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Ottavio de Manzini Testo di una conversazione su Sandro Penna, pubblicato in: Anthos, I quaderni della Poesia , Venezia 1990

Al di fuori di qualsiasi critico..... "Al di fuori di qualsiasi critico..." scriveva Sandro Penna presentando le sue poesie nella raccolta edita da Garzanti nel settanta... Eppure noi siamo qui oggi a non rispettare la volont del Poeta che egli conferm con lo stile schivo della sua vita e con l'originalit della sua opera. Ma chiunque, grande o piccolo, poeta o filosofo, compia l"'errore" , chiamiamolo cos, di pubblicare, cio di offrirsi in una sorta di mistico sacrificio a chiunque, non pu sottrarsi alle successive liturgie critiche, pi o meno frequenti secondo il gusto dei tempi, e in esse ogni volta il "pasto" si ripete, a volte compto, a volte grottesco, quasi sempre macabro. Oggi Penna di nuovo proposto all'attenzione del pubblico; negli ultimi mesi hanno parlato di lui in pubblico Garboli a Pistoia e Mengaldo a Treviso. Il "successo" di Penna infatti conosce vichiani ricorsi spesso coincidenti con periodi di crisi del monopolio ermetico, ideologico o avanguardistico. Dobbiamo tuttavia notare che tali ricorsi si sono fatti pi frequenti dopo la sua morte, avvenuta nel 1976. Buon segno, pur se macabro anch'esso; non stupisca l'insistenza sull'ultimo aggettivo perch, in particolare per Sandro Penna, ogni operazione critica per quanto modesta, provoca sempre una sensazione di sacrilegio. Di tutti i suoi amori infatti, quello pi forte, quello pi vero fu per la vita, non per l'immortalit, e ci avviene per ogni eluso od illuso amatore di fanciulli. Egli non volle certo lasciare ai posteri foscoliani monumenti o lunghissimi carmi, la sua poesia non che il diario quasi monotematico di un amore per alcuni aspetti del reale, ripetuto in infinite varianti, in una "coazione a ripetere" che fonte di continuo e ripetuto godimento, insopprimibile anche nel dolore.

"... Ma Sandro Penna intriso di una strana gioia di vivere anche nel dolore."

Il Mariani lo defin un "vigoroso outsider" (1) , ci non ostante, non possiamo esimerci dal ricercare i riscontri culturali, anche se l'operazione presenta difficolt a causa dell'originalit espressiva e della molteplicit di riferimenti che la poesia 1

di Penna suggerisce appena, subito dimentica e immediatamente confuta, in una sorta d'autoironia erudita che volutamente dissacra ogni possibile ascendenza culturale. Nel suo primitivismo culturale, biografico e intellettuale individueremo innanzitutto il confessato amore per Lautreamont e Rimbaud (2) sull'onda di un vitalismo sensuale che attraverso anche Carducci e D'Annunzio aveva aperto l'orecchio del lettore e del critico italiani all'urlo dei maestri francesi. Confessa poi di aver letto London, lEstetica" di Croce (ma se ne pent), Barres, Saint-Beuve, Leopardi, Gide, Mallarm. Non privi di influenze furono certo i contatti con Saba, ma a volte potremmo chiederci in che cosa e in quanto l'uno sia debitore all'altro; li accomuna senza dubbio la "dissociazione" dall'ermetismo imperante, che potrebbe situare Penna, con Pasolini, in una scuola romana, cui accenna il Mengaldo (3) , un generico sfondo pa scoliano-crepuscolare, con debiti verso Govoni e Palazzeschi (ibidem). Altri (4) , per certa epigrammatica essenzialit, e per la solarit estiva di alcuni quadri individua ascendenza dannunziane. Per quel che riguarda colori e tematiche, l'Anceschi (5) trova connessioni in ambito figurativo con Watteau, Matisse e De Pisis, mentre Dario Bellezza, amico del poeta, sottolinea piuttosto la consonanza con la pittura di Scipione. Rigidi e schematici riferimenti sarebbero per da evitare in un autore cos nativo (naif, forse) e il Debenedetti (6) sottolinea infatti che in Penna la "concentrazione del segno" tale da far invidia a molti ermetici, pur restando nell'ambito della poesia di comunicazione. Ed questa forse la sua vera grecit, questo il suo fascino segreto: il breve segno significante; al di l di riferimenti a Saffo, Alceo, o forse a Mosco, Penna solo per questo "classico", come lo sono le ingenue divinit del suo olimpo suburbano. Non appare proprio opportuno, in considerazione di quanto si detto all'inizio, continuare a cercare di porre il nostro poeta in un loculo, anche se soltanto storico letterario, foss'anche un loculo di prima categoria: si continuerebbe a tradire la sua volont di vivere un'esperienza umana e poetica che deve concludersi, come tutte, senza "creare" alcunch: "Non la costruzione il lieto dono della natura. Un fiore chiama l'altro." Il "tempo" di Penna non storico, ma biografico; tempo l'alternarsi dei mattini, delle notti, delle primavere e delle estati perch le uniche storie accettate sono storie d'amore. In ci siamo lontani da Kavafis, pi vicino, per quanto attiene la storia, alla Bisanzio decadente che all'Alessandria della sua vita, anche se si voluta vedere in lui la storia come "maschera" (7) . Non v'ha dubbio tuttavia che, specie nella ritrattistica autobiografica di bei volti sorpresi per la strada, a volte i due poeti potrebbero essere confusi, e ci specie quando Penna indulge a certi suoi scherzosi arcaismi verbali. Penna invece assente dalla storia, giustificato e auto giustificato, come ribad il Debenedetti (8) . Giover quindi dedicarsi a isolare i temi fondamentali del nostro autore, trascurando volutamente di soffermarsi troppo sull'omosessualit, "fiero pasto" di troppe pruderes falsamente acritiche, fonte spesso di incomprensioni feroci di 2

tanto debole maschilismo o di dolciastre adesioni, puramente tematiche ma spesso altrettanto incomprensive. Anche se il fanciullo non fosse tale, dai versi del sensuale immoralista promanerebbe comunque, quasi feroce, l'insopprimibile istintivit dell'amore. Ci non ostante, non ci si pu esimere dal rilevare (anche per il rispetto dovuto a uno strutturalismo ormai in fin di vita) che il vocabolochiave "ragazzo" nelle diverse accezioni, spesso in quella dispregiativa ma non priva di segreta gratitudine, di "ragazzaccio". Il ragazzo la forma, il "corpo presente" dell'amore ed , di volta in volta, fanciullo, operaio, garzone di fornaio, cameriere, giovanotto, "giovin signore", barbiere, ciclista, caldo animale...

"Ho puntato la brama in ogni luogo. Sotto la pioggia ho perduto il mio seme. Ora si gonfia il fiume e in me fiorisce - straripa il fiume - un desiderio nuovo."

L'amore il tema dominante, sentito come calda e animale fisicit, come sensualit non dannunziamente ricercata, ma data a priori, formale all "'essere", il centro della vita, connessa prepotentemente al gioco dei mattini torpidi e delle sere inquiete di aneliti, dei pomeriggi in cui anche la malattia rinfresca ricordi non rimossi:

"Malato nel meriggio, in un solfeggio di monete che battono il selciato. Su questo letto quali dolci fichi nel sole delle donne, indi appassiti."

Questo amore, proprio in quanto greco, solare, non pu essere che giovane, centro della centralit dell'essere, centro dell'uomo "centrico", ma al mondo non pu non proporsi come problema:

"Il problema sessuale prende tutta la vita sar un bene o sar un male mi domando a ogni uscita."

Non credo che, dopo la lettura di questi ultimi versi debba necessariamente porsi la domanda se in Penna sussista o meno senso di colpa; a volte i suoi versi potrebbero indurci a crederlo, ma proprio il suo totale abbandono alla vita, la constatazione dell'animale indomabilit dei sensi, che rende il problema improponibile anche per noi lettori, cos come non ci si pu chiedere se la vita stessa, che sensualit, sia male o bene.

Vita e sensualit, giovinezza e peccato sono una sola cosa:

"Forse la giovinezza solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi."

e il dolore inevitabile conseguenza della necessit di "osare", osare l'amore, a qualsiasi costo:

"Amore, amore lieto disonore."

Quindi la vita anche inevitabile dolore:

"Dacci la gioia di conoscer bene le nostre gioie, con le nostre pene."

Qui trovano giustificazione logica le giustapposizioni apparentemente contraddittorie quali "calmo trasalivo", "... bruci tranquilla la mia vita", "... sui campi desolati lieto e triste..." E la conclusione quindi non pu che essere sentenziosamente positiva, l'amore assolto, dopo il dolore la vita riprende: "se taluno consente, com' bella la vita.", oppure:

"Il mondo, che vi pare di catene, tutto tessuto d'armonie profonde."

Si diceva del paesaggio e dei tempi dell'anno e dell'amore, la natura qui amica come fu probabilmente nell'inconscio leopardiano, e Penna aderisce ad essa edonisticamente, coi sensi desti. l una natura fatta di fiumi deserti, di strade brillanti nella notte, di albe piovose, mattini d'ottobre, sabbia, mare, sole soprattutto. I due termini: notturno e meridiano, piovoso e solare, non si contrappongono ma si completano compenetrandosi anche nelle loro tradizionali metafore sessuali, esattamente come il piacere e il dolore, quasi a formare il simbolo cosmico yin-yang della tradizione estremo orientale. La citt spesso nemica, piovosa o buia come nella pittura di Sironi, mentre i paesaggi solari richiamano a volte Carr o Rosai. I colori, nella panoplia dei sensi, 4

si accompagnano agli odori: "... mi persuade alla fuga un odore triste di serva nel giorno festivo"

Natura e senso sono anche i cieli delle stagioni, e particolarmente quello estivo che richiama il D'Annunzio alcyonico (9) ; anche questa un'estate mitica, ma qui non mitologica. Per quanto si sia parlato di un Penna alessandrino, cosa che infastid l'autore stesso (10) , egli ci appare esclusivamente "greco" anche perch nulla in lui si discosta dall'erotismo idillico che caratterizza la patria ideale della poesia. Ma l'estate spesso al crepuscolo:

"Deserto il fiume, e tu lo sai che basta ora con le solari prodezze di ieri. Bacio nelle tue ascelle, umidi, fieri, gli odori di un'estate che si guasta."

Le stagioni, il tempo, le esperienze, sono circoscritte dai punti cardinali, direzioni infinite entro le quali si muove la poesia e il movimento vitale dell'amore (cimitero dell'est, il vento occidentale); il movimento ricerca continua e nomade di ogni possibilit di osare, di amare. Ecco perch ricorrono cos frequenti i simboli del movimento, e sono il treno, la bicicletta, la stazione, la strada polverosa di un'Italia che non c' pi e che Pasolini rimpiangeva.

"Un fanciullo correva dietro a un treno. La vita, mi gridava, senza freno. Salutavo, ridendo, con la mano e calmo trasalivo, indi lontano."

Il valore della chiave "movimento" consente un breve trapasso all'analisi costruttiva o, se si vuole, stilistica. Essa evidenzia una grandissima libert di formule e soluzioni, un gioco a volte parossistico, a volte rischioso, di rime, allitterazioni, assonanze:

"La tenerezza tenerezza detta se tenerezza cose nuove dtta."

Ripetizioni, endecasillabi, ottonarii, versi sciolti, ora aspri e trascurati, ora quasi stucchevolmente musicali, a volte consonanti con l'esasperazione di alcuni toni che il De Michelis defin sgradevoli" e "smancerosi" (11) . La rima spesso ironia e gioco autocritico nei confronti della debolezza d'amore, mentre nella cura di alcune clausole si risente addirittura un Dante forse Ideale o Leopardi. Nella attenzione ad alcuni passaggi simbolici risentiamo Pindemonte, in certi ritmi addirittura il Monti. Altrove troviamo sillabe pascoliane e musicalit dannunziane, ma il tutto fuso in una "satura" stilistica talmente sconvolta e affascinante nella sua ingenuit, da far dimenticare ogni colpa letteraria o culturale. Anche la tendenza a forme gnomiche gioco, un ulteriore osare per cui di fatto si nega l'epigramma con l'epigramma, la sentenziosit con la sentenza, anche a causa di quei velocissimi trapassi sottolineati dal De Robertis (12) . Come potremmo, ammesso che ci sia importante, possibile o opportuno, definire infine Sandro Penna? Una tra le voci maggiori del '900, come disse Pasolini? Un piccolo miracolo, come disse Saba? Un fiore senza gambo, come afferm Bigongiari? Un alessandrino, un poeta della Palatina, o meglio ancora della Planudea, un mulo di Saffo, di Alceo, di Anacreonte? Un personaggio di Durrell, forse? Le risposte possibili sono molte. Di certo fu un poeta nativo, libero, colto, uno zingaro dell'eros a proprio agio in un mondo senza storia. Un antico, forse pi barbaro che greco, ritornato a noi senza le mediazioni e i compromessi che ogni critica impone a coloro che Montale definiva "i poeti laureati". Il suo alloro, se c', non fu comprato.

Note: (1) G. MARIANI, Sandro Penna in "I Contemporanei", Marzorati, Milano, 1969 p. 49 l; (2) E. PECORA, Postazione a "S. PENNA, Confuso Sogno", Garzanti, Milano, 1980, p. 141; (3) V. MENGALDO, "Poeti del 900" Mondadori, Milano p. 734; (4) G. MARIANI, ibidem, p. 492; (5) L. ANCESCHI, "Saggi di poetica e di poesia" p. 257; (6) G. DEBENEDETTI, "Poesia italiana del 900", Garzanti, Milano 1974, p. 173; (7) J . BRODSKIJ, "Il canto del pendolo", Adelphi, Milano p. 283; 6

(8) G. DEBENEDETTI, ibidem, p. 179; (9) G. DEBENEDETTI, ibidem, p. 492; (10) C. GARBOLI, Postfazione a "S. PENNA Stranezze", Garzanti, Milano, 1976, p. 131; (11) E.DE MICHELIS, "Narratori al quadrato", Nistri-Lischi, Pisa 1962 p. 144; (12) G. DE ROBERTIS, "Altro Novecento", Le Monnier, Firenze, 1962, p. 62;

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