Les vrais philosophes passent leur vie ne point croire ce quils voient, et tacher de deviner ce quil ne voient point. Questa sin- golare affermazione di Fontenelle, nella premire soire degli Entretiens sur la pluralit des mondes del 1686, serviva appunto a spiegare in breve a una dama, durante una dotta passeggiata in un parco al chiaro di luna, quale fosse la situazione della filosofia e della scienza delle- poca 1 . Tutta la filosofia, aggiungeva, fondata su due condizioni opposte: sul fatto che lumanit ha esprit curieux, istinto alla curiosit, e les yeux mauvais, vista difettosa 2 . La nuova scienza aveva infatti posto in irrimediabile contraddizione voglia di conoscere e possibilit di vedere, cognitio e visio, nel momento stesso in cui la scienza meccani- cista aveva affermato che ci che vediamo tuttaltra cosa da ci che la realt in s 3 . La priorit della visione come testimonianza certa di conoscenza, uno degli antichi fondamenti della gnoseologia, era posta in dubbio dalla domanda: ci che si vede ci che esiste real- mente? Domanda un po sconcertante, ma conseguente alla critica della percezione sensibile svolta in un sessantennio da Galilei 4 , da 1. B. de Fontenelle, Entretiens sur la pluralit des mondes, in uvres, I, Paris 1794, 206 (ed. R. Shackleton, Oxford 1955, 18). 2. Fontenelle, Entretiens, 206: Toute la philosophie [] nest fond que sur deux choses, sur ce quon a lesprit curieux et les yeux mauvais [] on veut savoir plus quon ne voit; cest-l la difficult. 3. La filosofia meccanicista aveva insegnato che ce quon voit... on le voit tout autrement quil nest. La natura, dice Fontenelle, come un grande teatro, un grande spettacolo di gradevoli ma fittizi scenari, mentre ci che muove il tutto un segreto apparato di macchine, che rimane celato alla vista e in nulla somiglia alla scena: Sur cela je me figure toujours que la Nature est un gran Spectacle qui ressemble celui de lOpera. Du lieu o vous tes lOpera vous ne voyez pas le Thatre tout--fait comme il est; on a dispos les Dcorations et les Machine pour fair de loin un effet agrable, et on cache votre vu ces rous et ces contre poids qui font tous les mouvemens (Fontenelle, Entretiens, 206). 4. G. Galilei, Il Saggiatore, Roma 1623, 48: Ma che ne corpi esterni, per ecci- tare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richieggia altro che grandezze, figure, 9 Descartes 5 , da Locke 6 , critica che aveva rotto la continuit tra mondo reale e rappresentazione dei sensi, tra qualit primarie inerenti log- getto e qualit secondarie inerenti il soggetto. N si trattava pi delle tradizionali aporie scettiche sullinganno dei sensi (sul tipo de il remo spezzato nellacqua), ma qualcosa di pi radicale, che non poneva in forse segmenti privilegiati ma pur sempre limitati della nostra percezione, ma poneva in scacco la totalit dei sensi nel momento in cui si affermava che laccertamento, anche il pi cor- retto, della nostra percezione non va al di l delle apparizioni interne della nostra mente e del nostro cervello. Tra linterno e le- sterno non c rispecchiamento, ma semmai analogia inducibile per via di ragione. Fuori del nostro pensiero, affermava Descartes, non vi nulla che sia simile (semblable) a ci che noi concepiamo come idea di suono, di sapore, di odore, o, per ci che ci riguarda, di colore, di calore, di luce. E proprio ne Le Monde ou Trait de la lumire e nella Dioptrique, cio in trattati di teoria della luce e della visione, Descar- tes aveva criticato e respinto un punto centrale della precedente teo- ria della percezione visiva e, quindi, della conoscenza: il rapporto appunto di somiglianza (ressemblance), di specularit di immagine, tra oggetto materiale che sollecita i sensi e lidea che ce ne formiamo. Nel quarto discorso della Dioptrique egli ad esempio affermava: GIORGIO STABILE moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via gli orecchi, le lingue e i nasi, restino bene le figure, i numeri e i moti, ma non gi gli odori n i sapori n i suoni, li quali fuor dellanimal vivente non credo sieno altro che nomi [] molte affezioni che sono reputate qualit risedenti ne soggetti esterni, non nno veramente altra essenza che in noi, e fuor di noi non sono altro che nomi [] (Le opere di Galileo Galilei, a c. di A. Favaro, VI, 350). 5. R. Descartes, Le monde ou Trait de la lumire, I (A. T. XI, 3-4): Me proposant de traiter icy de la Lumiere, la premiere chose dont je veux vous avertir, est, quil peut y avoir de la difference entre le sentiment que nous en avons, cest dire lide qui sen forme en nostre imagination par lentremise de nos yeux, et ce qui est dans les objets qui produit en nous ce sentiment, cest dire ce qui est dans la flme ou dans le Soleil, qui sappelle du nom de Lumiere. Car encore que chacun se persuade communment, que les ides que nous avons en nostre pense sont entierement semblables aux objets dont elles procedent, je ne voit point toutesfois de raison, qui nous assure que cela soit; mais je remarque, au contraire, plusieurs experiences qui nous en doivent faire douter. 6. J. Locke, An Essay concerning Human Understanding (1688), II, viii, London 1765, 25: But our senses, not being able to discover any unlikeness between the ideas produced in us, and the quality of the object producing it, we are apt to imagine that our ideas are resemblances of something in the objects, and not the effects of certain powers placed in the modification of primary qualities, with which primary qualities the ideas produced in us have no resemblance (ed. A. C. Fraser, I, 181). 10 Il faut, outre cela, prendre garde a ne pas supposer que, pour sentir, lame ait besoin de contempler quelques images qui soyent envoyes par les obiects iusque au cerveau, ainsi que font communement nos Philosophes; ou, du moins, il faut concevoir la nature des ces images tout autrement quil ne font. Car [] ils ne considrent en elles autre chose, sinon quelles doivent avoir de la resemblance avec les obiects quelle representent 7 . E non mancava di prendere di mira esplicitamente la teoria scola- stica delle species intentionales, che era rimasta sino allora un indiscusso fondamento della teoria della percezione e della visione: En suite de quoy vous aurs occasion de iuger, quil nest pas besoin de supposer quil passe quelque chose de materielle depuis les obiects iusques a nos yeux, pour nous faire voir les couleurs et la lumiere, ny mesme quil y ait rien en ces obiects, qui soit semblable aux ides ou aux sentimens que nous en avons Et par ce moyen vostre esprit sera delivr de toutes ces petites images voltigeantes par lair, nommes des espces intentionnelles, qui travaillent tant limagination des Philosophes 8 . Teoria delle species volteggianti che, tre secoli prima, un esempio di Nicola di Autrecourt esponeva con icastica efficacia: la ragione per cui vediamo una montagna di lontano che essa causat quasdam rea- litates quas vocant species, et illae multiplicant se per totum medium [] donec veniant ad visum 9 . Se parto da questo confronto, da questa consapevole linea di frat- tura con la teoria antica e medievale del vedere come conoscere, perch forse di qui meglio si apprezza il valore unificante e di lunga durata di un concetto centrale di questa teoria, su cui vorrei concen- trare la mia relazione: cio il rapporto di ressemblance, di similitudo, tra forma fisica e figura mentale, tra ed , rapporto che aveva sorretto da millenni la convinzione che il modo pi completo e alto di conoscere quello di vedere 10 . Un rapporto tra vedere e conoscere che lantica teoria della conoscenza e della percezione aveva tenuto strettamente unito proprio nel concetto di che indicava ad un tempo limmagine visiva e lidea mentale, a implicita garanzia dellu- TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 7. Descartes, La Dioptrique, Discours IV (A. T., VI, 112). 8. Descartes, ibid., Discours I (A. T., VI, 85). 9. Tractatus universalis, I, prol. 2, ed. J. R. ODonnell, Mediaeval Studies, 1 (1939), 189. 10. Importanti considerazioni intorno alla concezione arcaica dellatto del vedere svolge B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it., Torino 1963, cap. I, Luomo nella concezione di Omero, 20-24. 11 niformit ontologica tra cosa veduta e cosa conosciuta. Ed interes- sante notare, dalla stessa documentazione di Snell, il graduale processo di astrazione e riduzione dei verba videndi dallet arcaica allet clas- sica, la prima che tende a denotare ogni particolare aspetto del vedere con uno speciale verbo, la seconda che si avvale di un pi ristretto numero di verbi ma arricchiti di connotazioni. In et omerica la teo- ria emissiva dei raggi visivi, probabilmente la pi arcaica, produce verbi con speciale denotazione attiva come , che non indica il puro vedere, ma il guardare con forte valenza proiettiva, unemis- sione penetrante dello sguardo, quanto dire lampeggiare, irrag- giare con la vista 11 . Caso analogo allinglese to glance o al tedesco blicken, che in origine significava irradiare dunque lampeggiare con gli occhi, in affinit con il termine Blitz, lampo, Blak fumo di un lume che fila, blaken filare sfiaccolare di un lume. Lo stesso si dica per i, che ha la radice - di o (lux) bianco, can- dido, splendente e che connota piuttosto il brillare dello sguardo, il guardare con occhio luminoso. Il linguaggio della visio sembra dunque proporre due versanti, da un lato quello passivo e non inten- zionale del vedere come atto del contemplare, nel senso di ricevere e rispecchiare ci che gli oggetti esterni propongono alla vista, dal- laltro quello attivo del guardare, del mirare intenzionale dello sguardo, che si proietta allesterno e investe con gli occhi le cose. Doppia nozione che ben rispecchia la duplice teoria della visio come rice- zione di raggi riflessi dalle cose agli occhi o come emissione di raggi visivi dagli occhi alle cose. Un doppio movimento che in et poste- riore si fissa essenzialmente nella polarit dei verbi i contem- plare e scrutare con lo sguardo e, nel mezzo, come atti del- laffacciarsi della vista sulle cose, o0 e /i, che implicano comun- que il vedere per conoscere. Baster per questo ricordare la frase di esordio della Metafisica di Aristotele: Tutti gli uomini desiderano per natura conoscere (Omnes homines natura scire desiderant, secondo la vulgata medievale), dove conoscere o scire era espresso dal verbo /, cio acquisire idee mediante la sensazione della vista 12 . E Ari- stotele aggiungeva che segno di questo desiderio era lamore per le sensazioni in s, indipendentemente dallutile, e che tra tutte la pi GIORGIO STABILE 11. In Omero o il serpente dallo sguardo sinistro, Gorgone ha il terri- bile sguardo che oui c saetta fuoco con gli occhi, (Od. 19, 446) mentre laquila o:c infigge lo sguardo acutissimo (Il. 17, 675) con occhio penetrante. 12. Aristotele, Metaphysica, I i 980a 1. 12 amata era quella mediante gli occhi (o c ouuo) 13 . Concetto elevato e astratto della funzione degli occhi e della vista, tra i cinque sensi quello pi lontano dal tatto e dalluso diretto delle cose: il vedere per eccellenza acquisire idee e conoscenza senza immediate finalit strumentali 14 . Del resto questa unione tra vista, immagine e idea e questo privilegio conoscitivo del vedere erano gi fissati nel fondo della lingua greca, appena si consideri che una stessa radice
aveva generato sia / ed i come immagine-idea, sia la corri-
spondente reificazione visiva, simulacro-idolo sia appunto il verbo i vedere e il suo aoristo i aver visto e dunque, conoscere o sapere. Una radice passata a quella latina vid- che a sua volta aveva generato il verbo video, e i sostantivi visio e visum, come pure idea, idolum, tutti, come si sa, di forte valenza gnoseologica. Ma in questo passaggio al latino, tra le molte forme concorrenti alla resa di i-/ il termine species ad assumere, oltre al significato di forma e idea, un rilevante valore nella teoria della conoscenza e della visione e nella dottrina medievale delle species. Ed opportuno sottolineare che species deverbale di specio 15 , e che neppur esso ha valore generico di vedere, ma quello specifico (e intensivo in specto) di guardare attentamente, osservare, scrutare per acquisire noti- zie, e che genera forme come specula punto dosservazione, speculor spiare stare in agguato ovvero vigilare esplorare (speculator la spia, lesploratore o losservatore di vedetta), e ancor pi specula- tio, che transita dallatto strumentale dello spiare per carpire notizie occulte del nemico a quello gnoseologico di esplorare, indagare con la mente ci che rende occulto il vero, scovare e seguire le tracce della verit, riflettere come uno speculum immagini e idee. Ma specio invade anche lambito sacro della mantica (anche qui da uo cono- scere, imparare), della visione divinatoria, cio dello scrutare i segni per conoscere in anticipo il futuro, fissandosi nel linguaggio tecnico degli aruspici e degli auspici col suffisso -spex e -spicium e che genera haruspex, haruspicium, auspex ( = colui che spicit aves) e auspicium, come pure extispex, extispicium cio colui che scruta o il corrispon- dente rito dello scrutare le interiora degli animali. TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 13. Ibid., I i, 980a 1-4. 14. Platone nel Timeo (47 ab) afferma che il pi grande beneficio gli occhi come gran dono largito dagli Dei contemplare gli astri ed esercitare la filosofia. 15. A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire tymologique de la langue latine, Paris 1954, 639-40; A. Walde, J. B. Hoffmann, Lateinisches Etymologisches Wrtebuch, II, Heidel- berg 1954, 570. 13 Proprio perch nato nel contesto di una famiglia linguistica forte- mente connotata dal vedere come inspectio, come tensione e volont di scrutare, il significato di species assume e conserva unimportante connotazione intenzionale. Essa limmagine esterna che attiva un processo di attenzione ad aver notizie, a indagare sul significato del- loggetto. Tra visio e species, tra soggetto e oggetto, tra interno ed esterno, si instaura un rapporto polare e dinamico di intentio, di ten- sione del soggetto a interrogare e delloggetto a spiegare. la species, infatti, che garantisce il transito inalterato dellimmagine dalloggetto veduto allorgano della visione fino alle facolt mentali, in un pro- cesso di graduale smaterializzazione che conserva lo schema visivo proprio in virt dellintentio, in altre parole della proiezione eidetica e concettuale che comunica, significa e spiega loggetto alla mente. Proiezione eidetica come itinerario intenzionale della species (per questo detta dai medievali intentionalis, o semplicemente intentio) che per gradi trascrive la , o forma concreta, in o idea- concetto, mantenendo con ambedue un rapporto bifronte. In tal senso tra i molti significati di species primario quello di forma, di silhouette che si disegna attorno alloggetto, contorno della figura della quale racchiude le parti, e che certifica per congruenza della somiglianza o dissomiglianza tra le cose 16 . Dice Ugo di Honau: Species enim appellatur forma cuiusque et circa aliquid constans figura secundum quam res maxime similes vel dissimiles esse congnoscuntur. Dicitur etiam species quod supponitur generi secundum quod philosophus de speciei tractat. Ab hac significatione translatum est nomen ad usiam principii 17 ; e Giovanni di Salisbury: species [] ab institutione forma significat, qui in liniamentis membrorum consistit [] Hinc autem sumptum est ad significationem eius quod in quid de differen- tibus numero praedicatur 18 . La species dunque anzitutto limmagine concreta di un oggetto, la forma-. Ma poich accomuna per somiglianza gli oggetti conformi e discrimina per dissomiglianza gli oggetti difformi, essa diventa forma-, cio Idealtypus o marchio ideale o concetto che delimita la classe di tutti gli enti conformi a GIORGIO STABILE 16. P. Michaud-Quantin, Les champs smantiques de species. Tradition latine et traduction du grec, in Etudes sur le vocabulaire philosophique du Moyen Age, avec la collaboration de M. Lemoine, Roma 1970, 113-50. 17. Liber de diversitate naturae et personae proprietatumque personarum [c. 1180], c. 31, ed. N. Hring, Archives dhistoire doctrinale et littraire du Moyen Age, 29 (1962) 174-75. 18. Giovanni di Salisbury, Metalogicon, III 1, ed. C. C. I. Webb, 120-21. 14 quello schema visivo (retinico) o eidetico (mentale). In pi, proprio perch identifica la similitudo costante di un gruppo di enti, essa passa a definire ci che non varia in quel gruppo di enti, cio la loro essentia, substantia o . Per successivi passaggi, la species da imma- gine sensibile (Socrates) diviene schema eidetico (homo) e infine con- cetto astratto (humanitas), che pu divenire in senso logico, predicato, o in senso ontologico, differenza specifica di una famiglia o pluralit di enti collegati tra loro per similitudo e per essentia. La species visiva mette capo cos ad un triplice valore: gnoseologico, logico e ontolo- gico. Sta, di fatto, comunque, che la species, sia essa immagine singola denotante un singolo oggetto o concetto ideale denotante una classe di oggetti, rimane in ambedue i casi, secondo un principio che risale a Platone e alla metafisica delle idee-modello, uno schema visivo. Modello di cui la species visiva deve conservare copia inalterata nel transito dalloggetto alla mente. del resto sulla garanzia di questo intatto trasferimento per somiglianza che la species sensibilis pu diventare species intentionalis e concetto. Condizione della veritas pur sempre la adaequatio intellectus ad rem, e tale adaequatio, come ricorda Tommaso, garantita dalla omogeneit tra le forme sensibili o astratte da materia percepite dai sensi e le forme immateriali percepite dal- lintelletto nella loro nuda essenza (ad nudam quidditatem) 19 . Ma qual propriamente il meccanismo capace di questo intatto trasferimento? Lelaborazione di questo meccanismo risale a una riformulazione stoica della teoria peripatetica della percezione, elabo- razione che linfluenza dello stoicismo, greco e romano, nella tradi- zione tardoantica e cristiana o su ottici teorici come Alkindi, auto- rizza a considerare con particolare attenzione 20 . Per Sesto Empirico gli stoici Zenone e Cleante consideravano la rappresentazione del- loggetto come una 21 cio una impressione nella- nima, come si traduce normalmente. Ma, a ben vedere, il termine TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 19. Tommaso dAquino, Quaestiones de veritate, 10, a. 6 ad 1. 20. Le citazioni sono da H. Von Arnim, Stoicorum veterum fragmenta, 3 voll. e 1 vol. di Indices, Stuttgardiae 1903-1905, 1924 (ed. anast. 1964) indicate secondo norma dalla sigla SVF seguita dallindicazione del volume e il numero del fram- mento. 21. SVF I, 58, la stessa espressione ripetuta da Sesto Empirico in SVF I 484, II 56, da Plutarco in SVF II 847, da Diogene Laerzio e Alessandro di Afrodisia (De anima, 68, 11 Bruns) in SVF II 53, da Diocle di Magnesia secondo Diogene Laer- zio in SVF II 55. Da notare che era termine ricorrente nel De anima di Ari- stotele a proposito della percussione impressa nel suono e nella fonazione (II 8, 419b 12, 24; 420a 20, 24; 420b 14, 31; 421a 31). 15 usato, , ricco di implicazioni teoriche e tecniche: qui, infatti, impressione vale percussione che imprime un marchio, cio propriamente timbratura; , infatti, vale calcare o colpire, dare un colpo secco come nel battere moneta, e insieme il calco o il colpo e il suo effetto, cio lorma o limpronta lasciata dalla . Perci non significher il semplice atto di calcare o colpire, ma il processo del calcare o colpire lasciando un marchio o unimpronta, come fosse un sigillo. E sigillo, infatti, laltro termine usato nella teoria stoica della conoscenza. Sigillo in greco detto , che in origine indicava la gemma o la pietra di un anello () con sopra incisa unimmagine. Questa immagine incisa in rilievo o intaglio, sia le autorit che i sovrani la imprimevano co- me sigillo-matrice su pezzi di materia molle (cera, argilla o piombo) che, fissati sui documenti ufficiali, divenivano emblema, o sigillo- impronta, della loro autenticit. Il trasferimento dellimmagine dal sigillo matrice al sigillo impronta conferiva a questultimo tutta lef- ficacia visibile di una manifestazione certificata del potere e di veri- tiera emanazione da esso di una volont fedelmente documentata, a cui la ragione indotta a dare lassenso. Il rapporto di similitudo tra il sigillo matrice, come typus o imago-exemplar, e il sigillo impronta, come typus o imago exemplata, non si riduce ad una coincidenza di forme, ma ad un trapasso dalla prima alla seconda di una virtus aucto- rizandi in forza della quale la seconda legittimata a stare in luogo della prima. La metafisica dellimmagine comporta sempre un tra- passo dallarchetipo allectipo di una similitudo di valore magico- sacrale 22 . Ci che prova la diretta autenticit dellatto la fedelt del calco. Non quindi per mera metafora, ma per la capacit evocante di una procedura di alto contenuto simbolico, che nelle testimonianze stoiche sullimprimersi delle immagini nellanima si fa esplicito rife- rimento al modello della sulla cera lasciata dal castone del- lanello (), tanto che ci si preoccupa di specificare il doppio tipo dimpronta lasciato sul sigillo, cio negativo e positivo , e per incavo e per rilievo 23 . Non a caso, secondo unaltra GIORGIO STABILE 22. Una concesione analoga rileva W.Wackernagel, Ymagine denudari. thique de limage et mtaphysique de labstraction chez Maitre Eckhart, Paris 1991, 15-16, quanto alluso altotedesco di bilde (latinizzato in ratio, forma, phantasma, species), per cui in et preeckhartiana bilidi avrebbe designato una forza magica promanante dallim- magine archetipo (Urbild), unaura magico-spirituale ad essa coessenziale. 23. Cos Sesto Empirico in SVF I 484 e II 56, Diogene Laerzio in SVF II 53. Alessandro di Afrodisia (De anima, 72, Bruns) in SVF II 58 specifica in pi che il 16 testimonianza di Sesto Empirico 24 , Zenone per definire la condizione recettiva della fantasia catalettica (cio la facolt deputata a ricevere le impressioni dei sensi esterni) usava il verbo i, cio latto di imprimere il sigillo (i) ma aggiungendo ad un tempo la dinamica del processo, dal moto di provenienza (oo) a quello di apposizione (): la provenienza loggetto da cui la segna- tura espressa e deriva; la destinazione la fantasia verso cui la segna- tura aderisce e simprime. Il meccanismo dellintatto trasferimento della forma, dalloggetto allimmagine visiva, e di qui al suo referente mentale, dunque quello del calco, della timbratura, del sigillo. Cicerone ad affermare che per Zenone la definizione di visum, traduzione latina di fantasia, era ex eo quod esset, sicut esset [cio da parte dellesistente, cos come esi- ste fuori della mente] impressum et signatum et effictum 25 . Si ba- di bene alla logica della progressione, il visum-i anzitut- to impressum (effetto della :), poi signatum (effetto dello i su una sostanza molle), infine di necessit effictum, cio plasmato con una effigies, una imago (ui) conforme alloggetto cos com (sicut esset). Progressione testimoniata da altri fram- menti 26 ma rispecchiata pressoch fedelmente in un passo di Diogene Laerzio 27 . La versione sensistica che di tale processo dava Zenone e ancor pi linterpretazione puntigliosamente materialistica 28 che ne dette Cleante sembrerebbero limitare la validit del modello per teorie della conoscenza fondate sullacorporeit delle species. Ma gi Cri- sippo sent il bisogno di tradurre la teoria in un diverso linguaggio, quello aristotelico, interpretando la : come i, vale a TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA calco negativo o positivo altro non che lo schema dellimprimente prodotto sul- limpresso, come quelli che vediamo sui sigilli (i), cio lantefatto di una carta didentit. 24. SVF I 59. 25. SVF I 59 = Acad. pr. II 18. 26. SVF II 53, 65. 27. SVF I 59. In Diogene Laerzio VII 50 si ha la serie delle azioni subite dalla fantasia, che : impressa (u = pressata dalla :), segnata o sigillata (u = marcata dallo i), e plasmata in immagine (uuu composto di uo, impasto, plasmo, nel senso di raffigurare in argilla, gesso, cera); da notare che uo ritraggo plasmando, d luogo ad ui cio modello plasmato, immagine, che ha nel latino classico la tra- slitterazione imago e il calco effigies, e in quello medievale il monstrum echmagium (cfr. Alberto Magno, Phys., II ii 2; De Causis, I i 3, II ii 39). 28. SVF I 484, la giusta definizione di M. Isnardi Parente nella Introduzione a Gli Stoici. Opere e testimonianze, Torino 1989, 19. 17 dire come alterazione, modificazione della disposizione della fan- tasia e dellanima 29 . Problema di linguaggio, appunto, che eliminava il concetto di impressione materiale sullanima senza toccare il mecca- nismo del processo, che comportava il trasferimento, dalla forma cor- porea delloggetto alla vista, di uneffigies, unimago, una species che, seppur incorporea, rimaneva comunque uno schema fedele allar- chetipo, al typus, al sigillum matrice. Al riguardo basta ricordare che lo stesso modello e la stessa termi- nologia erano gi saldamente presenti in Platone e nella tradizione platonica, ossia in una filosofia non sospettabile di materialismo sen- sistico. Nel Teeteto, Platone aveva introdotto la celebre e icastica me- tafora della memoria come massa di cera plasmabile e imprimibile (ui) in cui: impresso (o) tutto ci che vogliamo ricordare di ci che vediamo o ascoltiamo o noi stessi pensiamo, e la poniamo a supporto delle nostre sensazioni o dei nostri pensieri come quando apponiamo segni coi sigilli degli anelli (i); e ci che plasmato in immagine (u j) lo ricordiamo e sappiamo finch il suo simulacro () presente, mentre ci che viene cancellato o che non pu venire plasmato o lo dimentichiamo o semplicemente non ne abbiamo scienza 30 . GIORGIO STABILE 29. SVF II 55 e 56. Aristotele in De anima III 12, 434b 25 ss. ricordava che gli animali percepiscono non solo per contatto immediato ma anche a distanza. Ci pu avvenire se sentono loggetto sensibile attraverso un intermediario, in quanto questo impressionato e mosso dalloggetto sensibile, e lanimale dallintermedia- rio. Come nel moto locale in cui il cambiamento prodotto dal primo movente che spinge e non spinto, lultimo soltanto spinto e non spinge, mentre il mezzo intermedio spinto e spinge, e ci avviene anche nella alterazione (oi) della sensazione: per esempio se uno immerge qualcosa nella cera, il movimento perdura fino a che non ha finito di immergere (435a 2-3); esempio analogo nel caso della vista: laria subisce linflusso della figura e del colore a sua volta, que- staria muove la vista come se trasmettesse il segno nella cera fino al limite oppo- sto (435a 6-10). Da notare che in Cicerone, in cui permane il modello sensistico (cfr. C. Lvy, Cicero academicus. Recherches sur les Acadmiques et sur la philosophie cic- ronienne, Rome 1992, 212-4, 162), per influenza del linguaggio medico : viene resa con pulsus, Plena sunt imaginum omnia; nulla enim species cogitari potest nisi pulsu imaginum (De divinatione, II 67 137, ed. A. S. Pease, 567 e rinvii); fac imagines esse quibus pulsentur animi (De natura deorum, I 107); visum obiec- tum imprimet illud quidem et quasi signabit in animo suam speciem (De fato, 43). 30. Theaethetus, 191c 7-d 10, e vedi anche 193 b 10-c 6, che analizza latto del riconoscimento (oc), come inversione del processo primario del vedere, in quanto procede dalla memoria alla visione (o), facendo combaciare la visione esterna con il segno (ui) impresso precedentemente sulla cera, cio lorma interna (). In 194a 1-4, c 1-d 7 Platone insiste sul rapporto tra mag- giore e minore saldezza dellimpronta, a seconda della qualit della cera-memoria, e maggiore o minore veracit delle opinioni, vale a dire rapporto tra saldezza della 18 Tema ripreso nel De memoria et reminiscentia di Aristotele laddove poneva il problema di com possibile la presenza dellimpressione in assenza delloggetto, il trattenere in noi lassente. E rispondeva che bisognava pensare allimpressione serbata nella memoria come ad una pittura, un segno prodotto dal moto della sensazione, come fosse unimpronta lasciata dalla percezione alla maniera di coloro che sigil- lano con gli anelli 31 . Ma, come affermava nel De anima parlando della sensazione in generale, limpronta, proprio perch tale, priva di materia: In generale, riguardo ad ogni sensazione, bisogna ritenere che il senso fatto per accogliere le forme sensibili [cio le species come schemi retinici] senza materia, come la cera accoglie il segno dellanello senza il ferro e loro, prende cio il segno fatto con loro o col bronzo, ma non in quanto oro o bronzo. Ugualmente ogni senso subisce lazione di ci che ha colore o sapore o suono, ma non in quanto detto oggetto particolare, ma in quanto for- nito di una tale qualit e secondo il suo contenuto intelligibile 32 . Concetto pi oltre riassunto nella considerazione che lanima in certo modo tutti gli enti 33 , in quanto per sentirli e conoscerli li assi- mila a s. Ma siccome sensazione e conoscenza hanno di fronte a s oggetti reali, la possibilit che assimilino o direttamente gli oggetti, nella loro concretezza extramentale, o le loro forme (species), come immagini reali ma prive di materia. Ad escludere che la mente assi- mili gli oggetti basta la semplice considerazione che nellanima non c la pietra ma la forma (species) della pietra. Quindi, nella visione, la sensazione avviene estraendo dalloggetto la sola parte assimilabile ad essa: limmagine retinica (species sensibilis) depurata dalla materia. La vera e propria conoscenza avviene poi per successive depurazioni ed estrazioni dallimpressione sensibile per opera dei sensi interni del- TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA visio e certezza della cognitio e quindi della scientia. L. Campbell, The Theaethetus of Plato, Oxford 1883, 181-2, raffronta il tema della cera impressa con J. Locke, An Essay concerning Human Understanding (1688), London 1765, II Of Ideas, x, Of Reten- tion 4, 5; xxix, Of clare and obscure, distinct and confused Ideas, 3 (ed. A. C. Fraser, I, 195-6, 488). Egli nota che limmagine della massa di cera meno comune della tabula cerata o rasa, e che denota dapprima la massa plasmabile e poi le singole parti plasmate, cio i sigilli con le immagini impresse; per latto di sigillare idee nella mente, rinvia anche a Phaedo, 75 d 1-5. Ne parla anche Aristotele in Metaph. I 6, 988a 1. 31. De memoria et reminiscentia, 1, 450b 1-12 e v. anche 450b 15-6, 20-7. 32. De anima, II 12, 424a 17-24. 33. Ibid., III 8, 431b 21. 19 lanima. Dapprima limmaginazione preleva dal senso comune lim- magine retinica, arricchita dalle informazioni degli altri sensi, la de- pura dei tratti che la rendono icona del singolo oggetto, estraendone unimmagine o forma pi generale, assimilabile alla mente (species intelligibilis). Infine la ragione depura le species dellimmaginazione da tutte le reciproche differenze, estraendone i soli tratti comuni e giun- gendo allidea o forma universale. Di qui le species vengono deposte e conservate nel forziere delle conoscenze, il thesaurus memoriae 34 . La teoria dellabstractio non quindi altro che una teoria della graduale estrazione, per cernita del simile e scarto del dissimile, del materiale sensibile. In tal senso, attra- verso locchio, la mente inghiotte e si nutre del reale, non diversa- mente dal corpo che, ingerito cibo dallesterno, lo sottopone a suc- cessive digestiones per estrarre da esso, separandole dai sedimenti estra- nei, le parti simili ai differenti organi per nutrire le membra 35 . La GIORGIO STABILE 34. De anima, III 8, 431b 24-432a 1. Cos, ad esempio, le immagini retiniche di individui diversi, vengono dapprima assimilate e riassunte nello schema mentale homo, e poi ancora assimilate nella idea universale e massimamente astratta di humanitas, e tutte immagazzinate nella memoria che, in assenza degli oggetti reali, ne fornisce le forme. La memoria perci un grande sostituto iconico del mondo. 35. Per la fisiologia antica e medievale, la nutrizione, cio lassimilazione del cibo assunto dallesterno, si realizzava in virt di una successiva serie di cotture (coctiones, cfr. Aristotele, Meteor., IV 2, 379b 18-380a 10; Part. An., II 3, 650a 2-32), cio altrettanti processi di cernita, scarto, suddivisione e trasformazione degli ali- menti (digestiones), fino a ottenere particelle simili alle diverse membra cui erano condotte dal sangue (assimilatio). Tutto il dissimile veniva scartato, convogliato ed espulso, in quanto sedimento estraneo, fuori del corpo. Non cera quindi nutritio senza preventiva assimilatio tra alimenti ingeriti e membra. Dopo la preliminare digestione nello stomaco, il siero nutritivo (o ), elaborato prima dallinte- stino e poi dal fegato, giungeva al cuore. Nel cuore, per effetto di un ulteriore coc- tio, questo siero si trasformava nel sangue che serviva come linfa nutritiva di tutto lorganismo. Secondo Avicenna (De animal., III 3; Canon, I, fen 1, doctr. 4, c. 2) le coctiones o digestiones erano quattro: la prima avveniva nello stomaco e nellinte- stino, con la trasformazione in chimo; la seconda nel fegato, dove il chimo era tra- sformato in sangue imperfetto; la terza nelle vene, dove il sangue, depurato dai liquidi superflui (poi filtrati dai reni ed espulsi dalla vescica), era trasformato in sangue perfetto pronto ad essere accolto dal cuore; la quarta ed ultima, avveniva nelle diverse membra di destinazione, con un finale processo di assimilazione.Va a questo proposito rilevata lanalogia tra assimilazione corporea del cibo e assimila- zione cerebrale delle immagini. Nel medioevo il modello del cervello era rappre- sentato da una serie consecutiva di celle o cavit, che dagli occhi giungevano alla nuca e contenente ognuna una funzione cerebrale o senso interno (di regola erano cinque, nella sequenza sensus communis, imaginativa, phantasia, cogitativa, memorativa). Queste cinque celle avevano la funzione di elaborare o digerire le species, dalla ricezione dellimmagine alla sua trasformazione in idea e al suo de- posito nella memoria. Al riguardo singolare il fatto che nelle rappresentazioni anatomiche e nella terminologia delle sue parti, il cervello, organo molle, viene 20 sapientia, del resto, piena capacit di cogliere il sapor delle cono- scenze, mentre il convivio metafora deputata alla degustazione e allassimilazione del sapere. Comunque, la teoria dellastrazione attraverso lassimilatio rimane fondata su un principio cardine delle teorie gnoseologiche greche, quello della similitudo, per cui solo il simile pu conoscere il simile 36 . Un principio che postula lomogeneit tra senziente e sentito 37 , tra conoscente e conosciuto, tra soggetto e oggetto. Se i sensi, soprattutto la vista, ritengono in s per somiglianza gli oggetti sensibili, allora la sensazione non pu che essere forma dei sensibili, species sensibilium, e la mente, in modo analogo, ritenendo in s per somiglianza tutte le forme totalmente astratte, sar forma delle forme, species specierum 38 . Non andr dimenticato che questa antica teoria del typus, delli- mago, dellassimilatio, rielaborata dallo stoicismo 39 , influenza lantro- pologia cristiana 40 e interferisce con il concetto biblico delluomo imago Dei e con la interpretazione tipologica degli eventi del mondo. Grande mediatore , agli inizi, Filone Alessandrino 41 . Una tradizione che penetra nelle sette cristiane e nella patristica, in cui il vocabola- TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA in origine assimilato a una cavit digerente o addominale. Cfr. E. Clarke, K. Dewhurst, An illustrated history of brain function, Oxford 1972 e La fabbrica del pen- siero. Dallarte della memoria alle neuroscienze, Milano 1989, 84-88, catalogo dello- monima mostra. 36. Aristotele, De anima, I 2, 405b 15-16. 37. Ibid., III 2, 425b 26 ss. 38. Ibid., III 8, 432a 2-3. 39. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it., I, Firenze 1967, 99-100, 113-14, per il typus e sigillo, 472 ss., per linfluenza della teoria di Posidonio intorno al Sole-logos che assimila il tutto e la conseguente teoria della simpatia universale, per cui ogni simile attrae il simile; vedi anche A. Siclari, Lan- tropologia di Nemesio di Emesa, Padova 1974, 199-222. 40. Siclari, Lantropologia, 199-222. 41. Limmagine stoica della : j e quella platonico-aristotelica della cera e del sigillo sviluppata con molta precisione da Filone Alessandrino, ad es. in Quod Deus 43 (ed. A. Moss, Paris 1963, 82) dove detto che la rappresenta- zione o fantasia una : j in quanto di ciascuna sensazione che pene- tra in noi come un anello (:) o un sigillo (i) che vi plasmi e imprima i propri caratteri (j), la mente, simile alla cera, accoglie e con- serva nettamente presso di s limpronta (ui), finch lopposto della memo- ria, loblio, non affievolisce e cancella il calco impresso, il typus (:). Per Filone, in risposta alla : deriva in noi un appetito o inclinazione verso loggetto, detta gi dagli Stoici ouj, che, come afferma un altro passo di analogo tema (Legum allegoriae, I 28-30; ed. C. Mondsert, Paris 1962, 52-54) come unenergia tonica (j :u), una tensione, che si instaura tra mente ed oggetto, analoga, anche se di carattere affettivo, alla intentio gnoseologica e logica degli scolastici. 21 rio stoico diviene veicolo privilegiato di idee centrali 42 . Candido lA- riano scrive a Mario Vittorino che: Dicunt quidam generationem esse a deo iuxta nominatum typum. Deus enim spiritus est. Spiritus autem naturam suam nunc intendit, nunc in semetipsum resi- dit. Istius modi motum typum nominant. Quid deinde verum? Ab istius modi motione repente erumpit filietas quaedam et haec est generatio a deo 43 . Come si vede il movimento proprio dello spiritus Dei, e la stessa eruzione della filiazione, concepito come quello della sistole e dia- stole dello pneuma stoico, il cui genera una , un moto di tensione che tiene assieme il cosmo. Ed detto typus proprio in quanto esso comporta il doppio movimento di spinta e ritorno, di colpo e ritrazione, generando un ritmo ciclico di andata e ritorno. Ritmo che, appunto, fu detto typus anche dai medici 44 per indicare ogni fenomeno (polso, decorso delle malattie, ecc.) che presentasse un andamento di crescita e diminuzione, di tensione e rilasciamento, di tesi e di arsi, di contrazione e dilatazione, ovvero di e di , rispettivamente latinizzati in intentio e remissio. Typus implica dunque una tensione verso, un vettore del tono, tanto che intentio finisce per tradurre la dei trattati logici 45 , ben prima che il termine venisse imposto dalle traduzioni latine dei filosofi arabi 46 . Il senso originario di typus, inoltre, come ha mirabilmente mostrato K. J. Woollcombe 47 , fu in grado di soddisfare lintera gamma dei significati tipologici e figurali della esegesi biblica dei padri. GIORGIO STABILE 42. P. Hadot, Typus. Stocisme et monarchanisme au IVe sicle daprs Can- dide lArien et Marius Victorinus, Recherches de thologie ancienne et mdivale, 18 (1951) 177-87. 43. Ad Victorinum de generatione divina, 9 (P.L. 8, 1018B), cit. da Hadot 178. 44. Galeno, , c. 6 (ed. C. C. Kuhn, VII, 463). 45. Cosi traduce dal greco Boezio, In Isagogen Porphyrii commentaria, II 18 (CSEL 48, 117). 46. Lopinione comune che il senso gnoseologico di intentio derivi dalle tra- duzioni latine del termine arabo mana, che appunto significa tendere, inten- dere, fare uno sforzo, voler dire, significare, porre attenzione, ma non si tiene conto che nella tradizione terminologica latina il termine era gi pronto e di perfetta simmetria semantica, con le gi citate connotazioni sia del linguaggio medico che di quello stoico e logico. Cfr. Ch. Knudsen, Intentions and imposi- tions, in The Cambridge History of Later Medieval Philosophy, a c. di N. Kreztmann, A. Kenny, J. Pinborg, Cambridge 1982, 480-95, che appunto erroneamente afferma che lorigine del concetto araba. Cfr. anche lottimo libro di K. H.Tachau, Vision and certitude in the age of Ockham. Optics, epistemology and the foundation of semantics 1250-1345, Leiden 1988, 11 ss. 47. Le sens de type chez les Pres, La Vie spirituelle. Supplment, n. 16, 15 feb. 1951, 85-100. 22 in tale contesto che sinnesta la tradizione della metafisica della luce e dei prospettivisti. Tradizione imposta al medioevo soprattutto da Agostino, la cui teoria dellilluminazione interiore rovescia i ter- mini della gnoseologia antica, spostando lorigine vera dellimpronta e del sigillo che impressiona la mente dalloggetto a Dio. Come ben dice Tommaso la teoria agostiniana comporta uno spostamento di veracit dalla visio sensibile alla visio intellectualis 48 . Di qui anche la sua scelta della teoria emissiva dei raggi visivi. Dal fuoco celeste che abita in noi: Unde et radii emicant oculorum et de cuius medio, velut cen- tro quodam [] ad sensus ceteros fistulae deducuntur 49 . La centralit divina come luce insieme emissiva ed assimilatrice trova nello Pseudo-Dionigi Areopagita un autore capitale. La luce simbolo che imprime negli esseri unordinata gerarchia il cui ritmo scandito dalla partecipazione alla luce divina e la cui intentio [] est ad Deum, ut possibile assimilatio et unio 50 . Non diversa la specu- lazione di Scoto Eriugena, il cui neoplatonismo trova echi e riscontri nelle scuole chartriana e vittorina del XII secolo. Decisivo tuttavia il confluire del neoplatonismo arabo-giudaico di Alkindi, Avicenna, Algazel, Avicebron. Una massiccia influenza che si riversa sul XIII secolo soprattutto nella scuola francescana di Bonaventura e dei teo- rici della luce e della prospettiva, e ancora in quella domenicana di Alberto Magno e dei suoi epigoni della scuola renana, e non lasciando immune neppure Tommaso dAquino. Influenza tanto massiccia che qui possibile denunciarla solo in elenco, e che ricondurremo agli aspetti che pi interessano il nostro tema. Ancora una metafora di Platone ci aiuter in questo. Nella Repub- blica afferma che esiste un modo mirabile per produrre il mondo e cio catturarne le innumerevoli immagini, tutte e in una volta sola, con uno specchio 51 . lideale del conoscere tutto come visione del tutto, simul et semel, quanto dire visione istantanea, fuori del tempo. Sta in questa immediata identit tra vedere e conoscere, uno degli ideali del platonismo, e del platonismo cristiano. Una identit che non TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 48. 2. Modus quo sensus videt est in quantum species visibilis in actu per lumen formatur in visu; unde transferendo nomen visionis ad intellectum, proprie intelligendo videmus quando per lumen intellectuale ipsa forma intellectualis fit in intellectu nostro, III Sent. d. 24, q. 1, a. 2. Ipsa intellectualis cognitio nomina- tur visio, Cont. Gent., III 53. 49. Agostino, De Genesi ad litteram, VII 13, 20. 50. Pseudo-Dionigi, De coelesti hierarchia, c.3, trad. di Roberto Grossatesta (Dionysiaca, Paris 1937, II, 787). 51. Platone, Respublica, X 596d 9 ss. 23 ha bisogno di intermediari tra occhio e realt, tra pensiero ed essere, ma che in quanto ideale non dato realizzare se non nel mondo noe- tico. A realizzarlo infatti il Dio dei platonici che essendo prima del mondo non lo pu rispecchiare ma solo emanare da s, in s e per s, nella propria unit monadica; e poich prima del tempo, lemana- zione avviene per intuizione immediata, cio per visione noetica. Infatti la mente divina, il perennemente operante, non pu ope- rare che intuendo, e intuendo non pu che produrre in instanti una molteplicit di pensieri sotto forma ipostatica, cio le /i, gli . Ma poich intuire un atto immediato di conoscenza per visione diretta di un oggetto attualmente presente, la mente divina sdoppia se stessa in s come vedente e come veduto, contemplando e rispec- chiando a se stessa le immagini delle idee archetipe che essa stessa ha prodotto. In tal modo essa anticipa la molteplicit delle immagini del mondo in forma paradigmatica e noetica; essa, come dice Filone, gi ou o, cosmo intellettuale 52 . Nella mente divina dunque la radice e la fonte di tutte le immagini esemplari che sar dato di vedere e conoscere proiettate nel mondo. Essa lideale teca in cui sono riposti gli oj, cio i timbri o i sigilli originari e auten- tici del sovrano sovrasensibile. Ma il futuro mondo sensibile, il ou /o, solo un sovrappi alla autosufficiente e compiuta potenza del cosmo noetico; se Dio lo vuole esprimere, dice Filone, perch sia ornamento e segno di questa potenza, quale suo riflesso e quindi quale suo splendore 53 . Ma per esprimerlo fuori di s deve imprimerlo in qualcosa fuori di s: di qui la decisione che un demiurgo, guardando nel modello, pla- smi la materia derivandone la similitudo dagli esemplari divini. La sua stessa mano agir via via come multiforme sigillo per imprimere in conformit alle idee archetipe la c, cio il territorio ancora informe della materia. Da questo atto di impressione la materia assume la molteplicit delle forme. Come si vede, assente nella visione intuitiva di Dio, il meccanismo della : torna qui a fondamento della stessa produzione del cosmo sensibile, e il rapporto di similitudine con le idee archetipe che il demiurgo ha impresso nel molteplice delle forme visibili, diventa per ci stesso principio della loro conoscibilit. La visio delle forme materiali, infatti, comporta, per la conoscenza, che sinverta il pro- GIORGIO STABILE 52. Filone, De opificio mundi, 17-22 (ed. R. Arnaldez, Paris 1961, 153-55). 53. Ibid., 23 (156-58). 24 cesso della loro produzione: il sigillo impresso sulla materia deve essere nuovamente liberato dalla materia affinch la sua immagine venga restituita alla sua condizione ideale e eidetica. questo per altro il fondamento della teoria dellintegumentum, della cortex, che i platonici del XII secolo vedevano come scorza da cui liberare il nucleo di verit che si cela nelle realt che, pur visibili, non per que- sto sono di per s conoscibili. In ogni caso ancora una volta il prin- cipio del sigillo, della impressio o, secondo una dizione tipica del pen- siero ermetico e astrologico, della signatura rerum, che allontana, per aenigma e per integumentum, il visibile dal conoscibile ma insieme garantisce la possibilit, in ragione della similitudo, di raggiungere la verit per vestigia. Ci che fecero i metafisici della luce e buona parte dei teorici di prospettiva, riprendendo e sviluppando temi gi di Plo- tino e dello Pseudo Dionigi, fu di reinterpretare tutto intero questo processo di costruzione demiurgica e di impressione delle forme come effetto di una graduale e successiva di luce. La luce insieme Dio e demiurgo, in quanto punto centrale infinitamente luminoso e potente che in instanti si esprime irraggiandosi in forma di sfera e generando le regioni del cosmo. La struttura del cosmo una gerarchia di ipostasi luminose, ogni grado delle quali corrisponde al transitare dei raggi dalla pienezza del punto di origine alla oscura opacit della materia. Il transitus della lux, dice Grossatesta, est per sui multiplicationem et infinitam generationem luminis 54 . Una autoge- nerazione e moltiplicazione che avviene attraverso i raggi, poich i raggi costituiscono un gioco combinato di proiezioni che recano in s limpronta delle idee divine, e agiscono come timbri imprimendo sulla materia le formae rerum, le species. In tal senso per non conside- rare la processione luministica avicenniana, o testi capitali come il Fons vitae di Avicebron, il De Intelligentiis, il Liber De causis o la Ele- mentatio theologica di Proclo il De radiis di Alkindi di per s una mirabile summa. Tutte le cose agiscono le une sulle altre attraverso i raggi, in un gioco infinito di azioni e impressioni reciproche: Res [] in se invicem agunt et a se invicem patiuntur per radiorum infu- sionem et motum faciunt in se invicem secundum exigentiam agen- tis et patientis; e nel De aspectibus afferma: impressio igitur cum eo in quo est impressio est radius. Nella metafisica della luce e degli ottici ormai il typus, il timbro della similitudine tra Dio e materia per eccellenza il raggio luminoso. dunque in quanto virtus irrag- TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 54. De luce (ed. Baur, 52). 25 giante di luce e luce lui stesso, che Dio origine e fonte del fluxus di tutte le forme esemplari. Come dice Alberto Magno, nel De causis et processu universitatis: Fluxus est emanatio formae a primo fonte, qui omnium formarum est fons et origo 55 , forme che inseminano allo stato nativo (inchoatio formae) la materia e verranno a maturazione per effetto delleductio operata dal calore assimilante della lux. Esemplari- smo divino che per parte sua Peckham, nel De perspectiva, interpreta secondo le parole di Paolo lucem habitat inaccessibilem (I Tim. 6, 16): necesse habemus [] scrutari vestigia in speculis creaturarum ut per numerum creatum ascendamus ad increatum et per lucem crea- tam ad lucem sapientiae increatam. Ipsa enim est in essentia purior et in operatione efficacior [] 56 . Scrutari vestigia in speculis creatu- rarum, linguaggio tipicamente agostiniano e della mistica vittorina e che riecheggia il ripetutissimo tema paolino videmus nunc per spe- culum in aenigmate (I Cor. 13,12). Se Dio si esprime con la luce, indagando le leggi dellottica che il metafisico della luce torna a prendere su di s il vecchio tema dellintegumentum e del rispecchia- mento creaturale, per penetrare attraverso nuove vie il significato enigmatico e simbolico della visione. Tema che spesso si dimentica essere al fondo di molti trattati di ottica medievale. Trattati che con- servano, al di l dellinnovante trattamento geometrico, unontologia e una gnoseologia profondamente medievali. Non a caso le indagini sullirraggiamento diretto, sul raggio ri- fratto, e sul raggio riflesso diventano, in Pierre de Limoges, prova secondo natura e simbolo di tre tipi di visiones destinate a tre gradi della condizione umana: quella diretta ai beati in statu gloriae, quella rifratta alle anime separate nel cielo empireo fino al giorno della resurrezione, e quella riflessa e per speculum alluomo in statu viae 57 . Ma va pure aggiunto che nella visio essi non vedono nelle imagines o species delle semplici rappresentazioni retiniche, ma gli effetti opera- tivi di una virtus che promana da unessenza, virtus che, pur scomparsa nel tracciato geometrico dei raggi visuali, rimane implicita in essi come il vero enigma da sciogliere. Oggetto ultimo del conoscere infatti la visione della essenza, della nuda quidditas, e ci possibile proprio perch quella virtus che promana dallessenza legata ad essa da un rapporto di similitudine. Bacone nel De multiplicatione specierum GIORGIO STABILE 55. I, 4, 1 (ed. W. Fauser, 43). 56. De perspectiva, 1 (ed. D. C. Lindberg, 23). 57. Cf. Ch. Trottmann, La vision batifique des disputes scolastiques sa dfinition par Benot XII, Rome 1995, 163, 634. 26 afferma appunto che le species sono una virtus secunda in quanto effetti operativi della virt intrinseca alla sostanza da cui promanano e con cui mantengono un rapporto di similitudo e di essentia, infatti questa virtus viene concepita come suo effetto propter similitudinem eius ad hanc virtutem [quella intrinseca alla so- stanza] in essentia et in operatione [] et haec virtus secunda habet multa nomina, vocatur enim similitudo agentis et ymago et species et ydolum et simulacrum et fantasma et intentio et passio et impressio et umbra philo- sophorum apud auctores de aspectibus 58 . La species dunque similitudo agentis e perci sua ymago. Se letta in questo pi ampio contesto, la visio degli ottici non che un semplice segmento di un tragitto delle forme o species, ben pi lungo e per di pi ritornante allorigine con andamento triadico. Le forme proce- dono da Dio espresse come raggio e improntano lessenza delle cose, dalle cose vengono a loro volta espresse come raggio riflesso e impresse nella vista, e di qui impresse ai sensi interni, allintelletto, e alla mente e che la mente riconosce come simboli-impronta di Dio a cui idealmente le riporta. A guardar bene ci che garantisce il costante e conversivo succedersi di expressiones-impressiones da Dio alla realt, dalla realt alla visione, dalla visione alla mente e dalla mente nuovamente a Dio la funzione di simbolo e il connesso contenuto intenzionale della species. Funzione di simbolo che si chiarisce ri- salendo al suo senso originario: era infatti ciascuna delle due parti di una tessera spezzata e che due rispettivi portatori , cio congiungono e fanno coincidere, per certificare attraverso il combaciare delle due impronte complementari il reci- proco e autentico riconoscimento. Nella percezione, nella visione, li- mago o la species, realizza appunto questa coincidenza simbolica tra i successivi portatori: oggetto e occhio, occhio e immaginazione, immaginazione e mente. Ma in questo rapporto simbolico limma- gine, presa in s e per s, unentit invisibile e astratta: perch si manifesti nel visibile occorre che si materializzi sdoppiandosi nelle due facce tra loro speculari: luna aderente a ci da cui essa espressa (il typus), laltra aderente a ci su cui essa si imprime (leffictum). Essa sussiste per s nella similitudo, cio nella costante tensione di somi- glianza tra due copie che sono altro da lei e che si confrontano spe- cularmente. Il suo contenuto specifico, da puramente materiale, si TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 58. I, 1 (ed. D. C. Lindberg, 2). 27 sposta in quello puramente intelligibile ed eidetico, che in tanto sus- siste in quanto richiama laltro da s, cio intenzionale. Di qui allora tre considerazioni: nella teoria aristotelico scolastica dellastrazione, affinch le species visibiles o sensibiles si riducano a spe- cies intelligibiles, lintelletto non pu far altro che trarre via dalla mate- ria impressa dellocchio o dellimmaginazione, limmagine-species, che denudata de materia non pu che rivelare la sua effettiva natura acor- porea ed eidetica come solo oggetto di conoscenza. In secondo luogo, in quanto imago, condizione del suo sussistere rimane comunque la sua funzione referenziale, cio lintenzionalit significante verso lal- tro da s, verso il tipo esemplare (di qui luso scolastico di parlare di species intentionales, o semplicemente di intentiones). Funzione es- senziale nellatto della visione e della conoscenza, che sempre un atto dinamico e polare, intenzionale appunto. In terzo luogo questa condizione relazionale e intenzionale, de- nuncia un rapporto di dipendenza ontologica che caratterizza ogni sistema gerarchico, fondato, come quello che abbiamo visto, sul rap- porto tipologico-simbolico di similitudo. Questo rapporto infatti legato al principio del rispecchiamento, della specularit. Tutti gli enti exemplati rispetto agli exemplares, tutte le copie rispetto ai modelli, non possono sussistere se non sussistono i primi, ma non viceversa. Solo chi sussistente per s non legato a questo principio, cio Dio. Tutti gli altri enti viceversa vivono della espressione per rassomi- glianza da lui. Tanto che, annientato lui, tutte le gerarchie di enti generati per rispecchiamento scomparirebbero di colpo nel nulla. Ma se tutte le gerarchie di enti generati per rispecchiamento fossero annientate di colpo, lui continuerebbe a sussistere. Dio non ha biso- gno del mondo, e continuerebbe a contemplare gioiosamente s in quello speciale rapporto di visione per autorispecchiamento sussi- stente che il rapporto trinitario. Come in una sorta di mito di Nar- ciso, Dio luce genera entro s lo specchio di s, il Figlio, e nel reci- proco riflettersi dello caldo e radioso che spira dagli occhi, si genera appunto lo , lo Spirito santo che rapporto visivo di ardor ed amor. Come dice la regula Alani citata nel De intelli- gentiis: Monas gignit monadem et in se suum reflectit ardorem 59 . Per questo aspetto la visio medievale continuamente minacciata dal rapporto, radicalmente contingente, della relazione . Lo- scuro oggetto del desiderio della visione, non solo quello di cono- GIORGIO STABILE 59. Alano di Lilla, Theologicae regulae, 3 (PL 210, 624-25). 28 scere, ma di assimilare s stesso e laltro, vedente e veduto, per realiz- zare un rapporto di sussistenza trinitaria. Non a caso una delle forme pi ambite di visio la visio intuitiva, una coincidenza di evidentia intelligentiae ed evidentia visionis, che anticipi nella visio viatoris la visio in patria. Quando res in se nude videtur, allora le species scompaiono. Nella cognitio o visio per essentiam soggetto e oggetto sono uniti e la relatio similitudinis tende a diventare relatio identitatis. Quanto pi log- getto della visione alto, e quanto pi essa un intuitus, tanto pi lu- nione con esso fa risalire i gradi della contingenza e libera dal tempo. E nella visio unitiva con Dio la realizzazione del paolino facie ad faciem, non tanto e non soltanto il completamento della conoscenza e lat- tingimento della beatitudo, quanto piuttosto il massimo sottrarsi dal rapporto di contingenza e di relazione subordinata che comporta les- ser fatti ad immagine e a somiglianza. La assimilatio nelloggetto della visione salvazione di s a costo dellannullamento di s e del silen- zio di s, da quel momento infatti il discursus della ratio non ha pi ragione di esistere. La visio intellectualis come visio directa si oppone e annulla il discursus, perch non ha bisogno del tempo: essa avviene in instanti, e istantaneamente vale eternamente. Il discursus, la ratiocinatio, guadagna per passaggi e attraverso il tempo ci che la visio d in immediata sinossi. Non a caso Boezio ricorda che Uti est ad intel- lectum ratiocinatio, ad id quod est id quod gignitur, ad aeternitatem tempus, ad punctum medium circulus 60 (Cons. IV pr. 6). Eternit e tempo, punto centrale e circolo. Qui appunto Boezio sta dicendo che nel risalire i raggi che emanano dal centro luminoso di Dio, i gradi circolari dellessere si restringono, il tempo si contrae, il discursus si fa intellectus o intuitus, ci che generato e contingente tende ha dive- nire id quod est, cio essenza permanente. Il risalire al centro del cerchio e al culmine della compresenza divina, sembra un arricchi- mento dellessere, ma piuttosto una sottrazione dellessere, nelles- sere altro. Giunti al punto centrale, in coincidenza con Dio la visio sar sinottica, locchio assorbir come lo specchio di Platone la totalit del cosmo e degli esseri, ma solo allora ci accorgeremo, congiunti allog- getto sommo della nostra conoscenza, che noi siamo oggetti dalle- ternit di visio e di conoscenza divina, come parti dellessere siamo noi oggetto di pensiero e che noi esistiamo perch siamo pensati. TEORIA DELLA VISIONE COME TEORIA DELLA CONOSCENZA 60. De consolatione philosophiae, IV pr. 6. 29 Pag. 30 bianca