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Dopo la crisi: riflessioni e prospettive

Vincenzo Visco
La crisi attuale presenta tratti peculiari rispetto a quella degli anni Trenta e non pu pertanto essere superata con le stesse misure adottate allora. da escludere, inoltre, che dal suo superamento, che sar lungo e sofferto, emergeranno immutati i preesistenti assetti delleconomia mondiale, dei mercati finanziari e dei rapporti tra gli Stati. Uscire dalla crisi richiederebbe soluzioni cooperative e laccettazione di nuove regole condivise che al momento sembrano difficili da raggiungere.

irca tre anni sono passati dallinizio della crisi finanziaria, e ancora non si pu ritenere che essa sia stata superata. La ripresa ha avuto inizio, ma appare incerta e stentata. Gli squilibri che hanno dato origine alla crisi sono tutti ancora presenti. Inoltre non esistono interpretazioni generalmente condivise n sulle cause della crisi, n sulle terapie necessarie. Negli ultimi tempi si anzi riproposta una contrapposizione tra Amministrazione americana e governo tedesco (e BCE) che ha riportato alla memoria la discussione che divise il punto di vista del Tesoro inglese dalla posizione di Keynes al tempo della crisi degli anni Trenta.1 In questo contesto di incertezza pu essere utile qualche breve riflessione di carattere generale. Lo sviluppo economico del dopoguerra ha conosciuto due distinte fasi di

Vincenzo Visco, economista, presidente dellAssociazione Nuova Economia Nuova Societ (NENS).

crescita: quella che va dalla fine della guerra (accordi di Bretton Woods) agli anni Settanta (fine della convertibilit del dollaro nel 1971) e quella che, partita negli anni Ottanta, si esaurita nella attuale crisi finanziaria. Non si trattato solo di due fasi, bens di due diversi modelli di sviluppo. Il primo nasce come risposta alla grande crisi degli anni Trenta e alla sfida posta al capitalismo dallipotesi socialista, e si manifesta nel cosiddetto compromesso keynesiano: una sintesi tra poteri dello Stato e ruolo del mercato allinsegna di un robusto processo di redistribuzione del reddito e della ricchezza, nel quadro di una crescita sostenuta e ordinata promossa dalla progressiva riduzione delle protezioni doganali in un contesto di cambi fissi e convertibilit delle valute in oro, dal controllo del movimento dei capitali e dalla erogazione del credito per grandi flussi, dalla gestione attiva del bilancio pubblico e, in non pochi paesi, dalla presenza di imprese e banche pubbliche, nonch dalla regolamentazione pub-

1 Una analisi della crisi attuale alla luce di quelle che lhanno preceduta contenuta in N. Roubini, S. Mihm, Crisis Economics. A Crash Course in the Future of Finance, Penguin, New York 2010.

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blica di pressoch tutti i mercati rilevanti (credito, assicurazioni, trasporti aerei, terrestri e marittimi, porti e aeroporti, telefoni, poste e telecomunicazioni, radio e televisione ecc...). Questo modello ha prodotto risultati impressionanti per molti anni e ha garantito una inedita stabilit finanziaria. Si per esaurito nella grande inflazione degli anni Settanta. La risposta alla crisi maturata dopo alcuni anni consist in un mutamento radicale nella gestione delle economie, ma soprattutto in un cambio di egemonia culturale, con lideologia liberista che seppe contrapporsi e sostituirsi con successo alla cultura keynesiana-socialdemocratica (allora) dominante; furono cos introdotti nuovi criteri di governo delle economie allinsegna delle deregolamentazioni e privatizzazioni di Reagan e della Thatcher, criteri che sono diventati progressivamente senso comune, quasi realt ontologiche, nelle enunciazioni teoriche e tecniche e nelle prassi operative successive: politiche monetarie non accomodanti, indipendenza delle banche centrali, bilanci in pareggio, libert nei movimenti dei capitali, privatizzazioni, derego la mentazioni, liberalizzazioni, integrazione dei mercati finanziari, sviluppo senza limiti della finanza, tutto in funzione di un nuovo ciclo di sviluppo basato sulla globalizzazione e lintegrazione dei mercati e sulle grandi imprese multinazionali. Si tornava cos, in sostanza, agli assetti economici, culturali e anche politici prevalenti negli anni Venti del Novecento. Il crollo del sistema sovietico forniva un ulteriore impulso al processo di restaurazione liberista. Il nuovo modello ha comportato una grande crescita di cui, per la prima volta, hanno beneficiato anche i paesi in via di sviluppo (e questa stata la no-

vit positiva), ma ha anche creato allinterno dei paesi gi sviluppati una drastica redistribuzione del reddito che ha penalizzato i pi poveri e soprattutto le classi medie, e ha determinato un indebolimento dei sindacati, nonch un massiccio trasferimento di poteri dai governi e dai Parlamenti, al mercato, alle banche centrali, o alle autorit indipendenti. Ne derivato, nei paesi occidentali, un indebolimento dei meccanismi democratici e la progressiva perdita di autorevolezza della politica. Il cambio di paradigma economico non dipeso soltanto come si detto dallesaurimento Il cambio di del modello preceparadigma dente, dalla necessit degli Stati Unieconomico ti di finanziare la dipeso guerra del Vietsoprattutto nam o dal crollo dallesigenza di del comunismo, finanziare e ma anche, anzi sopromuovere una prattutto, dallesinuova fase di genza di finanziare e promuovere sviluppo basata una nuova fase di su una sviluppo basata su impressionante una impressionanondata di te ondata di innoinnovazioni vazioni tecnologitecnologiche in che in grado di creare nuovi progrado di creare dotti e destinate a nuovi prodotti e cambiare i modi di destinate a produzione. Si cambiare i modi pensi alle nuove di produzione tecnologie informatiche e telematiche, ai telefoni cellulari, a internet, alle macchine fotografiche e alle cineprese digitali, ai nuovi farmaci e tecnologie mediche, alle nanotecnologie, alle grandi navi e aerei da trasporto. Il vecchio modello basato essenzialmente su politiche economiche stret-

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tamente nazionali, sia pure nel contesto di una cooperazione internazionale, gravato da vincoli e regolazioni stringenti, mal si prestava a promuovere e sostenere la nuova fase. A ci va aggiunta la crisi della grande impresa fordista e la riorganizzazione dei sistemi produttivi. Le grandi imprese cominciano a decentrare e a delocalizzare la produzione alla ricerca della riduzione dei costi; le economie di scala vengono integrate e sostituite dal just in time e dallacquisto di componenti in tutto il mondo in un contesto di concorrenza feroce provocata e promossa dalle liberalizzazioni e dalla deregolamentazione. In tale contesto loccupazione si riduce, i salari vengono compressi e i lavoratori occidentali si trovano a dover competere quasi direttamente con i lavoratori cinesi, malesi, indiani ecc. Limmigrazione dai paesi pi poveri contribuisce anchessa a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori e dei sindacati occidentali. Contemporaneamente si sviluppa la nuova finanza, anchessa caratterizzata da importanti innovazioni (prodotti strutturati, redistribuzione dei rischi ecc.) e dallintegrazione telematica su scala globale. La nuova finanza serve inizialmente a finanziare la nuova economia, poi, come inevitabile, comincia a vivere di vita propria fino a diventare autoreferenziale (e quindi alla fine autoregolata!). In un contesto in cui i profitti raggiungono livelli non pi sperimentati da decenni, lindustria finanziaria si appropria di una quota impressionante di questi profitti ed esercita una influenza decisiva sulle scelte economiche e anche sulla politica. Negli anni Cinquanta del secolo scorso i profitti del settore finanziario rappresentavano negli Stati Uniti il 10% del totale; negli anni Ottanta erano saliti al 22% e ne-

gli anni Novanta al 34%; prima della crisi rappresentavano il 40%! Al tempo stesso, la quota delle retribuzioni del settore saliva dal 3% del totale a oltre il 7%. La nuova finanza crea altres bolle speculative e crisi finanziarie, che si manifestano al ritmo di una ogni 2-3 anni (crisi di borsa nel 1987 e nel 2001, crisi messicana, crisi russa, crisi asiatica, crisi LTCM, crisi argentina, crisi dei subprime, pi una serie di crisi minori). Le bolle (sui titoli, sugli immobili, sulle materie prime ecc.) nascono e vengono sostenute da una politica monetaria iperlassista, che guarda esclusivamente al controllo dei prezzi delle merci (tenuti bassi dalla globalizzazione) e non a quelli degli assets. Il processo descritto appare in verit molto simile a quanto accaduto nei primi decenni del secolo scorso; anche allora si verific un imponente fenomeno di integrazione finanziaria, di dimensioni anche superiori a quelle attuali, una imponente crescita dei commerci e delle economie reali. Anche allora come oggi allorigine del processo ci fu unondata impressionante di scoperte scientifiche e di innovazioni tecnologiche (il motore a scoppio e lauto, laereo, lelettricit al posto del carbone, il telefono, la radio, la televisione, gli elettrodomestici) in grado di cambiare radicalmente i processi produttivi e la struttura dei consumi. Anche allora leconomia visse una fase di liberismo accentuato, anche allora i costi di trasporto diminuirono, le protezioni doganali si abbassarono ed enormi masse migratorie si spostarono da un continente allaltro, le borse salivano senza sosta, la speculazione dominava; tutto sembrava possibile, tutti si arricchivano, spendevano, si divertivano, tutto sembrava andare per il verso giusto. Eppure lintero sistema collass improvvisamente, vittima dei propri

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eccessi, e gli errori compiuti nella gestione della crisi precipitarono il mondo nella Grande depressione. La storia sembra essersi ripetuta, con la differenza che la grande crisi del 1929-33 ha insegnato qualcosa alle classi dirigenti, che questa volta sono intervenute massicciamente, sia pure con un ritardo di oltre un anno. E in verit la crisi del 2008-09 appare ancora pi grave di quella del Ventinove: Eichengreen e ORourke2 hanno posto a confronto gli accadimenti di allora e quelli reLa crisi del 2008centi, aggiornan09 appare ancora do periodicamenpi grave di te i dati con levoquella del luzione della crisi. Ebbene, gli andaVentinove per menti delle due quanto riguarda crisi a livello gloil crollo della bale appaiono produzione molto simili, ma industriale, degli quella 2008-09 riindici della borsa sulta pi grave per e del commercio quanto riguarda il crollo della produmondiale zione industriale, degli indici della borsa e del commercio mondiale. Viceversa, a differenza del 1929, i tassi di interesse attuali sono molto pi bassi, segno di una politica monetaria ben pi consapevole. La differenza principale tra la crisi del 1929 e quella recente che la prima fu una crisi di borsa che degener in crisi finanziaria globale perch le banche furono lasciate fallire, mentre quella attuale una crisi da insolvenza debitoria partita dalle famiglie e trasmessasi in tempo reale alle banche e al sistema finanziario internazionale grazie alle interconnessioni finanziarie esistenti a livello globale. Si verificato, in sostanza, una sorta di black out pro-

gressivo che nellottobre del 2008 ha rischiato di azzerare il sistema dei pagamenti globale. La catastrofe stata evitata, ma ancora una volta si dimostrato che lasciar fallire banche di dimensioni sistemiche (come la Lehman) pu essere esiziale. Dalla finanza come ovvio la crisi si trasferita alleconomia reale, grazie al processo di deleveraging che ha coinvolto famiglie, imprese e banche. Per ripagare i debiti si devono vendere gli assets disponibili, i prezzi scendono di conseguenza determinando nuove perdite in conto capitale per le imprese, le famiglie e soprattutto per le banche, la cui capacit di erogare credito si riduce drasticamente determinando un credit crunch che i governi e le banche centrali hanno cercato in tutti i modi di compensare e contrastare. Il processo, tuttavia, non si esaurito e durer ancora per qualche tempo, condizionando la possibilit di ripresa. A tutto ci si aggiungono le sofferenze da inesigibilit di crediti ordinari che creano e creeranno nuovi problemi alle banche, al sistema finanziario e alleconomia reale. Gli interventi pubblici, quindi, dovranno proseguire e forse intensificarsi. Lideologia e la prassi neoliberista sono finite in tragedia, ancora una volta. E a ben vedere sono un intero sistema e una visione del mondo a essere crollati: un sistema coerente dominato da un nuovo imperativo etico, quello di aumentare lefficienza e i profitti aziendali, al fine di creare valore per gli azionisti. A ci si sono dedicate a tempo pieno societ di consulenza che spiegavano ai governi e alle imprese come ridurre i costi e costruire piani industriali profittevoli; banche daffari che organizzano quotazioni di nuove impre-

2 B. Eichengreen, K. H. ORourke, A Tale of Two Depressions, in Vox, settembre 2009 e stesure successive, disponibile su www.voxeu.org/index.php?q=node/3421.

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se, privatizzazioni, scalate (ostili o amichevoli), fusioni, scissioni, aumenti di capitale, emissione di obbligazioni e carta commerciale, cartolarizzazioni, swaps, costruzioni di derivati e assetbacked securities, che offrono assicurazioni contro i rischi diffondendoli in verit ovunque ecc.; societ di revisione o di rating che fungono da garanti e che operano in evidente conflitto di interesse, professionisti pagati a percentuale sul valore del contratto, enormi fondi che comprano e vendono imprese, o che, scambiando titoli sulle borse di tutto il mondo, segnano la sorte delle imprese e degli amministratori delegati: se i profitti non crescono sono guai; stock options e buonuscite milionarie per incentivare i manager a massimizzare i profitti a breve riducendo i costi di fornitura, loccupazione e i redditi dei dipendenti; private banking per assicurare ai nuovi (e vecchi) ricchi rendimenti adeguati per i loro capitali; sistemi contabili che impietosamente evidenziano ogni debolezza e, dal lato del settore pubblico, riduzione delle tasse e della spesa a ogni costo, privatizzazione del welfare (i fondi pensione sono un elemento essenziale per sostenere i livelli delle borse). Contemporaneamente, i migliori cervelli si concentrano a Wall Street o nella City, grandi matematici diventano gestori di hedge funds ottenendo di gran lunga i risultati migliori (con guadagni individuali annui che hanno raggiunto in alcuni casi la cifra incredibile di 1,5-2 miliardi di dollari). Tutte queste innovazioni sono state codificate in nuovi standard legislativi contenuti in trattati internazionali, nuove normative sulla finanza, sul funzio-

namento delle imprese, sulle crisi aziendali ecc., creando una sostanziale convergenza in tutti i Oggi la crisi sta paesi verso un moprovocando il dello di mercato (essenzialmente rientro dal debito quello anglosassodi famiglie, ne). Queste modibanche e fiche, peraltro ineimprese, e la ludibili nel nuovo trasformazione contesto globalizdi molto debito zato, hanno freprivato in debito quentemente avuto lappoggio fatpubblico tivo e talvolta entusiasta dei partiti di sinistra, spesso del tutto inconsapevoli di stare in realt adempiendo alle prescrizioni del pensiero unico.3 Un altro aspetto analogo in entrambe le crisi riguarda gli squilibri commerciali reali: negli anni Trenta tra Stati Uniti ed Europa; oggi soprattutto tra Stati Uniti e Cina, ma anche tra Stati Uniti e Giappone, tra la Germania e gli altri paesi europei. Oggi la crisi sta provocando il rientro dal debito di famiglie, banche e imprese, e la trasformazione di molto debito privato in debito pubblico. Quindi la crisi ha posto allordine del giorno anche il problema del riequilibrio delle bilance dei pagamenti americana, cinese ecc. Ci richiesto sia da coloro che rilevano che negli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilit, sia dal presidente Obama quando afferma che gli Stati Uniti non potranno pi sostenere da soli, con i loro consumi, lintera economia globale. Un processo di riequilibrio di tali dimensioni e portata, ancorch inevitabile, non sar n facile, n indolore: la que-

3 Ci quanto accaduto, ad esempio, in Italia con la limitazione dei poteri della Banca dItalia e in particolare della sua discrezionalit nella vigilanza. Nella convinzione di operare un intervento di moralizzazione, il Parlamento ha in verit indebolito il principale organo di vigilanza dei mercati. E non un caso che dopo la crisi del 2008-09 il ruolo delle banche centrali sia ridiventato preminente.

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stione infatti ha a che vedere con la distribuzione del potere nel mondo e con chi sar in grado di assumerne la leadership (da solo o con altri). Un tale processo di riequilibrio richiede inevitabilmente una riforma del sistema monetario e del sistema internazionale dei pagamenti.4 Stando cos le cose, molto difficile immaginare che la crisi attuale si concluder senza conseguenze rilevanti, come una parentesi nel contesto di un trend che riprende la sua corsa. Ci saranno invece mutamenti profondi, trasformazioni e riorganizzazioni che cambieranno molte cose: quello che sta avvenendo nel mercato delle auto ne solo un esempio. Il mondo del futuro sar verosimilmente un mondo con meno finanza, banche pi piccole e/o segmentate, meno debiti, meno credito e tassi di interesse pi alti. Se sar anche un mondo con meno crescita dipender dalla nostra capacit di sostituire alle bolle che si sono succedute negli ultimi decenni, e che sono state il vero motore della globalizzazione, altri meccanismi e soluzioni organizzative, come avvenne negli anni successivi alla crisi del Ventinove e alla seconda guerra mondiale. N va trascurato il fatto che dalla crisi i paesi OCSE usciranno con livelli di debito pubblico raddoppiati o moltiplicati rispetto a quelli attuali. Come spesso accaduto, dopo una grande crisi finanziaria vi anche il rischio di possibili insolvenze debitorie e default da parte degli Stati. Il futuro ci riserver quindi o tasse pi alte o maggiore inflazione. Si tratta di ipotesi e prospettive che si collocano ben al di fuori della ortodossia economica prevalente.

Inoltre, la crisi ripropone problemi sociali che si ritenevano superati: i costi dellaggiustamento sono come sempre unidirezionali e le disuguaglianze, in tale contesto, diventano insopportabili, come dimostra la rivolta contro le retribuzioni dei manager. Le classi dirigenti non potranno non tener conto di tale malessere: ci si rifletter con ogni probabilit sia sui sistemi di regolamentazione che di tassazione, meno sulle dimensioni dei bilanci, che sono gi molto elevate. Infine, la crisi rende evidente un rilevante fallimento culturale, in quanto mette in discussione trentanni di egemonia del pensiero liberista. stata smentita, infatti, la convinzione che i mercati tendano spontaneamente verso lequilibrio e che si autogovernino; stata smentita la Diversamente teoria delle aspetdagli anni Trenta tative razionali; hanno fallito i mo- e Quaranta del Novecento, delli di regolazione e supervisione manca oggi un dei mercati basati nuovo, diverso e sulla autoregolacondiviso mentazione e sul paradigma controllo da parte culturale di dei mercati stessi, e si verificato riferimento che possa fare da che la redistribuguida nel zione dei rischi attraverso le cartoprocesso di larizzazioni aucambiamento menta i rischi sistemici anzich ridurli; cos come risultata illusoria lidea della gestione dei rischi con procedure interne alle imprese, mentre emerso chiaramente il conflitto di interesse delle agenzie di rating, remunerate da coloro che dovevano valutare. In sostanza

4 Questo esattamente quanto accadde con gli accordi di Bretton Woods, che segnarono formalmente il passaggio del testimone tra Regno Unito e Stati Uniti nella leadership delleconomia mondiale.

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sono crollati tutti i pilastri sui quali per parecchi lustri si fondata lortodossia economica e finanziaria. Ci stato formalmente riconosciuto, ad esempio da Alan Greenspan, George Soros e numerosi altri, mentre gli studenti americani hanno organizzato un network contro i toxic textbooks, cio contro lortodossia accademica nellinsegnamento delleconomia. In sostanza, unanalisi oggettiva della crisi, delle sue origini e dei suoi effetti rende molto credibile lipotesi che essa rappresenti comunque un elemento di discontinuit nel funzionamento delle nostre economie. difficile prevedere quanto tempo sar necessario per raggiungere un nuovo equilibrio: probabile che non sar un tempo breve e che ci saranno oscillazioni, incertezze e contraddizioni lungo il percorso. Il fatto che, diversamente dagli anni Trenta e Quaranta del Novecento, manca oggi un nuovo, diverso e condiviso paradigma culturale di riferimento che possa fare da guida nel processo di cambiamento. Inoltre, come si gi detto, diversamente dal passato non sar pi possibile fare affidamento su un unico paese (economia) di riferimento, ma sar necessario costruire una governance multilaterale delleconomia globale, basata sulla cooperazione, e dotarla di istituzioni funzionanti. Ci implica un nuovo assetto nellequilibrio dei poteri delle nazioni. Attualmente non sembrano esserci n le condizioni politiche, n quelle culturali perch ci avvenga in tempi rapidi: si proceder quindi per prove ed errori, con il rischio di ricadute e nel contesto di una crescita moderata. A

questo proposito molto indicativo il dibattito in corso negli Stati Uniti, dove la polemica po abbastanza litica si concenparadossale, ma trata e radicalizzadel tutto ta sulla questione coerente con la del disavanzo e del debito pubblico, logica che che sono aumenpresiede e guida tati moltissimo a lattivit dei causa della crisi, mercati, che degli interventi di questi ultimi si salvataggio e di rivolgano oggi quelli di rilancio proprio contro i delleconomia. Nonostante lefficacia governi che li di tali interventi hanno salvati (iniziati gi duran- perch oberati da te lAmministraziotroppi debiti ne Bush) e la loro evidente necessit, la paura di un possibile incremento futuro della imposizione fiscale ha creato reazioni che allosservatore esterno appaiono assolutamente incomprensibili nella loro irrazionalit.5 Un altro esempio delle contraddizioni attuali rappresentato dalla crisi dei debiti sovrani, che sono stati oggetto di attacchi da parte dei mercati. I disavanzi e i debiti pubblici sono infatti fortemente cresciuti durante la crisi, sia per loperare degli stabilizzatori automatici, sia per le manovre di sostegno delle economie, sia per gli interventi di salvataggio delle banche e di sostegno dei mercati. In sostanza una parte dei debiti privati stata scaricata sugli Stati e i debiti privati sono quindi diventati debito pubblico. Ed abbastanza paradossale, ma del tutto coerente con la logica che presiede e guida lattivit dei

5 Si fa riferimento al movimento del Tea Party e alle posizioni della destra radicale americana che, pur non avendo protestato per gli interventi di sostegno che hanno evitato il collasso del sistema, ne contestano invece gli esiti, invocando una economia di mercato senza interventi dello Stato, senza minimamente interrogarsi sul perch lo Stato sia stato costretto a intervenire.

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mercati, che questi ultimi si rivolgano oggi proprio contro i governi che li hanno salvati (a spese dei contribuenti) perch oberati da troppi debiti. Si controlla cio la capacit di tenuta e resistenza degli Stati che si sono fatti carico dei fallimenti dei mercati proprio perch se ne sono fatti carico. In tutto questo c evidentemente qualcosa che non funziona: torna in mente la nota storia della rana che aiuta lo scorpione ad attraversare il fiume portandolo in spalla e sentendosi pungere a met tragitto chiede: Perch lo hai fatto? Ora moriremo tutti e due, ottenendo la risposta: Non posso farci nulla, nella mia natura. Grande quindi la confusione nel dibattito economico: la realt spingerebbe verso innovazioni e cambiamenti anche istituzioLa crisi ha nali, ma la cultura riproposto la economica prevalegittimit, anzi lente rimane quella tradizionale, che la necessit non poche redellintervento sponsabilit ha pubblico avuto nel provocanelleconomia, re la crisi. Si tende almeno in quindi a riproporcircostanze di re interpretazioni e soluzioni ortoparticolare dosse tradizionali emergenza per i problemi attuali. Ad esempio: cosa fare dei debiti pubblici accumulati e come riportare in equilibrio i bilanci degli Stati? La soluzione che viene proposta semplice: tagliare la spesa (sociale), ridurre i salari e i dipendenti pubblici; in ultima istanza, anche aumentare le tasse. E tutto ci si prevede debba avvenire a livello nazionale, di singolo Stato, mentre dovrebbe essere ormai evidente che una crisi globale come quella del 2008-09 richiede soluzioni e rimedi altrettanto globali.

Daltra parte c stata anche una tendenza alla riproposizione spesso meccanica delle soluzioni adottate dopo la crisi degli anni Trenta, congiuntamente alla (opportuna) rivalutazione dei contributi di studiosi come Keynes, Minsky, Kindelberger. evidente che la crisi ha riproposto la legittimit, anzi la necessit dellintervento pubblico nelleconomia, almeno in circostanze di particolare emergenza; cos come la necessit di regolamentazione dei mercati diventata di nuovo una esigenza riconosciuta. Ma ci non significa che la crisi attuale possa essere affrontata con gli strumenti varati negli anni Trenta del Novecento e adottati da tutti gli Stati fino agli anni Settanta, per la semplice ragione che le condizioni oggettive sono oggi profondamente mutate. Le misure di regolamentazione e di intervento pubblico erano infatti allora tutte basate sul potere e sullautonomia degli Stati nazionali (sia pure in un contesto di cooperazione internazionale), che ne garantivano il successo; leconomia inoltre era caratterizzata dalla prevalenza delle grandi imprese industriali fordiste, cosa che facilitava il successo di misure di variazione della spesa pubblica in funzione anticiclica. Oggi leconomia globalizzata e prevale lattivit nel settore dei servizi rispetto a quella industriale. Inoltre, a differenza degli anni Trenta, oggi i bilanci degli Stati nazionali rappresentano una quota molto consistente del PIL di ciascuno, e rilevanti sono anche i debiti pubblici accumulati, sicch semplicemente non esistono le possibilit materiali per interventi consistenti e permanenti di rilancio delle economie attraverso i bilanci pubblici. Riproporre oggi le polemiche anche scientifiche degli anni Sessanta del secolo scorso una semplice esercitazione accade-

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mica priva di ogni rilievo pratico-operativo;6 sarebbe invece necessario riconoscere che le soluzioni per il governo delle economie contemporanee richiedono cooperazione e assetti istituzionali sovranazionali e misure coordinate di intervento. Ci che si fa e si propone attualmente non va purtroppo nella giusta direzione. Ci evidente nelle conclusioni del G20 di Toronto (giugno 2010), che ha stabilito che i governi saranno impegnati a dimezzare i disavanzi fiscali entro il 2012, oltre a sostenere la ripresa. In sostanza si prevede che ogni paese dovr mettere ordine in casa propria, senza nessun distinguo o differenziazione. Al tempo stesso il Fondo monetario internazionale7 ha indicato che lobiettivo dei governi dovr essere quello di riportare al pi presto (entro il 2030) il livello del debito pubblico al 60% del PIL. Ci comporterebbe un aggiustamento medio di 8 punti di PIL, ai quali andrebbero aggiunti altri 4-5 punti derivanti dagli effetti sulla spesa pubblica dellinvecchiamento della popolazione. Per realizzare questi obiettivi il rapporto propone il blocco della spesa pubblica pro capite in termini reali, e quin-

di una sua robusta riduzione in quota di PIL, riforme dei sistemi previdenziali e sanitari e anche, se necessario, un aumento delle imposte: i bilanci dei singoli Stati, quindi, dovrebbero tutti tendere rapidamente verso il pareggio, e l rimanere.8 Si tratta di un approccio che ignora (o nega) la natura collettiva dei problemi creati dalla crisi e che, se adottato, creerebbe forti contraccolpi politici allinterno dei singoli paesi e conseguenze economiche negative, a meno che non si ritenga (come sembrano fare la Germania e la BCE) che le politiche deflazionistiche stimolino la crescita! In verit, il problema principale negli anni successivi alla crisi dovrebbe essere quello di facilitare la ripresa della crescita economica e di evitare i rischi di default dei debiti sovrani; a tal fine sarebbe necessario liberare i bilanci pubblici dei diversi paesi dalleccesso di debito che si creato a causa della crisi, riportando in sostanza la finanza pubblica alle condizioni esistenti a fine 2007. Questo il contenuto di una proposta avanzata da chi scrive sul Corriere della Sera del 13 luglio 2010.9 Una proposta simile, che com-

6 Per un approccio di questo genere al dibattito sulla crisi si veda A. Roncaglia, Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi, Laterza, Roma-Bari 2010. 7 Si veda IMF, Navigating the Fiscal Challenges Ahead, Fiscal Monitor, 14 maggio 2010, disponibile su www.imf.org/external/pubs/ft/fm/2010/fm1001.pdf. 8 Le ipotesi di intervento fiscale ipotizzati dal FMI vanno dalla introduzione dellIVA per i paesi in cui essa non in vigore (Stati Uniti innanzitutto) allaumento delle aliquote agevolate per i paesi che hanno gi limposta; dallaumento delle accise su oli minerali, alcool e tabacchi allimposizione patrimoniale sugli immobili, allintroduzione di una carbon-tax e di altre imposte ecologiche, oltre a misure di contrasto dellevasione. Le valutazioni compiute indicano un gettito massimo ottenibile dalle misure indicate di oltre 5 punti di PIL. 9 Pu essere utile riportare un brano dellarticolo: Una soluzione possibile sarebbe quella di conferire in un apposito fondo quote di debito sovrano dei diversi paesi variabili in relazione allimpatto della crisi su ciascun paese, scorporandoli dai bilanci nazionali, e riconoscendo cos la loro natura di debiti collettivi. Inizialmente lattivo del Fondo sarebbe rappresentato da titoli di Stato di diversi paesi e quindi beneficerebbe delle stesse garanzie implicite. Il Fondo tuttavia dovrebbe poi funzionare secondo regole di mercato, come un normale operatore. Tuttavia il pagamento degli interessi e il rimborso del debito sovrano, che rappresenta lattivo del fondo, dovrebbeessere assicurato dallintroduzione, decisa collettivamente dagli Stati, di una imposta dedicata sulle transazioni finanziarie. Si darebbe cos un senso preciso al dibattito confuso e non coordinato sulla opportunit di introdurre misure di tassazione di banche e banchieri: nellipotesi prevista, infatti, i mercati, gli operatori e gli investitori finanziari pagherebbero quanto necessario (e per il tempo necessario) a liberare i bilanci pubblici dalla zavorra della crisi, i cittadini da aumenti fiscali e tagli tanto pesanti quanto incomprensibili, e le economie dal pericolo di una prolungata stagnazione. A ci si aggiungono gli evidenti vantaggi politici per i governi. Limposta sulle transazioni, decisa a livello internazionale, potrebbe comportare una limitata cross-subsidiation tra i diversi Stati, dal momento che non esiste una corrispondenza esatta tra debiti conferiti nel fondo e ammontare delle transazioni

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porterebbe per un vero e proprio consolidamento dei debiti pubblici e lascerebbe lonere del servizio sui bilanci degli Stati, stata avanzata da Paolo Savona.10 In conclusione, luscita dalla crisi richiederebbe soluzioni cooperative e laccettazione di nuove regole condivise. Poich al momento attuale ci

sembra difficile (se non impossibile) da realizzare, il superamento della crisi sar lungo e sofferto, anche se da escludere che alla fine gli assetti definitivi delleconomia mondiale, dei mercati finanziari e dei rapporti tra gli Stati possano essere gli stessi prevalenti prima dello scoppio della crisi. Ci attendono tempi travagliati.

sui mercati domestici. Ci tuttavia non avrebbe effetti sostanzialmente diversi da quanto gi implicito nei meccanismi di sostegno decisi recentemente nella UE. Si veda V. Visco, Come salvarsi dalla deflazione, in Il Corriere della Sera, 13 luglio 2010. 10 P. Savona, Serve un accordo globale sul debito, in Il Corriere della Sera, 8 luglio 2010. In sostanza Savona propone di parcheggiare quote (rilevanti) di debito pubblico di tutti gli Stati presso il FMI denominandole in Diritti speciali di prelievo (ai fini di garanzia) con scadenze di alcuni decenni.

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