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TEORIA DELLA VISIONE

COME TEORIA DELLA CONOSCENZA


Les vrais philosophes passent leur vie ne point croire ce quils
voient, et tacher de deviner ce quil ne voient point. Questa sin-
golare affermazione di Fontenelle, nella premire soire degli Entretiens
sur la pluralit des mondes del 1686, serviva appunto a spiegare in breve
a una dama, durante una dotta passeggiata in un parco al chiaro di
luna, quale fosse la situazione della filosofia e della scienza delle-
poca
1
. Tutta la filosofia, aggiungeva, fondata su due condizioni
opposte: sul fatto che lumanit ha esprit curieux, istinto alla curiosit,
e les yeux mauvais, vista difettosa
2
. La nuova scienza aveva infatti posto
in irrimediabile contraddizione voglia di conoscere e possibilit di
vedere, cognitio e visio, nel momento stesso in cui la scienza meccani-
cista aveva affermato che ci che vediamo tuttaltra cosa da ci che
la realt in s
3
. La priorit della visione come testimonianza certa
di conoscenza, uno degli antichi fondamenti della gnoseologia, era
posta in dubbio dalla domanda: ci che si vede ci che esiste real-
mente? Domanda un po sconcertante, ma conseguente alla critica
della percezione sensibile svolta in un sessantennio da Galilei
4
, da
1. B. de Fontenelle, Entretiens sur la pluralit des mondes, in uvres, I, Paris 1794,
206 (ed. R. Shackleton, Oxford 1955, 18).
2. Fontenelle, Entretiens, 206: Toute la philosophie [] nest fond que sur
deux choses, sur ce quon a lesprit curieux et les yeux mauvais [] on veut savoir
plus quon ne voit; cest-l la difficult.
3. La filosofia meccanicista aveva insegnato che ce quon voit... on le voit tout
autrement quil nest. La natura, dice Fontenelle, come un grande teatro, un
grande spettacolo di gradevoli ma fittizi scenari, mentre ci che muove il tutto
un segreto apparato di macchine, che rimane celato alla vista e in nulla somiglia
alla scena: Sur cela je me figure toujours que la Nature est un gran Spectacle qui
ressemble celui de lOpera. Du lieu o vous tes lOpera vous ne voyez pas le
Thatre tout--fait comme il est; on a dispos les Dcorations et les Machine pour
fair de loin un effet agrable, et on cache votre vu ces rous et ces contre poids
qui font tous les mouvemens (Fontenelle, Entretiens, 206).
4. G. Galilei, Il Saggiatore, Roma 1623, 48: Ma che ne corpi esterni, per ecci-
tare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richieggia altro che grandezze, figure,
9
Descartes
5
, da Locke
6
, critica che aveva rotto la continuit tra mondo
reale e rappresentazione dei sensi, tra qualit primarie inerenti log-
getto e qualit secondarie inerenti il soggetto. N si trattava pi delle
tradizionali aporie scettiche sullinganno dei sensi (sul tipo de il
remo spezzato nellacqua), ma qualcosa di pi radicale, che non
poneva in forse segmenti privilegiati ma pur sempre limitati della
nostra percezione, ma poneva in scacco la totalit dei sensi nel
momento in cui si affermava che laccertamento, anche il pi cor-
retto, della nostra percezione non va al di l delle apparizioni
interne della nostra mente e del nostro cervello. Tra linterno e le-
sterno non c rispecchiamento, ma semmai analogia inducibile per
via di ragione. Fuori del nostro pensiero, affermava Descartes, non vi
nulla che sia simile (semblable) a ci che noi concepiamo come idea
di suono, di sapore, di odore, o, per ci che ci riguarda, di colore, di
calore, di luce. E proprio ne Le Monde ou Trait de la lumire e nella
Dioptrique, cio in trattati di teoria della luce e della visione, Descar-
tes aveva criticato e respinto un punto centrale della precedente teo-
ria della percezione visiva e, quindi, della conoscenza: il rapporto
appunto di somiglianza (ressemblance), di specularit di immagine, tra
oggetto materiale che sollecita i sensi e lidea che ce ne formiamo.
Nel quarto discorso della Dioptrique egli ad esempio affermava:
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moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via gli
orecchi, le lingue e i nasi, restino bene le figure, i numeri e i moti, ma non gi gli
odori n i sapori n i suoni, li quali fuor dellanimal vivente non credo sieno altro
che nomi [] molte affezioni che sono reputate qualit risedenti ne soggetti
esterni, non nno veramente altra essenza che in noi, e fuor di noi non sono altro
che nomi [] (Le opere di Galileo Galilei, a c. di A. Favaro, VI, 350).
5. R. Descartes, Le monde ou Trait de la lumire, I (A. T. XI, 3-4): Me proposant
de traiter icy de la Lumiere, la premiere chose dont je veux vous avertir, est, quil
peut y avoir de la difference entre le sentiment que nous en avons, cest dire
lide qui sen forme en nostre imagination par lentremise de nos yeux, et ce qui
est dans les objets qui produit en nous ce sentiment, cest dire ce qui est dans la
flme ou dans le Soleil, qui sappelle du nom de Lumiere. Car encore que chacun
se persuade communment, que les ides que nous avons en nostre pense sont
entierement semblables aux objets dont elles procedent, je ne voit point toutesfois
de raison, qui nous assure que cela soit; mais je remarque, au contraire, plusieurs
experiences qui nous en doivent faire douter.
6. J. Locke, An Essay concerning Human Understanding (1688), II, viii, London
1765, 25: But our senses, not being able to discover any unlikeness between the
ideas produced in us, and the quality of the object producing it, we are apt to
imagine that our ideas are resemblances of something in the objects, and not the
effects of certain powers placed in the modification of primary qualities, with
which primary qualities the ideas produced in us have no resemblance (ed. A. C.
Fraser, I, 181).
10
Il faut, outre cela, prendre garde a ne pas supposer que, pour sentir, lame
ait besoin de contempler quelques images qui soyent envoyes par les obiects
iusque au cerveau, ainsi que font communement nos Philosophes; ou, du
moins, il faut concevoir la nature des ces images tout autrement quil ne font.
Car [] ils ne considrent en elles autre chose, sinon quelles doivent avoir
de la resemblance avec les obiects quelle representent
7
.
E non mancava di prendere di mira esplicitamente la teoria scola-
stica delle species intentionales, che era rimasta sino allora un indiscusso
fondamento della teoria della percezione e della visione:
En suite de quoy vous aurs occasion de iuger, quil nest pas besoin de
supposer quil passe quelque chose de materielle depuis les obiects iusques a
nos yeux, pour nous faire voir les couleurs et la lumiere, ny mesme quil y ait
rien en ces obiects, qui soit semblable aux ides ou aux sentimens que nous
en avons Et par ce moyen vostre esprit sera delivr de toutes ces petites
images voltigeantes par lair, nommes des espces intentionnelles, qui travaillent
tant limagination des Philosophes
8
.
Teoria delle species volteggianti che, tre secoli prima, un esempio di
Nicola di Autrecourt esponeva con icastica efficacia: la ragione per
cui vediamo una montagna di lontano che essa causat quasdam rea-
litates quas vocant species, et illae multiplicant se per totum medium
[] donec veniant ad visum
9
.
Se parto da questo confronto, da questa consapevole linea di frat-
tura con la teoria antica e medievale del vedere come conoscere,
perch forse di qui meglio si apprezza il valore unificante e di lunga
durata di un concetto centrale di questa teoria, su cui vorrei concen-
trare la mia relazione: cio il rapporto di ressemblance, di similitudo, tra
forma fisica e figura mentale, tra ed , rapporto che aveva
sorretto da millenni la convinzione che il modo pi completo e alto
di conoscere quello di vedere
10
. Un rapporto tra vedere e conoscere
che lantica teoria della conoscenza e della percezione aveva tenuto
strettamente unito proprio nel concetto di che indicava ad un
tempo limmagine visiva e lidea mentale, a implicita garanzia dellu-
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
7. Descartes, La Dioptrique, Discours IV (A. T., VI, 112).
8. Descartes, ibid., Discours I (A. T., VI, 85).
9. Tractatus universalis, I, prol. 2, ed. J. R. ODonnell, Mediaeval Studies, 1 (1939),
189.
10. Importanti considerazioni intorno alla concezione arcaica dellatto del
vedere svolge B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it., Torino
1963, cap. I, Luomo nella concezione di Omero, 20-24.
11
niformit ontologica tra cosa veduta e cosa conosciuta. Ed interes-
sante notare, dalla stessa documentazione di Snell, il graduale processo
di astrazione e riduzione dei verba videndi dallet arcaica allet clas-
sica, la prima che tende a denotare ogni particolare aspetto del vedere
con uno speciale verbo, la seconda che si avvale di un pi ristretto
numero di verbi ma arricchiti di connotazioni. In et omerica la teo-
ria emissiva dei raggi visivi, probabilmente la pi arcaica, produce
verbi con speciale denotazione attiva come , che non indica
il puro vedere, ma il guardare con forte valenza proiettiva, unemis-
sione penetrante dello sguardo, quanto dire lampeggiare, irrag-
giare con la vista
11
. Caso analogo allinglese to glance o al tedesco
blicken, che in origine significava irradiare dunque lampeggiare con
gli occhi, in affinit con il termine Blitz, lampo, Blak fumo di un
lume che fila, blaken filare sfiaccolare di un lume. Lo stesso si dica
per i, che ha la radice - di o (lux) bianco, can-
dido, splendente e che connota piuttosto il brillare dello sguardo,
il guardare con occhio luminoso. Il linguaggio della visio sembra
dunque proporre due versanti, da un lato quello passivo e non inten-
zionale del vedere come atto del contemplare, nel senso di ricevere
e rispecchiare ci che gli oggetti esterni propongono alla vista, dal-
laltro quello attivo del guardare, del mirare intenzionale dello sguardo,
che si proietta allesterno e investe con gli occhi le cose. Doppia
nozione che ben rispecchia la duplice teoria della visio come rice-
zione di raggi riflessi dalle cose agli occhi o come emissione di raggi
visivi dagli occhi alle cose. Un doppio movimento che in et poste-
riore si fissa essenzialmente nella polarit dei verbi i contem-
plare e scrutare con lo sguardo e, nel mezzo, come atti del-
laffacciarsi della vista sulle cose, o0 e /i, che implicano comun-
que il vedere per conoscere. Baster per questo ricordare la frase di
esordio della Metafisica di Aristotele: Tutti gli uomini desiderano per
natura conoscere (Omnes homines natura scire desiderant, secondo
la vulgata medievale), dove conoscere o scire era espresso dal verbo
/, cio acquisire idee mediante la sensazione della vista
12
. E Ari-
stotele aggiungeva che segno di questo desiderio era lamore per le
sensazioni in s, indipendentemente dallutile, e che tra tutte la pi
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11. In Omero o il serpente dallo sguardo sinistro, Gorgone ha il terri-
bile sguardo che oui c saetta fuoco con gli occhi, (Od. 19,
446) mentre laquila o:c infigge lo sguardo acutissimo (Il. 17,
675) con occhio penetrante.
12. Aristotele, Metaphysica, I i 980a 1.
12
amata era quella mediante gli occhi (o c ouuo)
13
. Concetto
elevato e astratto della funzione degli occhi e della vista, tra i cinque
sensi quello pi lontano dal tatto e dalluso diretto delle cose: il
vedere per eccellenza acquisire idee e conoscenza senza immediate
finalit strumentali
14
. Del resto questa unione tra vista, immagine e
idea e questo privilegio conoscitivo del vedere erano gi fissati nel
fondo della lingua greca, appena si consideri che una stessa radice

aveva generato sia / ed i come immagine-idea, sia la corri-


spondente reificazione visiva, simulacro-idolo sia appunto
il verbo i vedere e il suo aoristo i aver visto e dunque,
conoscere o sapere. Una radice passata a quella latina vid- che a
sua volta aveva generato il verbo video, e i sostantivi visio e visum,
come pure idea, idolum, tutti, come si sa, di forte valenza gnoseologica.
Ma in questo passaggio al latino, tra le molte forme concorrenti alla
resa di i-/ il termine species ad assumere, oltre al significato
di forma e idea, un rilevante valore nella teoria della conoscenza
e della visione e nella dottrina medievale delle species. Ed opportuno
sottolineare che species deverbale di specio
15
, e che neppur esso ha
valore generico di vedere, ma quello specifico (e intensivo in specto)
di guardare attentamente, osservare, scrutare per acquisire noti-
zie, e che genera forme come specula punto dosservazione, speculor
spiare stare in agguato ovvero vigilare esplorare (speculator la
spia, lesploratore o losservatore di vedetta), e ancor pi specula-
tio, che transita dallatto strumentale dello spiare per carpire notizie
occulte del nemico a quello gnoseologico di esplorare, indagare con
la mente ci che rende occulto il vero, scovare e seguire le tracce della
verit, riflettere come uno speculum immagini e idee. Ma specio invade
anche lambito sacro della mantica (anche qui da uo cono-
scere, imparare), della visione divinatoria, cio dello scrutare i segni
per conoscere in anticipo il futuro, fissandosi nel linguaggio tecnico
degli aruspici e degli auspici col suffisso -spex e -spicium e che genera
haruspex, haruspicium, auspex (
=
colui che spicit aves) e auspicium,
come pure extispex, extispicium cio colui che scruta o il corrispon-
dente rito dello scrutare le interiora degli animali.
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
13. Ibid., I i, 980a 1-4.
14. Platone nel Timeo (47 ab) afferma che il pi grande beneficio gli occhi
come gran dono largito dagli Dei contemplare gli astri ed esercitare la filosofia.
15. A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire tymologique de la langue latine, Paris 1954,
639-40; A. Walde, J. B. Hoffmann, Lateinisches Etymologisches Wrtebuch, II, Heidel-
berg 1954, 570.
13
Proprio perch nato nel contesto di una famiglia linguistica forte-
mente connotata dal vedere come inspectio, come tensione e volont
di scrutare, il significato di species assume e conserva unimportante
connotazione intenzionale. Essa limmagine esterna che attiva un
processo di attenzione ad aver notizie, a indagare sul significato del-
loggetto. Tra visio e species, tra soggetto e oggetto, tra interno ed
esterno, si instaura un rapporto polare e dinamico di intentio, di ten-
sione del soggetto a interrogare e delloggetto a spiegare. la species,
infatti, che garantisce il transito inalterato dellimmagine dalloggetto
veduto allorgano della visione fino alle facolt mentali, in un pro-
cesso di graduale smaterializzazione che conserva lo schema visivo
proprio in virt dellintentio, in altre parole della proiezione eidetica
e concettuale che comunica, significa e spiega loggetto alla
mente. Proiezione eidetica come itinerario intenzionale della species
(per questo detta dai medievali intentionalis, o semplicemente intentio)
che per gradi trascrive la , o forma concreta, in o idea-
concetto, mantenendo con ambedue un rapporto bifronte. In tal senso
tra i molti significati di species primario quello di forma, di silhouette
che si disegna attorno alloggetto, contorno della figura della quale
racchiude le parti, e che certifica per congruenza della somiglianza o
dissomiglianza tra le cose
16
. Dice Ugo di Honau: Species enim
appellatur forma cuiusque et circa aliquid constans figura secundum
quam res maxime similes vel dissimiles esse congnoscuntur. Dicitur
etiam species quod supponitur generi secundum quod philosophus de
speciei tractat. Ab hac significatione translatum est nomen ad usiam
principii
17
; e Giovanni di Salisbury: species [] ab institutione
forma significat, qui in liniamentis membrorum consistit [] Hinc
autem sumptum est ad significationem eius quod in quid de differen-
tibus numero praedicatur
18
. La species dunque anzitutto limmagine
concreta di un oggetto, la forma-. Ma poich accomuna per
somiglianza gli oggetti conformi e discrimina per dissomiglianza gli
oggetti difformi, essa diventa forma-, cio Idealtypus o marchio
ideale o concetto che delimita la classe di tutti gli enti conformi a
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16. P. Michaud-Quantin, Les champs smantiques de species. Tradition latine
et traduction du grec, in Etudes sur le vocabulaire philosophique du Moyen Age, avec
la collaboration de M. Lemoine, Roma 1970, 113-50.
17. Liber de diversitate naturae et personae proprietatumque personarum [c. 1180], c.
31, ed. N. Hring, Archives dhistoire doctrinale et littraire du Moyen Age, 29 (1962)
174-75.
18. Giovanni di Salisbury, Metalogicon, III 1, ed. C. C. I. Webb, 120-21.
14
quello schema visivo (retinico) o eidetico (mentale). In pi, proprio
perch identifica la similitudo costante di un gruppo di enti, essa passa
a definire ci che non varia in quel gruppo di enti, cio la loro
essentia, substantia o . Per successivi passaggi, la species da imma-
gine sensibile (Socrates) diviene schema eidetico (homo) e infine con-
cetto astratto (humanitas), che pu divenire in senso logico, predicato,
o in senso ontologico, differenza specifica di una famiglia o pluralit
di enti collegati tra loro per similitudo e per essentia. La species visiva
mette capo cos ad un triplice valore: gnoseologico, logico e ontolo-
gico. Sta, di fatto, comunque, che la species, sia essa immagine singola
denotante un singolo oggetto o concetto ideale denotante una classe
di oggetti, rimane in ambedue i casi, secondo un principio che risale
a Platone e alla metafisica delle idee-modello, uno schema visivo.
Modello di cui la species visiva deve conservare copia inalterata nel
transito dalloggetto alla mente. del resto sulla garanzia di questo
intatto trasferimento per somiglianza che la species sensibilis pu
diventare species intentionalis e concetto. Condizione della veritas pur
sempre la adaequatio intellectus ad rem, e tale adaequatio, come ricorda
Tommaso, garantita dalla omogeneit tra le forme sensibili o astratte
da materia percepite dai sensi e le forme immateriali percepite dal-
lintelletto nella loro nuda essenza (ad nudam quidditatem)
19
.
Ma qual propriamente il meccanismo capace di questo intatto
trasferimento? Lelaborazione di questo meccanismo risale a una
riformulazione stoica della teoria peripatetica della percezione, elabo-
razione che linfluenza dello stoicismo, greco e romano, nella tradi-
zione tardoantica e cristiana o su ottici teorici come Alkindi, auto-
rizza a considerare con particolare attenzione
20
. Per Sesto Empirico
gli stoici Zenone e Cleante consideravano la rappresentazione del-
loggetto come una
21
cio una impressione nella-
nima, come si traduce normalmente. Ma, a ben vedere, il termine
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
19. Tommaso dAquino, Quaestiones de veritate, 10, a. 6 ad 1.
20. Le citazioni sono da H. Von Arnim, Stoicorum veterum fragmenta, 3 voll. e 1
vol. di Indices, Stuttgardiae 1903-1905, 1924 (ed. anast. 1964) indicate secondo
norma dalla sigla SVF seguita dallindicazione del volume e il numero del fram-
mento.
21. SVF I, 58, la stessa espressione ripetuta da Sesto Empirico in SVF I 484,
II 56, da Plutarco in SVF II 847, da Diogene Laerzio e Alessandro di Afrodisia (De
anima, 68, 11 Bruns) in SVF II 53, da Diocle di Magnesia secondo Diogene Laer-
zio in SVF II 55. Da notare che era termine ricorrente nel De anima di Ari-
stotele a proposito della percussione impressa nel suono e nella fonazione (II 8,
419b 12, 24; 420a 20, 24; 420b 14, 31; 421a 31).
15
usato, , ricco di implicazioni teoriche e tecniche: qui,
infatti, impressione vale percussione che imprime un marchio, cio
propriamente timbratura; , infatti, vale calcare o colpire,
dare un colpo secco come nel battere moneta, e insieme il
calco o il colpo e il suo effetto, cio lorma o limpronta lasciata dalla
. Perci non significher il semplice atto di calcare o
colpire, ma il processo del calcare o colpire lasciando un marchio o
unimpronta, come fosse un sigillo. E sigillo, infatti, laltro termine
usato nella teoria stoica della conoscenza. Sigillo in greco detto
, che in origine indicava la gemma o la pietra di un anello
() con sopra incisa unimmagine. Questa immagine incisa
in rilievo o intaglio, sia le autorit che i sovrani la imprimevano co-
me sigillo-matrice su pezzi di materia molle (cera, argilla o piombo)
che, fissati sui documenti ufficiali, divenivano emblema, o sigillo-
impronta, della loro autenticit. Il trasferimento dellimmagine dal
sigillo matrice al sigillo impronta conferiva a questultimo tutta lef-
ficacia visibile di una manifestazione certificata del potere e di veri-
tiera emanazione da esso di una volont fedelmente documentata, a
cui la ragione indotta a dare lassenso. Il rapporto di similitudo tra il
sigillo matrice, come typus o imago-exemplar, e il sigillo impronta,
come typus o imago exemplata, non si riduce ad una coincidenza di
forme, ma ad un trapasso dalla prima alla seconda di una virtus aucto-
rizandi in forza della quale la seconda legittimata a stare in luogo
della prima. La metafisica dellimmagine comporta sempre un tra-
passo dallarchetipo allectipo di una similitudo di valore magico-
sacrale
22
. Ci che prova la diretta autenticit dellatto la fedelt del
calco. Non quindi per mera metafora, ma per la capacit evocante
di una procedura di alto contenuto simbolico, che nelle testimonianze
stoiche sullimprimersi delle immagini nellanima si fa esplicito rife-
rimento al modello della sulla cera lasciata dal castone del-
lanello (), tanto che ci si preoccupa di specificare il doppio
tipo dimpronta lasciato sul sigillo, cio negativo e positivo
, e per incavo e per rilievo
23
. Non a caso, secondo unaltra
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22. Una concesione analoga rileva W.Wackernagel, Ymagine denudari. thique de
limage et mtaphysique de labstraction chez Maitre Eckhart, Paris 1991, 15-16, quanto
alluso altotedesco di bilde (latinizzato in ratio, forma, phantasma, species), per cui in
et preeckhartiana bilidi avrebbe designato una forza magica promanante dallim-
magine archetipo (Urbild), unaura magico-spirituale ad essa coessenziale.
23. Cos Sesto Empirico in SVF I 484 e II 56, Diogene Laerzio in SVF II 53.
Alessandro di Afrodisia (De anima, 72, Bruns) in SVF II 58 specifica in pi che il
16
testimonianza di Sesto Empirico
24
, Zenone per definire la condizione
recettiva della fantasia catalettica (cio la facolt deputata a ricevere le
impressioni dei sensi esterni) usava il verbo i, cio
latto di imprimere il sigillo (i) ma aggiungendo ad un
tempo la dinamica del processo, dal moto di provenienza (oo) a
quello di apposizione (): la provenienza loggetto da cui la segna-
tura espressa e deriva; la destinazione la fantasia verso cui la segna-
tura aderisce e simprime.
Il meccanismo dellintatto trasferimento della forma, dalloggetto
allimmagine visiva, e di qui al suo referente mentale, dunque quello
del calco, della timbratura, del sigillo. Cicerone ad affermare che per
Zenone la definizione di visum, traduzione latina di fantasia, era ex
eo quod esset, sicut esset [cio da parte dellesistente, cos come esi-
ste fuori della mente] impressum et signatum et effictum
25
. Si ba-
di bene alla logica della progressione, il visum-i anzitut-
to impressum (effetto della :), poi signatum (effetto dello
i su una sostanza molle), infine di necessit effictum, cio
plasmato con una effigies, una imago (ui) conforme alloggetto
cos com (sicut esset). Progressione testimoniata da altri fram-
menti
26
ma rispecchiata pressoch fedelmente in un passo di Diogene
Laerzio
27
.
La versione sensistica che di tale processo dava Zenone e ancor pi
linterpretazione puntigliosamente materialistica
28
che ne dette
Cleante sembrerebbero limitare la validit del modello per teorie
della conoscenza fondate sullacorporeit delle species. Ma gi Cri-
sippo sent il bisogno di tradurre la teoria in un diverso linguaggio,
quello aristotelico, interpretando la : come i, vale a
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
calco negativo o positivo altro non che lo schema dellimprimente prodotto sul-
limpresso, come quelli che vediamo sui sigilli (i), cio lantefatto di una
carta didentit.
24. SVF I 59.
25. SVF I 59
=
Acad. pr. II 18.
26. SVF II 53, 65.
27. SVF I 59. In Diogene Laerzio VII 50 si ha la serie delle azioni subite dalla
fantasia, che : impressa (u
=
pressata dalla :), segnata o
sigillata (u
=
marcata dallo i), e plasmata in immagine
(uuu composto di uo, impasto, plasmo, nel senso di raffigurare
in argilla, gesso, cera); da notare che uo ritraggo plasmando, d luogo ad
ui cio modello plasmato, immagine, che ha nel latino classico la tra-
slitterazione imago e il calco effigies, e in quello medievale il monstrum echmagium
(cfr. Alberto Magno, Phys., II ii 2; De Causis, I i 3, II ii 39).
28. SVF I 484, la giusta definizione di M. Isnardi Parente nella Introduzione
a Gli Stoici. Opere e testimonianze, Torino 1989, 19.
17
dire come alterazione, modificazione della disposizione della fan-
tasia e dellanima
29
. Problema di linguaggio, appunto, che eliminava il
concetto di impressione materiale sullanima senza toccare il mecca-
nismo del processo, che comportava il trasferimento, dalla forma cor-
porea delloggetto alla vista, di uneffigies, unimago, una species che,
seppur incorporea, rimaneva comunque uno schema fedele allar-
chetipo, al typus, al sigillum matrice.
Al riguardo basta ricordare che lo stesso modello e la stessa termi-
nologia erano gi saldamente presenti in Platone e nella tradizione
platonica, ossia in una filosofia non sospettabile di materialismo sen-
sistico. Nel Teeteto, Platone aveva introdotto la celebre e icastica me-
tafora della memoria come massa di cera plasmabile e imprimibile
(ui) in cui:
impresso (o) tutto ci che vogliamo ricordare di ci che
vediamo o ascoltiamo o noi stessi pensiamo, e la poniamo a supporto delle
nostre sensazioni o dei nostri pensieri come quando apponiamo segni coi
sigilli degli anelli (i); e ci che plasmato in immagine (u j) lo
ricordiamo e sappiamo finch il suo simulacro () presente, mentre
ci che viene cancellato o che non pu venire plasmato o lo dimentichiamo
o semplicemente non ne abbiamo scienza
30
.
GIORGIO STABILE
29. SVF II 55 e 56. Aristotele in De anima III 12, 434b 25 ss. ricordava che gli
animali percepiscono non solo per contatto immediato ma anche a distanza. Ci
pu avvenire se sentono loggetto sensibile attraverso un intermediario, in quanto
questo impressionato e mosso dalloggetto sensibile, e lanimale dallintermedia-
rio. Come nel moto locale in cui il cambiamento prodotto dal primo movente
che spinge e non spinto, lultimo soltanto spinto e non spinge, mentre il mezzo
intermedio spinto e spinge, e ci avviene anche nella alterazione (oi)
della sensazione: per esempio se uno immerge qualcosa nella cera, il movimento
perdura fino a che non ha finito di immergere (435a 2-3); esempio analogo nel
caso della vista: laria subisce linflusso della figura e del colore a sua volta, que-
staria muove la vista come se trasmettesse il segno nella cera fino al limite oppo-
sto (435a 6-10). Da notare che in Cicerone, in cui permane il modello sensistico
(cfr. C. Lvy, Cicero academicus. Recherches sur les Acadmiques et sur la philosophie cic-
ronienne, Rome 1992, 212-4, 162), per influenza del linguaggio medico :
viene resa con pulsus, Plena sunt imaginum omnia; nulla enim species cogitari
potest nisi pulsu imaginum (De divinatione, II 67 137, ed. A. S. Pease, 567 e rinvii);
fac imagines esse quibus pulsentur animi (De natura deorum, I 107); visum obiec-
tum imprimet illud quidem et quasi signabit in animo suam speciem (De fato, 43).
30. Theaethetus, 191c 7-d 10, e vedi anche 193 b 10-c 6, che analizza latto del
riconoscimento (oc), come inversione del processo primario del vedere,
in quanto procede dalla memoria alla visione (o), facendo combaciare la
visione esterna con il segno (ui) impresso precedentemente sulla cera, cio
lorma interna (). In 194a 1-4, c 1-d 7 Platone insiste sul rapporto tra mag-
giore e minore saldezza dellimpronta, a seconda della qualit della cera-memoria,
e maggiore o minore veracit delle opinioni, vale a dire rapporto tra saldezza della
18
Tema ripreso nel De memoria et reminiscentia di Aristotele laddove
poneva il problema di com possibile la presenza dellimpressione in
assenza delloggetto, il trattenere in noi lassente. E rispondeva che
bisognava pensare allimpressione serbata nella memoria come ad una
pittura, un segno prodotto dal moto della sensazione, come fosse
unimpronta lasciata dalla percezione alla maniera di coloro che sigil-
lano con gli anelli
31
.
Ma, come affermava nel De anima parlando della sensazione in
generale, limpronta, proprio perch tale, priva di materia:
In generale, riguardo ad ogni sensazione, bisogna ritenere che il senso
fatto per accogliere le forme sensibili [cio le species come schemi retinici]
senza materia, come la cera accoglie il segno dellanello senza il ferro e loro,
prende cio il segno fatto con loro o col bronzo, ma non in quanto oro o
bronzo. Ugualmente ogni senso subisce lazione di ci che ha colore o sapore
o suono, ma non in quanto detto oggetto particolare, ma in quanto for-
nito di una tale qualit e secondo il suo contenuto intelligibile
32
.
Concetto pi oltre riassunto nella considerazione che lanima in
certo modo tutti gli enti
33
, in quanto per sentirli e conoscerli li assi-
mila a s. Ma siccome sensazione e conoscenza hanno di fronte a s
oggetti reali, la possibilit che assimilino o direttamente gli oggetti,
nella loro concretezza extramentale, o le loro forme (species), come
immagini reali ma prive di materia. Ad escludere che la mente assi-
mili gli oggetti basta la semplice considerazione che nellanima non
c la pietra ma la forma (species) della pietra. Quindi, nella visione,
la sensazione avviene estraendo dalloggetto la sola parte assimilabile
ad essa: limmagine retinica (species sensibilis) depurata dalla materia.
La vera e propria conoscenza avviene poi per successive depurazioni
ed estrazioni dallimpressione sensibile per opera dei sensi interni del-
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
visio e certezza della cognitio e quindi della scientia. L. Campbell, The Theaethetus of
Plato, Oxford 1883, 181-2, raffronta il tema della cera impressa con J. Locke, An
Essay concerning Human Understanding (1688), London 1765, II Of Ideas, x, Of Reten-
tion 4, 5; xxix, Of clare and obscure, distinct and confused Ideas, 3 (ed. A. C. Fraser, I,
195-6, 488). Egli nota che limmagine della massa di cera meno comune della
tabula cerata o rasa, e che denota dapprima la massa plasmabile e poi le
singole parti plasmate, cio i sigilli con le immagini impresse; per latto di sigillare
idee nella mente, rinvia anche a Phaedo, 75 d 1-5. Ne parla anche Aristotele in
Metaph. I 6, 988a 1.
31. De memoria et reminiscentia, 1, 450b 1-12 e v. anche 450b 15-6, 20-7.
32. De anima, II 12, 424a 17-24.
33. Ibid., III 8, 431b 21.
19
lanima. Dapprima limmaginazione preleva dal senso comune lim-
magine retinica, arricchita dalle informazioni degli altri sensi, la de-
pura dei tratti che la rendono icona del singolo oggetto, estraendone
unimmagine o forma pi generale, assimilabile alla mente (species
intelligibilis). Infine la ragione depura le species dellimmaginazione da
tutte le reciproche differenze, estraendone i soli tratti comuni e giun-
gendo allidea o forma universale.
Di qui le species vengono deposte e conservate nel forziere delle
conoscenze, il thesaurus memoriae
34
. La teoria dellabstractio non
quindi altro che una teoria della graduale estrazione, per cernita del
simile e scarto del dissimile, del materiale sensibile. In tal senso, attra-
verso locchio, la mente inghiotte e si nutre del reale, non diversa-
mente dal corpo che, ingerito cibo dallesterno, lo sottopone a suc-
cessive digestiones per estrarre da esso, separandole dai sedimenti estra-
nei, le parti simili ai differenti organi per nutrire le membra
35
. La
GIORGIO STABILE
34. De anima, III 8, 431b 24-432a 1. Cos, ad esempio, le immagini retiniche di
individui diversi, vengono dapprima assimilate e riassunte nello schema mentale
homo, e poi ancora assimilate nella idea universale e massimamente astratta di
humanitas, e tutte immagazzinate nella memoria che, in assenza degli oggetti reali,
ne fornisce le forme. La memoria perci un grande sostituto iconico del mondo.
35. Per la fisiologia antica e medievale, la nutrizione, cio lassimilazione del
cibo assunto dallesterno, si realizzava in virt di una successiva serie di cotture
(coctiones, cfr. Aristotele, Meteor., IV 2, 379b 18-380a 10; Part. An., II 3, 650a 2-32),
cio altrettanti processi di cernita, scarto, suddivisione e trasformazione degli ali-
menti (digestiones), fino a ottenere particelle simili alle diverse membra cui erano
condotte dal sangue (assimilatio). Tutto il dissimile veniva scartato, convogliato ed
espulso, in quanto sedimento estraneo, fuori del corpo. Non cera quindi nutritio
senza preventiva assimilatio tra alimenti ingeriti e membra. Dopo la preliminare
digestione nello stomaco, il siero nutritivo (o ), elaborato prima dallinte-
stino e poi dal fegato, giungeva al cuore. Nel cuore, per effetto di un ulteriore coc-
tio, questo siero si trasformava nel sangue che serviva come linfa nutritiva di tutto
lorganismo. Secondo Avicenna (De animal., III 3; Canon, I, fen 1, doctr. 4, c. 2) le
coctiones o digestiones erano quattro: la prima avveniva nello stomaco e nellinte-
stino, con la trasformazione in chimo; la seconda nel fegato, dove il chimo era tra-
sformato in sangue imperfetto; la terza nelle vene, dove il sangue, depurato dai
liquidi superflui (poi filtrati dai reni ed espulsi dalla vescica), era trasformato in
sangue perfetto pronto ad essere accolto dal cuore; la quarta ed ultima, avveniva
nelle diverse membra di destinazione, con un finale processo di assimilazione.Va a
questo proposito rilevata lanalogia tra assimilazione corporea del cibo e assimila-
zione cerebrale delle immagini. Nel medioevo il modello del cervello era rappre-
sentato da una serie consecutiva di celle o cavit, che dagli occhi giungevano alla
nuca e contenente ognuna una funzione cerebrale o senso interno (di regola
erano cinque, nella sequenza sensus communis, imaginativa, phantasia, cogitativa,
memorativa). Queste cinque celle avevano la funzione di elaborare o digerire le
species, dalla ricezione dellimmagine alla sua trasformazione in idea e al suo de-
posito nella memoria. Al riguardo singolare il fatto che nelle rappresentazioni
anatomiche e nella terminologia delle sue parti, il cervello, organo molle, viene
20
sapientia, del resto, piena capacit di cogliere il sapor delle cono-
scenze, mentre il convivio metafora deputata alla degustazione e
allassimilazione del sapere.
Comunque, la teoria dellastrazione attraverso lassimilatio rimane
fondata su un principio cardine delle teorie gnoseologiche greche,
quello della similitudo, per cui solo il simile pu conoscere il simile
36
.
Un principio che postula lomogeneit tra senziente e sentito
37
, tra
conoscente e conosciuto, tra soggetto e oggetto. Se i sensi, soprattutto
la vista, ritengono in s per somiglianza gli oggetti sensibili, allora la
sensazione non pu che essere forma dei sensibili, species sensibilium, e
la mente, in modo analogo, ritenendo in s per somiglianza tutte le
forme totalmente astratte, sar forma delle forme, species specierum
38
.
Non andr dimenticato che questa antica teoria del typus, delli-
mago, dellassimilatio, rielaborata dallo stoicismo
39
, influenza lantro-
pologia cristiana
40
e interferisce con il concetto biblico delluomo
imago Dei e con la interpretazione tipologica degli eventi del mondo.
Grande mediatore , agli inizi, Filone Alessandrino
41
. Una tradizione
che penetra nelle sette cristiane e nella patristica, in cui il vocabola-
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
in origine assimilato a una cavit digerente o addominale. Cfr. E. Clarke, K.
Dewhurst, An illustrated history of brain function, Oxford 1972 e La fabbrica del pen-
siero. Dallarte della memoria alle neuroscienze, Milano 1989, 84-88, catalogo dello-
monima mostra.
36. Aristotele, De anima, I 2, 405b 15-16.
37. Ibid., III 2, 425b 26 ss.
38. Ibid., III 8, 432a 2-3.
39. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it., I, Firenze
1967, 99-100, 113-14, per il typus e sigillo, 472 ss., per linfluenza della teoria di
Posidonio intorno al Sole-logos che assimila il tutto e la conseguente teoria della
simpatia universale, per cui ogni simile attrae il simile; vedi anche A. Siclari, Lan-
tropologia di Nemesio di Emesa, Padova 1974, 199-222.
40. Siclari, Lantropologia, 199-222.
41. Limmagine stoica della : j e quella platonico-aristotelica
della cera e del sigillo sviluppata con molta precisione da Filone Alessandrino, ad
es. in Quod Deus 43 (ed. A. Moss, Paris 1963, 82) dove detto che la rappresenta-
zione o fantasia una : j in quanto di ciascuna sensazione che pene-
tra in noi come un anello (:) o un sigillo (i) che vi plasmi e
imprima i propri caratteri (j), la mente, simile alla cera, accoglie e con-
serva nettamente presso di s limpronta (ui), finch lopposto della memo-
ria, loblio, non affievolisce e cancella il calco impresso, il typus (:). Per Filone,
in risposta alla : deriva in noi un appetito o inclinazione verso loggetto,
detta gi dagli Stoici ouj, che, come afferma un altro passo di analogo tema
(Legum allegoriae, I 28-30; ed. C. Mondsert, Paris 1962, 52-54) come unenergia
tonica (j :u), una tensione, che si instaura tra mente ed oggetto, analoga,
anche se di carattere affettivo, alla intentio gnoseologica e logica degli scolastici.
21
rio stoico diviene veicolo privilegiato di idee centrali
42
. Candido lA-
riano scrive a Mario Vittorino che:
Dicunt quidam generationem esse a deo iuxta nominatum typum. Deus enim
spiritus est. Spiritus autem naturam suam nunc intendit, nunc in semetipsum resi-
dit. Istius modi motum typum nominant. Quid deinde verum? Ab istius modi
motione repente erumpit filietas quaedam et haec est generatio a deo
43
.
Come si vede il movimento proprio dello spiritus Dei, e la stessa
eruzione della filiazione, concepito come quello della sistole e dia-
stole dello pneuma stoico, il cui genera una , un
moto di tensione che tiene assieme il cosmo. Ed detto typus proprio
in quanto esso comporta il doppio movimento di spinta e ritorno, di
colpo e ritrazione, generando un ritmo ciclico di andata e ritorno.
Ritmo che, appunto, fu detto typus anche dai medici
44
per indicare
ogni fenomeno (polso, decorso delle malattie, ecc.) che presentasse un
andamento di crescita e diminuzione, di tensione e rilasciamento, di
tesi e di arsi, di contrazione e dilatazione, ovvero di e di
, rispettivamente latinizzati in intentio e remissio. Typus implica
dunque una tensione verso, un vettore del tono, tanto che intentio
finisce per tradurre la dei trattati logici
45
, ben prima che il
termine venisse imposto dalle traduzioni latine dei filosofi arabi
46
. Il
senso originario di typus, inoltre, come ha mirabilmente mostrato K. J.
Woollcombe
47
, fu in grado di soddisfare lintera gamma dei significati
tipologici e figurali della esegesi biblica dei padri.
GIORGIO STABILE
42. P. Hadot, Typus. Stocisme et monarchanisme au IVe sicle daprs Can-
dide lArien et Marius Victorinus, Recherches de thologie ancienne et mdivale, 18
(1951) 177-87.
43. Ad Victorinum de generatione divina, 9 (P.L. 8, 1018B), cit. da Hadot 178.
44. Galeno, , c. 6 (ed. C. C. Kuhn, VII, 463).
45. Cosi traduce dal greco Boezio, In Isagogen Porphyrii commentaria, II 18
(CSEL 48, 117).
46. Lopinione comune che il senso gnoseologico di intentio derivi dalle tra-
duzioni latine del termine arabo mana, che appunto significa tendere, inten-
dere, fare uno sforzo, voler dire, significare, porre attenzione, ma non si
tiene conto che nella tradizione terminologica latina il termine era gi pronto e
di perfetta simmetria semantica, con le gi citate connotazioni sia del linguaggio
medico che di quello stoico e logico. Cfr. Ch. Knudsen, Intentions and imposi-
tions, in The Cambridge History of Later Medieval Philosophy, a c. di N. Kreztmann,
A. Kenny, J. Pinborg, Cambridge 1982, 480-95, che appunto erroneamente afferma
che lorigine del concetto araba. Cfr. anche lottimo libro di K. H.Tachau, Vision
and certitude in the age of Ockham. Optics, epistemology and the foundation of semantics
1250-1345, Leiden 1988, 11 ss.
47. Le sens de type chez les Pres, La Vie spirituelle. Supplment, n. 16, 15 feb.
1951, 85-100.
22
in tale contesto che sinnesta la tradizione della metafisica della
luce e dei prospettivisti. Tradizione imposta al medioevo soprattutto
da Agostino, la cui teoria dellilluminazione interiore rovescia i ter-
mini della gnoseologia antica, spostando lorigine vera dellimpronta
e del sigillo che impressiona la mente dalloggetto a Dio. Come ben
dice Tommaso la teoria agostiniana comporta uno spostamento di
veracit dalla visio sensibile alla visio intellectualis
48
. Di qui anche la sua
scelta della teoria emissiva dei raggi visivi. Dal fuoco celeste che abita
in noi: Unde et radii emicant oculorum et de cuius medio, velut cen-
tro quodam [] ad sensus ceteros fistulae deducuntur
49
.
La centralit divina come luce insieme emissiva ed assimilatrice
trova nello Pseudo-Dionigi Areopagita un autore capitale. La luce
simbolo che imprime negli esseri unordinata gerarchia il cui ritmo
scandito dalla partecipazione alla luce divina e la cui intentio [] est
ad Deum, ut possibile assimilatio et unio
50
. Non diversa la specu-
lazione di Scoto Eriugena, il cui neoplatonismo trova echi e riscontri
nelle scuole chartriana e vittorina del XII secolo. Decisivo tuttavia
il confluire del neoplatonismo arabo-giudaico di Alkindi, Avicenna,
Algazel, Avicebron. Una massiccia influenza che si riversa sul XIII
secolo soprattutto nella scuola francescana di Bonaventura e dei teo-
rici della luce e della prospettiva, e ancora in quella domenicana di
Alberto Magno e dei suoi epigoni della scuola renana, e non lasciando
immune neppure Tommaso dAquino. Influenza tanto massiccia che
qui possibile denunciarla solo in elenco, e che ricondurremo agli
aspetti che pi interessano il nostro tema.
Ancora una metafora di Platone ci aiuter in questo. Nella Repub-
blica afferma che esiste un modo mirabile per produrre il mondo e
cio catturarne le innumerevoli immagini, tutte e in una volta sola,
con uno specchio
51
. lideale del conoscere tutto come visione del
tutto, simul et semel, quanto dire visione istantanea, fuori del tempo.
Sta in questa immediata identit tra vedere e conoscere, uno degli
ideali del platonismo, e del platonismo cristiano. Una identit che non
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
48. 2. Modus quo sensus videt est in quantum species visibilis in actu per
lumen formatur in visu; unde transferendo nomen visionis ad intellectum, proprie
intelligendo videmus quando per lumen intellectuale ipsa forma intellectualis fit
in intellectu nostro, III Sent. d. 24, q. 1, a. 2. Ipsa intellectualis cognitio nomina-
tur visio, Cont. Gent., III 53.
49. Agostino, De Genesi ad litteram, VII 13, 20.
50. Pseudo-Dionigi, De coelesti hierarchia, c.3, trad. di Roberto Grossatesta
(Dionysiaca, Paris 1937, II, 787).
51. Platone, Respublica, X 596d 9 ss.
23
ha bisogno di intermediari tra occhio e realt, tra pensiero ed essere,
ma che in quanto ideale non dato realizzare se non nel mondo noe-
tico. A realizzarlo infatti il Dio dei platonici che essendo prima del
mondo non lo pu rispecchiare ma solo emanare da s, in s e per s,
nella propria unit monadica; e poich prima del tempo, lemana-
zione avviene per intuizione immediata, cio per visione noetica.
Infatti la mente divina, il perennemente operante, non pu ope-
rare che intuendo, e intuendo non pu che produrre in instanti una
molteplicit di pensieri sotto forma ipostatica, cio le /i, gli .
Ma poich intuire un atto immediato di conoscenza per visione
diretta di un oggetto attualmente presente, la mente divina sdoppia se
stessa in s come vedente e come veduto, contemplando e rispec-
chiando a se stessa le immagini delle idee archetipe che essa stessa ha
prodotto. In tal modo essa anticipa la molteplicit delle immagini del
mondo in forma paradigmatica e noetica; essa, come dice Filone, gi
ou o, cosmo intellettuale
52
. Nella mente divina dunque la
radice e la fonte di tutte le immagini esemplari che sar dato di
vedere e conoscere proiettate nel mondo. Essa lideale teca in cui
sono riposti gli oj, cio i timbri o i sigilli originari e auten-
tici del sovrano sovrasensibile. Ma il futuro mondo sensibile, il ou
/o, solo un sovrappi alla autosufficiente e compiuta potenza
del cosmo noetico; se Dio lo vuole esprimere, dice Filone, perch
sia ornamento e segno di questa potenza, quale suo riflesso e quindi
quale suo splendore
53
.
Ma per esprimerlo fuori di s deve imprimerlo in qualcosa fuori di
s: di qui la decisione che un demiurgo, guardando nel modello, pla-
smi la materia derivandone la similitudo dagli esemplari divini. La sua
stessa mano agir via via come multiforme sigillo per imprimere in
conformit alle idee archetipe la c, cio il territorio ancora
informe della materia. Da questo atto di impressione la materia
assume la molteplicit delle forme.
Come si vede, assente nella visione intuitiva di Dio, il meccanismo
della : torna qui a fondamento della stessa produzione del
cosmo sensibile, e il rapporto di similitudine con le idee archetipe che
il demiurgo ha impresso nel molteplice delle forme visibili, diventa
per ci stesso principio della loro conoscibilit. La visio delle forme
materiali, infatti, comporta, per la conoscenza, che sinverta il pro-
GIORGIO STABILE
52. Filone, De opificio mundi, 17-22 (ed. R. Arnaldez, Paris 1961, 153-55).
53. Ibid., 23 (156-58).
24
cesso della loro produzione: il sigillo impresso sulla materia deve
essere nuovamente liberato dalla materia affinch la sua immagine
venga restituita alla sua condizione ideale e eidetica. questo per
altro il fondamento della teoria dellintegumentum, della cortex, che i
platonici del XII secolo vedevano come scorza da cui liberare il
nucleo di verit che si cela nelle realt che, pur visibili, non per que-
sto sono di per s conoscibili. In ogni caso ancora una volta il prin-
cipio del sigillo, della impressio o, secondo una dizione tipica del pen-
siero ermetico e astrologico, della signatura rerum, che allontana, per
aenigma e per integumentum, il visibile dal conoscibile ma insieme
garantisce la possibilit, in ragione della similitudo, di raggiungere la
verit per vestigia. Ci che fecero i metafisici della luce e buona parte
dei teorici di prospettiva, riprendendo e sviluppando temi gi di Plo-
tino e dello Pseudo Dionigi, fu di reinterpretare tutto intero questo
processo di costruzione demiurgica e di impressione delle forme
come effetto di una graduale e successiva di luce. La luce
insieme Dio e demiurgo, in quanto punto centrale infinitamente
luminoso e potente che in instanti si esprime irraggiandosi in forma
di sfera e generando le regioni del cosmo. La struttura del cosmo
una gerarchia di ipostasi luminose, ogni grado delle quali corrisponde
al transitare dei raggi dalla pienezza del punto di origine alla oscura
opacit della materia. Il transitus della lux, dice Grossatesta, est per sui
multiplicationem et infinitam generationem luminis
54
. Una autoge-
nerazione e moltiplicazione che avviene attraverso i raggi, poich i
raggi costituiscono un gioco combinato di proiezioni che recano in
s limpronta delle idee divine, e agiscono come timbri imprimendo
sulla materia le formae rerum, le species. In tal senso per non conside-
rare la processione luministica avicenniana, o testi capitali come il
Fons vitae di Avicebron, il De Intelligentiis, il Liber De causis o la Ele-
mentatio theologica di Proclo il De radiis di Alkindi di per s una
mirabile summa. Tutte le cose agiscono le une sulle altre attraverso i
raggi, in un gioco infinito di azioni e impressioni reciproche: Res
[] in se invicem agunt et a se invicem patiuntur per radiorum infu-
sionem et motum faciunt in se invicem secundum exigentiam agen-
tis et patientis; e nel De aspectibus afferma: impressio igitur cum eo
in quo est impressio est radius. Nella metafisica della luce e degli
ottici ormai il typus, il timbro della similitudine tra Dio e materia
per eccellenza il raggio luminoso. dunque in quanto virtus irrag-
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
54. De luce (ed. Baur, 52).
25
giante di luce e luce lui stesso, che Dio origine e fonte del fluxus di
tutte le forme esemplari. Come dice Alberto Magno, nel De causis et
processu universitatis: Fluxus est emanatio formae a primo fonte, qui
omnium formarum est fons et origo
55
, forme che inseminano allo
stato nativo (inchoatio formae) la materia e verranno a maturazione per
effetto delleductio operata dal calore assimilante della lux. Esemplari-
smo divino che per parte sua Peckham, nel De perspectiva, interpreta
secondo le parole di Paolo lucem habitat inaccessibilem (I Tim. 6,
16): necesse habemus [] scrutari vestigia in speculis creaturarum ut
per numerum creatum ascendamus ad increatum et per lucem crea-
tam ad lucem sapientiae increatam. Ipsa enim est in essentia purior et
in operatione efficacior []
56
. Scrutari vestigia in speculis creatu-
rarum, linguaggio tipicamente agostiniano e della mistica vittorina e
che riecheggia il ripetutissimo tema paolino videmus nunc per spe-
culum in aenigmate (I Cor. 13,12). Se Dio si esprime con la luce,
indagando le leggi dellottica che il metafisico della luce torna a
prendere su di s il vecchio tema dellintegumentum e del rispecchia-
mento creaturale, per penetrare attraverso nuove vie il significato
enigmatico e simbolico della visione. Tema che spesso si dimentica
essere al fondo di molti trattati di ottica medievale. Trattati che con-
servano, al di l dellinnovante trattamento geometrico, unontologia
e una gnoseologia profondamente medievali.
Non a caso le indagini sullirraggiamento diretto, sul raggio ri-
fratto, e sul raggio riflesso diventano, in Pierre de Limoges, prova
secondo natura e simbolo di tre tipi di visiones destinate a tre gradi
della condizione umana: quella diretta ai beati in statu gloriae, quella
rifratta alle anime separate nel cielo empireo fino al giorno della
resurrezione, e quella riflessa e per speculum alluomo in statu viae
57
.
Ma va pure aggiunto che nella visio essi non vedono nelle imagines o
species delle semplici rappresentazioni retiniche, ma gli effetti opera-
tivi di una virtus che promana da unessenza, virtus che, pur scomparsa
nel tracciato geometrico dei raggi visuali, rimane implicita in essi
come il vero enigma da sciogliere. Oggetto ultimo del conoscere
infatti la visione della essenza, della nuda quidditas, e ci possibile
proprio perch quella virtus che promana dallessenza legata ad essa
da un rapporto di similitudine. Bacone nel De multiplicatione specierum
GIORGIO STABILE
55. I, 4, 1 (ed. W. Fauser, 43).
56. De perspectiva, 1 (ed. D. C. Lindberg, 23).
57. Cf. Ch. Trottmann, La vision batifique des disputes scolastiques sa dfinition
par Benot XII, Rome 1995, 163, 634.
26
afferma appunto che le species sono una virtus secunda in quanto effetti
operativi della virt intrinseca alla sostanza da cui promanano e con
cui mantengono un rapporto di similitudo e di essentia, infatti questa
virtus viene concepita come suo effetto
propter similitudinem eius ad hanc virtutem [quella intrinseca alla so-
stanza] in essentia et in operatione [] et haec virtus secunda habet multa
nomina, vocatur enim similitudo agentis et ymago et species et ydolum et
simulacrum et fantasma et intentio et passio et impressio et umbra philo-
sophorum apud auctores de aspectibus
58
.
La species dunque similitudo agentis e perci sua ymago. Se letta in
questo pi ampio contesto, la visio degli ottici non che un semplice
segmento di un tragitto delle forme o species, ben pi lungo e per di
pi ritornante allorigine con andamento triadico. Le forme proce-
dono da Dio espresse come raggio e improntano lessenza delle cose,
dalle cose vengono a loro volta espresse come raggio riflesso e
impresse nella vista, e di qui impresse ai sensi interni, allintelletto, e
alla mente e che la mente riconosce come simboli-impronta di Dio a
cui idealmente le riporta. A guardar bene ci che garantisce il
costante e conversivo succedersi di expressiones-impressiones da Dio alla
realt, dalla realt alla visione, dalla visione alla mente e dalla mente
nuovamente a Dio la funzione di simbolo e il connesso contenuto
intenzionale della species. Funzione di simbolo che si chiarisce ri-
salendo al suo senso originario: era infatti ciascuna delle
due parti di una tessera spezzata e che due rispettivi portatori
, cio congiungono e fanno coincidere, per certificare
attraverso il combaciare delle due impronte complementari il reci-
proco e autentico riconoscimento. Nella percezione, nella visione, li-
mago o la species, realizza appunto questa coincidenza simbolica tra i
successivi portatori: oggetto e occhio, occhio e immaginazione,
immaginazione e mente. Ma in questo rapporto simbolico limma-
gine, presa in s e per s, unentit invisibile e astratta: perch si
manifesti nel visibile occorre che si materializzi sdoppiandosi nelle
due facce tra loro speculari: luna aderente a ci da cui essa espressa
(il typus), laltra aderente a ci su cui essa si imprime (leffictum). Essa
sussiste per s nella similitudo, cio nella costante tensione di somi-
glianza tra due copie che sono altro da lei e che si confrontano spe-
cularmente. Il suo contenuto specifico, da puramente materiale, si
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
58. I, 1 (ed. D. C. Lindberg, 2).
27
sposta in quello puramente intelligibile ed eidetico, che in tanto sus-
siste in quanto richiama laltro da s, cio intenzionale.
Di qui allora tre considerazioni: nella teoria aristotelico scolastica
dellastrazione, affinch le species visibiles o sensibiles si riducano a spe-
cies intelligibiles, lintelletto non pu far altro che trarre via dalla mate-
ria impressa dellocchio o dellimmaginazione, limmagine-species, che
denudata de materia non pu che rivelare la sua effettiva natura acor-
porea ed eidetica come solo oggetto di conoscenza. In secondo luogo,
in quanto imago, condizione del suo sussistere rimane comunque la
sua funzione referenziale, cio lintenzionalit significante verso lal-
tro da s, verso il tipo esemplare (di qui luso scolastico di parlare di
species intentionales, o semplicemente di intentiones). Funzione es-
senziale nellatto della visione e della conoscenza, che sempre un
atto dinamico e polare, intenzionale appunto.
In terzo luogo questa condizione relazionale e intenzionale, de-
nuncia un rapporto di dipendenza ontologica che caratterizza ogni
sistema gerarchico, fondato, come quello che abbiamo visto, sul rap-
porto tipologico-simbolico di similitudo. Questo rapporto infatti
legato al principio del rispecchiamento, della specularit. Tutti gli enti
exemplati rispetto agli exemplares, tutte le copie rispetto ai modelli,
non possono sussistere se non sussistono i primi, ma non viceversa.
Solo chi sussistente per s non legato a questo principio, cio Dio.
Tutti gli altri enti viceversa vivono della espressione per rassomi-
glianza da lui. Tanto che, annientato lui, tutte le gerarchie di enti
generati per rispecchiamento scomparirebbero di colpo nel nulla. Ma
se tutte le gerarchie di enti generati per rispecchiamento fossero
annientate di colpo, lui continuerebbe a sussistere. Dio non ha biso-
gno del mondo, e continuerebbe a contemplare gioiosamente s in
quello speciale rapporto di visione per autorispecchiamento sussi-
stente che il rapporto trinitario. Come in una sorta di mito di Nar-
ciso, Dio luce genera entro s lo specchio di s, il Figlio, e nel reci-
proco riflettersi dello caldo e radioso che spira dagli occhi, si
genera appunto lo , lo Spirito santo che rapporto
visivo di ardor ed amor. Come dice la regula Alani citata nel De intelli-
gentiis: Monas gignit monadem et in se suum reflectit ardorem
59
.
Per questo aspetto la visio medievale continuamente minacciata
dal rapporto, radicalmente contingente, della relazione . Lo-
scuro oggetto del desiderio della visione, non solo quello di cono-
GIORGIO STABILE
59. Alano di Lilla, Theologicae regulae, 3 (PL 210, 624-25).
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scere, ma di assimilare s stesso e laltro, vedente e veduto, per realiz-
zare un rapporto di sussistenza trinitaria. Non a caso una delle forme
pi ambite di visio la visio intuitiva, una coincidenza di evidentia
intelligentiae ed evidentia visionis, che anticipi nella visio viatoris la visio
in patria. Quando res in se nude videtur, allora le species scompaiono.
Nella cognitio o visio per essentiam soggetto e oggetto sono uniti e la
relatio similitudinis tende a diventare relatio identitatis. Quanto pi log-
getto della visione alto, e quanto pi essa un intuitus, tanto pi lu-
nione con esso fa risalire i gradi della contingenza e libera dal tempo.
E nella visio unitiva con Dio la realizzazione del paolino facie ad faciem,
non tanto e non soltanto il completamento della conoscenza e lat-
tingimento della beatitudo, quanto piuttosto il massimo sottrarsi dal
rapporto di contingenza e di relazione subordinata che comporta les-
ser fatti ad immagine e a somiglianza. La assimilatio nelloggetto della
visione salvazione di s a costo dellannullamento di s e del silen-
zio di s, da quel momento infatti il discursus della ratio non ha pi
ragione di esistere. La visio intellectualis come visio directa si oppone e
annulla il discursus, perch non ha bisogno del tempo: essa avviene in
instanti, e istantaneamente vale eternamente. Il discursus, la ratiocinatio,
guadagna per passaggi e attraverso il tempo ci che la visio d in
immediata sinossi. Non a caso Boezio ricorda che Uti est ad intel-
lectum ratiocinatio, ad id quod est id quod gignitur, ad aeternitatem
tempus, ad punctum medium circulus
60
(Cons. IV pr. 6). Eternit e
tempo, punto centrale e circolo. Qui appunto Boezio sta dicendo che
nel risalire i raggi che emanano dal centro luminoso di Dio, i gradi
circolari dellessere si restringono, il tempo si contrae, il discursus si fa
intellectus o intuitus, ci che generato e contingente tende ha dive-
nire id quod est, cio essenza permanente. Il risalire al centro del
cerchio e al culmine della compresenza divina, sembra un arricchi-
mento dellessere, ma piuttosto una sottrazione dellessere, nelles-
sere altro. Giunti al punto centrale, in coincidenza con Dio la visio sar
sinottica, locchio assorbir come lo specchio di Platone la totalit del
cosmo e degli esseri, ma solo allora ci accorgeremo, congiunti allog-
getto sommo della nostra conoscenza, che noi siamo oggetti dalle-
ternit di visio e di conoscenza divina, come parti dellessere siamo
noi oggetto di pensiero e che noi esistiamo perch siamo pensati.
TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA
60. De consolatione philosophiae, IV pr. 6.
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