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Atti del Convegno Processi di decentramento e rilancio dello sviluppo

Investimenti pubblici, infrastrutture e competivit Roma, 19 ottobre 2005

Processi di decentramento e rilancio dello sviluppo Investimenti pubblici, infrastrutture e competitivit INDICE
Premessa Saluto del Prof. Giovanni Bazoli, Presidente Banca Intesa Lo stato del decentramento: quali risorse per quali investimenti ? Paolo De Ioanna, chairman Pia Saraceno Mario Canzio Antonino Turicchi Mario Ciaccia Vincenzo Visco Mario Baldassarri Lo sviluppo del mezzogiorno precondizione dello sviluppo del Paese? Ilvo Diamanti, chairman Gregorio De Felice Enrico Letta Gianfranco Miccich Ettore Artioli Alessandro Laterza Tavola Rotonda Pag. 5 7 9 10 12 15 19 22 30 33 39 40 42 50 53 56 60 63

Banca Intesa

Tavola Rotonda Istituzioni, Banca e Impresa: un'alleanza obbligata


Moderatore: Paolo Gambescia, Direttore Il Messaggero Antonio Catrical, Presidente Autorit Garante della Concorrenza e del Mercato Vito Gamberale, Amministratore Delegato Autostrade SpA Corrado Passera, Amministratore Delegato e CEO Banca Intesa

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Paolo Gambescia
Buonasera a tutti. Purtroppo, gli eventi drammatici della cronaca hanno impedito la presenza a questa tavola rotonda di alcuni dei partecipanti previsti. Credo tuttavia che la loro testimonianza attiva in Calabria ne giustifichi ampiamente l'assenza. Nonostante l'esiguo numero dei relatori, sono convinto che emergeranno dal dibattito molti temi di interesse. Prima di cominciare, desidero leggere la lettera che ci ha inviato il Presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, poich essa sintetizza le cause di queste assenze: Mi spiace non poter partecipare al vostro convegno, ma comprender che gli avvenimenti che negli ultimi giorni hanno coinvolto la mia terra e il grave lutto che ha colpito le istituzioni calabresi non mi permettono di allontanarmi dalla Calabria. Volevo comunque far pervenire a tutti i partecipanti il mio saluto. Mi congratulo con voi anche per il valore della vostra iniziativa. Oggi discuterete e vi confronterete su temi importanti, il confronto tra soggetti pubblici e privati necessario per mettere in atto politiche e strategie di sviluppo e di rilancio per il sistema Italia che, oggi pi che in passato, deve affrontare sfide decisive. Una sfida da abbracciare quella che vede il Mezzogiorno, un protagonista imprescindibile dello sviluppo del nostro paese. Auguro quindi a tutti gli intervenuti un proficuo lavoro. On. Agazio Loiero. Questa tavola rotonda tratta di temi che toccano la sensibilit di chi, come me, fa informazione. Perci, non mi limiter a fare il vigile urbano del dibattito, ma mi conceder un'introduzione che, spero, proponga motivi di riflessione. Vorrei partire proprio dagli avvenimenti della Calabria e metterli in relazione con altre tre notizie, apparentemente molto distanti dai primi, poich investono la sfera politico-economica. La prima riguarda la notizia, anticipata oggi dalle agenzie di stampa, e relativa ad alcune misure che introducono mutamenti nell'assetto della Legge Finanziaria, garantendo uno trasferimento di maggiori risorse ai Comuni. Proprio le autonomie municipali, come tutti sapete, si sono lamentate, e qualche volta hanno protestato vivacemente perch i tagli degli ultimi anni - e quelli che si paventavano adesso - avrebbero penalizzato alcuni settori della loro attivit amministrativa sul territorio. Ora si parla di spostamento di alcune risorse ai Comuni e di maggiori tagli alle Regioni. E' un'ipotesi, per ora. La seconda notizia riguarda la devolutione che, domani, dovrebbe essere varata. La terza legata alle grandi differenze, in termini di sviluppo, benessere, legalit e sicurezza, che esistono tra le diverse aree del Paese. Quando noi facciamo la cronaca di singoli fatti o l'analisi giornalistica dei fenomeni ad essi connessi, riassumiamo queste emergenze territoriali e sociali con la definizione generica di zone fuori controllo, e parliamo naturalmente di controllo dello Stato. Poich in queste aree la presenza di consistenti entit criminali condiziona lo sviluppo, la vita pubblica, la corretta amministrazione. Spesso le sintesi giornalistiche e le analisi sociologiche, per esatte e oggettive che siano, non colgono a pieno la condizione di chi in queste zone vive e concretamente opera, gli operatori economici, le amministrazioni. Perch si tratta di condizioni diverse da quelle che normalmente assumiamo come normali. Diverse e difficilmente rappresentabili a chi non le conosca. Per quello che comportano, in termini di impegno individuale e di sfida. Sfida che qualche volta si paga con la vita. E che comunque, anche quando si rivela un successo amministrativo o imprenditoriale, deve affrontare ostacoli inimmaginabili in qualunque altra zona d'Italia. Tutto ci non un problema secondario per questo Paese, se si considera che il Mezzogiorno , o almeno dovrebbe essere, non solo un'emergenza da sanare o da riequilibrare, ma un'occasione di sviluppo. E tuttavia sappiamo che quest'area vasta, piena di potenzialit, spesso penalizzata dalle condizioni particolari che ho descritto e, da

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ultimo, dalla gestione del credito, anch'essa non immune dai condizionamenti e dalle pressioni che gravano sull'attivit amministrativa. Gli imprenditori onesti vivono condizioni difficili, in tutti gli ambiti in cui si esplica la loro attivit e, tra questi, la stessa libert d'impresa e di concorrenza. Non la stessa cosa fare l'imprenditore in Calabria, o in provincia di Napoli, e farlo in Lombardia o in Emilia Romagna. Non la stessa cosa confrontarsi con un mercato illegale di amplissime proporzioni e, comunque, con il lavoro nero, che una costante di questo territorio. Noi guardiamo sempre al lavoro nero - anche da un punto di vista, per cos dire, giornalistico - come a un fenomeno che ha pochi contatti con l'economia. E' invece un problema centrale, perch se si lavora senza regole e c' chi non paga i contributi e chi li paga, chi paga le tasse e chi non le paga, si snaturano le regole del mercato. E la stessa sperequazione la cogli sul credito. Non la stessa cosa finanziare una nuova impresa in Liguria o nelle Marche e finanziarla in alcune zone della Puglia. Credo di conoscere bene il Sud, e so quanta difficolt hanno gli imprenditori onesti. Anche per finanziare un investimento capace di rivelarsi un successo. Non hanno torto molti di coloro che si dimostrano ipercritici nei confronti della gestione del denaro pubblico, delle sovvenzioni statali, dei flussi di contributi che sono arrivati al Sud negli ultimi decenni di storia repubblicana. Ci sono stati sperperi. Le risorse sono state spesso usate per coprire la spesa corrente e per tappare i buchi e non, invece, per alimentare una linea di sviluppo. Per, oltre a guardare al passato, a un certo punto bisogner pure porre mano, mettere un punto e magari ricominciare in una direzione diversa. Ma qual questa direzione? Convegni come questo sono importanti per riflettere sul punto da cui si pu, si deve ricominciare. Ma per farlo, bisogna avere un quadro rigoroso di ci che accaduto. Come quello che ci offre questo interessantissimo studio di Banca Intesa, a proposito dei flussi di denaro. Se non l'avete letto, fatelo. Mi piacerebbe - e qui faccio autocritica - che questi dati fossero conosciuti dai giornalisti che scrivono di materie apparentemente estranee all'economia, eppure cos contigue e ricche di intersezioni con questa. Penso, per fare un esempio, ai cronistri politici, i quali si occupano di devolution, di federalismo. E' in questi ambiti che ritornano luoghi comuni sui vagoni di denaro giunti al Sud, solo o quasi esclusivamente al Sud, mentre al Nord non sarebbero arrivati in misura corrispondente. Se si leggono questi dati, ci si accorge che invece le cose sono andate in maniera diversa: gli investimenti nel Mezzogiorno sono stati il 70% di quelli piovuti sul Nord. Perch Perch al Nord c'erano maggiori occasioni, possibilit di creare infrastrutture, volani per lo sviluppo. E' anche vero che al Sud arrivata comunque una quantit infinita di denaro. Ma servita, in gran parte, per ripianare debiti e coprire sperperi. Allora il problema e la sua soluzione hanno una rappresentazione semantica diversa: non pochi denari, ma quanti denari e per che cosa. E qui si apre il confronto su come mettere insieme e far dialogare i tre soggetti dai quali lo sviluppo non pu prescindere. Il primo il soggetto pubblico, con le sue varie articolazioni e con il policentrismo decisionale disegnato dalla devolution e dal passaggio alle amministrazioni locali di molte delle competenze, anche in termini di raccolta e di spesa. E' un pubblico diverso rispetto a una rappresentazione tradizionale e centralista. E impone ragionamenti diversi rispetto a quelli che abbiamo fatto negli ultimi 50 anni. Non si pu pi concepire il dialogo con il pubblico come vecchia e assistenziale richiesta di aiuti allo Stato. Il secondo soggetto quello bancario: la politica del credito si deve far carico di queste profonde differenze tra aree diverse del Paese. Occorre ripensare una strategia nuova se si vuole ricominciare ad essere fattore di sviluppo.

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Ma neanche il mondo dell'impresa pu chiamarsi fuori. Nelle sue articolazioni centrali e soprattutto locali. Deve pretendere di essere protagonista. E a questo punto devo dire che qui manca, secondo me, un convitato. Avrei visto benissimo in questo dibattito un rappresentante del mondo sindacale. Lo avrei chiamato a interrogarsi su quante resistenze, quante remore il sindacato ha posto spesso quando un nuovo processo di sviluppo poteva aprirsi sulle ceneri di una crisi o su un'idea imprenditoriale valida, ma bisognosa di aperture di credito. Allora io penso che occasioni come questa servono per riaprire il dibattito sul Mezzogiorno, ma in modo rigorosa, non strumentale. Si avvicinano le elezioni. Sapete quante chiacchiere sentiremo? Il Mezzogiorno, la priorit del Mezzogiorno, i fondi glieli abbiamo dati, non glieli abbiamo dati. Nel dibattito e nel confronto politico le schermaglie dialettiche non si contano. Ma noi sappiamo che ci sono regioni, situazioni che non possono aspettare la conclusione di contese politiche estenuanti e inconcludenti. Chi deve operare, si deve rimboccare le maniche. Forte di una condivisione su alcuni punti fermi: a) qual il problema; b) quali sono le regole con le quali affrontarlo. c) chi sono i protagonisti di questo nuovo processo. In parole semplici chi ci sta e chi non ci sta. Forse da conduttore della tavola rotonda mi sono spinto troppo oltre i miei compiti. Perch avverto questi problemi non solo come attore dell'informazione, ma soprattutto come cittadino e come uomo del Sud che vive questa differenza, questo Paese spaccato a met, come un dramma. Con la coscienza che si tratta di un quoziente sprecato dell'Italia. Se riusciamo a mettere a fuoco e a trovare una condivisione sui tre punti che ho qui indicato, sono convinto che si possa vedere una luce. Non mi nascondo che il processo lungo e che, forse, le cose che emergono sono una piccola parte del magma dei problemi esistenti. Ho parlato fin qui del Sud, ma che ci sono anche altre zone d'Italia dove il problema dello sviluppo un'emergenza condivisa. Magari l non c' l'assedio della criminalit, almeno nelle forme cos clamorose. Ma poi si scopre che spesso, in altro modo, le regole della legalit e del mercato sono violate, forzate. Da concentrazioni ambigue, da un deficit di concorrenza. E allora la sfida riguarda il Paese intero, le sue classi dirigenti. Che devono interrogarsi e decidere se possono, se vogliono continuare ad essere i protagonisti dello sviluppo. Se ci stanno oppure no a ripensare tutti insieme un nuovo progetto, una ripartenza, sottraendosi agli slogan e alle chiacchiere, e confrontandosi sulla sostanza dei problemi. Poi, s, arriver il momento delle elezioni e ci saranno i cittadini a dire: m'ha convinto, non m'ha convinto. Ma la cosa peggiore che possa capitare per tutti scegliere di non scegliere. Scegliere di non farsi carico dei problemi e di mediare su tutto. No, ci sono alcune soluzioni necessarie, ci sono alcune iniziative indispensabili. E' questo il momento, se vero ci che dicono alcuni indicatori: forse per la nostra economia si sta per presentare un'occasione di ripartenza. Ci agganciamo, non ci agganciamo all'Europa? Forse s. Abbiamo alcune difficolt maggiori, noi italiani, per via del nostro debito. E per, se si apre di nuovo questa porta e non la imbocchiamo, quando la ritroveremo aperta? Questo un paese ricco. Non ricco in termini monetari, ma ricco di risorse, ricco di inventiva, ricco di possibilit. E' un Paese forse migliore delle sue stesse rappresentazioni. Bisogna che ci facciamo carico, tutti, ci metto anche la stampa, della possibilit che questo Paese diventi migliore. Ci dobbiamo far carico della speranza. Su questo insisto molto.

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Lo faccio di pi da quando sono diventato nonno. Vedo i miei nipoti crescere e mi chiedo: sto facendo tutto il possibile perch il paese che troveranno sia migliore di quello nel quale stiamo vivendo? E' un interrogativo banale, da cittadino comune. Ma stiamo facendo tutto? No. Abbiamo qualche idea per fare di pi? S. Ci vogliamo mettere intorno a un tavolo ideale per decidere se quel percorso pu fortificare questa speranza? Questo banalmente ci che penso leggendo tutti i numeri di questa relazione, tra l'altro straordinariamente efficace: perch i numeri poi bisogna tradurli in comportamenti, in sentimenti. Vorrei dire che ai numeri bisogna dare un'anima. E l'anima credo che consista in questo quesito: come possiamo, partendo da questi numeri, alimentare la speranza? E' la domanda che, credo, riassuma il senso della mia introduzione e su cui vorrei che questa tavola rotonda si confrontasse.

Antonio Catrical
Mi pare che nella Sua introduzione Lei abbia trattato tre temi che sono di grande interesse per l'Antitrust e poi ha disegnato uno scenario, perch c' sullo sfondo questo evento: le elezioni politiche generali di aprile. I tre temi di interesse sono: la finanziaria, la devolution e la diversit Nord-Sud. Tutti e tre temi che vengono dibattuti dal collegio dell'Autorit, anzi, proprio oggi abbiamo parlato della legge finanziaria. Essa conteneva una norma - la tassa sul tubo - che non piaciuta all'Autorit. Peraltro, il Ministro dell'economia si subito dichiarato disponibile a cambiarla o addirittura ad eliminarla, senza compensazioni, il che ci lascia ben sperare, perch effettivamente una tassa sulle reti una tassa che impedisce la crescita delle reti e se le reti non crescono, non possono crescere neanche gli operatori che si servono delle reti. In particolare questo vale per l'energia, sia per l'energia elettrica, sia per il gas e voi sapete quanto il peso dell'energia costituisca un'incidenza troppo forte ed onerosa per far s che i nostri distretti industriali, ma anche le nostre grandi industrie, possano competere anche con i pi diretti vicini, non dico con le economie emergenti della Cina e dell'India. Quindi, sembra che sia venuto meno questo pericolo. Avremmo potuto concentrarci sulla Banca del Sud e sulla Poison Pil, per francamente abbiamo pensato che conveniva in questa fase soprassedere ad entrambe le questioni. Alla Banca del Sud per quello che sta accadendo, per i fatti cos gravi che vedono questo Sud cos penalizzato; e poi forse abbiamo pensato che non c'era un effetto anticoncorrenziale cos forte, se si tratta di dare credito ad imprese che difficilmente otterrebbero credito secondo le normali regole. Sulla Poison Pil in realt la parola stessa non ci piace: una pillola avvelenata, la traduzione questa. E' una forma di golden share, per alla fine quando noi abbiamo trattato il tema di Terna, che aveva un problema di conflitto di interessi in chi l'acquistava cio la Cassa Depositi e Prestiti, che anche proprietaria di un ingente volume, il 10%, delle azioni dell'Enel -, abbiamo pensato che effettivamente ordinare la vendita di questo 10% poteva anche significare che lo Stato avrebbe alla fine potuto perdere il controllo di una importantissima centrale anche di potere, dal punto di vista politico, economico e sociale. Per, il nostro mestiere ci induceva a ritenere che questa variabile non doveva entrare nei nostri pensieri e allora abbiamo ordinato lo stesso, in un periodo congruo di tempo, la dismissione. In realt, se ci fosse stata una norma come questa, l'avremmo fatto pi a cuor leggero, perch probabilmente diventava pi difficile da parte di qualche operatore particolarmente aggressivo prendere il sopravvento sul Governo e sullo Stato, fino a che il

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Governo non avesse invece autonomamente deciso di dismettere e di privatizzare completamente, scelta che vede sempre l'Autorit molto favorevole. Allora abbiamo deciso di soprassedere a questa segnalazione, anche perch abbiamo pensato che poi alla fine la finanziaria dovesse essere ancora vista nel suo complesso. La finanziaria infatti composta del testo che viene mandato in Parlamento, ma composta anche di un maxi emendamento che ormai da tre anni viene confezionato nelle sedi governative e che si presenta poi in Parlamento per l'approvazione. Quindi sulla finanziaria molte delle considerazioni che lei faceva, hanno pesato oggi nel Collegio per dire: soprassediamo, non il momento. C' stato anche un pensiero da parte nostra di non essere i pi cattivi tra tutte le 25 Autorit che sono presenti nell'Unione Europea. Questo perch, mentre noi stiamo facendo una politica estremamente liberista e concorrenziale, senza guardare in faccia a nessuno, per la verit in Francia e in Spagna non assistiamo ad analoghi comportamenti e questo non pu che preoccuparci abbastanza, soprattutto perch questi comportamenti operano proprio in un settore importante come quello dell'energia, dove in Francia assistiamo alla nascita di un nuovo campione nazionale che vede un operatore tutto spagnolo, con l'unione di Gas Naturale con Endesa. Endesa poi sar ripartita a met da Gas Naturale e met Iberdola, ma comunque con un rafforzamento di queste posizioni gi fortissime tanto da rendere non pi aggredibile il mercato spagnolo, ma senza neanche alcun effetto concorrenziale per l'Italia. Lei ha parlato di devolution. Altro tema che interessa molto l'Autorit, perch pu venire qualsiasi forma di devolution, di decentramento, la questione non ci riguarda, ma quello che interessa l'Autorit che anche sui settori che sono particolarmente rilevanti per la concorrenza, la devolution non debba portare a nuovi protezionismi nazionali o locali o regionali. Quello che bisogna fare certamente tagliare, recidere con le forbici quel filo che unisce il potere politico locale con i servizi pubblici locali, perch finora questo potere ha impedito una reale liberalizzazione, un miglioramento di questi servizi. Non parliamo del servizio della nettezza urbana, del servizio dell'illuminazione, dei servizi cimiteriali ecc., ma mi limito semplicemente al pubblico trasporto locale dove stiamo facendo un'indagine conoscitiva e appena abbiamo scoperto questa pentola, abbiamo sentito un cattivo odore che viene da lontano e quindi stiamo cercando di operare per il meglio, ma con tutta una serie di difficolt. Se al potere amministrativo si aggiunge anche un potere regolatorio e normativo molto accentuato e non si spezza questo legame, indubbiamente l'Autorit avr grande difficolt a far passare la cultura della concorrenza in questi settori, che invece sono rilevantissimi per la nostra economia e per la nostra vita sociale. Poi lei Direttore ha parlato del terzo punto importante: la diversit Nord-Sud. Una diversit forte, che oggi sembra incolmabile, forse lo , e del resto non c' Nord senza Sud, non c' Sud senza Nord, normale, nella natura delle cose che ci sia chi va avanti e chi resta indietro. Per nei limiti del possibile, questo gap deve essere in qualche modo ravvicinato, bisogna accorciare le distanze. Ora, laddove lo Stato ha investito bene al Sud, ed ha investito con intelligenza, i frutti ci sono stati, non che non ci sono stati. Io faccio solo un esempio: il polo tecnologico di Catania, che un gioiello, qualcosa che funziona benissimo, stato fatto con l'intervento pubblico, i privati sono venuti dopo. Quel polo mi ricorda molto Torino wireless, cio quell'altro polo tecnologico che sta a Torino, che stato fatto con l'intervento pubblico perch la Regione, la Fondazione, la Provincia, il Comune, le due Casse di Risparmio e poi qualche altra banca, non mi ricordo se c'era proprio Banca Intesa (non vorrei dire una cosa sbagliata sulle banche), per sostanzialmente la parte grossa di Torino wireless era costituita da interventi pubblici. E da questo si sviluppato un nuovo modello che un modello diverso dai nostri distretti industriali, perch i distretti industriali, che sono la nostra forza economica, hanno per una limitazione territoriale molto evidente, che anche un po' la loro debolezza,

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perch non hanno una capacit espansiva e non hanno la capacit di mettersi in rete fra di loro, vista anche la diversit delle nostre produzioni. Mentre invece sarebbe preferibile se fossero un po' pi ampi, quattro o cinque volte la loro attuale estensione , come sono i sistemi territoriali basati sui parchi tecnologici. I distretti industriali, quelli Istat sono 199, invece i nostri sistemi di parco tecnologico sono 22, e sempre per la diversit, stanno quasi tutti al Nord, solo 5 stanno al Sud. Quindi vuol dire che c' una grande differenza anche in questo, per il sistema consente di fare squadra, di fare massa critica, di fare acquisti insieme, di abbassare i costi, di avere economie di scala. Se si investisse ancora al Sud in poli tecnologici, in parchi scientifici, che non siano delle cattedrali nel deserto, ma legati a realt locali come quella di Catania, noi potremmo avere nuovi esempi e da 22 arrivare a 30 sistemi locali e questi otto in pi dovrebbero essere tutti localizzati al Sud. E, secondo me, si pu fare, c' spazio per farlo. Poi lei diceva ci sono le elezioni. Io vorrei aggiungere una cosa. Alcuni obiettivi bisogna raggiungerli al pi presto. Io sentivo sempre dire che l'Italia a un passo dal baratro, un metro, mezzo metro, poi quando mi sono messo a studiare bene la questione, come diceva lei, Direttore, ho trovato che l'Italia un paese ricco. Non c' mezzo metro, ci stanno miglia marine dal baratro, per l'economia va veloce, i nostri concorrenti sono veloci e quindi queste miglia marine possono essere percorse inutilmente o in maniera proficua. Per percorrerle in maniera proficua, su alcune cose sono tutti d'accordo, su alcune piccole riforme: la riforma dei servizi assicurativi, la riforma delle professioni, gli aggiustamenti dei distretti, la politica di maggiore concorrenza, che sono poi a tutti note che servono a rendere pi competitivo il nostro sistema, tutto il sistema paese. Se su questi punti, dove sono tutti d'accordo, che per poi sono punti dolorosi da attuare, ci si mettesse d'accordo prima delle elezioni, chiunque vinca questi quattro obiettivi li raggiunger. Perch poi chi governa avr difficolt a raggiungerli, in quanto mi rendo conto che gli ordini professionali reagiranno e con forza. Sono effettivamente delle realt di cui bisogna tener conto, sia nel paese, sia nel Parlamento. Ma se l'accordo si facesse prima, poi chi governa sarebbe tenuto a farlo e chi all'opposizione sarebbe tenuto a non opporsi. Allora, se i responsabili economici dei partiti si mettessero intorno a un tavolo per dire: chiunque vinca le elezioni, queste quattro cose le faremo, penso che l'Italia avrebbe da guadagnare immediatamente per sfruttare quel periodo che si chiama il viaggio di nozze del Presidente del Consiglio, quando nei primi sei mesi pu fare quello che vuole, perch il paese tutto con lui. Poi cominciano i contrasti e le critiche. Ma in sei mesi, chi vince le elezioni, se c' un accordo prima, pu realizzare queste quattro, cinque cose che sono molto necessarie per la nostra economia, per il rilancio della nostra competitivit. Non dico altro per ora sperando che poi ella mi dar un'altra occasione.

Paolo Gambescia
Vorrei porre subito all'ingegner Vito Gamberale il tema delle infrastrutture. Si dice comunemente che senza infrastrutture il Paese non cresce, facendo riferimento non solo alle infrastrutture classiche, come sono le autostrade, ma anche a quelle che riguardano l'economia dei servizi e perfino a quelle immateriali che sono pilastri nel back ground culturale di una nazione. Perch c' tanta difficolt a rendere omogeneo questo Paese rispetto alla qualit delle infrastrutture? Perch lo sviluppo delle infrastrutture incontra difficolt che nascono da condizionamenti localistici? Perch la progettualit in alcune zone pi facile che diventi realt e in altri invece naufraga tra mille vincoli e ostilit? Perch alla fine questo Paese cos diseguale?

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Vito Gamberale
La ringrazio per avermi fatto una domanda circoscritta al mio ambito professionale, perch mi consente di rispondere in una maniera in cui mi posso sentire meno impreparato, E mi fa piacere che la domanda sia posta in maniera cos chiara: perch c' difficolt a rendere omogeneo il paese? Io penso che ci dobbiamo chiedere quanto il paese sia disomogeneo al proprio interno e quanto il paese sia disomogeneo rispetto all'Europa. Perch poi parliamo di Europa, per in effetti ce la dimentichiamo. Allora, solo in termini autostradali, per esempio, l'Italia ha una media di 113 km per autostrade per milione di abitanti. La media europea 177. Significa cio che in Europa ci sono 64 km di autostrade in pi per milione di abitante; significa che l'Italia deve fare 4 mila km di autostrade per colmare il deficit e stare alla media. Se poi andiamo a vedere la best practice, come si usa dire, che la Spagna con 228 Km per milione di abitanti, l'Italia dovrebbe raddoppiare. Ne ha 6 mila e ne dovrebbe fare 12 mila ovvero altri seimila per arrivare a 12 mila. Ci dobbiamo chiedere perch si creato questo gap in Europa prima di tutto. Io penso che tra le poche colpe che i governi di centro-sinistra hanno avuto, mi permetto di dire, ce ne sono due molto chiare: nel '75 avere varato una legge che vietava di fare le autostrade e poi negli anni ottanta aver condannato l'energia nucleare. Per, per rimanere nel campo che mi compete, nel '75 fu varata una legge che vietava le autostrade. E' equivalso, a livello di cultura del paese, a ci che port l'avvento del khomeinismo in Iran quando disse che tutte le donne dovevano andare col chador. Perch poi sono passati trenta anni e questa legge non stata rimossa, stata rimossa solo recentemente. Allora in un paese dove per trenta anni vige la legge che vieta la costruzione di autostrade, si crea la convinzione collettiva che fare le infrastrutture - di cui le autostrade sono un aspetto, per sono l'aspetto pi visibile, pi vistoso - significa dire che le infrastrutture sono una violenza al territorio e che il territorio non pu assolutamente sopportare questa violenza. In trenta anni si costruisce una classe dirigente che oggi al governo del territorio, perch oggi al governo del territorio ci sono per la maggior parte quelli che vanno dai trenta ai cinquanta anni, quindi c' chi allora aveva venti anni e chi allora era nato. Tutte queste generazioni sono state alimentate dal concetto che le infrastrutture rappresentano la violenza al territorio. Questo ha reso veramente complesso e difficile fare le infrastrutture. Prima si faceva l'esempio della Francia e della Spagna, ora io capisco che forse dire che 120 sono le infrastrutture, quando uno ha acquisito un aspetto fisico da carestia, dire che 120 sono le infrastrutture necessarie forse troppo. Dobbiamo dire le prioritarie. Ma sulle prioritarie bisogna creare, a livello di istituzioni centrali, una logica per cui le decide il centro e il territorio le fa fare. Ora, per un governo quasi facile dire bisogna fare quelle infrastrutture, poi quando si va a livello regionale la Regione condivide queste priorit, per quando si va sul Comune, il Comune ha difficolt. Ma ha difficolt obiettive perch poi sono tanti gli interessi, per cui sono contro. In Francia e in Spagna, quando si decide un'opera prioritaria, al territorio non gliela fanno nemmeno sapere. Gliela fanno. Poi compensano localmente. Quindi, il primo problema avere il coraggio di dire che le opere prioritarie vanno fatte e vanno fatte in tempi rapidi, per essere competitivi. Si parla di competitivit: in Spagna, ad esempio, a Madrid hanno fatto una metropolitana che corre perifericamente alla citt come il raccordo anulare corre attorno a Roma, 63 Km di metropolitana, 23 stazioni. L'hanno fatta in quattro anni. Saremo capaci con la legislazione italiana di fare in quattro anni una metropolitana di 63 Km? Assolutamente no. Perch le infrastrutture creano quotidianamente il confronto di competitivit con gli altri paesi. Allora c' da superare questo problema. Poi, qual la difficolt di esecuzione? C' senz'altro la mancanza di risorse pubbliche, perch un altro concetto venuto fuori, che mentre prima i governi investivano in opere pubbli-

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che, adesso i governi non hanno le risorse per investire in opere pubbliche. Quindi bisogna coinvolgere i privati per farli investire in opere pubbliche. E questo stato fatto, sono state privatizzate delle infrastrutture e si sono create le condizioni, in queste societ, per potere avviare dei giganteschi programmi di investimento, per poi ci si pentiti di aver fatto queste privatizzazioni, come se questa massa, questa energia investitoria che si sviluppata, fosse stata un qualche cosa che miracolosamente si sviluppato, che poteva essere sviluppato nel campo pubblico e che invece andato a finire nel campo privato. In campo pubblico non si sarebbe mai sviluppata. In campo privato si sviluppata, stata messa in campo. Allora come si fanno le opere? Si possono modernizzare le esistenti, realizzarne di nuove o candidarsi a ulteriori privatizzazioni. Ammodernare le esistenti. Noi abbiamo un programma di 11 miliardi di euro di investimento, abbiamo i soldi, ma lo dico senza arroganza, lo dico proprio per dire la realt, abbiamo i soldi, abbiamo difficolt a poter fare queste opere perch di sicuro la velocit di realizzazione delle opere senz'altro nettamente inferiore a ci che la progettualit pronta pu consentire, a ci che la finanza disponibile pu finanziare. Ne dobbiamo eseguire di nuove, perch abbiamo detto che c' un gap. Abbiamo presentato cinque project financing, di cui tre con Banca Intesa. Il paese deve anche capire che cos' un project financing. Un project financing, perch lo si pronuncia all'inglese, allora significa che c' finanza disponibile per qual si voglia cosa. Un project financing un vestito di cui chi si assunta la responsabilit di realizzarlo, i soci e le banche, hanno tarato le dimensioni. Ma il vestito deve essere quello, perch poi questo vestito si deve reggere sui quattro pilastri del costo, delle tariffe e del traffico e dell'eventuale limitato contributo. Se all'improvviso poi chi deve dare le autorizzazioni, uno di questi quattro pilastri, che sono come quattro gambe di un tavolo, dice: no, guarda, questa gamba si deve raddoppiare perch l'investimento non pi 700, ma 1400, il tavolo cade, perch gli altri tre non stanno in equilibrio. E l'opera non si fa. Sto parlando, tanto per essere chiari, di Brebemi, sto parlando della TEM, sto parlando della Pedemontana Lombarda, sto parlando della Pedemontana Veneta, faccio esempi concreti. Ultima cosa, candidarsi a privatizzazioni e qui vengo in parte al Sud. La Salerno-Reggio Calabria. Racconto una storia reale. Autostrade stata privatizzata nei primi mesi del 2000, quindi fino al 2001 c' stato un governo di centro-sinistra e poi un governo di centro-destra. Con entrambe i governi ci siamo candidati a partecipare alla privatizzazione della Salerno-Reggio Calabria. Nessuno ci ha risposto. E' sembrato che sia all'uno che all'altro dessimo fastidio, tant' che poi noi con quei progetti e quei programmi che volevamo fare, abbiamo sviluppato enormemente l'azienda e abbiamo creato le condizioni finanziarie per poterli realizzare sulla nostra rete. Mi permetta, Direttore, di concludere con ultime due considerazioni. Questo paese ha bisogno anche di benedire il profitto, perch il profitto visto come un peccato e io penso che alla base dell'evasione fiscale ci sia anche il concetto che il paese concepisce il profitto come un peccato. Perch le aziende che fanno profitto in questo paese vengono guardate male. Viene guardato bene chi sta male, chi ha bisogno di aiuto, chi sgangherato e ha bisogno di essere tenuto in piedi, ma chi fa profitto e ne pu fare di pi viene guardato male. In Italia c' stata negli ultimi anni - e spero sia finita perch quelle due battute che ha fatto il presidente dell'Antitrust mi fanno sperare benissimo - la criminalizzazione delle grandi imprese, perch la grande impresa stata vista come un mostro che ostacolava gli altri, che occludeva gli altri. Si parlato di conflitti di interesse impropriamente, si parlato di posizione dominante impropriamente. Si inteso il concetto della liberalizzazione in maniera stolta, perch si inteso che la liberalizzazione significava fare a fette le grandi imprese italiane, mentre all'estero c'era in corso un grande programma di con-

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centrazione di grosse imprese e il Presidente dell'Antitrust, prima, ci ha ricordato ci che sta accadendo in Spagna e in Francia. Quindi, per fare le infrastrutture che cosa serve? Prima di tutto volerle fare e far capire che le infrastrutture non sono la violenza al territorio. Poi c' da supplire alla finanza pubblica dando spazio alle sane risorse private e poi c' da dire che tutto questo pu farlo solamente chi fa profitto e chi fa profitto, fa etica, non fa peccato. Perch il profitto uno dei valori attorno a cui un paese pu crescere e che la grande impresa un bisogno del paese, perch il concetto, il sinonimo di piccolo bello, lo slogan di piccolo bello con cui siamo vissuti, uno dei pi banali e stolti perch piccolo bello. Un'economia fatta di piccoli, un'economia nana. Il piccolo ha ragione di esistere solamente a fianco del grande. Perch al fianco del grande viene alimentato, ma senza il grande rimane piccolo e rimane nano. Quindi penso che bisogna diffondere, oltre al valore delle infrastrutture, il valore del profitto e dei grandi gruppi, di cui il paese dovrebbe cominciare a essere orgoglioso. Grazie.

Paolo Gambescia
Credo che nell'ultima parte della sua risposta, quando Gamberale dice ci vuole il grande e accanto ci vogliono i piccoli, ci sia un primo spunto di riflessione. Piccolo bello non , a mio avviso, uno slogan ideologico in s, dipende in che contesto quest'affermazione si colloca. E' vero che spesso il piccolo muore per asfissia, e in tal caso l'inventiva, la qualit non riescono ad emergere. Ma c' un' altra indicazione che l'intervento di Gamberale offre a questa tavola rotonda, quando egli sostiene che non si va da nessuna parte se, progetti finanziabili e finanziati, sui quali in linea di massima si d'accordo, si bloccano perch ci sono piccole resistenze locali. Mi chiedo tuttavia se queste resistenze non siano alimentate da una sfiducia collettiva dei cittadini sulla sorte che il denaro destinato ai finanziamenti pubblci ha avuto in passato. E se questa sfiducia - di natura psicologica - non si traduca anche in ostacoli amministrativi. E' vero, c' tra gli ostacoli allo sviluppo delle infrastrutture un ecologismo col paraocchi. Per esso si alimenta con un dubbio collettivo non del tutto infondato che si riassume nelle seguente domanda: e poi facciamo delle cose che chi sa a chi servono e chi sa quali sono gli interessi che ci sono dietro. Di fronte a questo modo di ragionare dobbiamo chiederci: si tratta solo di dietrologia a buon mercato? Eppure, se lo stesso Catricala nel suo ragionamento riconosce che tutto lo Stato, le sue strutture si devono muovere nella direzione giusta per rassicurare i cittadini che si pu fare senza sperperi, senza tangenti e senza violare le regole, non vuol dire che su alcune questioni giusto che le popolazioni dicano la loro? Oppure, come dice Gamberale, lo Stato decide e poi... E' per chiaro che molte resistenze delle popolazioni nascono dal fatto che l'esperienza ha dimostrato che non sempre si fatto quello che era prioritario e quello che era giusto. Allora, sviluppiamo queste sollecitazioni con Corrado Passera.

Corrado Passera
Su questo tema Le rispondo subito. Vorrei per anche riprendere il Suo ragionamento iniziale, che quanto mai stimolante per cercare di rispondere ai quesiti posti. Per ognuno dei problemi che ha posto che fare concretamente?

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Ma parliamo prima delle resistenze. Le resistenze - l'ha detto Lei - certe volte sono giustificate, certe volte no. Per attenzione: dato il numero di opere urgenti che dobbiamo realizzare, se chiunque pu bloccarle, dobbiamo sapere fin d'ora che non le realizzeremo mai. E' giusto chiarire le regole, giusto definire i parametri, giusto coinvolgere il pi possibile. Per attenzione: se accettiamo la regola che i termovalorizzatori vanno fatti, certo, ma a patto che non siano nel mio comune, finita! Dopodich non possiamo sorprenderci se abbiamo ancora le discariche gestite dalla camorra o i treni che vanno verso il Brennero carichi di immondizia! Sul fatto che le opere importanti una volta decise, debbano poi essere realizzate, ha ragione Gamberale. L'errore metodologico di fondo forse deriva dal fatto che siccome le singole specifiche decisioni non sono inserite in un quadro complessivo condiviso come diceva Catrical - dove urgenze, priorit, alternative, sacrifici e benefici siano appunto condivisi e chiariti, ognuno si sente come l'unico che deve fare sacrifici e allora la reazione automatica: il sacrificio lo faccia un altro!. Manca cio il ruolo della grande politica che crea consenso intorno a un programma di scelte e decisioni anche difficili ma complessivamente convincenti ed eque. Siamo in una situazione, come ha detto anche Lei, non disperata, tutt'altro. L'Italia un paese dove potenzialmente c' tutto: capitali, cultura, imprenditorialit, tecnologie, per dove il sistema va sfilacciandosi. Si sfilaccia perch probabilmente non stiamo facendo abbastanza, ma soprattutto non abbiamo sviluppato una visione condivisa nella quale ci riconosciamo sia sul tipo di societ che auspichiamo, sia sui modi in cui vogliamo giocarcela a livello mondo. Quasi tutti gli altri Paesi a noi paragonabili hanno definito una strategia per cavalcare la globalizzazione: noi no. Se vogliamo una societ che assicuri l'acqua a tutti - e oggi non cos - dovremo costruire gli acquedotti. Se l'ecologia non un'opinione, dovremo sostituire le discariche con i termovalorizzatori. Ogni quanti abitanti ce ne vuole uno? Un milione? In ogni provincia se ne dovr costruire uno e se entro un certo periodo non sar fatto, si mander un commissario e lo si far in quel modo. Questa sicuramente non di per s la soluzione per tutto, ma se questo fosse il metodo prescelto aiuterebbe molto. Noi stiamo andando nella direzione opposta! Mi collego al Suo riferimento alla devolution, alla differenza e alla divaricazione fra territori. Come Italia siamo un pezzo di un pi vasto sistema continentale - la UE - che deve competere a livello mondo con regioni altrettanto o ancora di pi grandi e agguerrite. Noi in Italia cosa stiamo facendo? Ci inventiamo la competizione fra regioni! Invece di fare economia di scala e di scopo, ogni regione si fa la sua sanit? 20 sistemi sanitari? Ma stiamo scherzando? Dobbiamo fare le autostrade che si inseriscano in corridoi continentali e spacchiamo il processo decisionale in mille fasi, per cui ciascuno dei cinque livelli, dall'Europa al Comune attraverso Stato Regione e Provincia, e ciascuno dei livelli decisionali orizzontali - il famoso concerto tra ministeri - pu creare un problema e bloccare tutto. Tanto vale decidere fin da subito che da noi le grandi opere non si faranno e infatti il Paese da questo punto di vista si sta fermando o comunque sta accumulando enormi ritardi. Questo non vuol dire che vogliamo ritornare ad accentramenti o a dirigismi superati o antistorici, per dobbiamo prendere atto che l'enorme potenziale che pu venire dal decentramento sta invece diventando - a causa del modo in cui realizzato - un enorme rischio di impaludamento: se tutti si occupano di tutto, se nessuno alla fine risponde di nulla, si crea una matrice decisionale impazzita dove chiunque pu dire senza rischio di sanzione: fermi tutti e quindi ... siamo sempre fermi! Quello dei processi decisionali un tema molto importante: se andiamo a cercare le ragioni per cui l'Italia riceve cos pochi investimenti diretti esteri ci accorgiamo che non ci viene imputato un costo del lavoro pi alto di quello della Francia, o una rigidit superiore a quella della Germania. La ragione che viene addotta per preferire altre destinazioni spesso proprio la palude decisionale, dove l'impresa che vorrebbe venire a inve-

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stire in Italia non sa con chi deve parlare, non sa chi e quando decider. Se poi ci aggiungiamo il tema della criminalit, almeno due punti dell'agenda li abbiamo individuati. Non che possiamo dire: c' la criminalit e prenderne semplicemente atto! Noi la dobbiamo estirpare! Ma chi che andr a investire in un posto dove si ammazzano giudici, politici e imprenditori che non pagano il pizzo? Con tutto il mondo che offre aree industriali attrezzate e sicure, incentivi semplici da richiedere, tu vai a investire in un posto cos lontano dallo stato di diritto? Tutti noi - credo - vogliamo sapere da entrambe le coalizioni che cosa propongono su questo tema, perch se ne parla da troppo tempo e i risultati sono troppo modesti malgrado il fatto che - notoriamente - come capacit di contrasto della malavita ci siamo dimostrati in molti casi pi bravi di altri Paesi. Stiamo dando abbastanza risorse alla Magistratura, alle forze di Polizia, a chi deve rappresentare la legge e lo Stato nelle regioni a rischio? Oppure accettiamo la situazione attuale come inevitabile? Non chiediamoci per allora perch non arrivano gli investimenti esteri! Ci chiedeva cose da fare: potenziare la lotta alla criminalit una di queste. Veniamo al tema del credito e al Sud. Non accetto pi di sentir parlare di Sud in maniera generica, perch il Sud non esiste, come non esiste il Nord: il Sud fatto di tantissime situazioni diverse! Ci sono fior di zone sviluppate e ci sono zone degradate e tuttora senza prospettive. Il Sud ha dimostrato in tanti casi di non aver niente da invidiare al Nord. In banca da noi le regioni del Sud nel loro complesso stanno crescendo pi di quelle del Nord, come richiesta di credito. Nel Sud la nostra banca ha gi oggi pi impieghi che depositi, quindi basta anche con il luogo comune che nel Sud le banche del Nord raccolgono depositi, ma non fanno investimenti. Ci sono tante banche come noi che mantengono anche nel Sud un buon equilibrio tra impieghi e depositi. E attenzione anche ai giudizi affrettati sui tassi: ciascuna controparte della banca ha un rating - questo uno degli aspetti positivi di Basilea 2 - e a un dato rating corrisponde un determinato tasso d'interesse, senza discriminazioni regionali. Non diamo per scontato che gli stereotipi, che probabilmente sono stati veri nel passato, lo siano ancora oggi: i fatti dimostrano fortunatamente spesso il contrario. E ripeto, ci sono tante zone del Sud che stanno crescendo e stanno investendo pi di molte zone del Nord. Ruolo del pubblico. Il ruolo del pubblico fondamentale sempre, ma ancora di pi nei momenti di crisi economica, e soprattutto nelle zone dove mancano quelle cose sulle quali il privato stenta a impegnarsi. Il discorso vale per le autostrade, ma vale per i depuratori, vale per le bonifiche, vale per i termovalorizzatori. Queste sono cose che comunque dobbiamo realizzare se vogliamo essere un paese civile e in un momento di crisi economica, nel momento in cui il problema numero uno la crescita, investire in infrastrutture vale doppio. Un'altra area dove il ruolo del pubblico fondamentale quella degli investimenti in Ricerca e Sviluppo: su questo tema ci siamo presi impegni precisi quando abbiamo sottoscritto l'agenda a Lisbona. Cosa fare l'abbiamo gi detto, deciso e concordato. Semplicemente non lo facciamo. Ci siamo impegnati a portare le spese di Ricerca e Sviluppo al 3% del Pil, e invece siamo andati nella direzione opposta e oggi siamo non lontani dall'1% (prendendo per buono il metodo di calcolo che incorpora tra le spese di Ricerca e Sviluppo molti costi dell'Universit, che con la vera ricerca non hanno molto a che fare). Negli ultimi venti anni l'Italia ha accumulato, rispetto alla sola Germania, 500 miliardi di minori spese in Ricerca e Sviluppo! Un milione di miliardi di vecchie lire di ricerca e sviluppo in meno. Finanziaria dopo Finanziaria questi temi non vengono affrontati, ma rimandati: cos non stiamo costruendo il nostro futuro. E siccome ogni anno, anche in questa sede, ci diciamo pi o meno le stesse cose, il momento di riflettere sul fatto che apparentemente concordiamo su tutto, ma poi non siamo capaci di trasformare obbiettivi in azioni concrete.

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Una cosa giustissima che hanno gi detto tutti gli altri relatori: bisogna lavorare insieme e questo particolarmente vero nel campo della ricerca e della costruzione del futuro: Stato, imprese, fondazioni, universit. Una delle iniziative pi belle che abbiamo vissuto in questi mesi stato il faticoso, ma efficace lancio di una forma di finanziamento della ricerca e dell'innovazione nelle piccole e medie imprese: Intesa Nova. Le piccole e medie imprese non hanno le spalle finanziarie della grande impresa, non sono in grado di mobilitare le garanzie che sono inevitabilmente da richiedere quando si presta denaro a medio e lungo termine: la ricerca e l'innovazione sono sempre impegni a medio/lungo termine. Allora cosa ci siamo detti? Prendiamo le aziende innovative che hanno progetti validi, ma non hanno patrimoni sufficienti, coinvolgiamo una ventina delle migliori Universit di ricerca italiane, abituiamo queste aziende ad andare a presentare a queste Universit i loro progetti, che noi come banca non siamo in grado di valutare tecnologicamente. Se le Universit certificano che si tratta di buoni progetti, Banca Intesa disponibile a finanziarli a lungo termine senza garanzie, a tassi particolarmente vantaggiosi. Ad oggi le imprese finanziate sono gi oltre 300 e il numero sta crescendo velocemente. Per ora abbiamo stanziato un miliardo di Euro, ma siamo pronti a incrementare questo importo se sar necessario. Questo un modo per fare sistema in pratica, non solo in teoria. Ho fatto l'esempio di Intesa Nova - ma potrei farne altri - per dimostrare che fare sistema si pu e, anzi, in molti casi si deve per risolvere problemi altrimenti insolubili. La banca pu in molti casi fare da ponte tra mondi che avrebbero difficolt a dialogare e collaborare. Noi diciamo s alla collaborazione, sappiamo che dobbiamo fare sempre di pi e meglio, ma ci stiamo impegnando concretamente in questo senso. Dobbiamo per dirci che il declino del nostro Paese - assolutamente evitabile - per dietro l'angolo se continueremo a non fare quasi nessuna delle cose che sappiamo di dover fare, che ci siamo impegnati a fare e che i paesi simili a noi stanno facendo. Paesi che investono sul loro futuro - anche se molto simili a noi per costo dei fattori - riescono a mantenere la propria quota del commercio internazionale, riescono ad attirare investimenti esteri e riescono a difendere il proprio sistema di protezione sociale. Perch non solo a rischio il nostro benessere, oggi potrebbe cominciare ad essere a rischio la tenuta complessiva della nostra societ, se il welfare dovesse essere troppo indebolito per mancanza di risorse. Il welfare una delle grandi conquiste della nostra civilt, non una zavorra come viene considerato da taluni ideologi un po' superficiali. Va riformato e ammodernato, ma guai a indebolirlo troppo. Altro che fiducia! Ritorneremmo all'homo homini lupus! Scusate il tono un po' acceso, ma trovo sempre pi insopportabile che, pur sapendo e concordando su molte delle cose da fare, poi non le si faccia e si continui ad accumulare ritardi.

Paolo Gambescia
Io ho qualche dubbio che sappiamo che cosa fare. Forse, tutto non sappiamo, alcune cose le sappiamo. E vediamo di capire cosa: vi chiedo di indicarmi cinque scelte indispensabili per non perdere la partita. Presidente Catrical

Antonio Catrical
Allora, la prima la riforma delle libere professioni. Le libere professioni gravano in maniera ordinata, direi, su quella che l'attivit produttiva, ma in maniera disordinata su alcune che secondo me sono attivit di punta della nostra economia e soprattutto della nuova economia, laddove possiamo essere pi competitivi. Le libere professioni

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gravano per l'8% come incidenza dei costi sulle attivit tecnologicamente pi avanzate, informatica, produzione di apparecchi elettromedicali, fibre ottiche, telefonia e tutto ci che sostanzialmente ci pu candidare come un paese di avanguardia. L bisogna fare qualcosa, e poi non sono neanche grandi sacrifici che si chiedono. Il problema che la concorrenza come il pilone dell'autostrada ed come il termovalorizzatore, cio tutti dicono che vanno fatti, ma non a casa mia, lontano da casa mia. Non che bisogna fare grandi cose: si deve consentire che le tariffe abbiano solamente un massimo e non un minimo perch questo minimo deve essere necessariamente derogabile. I professionisti dicono che togliere il minimo alle tariffe significa avvilire la professione, ma questo non assolutamente vero; si devono ammettere le societ dei professionisti, superando la vecchia legge del '39, che poi era anche una legge di ispirazione razziale, non completamente libera. Bisogna inoltre consentire un po' di pubblicit comparativa nelle libere professioni. Questo permetterebbe alle nostre imprese, soprattutto alle piccole e medie, di far gravare di meno l'incidenza di questo costo: basterebbe portarlo al 5,5% perch diventi un costo tollerabile. E questa una cosa che va fatta. Occorre poi scendere con il prezzo del gasolio e il prezzo della luce elettrica. Sono assolutamente intollerabili. Non parlo per i consumatori (perch io stesso sono consumatore e so che se voglio un po' pi di luce la devo pagare), ma parlo per le imprese. Le imprese non possono competere con questo costo dell'energia, con questa mano legata, mentre gli altri hanno due, tre pugni e danno anche colpi bassi. Quindi, sostanzialmente l'energia un punto sul quale bisogna assolutamente intervenire. Bisogna intervenire anche sul settore del credito, non perch c' sul credito qualcosa che non vada bene: la concorrenza non al massimo nel nostro sistema, una concorrenza ancora in nuce. E' vero che ci sono molte imprese, anzi, forse sono anche troppe, qui pi che mai vale il nanismo delle nostre imprese. Quindi non a dire che l'Antitrust vuole occuparsi di banche per impedire le concentrazioni, non vero, noi le favoriremmo probabilmente le concentrazioni, perch c' materia per concentrare. La verit che ci sono intese che le banche per forza di cose fanno e che non sono valutate con la giusta sensibilit. Ecco perch l'Antitrust si candida per questo mestiere, perch ha una sensibilit pi spiccata verso questo tipo di azioni che in qualche modo vengono a turbare sia i risparmiatori, sia le imprese che hanno necessit di fidejussioni, di mutui, di finanziamenti e hanno l'esigenza di avere schemi diversi. Invece l'ABI fa schemi uguali per tutti. L'ultimo quello sulla fidejussione omnibus, che uno strumento al quale gli imprenditori fanno continuo ricorso, molto richiesto dal mercato, e l'ABI ha fatto uno schema di fidejussione omnibus che lontanissimo dai desiderata e l'impresa solo vicina alle banche. Noi abbiamo fatto una segnalazione, ma questa riguarda anche altre cose, i conti correnti, i costi, le chiusure, quanto costano. Tutto ci necessita di un intervento pi forte, di un'attivit pi sensibile verso gli interessi dei consumatori, dei risparmiatori e delle imprese. Capisco che le banche hanno dei grandissimi meriti. Sono stato capo di Gabinetto di due delle persone che stanno qui - Maccanico e Urbani -, sono stato tanti anni al Ministero della Ricerca Scientifica, sono stato ultimamente alla Presidenza del Consiglio, non che nasco all'Antitrust. So bene che le banche hanno dei meriti incredibili per l'economia e lo sviluppo di questo paese. So quante volte il Governo le ha chiamate a firmare dei finanziamenti che probabilmente un banchiere straniero non avrebbe firmato. Lo so bene. Per pure vero che bisogna misurarsi con un'altra realt. Una volta la Banca d'Italia faceva bene ad occuparsi di concorrenza perch non c'era la concorrenza bancaria. Erano tutte banche pubbliche, la politica veniva tutta quanta fatta al Ministero del Tesoro, il tasso di sconto veniva definito in Banca d'Italia, e quindi dov'era la concorrenza? Oggi non ha pi senso, soprattutto dopo la legge del '93, successiva alla legge sull'Antitrust che invece del '90, perch nel '93 le banche hanno avuto la possibilit di fare altre cose, oltre alla raccolta del risparmio e la gestione del credito, e soprattutto i servizi assicurativi e i servizi finanziari. Quindi, oggi tenere separata questa cosa contro la storia ed contro l'economia del paese.

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So che c' momento politico e momento politico, forse non questo il momento politico perch l'Antitrust si possa occupare a pieno titolo, ma prima o poi questa riforma dovr essere fatta. E queste sono solo tre delle cinque cose che Lei mi ha chiesto, ma per me sarebbero gi sufficienti. Aggiungerei poi una riforma dei servizi pubblici locali veri, centralizzata, dando solo delle direttive su requisiti minimi essenziali che devono essere garantiti dalle autorit locali e, se possibile, un potenziamento delle attivit dell'Antitrust, nel senso che l'Autorit potrebbe anche essere sentita dalle autorit locali che hanno potere di regolazione, quando si devono occupare di materie che sono sensibili per l'antitrust. Lo dico sinceramente, quando sento parlare di dinamismo, da una parte sono contento, dall'altra sono preoccupato, perch i nostri grandi gruppi monopolisti soffrono un po' della sindrome di Gulliver, sono dei giganti in Italia e poi all'estero sono invece piccoli piccoli e non riescono a competere. Per in Italia sono dei giganti. E allora devono evitare di soffocare i bambini nella culla. L'Antitrust che sente parlare di accordi tra i grandi, di concentrazione tra i grandi, un po' come il cane pastore che sente l'odore del lupo. Si preoccupa molto e quindi io qualche preoccupazioncina ce l'ho quando sento parlare di monopolisti che vogliono espandersi. Bisogna avere anche le garanzie per i nostri piccoli, almeno fino a che i nostri piccoli non siano grandi, non abbiano le loro reti la capacit di crescere e andare vanti da soli. Fino a che questo non accada, e in Italia ancora non pu accadere perch da troppo poco c' liberalizzazione e concorrenza in Italia, il nostro compito quello di vigilare affinch nessuno cresca troppo e chi sta invece in una situazione di nanismo e tende a crescere, quello debba essere aiutato. Quindi una simmetria di simpatie che noi necessariamente dobbiamo avere per i pi piccoli.

Paolo Gambescia
Gamberale, Berlusconi e Prodi non hanno ancora un programma elettorale. Che cosa metterebbe lei dentro al loro taccuino? E guardando alla lunga scadenza, dico a dieci o a vent'anni, questo Paese dove dovrebbe investire?

Vito Gamberale
Rispondo volentieri a questa domanda, per non considerandomi un tuttologo, ma solamente una persona che parla di ci di cui si occupa, risponder nel ristretto perimetro del mio orizzonte, perch penso che l'orizzonte delle infrastrutture un orizzonte che pu coprire in parte quello che tu dici. Quindi tra le 5 cose da fare subito un concreto piano delle infrastrutture pu rappresentare il volano per rilanciare effettivamente l'economia del paese, e non una banalit quella che riscopriamo; infatti rilanciando forzatamente le infrastrutture il paese si rimette in moto, ma soprattutto, le componenti di investimenti in questo settore creano un valore aggiunto totalmente nazionale. Le materie prime sono nazionali, i trasporti sono nazionali, il lavoro nazionale, quindi una ricchezza che si investe nel paese e rimane nel paese. Allora io penso che alcune cose andrebbero riviste, prima di tutto: Rivedere la legge Merloni; perch nata in un periodo di emergenza in cui tutti erano ladri e bisognava evitare i ladri; adesso invece dobbiamo evitarla perch la Merloni basata sul massimo ribasso e sta creando dei problemi enormi nella gestione degli appalti, nella gestione reale degli appalti.

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Definire poche priorit nelle opere e centralizzarne le decisioni; tali decisioni devono essere portate al CIPE (di sicuro il territorio non pu essere ignorato) gli va dato un periodo di tempo limitato per approvarle, nel senso di migliorarle, ma tali opere prioritarie vanno eseguite. Favorire le aggregazioni tra le imprese di costruzioni, perch quando il presidente dice che i grandi in Italia sono piccoli in Europa, vuol dire che grandi in Italia sono comunque piccoli, altrimenti un paradosso. In effetti la pi grossa impresa di costruzioni italiana non nemmeno la ventesima in Europa. Quindi vuol dire che qualcosa non c'. Se noi prendiamo la pi grossa impresa di costruzioni in Italia e prendiamo la pi grossa impresa della Francia, stanno nel rapporto di uno a otto; se lo stesso paragone lo facciamo con una impresa spagnola tale rapporto di uno a quattro. In Spagna di queste grosse imprese ce ne sono quattro, in Francia tre, da noi parliamo di una che grossa, ma in Europa piccolissima. Favorire quindi le aggregazioni delle imprese di costruzioni importante perch penso che l'Italia, che ha la popolazione della Spagna, quasi la popolazione della Germania, non pu avere la mortificazione di imprese di costruzioni che sono molto pi piccole di quelle della Spagna, che ha il 60% della nostra popolazione o anche della stessa Austria, che ha appena il 12% della nostra popolazione. Chiarire i programmi pubblici per le opere , perch i governi devono dire che cosa io posso investire in opere pubbliche e che cosa devono fare i privati. Posso investire poco ma anche il poco lo si deve proiettare in dieci anni, perch giustamente le opere pubbliche non sono una bevuta di un bicchier d'acqua, ma si devono proiettare in un arco temporale di almeno dieci anni. Dunque capire che cosa posso mettere a disposizione per le opere pubbliche e chiarire il ruolo dell'Anas, che un player e una istituzione troppo importante perch un decreto oggi approvato, domani decade, poi si modifica, poi non si sa. Ripensare allo spezzettamento delle utilities che c' stato in Italia, perch l'Enel ad esempio stat spezzata in tre. La testa diventata GRTN, lo scheletro diventato Terna e poi la pelle rimasta in parte Enel e in parte stata venduta. In quale paese successo questo? Adesdso stanno tentando di rimettere la testa sullo scheletro, che rimane sempre fuori dal corpo. A me pare veramente una follia, perch in nessun paese al mondo successa una cosa del genere. Come pure folle l'eccesso di concorrenza nelle utilities e telecomunicazioni comprese; solo l'Italia ha interpretato la concorrenza come la possibilit che ogni condominio potesse farsi l'operatore telefonico. Se uno qui in sala dice: quale il secondo operatore telefonico inglese? Pochissimi diranno Cable & Wireless che si sta fondendo con Enervis, pochissimi. In Italia ce ne sono quattro. Quanti sono gli operatori mobili francesi? Tutti diranno France telecom, il secondo nessuno lo conosce, del terzo non se ne ha memoria. Allora dobbiamo fare come fanno gli altri, per questo io accetto la battuta del presidente ma penso che anche i grandi in Italia sono piccoli in Europa e quindi dobbiamo fare uno sforzo di aggregazione, avere il coraggio di creare dei grandi campioni nazionali, perch i grandi campioni nazionali sono la bandiera del paese nel mondo, visto - e sottoscrivo pienamente quello che diceva il Dott. Passera - che l'Italia un pezzettino del mondo e deve vedersela con il mondo e non con le province d'Italia.

Paolo Gambescia
Passera, lei forse stato chiamato in causa da Catricala, in quanto rappresenta il soggetto bancario. Vuole rispondere alla provocazione?

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Corrado Passera
Antonio Catrical, per quanto mi riguarda, pu essere nominato nostro controllore, anche ad honorem se necessario. Non avrei nulla da obbiettare se tra i poteri dell'antitrust il Parlamento dovesse decidere di aggiungere anche taluni controlli sulle banche! Deve essere chiaro che le banche italiane - o quanto meno quelle che mi sento di rappresentare, che si sentono banche italiane e banche europee - non chiedono n protezione, n limitazione alla concorrenza. Perch? Ma perch siamo piuttosto bravi e quindi ci sentiamo di competere ad armi pari con chiunque. Sono stati fatti un paio di accenni a accuse che ritengo assolutamente superate per moltissime banche italiane. Per esempio il costo dei conto correnti: il nostro Conto Intesa prevede spese di chiusura pari a zero e costa quanto un caff alla settimana, pur essendo tutto incluso. E in taluni casi si pu arrivare al costo di soli due caff al mese: a me non sembra esoso e non mi ritrovo con le cifre che sono state fatte circolare. L'Italia stato l'unico tra i grandi paesi europei continentali che ha privatizzato le Casse di Risparmio. In Francia, in Spagna e in Germania il 30-40% del mercato bancario ancora non contendibile. Il 90% degli attivi bancari in Italia sono quotati in Borsa! Questi sono fatti. Si pu fare di pi, si pu fare di meglio, ma questo Paese, in questi ultimi dieci anni - e lo dico a merito dei banchieri e della Banca d'Italia - ha fatto in questo campo un grande lavoro. In Germania, ogni volta che ci vado, mi sento chiedere: ma come avete fatto? Se prendiamo le prime cinque banche italiane, il dato della concentrazione degli attivi assolutamente coerente con quello delle banche francesi e spagnole ed il doppio di quelle tedesche. Non dimentichiamo che negli ultimi dieci anni ci sono state pi operazioni di consolidamento bancario in Italia che in qualsiasi altro paese europeo. Se togliamo le Casse Rurali - quelle che hanno un unico sportello in un paese - siamo ormai a meno di cento tra gruppi bancari e singole banche ancora indipendenti. Non che stiamo parlando di un Paese che ha dormito! Non per niente, tre fra le prime tredici banche della zona Euro sono italiane. C' qualche altro settore industriale che pu dire la stessa cosa? Mica tanti. Sottoscrivo totalmente le affermazioni fatte sulla concorrenza. Tutto quello che si pu fare per accentuarla bene accetto, anzi, proprio il momento in cui dobbiamo favorire coloro che ce la mettono tutta e accettano la sfida della concorrenza e scoraggiare invece coloro che cercano rendite di posizione. Detto questo, possiamo fare di meglio e quindi dobbiamo fare di pi. Se il Parlamento decider di dare all'Antitrust la responsabilit di svolgere taluni controlli sulla concorrenza bancaria, ne saremo felici, come saremo felici se decider per un altro soggetto. Intendiamoci per! Questo un settore dove la concorrenza gi fortissima e basta sfogliare i giornali per trovare ogni giorno le pubblicit di ogni genere di offerte: oggettivamente non credo siano molti i settori per i quali si possa dire altrettanto! Mi ha chiesto cinque cose da fare subito. E' un momento in cui l'Italia sta pagando un forte deficit di produttivit rispetto a molti Paesi nostri concorrenti: il momento quindi di premiare fiscalmente in maniera fortissima gli investimenti. Chiunque metta soldi in tecnologia, ammodernamento, informatica, ricerca, innovazione, deve avere un forte aiuto fiscale, una super-Tremonti! L'abbiamo fatto in periodi di minor urgenza, sarebbe strano se non lo facessimo oggi. Secondo dobbiamo sbloccare il meccanismo decisionale, rompere la situazione di stallo che ci sta bloccando, chiarire chi fa che cosa ai cinque livelli: Bruxelles, Roma, Regione, Provincia e Comune, rendere responsabile delle proprie azioni, o non azioni, chi sta a questi cinque livelli, toglierci da questa situazione in cui tutti fanno tutto e tutti possono bloccare tutto.

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Dobbiamo avere il coraggio di investire molto di pi in Ricerca e Sviluppo, anche considerato che abbiamo fior di centri di ricerca, fior di aziende che fanno ricerca, e Universit di punta. Dobbiamo assicurare a quei ragazzi, a quelle ragazze che hanno il coraggio di fare Universit difficili in campo scientifico e ne escono particolarmente bene, uno sbocco garantito di tre/cinque anni dopo la laurea - di studio, ricerca o lavoro. Dobbiamo premiare di pi le persone che costruiranno il nostro futuro: non devono sentirsi costrette ad emigrare per mettere a frutto la preparazione che abbiamo dato loro. Infine, non dobbiamo dare tregua alla criminalit. Queste sono alcune delle cose da fare. *** Tutto questo detto, recuperando i panni di Amministratore Delegato di Banca Intesa, voglio ringraziare tutti Voi che avete seguito i lavori e in particolare tutti i relatori che hanno contribuito. E' stato un bel convegno. Io ne ho seguito solo una parte, ma mi hanno riferito che stato interessante in tutte le sue sessioni. E' diventato un appuntamento annuale, del quale andiamo orgogliosi. Nel settore della finanza pubblica e delle collaborazioni pubblico-privato abbiamo una struttura molto forte, di gente molto appassionata. Questa struttura della nostra banca si trasformer a breve in una vera e propria banca per lo Stato, per le infrastrutture, per tutto ci che servizio pubblico, per tutto ci che lungo termine e quindi futuro del nostro Paese. E' un piacere, una responsabilit bella quella di governare una banca come Banca Intesa in un momento in cui sappiamo che tutti dobbiamo fare di pi per il nostro Paese. Ci stiamo impegnando, non stiamo lasciando indietro nessuna opportunit e sappiamo che abbiamo ancora molto spazio per migliorare. Stiamo vivendo un momento critico: l'Italia sta rischiando di entrare in una fase di declino ma, tutti insieme, possiamo evitarlo. C' un enorme potenziale di crescita, di miglioramento, di qualit sia nel pubblico che nel privato, cos come nel terzo settore. Noi ce la metteremo tutta per fare la nostra parte. Grazie mille ancora a tutti e arrivederci all'anno prossimo.

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