e trasmetterla poi come azionista alle societ municipalizzate per realizzarle in tutto o in parte, gestite queste secondo i criteri che Beneduce, non un pericoloso comunista, da allievo di Nitti tratteggiava nel 1913: pochi servitori dello Stato alla guida, pagati il giusto, efficienza operativa superiore a quelle dei concorrenti privati, massimizzazione degli obiettivi di servizio pubblico, focus sugli investimenti e non sulla massimizzazione dei profitti. Questo significa procedere a una focalizzazione delle aziende sugli obiettivi dettati dallazionista Comune e impedire che proseguano quelle autentiche sciagure che sono state le operazioni A2A o il contratto di servizio Atm. La logica delle grandi dimensioni aziendali (discutibile in assoluto, ma particolarmente poco opportuna per una azienda territoriale) ha portato alla creazione di un colossino operante su due territori urbani non complementari dai quali le aziende Aem e la sua omologa bresciana traevano la loro ragion dessere, con il risultato che il management, privo di indicazioni dal socio, si ritenuto libero di competere su un mercato completamente nuovo e diverso, con dimensioni comunque inadeguate, con il risultato di essere invischiati disastrosamente in partite come quelle della Edison o nellancora pi incomprensibile avventura dellelettrificazione del Montenegro, il cui livello di perdite addotte, quando sar noto nella sua interezza, non potr che aprire gros-si e inquietanti interrogativi. Dare una svolta, dal punto di vista del Comune di Milano, alla gestione A2A significa riportare la strategia aziendale ad avere al centro la gestione e la distribuzione dellenergia sul territorio urbano, la valorizzazione e lutilizzo della rete di distribuzione di sottosuolo e ultimo miglio, soprattutto riportare a una fun-

zione di servizio lAmsa sciaguratamente inserita come osso dalla giunta Moratti per mantenere impossibili equilibri di pesi e poltrone nellunione con i bresciani. Sono personalmente molto perplesso sullidea che il futuro di A2A possa essere quello di integrarsi con altre ex municipalizzate del Nord per aumentare le dimensioni di fatturato e utenti creando automaticamente valore per gli azionisti, fatto questo del tutto indimostrato e indimostrabile: ho paura si tratti della ripetizione su scala allargata dellerrore commesso con la fusione con lazienda bresciana, creando una societ pi grande con problemi pi grandi, non una grande societ. Unaltra azienda che richiede un intervento immediato di rifocalizzazione certamente lAtm, la cui criticit nelle politiche dellamministrazione Pisapia di evidenza solare. La formula del contratto di servizio in essere, che deresponsabilizza lazi-enda sul lato dei ricavi e di fatto la riduce a essere una sorta di Direzione generale esterna con minori obblighi di verifica e controllo deve essere rivista a tempi brevi, restituendo responsabilit gestionale al Consiglio di amministrazione Atm e riportando il Comune al ruolo di azionista e non a quello di gestore diretto. Dopo avere per fortuna abbandonato lipotesi di una nuova operazione priva di senso industriale come era ed quella di una fusione con lazienda omologa di Torino (ancora il fascino indiscreto dei grandi numeri in sostituzione delle grandi idee!) il pensiero strategico dellazionista Comune dovr orientarsi verso la creazione di una grande azienda di trasporti urbani su scala metropolitana, in grado di rispondere alle esigenze dei flussi dellintera area di cinque milioni di abitanti e non di quella che la giunta della signora Moratti interpretava essere una sorta di giardino cintato interno ai confini daziari. Ma la municipalizzata della quale occorre occuparsi al pi presto quella che ancora non c, limmobiliare Citt di Milano. La creazione di una societ pubblica di gestione del grande patrimonio immobiliare di case e servizi (uffici, parcheggi, impianti) che Milano ha accumulato in oltre un secolo di storia, che vale almeno cinque miliardi di euro, doter il Comune di uno strumento molto importante e flessibile: potr gestire dismissioni e incorporazioni con una flessibilit

maggiore, permetter di assegnare precise responsabilit gestionali e di costo alle diverse Amministrazioni che saranno inquilini paganti dei vari palazzi pubblici ora occupati a ufo, ma soprattutto potr funzionare da unit di finanziamento e investimento. Lemissione di obbligazioni della nuova societ potr garantire la raccolta fondi per investimenti su infrastrutture necessarie per la citt, smobilizzando quelle non pi strategiche: perch ad esempio non pensare a un grande piano parcheggi di corrispondenza che potrebbero essere costruiti dalla nuova immobiliare per poi essere affidate a titolo oneroso alla gestione Atm o anche di terzi, utilizzando proprio i fondi raccolti anche attraverso questo piano di obbligazioni bond della citt? Oppure a un piano di riconversione e cambiamento di destinazione duso di almeno una parte delloltre un milione e mezzo di metri cubi di edilizia commerciale oggi vuoto e inutilizzato di propriet privata attraverso la creazione di societ miste che riconsegnerebbero al mercato centinaia di alloggi e residenze per il segmento del cosiddetto housing sociale indispensabile per ridare volto e vita alla nostra citt? Queste idee - assolutamente personali ma che so essere condivise da molti colleghi dellamministrazione di Milano e tante altre che sono prospettate ogni giorno al sindaco da tante persone fisiche e giuridiche che vedono nella giunta Pisapia loccasione per ridare a Milano un ruolo attivo e trainante proprio in una situazione di crisi come quella che stiamo vivendo, sono vive e valide partendo dal presupposto che i periodi di prosperit e sviluppo di Milano sono sempre stati condizione necessaria e traino per lo sviluppo del Paese intero e che il detto Milano fa da s deve essere inteso come la capacit della comunit milanese di trovare energia, forze e talenti al proprio interno o con la propria capacit di attrazione, al servizio di un disegno di sviluppo globale e non locale. Ma questa forza di Milano non deve essere sottoposta a vincoli nazionali che, oltre a essere discutibili in s, perdono di vista le differenze intercorrenti fra gli oltre ottomila comuni dItalia pretendendo di fissare una regola uniforme tanto sui bilanci quanto sulle politiche industriali.

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FURTI IN CASA: MANUALE DUSO Ilaria Li Vigni


Le ultime notizie di cronaca hanno messo in risalto il crescente fenomeno dei furti in appartamento compiuti di notte, in particolar modo nelle grandi citt quali Milano, quando i proprietari stanno dormendo: al di l della necessaria prevenzione del fenomeno da parte delle Istituzioni e delle forze dellordine, conoscere la tecnica usata dai malviventi pu contribuire a prevenire i colpi e aumentare la sicurezza di tutti. Per entrare negli appartamenti, secondo le recenti statistiche, i ladri preferiscono le prime ore dellalba, tra le 3 e le 5 di mattino, quando il sonno pi profondo, il buio avvolge ancora la citt e in giro per le strade non c' nessuno. Al momento del furto, gli abitanti della casa sono prevalentemente immersi nel sonno ed quindi decisamente pi semplice per i ladri introdursi con calma nellappartamento e agire indisturbati. Numerosissimi sono i processi per furto in appartamento a Milano, spesso, purtroppo, nei confronti di persone irreperibili o resesi latitanti. Perci, al di l del fenomeno repressivo, possono essere attuati piccoli accorgimenti di vita quotidiana da parte del cittadino volti a prevenire i furti in casa. Possono sembrare annotazioni banali, ma che spesso ci si dimentica di mettere in pratica, nonostante i vademecum e i suggerimenti delle forze di polizia. 1) Chiudere le finestre e le serrande delle finestre, anche di quelle prive di balcone e apparentemente sicure: non importa il piano di residenza (i piani alti sono tendenzialmente pi sicuri, con leccezione di quelli confinanti con il tetto), ma inutile possedere una porta blindata se non si presta attenzione a possibili semplici luoghi di ingresso nellabitazione. 2) Valutare l'installazione delle inferriate alle finestre e alle portefinestra dei balconi: consentono di lasciare passare l'aria nei mesi estivi e al contempo ostacolano le intrusioni dall'esterno. Finora questa era una scelta quasi obbligata per gli appartamenti dei piani bassi (12 piano) e dell'ultimo piano; nel primo caso per evitare un accesso facile dalla strada, nel secondo caso per evitare che i ladri si calino dal tetto. Considerando gli ultimi fatti di cronaca, tuttavia consigliabile adottare le stesse protezioni anche nei piani intermedi, cos da rendere pi difficoltoso laccesso in casa. 3) Lasciare la luce accesa per far capire che l'appartamento abitato non sembra servire pi di tanto: vi una certa tipologia di malviventi che non ha timore di introdursi in appartamenti abitati; anzi, vi il concreto rischio che lingresso avvenga con modalit pi aggressive e nel timore di azioni conflittuali. Tuttavia, una luce accesa nel balcone esterno (o nel bagno) evita ai ladri il vantaggio di lavorare nel buio e consente ad altri di scorgere il tentativo di intrusione in casa. 4) Nel sistema antifurto, far predisporre dei controlli (es. telecamere) anche presso balconi e finestre: posizionare i controlli solo sull'atrio e sulla porta di accesso principale della casa potrebbe non essere sufficiente in caso di ingresso dei ladri dallesterno, fenomeno molto frequente. 5) Fare attenzione a chi sosta molto a lungo sotto labitazione: in caso notiate persone sconosciute e sospette sotto casa in ore notturne, contattate i numeri del pronto emergenza delle forze dell'ordine (polizia e carabinieri) per chiedere consigli e un eventuale controllo da parte della pattuglia pi vicina. Infine, occorre ricordare che la sicurezza soprattutto un problema sociale. Non ci sar mai sicurezza se c' paura e indifferenza: il mutuo soccorso tra persone di fondamentale importanza, con particolare riferimento alle grandi citt. Alla prima richiesta di soccorso o al primo suono di un antifurto di un appartamento (non importa che sia del vostro palazzo o di quello vicino), avvertite subito le forze dell'ordine del fatto: un piccolo gesto di quotidiana civilt che potrebbe contribuire a risolvere un problema altrui che, potenzialmente, pu riguardare ciascuno di noi.

CORAGGIO PISAPIA! DIFENDI LARIA DI MILANO Bruno Rindone


Qualche diecina di anni fa in California mor improvvisamente circa il 30% delle colture economicamente vantaggiose. Era un fatto grave. Ci si chiese cosa stava succedendo e il compito di scoprirlo e di proporre soluzioni fu affidato agli esperti. Li cercarono sulla base della reputazione che avevano, repubblicani o democratici che fossero. Dopo un po, gli scienziati proposero agli amministratori pubblici dello Stato una spiegazione e una serie di proposte di intervento. Questo fecondo rapporto tra scienziati liberi e amministratori responsabili port a sconfiggere in quel Paese il fenomeno, che abbiamo anche noi, e che chiamato smog fotochimico. Il problema che abbiamo davanti, in Lombardia, il particolato fine nella atmosfera, o PM10 come viene chiamato in maniera imprecisa, viene affrontato nello stesso modo? Credo che nessun cittadino lombardo, e nessun milanese in particolare pensi che le amministrazioni comunali e provinciali, e la Regione, che ha anche il potere di fare le leggi, stiano facendo sul serio. E pensano che questo non avviene per furbizia, ma per incapacit. Cos blocchi domenicali, targhe alterne, chiusure di parti delle citt diventano una gara a non rimanere con il cerino in mano. Perch, amici amministratori pubblici e Governo regionale, perch non chiedete seriamente cosa ne pensa chi sa? Scoprirete una serie di semplici verit, spesso ovvie, senza le quali non si affronta seriamente il problema, e il cerino rimane in mano ai malcapitati concittadini. Quali verit spesso ovvie? Eccole (sicuramente non sono le uniche, ma intanto prendiamole in considerazione: 1) Il particolato atmosferico pi fine, chiamato PM 2,5 o quello ancora pi fine, chiamato PM 1, quello che penetra nelle vie respiratorie ed quindi responsabile della stragrande maggioranza degli effetti tossici. Ma proprio perch estremamente fine, questo particolato rimane sospeso in aria e viaggia nellatmosfera. Inoltre, la perdita di particolato per dispersione o sedimentazione bilanciata dalla formazione di nuovo particolato per reazione di inquinanti gassosi tra loro (il cosiddetto particolato di origine secondaria).

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2) In autunno e inverno tutto ci che viene emesso rimane vicino al suolo perch vi come un ostacolo, derivato dalla particolare situazione della pianura padana, alla risalita degli inquinanti verso latmosfera libera. Quindi, allimmissione di inquinanti in atmosfera non consegue la loro dispersione. Rimane tutto con noi. Ed esercita il suo effetto tossico! 3) E che dire dei motori diesel? Chiunque conosca o ripari motori vi dir che un motore Diesel superaccessoriato emette come molti vecchi motori a benzina. 4) Quindi, la limitazione delle emissioni di particolato da traffico in alcuni punti della Lombardia (ad esempio i centri urbani) non basta per avere significative diminuzioni nella distribuzione globale. 5) C di pi: nessuno di noi cittadini sta in coda in circonvallazione o sulle tangenziali perch gli piace. Lo fa per necessit, in gran parte per necessit di lavoro. E in un tessuto produttivo fatto prevalentemente di piccole e medie aziende la mobilit una delle carte pi importanti per competere sul mercato. Ed attraverso la flessibilit e la mobilit che in Lombardia i giovani e quelli che il lavoro lo hanno perso possono sperare di trovarlo. La mobilit in Lombardia una mobilit a scopo lavorativo. La politica dei blocchi, oltre

che inefficiente sul piano della lotta allinquinamento, danneggia il lavoro. 6) Inoltre, limitare il traffico in unarea metropolitana significa appesantire il traffico nelle aree adiacenti, e il prodotto non cambia. Cambia solo la mano che ha in mano il cerino acceso. 7) E credete davvero che tutte le caldaiette condominiali per il riscaldamento domestico funzionino a dovere e non emettano particolato? Il puro buon senso fa dire che migliaia di piccole sorgenti, anche se ben controllate, emetteranno di pi di un numero di grandi sorgenti ben controllate. Puro buon senso. E allora, quali sono le soluzioni? Chi le deve prendere? Intanto, chi le deve prendere chiaro: la Regione Lombardia ha le competenze pi importanti, sia dal punto di vista legislativo che da quello amministrativo. Ed paradossale che unarea metropolitana, quella milanese, che la fonte principale del problema, non metta alle corde la Regione Lombardia, che ha il potere di provvedere, e le permetta lazione inutile e linerzia. Occorre invece un piano ventennale di intervento sulla mobilit, pubblica e privata e sul riscaldamento domestico basato su questi principi:

a) Mantenere gli attuali livelli di mobilit pubblica e privata su strada abolendo gli incroci, anche mediante percorsi in tunnel o sopraelevate, utilizzando le opportune tariffe. b) Aumentare gli attuali livelli di mobilit su ferro e di mobilit pubblica su strada, considerando che i loro costi sono accettati dallutente se il servizio buono e non ne danneggia lattivit lavorativa. c) Abolire gradualmente la circolazione di mezzi privati diesel e, pi gradualmente, quella di mezzi a uso commerciale e di mezzi pubblici diesel, anche mediante una tassazione diversa da quella dei mezzi a benzina. d) Convertire il riscaldamento domestico in teleriscaldamento, anche nei centri urbani, disincentivando luso di caldaiette condominiali. Queste cose si realizzano con un ampio consenso, possibile solo se, a proporle e a seguirne la realizzazione, sar innanzitutto la scienza, quella che ha solo il colore della qualit, asseverata da pari (il cosiddetto peer review). Ricordiamoci sempre! Lattenzione allambiente e lattenzione al lavoro sono le due facce di una stessa politica: quella che coniuga solidariet con produttivit!

LAVORARE A MILANO: CHI DENTRO CHI FUORI Federico Turchetti


Roberto ha trentatr anni ed albanese. Lavora nella cucina di una birreria della periferia di Milano circa dieci ore al giorno. Abita lontano dal posto di lavoro, in un piccolo paese vicino a Novara, e questo lo costringe ad arrivare al ristorante alle dieci del mattino e ad andarsene alle due della mattina successiva. Roberto deve lavorare sia per servire il pranzo che la cena e non facendo in tempo a tornare a casa per riposare costretto a stare l tutta la giornata. La domenica mattina, dopo la chiusura alle due, va a stendersi su una brandina al piano superiore della birreria, dove ci sono gli spogliatoi, aspettando che si facciano le quattro e mezza. A questora si reca alla stazione Centrale e prende un treno per Padova, dove vivono la sua ex compagna e la sua bambina di due anni. Se riuscito a mettere qualche soldo da parte, la bimba sar felice di ricevere un piccolo regalo, altrimenti dovr aspettare tempi migliori. Poi, passata qualche ora in compagnia della figlia, riprende il treno e la domenica sera, sul tardi, di nuovo alla stazione Centrale, raggiunge la sua auto e finalmente arriva al suo letto per dormire le poche ore che rimangono prima di tornare in quella seconda casa che la birreria alla periferia di Milano. Lavorando cinquantasette ore la settimana, Roberto guadagna pi o meno 600 euro in busta, dichiarati nel contratto per un determinato numero di ore di lavoro, e altri 600 fuori busta, un modo simpatico di dire in nero. In totale sono circa 1200 euro al mese, uno stipendio misero per le ore che lavora e che il lavoro lo tiene impegnato. Chi ha mai lavorato in una cucina di un ristorante molto frequentato sa bene cosa voglia dire. un lavoro frenetico, stancante, c sempre qualcosa da fare e c sempre qualcuno che ti chiede di fare qualcosaltro. E in questo caso la paga pessima. Uno dei problemi maggiori di questa retribuzione met legale met no, che i periodi di festivit o di malattia, nonch la liquidazione e le altre retribuzioni dovute al lavoratore alla fine dellimpiego, sono tutte calcolate solamente in proporzione a quello che percepisce legalmente, ovvero seicento euro, ed raro che il datore di lavoro decida di pagare a parte la somma che effettivamente coprirebbe le ore lavorate. Le persone nella condizione di Roberto sono moltissime, soprattutto in una citt come Milano, dove il settore della ristorazione enorme e assorbe un gran numero di lavoratori extracomunitari. Dai locali alla moda di Corso Sempione e Navigli ai ristorantini di periferia, dai ristoranti pi tipici di zona Brera a quelli pi esclusivi e costosi del centro, difficilmente non si trover almeno un lavoratore straniero, soprattutto nascosto in cucina, e difficilmente questo sar completamente in regola. A tutti sar capitato di notare come molti locali si servano di barman e camerieri in prevalenza cingalesi. Magari sono messi in regola, vanno avanti a contratti di sei e otto

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www.arcipelagomilano.org mesi per poi essere lasciati a casa e cambiati con qualcun altro. Capita spesso di sentire discorsi xenofobi e approssimativi che additano gli immigrati come svogliati di, ma i ristoratori milanesi, e non solo, hanno capito da tempo quanto essi siano una risorsa inestimabile. Lavorano molto bene un numero elevatissimo di ore, vengono pagati il minimo, spesso con modalit uguali a quelle con le quali retribuito Roberto, e non possono permettersi di perdere il lavoro, magari perch hanno una bambina da mantenere. Il mese scorso nei locali della Brianza stato condotto un blitz dagli Ispettori della Agenzia delle Entrate e sono state scoperte irregolarit nellassunzione del personale in ben otto attivit sulle ventinove controllate. Scalpore ha fatto il bar del centro di Monza dove tutto il personale era completamente in nero. E a Milano la situazione migliore? Difficile crederlo, quasi sicuramente peggiore, e di molto. Quanti controlli come questi vengono svolti nella nostra citt? Chi possiede unattivit e decide di assumere e sfruttare dipendenti extracomunitari conta sul fatto che spesso questi ignorino quali siano i loro diritti lavorativi e forse anche lesistenza di un sindacato che gli indichi le irregolarit e i diritti violati e tantomeno possano permettersi di pagare un commercialista o un avvocato. Scrive Giandomenico Amendola In un mondo urbano segnato da un reticolo di confini etnici, culturali, sociali ed economici la tensione principale tra chi dentro e chi fuori. Essere fuori vuol dire anche questo.

PGT: COSA NE FACCIAMO DELLA CITT CONSOLIDATA? Gregorio Praderio


Nellesame del PGT adottato e oggi in corso di parziale revisione, spesso viene prestata maggiore attenzione alle aree normalmente pi significative dal punto di vista della trasformazione urbanistica quali i grandi Ambiti di Trasformazione. Caratteristica del PGT ereditato dalla nuova amministrazione invece come in parte gi detto il rilevante ruolo assegnato alle trasformazioni nel cosiddetto TUC (tessuto urbano consolidato), categoria nella quale vengono raccolte situazioni territoriali anche del tutto differenti (nuclei storici, aree dismesse, aree agricole e inedificate). Questo pu generare non poche difficolt nella gestione della disciplina per ora definita, in particolare se si volesse modificarla superandone i limiti. Alcuni temi di possibile approfondimento - soprattutto sul tema pi innovativo, quello della perequazione e sul trasferimento dei diritti volumetrici - potrebbero essere i seguenti: - densificazioni minime: lanima della perequazione: indici base di edificabilit territoriale inferiori alle densit minime richieste per intervenire porterebbero automaticamente ad acquisire diritti edificatori su aree di pertinenza indiretta. Nel PGT adottato invece le densit minime venivano previste in un unico caso, quello delle aree accessibili con il TPL (trasporto pubblico locale). Avendo cos reso la trasferibilit delledificazione poco interessante, si potrebbe creare un problema dei diritti volumetrici senza recapito. Sarebbe quindi opportuno ampliare i casi in cui richiesta una densificazione minima, anzich cercare di facilitare il trasferimento dei diritti magari incentivandolo con premi volumetrici (ultimamente un po abusati, la cosa pi facile); - criteri di trasferimento dei diritti volumetrici: nel PGT il tema non viene accennato, ma ci si chiede se sia corretto trasferire diritti volumetrici poniamo da Quarto Oggiaro a piazza Duomo senza che lente pubblico senta la necessit di enunciare criteri di preferenza o moltiplicatori di valori, o altro; - densificazioni massime e caratteristiche del tessuto urbano: il PGT non fissa alcun limite e questo pu creare scompensi nelle zone di maggior pregio; pi che fissare un indice territoriale massimo indifferenziato per tutta la citt, parrebbe opportuno fare riferimento alle caratteristiche positive del tessuto esistente allintorno (altezze, densit fondiarie, ecc.) o ritenute migliori per il contesto di intervento; - superfici minime di intervento: dove le modalit di intervento facciano riferimento alla dimensione dellarea (secondo il criterio che a interventi pi minuti corrispondano modalit pi semplici) la valutazione di questa andrebbe fatto con riferimento alla continuit di situazione territoriale e non alla propriet; altrimenti in questo modo si rischierebbe di incentivare involontariamente lintervento minuto pi banale; - indifferenza funzionale: lart. 51 della LR 12/05 chiaramente impostato a favore della mixit funzionale (cosa di per s non sbagliata, anzi), a meno delle funzioni dichiarate incompatibili dal PGT: allontanarsi dal criterio di legge che appunto richiede di inserire solo meccanismi limitativi, essendo tutto il resto permesso senza definire appunto ci che incompatibile, potrebbe creare problemi in situazioni delicate; - nuclei storici periferici: oggi questa caratteristica tipica del tessuto milanese e lombardo sembra poco tutelata nel PGT adottato: qui potrebbe non essere sufficiente un controllo morfologico delle altezze, senza intervenire anche sulla valutazione della sensibilit paesistica, al momento spesso ritenuta bassa. Ma limportante poi capire come questi temi si potranno tradurre operativamente nella riscrittura del Piano: che capacit insediativa complessiva, che impatto sulla mobilit, quale ridisegno dei tessuti incompiuti della citt, quale operativit attuativa. Si intuisce che le modifiche allimpianto di PGT potranno essere notevoli, rimarcando la discontinuit con il Piano adottato; ci si chiede quanto. Il tempo stringe, purtroppo; ma la questione troppo cruciale per le future politiche urbanistiche cittadine.

DIALOGO SU DARSENA E NAVIGLI FRA UN URBANISTA (B) E UN ARCHITETTO (A) Jacopo Gardella
A Oggi mi devi raccontare quel che avevi promesso lultima volta: come funzionava il trasporto delle merci nella Cerchia dei Navigli interni. B La funzione di trasporto delle merci, assegnata ai Navigli allinterno della citt, era insostituibile. I barconi che percorrevano i Navigli portavano ogni genere di carichi pesanti: tronchi dalbero per costruzio-

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www.arcipelagomilano.org ni, legna da falegname, pietre per scalpellini, carbone per riscaldamento domestico e industriale, calce e materiali edili. I barconi servivano anche per scopi militari; e venivano usati per trasportare armi pesanti e spostare truppe, dirette a raggiungere il sistema difensivo esterno alla citt. Via Molino delle Armi ricorda appunto il tratto dei Navigli, oggi coperto, dove si trovavano le fucine dei fabbri ferrai. I magazzini, chiamati sciostre, in cui venivano conservate le merci, erano affacciati sulle sponde del Naviglio, e posti a livello poco superiore a quello dellacqua: servivano per accogliere le merci scaricata dai barconi e per tenerle provvisoriamente in deposito. A Dalle sciostre la merce veniva poi prelevata da carri e portata nelle varie parti della citt. B La merce pi nobile, trasportata per anni lungo i Navigli, stata il marmo rosato di Candoglia. Questo marmo pregiato, con cui stato costruito lintero Duomo di Milano, veniva fatto arrivare per via dacqua dalle lontane cave, situate in prossimit del Lago Maggiore; e dal Lago veniva portato al cantiere di costruzione installato ai piedi del Duomo. Il percorso dei barconi carichi di marmo era ben pi lungo e laborioso del tragitto compiuto dai barconi carichi di sabbia per ledilizia, e provenienti dal Ticino: mentre la sabbia veniva prelevata dal greto del fiume, a nord di Abbiategrasso, e arrivava fino alla Darsena, alla periferia di Milano; il marmo, al contrario, veniva estratto dalle cave di Candoglia, dal lontano luogo in cui il fiume Toce si immette nel Lago Maggiore, e arrivava sino ai piedi del Duomo, nel cuore di Milano. Il suo percorso merita di essere descritto, per capire quanto fosse lungo, vario e avventuroso. A Bene, sono molto curioso di ascoltarlo. B Eccoti esaudito. Estratto dalle cave di Candoglia il marmo veniva convogliato per un breve tratto lungo il fiume Toce, fino allo sbocco del fiume nelle acque del Lago Maggiore. Veniva poi fatto navigare lungo il bacino meridionale del Lago, e, arrivato allestremit sud, veniva immesso nel fiume Ticino, e fatto discendere lungo questo fiume per un tratto di circa venti chilometri. Allaltezza della localit Turbigo il marmo imboccava il Naviglio Grande, lo percorreva in direzione sud, e raggiungeva la cittadina di Abbiategrasso, dove svoltava bruscamente a est e si dirigeva rettilineo verso Milano. Arrivato alla Darsena, che allora consisteva nel piccolo Laghetto di S. Eustorgio, il marmo veniva ormeggiato e scaricato. Il suo tragitto tuttavia non finiva qui. Dalle sponde del laghetto di S. Eustorgio il marmo, attraverso chiuse provvisorie dal funzionamento lento, difficoltoso e ancora oggi non ben conosciuto, veniva sollevato al livello della Cerchia dei Navigli, caricato su barconi, e trasportato alla non lontana ansa detta Laghetto di Santo Stefano, oggi coperta e nascosta sotto lattuale via Laghetto. Qui, concluso il lungo tragitto per via dacqua, il marmo veniva scaricato dai barconi, trasportato su carri, e depositato a pochi passi di distanza, nel laborioso cantiere installato ai piedi del Duomo. A Ti chiedo un chiarimento: giunti al Laghetto di Santo Stefano, i pesanti blocchi di marmo come venivano scaricati dai barconi su cui avevano navigato lungo il Naviglio interno? B Mediante una gru di fabbricazione molto primitiva, detta falcone, alta circa otto metri, e fornita di un braccio ruotante, e sporgente di circa otto metri. Il braccio veniva manovrato da robusti operai, detti tencitt (in dialetto milanese tencitt significa sporco di nero; gli stessi operai infatti erano spesso utilizzati per portare sacchi di carbone). I tencitt avevano molta somiglianza con gli scaricatori del porto di Genova, detti camalli. Larrivo al Duomo segnava il termine del lungo e complesso viaggio compiuto dal marmo di Candoglia. A Un viaggio che lascia meravigliati. B Un viaggio che dimostra quanto sia legata la storia dei Navigli alla storia della nostra citt, alla costruzione della sua cattedrale, alla vita dei tanti cantieri sorti nel corso dei secoli allinterno del centro storico. A Capisco adesso perch tu insisti tanto nel difendere i Navigli; e nel sottolineare il loro notevole valore storico; e perch ti impegni con tanta passione a conservarli nello stato originario. B Non ti ho detto tutto. La volta scorsa avevamo parlato dellimpegno che richiede la tutela del regime idrico della Darsena e dei Navigli. Oggi aggiungo alcuni dettagli da cui verr accresciuta la tua meraviglia: ti troverai di fronte a unopera di ingegneria idrica geniale e grandiosa. Quando ti parlavo del trasporto del marmo, tra Laghetto di SantEustorgio e Cerchia interna dei Navigli, non ti avevo detto che si doveva superare un notevole dislivello, pari a quasi tre metri: puoi immaginare quanto fosse difficoltoso il trasporto dei blocchi di marmo. La grande innovazione che ha rivoluzionato il trasporto su acqua dei carichi pesanti stata linvenzione della conca, cio del bacino a doppia chiusura entro al quale il livello dellacqua pu essere fatto salire o scendere. Nel trasporto del marmo la conca, costruita dove prima i trasbordi erano lenti e faticosi, ha portato due grandi vantaggi: ha permesso di superare il dislivello dei tre metri tra Laghetto di SantEustorgio e Navigli interni, senza dover sbarcare il marmo a terra. Il barcone su cui esso arrivava rimaneva infatti lo stesso sul quale veniva poi trasportato al Laghetto di Santo Stefano; non era pi necessario eseguire il trasbordo da una imbarcazione allaltra. Linvenzione della conca ha avuto per la navigazione la stessa importanza rivoluzionaria della ruota nel trasporto su terra. Lo dimostra il fatto che se non ci fosse stata la conca, che permetteva di superare il dislivello, sarebbe stato impossibile, con un semplice canale, effettuare il collegamento tra Laghetto di SantEustorgio (oggi Darsena) e Navigli interni. Il canale in realt esisteva, e i chiamava Naviglio di Vallora, ma la sua funzione era stata scarsa, per non dire nulla, fino a quando, a met del quattrocento, lungo il suo percorso fu costruita la conca di cui ti sto parlando. A Questa conca si sa in quale anno e da chi fu costruita? B Certo. Fu costruita nellanno 1439, per opera di due valenti esperti di costruzioni idrauliche: Filippino degli Organi da Modena e Fioravante Fioravanti da Bologna. A Ma la conca non stata inventata da Leonardo? B Tutti lo credono, tutti lo dicono; nessuno sa che la prima conca, questa appunto di cui stiamo parlando, stata costruita circa cinquantanni prima che Leonardo arrivasse a Milano e fosse accolto alla corte di Lodovico il Moro, Duca degli Sforza. A Quindi storicamente non esatto attribuire la invenzione della Conca al genio di Leonardo. B Una inesattezza comprensibile e non del tutto errata: Leonardo, arrivato a Milano, non poteva non notare la conca e non meravigliarsi del funzionamento di quella strana e geniale costruzione da poco messa in opera. Subito si accinge a farne molti disegni, schizzi e annotazioni, e ne studia con grande interesse lutilit e il meccanismo di utilizzo. Ora i suoi studi si trovano raccolti nei Codici Leonardeschi; ci ha fatto credere erroneamente che fosse da attribuire a lui linvenzione della conca. Lequivoco, come puoi capi-

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www.arcipelagomilano.org re, possibile. Del resto, si sa per certo che Leonardo aveva partecipato ai lavori necessari a creare, tra la Martesana e la Cerchia interna, un canale di raccordo, con il quale si completava il sistema navigabile esteso a nord di Milano. A La leggenda delle conche, inventate da Leonardo, fa parte degli aneddoti popolari ormai entrati nella Storia. Dimmi ora dove si trovava esattamente questa conca. B Finalmente oggi possiamo saperlo. Fino a qualche anno fa se ne era intuita lesistenza ma non si riusciva a localizzarla con esattezza. Essa si trovava poche decine di metri pi a ovest dellimbocco della Conca di Viarenna, costruita tuttavia quasi cento anni dopo; e occupava il tracciato di due vecchie vie milanesi: Via Vallona e Via degli Olocati, ora sostituite dalla Via Conca del Naviglio. La conca dellanno 1439 venne distrutta nella seconda met del cinquecento, quando furono costruite le Mura Spagnole, dette cos perch innalzate durante la dominazione degli Spagnoli. La costruzione delle mura si svolge dallanno 1546 allanno 1560; e pu considerarsi rapida, se si pensa che gira intorno alla intera citt di Milano. Nei secoli successivi le mura sono considerate una meraviglia di ingegneria militare. Tutte le incisioni con vedute della citt le rappresentano come oggetto di interesse e di ammirazione. A E oggi non resta pi nulla di loro. B Fatta eccezione per il baluardo superstite, alla estremit di Corso di Porta Romana. A Questo il rispetto che Milano riserva alla sua Storia. B Torniamo alla Conca di Viarenna. Essa subentra alla prima chiusa distrutta e sepolta sotto le mura spagnole. Tutti possiamo vedere la Conca di Viarenna in Via della Conca; dove oggi ne rimasto un rudere abbandonato. La funzione della seconda conca, quella di Viarenna, ebbe termine con la chiusura dei Navigli interni, avvenuta negli anni 1928/1929, quando essa cess di essere utilizzata per trasporto delle merci dalla Darsena ai Navigli interni; caduta in disuso, oggi essa sconosciuta e quasi dimenticata. A Dimenticata ma non distrutta. Al contrario della Conca dellanno 1439, della quale resta ben poco. B Della conca del 1439, ritrovata, come ti dir, in modo del tutto casuale, non resta che lassito che si trovava adagiato sul fondo; esso ancora perfettamente conservato, come avviene per tutti i legni tenuti perennemente sottacqua. A Non mi chiaro il motivo per cui si sia voluto passare con le nuove mura spagnole sul medesimo luogo in cui era stata costruita la prima delle due conche; e quindi perch si sia resa necessaria la costruzione di una seconda in sostituzione della prima. B Il motivo semplice: si voluto proteggere la conca da aggressioni esterne, e quindi portarla allinterno delle mura. Un impianto idraulico cos delicato e strategico non doveva essere lasciato in balia di aggressori, e rimanere esposto ad attacchi bellici. Abbandonata la prima conca, che si trovava allesterno della nuova cinta di mura, si costruita la nuova Conca, la Conca di Viarenna, allinterno di questa stessa cinta; tutti la conosciamo perch ancora in parte visibile in Via Conca del Naviglio. A Che cosa successo di recente? Che cosa ha consentito di scoprire il posto preciso in cui si trovava la prima delle due conche? Come mai fino a oggi la conca stata del tutto ignorata e soltanto adesso torna alla luce? B successo che pochi anni fa, credo nel 2006, il bacino della Darsena stato interamente svuotato, per controllare se non esistessero sotto il livello dellacqua testimonianze archeologiche di qualche interesse, come, ad esempio, frammenti murari, ancora ignoti, appartenenti alle fondazioni delle mura spagnole. Le mura erano state erette alla fine del cinquecento, e ultimate non molti decenni prima che si iniziasse lallagamento del Laghetto di S. Eustorgio; e si provvedesse a una sistemazione pi ampia e funzionale dello specchio dacqua in cui attraccavano i barconi provenienti dal Naviglio Grande. A Quindi quella che noi oggi chiamiamo Darsena era ben diversa dal bacino che esisteva alla fine del cinquecento. B Molto diversa: la Darsena attuale il risultato di successivi allargamenti. A Quali; ed eseguiti quando? B Un primo allargamento quello a cui ho gi accennato, e risale ai primi anni del seicento. Un secondo si reso necessario allinizio dellottocento. Allora la Darsena era considerata una pertinenza della campagna, perch esterna alla cinta muraria, e quindi poco considerata dai tipografi che erano interessati a stampare le piante della citt. Infine un terzo allargamento della Darsena si avuto in tempi abbastanza recenti, allinizio del novecento; e ha portato alle dimensioni della Darsena che vediamo oggi. A Ma spiegami perch si deciso solo alcuni anni fa di svuotare la Darsena e cercarvi eventuali reperti archeologici. B Te lo racconter la prossima volta. Largomento lungo e richiede un certo tempo. A Bene. Resto in attesa e sono curioso di sentirmelo raccontare. (parte terza - continua) parte prima parte seconda Jacopo Gardella ringrazia il Professore Gianni Beltrame per le dettagliate notizie storiche cortesemente fornite durante la stesura di questo articolo.

Scrive Giuseppe Vasta a Giuseppe Ucciero


Il tema sollevato da Giuseppe Ucciero (rapporti fra Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale) sicuramente rilevante, ma non lo solo recentemente o della sola Giunta Pisapia. Ricordo che la riforma del '93 (che non ha troppe responsabilit) intendeva affidare i ruoli principali ai due organi eletti dai cittadini, ovvero Sindaco e Consiglio, che dovevano fra loro bilanciarsi; ed stata una successiva riforma - una delle tante sciagurate (si pu dirlo?) riforme Bassanini, fatta sull'onda delle richieste di tanti Sindaci progressisti, che si sentivano tutti dei Bassolino, ma con le mani legate da quei noiosi dei consiglieri comunali - a svuotare il Consiglio di prerogative, e ad affidare sempre pi mansioni non tanto al Sindaco, quanto alla Giunta. Questa infatti, da semplice supporto esecutivo del Sindaco, ha assunto tutte le funzioni residuali non espressamente affidate a Sindaco e Consiglio; e con l'evoluzione delle funzioni, ha inevitabilmente preso

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www.arcipelagomilano.org (soprattutto nelle grandi citt, dove il Sindaco non pu materialmente seguire tutto) il ruolo pi rilevante . Ruolo oscuro quanto mai, perch appunto la Giunta l'unico organo che non viene eletto e che non risponde ai cittadini, ma pi spesso ai gruppi di potere (partitici e non) che hanno portato alla loro nomina. Ma anche ruolo misto, tecnico e politico, con possibilit di intervento diretto sulla macchina comunale, con cui l'azione degli Assessori compenetrata. E qui c' l'altro nodo della questione, i dirigenti comunali che non hanno solo un ruolo tecnico o sono stati scelti per le loro competenze, ma spesso invece per la vicinanza al potere politico o per lo meno per la connivenza con lo stesso; e che sono gli stessi a garantire la continuit (nel bene e nel male) delle politiche amministrative al di l dei mandati elettorali. Destano a questo proposito molte perplessit alcune scelte della Giunta Pisapia, tese a riconfermare (se non addirittura a promuovere!) in ruoli strategici alcuni dirigenti dalla carriera interamente protetta dall'amministrazione precedente (alcune nomine sono dovute addirittura al Vicesindaco Intiglietta, se qualcuno se ne ricorda). Tanto per fare un esempio, ci si chiede quale garanzia di discontinuit con le fallimentari politiche in tema di mobilit delle Giunte di centrodestra possa dare la riconferma (senza concorso) dei medesimi dirigenti, o il fatto che nella revisione del PGT lo stesso tema sia trattato da chi (in base al ruolo acquisito in qualche societ parapubblica, sempre senza concorso) lo ha cos malamente affrontato agli ordini dell'Assessore Masseroli. Non c'era davvero a Milano un esperto di mobilit pi bravo e disponibile? Anche senza sbaraccare tutto (cosa impossibile e anche inopportuna), qualche segnale di discontinuit in pi sarebbe stato ben accetto.

Scrive Roberto Limena a Guido Martinotti


Sono perfettamente d'accordo con i contenuti dell'articolo di Guido Martinotti. Aggiungo che il Sindaco (che ho votato con entusiasmo) e la giunta non possono scherzare con una citt come Milano, che non pu essere fermata senza preavviso in due giornate lavorative, creando enormi disagi a tutti quelli che non hanno fatto il "ponte" e hanno necessit di muoversi per lavoro, magari con pesanti bagagli. Occorre un piano organico sul traffico e sull'inquinamento e non provvedimenti a casaccio e contraddittori. Sono sicuro che i milanesi, come sempre stato, capiranno e si adegueranno a decisioni intelligenti e prese nell'interesse della loro salute. Per ultimo, senza controlli, com' stato sinora, non si va da nessuna parte.

Scrive Alberto Grancini a Massimo Gargiulo


La ripresa del dibattito sulla realizzazione della Citt Metropolitana trova nell'intervento di Gargiulo degli spunti molto interessanti. Il termine Provincia Metropolitana che ad esempio le Provincie Proposero aveva un duplice obbiettivo: dare pari dignit a ogni Ente Locale; avere un riferimento certo dei confini territoriali per la gestione amministrativa e per il governo del territorio. Purtroppo ci stato letto come il tentativo di difesa delle Provincie non invece come il superamento delle resistenze di tanti comuni e di evitare, come purtroppo ancora oggi viene proposto, che la citt metropolitana si istituisca con adesioni volontarie diventando di fatto un allargamento, ad esempio Milano di una espansione delle decisioni del capoluogo sui comuni che aderiscono. Sappiamo tutti che la "volontariet" nella istituzione di un qualsiasi Ente o Consorzio se non gi definito territorialmente provoca la moltiplicazione e o doppioni. E questo un rischio reale, basta guardare alla realt che ci circonda. Per questo necessaria la definizione geografica L'altro tema che dobbiamo porci: preferibile un Ente di governo territoriale e di gestione amministrativa eletto dai cittadini o nominato? Io preferisco la scelta dei cittadini non i designati (per questo sono per abolire il porcellum) e allora se conveniamo si deve agire di conseguenza. Mi permetto una considerazione aggiuntiva, mutuando da uno scritto nel 2006 per il convegno sul tema della citt metropolitane, promosso dalla Provincia di Milano guidata da Penati, e utilizzato per il dibattito sul costo della politica e degli sprechi. E che pu anche aiutare la definizione dei poteri e dei confini della provincia metropolitana, se non si consentisse la duplicazione di Enti gestori. In sostanza anzich concentrare la discussione su province si/no, decidere che per la gestione di materie delegate da Stato o Regione sufficiente in un solo Ente territoriale tra la Regione e i Comuni superando e abolendo ogni altro Ente, consorzi, comunit montane, etc. etc. E questa decisione si pu fare subito basta la volont politica e leggi ordinarie non procedure Costituzionali. Se poi non si vuole chiamarla provincia, si chiami Mariuccia. Capisco le difficolt ma che bel segnale ai cittadini e che bel salto in avanti nel controllo della spesa pubblica e della vita amministrativa.

Scrive Eugenio Repetto ad ArcipelagoMilano


Nellultimo numero di ArcipelagoMilano comparso un articolo dellarchitetto Emilio Battisti Expo: cronologia di una disastrosa deriva nel quale critica il Sindaco per non aver fatto ancora nulla, nel suo ruolo di Commissario Straordinario dellEXPO, per impedire la deriva che aveva nel frattempo consentito di passare dallidea di Orto Planetario alla denominazione molto pi tecnica di Parco Agroalimentare, per approdare infine a un non meglio definito Parco tematico, come se si trattasse di una qualunque Gardaland o Italia in Miniatura: insomma di quel luna park che vorremmo proprio evitare. Di quale parco tematico sta parlando larchitetto Emilio Battisti? In un recentissimo incontro con larchitetto Matteo Gatto della Societ. EXPO 2015 al quale avevo illustrato i contenuti del documento Il Parco tematico: una proposta per il dopo EXPO non mi ha mai accennato allesistenza di una proposta alternativa avente per oggetto un parco tematico. Se non ci sono quindi possibili equivoci nellidentificazione del Parco di cui fa cenno larchitetto Battisti mi domando a quali fonti abbia attinto per concludere trattarsi di una qualunque Gardaland (comunque da rispettare).

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www.arcipelagomilano.org Certamente non pu aver tratto spunto dallesame del documento Il Parco tematico: una proposta per il dopo EXPO che mi ero premurato di trasmettergli. Daltra parte era sufficiente leggere lintroduzione per capire che si trattava di altra cosa rispetto a un luna park quando accostavo il Parco tematico a: Accademia delle Scienze, Eden Park, Cit de lEspace, Vulcania, Futuroscope, Museo delle Scienze Principe Felipe, nessuno purtroppo in Italia dove, tranne qualche lodevole eccezione, sono i parchi di divertimento a farla da padrone, complice una certa arretratezza culturale. Per la verit avevo cercato un contatto con larchitetto Emilio Battisti ritenendo, come ritengo ancora, che si potessero stabilire delle sinergie tra il Parco tematico e il progetto di unEXPO diffusa e sostenibile in una prospettiva che andava oltre levento espositivo. Come vede ho raccolto solo un frutto avvelenato.

Risponde Emilio Battisti a Eugenio Repetto


Gentile Eugenio Repetto, guardi che non alludevo affatto alla sua idea di parco tematico ma a quanto viene portato avanti, senza fornire alcuna precisazione sui contenuti, da parte di Expo 2015 Spa. Se lei avesse potuto assicurarmi che il suo progetto era stato fatto proprio da Expo non avrei esitato a citarlo per il suo intrinseco valore. Oltretutto esso non riguarda direttamente il sito Expo ma i territori circostanti, tant' chi io le ho proposto di registrarlo nella piattaforma di partecipazione on line di Expo Diffusa e Sostenibile, riconoscendone l'intrinseco valore. Mi dispiace molto che lei abbia frainteso il significato delle mie critiche.

Replica Raffaello Morelli a Guido Martinotti


La ringrazio per lassenso ai miei rilievi sulla borghesia snaturata. Mi accorgo poi di aver omesso la parola "politicamente" nella mia frase "autoconsolare le elites intellettuali borghesi oggi politicamente perdenti". Senza l'omissione, non esisterebbero dubbi interpretativi. Perch l'espressivo esempio che il professor Martinotti fa di borghesi che "non sono perdenti per nulla", conferma che lui tratta appunto di quella borghesia snaturata, il cui modo di vivere rammenta il "dategli le brioche" che si dice fosse la ricetta della regina Maria Antonietta per fronteggiare la carenza di pane. Mi auguro un finale meno cruento, ma l'incapacit di vedere la realt analoga.

RUBRICHE MUSICA questa rubrica curata da Palo Viola rubriche@arcipelagomilano.org Un altro Don Giovanni
Della prima di SantAmbrogio alla Scala, e cio di questo Don Giovanni di Carsen e di Barenboim, si scritto di tutto, persino troppo, si fatta molta confusione e si son dette non poche sciocchezze, a cominciare dallo stupido e volgare paragone fra il protagonista dellopera e Berlusconi (vedi Sgarbi, sul Corriere, che confronta il caviale alle lenticchie!). Poich fra teatro, schermi nelle piazze, cinematografi e televisioni pare labbiano visto tutti o quasi tutti gli amanti di musica e dunque, immagino, anche i nostri quattro lettori andiamo subito al dunque e cio al nocciolo delle questioni che secondo noi sono principalmente tre. Prima questione: il personaggio del Don Giovanni. Carsen (con lovvia complicit di Barenboim) ha voluto raccontare un personaggio diverso da quello di Da Ponte, forse pi vicino a quello che aveva in testa Mozart, e cio piuttosto che il dissoluto meritevole della massima punizione possibile (quella di morire precipitando direttamente allinferno) per i tanti tradimenti perpetrati, un personaggio fondamentalmente positivo, luomo che le ama tutte per non scontentar nessuna (chi a una sola fedele verso laltre crudele), meritevole di comprensione e di ammirazione da parte del pubblico e persino di gratitudine da parte delle sue vittime. Le quali, invece, sarebbero creature biasimevoli per la loro condotta contraddittoria e sostanzialmente lasciva, come dimostrano i loro comportamenti sulla scena (Anna sa di tradire Ottavio concedendosi al seduttore, Elvira nonostante prenda le difese delle compagne disponibile sempre a cedergli, persino quando si presenta sotto mentite spoglie, e Zerlina poi, fin dalle prime mosse furbetta e doppiogiochista) e il loro abbigliamento quasi sempre discinto, quanto meno da donne libere e intraprendenti! Dunque sono stati totalmente rovesciati i significati del libretto (della musica si pu discutere) quasi a voler dimostrare che il mito di Don Giovanni resta immutato anche in un sistema di valori diverso da quello dellabate Lorenzo e dellipocrita corte viennese. Resta da chiedersi, oltre alla legittimit delloperazione, se sta in piedi logicamente: ad esempio nella prima scena sembra che donnAnna sappia bene chi colui che si introdotto nella sua stanza e con cui sta facendo allamore con tanto entusiasmo (nel testo originale, invece, lassalto avviene al buio donna folle, indarno gridi, chi son io tu non saprai! - e donnAnna rischia di essere linnocente vittima di un vero e proprio stupro, salvata dal padre che accorre alle grida di aiuto). Ci comporta conseguentemente che nella tredicesima scena, con il povero don Ottavio, ella debba fingere di essere sconvolta nel riconoscere la voce del suo assalitore. E cos accade che nel finale, rivelando definitivamente le proprie intenzioni, il regista manda allinferno tutti coloro che han goduto dei favori del nostro eroe il quale, beffardo e soddisfatto, accendendosi una sigaretta, li osserva precipitare nel rogo.

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www.arcipelagomilano.org Mah ... certamente non era questa la storia, almeno fino a ieri. Noi saremmo in linea di principio molto prudenti nei confronti di questi stravolgimenti; li guardiamo con interesse ma anche con sospetto, e questa volta vorremmo sospendere il giudizio anche perch siamo in presenza di unondata emotiva molto forte. Certamente celebrare cos sfacciatamente limpunit, nel momento che attraversa oggi lItalia, molto sgradevole, e questo aspetto sottolineato molto bene dalleditoriale che trovate in altra pagina del giornale. Giudicate voi. Seconda questione: la direzione dorchestra. Premesso che di Barenboim pi volte abbiamo denunciato qualche superficialit da unto dal signore o da uomo cui tutto permesso (soprattutto nelle prestazioni pi recenti al pianoforte) e che nel 1998 restammo incantati dalla velocit impressa da Daniel Harding al Don Giovanni di Aix-en-Provence poi replicato al Piccolo Teatro milanese, ebbene laltra sera abbiamo trovato gradevolissima la lentezza di cui stato accusato il direttore, perfettamente adatta a una situazione trasformata da dramma giocoso in commedia umana. Una lentezza che ha permesso a Barenboim e ovviamente a tutto il cast di penetrare pi intimamente nellanima dei personaggi e di descriverne piuttosto lumanit che non il carattere o talvolta il ridicolo. E anche questo molto mozartiano, tanto quanto lo era lo sfavillio scoppiettante della versione di Harding. Spiace solo che Barenboim non abbia colto quel fantastico cambiamento di ritmo e di pulsazione cardiaca con cui Mozart descrive il cedimento di Zerlina, nel passaggio dal dolcissimo Andante del vorrei e non vorrei allimpetuoso Allegro di andiam, andiam mio bene - a ristorar le pene .... Un tuffo nella volutt che dovrebbe far impazzire chiunque e che ci parso passare inosservato. Terza questione: le scene e la rega. Non si pu negare a Carsen e a Levine di aver interpretato con grande intelligenza linvito alla sobriet e alla parsimonia, e di aver dimostrato ancora una volta come gi fece elegantissimamente Peter Brook con lo spettacolo di Aix - che le grandi scene molto costruite non servono a rendere pi comprensibile e gradevole lopera lirica. Magnifiche sopratutto le scene giocate sugli specchi che riproducono la sala e i palchi, raddoppiandoli, sul fondo del palcoscenico, cos come quelle che verso la fine dellopera si presentano come grandiose e profonde prospettive. Bellissimi anche i colori il rosso, il bianco e il nero che integrano in perfetta armonia lo spettacolo nella sala del teatro. Dobbiamo per anche dire che non giusto disturbare lascolto dellouverture uno dei momenti sacri dellopera con una trovata come quella di anticipare (per giunta in modo sorprendente) lapertura del sipario, distraendo il pubblico e attizzandone la curiosit; e cos dobbiamo osservare come linsistenza sul gioco di sipari che si alzano e si abbassano in continuazione, sui quali si aprono porticine e finestrelle, e che vorrebbero fare immaginare spazi e volumi, diventa poco a poco noioso e ripetitivo. Conclusione A parte don Ottavio (il personaggio poco amato da Mozart, interpretato con difficolt da Giuseppe Filianoti di cui un noto critico ha scritto che sembrava ... passare di l per caso...) il cast ci sembrato ottimo, con le voci potentissime di Don Giovanni e Leporello (Peter Mattei e Bryn Terfel) e quelle bellissime delle loro vittime - o sciocche vanerelle? donnAnna (Anna Netrebko, interpretazione pi che corretta), donna Elvira (Barbara Frittoli, la migliore) e Zerlina (Anna Prohaska, un po meno a proprio agio); a conti fatti, e nonostante queste riflessioni, stato uno spettacolo magnifico che ha sicuramente reso onore alla Scala e a Milano. P.S. Per colpa della prima alla Scala, nella rubrica non rimasto pi spazio da dedicare alla Musica per una settimana. Ce ne scusiamo con i lettori.

ARTE questa rubrica a cura di Virginia Colombo rubriche@arcipelagomilano.org Abo e la Transavanguardia italiana
Triennale, ABO propone una grande retrospettiva sulla sua Transavanguardia, con seguito di mostre personali in giro per lItalia. Cinque i protagonisti di ieri e di oggi, riuniti sotto letichetta di Transavanguardia proprio da Bonito Oliva alla fine degli anni 70: Cucchi, Chia, Clemente, Paladino e De Maria. Di ciascuno dei cinque protagonisti raccoglie 15 opere, selezionate dal curatore in collaborazione con gli artisti, scegliendole tra le loro pi significative, inedite o particolari. Teorizzata nel 1979 da Achille Bonito Oliva con un saggio su Flash Art e da questi presentata per la prima volta al pubblico alla XIII Rassegna internazionale darte di Acireale, la Transavanguardia ha la propria consacrazione ufficiale nella sezione Aperto 80 della 39 Biennale di Venezia, segnando un punto di rottura con le ricerche minimaliste, poveriste, processuali e concettuali che avevano dominato gli anni Sessanta e Settanta. Un movimento artistico che sin dal suo nascere ha saputo e voluto puntare sullidentit della cultura italiana, inserendola a pieno titolo, e con una sua peculiare originalit, nel dibattito culturale internazionale degli ultimi quarantanni. Nello stesso tempo ha portato larte contemporanea italiana a un livello di attenzione, da parte di collezionisti, musei e critici stranieri, del tutto nuovo. Allidealismo progressista delle neoavanguardie il nuovo movimento risponde con il ritorno alla manualit dellarte e alle sue tradizioni. Allutopia del modernismo e del moderno in cui tutto internazionale, multinazionale e globalizzato, la Transavanguardia, nel suo trans-attraver-

Francesco Clemente -Fourteen Stations n.III, 1981-82 ABO (Achille Bonito Oliva) vs Germano Celant. I due giganti della critica darte si sfidano con due mostre diversissime ma non troppo nella citt meneghina. Se Celant ha proposto la sua Arte Povera sparsa per lItalia, con sede principale presso la

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www.arcipelagomilano.org samento di linguaggi, tecniche e scelte, oppone il genius loci del singolo artista, ossia il territorio del suo immaginario, nonch una rivalutazione del proprio nomadismo culturale e delleclettismo stilistico, che si nutre di memorie del passato (vedi i riferimenti longobardi beneventani di Paladino) e di citazioni dalla storia dellarte, contribuendo cos al pi generale processo di rielaborazione della Storia e della soggettivit avviato negli anni ottanta. Levento milanese ruota attorno ad alcune tematiche comuni, che attraversano le diverse poetiche dei cinque artisti: il ritorno alla manualit della pittura, delle tecniche semplici e primitive, il narcisismo dellartista, il doppio e laltro, la violenza, la natura, lincertezza della ricerca, linconscio, limmagine tra disegno e astrazione, il tutto in bilico tra bi e tridimensionalit. La mostra raccoglie in tutto 66 opere: 44 provenienti da musei, fondazioni, gallerie e collezioni private italiane, e 22 da musei e collezioni europee. Si potranno mettere cos a confronto le opere dei cinque artisti, appartenenti s a ununica corrente ma sicuramente diversi nella propria ricerca personale: le cupole, i fiori e i colori sgargianti di De Maria; i dipinti un po espressionisti e alla Bacon di Francesco Clemente, nella sua visone dellarte come catastrofe; i riferimenti a Chagall, Picabia, Picasso e De Chirico di Sandro Chia; le memorie storiche, tra forme organiche, simboliche e arcaiche di Mimmo Paladino; infine i riferimenti alla morte e alla decadenza fatti da Enzo Cucchi, in una profusione di teschi e immagini precarie sui suoi fondali desertici. La mostra di Palazzo Reale parte di un ciclo progressivo di sei mostre dedicato alla Transavanguardia. In concomitanza con la mostra milanese, sei importanti istituzioni italiane organizzeranno alcune giornate di approfondimento sulla Transavanguardia presiedute da uno dei cinque filosofi del comitato scientifico composto da Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Bruno Moroncini, Franco Rella, Gianni Vattimo, e contestualmente esporranno le opere della Transavanguardia presenti nelle loro collezioni. Alle giornate di studio prenderanno parte critici darte, curatori e direttori di musei. Di seguito il calendario delle giornate ancora a venire: Mercoled 14 dicembre 2011: ROMA - Giacomo Marramao, con Andrea Cortellessa, Stefano Chiodi e Massimiliano Fuksas - GNAMGalleria Nazionale dArte Moderna e Contemporanea: giornata di studio e mostra-omaggio MAXXI -Museo nazionale delle arti del XXI secolo: mostra-omaggio Le mostre personali saranno ospitate in altrettante citt italiane tra le pi rappresentative della storia e dellidentit italiana, oppure legate alle vicende stesse della Transavanguardia. Le varie mostre saranno incentrate sulla recente produzione dei singoli protagonisti, partendo da un primo nucleo di opere storiche per poi seguire levolversi nel tempo e gli esiti ultimi delle loro ricerche artistiche. 9 dicembre 2011, MODENA - SANDRO CHIA: Modena, ex-Foro Boario, a cura di Achille Bonito Oliva e Marco Pierini e lorganizzazione della Galleria Civica di Modena. 10 dicembre 2011, PRATO - NICOLA DE MARIA: Prato, Centro per lArte Contemporanea Luigi Pecci, a cura di Achille Bonito Oliva e Marco Bazzini. 17 dicembre 2011, CATANZARO ENZO CUCCHI: Catanzaro, MARCA-Museo delle Arti di Catanzaro e Santuario della Madonna della Grotta a Praia a Mare (Cosenza), a cura di Achille Bonito Oliva e Alberto Fiz. 1 marzo 2012, ROMA - MIMMO PALADINO: Roma, ex-GIL di Luigi Moretti, a cura di Achille Bonito Oliva e Mario Codognato e lorganizzazione di Civita. Marzo 2012, PALERMO - FRANCESCO CLEMENTE: Palermo, Palazzo Sant'Elia, a cura di Achille Bonito Oliva e Francesco Gallo e lorganizzazione di Civita. Transavanguardia-Palazzo Reale, fino al 4 marzo 2012 Orari: luned 14.30 - 19.30, marted, mercoled, venerd e domenica 9.30 - 19.30, gioved e sabato 9.30 - 22.30 Biglietti: 9,00 intero, 7,50 ridotto

25 anni di Pixar a Milano


Dopo il MOMA di New York e un tour internazionale, finalmente arrivata a Milano PIXAR 25 anni di animazione. Un viaggio nel mondo dellimmaginazione che affasciner bambini ma non solo, alla scoperta di come si creano i personaggi animati pi amati del grande schermo. Oltre settecento opere, un viaggio attraverso la creativit e la cultura digitale come linguaggio innovativo applicato allanimazione e al cinema: dal primo lungometraggio dedicato a Luxo Jr. (1986) ai grandi capolavori come Monster & Co (2001), Toy Story (1, 2 e 3), Ratatouille (2007), WALL-E (2008), Up (2009) e Cars 2 (2011). Molti non sanno che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar utilizzano i mezzi propri dellarte (il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura), come quelli dei digital media dice John Lasseter, chief creative officer di Walt Disney and Pixar Animation Studio e fondatore di Pixar. Quando si pensa ai film danimazione, difficilmente ci si immagina artisti armati di matita e pennello, intenti a disegnare storie e personaggi. Nel mondo Pixar, invece, proprio cos. Gli artisti utilizzano i mezzi tradizionali: matite, dipinti, pastelli e sculturine, per creare i loro personaggi, cos come altrettanti numerosi sono gli artisti che impiegano esclusivamente i mezzi digitali. Ma in questo caso, lecito parlare di arte? I disegni, le bozze e le maquettes, hanno una tale importanza artistica da essere esposte in sedi ufficiali come i musei, in questo caso il PAC di Milano? Si potrebbe cos cadere in un tranello: tutta arte quella che luccica? Se definiamo larte come processo o prodotto dellorganizzazione e dellassemblaggio di oggetti per creare qualcosa che stimoli unemo-zione o una risposta, allora chiaro che tutti gli oggetti nella mostra Pixar sono proprio questo e, quindi, rispondono alla definizione di arte. I nostri film sono fatti da artisti e i nostri artisti, come qualsiasi altro artista, scelgono strumenti che consentono loro di esprimere le loro idee e le loro emozioni pi efficacemente. Una ampia variet di media e tecniche rappresentata nella mostra: disegni a matita e pennarello, dipinti in acrilico, guazzo e acquarelli; dipinti digitali; calchi; modelli fatti a mano; e pezzi in media digitali. Alcuni dei nostri artisti, di formazione tradizionale, hanno aggiunto dipinti digitali alla loro raccolta per esprimere qualcosa che non avrebbero potuto esprimere con qualsiasi altro mezzo, spiega esaustivamente Elyse Klaidman, direttore della Pixar University e Conservatore degli archivi. Riflessione importante questa, perch molto spesso i film Pixar contengono rimandi stilistici, citazioni e

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www.arcipelagomilano.org omaggi ai percorsi classici e da sempre riconosciuti della storia dellarte moderna e contemporanea. In tal senso, rappresentano il tentativo di continuare un discorso puramente artistico sulla ricerca della prospettiva, della spazialit e della rappresentazione verosimile che affonda le sue radici nelle esperienze del Rinascimento, Leon Battista Alberti su tutti. E una sorta di bottega rinascimentale, per citare Lasseter (sua madre era insegnante di storia dellarte e da sempre lo ha istruito in questa materia), che unisce artisti diversi e i fondamenti e le radici della storia dellarte a quelle che sono le pi nuove e originali invenzioni tecnologiche, con contaminazioni verso i linguaggi pi contemporanei. Strumenti che rendono i film Pixar, agli occhi dei loro creatori e spettatori, opere darte totali, concetto sostenuto dalle avanguardie del primo Novecento che, con le sperimentazioni su pellicola e nuovi ritrovati, si erano auspicate una svolta nella creazione e nella fruizione di unopera audiovisiva. La Pixar quasi 100 anni dopo, riesce a raggiungerla. Degna di nota, allinterno di questo straordinario laboratorio che spiega passo passo la creazione di un filmdalla nascita di un personaggio, alla scelta dei colori, alla creazione 3D dei movimenti, alla colonna sonora sicuramente lo zootropio, disco rotante su cui si muovono i personaggi 3D di Toy Story, ognuno in una diversa posizione, e che fatto girare ad altissima velocit e con laiuto di un flash, permette allo spettatore di cogliere lintera sequenza dei movimenti dei personaggi, impressionando limmagine sulla retina dellocchio, in un fluire di immagine continuo e affascinante. Pixar. 25 anni di animazione PAC Padiglione di Arte Cotemporanea, fino al 14 febbraio 2012 Orari: luned 14.30 19.30. Marteddomenica 9.30 19.30 . Gioved 9.30 22.30 biglietti: 7,00, ridotto 5,50

Brera incontra il Puskin. Capolavori dal museo russo


Sono capolavori di inestimabile valore e importanza le diciassette opere provenienti dal museo Puskin di Mosca ed esposte, fino al 5 febbraio, nelle sale XV e XII della Pinacoteca di Brera. Lesposizione, promossa dal Ministero per i Beni e le Attivit Culturali italiano, dal Ministero della Cultura e dei Media della Federazione Russa e dal Museo Pukin, nata in occasione dellAnno della Cultura Italia-Russia, e ha permesso, oltre allesposizione di Brera, anche lorganizzazione di una mostra sul Caravaggio che lo Stato Italiano presenter al Pukin a partire dal 22 novembre. Mostre da record, per nomi e assicurazioni: il valore assicurativo dei dipinti va ben oltre il miliardo di dollari. Tutte le opere in mostra provengono dalle collezioni di Sergei ukin e Ivan Morozov, i due collezionisti russi che agli albori del Novecento diventarono, con la loro passione per larte, testimoni degli artisti, dei movimenti e dei fermenti artistici che caratterizzarono lEuropa tra Otto e Novecento. Un periodo doro ineguagliabile, che permise ai due colti e brillanti collezionisti di visitare gli atelier dei pittori, di scegliere e commissionare ad hoc dipinti per i loro palazzi. Collezioni di inestimabile valore che furono fatte affluire nel museo Puskin al momento della sua creazione. Grandi mercanti e viaggiatori, ukin e Morozov, in anni diversi, divennero i migliori clienti delle pi importanti gallerie di Parigi, come Druet, Durand-Ruel, Kahnweiler e Vollard, uomini che decretarono la fortuna di artisti come Monet e Cezanne, e che divennero amici e confidenti degli artisti stessi e dei loro collezionisti. Una scelta tutta personale quella dei due gentiluomini russi, che non seguirono le mode ma anzi le anticiparono, comprando e sostenendo artisti al tempo ben poco famosi. Come spesso accade, i collezionisti si legarono in particolar modo ad alcuni artisti, creando un rapporto unico e speciale che permise la nascita di capolavori assoluti, quali i famosissimi Pesci rossi di Matisse, dipinto nel 1911 per ukin, che divent il patron dellartista. Con ben trentasette dipinti acquistati, ukin dedic il salone centrale della propria abitazione alle opere di Matisse, che dispose personalmente i dipinti per lamico mecenate. Ma ukin non si occup solo di Matisse. Un altro dei suoi artisti favoriti fu Picasso, del quale divenne, dopo una prima fase di incertezza, un grande sostenitore, comprando pi di cinquanta tele. Anche Ivan Morozov fu un grande collezionista, ammiratore di Cezanne e cliente affezionato di Ambrosie Vollard, mercante gallerista - soggetto spesso ritratto dallo stesso Cezanne. Di propriet Morozov fu anche lo splendido Boulevard des Capucinnes di Monet, che segn la svolta di Morozov come collezionista, e che da quel momento in poi ag tanto in grande da superare talvolta lo stesso ukin. In quindici anni riusc a raccogliere oltre duecento opere attraverso le quali possibile leggere levoluzione della pittura francese moderna. Tanti gli artisti e le opere presenti in mostra. Pregevole La ronda dei carcerati (1890) di Vincent Van Gogh, come anche Eiaha Ohipa (Tahitiani in una stanza. Non lavorare!), 1896, di Gauguin, dal gusto esotico e misterioso; le sempre grandiose Ninfee bianche di Monet, Le riva della Marna. (Il ponte sulla Marna a Creteil) di Cezanne, e la Radura nel bosco a Fontainebleau di Sisley. Ma il percorso non si esaurisce qui, proseguendo anzi in una panoramica esaustiva dellevoluzione dellarte di inizio Novecento. Oltre ai gi citati Pesci Rossi di Matisse, da segnalare sicuramente sono il Ritratto di Ambroise Vollard (1910) di Picasso; la Veduta del ponte di Svres, 1908, di Henri Rousseau detto il Doganiere e La vecchia citt di Cagnes (Il castello), 1910, di Derain. Unoccasione unica per vedere grandi capolavori da uno dei principali musei russi, nella cornice dei grandiosi capolavori dellarte del passato conservati a Brera.

Brera incontra il Pukin. Collezionismo russo tra Renoir e Matisse - Biglietto solo Pinacoteca: 6,00 Intero, 3,00 Ridotto - Biglietto Pinacoteca + Mostra: 12,00 Intero, 9,00 Ridotto - Orario di apertura: h 8.30-19.15 dal marted alla domenica

Le Gallerie dItalia nel cuore di Milano


Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che pi centro non si pu, un altro museo destinato a diventare una realt importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le Gallerie dItalia, museopolo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola

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www.arcipelagomilano.org e Brentani, restaurati per loccasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto unintera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate. Si iniziato con Risveglio, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate allomonimo dipinto Risveglio (190823) di Giulio Aristide Sartorio (di propriet della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto allinterno del museo. C stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala. Una serata fitta dimpegni, che si protratta fino alluna di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento. Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente allarte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dellOttocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione darte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dellindustrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti. Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che gi di per s varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro I due Foscari; largo spazio stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, lambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare allinizio del 900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma pi neutro e museale. Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e alladiacente Palazzo Brentani, si affiancher nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiter la nuova sezione delle Gallerie e vedr esposta una selezione di opere del Novecento. Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro citt, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un salotto cittadino adatto ai turisti, ma, si spera, non solo. Gallerie dItalia piazza della Scala - entrata libera fino allapertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 Orari: Da marted a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Gioved dalle 9.30 alle 22.30. Luned chiuso

LArte Povera invade lItalia


Sono numeri da capogiro quelli legati alla mostra Arte Povera, esposizione organizzata da Triennale Milano e dal Castello di Rivoli, a cura di Germano Celant, che vuole celebrare coralmente questo movimento italiano con una serie di iniziative sparse per il Bel Paese. Sette le citt coinvolte, otto i musei ospitanti, 250 le opere esposte, 15 mila i metri quadrati, tra architetture museali e contesti urbani, usati per contenere ed esporre le spesso monumentali opere darte. Loperazione ha delleccezionale, mettendo insieme direttori, esperti, studiosi e musei, che si sono trovati daccordo nel creare e ospitare una rassegna che testimoni la storia del movimento nato nel 1967 grazie agli artisti Alighiero Boetti, Mario e Marisa Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Giulio Paolini e tanti altri. Un movimento che deve la sua definizione proprio al curatore e al creatore di questa impresa, Germano Celant, che us il termine per la prima volta in occasione di una mostra genovese di quel anno, volendo definire una tendenza molto libera, in cui gli artisti lasciavano esprimere i materiali e le materie (acqua, fuoco, tele, pietre ecc.), non controllati esteticamente o plasticamente, ma anzi usati per esprimere energie e mutamenti interni ad essi. Cos ecco lanciata la sfida, raccontare la storia di questo movimento, prontamente raccolta da alcune delle istituzioni museali pi importanti dItalia: Triennale Milano e il Castelli di Rivoli Museo dArte Contemporanea, veri promotori, la Galleria Nazionale dArte Moderna di Roma, la GAMeC di Bergamo, il MADRE di Napoli, il MAMbo di Bologna, il MAXXI di Roma e il Teatro Margherita di Bari. Ogni sede ospita un pezzo di storia del movimento, che in una visione dinsieme, permetteranno al visitatore-pellegrino di ricomporre e afferrare ogni aspetto dellarte dagli anni 60 ad oggi. In particolare presso la Triennale, sede cardine dellevento, si potr avere una bella visione dinsieme grazie ad Arte Povera 2011, rassegna antologica sul movimento, che in uno spazio di circa 3000 metri quadrati, raccoglie oltre 60 opere, per testimoniare levoluzione del percorso artistico fino al 2011, grazie alla collaborazione di musei, artisti, archivi privati e fondazioni. La prima parte si sviluppa al piano terra, ed dedicata alle opere storiche degli artisti, realizzate tra 1967 e 1975, e che ne segnano in qualche modo il loro esordio nel mondo dellarte: i cumuli di pietra e tele di Kounellis; gli intrecci al neon di Mario Mez; gli immancabili specchi di Pistoletto; i fragili fili di nylon e le foglie secche nelle opere di Marisa Merz; le scritte in piombo e ghiaccio di Pier Paolo Calzolari; e tanti altri. Al secondo piano, nei grandi spazi aperti, in un percorso fluido e spazioso, sono documentate le opere realizzate dagli artisti tra 1975 e 2011, in un continuo e contemporaneo dialogo tra loro. Nei 150 anni dellUnit dItalia, una grande operazione museale ed espositiva che riunisce artisti, musei e grandi nomi, in unoperazione nazionale che rende giustizia, e ne tira idealmente le somme, di un movimento, italianissimo, e tuttora vivente.
Mario Merz Le case girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle case?, 1994

Arte Povera 1967 2011-fino al 29 gennaio - Triennale di Milano - Ingresso 8,00/6,50/5,50 - Orari:marted-domenica 10.30-20.30, gioved e venerd 10.30-23.00 Le altre sedi:

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www.arcipelagomilano.org *24 settembre 26 dicembre 2011, MAMbo Museo dArte Moderna di Bologna, Bologna Arte Povera 1968 *7 ottobre 2011 8 gennaio 2012, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma Omaggio allArte Povera *9 ottobre 2011 19 febbraio 2012 Castello di Rivoli Museo dArte Contemporanea, Rivoli Arte Povera International *25 ottobre 2011 29 gennaio 2012, Triennale di Milano, Milano Arte Povera 1967-2011 *novembre 2011 - aprile 2012, GAMeC Galleria dArte Moderna e Contemporanea di Bergamo Arte Povera in citt *11 novembre 2011 - aprile 2012, MADRE - Museo dArte contemporanea Donnaregina, Napoli Arte Povera pi Azioni Povere 1968 *7 dicembre 2011 4 marzo 2012, Galleria nazionale darte moderna, Roma Arte Povera alla GNAM *15 dicembre 2011 11 marzo 2012, Teatro Margherita, Bari Arte Povera in teatro

Cezanne e les ateliers du midi


Palazzo Reale presenta, per la prima volta a Milano, un protagonista indiscusso dellarte pittorica, colui che traghetter simbolicamente la pittura dallImpressionismo al Cubismo; colui che fu maestro e ispiratore per generazioni di artisti: va in scena Paul Cezanne. Sono una quarantina i dipinti esposti, con un taglio inedito e particolare, dovuto a vicende alterne che hanno accompagnato fin dallorigine la nascita di questa grande esposizione, intitolata Czanne e les atliers du midi. E appunto da questo titolo che tutto prende forma. Lespressione ateliers du midi fu coniata da Vincent Van Gogh, il cui progetto ero quello di creare una comunit di artisti riuniti in Provenza, una sorta di novella bottega, in cui tutti avrebbero lavorato in armonia. Un progetto che, come noto, non port mai a termine, ma dal quale Rudy Chiappini e Denis Coutagne, curatori della mostra, hanno preso spunto per delineare il percorso artistico di Cezanne. La mostra un omaggio al grande e tenace pittore solitario, nato ad Aixen-Provence, luogo al quale fu sempre attaccato, e che nei suoi continui spostamenti tra il paese natio, Parigi e lEstaque, cre quella che da sempre stata considerata la base dellarte moderna. Il tema portante dellesibizione riguarda lattivit di Cezanne in Provenza, legata indissolubilmente ai suoi ateliers: prima di tutti il Jas de Bouffan, la casa di famiglia in cui Cezanne compie le sue prime opere e prove giovanili; la soffitta dell'appartamento di Rue Boulegon; il capanno vicino alle cave di Bibmus; i locali affittati a Chteau Noir; la piccola casa a l'Estaque, e infine il suo ultimo atelier, il pi perfetto forse, costruito secondo le indicazioni del pittore stesso, latelier delle Lauves. Luoghi carichi di significato e memoria, in cui il maestro si divise, nelle fasi della sua vita, tra attivit en plein air, seguendo i consigli degli amici Impressionisti, e opere sur le motiv, una modalit cara a Cezanne, che della ripetizione ossessiva di certi soggetti ne ha fatto un marchio di fabbrica. Opere realizzate e rielaborate allinterno dello studio, luogo di creazione per ritratti, nature morte, composizioni e paesaggi. Ma latelier anche il luogo della riflessione per Cezanne, artista tormentato e quasi ossessivo nel suo desiderio di dare ordine al caos, cercando equilibrio e rigore, usando soprattutto, secondo una sua celebre frase, il cilindro, la sfera e il cono. In natura tutto modellato secondo tre modalit fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potr fare tutto ci che si vuole. Una mostra che vanta prestiti importanti (quale un dipinto dallHermitage); che coinvolge una istituzione importante come il Museo dOrsay, e che ha nel suo comitato scientifico proprio il direttore del museo e il pronipote dellartista, Philippe Cezanne. Con un allestimento semplice ma accattivante, merito anche dei grandi spazi, il visitatore potr scoprire i primi e poco noti lavori del maestro francese, le opere murali realizzate per la casa paterna e i primi dipinti e disegni ispirati agli artisti amati, come Roubens, Delacroix e Courbet. Dal 1870 Cezanne trascorrer sempre pi tempo tra Parigi, in compagnia dellamico di scuola Emile Zola, e la Provenza. Nascono quindi inediti soggetti narrativi, usando lo stile en plein air suggeritogli da Pissarro. Si schiariscono i colori e le forme sono pi morbide: ecco le Bagnanti, ritratte davanti allamata montagnafeticcio Sainte Victorie. Stabilitosi quasi definitivamente in Provenza, eccolo licenziare alcuni dei suoi paesaggi pi straordinari, con pini, boschi e angoli nascosti, tra cui spiccano quelli riguardanti le cave di marmo di Bibemus, luogo amato e allo stesso tempo temuto da Cezanne, che vedeva nella natura il soggetto supremo, il principio dellordine, ma che al tempo stesso poteva essere anche nemica e minaccia. Capolavori della sua arte sono anche i ritratti, dipinti in maniera particolare e insolita. Sono ritratti di amici e paesani, di gente comune che Cezanne fissa su tela senza giudicare n esprimere pareri, figure immobili ed eterne, come le sue nature morte. E sono proprio queste le composizioni pi mature, tra cui spicca per bellezza Il tavolo di cucina - Natura morta con cesta, (1888-1890), dalle prospettive e dai piani impossibili, con una visione lontanissima dalla realt e dal realismo imitativo, con oggetti ispirati s da oggetti reali, tra cui le famosissime mele, ma reinventati in chiave personale. Una mostra dunque densa di spunti per comprendere lopera del pittore di Aix, complementare alla mostra del Muse du Luxembourg di Parigi, intitolata Cezanne et Paris, che indagher invece gli anni parigini e approfondir il rapporto tra Cezanne, gli Impressionisti e i post Impressionisti.

Czanne e les atliers du midi. Fino al 26 febbraio, Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. sab. 9.30-22.30. Costi: intero euro 9, ridotto euro 7,50.

I Visconti e gli Sforza raccontati attraverso i loro tesori


In occasione del suo primo decennale, il Museo Diocesano ospita, fino al 29 gennaio, una mostra di capolavori preziosi e di inestimabile valore, intitolata Loro dai visconti agli Sforza. Una mostra creata per esplorare, per la prima volta in Italia, levoluzione dellarte orafa a Milano tra il XIV e il XV secolo, attraverso sessanta preziose opere tra smalti, miniature, arti suntuarie, oggetti di soggetto sacro e profano, prove-

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www.arcipelagomilano.org nienti da alcuni tra i musei pi prestigiosi del mondo. I Visconti e gli Sforza sono state due tra le famiglie pi potenti e significative per la storia di Milano. Con la loro committenza hanno reso la citt una tra le pi attive dEuropa artisticamente e culturalmente. Una citt che ha ospitato maestranze e botteghe provenienti da tutta Europa, che qui si sono trasferite per soddisfare le esigenze di una corte sempre pi ricca e lussuosa, che chiedeva costantemente oggetti preziosi e raffinati per auto celebrarsi e rappresentarsi. Oltretutto non va dimenticato che a Milano e dintorni due erano i cantieri principali che attiravano artisti di vario tipo: il Duomo, iniziato nel 1386 su commissione viscontea, e il castello di Pavia, iniziato nel 1360 per volere di Galeazzo Visconti. Due in particolare sono le figure a cui ruotano intorno le vicende milanesi del periodo, uomini forti che costruirono le fortune delle loro famiglie e che furono anche committenti straordinari: Gian Galeazzo Visconti e Ludovico il Moro. Gian Galeazzo fu il primo dei Visconti a essere investito del titolo ducale, comprato dallimperatore di Boemia nel 1395, titolo che legittim una signoria di fatto che risaliva al 1200. Laltra figura di rilievo fu Ludovico il Moro, figlio del capitano di ventura Francesco Sforza, che sposa la figlia dellultimo Visconti, dando inizio cos alla dinastia sforzesca. Ludovico il Moro, marito di Beatrice dEste, fu uomo politico intraprendente ma soprattutto committente colto e attivo, che chiam presso la sua corte uomini dingegno come Leonardo Da Vinci, Bramante e molti altri tra gli artisti pi aggiornati del panorama europeo. La mostra prende inizio da due inventari, quello dei gioielli portati in dote da Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, andata in sposa a Luigi di Turenna, fratello del re di Francia; e quello dei preziosi di Bianca Maria Sforza, figlia di Ludovico il Moro, andata in sposa allimperatore Massimiliano I. Proprio questi elenchi hanno permesso di ricostruire lentit del tesoro visconteo-sforzesco, e di ricostruire e di riunire insieme i principali oggetti per questa mostra. Il percorso si snoda tra pezzi di pregiata fattura, come gli scudetti di Bernab Visconti, zio di Gian Galeazzo, che ci mostrano una delicata tecnica a smalto traslucido; oppure la preziosa minitura con una dama, opera di Michelino da Besozzo, forse il pi importante miniatore del secolo, che con tratti fini e delicati ci mostra una dama vestita alla moda dellepoca, con maniche lunghe e frappate e il tipico copricapo a balzo, espressione modaiola delle corti lombarde. Lavoro da mettere a confronto con il fermaglio di Essen (opera in dirittura di arrivo), pezzo doreficeria finissima, una micro scultura rappresentante la stessa enigmatica dama. Altro pregevole pezzo sicuramente il medaglione con la Trinit, recante il nuvoloso visconteo, emblema della famiglia, dipinto in smalto ronde bosse, tecnica tra le pi raffinate e costose. Proprio gli smalti sono una delle tecniche pi rappresentative delloreficeria visconteosforzesca, con un ventaglio di tipologie vario e virtuosistico, attraverso cui le botteghe milanesi erano conosciute in tutta Europa. Ma daltra parte Milano aveva una lunga tradizione smaltista alle spalle, basti pensare allaltare di Vuolvino, nella basilica di santAmbrogio. Uno dei passatempi preferiti della corte erano le carte: ecco dunque sei bellissimi esemplari di Tarocchi, provenienti da Brera, interamente coperti di foglia doro, punzonati e dipinti, testimonianza unica e ben conservata della moda, dei costumi e delle tecniche dellepoca. Dalla dinastia viscontea si passa poi a quella sforzesca, con reliquari e tabernacoli che si ispirano al duomo di Milano per struttura e composizione, opere di micro architettura in argento e dipinte in smalto a pittura, come il Tabernacolo di Voghera o quello Pallavicino di Lodi. Ma la miniatura a farla da padrone, con il messale Arcimboldi, che mostra Ludovico il Moro, novello duca di Milano circondato dal suo tesoro; il Libro dOre Borromeo, famiglia legata a doppio filo a quella dei duchi di Milano; e il Canzoniere per Beatrice dEste, opera del poeta Gasparo Visconti, con legatura smaltata che ripropone fiammelle ardenti e un groppo amoroso, il nodo che tiene uniti i due amanti, raffigurazione illustrata di un sonetto del canzoniere. Anche Leonardo gioca la sua parte, indirettamente, in questa mostra. Il maestro si occup infatti anche di smalti, perle, borsette e cinture, che alcuni suoi allievi seguirono nelle indicazioni, come ci mostrano lanconetta con la Vergine delle rocce del museo Correr o la Pace proveniente da Lodi. Insomma un panorama vario e ricco che mostra tutto il lusso e la raffinatezza di una delle corti pi potenti dEuropa. Oro dai Visconti agli Sforza. Fino al 29 gennaio - Museo Diocesano. Corso di Porta Ticinese 95. Orari: tutti i giorni ore 10-18, chiuso luned. Costo: 8 intero, 5 ridotto, marted 4 .

Artemisia Gentileschi. Vita, amori e opere di una primadonna del 600


Artemisia Lomi Gentileschi stata una delle numerose donne pittrici dellarte moderna, ma la sola, forse, ad aver ricevuto successo, notoriet, fama e commissioni importanti in quantit. Ecco perch la mostra Artemisia Gentileschi -Storia di una passione, ospitata a Palazzo Reale e da poco aperta, si propone di ristudiare, approfondire e far conoscere al grande pubblico la pittora e le sue opere, per cercare di slegarla allepisodio celeberrimo di violenza di cui fu vittima. S perch il nome di Artemisia spesso associato a quello stupro da lei subito, appena diciottenne, da parte del collega e amico del padre, Agostino Tassi, che la violent per nove mesi, promettendole in cambio un matrimonio riparatore. Donna coraggiosa, che ebbe il coraggio di ribellarsi e denunciare il Tassi, subendone in cambio un lungo e umiliante processo pubblico, il primo di tal genere di cui ci siano rimasti gli atti scritti. La mostra, quasi una monografica, si propone anche di dare una individualit tutta sua alla giovane pittrice, senza trascurare per gli esordi con il padre, lingombrante e severo Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio e iniziatore della figlia verso quel gusto caravaggesco che tanto fu di moda; o senza tralasciare lo zio, fratello di Orazio, Aurelio Lomi, pittore manierista che tanto fece per la nipote. Il percorso si snoda dunque dalla giovanile formazione nella bottega paterna, per una donna pittrice ai tempi non poteva essere altrimenti, per arrivare alle prime opere totalmente autonome e magnifiche, dipinte per il signore di Firenze Cosimo II de Medici. La vita di Artemisia fu rocambolesca e passionale. Dopo il processo a Roma si spost a Firenze con il neo marito Pietro Stiattesi, e fu l che conobbe i primi successi fu la prima donna a es-

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www.arcipelagomilano.org sere ammessa allAccademia del Disegno di Firenze- e un grande, vero amore, Francesco Maria Maringhi, nobile fiorentino con cui avr una relazione che durer per tutta la loro vita. Dati, questi, che si sono recuperati solo in tempi recentissimi grazie a uno straordinario carteggio autografo di Artemisia, del marito e dellamante. E proprio le lettere sono state un punto di partenza importante per nuove attribuzioni, scoperte e ipotesi su dipinti prima nel limbo delle incertezze. In mostra ci sono quasi tutte le opere pi famose di Artemisia (peccato per un paio di prestiti importanti che non sono arrivati): le due cruente e violentissime Giuditte che decapitano Oloferne, da Napoli e dagli Uffizi, lette cos spesso in chiave autobiografica (Artemisia-Giuditta che decapita in un tripudio di sangue Oloferne/Agostino Tassi); le sensuali Maddalene penitenti; eroine bibliche come Ester, Giaele, Betsabea e Susanna; miti senza tempo come Cleopatra e Danae, varie Allegorie e Vergini con Bambino. Ma Artemisia fu famosa anche per i suoi ritratti, di cui pochi esempi ci sono rimasti, come il Ritratto di gonfaloniere o il Ritratto di Antoine de Ville, cos come per i suoi autoritratti. Le fonti ce la raccontano come donna bellissima e sensuale, pienamente consapevole del suo fascino e del suo ruolo, che amava dipingersi allo specchio e regalare queste opere ai suoi ammiratori. Cos la mostra si snoda tra Firenze, da cui i coniugi Stiattesi scappano coperti dai debiti, per arrivare a Roma, Venezia, Napoli e perfino in Inghilterra, dove la volle il re Carlo I. Una vita ricca di passioni, appunto, come lamore per la figlia Palmira, che diverr anchessa pittrice e valido aiuto nella bottega materna che Artemisia aprir a Napoli fin dagli anni Trenta del Seicento, ricca di giovani promettenti pittori come Bernardo Cavallino. Una vita ricca anche di conoscenze e amicizie importanti: ventennale il rapporto epistolare con Galileo Galilei, conosciuto a Firenze, con Michelangelo il Giovane, pronipote del genio fiorentino, e anche con una serie di nobili e committenti per cui dipinse le sue opere pi celebri: Antonio Ruffo, Cassiano dal Pozzo, i cardinali Barberini e larcivescovo di Pozzuoli, per il quale fece tre enormi tele per adornare la nuova cattedrale nel 1637, la sua prima vera commissione pubblica. Insomma una donna, una madre e unartista straordinaria, finalmente messa in luce in tutta la sua grandezza, inquadrata certo nellalveo del padre Orazio e di quel caravaggismo che la resa tanto famosa, ma vista anche come pittrice camaleontica e dallinventiva straordinaria, capace di riproporre uno stesso soggetto con mille varianti, secondo quella varietas e originalit per cui fu, giustamente, cos ricercata.

Artemisia Gentileschi. Storia di una passione - Fino al 29 gennaio Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.3022.30. Intero: 9,00. Ridotto: 7,50

Doppio Kapoor a Milano


Sono tre gli appuntamenti che lItalia dedica questanno ad Anish Kapoor, artista concettuale anglo-indiano. Due di questi sono a Milano, e si preannunciano gi essere le mostre pi visitate dellestate. Il primo alla Rotonda della Besana, dove sono esposte sette opere a creare una mini antologica; il secondo "Dirty Corner", installazione site-specific creata apposta per la Fabbrica del Vapore di via Procaccini. Entrambe curate da Demetrio Paparoni e Gianni Mercurio, con la collaborazione di MADEINART, gli stessi nomi che hanno curato anche la retrospettiva di Oursler al Pac. Una mostra di grande impatto visivo, quella della Besana, con opere fatte di metallo e cera, realizzate negli ultimi dieci anni e che sono presentate in Italia per la prima volta. Opere di grande impatto s, ma dal significato non subito comprensibile. Kapoor un artista che si muove attraverso lo spazio e la materia, in una continua sperimentazione e compenetrazione tra i due, interagendo con lambiente circostante per cercare di generare sensazioni, spaesamenti percettivi, che porteranno a ognuno, diversi, magari insospettabili significati, come spiega lartista stesso. Ecco perch non tutto lineare, come si pu capire guardando le sculture in acciaio C-Curve (2007), Non Object (Door) 2008, Non Object (Plane) del 2010, ed altre che provocano nello spettatore una percezione alterata dello spazio. Figure capovolte, deformate, modificate a seconda della prospettiva da cui si guarda, un forte senso di straniamento che porta quasi a perdere l'equilibrio. Queste solo alcune delle sensazioni che lo spettatore, a seconda dellet e della sensibilit, potrebbe provare davanti a questi enormi specchi metallici. Ma non c solo il metallo tra i materiali di Kapoor. Al centro della Rotonda troneggia lenorme My Red Homeland, 2003, monumentale installazione formata da cera rossa (il famoso rosso Kapoor), disposta in un immenso contenitore circolare e composta da un braccio metallico connesso a un motore idraulico che gira sopra un asse centrale, spingendo e schiacciando la cera, in un lentissimo e silenzioso scambio tra creazione e distruzione. Unopera, come spiegano i curatori, che non potrebbe esistere senza la presenza indissolubile della cera e del braccio metallico, in una sorta di positivo e negativo (il braccio che buca la cera), e di cui la mente dello spettatore comunque in grado di ricostruirne la totalit originaria. Il lavoro di Kapoor parte sempre da una spiritualit tutta indiana che si caratterizza per una tensione mistica verso la leggerezza e il vuoto, verso limmaterialit, intesi come luoghi primari della creazione. Ecco perch gli altri due interessanti appuntamenti hanno sempre a che fare con queste tematiche: Dirty Corner, presso la Fabbrica del Vapore, un immenso tunnel in acciaio di 60 metri e alto 8, allinterno dei quali i visitatori potranno entrare, e Ascension, esposta nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, in occasione della 54 Biennale di Venezia. Opera gi proposta in Brasile e a Pechino ma che per loccasione prende nuovo significato. Uninstallazione site-specific che materializza una colonna di fumo da una base circolare posta in corrispondenza dellincrocio fra transetto e navata della maestosa Basilica e che sale fino alla cupola. Anish Kapoor - Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 fino all12 gennaio 2012 Orari: lun 14.30 19.30. Mar-dom 9.30-19.30. Giov e sab 9.30-22.30. Costi: 6 per ciascuna sede, 10 per entrambe le sedi.

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LIBRI questa rubrica a cura di Marilena Poletti Pasero rubriche@arcipelagomilano.org NUTRIRE MILANO. STORIA E PAESAGGIO DELL'ALIMENTAZIONE IN CITT
Lucia Bisi Skir - Triennale di Milano, per Expo 2015 in stampa il 20 dicembre 2011
Nutrire il pianeta, energia per la vita il tema scelto da EXPO 2015, che fa perno sull'alimentazione, intesa come civilt, scienza, sostenibilit. Nutrire Milano. Storia e paesaggio dell'alimentazione in citt, il titolo del libro, dalla significativa ed elegante copertina, scritto con nitida penna dalla storica dell'architettura Lucia Bisi. Obiettivo dell'autrice evidenziare, con uno studio innovativo e ricco di fonti, che va dal tardo Medioevo al '900, lo stretto legame tra il territorio milanese, la morfologia urbana, il contado, e la loro cultura alimentare, delineando un paesaggio alimentare nelle sue varie fasi, di produzione, scambio, consumo, frutto di esperienze millenarie. Milano citt in mezzo a terre ma acquatica; penetrata fino a met '800, fuori e dentro le mura da immense ortaglie, eppure copiosissima di pesce, posta al centro di un immenso orto irriguo e navigabile ricca di marcite, ove la rana regna sovrana. Milano che non riposa mai tutta smossa e quasi rifatta (Cattaneo), nella sua rete infinita di canali, ove qualit dominante l'abbondanza del cibo per i signori e il clero, ma le minestre vegetariane e le polente sono il cibo dei meno abbienti per secoli. Citt di cuccagna, Paneropoli (Foscolo), per il fiume di latte che scende dalle montagne brianzole. Milano dunque macchina idraulica, secondo la felice immagine della Bisi, citt che nell'acqua fonda il suo destino, dal XV al XIX secolo: i canali infatti servono a molteplici usi, oltre a quello domestico: a) irrigare i campi per ortaggi, frutteti, vigne, per le marcite, dai sei/sette tagli d'erba all'anno, copioso cibo per il bestiame, da cui abbondante carne, latte, e formaggi; b) navigare per trasportare merci, legno, marmi, derrate, e motore per i mulini; c) fornire ottimo pesce; d) come scolo, vietato ma sopportato, per concerie, tintorie, ospedali, mercati di verdure (il Verziere), carne, pesce. E il mercato sar sempre il punto di partenza, perch senza mercato non si pu parlare di citt (Pirenne). Gli odori pi acri caratterizzano i vari quartieri e i loro mercati, ove la carne macellata a cielo aperto, e alcuni mulini esalano il profumo dei semi di cacao, macinati e miscelati al latte. Nel Medioevo le corporazioni avevano il controllo topografico dei mercati; con l'abolizione dei privilegi nel '700 cambia l'urbanistica della citt e i mercati vengono spostati pi all'esterno. Alla fine dell'800 si affermano strutture annonarie meccanizzate in edifici coperti, come il mercato di Porta Vittoria, di cui la Palazzina Liberty del 1911 rappresenta un bell'esempio di archeologia industriale. Dopo l'Unit d'Italia nel 1861, il connubio citt-campagna viene incrinato per un diverso assetto urbano, scompaiono gli orti tra le mura, soppiantati da nuovi edifici, il treno sostituisce le linee d'acqua. Fino allo stravolgimento del 1928-30, quando i Navigli verranno coperti per le pressioni degli igienisti e per le nuove esigenze del traffico urbano. Milano perde cos la sua identit, senza pi acqua, orti, vigne e verde. E la campagna diventa un'officina a cielo aperto.

TEATRO questa rubrica a cura di Emanuele Aldrovandi rubriche@arcipelagomilano.org Servo di scena


di Ronald Harwood, traduzione di Masolino DAmico - regia Franco Branciaroli con T. Cardarelli, L. Galantini, M. Giglio, F. Branciaroli, V. Violo, D. Griggio, G. Lanza scene e costumi Margherita Palli e Luci Gigi Saccomandi
Una qualit che senza dubbio non manca a Franco Branciaroli oltre ovviamente al talento lauto ironia. In Servo di scena, infatti, interpreta un grande attore che non pu non ricordare, fin dal suo ingresso in scena, Branciaroli stesso. Certo, il protagonista del testo di Harwood un vecchio capocomico alla fine della sua carriera, che perde i sensi e fatica a ricordarsi le battute, mentre chi lo interpreta uno dei migliori attori italiani in attivit. Per la voglia di Sir Ronald che si fa chiamare Sir pur non essendolo di essere protagonista, al centro della scena, mattatore incontrastato e dominatore del palco, non pu non far venire in mente, a chi ha seguito con attenzione gli ultimi anni della sua carriera, il Branciaroli che interpreta sia Don Chisciotte che Sancho Panza (con le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene, suoi predecessori nel ruolo di grande attore) in una bellissima e divertente versione del romanzo di Cervantes. Oppure il Branciaroli che esagera un po nel voler interpretare tutti i personaggi principali dellEdipo Re, anche Giocasta (!). Si pu dire che i personaggi interpretati da Branciaroli siano spesso come riscritti da lui, e assumano senza tradire il testo originale una branciarolit che consiste nellessere, e allo stesso tempo essere consci di esserlo, eroici e vili; autoironici, insomma. Eroico e vile, in Finale di partita, era il BranciaroliHamm (io credo che Beckett se lo fosse immaginato proprio cos, ma spesso soprattutto in Italia stato ed interpretato diversamente). Eroico e vile era il BranciaroliGalileo. E eroico e vile il Branciaroli-Sir Ronald, che dedica tutta la sua vita a diffondere la poesia di Shakespeare e onora il teatro fino allultimo respiro, fino allultima goccia di sudore, ma allo stesso tempo

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si dimostra completamente insensibile ai sentimenti e ai desideri di chi gli sta intorno, a partire dalla direttrice di scena innamorata da anni di lui, fino al suo dresser Norman. Il testo, da cui Peter Yates ha tratto un film nell83, ambientato nella Londra del 1942 bombardata dai nazisti, e racconta le vicende di una compagnia che porta in giro per i teatri le opere di Shakespeare. Il dresser servo di scena nella traduzione di DAmico che sarebbe il vero protagonista dello spettacolo, interpretato ottimamente da Tommaso Cardarelli, lunico a credere ancora in Sir Roland nonostante i problemi di salute, ad assecondare la sua volont e i suoi vezzi, a cercare di spronarlo/ svegliarlo/ incoraggiarlo nei momenti di buio e a difenderlo dagli attacchi dei membri della compagnia che vorrebbero annullare la recita di Re Lear prevista per quella sera. Ma alla fine resta ferito dallaridit del grande attore che, nei ringraziamenti del suo libro che non finir mai di scrivere si dimenticato, non solo di ringraziarlo, ma anche di citarlo. Il fatto che siano citati i macchinisti e i tecnici di palcoscenico, che ren-

dono possibile la magia del teatro, e non luomo che per anni lo ha vestito e svestito ascoltando i suoi capricci, mostra come lattenzione di Sir Ronald fosse tutta proiettata verso se stesso e nei confronti dellumanit che non voleva privare dello Shakespeare quotidiano in tempo di guerra ma non comprendesse gli esseri umani che lui aveva intorno. Una bella commedia, divertente e amara, con un cast di validi attori ad accompagnare Sir Branciaroli. In scena Al Teatro Elfo Puccini il 13 dicembre debutta il Sogno di una notte di mezza estate, regia di Elio De Capitani, che sar in scena fino al 22 Gennaio. Al Teatro I dal 12 al 18 dicembre Maria. Oratorio di suoni e voci, di Aldo Nove, regia di Renzo Martinelli e, a seguire Interrogatorio a Maria di Giovanni Testori, con Milva Marigliano. Al Piccolo Teatro Studio fino al 18 dicembre Toni Servillo legge Napoli.

Al Teatro Grassi dal 13 al 18 dicembre Sarabanda di Ingmar Bergman, regia di Massimo Luconi. Al Teatro Manzoni fino al 18 dicembre Tante belle cose, di Edoardo Erba, regia di Alessandro DAlatri. Fino al 17 dicembre al Teatro Franco Parenti Evgenij Onegin di Puskin con la regia di Flavio Ambrosini. Allo Spazio Tertulliano, fino al 18 dicembre, Diario di un killer sentimentale, dal romanzo di Luis Sepulveda, regia di Giuseppe Scordio. Al Teatro Out-Off fino al 22 dicembre continua il Quel che volete (la dodicesima notte), regia di Lorenzo Loris. Al Teatro Carcano dal 12 al 18 dicembre Luomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello, regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Al Teatro Verdi fino al 22 dicembre continua Favelas: stanza bluff generation, di e con Angelo Raffaele Pisani, Gianluca De Angelis, Gianmarco Pozzoli. Al Teatro Litta dal 13 al 31 dicembre Romeo e Giulietta, regia di Claudio Autelli.

CINEMA questa rubrica a cura di M. Santarpia e P. Schipani rubriche@arcipelagomilano.org

Almanya La mia famiglia va in Germania


di Yasemin Samdereli [Almanya - Willkommen in Deutschland, Germania, 2011, 101'] con Vedat Erincin, Fahri Ogn Yardim, Lilay Huser, Manfred-Anton Algrang.
Ma insomma cosa siamo, turchi o tedeschi? Chiede il piccolo Cenk (Rafael Koussouris) alla sua famiglia al completo durante i festeggiamenti per i nuovi passaporti dei nonni. L'ingenua confusione del bambino comprensibile, il padre gli risponde istintivamente turchi, la mamma tedeschi. Lui ha bisogno, per, di una risposta definitiva. A scuola, durante le partite di calcio Germania contro Turchia, non sa con chi schierarsi. Non parla turco, suo padre nato in Germania ma gli zii e i nonni vengono tutti dall'Anatolia. C' sicuramente molto di autobiografico in questo incipit di Almanya la mia famiglia va in Germania, esordio cinematografico di Yasemin e Nesrin Samdereli. Hanno scritto insieme la sceneggiatura e Yasemin, la pi grande delle due, l'ha messa in scena. Sono nate in Germania da genitori turchi e non difficile pensare a quante volte abbiano avuto gli stessi dubbi di Cenk. La necessit di trovare una risposta ha messo in moto la macchina della loro creativit. La complessit della risposta ha spinto le due sorelle a un intrecciato e affascinante approccio narrativo. La decisione del

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capofamiglia Hseyin Yilmaz (Vedat Erincin) di portare i suoi cari nel piccolo paese natio per irrobustire le radici turche d vita a un viaggio coinvolgente e folcloristico. L'epopea familiare dell'emigrazione raccontata dalla nipote ventenne ci trasmette la forza di volont e la positivit di un uomo che ha anteposto a tutto la serenit e l'unione della propria famiglia.

La scelta risulta semplice e diretta. Le storie si alternano ma condividono un sagace connubio tra ironia e malinconia, merce rara nel panorama cinematografico di oggi. Le sorelle Samdereli hanno anche il merito di sfruttare ogni luogo comune derivante dal rapporto turco-tedesco unicamente per dissacrarlo, per mostrarci il lato pi divertente di questa longeva convivenza.

La loro risposta alla semplice domanda di Cenk saggia e poetica. cos potente da riuscire ad abbattere ogni barriera nazionale e costruire un lunghissimo e invisibile ponte tra Germania e Turchia. Marco Santarpia In sala a Milano: Anteo, Arlecchino

Accordi e disaccordi
di Woody Allen [Sweet and Lowdown, USA, 1999, 92] con: Sean Penn, Samantha Morton, Uma Thurman, Brian Makinson, Anthony LaPaglia
Dolce e confidenziale la storia narrata da Woody Allen in Accordi e disaccordi [USA, 1999, 92], e ce ne accorgiamo fin dal titolo nella versione originale: Sweet and Lowdown. Alcuni personaggi tra cui lo stesso Allen raccontano la vita di Emmet Ray (Sean Penn, bravissimo): il pi grande chitarrista jazz di fine anni Trenta, dopo Django Reinhardt. La struttura del film riprende quella gi incontrata in Prendi i soldi e scappa [1969] e in Zelig [1983], infatti, attraverso le descrizioni di altri risaliamo alla storia di Ray. Il risultato non , come stato detto, un documentario finto, ma un film che mischia magicamente finzione e realt. Emmet Ray non mai esistito, vive soltanto tramite le interpretazioni degli altri. Sono le storie e i commenti, organizzati in una specie di inchiesta, a dar esistenza al chitarrista che egoista e presuntuoso si arrabatta tra gli alti e i bassi del successo. Con la chitarra tra le mani sopraffino Emmet, ma consapevole che mai sar come lo zingaro che vive in Francia: Django, musicista sublime e insuperabile. Il confronto con linarrivabile Django crea un gioco di ribalta e retroscena che si mantiene per tutto il film, sottolineando lalternarsi tra la maestria artistica e la sua povert. Luna senza laltra non avrebbe maniera di sopravvivere, esattamente come Emmet non sarebbe grande senza la grandezza di Django. Emmet Ray quel musicista che sarebbe stato secondo, se realmente esistito. Ma, pensandoci bene, Woody stato talmente bravo non solo da farcelo vedere, ma da farcelo anche raccontare. Certo, come in tutte le storie, non sai mai cosa credere, dice uno dei narratori. Chiss che da questa storia dolce e confidenziale qualcuno in sala anche soltanto per un momento non si sia fatto trasportare nel mondo di Emmet Ray. Paolo Schipani In sala: 17 dicembre 2011 ore 15.00 - Spazio Oberdan

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CRISTINA TAJANI ASSESSORE AL LAVORO, SVILUPPO ECONOMICO, UNIVERSITA E RICERCA: I MIEI PROGRAMMI

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