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IL SISTEMA ITALIANO DELLE SANZIONI CRIMINALI TRA PENA “LEGALE” E PRASSI APPLICATIVA

1 - Sistema delle sanzioni penali; Codici e Costituzione


Le sanzioni penali sono il nucleo centrale di un qualsiasi sistema penale: infatti ne garantiscono l'effettività in
concreto.
L'ordinamento italiano è un ordinamento di civil law, che si basa cioè su fonti del diritto scritte e gerarchicamente
organizzate. La Grundnorm di questa gerarchia è la Costituzione repubblicana, parametro di validità di tutte le altre fonti
subordinate, a cominciare delle leggi. La Costituzione italiana si occupa della legge penale, in particolare, negli artt. 13,
25 e 27:
Art. 13: La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra
restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti
dalla legge.
Art. 25: Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
Art. 27: La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
La Costituzione si innesta, tuttavia, su un testo antecedente: il Codice Rocco, risalente al 1930. All'indomani
dell'entrata in vigore della prima, taluni prospettarono l'ipotesi di tornare al codice precedente (Codice Zanardelli),
perché considerato espressione di valori liberali di contro alla ispirazione fascista del Codice Rocco. Si preferì, tuttavia,
imboccare la strada della riforma globale della legislazione penale. Tentativo sinora fallito, e che ha portato il
legislatore ad intervenire in maniera discontinua e settoriale, dando così vita a modifiche disorganiche, in quanto mosse
da considerazioni contingenti. L'incompatibilità del testo costituzionale con il codice di procedura penale d'era fascista,
entrato in vigore nel 1930 – come il codice Rocco – ha invece portato ad una sua organica riforma, manifestatasi con
l'entrata in vigore del Codice Vassalli nel 1988. Il mancato coordinamento fra una riforma che doveva investire anche il
Codice Penale è stata, tuttavia, foriera di problemi. Se fino a pochi anni fa, nella Dottrina, si viveva nell'illusione di poter
isolare il diritto sostanziale con quello processuale, la realtà ha sempre più reso evidente che è questa una distinzione
valida solo per mera comodità didattica, dal momento che la norma penale è unica e si compone tanto di aspetti
sostanziali che processuali.

2 – Sanzioni penali: pene e misure di sicurezza


Abbiamo finora parlato di sanzioni penali. Ma allora perché, trattandosi di diritto penale, non parlare
semplicemente di pene? Perché nel sistema del Codice Rocco il legislatore ha previsto due modelli di sanzioni penali:
1. Pene in senso proprio;
2. Misure di sicurezza.
È questo un sistema sanzionatorio frutto di un compromesso fra le due scuole di pensiero che si contrapponevano
nell'ambito della scienza penalistica europea:
1. Scuola classica: concepisce l'uomo come essere libero di autodeterminarsi secondo coscienza. La pena, in quest'ottica,
non è altro che il giusto castigo per un male commesso da un individuo imputabile.
2. Scuola positiva: è di avviso, in ultima analisi, che l'uomo non può considerarsi responsabile delle proprie azioni, in
quanto i suoi comportamenti sono in minima parte, se non per nulla, frutto di libero arbitrio, quanto delle
condizioni sociali e del contesto nel quale si è trovato ad operare, dei suoi caratteri genetici e della sua indole
malvagia, discendente dal patrimonio ereditario e dalle sue tare (fondamentale l'opera di Cesare Lombroso).
Applicare una pena, secondo questa concezione, è addirittura illogico. Residua, tuttavia, la possibilità della
società di difendersi dagli individui tarati: attraverso la misura di sicurezza o si può tuttavia mettere nelle
condizioni di non nuocere ulteriormente.
Il sistema del “doppio binario” adattato nel Codice Rocco, prevede la possibilità di applicare entrambi i modelli
sanzionatori alla commissione di un fatto di reato al completo dei requisiti oggettivi o soggettivi. La pena – che nella
visione dei padri del codice “guarda al passato”, e mantiene il suo carattere etico-retributivo, si applicherà solo ai soggetti
imputabili, quelli – ex art. 85 – capaci di intendere e di volere al momento della commissione del fatto:
Art. 85. Capacità d’intendere e di volere. — Nessuno può essere punito per un fatto preveduto
dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.

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È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere.
Ai soggetti pericolosi, fra i quali sono ricompresi anche gli incapaci di intendere e di volere, verrà invece applicata la
misura di sicurezza, la quale non guarda all'etica, ma riflette una funzione socialpreventiva, di rimedio alla pericolosità.
Pericolosità la quale prognosi sarà formulata dal giudice, ex. art. 203 c.p.:
Art. 203. Pericolosità sociale. — Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche
se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quando è
probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133.
Esito del sistema del “doppio binario” è che ai soggetti non imputabili ma pericolosi si applicherà la misura di
sicurezza; ai soggetti imputabili ma non pericolosi si applicherà la pena; ai soggetti imputabili e socialmente
pericolosi si applicheranno ENTRAMBE pena e misura di sicurezza.
È questa una soluzione consequenziale rispetto alle premesse, ma che tuttavia finisce col risolversi in una ingiusta
duplicazione della pena.

3 – Pene in senso proprio: principali e accessorie


Le pene principali sono inflitte dal giudice con la sentenza di condanna. Sono quelle che caratterizzano le singole
figure di reato, e che consentono di distinguerli fra delitti e contravvenzioni.
● Delitti: sono delitti i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, della reclusione o della multa.
● Contravvenzioni: delitti per i quali la legge prevede l'arresto o l'ammenda.
Le pene accessorie sono quelle che, ex art. 20, seguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa. La loro
durata può essere perpetua o temporanea; consistono contenutisticamente in limitazioni della capacità giuridica o di
agire (interdizione dai pubblici uffici, divieto di esercitare un'arte, professione, industria, commercio o mestiere;
interdizione legale; incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; decadenza o sospensione nell'esercizio
della potestà genitoriale). In posizione autonoma si pone la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di
condanna.

4 – I caratteri fondamentali della pena


Elenchiamo quei caratteri che caratterizzano la pena nel nostro ordinamento e che la caratterizzano rispetto ad altre
sanzioni:
● Personalità: emerge dall'art. 27 Cost. “la responsabilità penale è personale”, ma si ricava anche dall'art. 150 c.p. “la
morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato”. Corollario di questo principio è quello della
irresponsabilità penale delle persone giuridiche, per il quale societas delinquere non potest.
● Principio di legalità: ex art. 25 II comma Cost ed art. 1 c.p.: il quantum e la species della pena possono essere
stabilite solo dalla legge formale del parlamento e dagli atti del Governo aventi forza di legge.
● Irretroattività [rectius: retroattività della sola legge più favorevole al reo]: si ricava dal 25 II comma Cost. e
dall'art. 2 c.p.;
● Tassatività: la pena deve essere chiaramente predeterminata nella specie, nella quantità, nel contenuto
afflittivo dalla legge;
● Riserva di giurisdizione: l'applicazione in concreto della pena criminale è riservata all'autorità giudiziaria;
● Inderogabilità e proporzionalità: la pena, una volta minacciata per un determinato reato, deve essere sempre
applicata a chi si renda responsabile della violazione, e deve essere graduata alla concreta gravità del reato
commesso. Entrambi questi principi, che già nel Codice Rocco delle origini subivano varie eccezioni, sono oggi
nella loro operatività venuti meno.

5 – I caratteri delle misure di sicurezza


Le misure di sicurezza, si dividono in personali e patrimoniali. Quelle personali si dividono, a loro volta, in
detentive e non detentive. Ciò che veramente le differenzia rispetto alle pene è la loro particolare funzione e natura,
insieme alla relativa disciplina.
Le misure di sicurezza condividono però dei caratteri comuni alle pene. Elenchiamoli:
● Personalità;
● Riserva di legge;
● Riserva di giurisdizione.
Numerosi, tuttavia, sono anche i caratteri distintivi rispetto alle stesse pene:
● Sono regolate non dalla legge vigente nel tempus commissi delicti, ma da quella in vigore al momento della
loro applicazione o – se questa è diversa – da quella della loro esecuzione. Ciò comporta che una disciplina
successiva più sfavorevole possa modificare il trattamento per il reo: esse hanno sempre efficacia retroattiva, ex

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art. 200. Tale disciplina si spiega in virtù della loro stessa natura; se servono a “difendere la collettività”, potranno
essere adattate qualora risultino non più rispondenti a tale funzione.
● Hanno durata tendenzialmente indeterminata, essendo dirette non ad infliggere una pena dal significato
morale, ma a contrastare la pericolosità del reo. Devono quindi perdurare finché tali condizioni di pericolosità
non abbiano cessato di esistere.

6 – Pena: funzione di prevenzione speciale e le eccezioni ai principi di proporzionalità ed inderogabilità


Già nell'impianto originario del Codice Rocco, l'idea della pedissequa idea della pena in funzione retributiva era stata
superata. Si stava affermando l'idea di una funzione di prevenzione: la pena doveva non solo mirare a “retribuire” il
reo, a punirlo per il torto commesso nei confronti della società, ma anche a prevenire la recidiva del soggetto già
condannato. Sulla scorta di questo principio, furono introdotti istituti eccentrici ed eterodossi rispetto a quelli approntati
ad una concezione della pena quale puro castigo.
Anzitutto, all'art. 133, si stabilisce che – nella determinazione in concreto della pena fra il minimo ed il massimo
edittali – il giudice dovrà tenere conto non solo della gravità del reato, ma anche della capacità a delinquere del
colpevole.
Ancora, l'istituto della liberazione condizionale, di cui agli artt. 176 e 177, derogano il principio della inderogabilità:
il condannato alla pena detentiva il quale, durante l'esecuzione della stessa, abbia tenuto un comportamento tale da far
ritenere come sicuro il suo ravvedimento e che abbia scontato almeno metà della pena inflittagli, può essere ammesso
alla libertà vigilata.
L'art. 163, infine, introduce l'istituto della sospensione condizionale della pena, quando pronuncia una sentenza di
condanna a pena detentiva per un tempo inferiore a due anni, qualora si presuma che il colpevole “si asterrà dal
commettere ulteriori reati”.

7 – La proposta di unificazione di pena e misura di sicurezza in una sola sanzione a finalità risocializzatrice
L'idea, sancita anche nell'art. 27 comma III della Costituzione, che la pena debba essere volta alla rieducazione del
condannato, ha nella dottrina – in particolare nel dibattito degli anni '50 e '60 – portato ad auspicare l'abolizione del
sistema del “doppio binario”, per giungere ad una nuova sanzione, dal carattere misto e con finalità risocializzatrice.
Una sanzione il cui limite minimo sia formato dal limite edittale minimo della pena, ed indeterminata nel massimo.
Trapani è dell'idea che una simile sanzione sia incostituzionale, in quanto non prevede un limite massimo; tuttavia la
formulazione della Dottrina presenta un fondo di verità, dal momento che, in certi casi, la fungibilità fra misura di
sicurezza e pena è stata introdotta dallo stesso legislatore ed auspicata dalla Corte Costituzionale.

8 – La crisi della centralità della pena detentiva nel sistema sanzionatorio; il problema del sovraffollamento delle
carceri
L'impianto sanzionatorio del Codice Rocco, basato sul “doppio binario”, entra in crisi negli anni '70, sia per
un'evoluzione politico-ideologica del modo di vedere il diritto, sia per le mutate esigenze dell'ordinamento penale. La
crisi non nasce tanto da evoluzioni coerenti di una linea di politica criminale, quanto da un suo atteggiamento
schizofrenico, oscillante fra la bieca repressione e l'ingiustificata clemenza.
La crisi della pena detentiva nasce, più in particolare, dal problema del sovraffollamento delle carceri. Problema
dovuto sia al vertiginoso aumento della criminalità, a causa dello sviluppo tanto della c.d. criminalità di massa, “effetto
collaterale” del passaggio del nostro paese dall'economia agricola al capitalismo avanzato, come anche all'esplodere
della criminalità politica. Le ragioni del sovraffollamento erano da rinvenirsi non soltanto nell'aumento del numero dei
condannati, quanto all'aumento dei tempi della giustizia, foriera dell'esasperato aumento nelle carceri dei detenuti in
attesa di giudizio, cioè in stato di carcerazione detentiva. Detenuti i quali rappresentavano già nel 1974 più della metà
della popolazione carceraria, fino ad arrivare, nel 1984, a picchi del 70%.

9 – Gli strumenti della deflazione carceraria: provvedimenti clemenziali e depenalizzazione.


Di fronte all'emergenza, unica via realisticamente predicabile era la fuga dalla pena detentiva.
Un legislatore serio e razionale, si sarebbe mosso secondo quattro direttrici di intervento:
1. Depenalizzazione di quei fatti non più meritevoli di tutela penale;
2. Mitigazione dei limiti edittali delle pene ritenute dalla coscienza sociale come troppo severe rispetto allo
Zeitgeist ispiratore del Codice Rocco;
3. Sostituzione delle sanzioni penali detentive con sanzioni non detentive;
4. Previsione di Istituti di deflazione processuale e riduzione al minimo dei termini di carcerazione preventiva.
Il legislatore italiano si è invece mosso in maniera opposta a quanto avrebbe suggerito la ragione. Ha preferito,
infatti, utilizzare i provvedimenti generali di c.d. clemenza sovrana, provvedimenti quali l'amnistia (estintiva del reato
tout court); e l'indulto che condona una parte della pena. La depenalizzazione è invece proceduta secondo la via meno

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razionale: quella del trasferimento dei reati puniti con ammenda o reclusione nel campo degli illeciti amministrativi.

10 – Ampliamento del potere discrezionale del giudice; fenomeno della c.d. “supplenza” giudiziaria
Alla luce del problema appena inquadrato, alla questione della eccessiva severità delle cornici edittali il legislatore
non ha risposto nel modo più razionale e garantista, che sarebbe stato quello di una revisione della parte speciale e di
una limitazione verso il basso delle stesse cornici, ma a preferito una strada costituzionalmente inaccettabile: quella della
abdicazione dal farsi carico di scelte di politica criminale per trasferire al giudice il potere di mitigare l'eccessivo
rigore del Codice Rocco.
È stato così concesso al giudice, attraverso diversi interventi sulle disposizioni di parte generale (artt. 99, 69, 81, 163 e
164 c.p.), un ampliamento indiscriminato del potere discrezionale dei giudici, nella speranza che questo potesse
fungere da supplenza all'abdicazione del legislatore. Sicché si è venuta a creare una notevole incertezza non solo sul
quantum, ma anche sul <<se>> sella stessa punizione. Discrezionalità che è foriera di una grave lesione del principio di
uguaglianza tra rei, del quale la caduta di credibilità dell'ordinamento è ulteriore corollario. Tanto più che le correnti di
sinistra della magistratura – Magistratura Democratica negli anni '70 – cominciarono a teorizzare il c.d. uso alternativo
del diritto allo scopo di favorire la promozione sociale di una classe – quella proletaria – assunta come “più debole”.

11 – La riforma penitenziaria e le misure alternative alla detenzione. La trasformazione della pena detentiva in
sanzione non legalmente predeterminata, atipica ed incerta
Con la L. 354 del 26 luglio 1975, è intervenuta la riforma dell'ordinamento giudiziario. La differenza più rilevante
rispetto al precedente ordinamento, consiste nel dato che alla determinazione delle concrete modalità di applicazione
della pena detentiva provvede non più l'amministrazione carceraria, ma la magistratura di sorveglianza, cioè il potere
giudiziario.
L'intera riforma è stata incentrata attorno all'idea che la pena doveva trasformarsi in un trattamento rieducativo
personalizzato. Trattamento da determinarsi in concreto secondo l'efficacia della “cura”, della rispondenza al reo della
rieducazione impartitagli. Ciò porta ad un'ampia discrezionalità nelle concrete modalità di esecuzione; a.e. attraverso la
concessione di permessi premio e con l'assegnazione al lavoro all'esterno del carcere. Ma strumenti privilegiati ed
essenziali del trattamento differenziato sono stati introdotti con le c.d. misure alternative alla detenzione: misure quali la
● Semilibertà, consistente alla concessione al condannato della possibilità di trascorrere parte del giorno fuori del
carcere per partecipare ad attività utili al suo reinserimento, insieme alla concessione di licenze per una durata
non superiore a 45 giorni l'anno;
● Affidamento in prova al servizio sociale, adottato “sulla base dei risultati dell'osservazione della personalità,
condotta collegialmente per almeno un mese”
A queste misure deve aggiungersi, inoltre, l'istituto della liberazione condizionale, già previsto dal codice del 1930,
che consente al condannato che abbia scontato almeno metà della pena di espiare il residuo in libertà, sia pure “vigilata”

Il sommarsi di tutte queste misure ha portato alla definitiva scomparsa della FORMA CLASSICA DI PENA, per
condurre alla sua trasformazione in una sanzione non legalmente predeterminata, atipica ed incerta.
● Non legalmente predeterminata, perché la scelta se la pena detentiva debba essere scontata in carcere o in
libertà è rimessa non al legislatore, ma al giudice;
● Atipica: i parametri legislativi per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione e delle altre misure
sono espressi con formule assolutamente generiche ed indeterminate, di fatto rimesse alla fantasia dei singoli
giudici di sorveglianza
● Incerta, perché i presupposti applicativi delle misure alternative alla detenzione non sono basate su fatti
empiricamente verificabili, ma consistono in giudizi prognostici ed in valutazioni sulla personalità dei
condannati affidate all'intuito ed alla discrezionalità dei giudici di sorveglianza.
Ancora, l'istituto della liberazione anticipata consente la detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena espiata;
beneficio che si moltiplica “a cascata”. Ciò ha effetti dirompenti sulla durata della pena, al punto di aver trasformato i
limiti edittali di parte speciale in nulla di più che indicazioni meramente formali.

12 – Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi


Sempre nella prospettiva di depenalizzazione della L.689/1981, il legislatore ha introdotto le c.d. sanzioni sostitutive
delle pene detentive brevi. Infatti non solo la maggior parte dei detenuti stava scontando una pena breve, ma dal punto
di vista sociologico la dannosità delle pene detentive brevi era ormai stata acclarata.
Esse, modellate sulla falsariga delle misure alternative al carcere, sono:
● Semidetenzione: comporta l'obbligo di trascorrere solo una parte della giornata, di durata non inferiore a dieci
ore, in carcere;
● Libertà controllata: comporta il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, insieme all'obbligo di

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presentazione giornaliera all'autorità di pubblica sicurezza.
● Multa ed ammenda in luogo di reclusione ed arresto come pene pecuniarie sostitutive;
● Lavoro sostitutivo in cui può essere convertita la pena della multa o dell'ammenda in caso di insolvibilità del
condannato.
Le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi sono state introdotte dal legislatore in modo quasi timido e
sperimentale. In giurisprudenza hanno, tuttavia, riscontrato una pressoché totale disapplicazione, sia per l'eccessiva
presenza di preclusioni oggettive e soggettive, e sia per l'ambiguità dei criteri di scelta che presiedono alla sostituzione.

13 – La carcerazione preventiva come pena anticipata


L'abbattimento della pena carceraria e la generalizzata ed indiscriminata indulgenza della nuova linea di politica
criminale avevano portato a lasciare insoddisfatte le esigenze di prevenzione generale e di difesa sociale, conducendo
in ultima analisi ad un impressionante aumento della criminalità comune e politica.
La spinta emotiva dell'opinione pubblica ha così portato il legislatore italiano ad intervenire, in una logica
puramente repressiva, con provvedimenti urgenti durante la stagione della legislazione dell'emergenza. Ciò con
l'inasprimento dei limiti edittali per alcuni delitti comuni sentiti dall'opinione pubblica come gravi ed odiosi (rapina a
mano armata, sequestro, estorsione, ecc.); con l'introduzione di un'aggravante speciale per i reati commessi per finalità
di terrorismo o di eversione dall'ordine costituzionale; attraverso l'introduzione di nuove fattispecie di reati
associativi, sia in materia di criminalità politica che mafiosa.
Ma il recupero delle istanze di prevenzione generale e di difesa sociale è avvenuto soprattutto attraverso l'uso
distorto della carcerazione preventiva. Un dilagare sempre più in contrasto con il principio costituzionale di
presunzione di non colpevolezza sino all'ultimo grado di giudizio. Ma quali le cause di questo dilagare? Possono essere
rinvenute nei seguenti elementi:
● Caduta della efficacia della sanzione penale sul piano della prevenzione dei reati, come conseguenza del
generale clima indulgenziale.
● Trasformazione della carcerazione preventive in vera e propria pena anticipata;
● Eccessiva lunghezza dei processi, col rischio di impunità per i criminali a causa di prescrizioni ed amnistie che
hanno deluso l'aspettativa dei cittadini sull'effettiva applicazione della pena attraverso un regolare processo.
Ad ampliare l'ambito della carcerazione preventiva hanno contribuito diversi strumenti legislativi, quali il
prolungamento dei termini massimi di durata della stessa e l'aumento dei casi di cattura obbligatoria; l'estensione del
divieto di concessione della libertà provvisoria anche per i reati più gravi, l'inclusione delle esigenze di tutela della
collettività fra i criteri idonei a giustificare la carcerazione preventiva facoltativa, che può essere disposta anche per i
reati meno gravi.
A ciò deve aggiungersi anche il fatto che la posizione dell'imputato è più afflittiva di quella del condannato: se il
secondo può beneficiare dei benefici penitenziari (quali le misure alternative alla detenzione), per il primo questi sono
espressamente vietati.

14 – Conclusioni
L'indulgenza nell'applicazione e nell'esecuzione della pena detentiva è, nel nostro ordinamento, controbilanciata dal
ricorso massiccio alla carcerazione cautelare come vera e propria pena anticipata, volta a soddisfare le esigenze di
“esemplarità” e di difesa sociale di cui la magistratura si è fatta l'alfiere presso l'opinione pubblica.
Se alla lettera del Codice di Procedura Penale la carcerazione cautelare dovrebbe essere una vera e propria extrema
ratio, essa è diventata nella pratica giudiziaria strumento di ordinaria applicazione, anche con gli usi illegittimi ed illeciti
di costringere l'imputato alla confessione ed alla delazione, in violazione ai più basilari principi della civiltà giuridica.

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