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Una rete di servizi a sostegno dello sviluppo: il ruolo delle Amministrazioni locali

Servizio Studi e Ricerche


Ottobre 2006

Una rete di servizi a sostegno dello sviluppo Ottobre 2006

Indice
EXECUTIVE SUMMARY 1. LINTERVENTO PUBBLICO IN ITALIA Introduzione e sintesi dei risultati Evoluzione e struttura della spesa pubblica in Italia Analisi della spesa pubblica per funzioni e confronto internazionale Il confronto con lEuropa La distribuzione della spesa lungo il territorio e le istituzioni della PA Scenario: la struttura dellintervento pubblico dopo il decentramento 2. LE POLITICHE REGIONALI DI INCENTIVO PUBBLICO ALLE IMPRESE Introduzione e sintesi dei risultati Le politiche di incentivo tra i diversi livelli di Governo Incentivi pubblici: alcune evidenze quantitative Struttura e distribuzione territoriale degli incentivi alle imprese: il ruolo delle Regioni Gli interventi decentrati Gli interventi regionali Decentramento degli incentivi: alcuni elementi di analisi Le politiche regionali in alcuni settori di intervento Le politiche a sostegno delle attivit di Ricerca e Sviluppo Le politiche a favore dei distretti Le politiche di incentivo alle imprese negli anni recenti e possibili scenari La recente riforma del sistema degli incentivi alle imprese Il sistema degli incentivi alle imprese nel quadro del processo di riforma 3. I SERVIZI AI CITTADINI Introduzione e sintesi dei risultati Le spese per i servizi ai cittadini nei bilanci dei Comuni: analisi territoriale e dimensionale Federalismo, distribuzione del reddito e demografia: alcune considerazioni Composizione e distribuzione territoriale della spesa dei Comuni La dinamica della spesa dei Comuni I servizi erogati dai Comuni: i servizi di pubblica utilit 3 7 7 8 11 13 16 19 21 21 22 24 27 27 32 33 35 35 36 39 39 41 43 43 44 44 45 50 54

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I servizi erogati dai Comuni: il welfare locale Lintervento pubblico comunale: alcuni caveat Servizi alla persona e sviluppo del territorio Mercato del lavoro, sviluppo del territorio e servizi per i cittadini Limpatto dei flussi migratori sullerogazione dei servizi ai cittadini I servizi pubblici locali: una caratterizzazione della realt italiana Lo stato di attuazione delle riforme Le tariffe e la copertura dei costi del servizio Federalismo e servizi ai cittadini: quali scenari per il finanziamento? 4. LA RETE INFRASTRUTTURALE PER LO SVILUPPO LOCALE Introduzione e sintesi dei risultati La distribuzione territoriale delle infrastrutture Le infrastrutture dei Trasporti Le infrastrutture per la produzione e distribuzione dellEnergia Le infrastrutture dellAmbiente Le infrastrutture sanitarie e scolastiche Infrastrutturazione del territorio e sviluppo locale La sindrome del not in my backyard nel settore dellenergia

55 57 58 58 67 72 72 73 79 82 82 83 83 86 88 93 99 104

5. GLI SCENARI E LE POLITICHE PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO 107 Introduzione Lintervento pubblico alla luce del decentramento e della Finanziaria 2007 Una nuova politica degli incentivi alle imprese Investimenti e servizi alla persona: verso una finanza pubblica comunale? 107 107 109 110

Il rapporto stato curato da REF (Salvatore Parlato) e da Banca Intesa (Laura Campanini e Fabrizio Guelpa). Alla stesura del rapporto hanno collaborato: Luca Gandullia, Francesco Figari, Francesca Laratta, Simone Pellegrino.

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Executive summary
Il passaggio ad una articolazione dellintervento pubblico su pi livelli di governo ha modificato le relazioni che legano le scelte di politica economica allo sviluppo economico, ponendo unenfasi maggiore se non addirittura cruciale sul ruolo delle Amministrazioni locali nel favorire la crescita del Paese attraverso lo sviluppo del territorio. Il presente lavoro intende dare evidenza empirica di queste relazioni. Nel primo capitolo, di carattere introduttivo, vengono analizzate sia le determinanti dellintervento pubblico degli ultimi anni, sia limpatto che la spesa pubblica esercita sulla crescita economica del Paese. Per meglio identificare le relazioni che legano la politica pubblica alla crescita economica, si analizzano le componenti settoriali e i livelli di governo su cui si dipana la spesa pubblica, tentando di identificare quelle pi inclini a favorire lo sviluppo, anche in un confronto con il resto dEuropa. Dallanalisi emerge che in Italia la spesa pubblica, in larga misura condizionata da poche voci - previdenza, personale, sanit che tendono ad irrigidire il bilancio, stata guidata per lo pi dalle esigenze finanziarie e ha risposto solo in parte a mirate scelte di politica economica a favore dello sviluppo. Nel confronto internazionale, le distanze pi significative in merito alla composizione per campi di intervento riguardano la maggiore spesa per interessi, che tende nel caso italiano ad assorbire risorse che altrove sembrano meglio essere impiegate nella promozione della crescita (investimenti, ammortizzatori sociali). Il processo di decentramento non sembra aver migliorato la qualit dellintervento pubblico in questa prima fase, in quanto si evidenziano fenomeni di duplicazione della spesa, specie nel comparto del costo del personale, a fronte dei quali non si registrata unadeguata crescita nei settori pi idonei a favorire lo sviluppo. Il risultato pi evidente dei primi anni di federalismo, e che rischia di acuirsi in futuro, la de-responsabilizzazione di bilancio in corrispondenza di maggiori competenze attribuite, che induce gli Enti pi ricchi a perseguire finalit poco virtuose e quelli gi poco virtuosi a difendere posizioni di privilegio, con un complessivo deterioramento dellintervento pubblico. Rispetto ad un quadro generale non privo di problematiche, emergono delle peculiarit di intervento a livello locale, la cui analisi consente di cogliere il ruolo effettivo che gli Enti decentrati giocano o possono giocare nel favorire lo sviluppo economico del territorio. Laspetto pi direttamente connesso al legame che unisce lAmministrazione decentrata allo sviluppo economico del territorio quello del sistema degli aiuti pubblici alle imprese, preso in considerazione nel secondo capitolo. Le innovazioni introdotte nellultimo decennio hanno avuto leffetto di accrescere il ruolo delle Regioni nelle politiche di incentivo alle imprese. In particolare, la riforma del 1997-1998 (leggi Bassanini), con lintento di avvicinare maggiormente gli strumenti di incentivo alle esigenze delle imprese, ha delegato alle Regioni funzioni di politica industriale. Dal 2000 le Regioni gestiscono sia interventi propriamente regionali, ovvero stabiliti sulla base di specifiche leggi, sia interventi decentrati, ovvero loro delegati dallAmministrazione centrale ed istituiti da norme statali. La scomposizione degli incentivi per obiettivi mostra lelevata

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eterogeneit delle politiche regionali che, concentrarsi sul sostegno agli investimenti.

comunque,

tendono

Nonostante il passaggio dal centro alla periferia, il ruolo dello Stato nella gestione ed erogazione degli interventi agevolati continua a essere preponderante e focalizzato sulle misure volte a ridurre gli squilibri territoriali di sviluppo. Sul versante delle politiche in favore dei distretti, assegnate alla competenza regionale, si segnala una consistente sproporzione tra lattivit formale di riconoscimento e programmazione e gli interventi effettivamente realizzati. La regione che ha mostrato la maggiore capacit di intervento stata la Lombardia, dando vita ai Comitati di distretto, che successivamente sono stati istituiti in tutte le Regioni, mentre gli interventi che hanno trovato maggiore diffusione riguardano le strutture di supporto per la certificazione di qualit, per laccesso agli strumenti agevolativi nazionali e comunitari, linternazionalizzazione delle imprese e la commercializzazione dei prodotti. Anche le recenti innovazioni in materia di erogazione degli incentivi, pur prevedendo forme nuove di compartecipazione al rischio di imprese e banche, difettano di specializzazione degli interventi e coordinamento degli obiettivi. Su questo sentiero sembra muoversi, peraltro, il disegno di legge sullinnovazione tecnologica, di cui si tracciano alcuni aspetti essenziali nel capitolo finale di questo rapporto. La spinta verso il decentramento delle misure di incentivazione ha trovato giustificazione nella necessit di rendere contigui soggetto erogatore e soggetto beneficiario, per meglio calibrare gli interventi a favore dello sviluppo. Una logica analoga ha avuto il processo federalista, nel quale ha giocato un ruolo cruciale lidea che, dovendo assecondare le esigenze dei cittadini, lintervento pubblico sarebbe stato pi efficiente avvicinandosi il pi possibile ai contribuenti, proprio nellerogazione di quei servizi direttamente fruibili e monitorabili dal cittadino stesso. Al riguardo, la ricerca esamina nel terzo capitolo il ruolo dei Comuni, che, storicamente e fisicamente, sono stati e sono il livello di governo pi prossimo ai cittadini e che regolano gran parte della spesa pubblica per erogazione dei servizi (una volta esclusa la sanit). Le tendenze pi recenti evidenziano un paradosso: le risorse a disposizione degli Enti territoriali sono diminuite nel corso dellultimo quinquennio (blocco delle aliquote e riduzione dei trasferimenti), mentre una tendenza opposta ha subito il numero delle funzioni loro attribuite. Queste contraddizioni hanno ripercussioni non solo sulla capacit degli Enti territoriali di agevolare politiche pubbliche locali, ma anche sul loro impegno a incentivare lefficienza nella gestione dei servizi al fine di contenere i costi. Dallanalisi emerge un quadro dellintervento dei Comuni molto variegato, le cui dinamiche non sempre appaiono coerenti con levoluzione della domanda di servizi, dato che circa un terzo della spesa dei Comuni viene assorbita dai costi di amministrazione e solo il 10% dedicata a finanziare il welfare locale. In generale, traspare una sostanziale inerzia dei Comuni rispetto alla composizione di bilancio ereditata, sia per ragioni strutturali connesse alla conformazione della societ e del territorio, sia per la mancata completa attuazione del disegno costituzionale in materia di federalismo. Ne consegue una forte divaricazione, in termini quantitativi, tra Nord e Sud in materia di servizi erogati, ma pi specificatamente tra Comuni ricchi e quelli poveri.

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La struttura di bilancio dei Comuni risulta influenzata sia dallubicazione geografica che dalla dimensione. In generale si evidenzia una sostanziale sperequazione. Con riferimento alla spesa corrente per public utilities emerge la rilevanza degli assetti gestionali nel determinare la struttura dei costi: il passaggio dalla gestione in economia a quella affidata a gestori industriali mostra dei recuperi di efficienza nel comparto idrico e ha effetti eterogenei per quanto riguarda lo smaltimento rifiuti, dove la copertura dei costi mostra delle carenze al Sud. I servizi alla persona, invece, dipendono largamente dalle condizioni reddituali e dalle dimensioni del Comune, lasciando emergere situazioni non idonee a favorire lo sviluppo. I Comuni del Mezzogiorno, pur dedicando ai servizi alla persona una quota non trascurabile della loro spesa, non riescono a garantire un livello in termini pro-capite che vada oltre la met di quanto erogato dai Comuni del Nord. Il divario territoriale pi consistente si riscontra nel campo degli asili nido e dei servizi per gli anziani, ma non imputabile alla demografia, quanto alleredit di bilancio, ai limiti posti allautonomia e alla mancanza di uneffettiva perequazione. Ne consegue che lofferta di servizi non in grado di assecondare la domanda, ponendosi a freno dello sviluppo locale. I flussi migratori tendono ad esacerbare la carenza di offerta dei servizi, da un lato assorbendo risorse dai Comuni per i servizi di accoglienza, dallaltro, alimentando una maggiore domanda di servizi. In generale, la crescente domanda di servizi e la transizione verso modelli gestionali pi efficienti non sono supportate da scelte adeguate a livello istituzionale. Le resistenze al coinvolgimento dei soggetti industriali nella gestione dei servizi pubblici, i limiti allautonomia tributaria e lassenza di meccanismi di perequazione hanno generato, e nello scenario di federalismo incompleto genereranno ancora, una crescita del debito. Ne consegue un condizionamento sostanziale dellattivit degli Enti territoriali nel promuovere lo sviluppo del territorio attraverso la creazione e gestione delle infrastrutture pubbliche. Le Amministrazioni locali hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo infrastrutturale del Paese. Con il loro intervento diretto (finanziamento delle opere) contribuiscono al 60% degli investimenti totali della PA; ugualmente importante poi il loro intervento indiretto (concessione di autorizzazioni). Partendo dal presupposto che la dotazione infrastrutturale dei territori costituisce un requisito indispensabile per lo sviluppo dei medesimi, il quarto capitolo si pone lobiettivo di descrivere lo stato dellarte del sistema delle infrastrutture, evidenziando il ruolo che gli Enti territoriali svolgono nello sviluppo del territorio attraverso la politica di investimenti. Il lavoro mette in risalto le diversit che caratterizzano le diverse aree del Paese e lo stato complessivo delle infrastrutture rispetto al contesto internazionale, in modo da fare emergere, da un lato, le eventuali carenze del Paese rispetto ai principali partner europei, dallaltro, quelle che caratterizzano determinate Regioni rispetto ad altre. Il quadro che ne emerge contraddittorio e dipende sia dalleredit deludente del passato, formatasi con lazione del Governo centrale, sia dai comportamenti eterogenei degli Enti territoriali, che solo in parte riescono a compensare le lacune esistenti. La distribuzione territoriale delle infrastrutture caratterizzata da ampie diversit, in particolare nei settori della distribuzione del gas metano, della qualit dei trasporti, delle strutture sanitarie, degli impianti di smaltimento dei rifiuti.

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Una misura sintetica della dotazione di infrastrutture calcolata sulla base delle esigenze di ciascun territorio mostra una chiara differenziazione tra le diverse aree territoriali di cui si compone il Paese. La regione pi infrastrutturata la Lombardia, mentre quella pi carente, con una dotazione inferiore del 35% a quella lombarda, la Campania. Lindice di dotazione infrastrutturale perfettamente correlato al reddito pro-capite del territorio e alla spesa per investimenti in opere pubbliche, mostrando un evidente problema di divergenza allinterno del Paese. Il divario si accentua considerando, ipoteticamente, le risorse che saranno disponibili con lapplicazione del federalismo. Regioni come la Campania e la Sicilia dovrebbero attivare una leva finanziaria pari a circa il 100% delle proprie risorse per colmare il gap che le separa dalla media nazionale. Il quadro che emerge dal Rapporto offre spunti di conclusione alquanto contrastanti in merito alle prospettive di sviluppo del Paese, ma decisamente univoco sul ruolo dellAmministrazione locale quale attore principale nel processo di rilancio del Paese attraverso gli interventi sul territorio. Nel capitolo 5 si discutono i possibili scenari che si delineano alla luce delle misure contenute nella Finanziaria 2007. Il disegno di legge presentato in Parlamento prevede un rilancio del Patto di Stabilit interno, maggiori margini di manovra sotto il profilo fiscale per gli Enti territoriali, un potenziamento degli incentivi per riqualificare la spesa decentrata, la sperimentazione di forme di aggregazione e collaborazione tra livelli di governo omologhi. Allo stato mancano ancora espliciti riferimenti alla perequazione e al riequilibrio territoriale, con il rischio di non riuscire ad incidere sui divari che intercorrono tra il Nord ed il Sud del Paese, specie nel comparto dei servizi alla persona e delle infrastrutture.

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1. Lintervento pubblico in Italia


Introduzione e sintesi dei risultati
In questo capitolo si analizza il percorso di formazione dellintervento pubblico a partire dagli anni 80, descrivendone i tratti essenziali e i passaggi pi significativi. Lobiettivo quello di mostrare come la struttura e la dinamica della spesa pubblica non siano costanti e immutevoli nel tempo, ma o assecondano particolari condizioni macroeconomiche, o mirano a regolare il funzionamento del sistema economico. Purtroppo, non sempre possibile determinare quale delle due condizioni prevalga nella formazione della spesa pubblica, essendo cruciale e incontrollabile la componente decisionale politica. Ci influisce anche sulla possibilit di valutare quanto lintervento pubblico sia funzionale allo sviluppo di un paese. Ne consegue che anche i risultati presentati di seguito hanno perlopi un valore descrittivo, utile a definire i contorni dal problema, ma non in grado di fornire risposte specifiche sui temi qui trattati. Nel primo paragrafo vengono discusse sia le determinanti dellintervento pubblico, che ne hanno alimentato la formazione nel corso degli ultimi 25 anni, sia limpatto che la spesa pubblica esercita sulla crescita economica del Paese. Questo secondo aspetto ulteriormente investigato nel secondo paragrafo, in cui si analizzano le componenti settoriali su cui si dipana la spesa pubblica, tentando di identificare quelle pi inclini a favorire lo sviluppo, anche in un confronto con il resto dEuropa. Successivamente, la relazione tra spesa pubblica e crescita economica viene ricondotta a livello locale, esplorando i campi di intervento della Pubblica Amministrazione lungo i diversi livelli di governo, i settori e il territorio. Infine, partendo dalle tendenze riscontrate nei primi anni del federalismo, e valutando il possibile impatto derivante dallattuazione completa del Titolo V della Costituzione, si costruisce uno scenario sulla futura distribuzione della spesa pubblica nel comparto delle Amministrazioni comunali. I principali risultati possono essere cos riassunti: la dinamica della spesa pubblica in Italia stata largamente dettata dalle esigenze finanziarie, che ne hanno determinato unespansione negli anni del lassismo finanziario e un sostanziale contenimento in occasione di importanti operazioni di risanamento dei conti pubblici; la struttura dellintervento pubblico appare in larga misura condizionato da poche voci di spesa - previdenza, personale sanit che tendono ad irrigidire significativamente il bilancio pubblico; entrambe le caratteristiche delineate tendono ad attribuire un ruolo secondario allintervento pubblico nel promuovere lo sviluppo economico e sociale, anche se sia nel livello che nella scomposizione settoriale non si evidenziano particolari divergenze con il resto dEuropa, salvo la maggiore spesa per interessi che tende nel caso italiano ad assorbire risorse che altrove sembrano meglio essere impiegate nella promozione della crescita (investimenti, ammortizzatori sociali); il processo di decentramento delle competenze non sembra aver conseguito in questa prima fase risultati promettenti, in quanto si evidenziano fenomeni di duplicazione della spesa, specie nel comparto del costo del personale, a fronte dei quali non si registrata unadeguata crescita nei settori pi idonei a

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favorire la crescita. Inoltre, nella ripartizione delle risorse lungo il territorio, gli Enti del Mezzogiorno sembrano essere quelli pi penalizzati, in virt dellassenza di un accurato meccanismo di perequazione; il risultato pi evidente dei primi anni di federalismo, e che rischia di acuirsi in futuro, la de-responsabilizzazione di bilancio in corrispondenza di maggiori competenze attribuite, che induce gli Enti pi ricchi a perseguire finalit poco virtuose e quelli gi in passato poco virtuosi a difendere posizioni di privilegio, con un complessivo deterioramento dellintervento pubblico.

Evoluzione e struttura della spesa pubblica in Italia


Un primo elemento di distinzione nellanalizzare la storia recente della spesa pubblica quello di considerare separatamente leffetto che il peso del debito esercita sulla spesa, riportando levoluzione sia della spesa totale, sia di quella primaria, ovvero al netto degli interessi. Il grafico sottostante mostra il decorso della spesa in rapporto al Pil, facendo emergere chiaramente la significativit dellonere per interessi dalla seconda met degli anni 80 fino alla fine degli anni 90. Inoltre, questa prima rappresentazione, testimonia i momenti salienti della storia recente della finanza pubblica italiana, ovvero la deriva dei conti pubblici degli anni 80, il risanamento degli anni 90 e la nuova perdita di controllo della spesa dei primi anni del XXI secolo. Dal grafico, peraltro, si evince anche come, a fronte di una stabilizzazione della spesa complessiva nellarco di tempo considerato, si riscontri un trend crescente della spesa primaria, debolmente frenato nella seconda parte degli anni 90. Figura 1.1 - La spesa pubblica (in % del Pil)
60% Spesa totale 55% Spesa primaria

50%

45%

40%

35% 2006* 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004

(*) Previsione Dpef 2007-2011 Fonte: elaborazioni REF su dati Mef

Tuttavia, questa ciclicit della spesa deve essere letta in concomitanza con le dinamiche macroeconomiche manifestatesi negli ultimi 25 anni: elevata crescita economica, alta inflazione e tassi di interesse a due cifre fino ai primi anni 90; bassa crescita, ridimensionamento dellinflazione e rientro del premio al rischio sulle emissioni nazionali a partire dalla seconda met degli anni 90. Difficile stabilire quanto dellambiente macroeconomico circostante sia esogeno e quanto sia stato generato dalle scelte di finanza pubblica. Ci che rileva, comunque, notare come, nel periodo precedente lintroduzione delleuro, le fasi di

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contenimento della spesa siano associate a momenti di equilibrio dei conti pubblici e stabilit finanziaria, mentre il contrario valga negli anni di crescita sostenuta della spesa (grafico 1.2). Figura 1.2 - Spesa pubblica e stabilit finanziaria
60% 10,0% 8,0% 55% 6,0% 4,0% 50% 2,0% 0,0% -2,0% Spesa totale, scala sin (**) 40% Saldo Primario (**) Premio al rischio Paese 35% 2006* 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 -4,0% -6,0% -8,0%

45%

(*) Previsione Dpef 2007-2011 (**) In % del Pil Fonte: elaborazioni REF su dati Mef, Banca d'Italia

La correlazione tra stabilit finanziaria (e sostenibilit delle finanze pubbliche) e incidenza della spesa deriva dal fatto che, in buona parte, le componenti di spesa siano tali da irrigidire il bilancio pubblico nel medio termine, manifestando una tendenza crescente ad assorbire risorse dal sistema economico. In effetti, oltre allopinione comune che allinterno dellintervento pubblico si annidino ampie sacche di inefficienza e che queste inducano a generare forme anche sostanziali di inerzia alla contrazione, una disamina della composizione della spesa pubblica fa emergere una prevalenza di poste di bilancio con trend inesorabilmente crescente e con pochi margini di flessibilit. Figura 1.3 - Le componenti principali della spesa primaria
90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 2006* 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 Redditi da lavoro dipendente Sanit Prestazioni sociali in denaro

(*) Previsioni Dpef 2007-2011 Fonte: elaborazioni REF su dati Mef, Istat

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La lettura del grafico 1.3 conferma questipotesi. I tre elementi di rigidit (pensioni, sanit, stipendi) assorbiranno circa il 73% del bilancio pubblico alla fine del 2006 (66% nel 1980) e, come si vede, almeno per due di essi il trend crescente, in linea con levoluzione demografica del Paese. Tuttavia, non soltanto da queste voci che si manifesta una sostanziale resistenza della spesa pubblica. Il grafico 1.4, infatti, mostra la dinamica in termini reali delle due componenti di spesa, quella rigida (pensioni, sanit e stipendi) e quella flessibile. Come si pu osservare, le due componenti tendono a muoversi assieme, salvo notare che, nella fasi di controllo della spesa, la componente flessibile reagisce prima e in modo pi consistente allimpulso restrittivo, salvo rimbalzare nelle fasi espansive. Figura 1.4 - La crescita reale della spesa pubblica
10% 8% 6% 4% 2% 0% -2% -4% 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 Spesa rigida Spesa flessibile

Dati perequati e deflazionati (*) Previsione Dpef 2007-2011 Fonte: elaborazioni REF su dati Mef, Istat

Lanalisi di siffatti elementi evolutivi della spesa, valutati anche in una prima scomposizione per voci prevalenti, lascia trasparire pi una natura passiva dellintervento pubblico, intendendo con ci la manifestazione spontanea di dinamiche generate da decisioni del passato circa il ruolo e i compiti dello Stato, che il risultato di scelte discrezionali volte ad adattare lassetto dellintervento pubblico alle esigenze contingenti dello sviluppo economico. In effetti, il grafico 1.5 non mostra alcuna correlazione negli anni pi recenti tra crescita economica e dinamica della spesa pubblica. Anzi, cos come confermato dalle comparazioni internazionali, ad elevati livelli della spesa pubblica corrispondono tassi di sviluppo inferiori, a causa essenzialmente del correlato alto livello della tassazione. Ovviamente, lanalisi aggregata della spesa condensa elementi di dettaglio che potrebbero rivestire un ruolo non trascurabile nella promozione dello sviluppo economico in selezionati settori o in determinati territori. Pertanto opportuno operare una disaggregazione funzionale e territoriale della spesa per meglio cogliere le peculiarit dellintervento pubblico e il possibile impatto sul sistema economico.

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Figura 1.5 - La relazione tra spesa pubblica e crescita


60
Francia Svezia

55
Spesa pubblica/Pil (2006)

50

45

Germania

Regno Unito Italia

Cipro

40
Spagna

35

30 0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0 8,0


Crescita reale Pil (media 2001/2006) Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat

Analisi della spesa pubblica per funzioni e confronto internazionale


Lanalisi della spesa distinta per funzione e al netto degli interessi evidenzia che la maggior parte di essa, in media circa il 42,2% nellultimo decennio, sia assorbita dalle spese per i servizi di protezione sociale, seguita dalla spesa per la sanit (15,4%), da quella per listruzione (11,5%), dagli affari economici (10,1%) e dalle spese di funzionamento (servizi generali, 8,5%). Ne consegue che lo spazio riservato alle funzioni di spesa pi strettamente connesse alla promozione dello sviluppo risulta alquanto esiguo. Figura 1.6 - La composizione della spesa pubblica primaria (2004)
Servizi generali 8,5% Protezione sociale 42,2% Affari economici 10,1% Ambiente e territorio 2,8%

Istruzione 11,5%
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Sanit 15,4%

Da notare, peraltro, che non necessariamente una ridotta presenza di spese nel settore dellincentivazione economica o per lo sviluppo dei territori sia associabile a uno scarso impulso sulla crescita economica. Come dimostrato da una crescente letteratura economica, sistemi di welfare efficienti, in grado di fornire

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stabili misure di garanzia e di coesione sociale, sono associati a Paesi ad elevata crescita economica, anche quando tali livelli di spesa sono particolarmente elevati. Nel caso italiano negli ultimi anni la crescente rilevanza della spesa di protezione sociale (racchiude tutte le voci che riguardano lassistenza e la previdenza) stata determinata, oltre che dalle spontanee dinamiche di crescita legate allandamento demografico del Paese, a un congiunturale incremento delle spese per lindennit di disoccupazione e per gli assegni di integrazione salariale, che sono aumentate dal 7,8% (nel 2003) al 10,3% (nel 2004). Ma al contempo, non secondario stato limpatto di una crescita anomala delle pensioni di invalidit. Difficile valutare la bont complessiva degli strumenti attivati dal sistema di protezione sociale, anche se un raffronto con i giudizi espressi dalle famiglie circa lo stato dincertezza sulle prospettive future e lincremento del numero di famiglie sotto la soglia della povert lascerebbero propendere per un giudizio non roseo circa lefficienza del costoso sistema di protezione sociale italiano. Figura 1.7 - L'impatto della spesa sociale sul sentiment delle famiglie
24,0 23,5 23,0 22,5 22,0 21,5 21,0 20,5 20,0 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Spesa protezione sociale Clima di fiducia famiglie, scala dx 95 100 115 110 105
Indice 1980=100

125 120

In % del Pil

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Isae

Per quanto attiene la spesa della funzione Affari economici, voce che comprende i contributi alla produzione, i contributi alle imprese, nonch una quota rilevante degli investimenti pubblici, questa ha avuto un minor peso sulla spesa pubblica nel corso del tempo, mostrando una minore incidenza fra il 1990 e 1994, per effetto delle privatizzazioni che hanno generato una riduzione dei trasferimenti alle imprese da parte dello Stato, e negli anni pi recenti a seguito sia delleffetto contabile generato dalle dismissioni immobiliari (e nel 2000, come conseguenza delloperazione di vendita delle licenze UMTS), che vengono contabilizzate come disinvestimenti, sia del blocco dei trasferimenti esercitato nel biennio 2004-2005, che ha interessato non solo Anas e Ferrovie dello Stato, ma anche il sistema delle imprese italiane (vedi anche capitolo 2 in questo rapporto). Da non trascurare limpatto che le vicende giudiziarie hanno avuto sulla frenata delle opere pubbliche nei primi anni 90. Lo stesso discorso fatto per la spesa per protezione sociale pu essere riproposto per quella finalizzata a soddisfare le esigenze di funzionamento della PA e di tutela del territorio. Anche in questo caso, infatti, possibile identificare delle correlazioni positive tra siffatte tipologie di spesa e sviluppo economico. Basti pensare al ruolo di una pubblica amministrazione efficiente nel favorire la

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nascita di nuove imprese e di opportuni sistemi di sicurezza per garantirne loperativit sul territorio. In effetti, come si pu evincere dal grafico allegato, nel primo caso, ad un incremento dei costi della PA ha corrisposto una riduzione degli oneri burocratici per lapertura di unimpresa. Figura 1.8 - Spesa pubblica e burocrazia
30 Oneri burocratici 25 Spesa Servizi generali Pa 4,0 3,9 3,8
In % del Pil pro-capite

20

3,7 3,6 In % del Pil

15 3,5 10 3,4 3,3 5 3,2 0 2003 2004 2005


Fonte: elaborazioni REF su dati Istat e Banca Mondiale

3,1

Lanalisi della spesa per scomposizione funzionale consente solo in parte di delineare lefficacia dellintervento pubblico nel sostenere la crescita economica. Luci ed ombre emergono, riflettendo la complessit con cui si dipana lazione della Pubblica Amministrazione.

Il confronto con lEuropa


Effettuando un confronto con gli altri paesi dellUnione europea possibile notare come lItalia non sia il paese con un livello di spesa pubblica (primaria), rapportata al Pil, maggiore; anzi, dal confronto con la media dei Paesi in esame, possibile osservare che, dal 1980 al 2004, la spesa pubblica italiana, in percentuale del Pil stata quasi sempre al di sotto della media europea. La forbice si ampliata dal 1991, raggiungendo la differenza massima nel 1995 (con la spesa dellItalia al di sotto della media europea di circa il 4%); da tale anno si assistito ad una convergenza della spesa dellItalia verso quella della media dei Paesi europei. Nonostante le regolarit in media, i singoli Paesi sono caratterizzati da livelli di spesa abbastanza eterogenei; negli ultimi anni (2000-2004) paesi come Danimarca, Svezia, Finlandia e Francia hanno registrato una spesa pubblica media superiore al 50% del Pil, contro, ad esempio, Spagna e Irlanda con una media rispettivamente del 38% e 33%. Le differenze fra i Paesi, ovviamente, riflettono le diverse impostazioni date al ruolo dello Stato allinterno dei sistemi economici, ovvero la gamma di servizi che si ritiene che il servizio pubblico debba garantire, ma non solo. La bassa percentuale di spesa dellIrlanda, ad esempio, riflette lassenza di sistemi universalistici (tranne che nella sanit); per i cittadini al di sotto di un certo livello di reddito non c una copertura da parte del sistema nazionale e laccesso a determinati servizi richiede lesistenza di numerosi requisiti. Tuttavia, da

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sottolineare come, seppur il sistema del Regno Unito abbia le stesse caratteristiche di quello irlandese, nel 2004 il gap di spesa fra i due Paesi di circa 10 punti percentuali. Le elevate percentuali di spesa di Francia, Germania e Belgio riflettono un sistema nel quale lo Stato interviene per assicurare non solo un reddito minimo, ma anche lassistenza in campo sanitario (la maggior parte della popolazione coperta dalle assicurazioni sociali). Sebbene nel confronto internazionale si utilizzi la spesa primaria, nel valutare le diverse performance e scelte di policy, non deve essere dimenticato che la spesa per interessi dellItalia ampiamente superiore alla media dei 15 Paesi europei, imponendo necessariamente delle costrizioni alle decisioni di spesa, anche in merito alle finalit cui indirizzare le risorse pubbliche. , infatti, possibile ipotizzare che per alcune funzioni, a prescindere dalle impostazioni e del ruolo assegnato allo Stato, esistano dei limiti inferiori di spesa che devono essere soddisfatti, rendendo poi complessivamente inefficiente levoluzione della spesa. Una comparazione con gli altri Paesi europei per singole funzioni di spesa tenderebbe a confermare movimenti comuni e comportamenti condizionati dai livelli di partenza, ricavando un ruolo cruciale per le cosiddette eredit di bilancio, prima tra tutte quella dellonere per il servizio del debito. Se ci si sofferma sulla spesa sanitaria, possibile rilevare come lItalia, seppur con una spesa crescente negli ultimi anni, si mantenga sempre vicina alla media europea. Landamento crescente della spesa in percentuale del Pil comune per quasi tutti i Paesi in considerazione, anche se, complice i difformi sistemi sanitari adottati, sono su livelli diversi, con un ampia forbice che va dalla spesa media (dal 2000 al 2004) del 7,7% della Norvegia al 3,5% dellOlanda. Tuttavia possibile affermare che, a parte realt come Lussemburgo, Grecia e Spagna, nellultimo decennio in esame si assiste ad un processo di convergenza dei livelli di spesa sanitaria dei maggiori Paesi.

Figura 1.9 - La convergenza della spesa: la sanit


4,0
Grecia

3,0
Portogallo Variazione 2004-1990

2,0

1,0

0,0

Regno Unito Svezia Belgio Finlandia Irlanda Norvegia Lussemburgo Francia Olanda Danimarca Germania Spagna Italia

-1,0

Austria

-2,0 0,0 2,0 4,0 6,0 8,0 10,0


Livello Spesa sanitaria/Pil 1990 Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat

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Per quanto concerne la spesa per la protezione sociale tutti i Paesi mostrano una leggera crescita nel corso del tempo, anche se, anche in questo caso, esiste un maggior grado di eterogeneit, passando dal 9% dellIrlanda alle percentuali pi elevate di Svezia (24%) e Danimarca (23%); lItalia si colloca ad un livello di poco al di sotto della media europea (18,4%). Anche per quanto riguarda la funzione degli affari economici lItalia spende in linea con il resto dEuropa, mentre per quanto concerne le spesa per i servizi generali, lItalia (8,7%) si colloca fra i Paesi con i livelli di spesa, in percentuale del Pil, pi elevati; seconda solo alla Grecia (9,8%). Ci deriva in buona parte dal peso degli interessi sul debito che sono collocati allinterno di questa funzione di spesa.

Tabella 1.1 La spesa pubblica per funzioni in Europa (in % del Pil)
Anno 2003 Belgio Danimarca Germania Grecia Spagna Francia Irlanda Italia Lussemburgo Olanda Austria Portogallo Finlandia Svezia Regno Unito Norvegia Servizi generali 9,5 7,4 6,0 9,8 4,9 7,1 3,5 8,7 5,4 8,1 7,0 6,2 6,6 7,6 4,8 4,3 Difesa 1,2 1,6 1,1 2,8 1,1 2,2 0,6 1,3 0,3 1,5 0,9 1,4 1,6 1,9 2,6 1,8 Affari economici 5,3 3,7 3,6 6,9 4,9 3,2 5,0 4,0 4,9 4,7 5,1 4,9 4,8 4,8 2,9 4,1 Sanit 7,0 7,1 6,1 4,9 5,5 7,3 7,1 6,8 5,5 4,5 6,7 6,6 6,7 7,0 7,0 7,8 Protezione sociale 17,9 23,0 22,1 19,2 13,0 9,1 9,1 18,4 18,8 17,3 21,2 15,2 21,9 24,3 16,2 17,9 Ordine pubblico e sicurezza 1,8 1,0 1,6 1,3 1,8 1,1 1,4 1,8 1,1 1,8 1,4 1,9 1,5 1,4 2,6 1,1 Istruzione, cultura e servizi ricreativi 7,5 9,1 4,7 3,9 5,8 7,9 4,1 6,0 7,5 6,6 6,7 8,6 7,2 8,4 5,1 7,3

Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat

In generale non si rintracciano tratti comuni in Europa o modelli cui convergere. Piuttosto, i Paesi si differenziano per il grado di efficienza con cui perseguono i rispettivi obiettivi di politica economica. Questa pu essere misurata sia dal costo imposto alla collettivit per sostenere determinate voci di spesa, che quindi si riflettono sulla pressione fiscale, sia dalla solidit finanziaria di bilancio. Poich difficile valutare il grado di efficienza che contraddistingue la spesa pubblica dei Paesi europei, o identificare qual la funzione foriera di inefficienze, possibile valutare come ciascuna nazione persegua gli obiettivi economici allinterno di un quadro di finanza pubblica vincolato dai parametri di Maastricht al mantenimento di un equilibrio di bilancio. Come si pu vedere dal grafico 1.10, a fronte di livelli di spesa sul Pil omogenei, si riscontrano livelli dellindebitamento molto eterogenei, segno di un differente grado di efficienza della Pubblica Amministrazione. Pertanto, ai fini della valutazione dellimpatto dellintervento pubblico sullo sviluppo economico, ci che conta sicuramente la composizione della spesa, ma un ruolo non secondario lo gioca il grado di efficienza con cui si esplica e il livello di tassazione che essa comporta.

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Figura 1.10 - Spesa pubblica e deficit (2004)


60 Svezia 55

Spesa primaria/Pil

50

45

Italia

40

35

Irlanda

30 0,0 1,0 2,0


Deficit/Pil
Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat

3,0

4,0

La distribuzione della spesa lungo il territorio e le istituzioni della PA


Uno degli aspetti che pi ha modificato lassetto dellintervento pubblico nel corso degli ultimi anni stato sicuramente il processo di decentramento delle funzioni che ha spostato competenze di spesa dal Centro alla Periferia. A seguito delle scelte federaliste perseguite negli ultimi anni, nel corso del tempo c stata una graduale diminuzione delle spese sostenute da parte delle Amministrazioni centrali e, per contro, un aumento di quelle delle Amministrazioni locali. Tale fenomeno in linea con il processo di decentramento delle competenze dalle Amministrazioni centrali verso gli Enti periferici messo in atto dalla Legge Bassanini dal 1997. Nel 1998 pi del 29% della spesa primaria era sostenuta dalle Amministrazioni centrali e la rimanente suddivisa fra le altre istituzioni della PA; dopo 7 anni la spesa sostenuta dallAmministrazione centrale rappresenta meno del 27% del totale, contro il 34% dalle Amministrazioni locali e il 39% dagli Enti di previdenza. Come si pu vedere dalla lettura congiunta dei due grafici, quasi 3 punti di Pil di spesa primaria sono stati trasferiti dal Centro alla Periferia della Pubblica Amministrazione.

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Figura 1.11 - La scomposizione per livelli della spesa pubblica (1998)


Enti previdenziali 39,1% Amministrazioni Centrali 29,3%

Amministrazioni Locali 31,6%


Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 1.12 - La scomposizione per livelli della spesa pubblica (2005)


Enti previdenziali 39,0% Amministrazioni Centrali 26,6%

Amministrazioni Locali 34,4%


Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Analizzando il fenomeno dal punto di vista delle funzioni, possibile rilevare quali siano le attivit che sono state pi soggette a trasferimento di competenze (e di spesa) verso le Amministrazioni periferiche. Sebbene sia difficile isolare il dato della dinamica spontanea di spesa da quello indotto dal trasferimento di competenze da unamministrazione allaltra, dal grafico 1.13 comunque possibile identificare nei comparti dei servizi generali, degli affari economici e della protezione del territorio le funzioni su cui si concentrato il maggiore spostamento di spesa dal Centro alla Periferia (la forte crescita della spesa sanitaria deriva da fattori connessi al finanziamento e alla dinamica endogena di comparto). Il primo essenzialmente caratterizzato dalla spesa per il personale, il secondo e il terzo da quella per investimenti. Dallanalisi pi dettagliata per funzioni, possibile rilevare come a fronte di aumenti di spesa nel periodo considerato a livello locale, non sempre si contrappongono diminuzioni a livello centrale, a testimonianza che il trasferimento di spese nella sua fase di transizione abbia potuto generare diverse duplicazioni di costi. Questo particolarmente vero per la funzione dei servizi generali, in cui si riscontrano duplicazioni del costo del personale, la voce

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di spesa pi rilevante di questa funzione, e per la tutela del territorio, dove rispetto ad una stazionariet delle Amministrazioni centrali si contrapposta una forte dinamicit della spesa locale. Sembra invece compensarsi perfettamente il passaggio di competenze dal centro alla periferia nella funzione degli affari economici, anche se il dato delle Amministrazioni centrali condizionato dalla presenza dei disinvestimenti immobiliari che riducono la spesa complessiva. Figura 1.13 - Il decentramento delle competenze
2,5%
Variazioni 2004/1997, in % del Pil

2,0% 1,5% 1,0% 0,5% 0,0% -0,5% -1,0% -1,5%

Amministrazioni centrali

Amministrazioni locali

Attivit ricreative, culturali e Istruzione

Servizi generali

Protezione sociale

Sanit

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Per quanto riguarda la distribuzione della spesa pubblica lungo il territorio si evidenziano significative differenze: le funzioni di spesa che si concentrano maggiormente nelle regioni del Centro-Nord sono i servizi generali (74,5%, sia per effetto della localizzazione dei Ministeri nel Lazio, sia per la presenza in questa voce della spesa per interessi, maggiormente concentrata al Nord) e la protezione sociale (73,6%), mentre nelle regioni del Sud si riscontra una maggiore concentrazione della spesa per gli affari economici e per la protezione dellambiente, abitazioni e assetto territoriale. In termini pro-capite, nel periodo in esame, si evidenzia una spesa complessiva maggiore al Centro-Nord che al Sud. Nella scomposizione funzionale, ci particolarmente vero per quanto riguarda la spesa pro-capite per lamministrazione generale, che tra laltro ha fatto registrare una crescita di circa il 74%, segnale, probabilmente, di un aumento di uffici e pubblici dipendenti, conseguenza del processo di decentramento in atto, che ha interessato sia il Centro-Nord, con una crescita del 70%, che il Sud, ove la spesa pro-capite per tale funzione si quasi raddoppiata. Lo scenario non cambia se si considera la spesa per la sanit, con una spesa pro-capite pi bassa al Sud; il differenziale di spesa va ricondotto a diversi fattori, ma certamente risente di due fenomeni: i flussi migratori dal Sud verso il Centro e il Nord ( infatti se si considerassero gli effetti della mobilit, i differenziali si ridurrebbero) e in secondo luogo riflette le differenze nella composizione della popolazione (essendo lindice di vecchiaia pi elevato al Centro e al Nord rispetto al Sud) e di conseguenza nei bisogni di servizi sanitari. Tuttavia, da rilevare

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Ambiente e territorio

Affari economici

Totale

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come nel 1996 la spesa pro-capite per la sanit al Sud fosse di poco inferiore rispetto alle Regioni del Centro-Nord; queste ultime, nel 2003, hanno registrato una crescita della spesa pro-capite di circa il 63% (la maggior parte della quale avvenuta nella regione Lombardia, che ha pi che raddoppiato, nel periodo in esame, la spesa per la sanit), contro una variazione delle Regioni del Sud di solo il 37%. Anche la spesa per la protezione sociale si concentra maggiormente nelle Regioni del Centro-Nord (circa il 74% del totale della spesa) con un divario elevato, in termini di spesa pro-capite, rispetto le Regioni del Sud, sia per le ragioni che giustificano una maggiore spesa sanitaria, sia per il pi alto livello di monte retributivo. Pi uniforme la spesa pro-capite per le altre funzioni che riguardano la tutela dell'ambiente, ledilizia e l'assetto territoriale, anche se, come mostrato successivamente, lintervento pubblico si differenzia sostanzialmente scendendo di livello istituzionale, soprattutto con riferimento ai Comuni. Tabella 1.2 - Distribuzione per ripartizioni territoriali e settori della spesa totale consolidata Anni 1996-2003
Centro-Nord 1996 Amm.ne generale Istruzione R. & S. Cultura e servizi ricreativi Edilizia abit. e Urbanistica Sanit Interventi in campo sociale (assist. e benef.) Ambiente Smaltimento dei rifiuti Previdenza e Integraz. Sal. Viabilit Altri trasporti Altro Totale 974 732 49 144 81 984 428 41 87 3.816 127 361 3.235 2003 1.662 1.068 68 266 85 1.608 500 108 98 5.048 350 2.454 32,3% 16,9% 12,2% 198 164,5% 5,5% 63,4% 84,2% var. % 70,6% 45,8% 39,0% 1996 662 783 24 110 80 949 464 44 71 2.259 132 282 1.964 Sud 2003 1.201 1.042 23 166 100 1.305 529 96 97 3.063 313 1.906 35,6% 13,9% 37,5% 173 121,4% 24,9% 37,6% 51,1% var. % 81,4% 33,1% -4,7% 1996 861 750 40 132 81 971 441 42 81 3.250 129 332 2.773 Italia 2003 1.497 1.058 52 230 91 1.500 511 104 98 4.340 337 2.258 33,5% 15,7% 20,2% 189 148,4% 12,4% 54,5% 74,7% var. % 74,0% 41,0% 30,1%

11.059 13.513

7.824 10.016

9.883 12.265

Fonte: elaborazioni REF su dati Conti Pubblici Territoriali

Scenario: la struttura dellintervento pubblico dopo il decentramento


Il processo di decentramento in atto sicuramente concorre a modificare la struttura dellintervento pubblico, anche se gli esiti appaiono del tutto incerti vista la confusione esistente circa le modalit con cui si vorr modificare la costituzione vigente. Bocciata infatti lipotesi di devolution, restano aperte diverse incognite in merito al futuro assetto istituzionale che caratterizzer il Paese. Nonostante questa incertezza, per, la proiezione di alcune dinamiche osservate nei primi anni di federalismo pu essere utile alla costruzione di scenari. Lanalisi sui bilanci dei Comuni mostra come lassenza di strumenti di riequilibrio, da un lato, e di controllo dallaltro, conduca verso comportamenti asimmetrici e poco virtuosi, a seconda del grado di

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autonomia finanziaria dellente considerato. In sostanza, emergerebbero fenomeni di convergenza su livelli superiori di spesa, per quanto riguarda funzioni o categorie che tendono ad irrigidire i bilanci (spesa per il personale), mentre si assisterebbe ad una contrazione per le funzioni pi virtuose (investimenti, incentivi alle imprese). Figura 1.14 - Autonomia tributaria e crescita della spesa: i Comuni
80% R = 0,2929 70%
Entrate tributarie/Spesa totale
2

60%

50%

40%

30%

20% 8% 12% 16% 20% 24%


Spesa per personale, crescita % 2004/2001 Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Estrapolando queste tendenze sui livelli di spesa che si verrebbero a generare a livello locale secondo le ipotesi svolte dallIsae, si ottiene un quadro di finanza pubblica non molto roseo: il livello di spesa complessivo risulta aumentato e la composizione largamente a sfavore delle voci che pi direttamente sono votate alla promozione dello sviluppo dei territori. Tale esito si ottiene moltiplicando i tassi di crescita registrati in ciascuna regione nel quadriennio 2001-2004 dalla componente di spesa per il personale per lincremento di spesa determinato dal decentramento delle funzioni. Sotto questa ipotesi, lincidenza complessiva della spesa per il personale sulla spesa corrente al netto dei trasferimenti passerebbe, a parit di cose, dal 37% circa al 37,6%, assorbendo circa mezzo punto di Pil di risorse. Il quadro in sostanza lascerebbe emergere lurgenza di una soluzione immediata per il disegno federale del Paese, che contempli, essenzialmente, un accurato meccanismo di perequazione tra i territori, ma anche un rigoroso Patto di Stabilit interno che coordini i comportamenti dei singoli Enti verso il conseguimento di obiettivi comuni di finanza pubblica.

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2. Le politiche regionali di incentivo pubblico alle imprese


Introduzione e sintesi dei risultati
Il sistema degli aiuti pubblici alle imprese tuttora alla ricerca di un equilibrio tra esigenze nuove di politica industriale e vincoli di finanza pubblica, tra selettivit e generalit degli interventi e tra interventi compiuti a livello nazionale ed interventi regionali. Le innovazioni introdotte nellultimo decennio hanno avuto leffetto di accrescere il ruolo delle Regioni nelle politiche di incentivo alle imprese. In particolare, la riforma Bassanini del 1997-1998, ispirata a logiche di sussidiariet e di semplificazione amministrativa, ha attribuito alle Regioni la gestione di importanti strumenti agevolativi. Lintento stato di avvicinare maggiormente gli strumenti di incentivo alle esigenze delle imprese; nei contenuti e nelle procedure i provvedimenti sono risultati semplificati e di pi facile accesso. Sul piano finanziario, laccresciuto ruolo delle Regioni nelle politiche di incentivo non ha compensato la riduzione delle risorse disponibili, particolarmente accentuata nellultimo quinquennio per effetto dei vincoli di finanza pubblica nazionale. In questo contesto nel corso del 2005 stata avviata una nuova riforma del sistema degli incentivi alle imprese con lobiettivo di rendere gli interventi pi selettivi e coerenti con le priorit nazionali di politica industriale. Sebbene la riforma muova nella direzione dai pi auspicata, la necessit di ridisegnare lintero sistema della finanza agevolata resta attuale, specie alla luce del mutato assetto istituzionale, conseguente alla riforma costituzionale del 2001. Ci premesso, il lavoro organizzato nel modo seguente. Dapprima si ripercorre brevemente levoluzione istituzionale che ha caratterizzato lultimo decennio sul terreno delle politiche di incentivo alle imprese. Il paragrafo successivo offre un quadro complessivo del volume e della distribuzione delle risorse destinate agli incentivi da parte dei diversi livelli di Governo. Quindi vengono fornite evidenze quantitative circa gli interventi decentrati dallo Stato alle Regioni e di quelli attivati autonomamente dalle Regioni. Viene poi svolta unanalisi specifica su due settori di intervento: la ricerca e sviluppo e i distretti. Il lavoro si conclude con una breve analisi delle novit introdotte nel corso del 2005 mentre si rimanda al capitolo conclusivo del rapporto la disamina delle attuali prospettive di riforma. I principali risultati possono essere cos riassunti: nellultimo decennio, levoluzione normativa ha posto le Regioni al Centro delle politiche di incentivo alle imprese, relegando lo Stato in una posizione di coordinamento e indirizzo. Il nuovo Titolo V della Costituzione assegna esplicitamente alle Regioni il compito di promuovere lo sviluppo economico del territorio, imponendo una riformulazione degli strumenti di finanziamento esistenti; la modifica dellassetto istituzionale e delle competenze si riverbera chiaramente sulla struttura degli incentivi e delle risorse ad essi dedicati. Nellultimo decennio lintervento dello Stato si dimezza da 10 a 5 miliardi di euro e, pur prevalendo ancora in termini di stanziamento, risulta ampiamente inferiore rispetto alla numerosit degli interventi regionali o decentrati; nel passaggio dal centro alla periferia, tuttavia, lindietreggiamento dello Stato stato solo in parte compensato, generando una sostanziale riduzione degli

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incentivi, soprattutto quelli destinati al riequilibrio territoriale di cui beneficiavano le aree depresse. Di conseguenza, nella ripartizione territoriale, si riscontra un favore per il Centro-Nord, acuito dallazione delle Regioni, che hanno concentrato in questa area del Paese circa il 76% degli interventi totali; la scomposizione degli incentivi per obiettivi mostra, nel caso degli interventi nazionali, una netta prevalenza di misure per il riequilibrio territoriale (circa il 55%), mentre sia quelli regionali che decentrati si concentrano sul sostegno agli investimenti (rispettivamente, il 63% e il 56%). Il peso degli incentivi volti a promuovere linnovazione e la ricerca, invece, in media pari al 27%, sommando i vari tipi di intervento. Su questultimo versante si rileva un andamento declinante dei fondi nazionali; sul versante delle politiche in favore dei distretti, assegnate alla competenza regionale, si segnala una consistente sproporzione tra lattivit formale di riconoscimento e programmazione e gli interventi effettivamente realizzati. La regione che ha mostrato la maggiore capacit di intervento stata la Lombardia, dando vita a dei Comitati di distretto, che successivamente sono stati istituiti in tutte le Regioni, mentre gli interventi che hanno trovato maggiore diffusione riguardano le strutture di supporto per la certificazione di qualit, per laccesso agli strumenti agevolativi nazionali e comunitari, linternazionalizzazione delle imprese e la commercializzazione dei prodotti; anche le recenti innovazioni in materia di erogazione degli incentivi, pur prevedendo forme nuove di compartecipazione al rischio di imprese e banche, difettano di specializzazione degli interventi e coordinamento degli obiettivi. Le esigenze di sviluppo del Paese richiederebbero una maggiore attenzione alla definizione di linee strategiche per lavanzamento tecnologico del sistema produttivo, ferme restando le peculiarit territoriali. Su questo sentiero sembra muoversi, peraltro, il disegno di legge sullinnovazione tecnologica, di cui si tracciano alcuni aspetti essenziali nel capitolo 5 di questo rapporto.

Le politiche di incentivo tra i diversi livelli di Governo


Le innovazioni legislative avvenute nellultimo decennio si inseriscono in un lungo percorso di revisione degli assetti istituzionali, iniziato con le leggi Bassanini e proseguito con la riforma del Titolo V della Costituzione. Con la riforma Bassanini del 1997 stato avviato un processo di trasferimento alle Regioni di competenze in materia di politica industriale. Il sostegno pubblico alle imprese ha cos assunto una funzione nuova, confermata ed ampliata dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha individuato nelle Regioni i soggetti protagonisti dello sviluppo economico del territorio. Il percorso di riforma prende avvio con la legge delega 59 del 1997 e i successivi provvedimenti delegati che ridisegnano il sistema degli incentivi alle imprese, ossia la potest normativa, le funzioni, lorganizzazione, la finanza e i procedimenti. Il D.Lgs. 112/1998 ha operato il conferimento di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni in materia, tra laltro, di sviluppo economico e attivit produttive; con riferimento al settore industriale vengono conservati in capo allo Stato funzioni di indirizzo e di gestione di particolari interventi di incentivazione, mentre vengono delegate alle Regioni tutte le funzioni non espressamente riservate allo Stato. Sul piano finanziario il D.Lgs. 112/1998 ha stabilito listituzione presso ciascuna regione di un fondo unico nel quale far confluire le risorse relative agli interventi delegati in materia di industria. Il successivo D.Lgs. 443/1999 ha esteso loperativit del fondo alle funzioni in materia di agevolazioni alle imprese, a qualunque titolo conferite alle Regioni,

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siano esse destinate allindustria, al commercio o allartigianato. Infine, la legge 340 del 2000 ha autorizzato le Regioni a modificare i regimi agevolativi statali con riguardo alle spese ammissibili, alla tipologia e alla misura degli interventi, alle modalit della loro concessione ed erogazione. Il modello organizzativo che scaturisce dalla riforma avviata nel 1997 ispirato al bilanciamento tra i principi di sussidiariet e di collaborazione interistituzionale, nel quale per un verso vengono delegate alle Regioni funzioni di politica industriale nei settori delle imprese di piccole e medie dimensioni, dellinnovazione e del trasferimento tecnologico, del sostegno agli investimenti industriali e della internazionalizzazione, e al tempo stesso lo Stato conserva funzioni di indirizzo e coordinamento, nonch la possibilit di prevedere incentivi in caso di attivit o interventi di rilevanza economica strategica. Dal 2000 le Regioni hanno quindi assunto la gestione di interventi istituiti da norme statali e non espressamente riservati alla gestione 1 dellAmministrazione centrale (c.d. interventi decentrati) . Le Regioni con risorse attribuite dallo Stato hanno attivato di anno in anno le misure pi consone allo sviluppo del proprio sistema produttivo, anche secondo modalit diverse da quelle individuate dalle norme istitutive nazionali. Lintervento regionale non si tradotto nella semplice ricezione di norme nazionali e comunitarie. In alcuni casi, le Regioni hanno esercitato i loro nuovi poteri modificando e integrando in modo autonomo il testo delle leggi conferite. Gli interventi regionali hanno riguardato in misura marginale alcune leggi di incentivazione, tra le quali la Legge Sabatini e le leggi di incentivazione automatica (leggi 341/1995 e 266/1997), mentre risultata la legge 598/1994 (incentivi per linnovazione tecnologica e la tutela ambientale) lambito dintervento privilegiato da parte delle Regioni. Per il comparto delle Regioni a Statuto Speciale, il recepimento delle funzioni conferite stato attuato, previa modifica dei rispettivi Statuti, in tre Regioni (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Sardegna), mentre per la Sicilia e la Valle dAosta le funzioni in materia di incentivi continuano ad essere esercitate dallo Stato. Il processo di decentramento amministrativo stato disegnato in un assetto istituzionale successivamente mutato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (2001). A seguito della riforma, per quanto riguarda la potest legislativa, la materia industria non pi attribuita allo Stato, e spetta dunque in base al criterio di residualit alle Regioni. Ma alcune materie, connesse al governo dellindustria e che possono giustificare lerogazione di incentivi alle imprese, sono materie di potest concorrente, nelle quali la legge dello Stato detta i principi e le leggi regionali le norme di dettaglio: commercio con lestero, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno allinnovazione per i settori produttivi. Altre materie, che pure vedono lerogazione di incentivi, come la difesa e lambiente, rimangono nella potest esclusiva dello Stato. Va poi considerata la previsione che Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidariet sociale [] lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Citt metropolitane e Regioni (nuovo art. 119 cost.).

Oggetto del decentramento amministrativo sono state numerose leggi di incentivazione, tra le quali: L. 1329/65 (Legge Sabatini - incentivi per lacquisto o il leasing di macchinari), L. 598/94 (incentivi per linnovazione tecnologica e la tutela ambientale), L. 341/95 (incentivi automatici per le aree depresse), L. 266/97 (incentivi automatici per le PMI dellintero territorio nazionale), L. 140/97 (incentivi automatici per ricerca e linnovazione), L. 1068/64 (agevolazioni creditizie per investimenti produttivi delle imprese artigiane), L. 49/85 (credito alla cooperazione e misure per la salvaguardia occupazionale), L. 394/81 (promozione delle esportazioni di prodotti agroalimentari e incentivazione del turismo estero), L. 83/89 (consorzi import-export).

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Il mutato quadro istituzionale offre alcune indicazioni importanti: la prima che almeno per alcuni grandi obiettivi, come linternazionalizzazione, la promozione della ricerca scientifica e la coesione territoriale, lo Stato conserva la propria potest legislativa; lo seconda indicazione che lo Stato si interessa non di tutti gli incentivi, ma solo di quelli che rispondono alle finalit indicate. Ed infatti il compito che la Costituzione assegna allo Stato non , genericamente, quello di promuovere lindustria (compito attribuito alle Regioni), ma quello di mirare a obiettivi specifici, da condividere con le Regioni, che sono quelli maggiormente legati alla competitivit del sistema produttivo; la terza indicazione proviene dallespressione risorse aggiuntive (art. 119). Essa mostra che il ruolo dello Stato complementare o integrativo rispetto a quello delle Regioni e degli Enti locali; infine, la distribuzione delle funzioni amministrative avviene essenzialmente in base al principio di sussidiariet, che riserva allo Stato solo le funzioni nelle quali vi sia unesigenza di esercizio unitario a livello nazionale.

Ne consegue che il sistema delineato nel 1997-1998 dalle riforme Bassanini non appare pi coerente e molte delle previsioni dellart. 18 del D.Lgs. 112/98, che riservano allo Stato lattuazione di varie leggi di incentivo, fanno emergere dubbi di illegittimit costituzionale. Risulta certamente inattuale lampia formulazione che assegna allo Stato la determinazione dei criteri generali per la concessione, per il controllo e per la revoca di agevolazioni, contributi, sovvenzioni, incentivi, benefici di qualsiasi genere allindustria. Si profila quindi un nuovo ruolo dellamministrazione statale nel sostegno alle imprese, incentrata sulla definizione di principi, pi che sulla disciplina di dettaglio, e sul coordinamento, pi che sulla gestione. Ci richiama il modello comunitario, basato sullamministrazione indiretta e sul cofinanziamento. Come la Commissione europea, il Governo dovrebbe limitarsi a porre principi e impegnare risorse mirate, in unottica di condivisione con le Regioni.

Incentivi pubblici: alcune evidenze quantitative


Nellultimo decennio, la riduzione del volume complessivo di aiuti pubblici alle imprese un tratto saliente della politica industriale in molti Paesi dellUnione europea. Dai dati pi recenti forniti dalla Commissione europea (tabella 2.1) relativi al 2004 emerge che lItalia presenta un livello complessivo di aiuti di stato alle imprese in rapporto al PIL in linea con la media europea (0,5% del PIL, al netto degli aiuti al settore ferroviario). In linea con le indicazioni comunitarie, gli aiuti sono indirizzati prevalentemente verso obiettivi orizzontali (34% alle PMI, 20% alle politiche regionali, 18% alla R&S) che assorbono il 94,8% del totale.

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Tabella 2.1 - Aiuti di Stato - 2004


Aiuti di Stato, % PIL Totale aiuti ad esclusione settore ferroviario EU-25 BE CZ DK DE EE EL ES FR IE IT CY LV LT LU HU MT NL AT PL PT SI SK FI SE UK 0,6 0,3 0,4 0,7 0,8 0,4 0,3 0,5 0,5 0,7 0,5 1,5 0,4 0,7 0,3 1,3 3,1 0,4 0,6 1,5 1,1 1,0 0,6 1,5 1,0 0,3 Totale aiuti ad esclusione agricoltura, pesca e trasporti 0,4 0,2 0,2 0,5 0,7 0,1 0,2 0,4 0,4 0,3 0,4 1,1 0,2 0,1 0,2 0,9 2,7 0,2 0,2 1,0 0,8 0,5 0,6 0,4 0,8 0,2 Var. % PIL tra la media 2000-2002 e 2002-2004 Totale aiuti ad esclusione settore ferroviario 0,00 -0,09 -0,49 -0,23 -0,05 0,09 -0,22 -0,20 -0,03 -0,29 0,04 -0,32 -0,16 0,15 0,00 0,11 -0,70 -0,04 -0,01 0,98 0,06 -0,03 0,04 0,06 0,27 0,07 Totale aiuti ad esclusione agricoltura, pesca e trasporti 0,00 -0,05 -0,56 -0,22 -0,05 -0,01 -0,14 -0,19 -0,01 -0,26 0,03 -0,46 -0,24 -0,03 0,02 -0,04 -0,82 0,00 0,01 0,83 0,06 -0,18 0,03 0,04 0,27 0,07 % aiuti verso obiettivi orizzontali sul totale 76,2 100,0 81,8 97,1 77,9 100,0 97,3 62,3 58,6 62,0 94,8 46,3 100,0 49,4 100,0 44,9 8,0 96,1 96,4 25,8 21,6 70,1 34,6 97,6 100,0 99,1 Var. % aiuti verso obiettivi orizzontali tra la media 2000-2002 e 2002-2004 4,39 0,12 19,72 -1,90 9,30 0,00 0,99 12,12 -4,08 16,53 1,95 4,98 41,29 16,73 0,03 4,10 1,71 0,90 0,23 -18,58 -4,87 5,80 4,21 4,55 0,00 8,90

Fonte: elaborazione REF su dati Commissione Europea (2005)

La distribuzione settoriale degli aiuti pubblici (tabella 2.2) evidenzia la netta predominanza del settore manifatturiero e di quello agricolo che insieme assorbono l88% delle risorse a disposizione. Tabella 2.2 - Distribuzione settoriale degli Aiuti di Stato - Italia 2004
Settori Manifattura Finanza Agricoltura Pesca Attivit minerarie Altri non manifattura Altri servizi Trasporti (escluso settore ferroviario) Fonte: elaborazione REF su dati Commissione Europea (2005) % 72 0 16 2 0 0 5 6

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Sulla base del monitoraggio compiuto dal Ministero delle Attivit produttive (MAP, 2006), nel 2005 risultavano attivi 54 interventi a carattere nazionale, 15 strumenti agevolativi conferiti alle Regioni (c.d. interventi decentrati) e 277 interventi attuati e gestiti direttamente dalle Regioni sulla base di specifiche leggi regionali (c.d. interventi regionali). Il ruolo dello Stato nella gestione ed erogazione degli interventi agevolativi continua ad essere preponderante. Nel 2005 le agevolazioni concesse a favore del sistema delle imprese sono risultate pari a un totale di oltre 7.600 milioni di euro ripartite tra gli interventi nazionali (5.253 milioni di euro), decentrati (314 milioni di euro) e regionali (2.067 milioni di euro). Tra gli interventi regionali sono compresi anche gli interventi attuati con regimi di aiuto nellambito dei Documenti Unici di Programmazione (DOCUP) e dei Programmi Operativi Regionali (POR) che rappresentano oltre un terzo degli interventi gestiti dalle Regioni. Al netto di tali interventi, le agevolazioni concesse sono risultate pari a 6.694 milioni di euro. Lanalisi degli incentivi alle imprese in base agli obiettivi di politica industriale (tabella 2.3) di particolare importanza per determinare la coerenza del sistema rispetto alle priorit di sviluppo. Quasi il 50% degli incentivi hanno presentato caratteristiche di generalit e scarsa selettivit. Gli interventi per la ricerca e lo sviluppo sono risultati beneficiari del 26,6% delle risorse a disposizione con una variazione positiva rispetto allanno precedente. Tabella 2.3 - Distribuzione degli interventi per obiettivi - 2005
Obiettivi Sostegno agli investimenti Nuova imprenditorialit Riduzione squilibri territoriali di sviluppo Innovazione ricerca e sviluppo Internazionalizzazione Accesso al credito e consolidamento finanziario Tutela ambientale, energia Razionalizzazione di settore Servizi, infrastrutture per le imprese Altro Totale Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006) Numero interventi nazionali decentrati regionali 5 5 8 12 10 4 2 5 3 54 6 1 2 2 1 1 1 1 15 114 22 22 23 45 10 1 32 8 277 837 742 2.363 1.780 374 308 35 137 61 57 6.694 12,5 11,1 35,3 26,6 5,6 4,6 0,5 2,0 0,9 0,9 100,0 Ammontare %

Ammontare (agevolazioni concesse, al netto di DOCUP e POR) espresso in milioni di euro.

Tabella 2.4 - Interventi nazionali - 2000-2005


Obiettivi Sostegno agli investimenti Nuova imprenditorialit Riduzione squilibri territoriali di sviluppo Innovazione ricerca e sviluppo Internazionalizzazione Accesso al credito e consolidamento finanziario Tutela ambientale, energia Razionalizzazione di settore Altro Totale Ammontare (agevolazioni concesse) espresso in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006) Ammontare 216 3.683 22.916 10.523 2.752 932 121 664 488 42.295 % 0,5 8,7 54,2 24,9 6,5 2,2 0,3 1,6 1,2 100,0

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Le agevolazioni concesse per gli interventi a carattere nazionale attivi nel periodo 2000-2005 (tabella 2.4) sono state pari a quasi 43 miliardi di euro, oltre la met delle quali a favore delle misure volte a ridurre gli squilibri territoriali di sviluppo. Le agevolazioni correlate ai fattori di competitivit delle imprese (R&S, innovazione e internazionalizzazione) hanno rappresentato il 31% del totale. Nel periodo 2001-2005 il peso economico delle agevolazioni concesse attraverso interventi nazionali diminuito: dai 10 miliardi di euro nel 2001 a poco pi di 5 miliardi di euro nel 2005 (figura 2.1). Tra le motivazioni, oltre agli effetti del processo di riforma in atto, vi anche la riduzione di risorse stanziate per i programmi a favore delle aree depresse. La riduzione complessiva non compensata dalle risorse trasferite e/o impiegate dalle Regioni per gli interventi decentrati e regionali. Infatti, le agevolazioni concesse attraverso gli interventi decentrati passano da 775 milioni di euro nel 2001 a circa 300 nel 2005, mentre le risorse concesse attraverso gli interventi regionali segnano un incremento dai 770 milioni di euro nel 2001 a oltre 1.100 milioni di euro nel 2005 (al netto degli interventi attuati attraverso i DOCUP e i POR i quali sono caratterizzati da un trend decrescente: dai 1.800 milioni di euro nel 2003 ai 941 del 2005). Figura 2.1 - Ammontare agevolazioni concesse 2001-2005
14000 12000 10000 8000 6000 4000 2000 0 2001 2002 2003 2004 2005
Milioni di euro Elaborazioni REF su dati MAP

Decentrati Comunali Totale

Regionali Nazionali

Struttura e distribuzione territoriale degli incentivi alle imprese: il ruolo delle Regioni
Gli interventi decentrati
Per una prima quantificazione delle somme trasferite alle Regioni per la gestione degli interventi decentrati, utile far riferimento al Fondo unico per gli interventi agevolativi alle imprese gestito a livello decentrato (tabella 2.5). Le risorse trasferite alle Regioni presentano un trend positivo dal 2000 al 2002 con una crescita relativamente maggiore nelle Regioni del Nord, mentre dal 2002 al 2005 si registra una sostanziale stabilit delle risorse.

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Tabella 2.5 - Fondo unico per gli interventi agevolativi


Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino Trento Bolzano Veneto Friuli Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 2000 39,9 0,9 76,5 2,1 ----45,0 7,4 7,8 36,9 32,8 6,9 14,7 16,4 12,1 3,8 39,6 28,7 5,5 13,7 30,2 29,6 450,5 2001 55,6 1,4 117,3 3,5 0,8 1,1 81,0 9,9 11,9 62,4 47,1 10,4 22,7 16,9 16,6 3,5 52,4 42,0 9,6 13,4 27,4 25,6 632,5 2002 63,8 1,5 134,7 4,0 0,8 1,1 81,7 11,3 13,6 71,9 54,3 11,9 26,1 19,3 19,1 4,0 60,3 48,3 11,0 15,4 31,4 29,4 714,9 2003 63,8 1,5 134,7 4,0 0,8 1,1 81,7 11,3 13,6 71,9 54,3 11,9 26,1 19,3 19,1 4,0 60,3 48,3 11,0 15,4 31,4 29,4 714,9 2004 62,3 1,5 132,2 --2,5 2,8 80,0 10,3 17,1 70,6 52,2 11,8 25,5 31,2 19,1 4,0 58,1 46,2 10,0 15,3 35,6 26,6 714,9 2005 62,3 1,5 132,2 --2,5 2,8 80,0 10,3 17,1 70,6 52,2 11,8 25,5 31,2 19,1 4,0 58,1 46,2 10,0 15,3 35,6 26,6 714,9

Valori espressi in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006)

Nel periodo 2000-2005 le agevolazioni concesse attraverso gli interventi decentrati sono risultate pari a 3.570 milioni di euro (tabella 2.6), circa il 60% delle quali andato a sostegno degli investimenti e oltre il 30% agli interventi di sostegno allinnovazione, ricerca e sviluppo. Tabella 2.6 - Interventi decentrati - 2000-2005
Obiettivi Sostegno agli investimenti Riduzione squilibri territoriali di sviluppo Innovazione ricerca e sviluppo Internazionalizzazione Accesso al credito e consolidamento finanziario Tutela ambientale Razionalizzazione di settore Totale Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006) Ammontare 2.007 237 1.208 54 22 23 19 3.570 % 56,2 6,6 33,8 1,5 0,6 0,6 0,5 100,0

Ammontare (agevolazioni concesse) espresso in milioni di euro.

Dal 2001 al 2005 sono state approvate oltre 380.000 domande per un totale di 2.840 milioni di euro di agevolazioni erogate corrispondenti a investimenti attivati per quasi 35 miliardi di euro (figura 2.2). Nel corso di tale periodo si registrato

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un drastico calo delle domande approvate (-60%), in particolare in Toscana, Calabria e Sicilia (-90%). Il 2003 ha segnato uninversione di tendenza che comunque non stata confermata negli anni successivi.

Figura 2.2 - Interventi decentrati 2001-2005


1200 Agevolazioni (milioni di euro) Investimenti (10 milioni di euro) Domande (centinaia)

1000

800

600

400

200

0 2001 2002 2003 2004 2005


Elaborazioni REF su dati MAP

Il trend delle agevolazioni erogate non tuttavia parallelo a quello delle domande approvate: il calo dal 2001 al 2005 stato pari al 52%, trend aggravato dai dati del 2005 evidenziando quindi una maggiore concentrazione delle agevolazioni erogate. Tuttavia, anche se la diminuzione delle agevolazioni erogate stata pi evidente in alcune Regioni (-85% in Abruzzo; -72% in Sardegna) le agevolazioni sono state caratterizzate da una distribuzione pi uniforme sul territorio con Piemonte e Lombardia che hanno assorbito il 24,5% dellammontare complessivo nazionale. Gli investimenti agevolati hanno seguito i trend delle domande approvate e delle relative agevolazioni erogate (-40% nel periodo 2001-2004), con unulteriore diminuzione nel 2005 rispetto allanno precedente. Nellultimo anno nessuna regione si caratterizzata per variazioni positive degli investimenti con il 52% degli stessi concentrati in Piemonte e Lombardia. I dati a disposizione non permettono di disaggregare lammontare delle agevolazioni dirette a specifici settori in quanto la maggior parte degli interventi (ad es. la legge Sabatini) prevede azioni a sostegno di molteplici settori (47% delle risorse complessive). Nelle Regioni meridionali, la percentuale degli interventi multisettoriali ancora maggiore (68%). Nellultima colonna della tabella 2.7 vengono riportate le Regioni nelle quali lIndice di preferenza regionale per lo strumento in oggetto superiore allunit e comunque superiore a quello delle altre Regioni. Tale dato permette di evidenziare le Regioni che prediligono lutilizzazione di uno specifico strumento di intervento.

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Tabella 2.7 - Interventi decentrati - Descrizione


Finalit Settore di attivit Regioni con Indice di preferenza pi elevato Legge 1329/65 "Sabatini" Sostegno agli investimenti Molteplici settori Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia Legge 949/52 Sostegno agli investimenti Artigianato Liguria, Puglia, Sardegna, Marche Legge 1068/64 Legge 349/81 art. 10 Legge 49/85 art. 1 Legge 83/89 Legge 221/90 art. 3 Equilibrio gestione finanziaria Artigianato Internazionalizzazione Sostegno agli investimenti Internazionalizzazione Razionalizzazione settore Turismo Ind., Artigianato, Terziario Ind., Artigianato, Commercio Ind., Artigianato, Commercio Industria, Terziario Molteplici settori Toscana, Liguria, Calabria, Lombardia Legge 341/95 art. 1 Riduzione squilibri territoriali Industria, Terziario Sicilia, Molise, Sardegna, Liguria Legge 341/95 art. 9 Legge 140/97 Sostegno agli investimenti Ricerca e sviluppo Commercio Ind. estrattiva e manifatturiera Emilia, Toscana, Lombardia, Lazio Legge 266/97 art. 8 Sostegno agli investimenti Industria, Terziario Campania, Abruzzo, Piemonte, Friuli Legge 449/97 art.11 Sostegno agli investimenti Commercio, Turismo Trentino, Umbria, Lazio, Friuli Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2005) Emilia, V. Aosta, Veneto

Legge 10/91 artt. 11, 12, 14 Tutela ambientale Legge 598/94 art. 11 Tutela ambientale

Concentrando lattenzione sugli investimenti agevolati nel periodo 2001-2005 (tabella 2.8, relativa a 13 su 14 interventi decentrati attivi) emerge la forte concentrazione degli stessi su un numero limitato di interventi: oltre il 90% degli investimenti stato agevolato attraverso cinque strumenti: la legge 1329/65 (Sabatini) e la legge 949/52 entrambe a sostegno degli investimenti per quasi 15 miliardi di euro, la legge 140/97 (ricerca e sviluppo) per oltre 7 miliardi di euro, la legge 598/94 (tutela ambientale) per oltre 5 miliardi di euro e la legge 266/97 (sostegno agli investimenti nellindustria e nel terziario) per oltre 4 miliardi di euro.

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Tabella 2.8 - Interventi decentrati - Investimenti agevolati


2001 Legge 1329/65 "Sabatini" Centro-Nord Sud Italia Legge 949/52 Centro-Nord Sud Italia Legge 1068/64 Centro-Nord Sud Italia Legge 49/85 Centro-Nord Sud Italia Legge 83/89 Centro-Nord Sud Italia Legge 221/90 Centro-Nord Sud Italia Legge 10/91 Centro-Nord Sud Italia Legge 598/94 Centro-Nord Sud Italia Legge 341/95 Art. 1 Centro-Nord Sud Italia Legge 341/95 Art. 9 Centro-Nord Sud Italia Legge 140/97 Centro-Nord Sud Italia Legge 266/97 Centro-Nord Sud Italia Legge 449/97 Centro-Nord Sud Italia Valori espressi in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006) 0,9 0,9 1.940,4 1.293,2 2.084,4 1.805,9 45,3 1.893,2 3,3 1.896,5 161,2 0,0 161,3 51,4 333,7 356,7 690,4 125,7 56,2 181,9 0,0 40,4 590,0 100,5 690,4 0,3 10,1 179,1 189,1 1,4 0,1 1,5 536,0 536,0 1.985,7 1.344,6 2.124,8 1.806,2 17,9 29,8 712,9 29,9 742,8 28,0 20,0 625,9 237,6 863,5 12,5 769,1 36,1 805,2 65,0 0,1 65,2 151,5 5,1 735,3 220,8 956,1 151,5 601,2 77,6 678,8 1.359,1 1.170,9 1.388,9 1.190,9 42,2 42,2 17,9 0,0 28,0 0,0 12,5 7,8 5,1 587,3 2002 244,7 2003 377,4 2004 359,9 939,8 299,8 59,2 1,9 61,1 2005 390,4 77,1 467,6 907,9 216,9 406,0 23,2 429,2 46,0 46,0 19,2 19,2 7,8 1.350,1 1.209,5 997,4 1.149,4

1.937,4 1.454,2 1.374,9 1.509,3 1.151,8 1.743,4 1.780,6 385,3 12,8 37,1 49,9 42,3 1,2 43,6 13,9 1,8 15,7 256,0 16,8 32,4 49,2 24,9 1,7 26,5 15,3 3,6 18,9 399,2 45,5 99,5 145,0 35,7 0,9 36,5 9,2 12,3 21,5

1.537,1 1.999,3 2.179,8 1.239,6 1.124,8

Nelle Regioni settentrionali sono prevalsi gli investimenti agevolati attraverso la legge 140/97 (25%) e la legge 949/52 (22%), mentre nelle Regioni meridionali gli investimenti sono stati agevolati prevalentemente attraverso la legge Sabatini (34%). La tabella 2.9 fornisce una stima dellimpatto occupazionale degli interventi decentrati. I valori, in termini di unit lavorative impiegate e le variazioni negli anni, sia a livello nazionale che regionale, seguono il trend delle agevolazioni erogate.

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Tabella 2.9 - Interventi decentrati - Incremento occupazionale


Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino - Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 394 347 497 384 407 78 924 436 889 178 49 2.328 359 424 2.849 887 15.419 2.879 138 345 1.693 1.329 484 5.557 512 50 58 2.896 666 108 164 846 1.042 21.662 1.287 294 619 885 2.716 320 1.411 766 689 62 697 2.041 122 479 743 927 18.241 529 50 330 491 35 136 720 294 308 105 422 2.121 75 122 1.139 916 9.860 392 45 203 448 22 92 545 255 12 78 123 1.721 107 39 423 557 6.871 2001 1.253 27 2.709 2002 1.074 20 1.801 2003 1.832 11 2.340 2004 826 8 1.233 2005 934 5 870

Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006)

Gli interventi regionali


Gli interventi propriamente regionali, stabiliti sulla base di specifiche leggi emanate dalle singole Regioni, appaiono ancora pi frammentati e non omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale. Nel periodo 2000-2005, attraverso tali interventi sono state concesse agevolazioni per 5.170 milioni di euro (tabella 2.10), il 63% delle quali andato a sostegno degli investimenti. Il 76% delle agevolazioni stato concesso nelle Regioni del Centro-Nord. Il divario esistente tra le diverse Regioni del Paese in parte spiegato dalla scelta di alcune Regioni del Sud di utilizzare prevalentemente gli strumenti agevolativi nellambito dei fondi strutturali dellUnione europea. Tabella 2.10 - Interventi regionali - 2000-2005
Obiettivi Sostegno agli investimenti Nuova imprenditorialit Innovazione ricerca e sviluppo Internazionalizzazione Accesso al credito e consolidamento finanziario Tutela ambientale, energia Razionalizzazione di settore Servizi, infrastrutture per le imprese Altro Totale Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006) Ammontare 3.277 317 721 163 253 165 13 254 7 5.170 % 63,4 6,1 13,9 3,2 4,9 3,2 0,3 4,9 0,1 100,0

Ammontare (agevolazioni concesse) espresso in milioni di euro.

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Dal 2001 al 2005 sono state approvate oltre 150.000 domande per un totale di 2.901 milioni di euro di agevolazioni erogate, corrispondenti a investimenti attivati per circa 13 miliardi di euro (figura 2.3). Figura 2.3 - Interventi regionali 2001-2005
4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 2001 2002 2003 2004 2005
Elaborazioni REF su dati MAP

Domande (decine) Agevolazioni (milioni di euro) Investimenti (milioni di euro)

Dal 2001 al 2005 le domande approvate hanno presentato un calo del 4%, anche se alcune Regioni si sono caratterizzate per variazioni di segno positivo. Le agevolazioni erogate sono aumentate del 5%, con un picco particolarmente alto registrato nel 2004 (+51% rispetto allanno precedente). A fronte del calo registrato nelle domande approvate e del lieve aumento delle agevolazioni erogate, si registra un incremento consistente degli investimenti agevolati (+119%). Tale aumento dovuto a incrementi consistenti in quasi tutte le Regioni del Centro-Nord.

Decentramento degli incentivi: alcuni elementi di analisi


Per poter delineare il ruolo che le politiche regionali di incentivo pubblico alle imprese possono avere in ragione della diversa struttura industriale delle singole Regioni, emergono due differenti chiavi di lettura: la prima fa riferimento alla suddivisione per obiettivo degli interventi decentrati e regionali implementati da parte delle singole Regioni, mentre la seconda guarda alla relazione esistente tra la distribuzione territoriale delle imprese e lammontare delle agevolazioni erogate a favore delle stesse in virt degli interventi nazionali, decentrati o regionali. Le azioni a sostegno degli investimenti hanno assorbito dal 50% al 90% delle risorse di ciascuna regione (tabella 2.11). La Toscana, insieme alla Lombardia, ha stanziato oltre il 39% delle risorse a Ricerca e Sviluppo e ha destinato il 13% delle risorse a finalit di tutela ambientale. Alcune Regioni non hanno destinato alcuna risorsa allo sviluppo della nuova imprenditoria (Emilia Romagna, Molise, Campania, Puglia e Basilicata) e alla tutela ambientale (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia ma anche Molise, Lombardia e Veneto). Le Regioni che dedicano percentuali superiori al 35% delle proprie risorse ad interventi pi strettamente correlati a fattori di competitivit (promozione dellinnovazione tecnologica, ricerca e sviluppo, sostegno ai servizi reali, internazionalizzazione) sono Toscana (42%), Lombardia (42%) ed Emilia Romagna (36%) con percentuali nettamente inferiori registrate nelle Regioni meridionali. Tuttavia, la Puglia risulta essere la regione con il maggior sforzo relativo a favore

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dellinternazionalizzazione delle imprese, dedicando a tali interventi l11% delle sue risorse a fronte di una media nazionale pari al 2,3%. Tabella 2.11 - Interventi regionali e decentrati - Interventi per obiettivi - 2000-2004
Regione Innovazione R&S Internazional. Nuova imprenditoria Sostegno investimenti Eq. gestione finanziaria Tutela ambientale Servizi reali Altro Totale

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Veneto Bolzano Trento Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia

15,9 19,2 39,4 17,7 0,5 7,7 10,7 31,2 39,3 10,2 18,5 16,3 2,9 15,0 2,7 18,8 1,2 21,8 2,3 0,7 16,5

3,4 0,1 2,3 2,1 2,5

14,3 11,9 6,8 3,8 10,0 1,0 3,3

64,3 67,8 47,3 62,5 35,8 86,7 71,1 84,1 59,0 38,5 59,2 55,6 42,6 71,7 84,8 67,8 70,3 95,4

0,1 4,1 1,8

1,9 1,0

0,2

100 100 100

11,2 20,5 9,1 30,7 3,3 0,1 2,7 1,2 1,8 15,7

0,9

100 100 100 100

0,2 1,6 2,7 1,4 1,5 12,6 12,4 18,7 7,6

17,7 0,9 0,3 12,8 8,2 5,2 3,5 0,6 3,5 13,9 0,4 2,1 0,2

0,3 1,9 3,0 3,6 3,6 1,0 1,9 0,2 4,5 11,0 3,4

1,9 4,7 16,1 2,7 8,3 4,1

100 100 100 100 100

0,1

100 100 100 100 100 100

0,1 0,5 2,3 4,5 10,1 6,1

77,9 76,0 79,5 61,6

0,2 12,4 5,0 3,6 1,0 4,2 5,0 2,3 2,0 3,7 0,6

100 100 100 100

Valori espressi in percentuale. Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2005)

La relazione esistente tra la distribuzione territoriale delle imprese suddivise per dimensione (piccole, medie e grandi) e lammontare delle agevolazioni erogate a favore delle stesse in virt degli interventi nazionali, decentrati o nazionali permette di fornire indicazioni sulleffettiva implementazione degli interventi in base alla struttura industriale del Paese (tabella 2.12). Soprattutto nel 2003 gli interventi nazionali sono risultati significativamente correlati con il numero di imprese esistenti, in tutte le aree del Paese e per tutte le tipologie di imprese. Gli interventi decentrati hanno assecondato la struttura industriale delle Regioni pi industrializzate (Nord) e soprattutto con riferimento alle piccole e medie imprese. Gli interventi regionali non sono risultati correlati alla struttura industriale del Paese considerando sia ogni singola area territoriale separatamente che il Paese nel suo complesso: tali interventi sembrano rispecchiare meno la distribuzione delle imprese sul territorio rispetto agli interventi nazionali e decentrati. Inoltre emerge la sostanziale assenza, negli anni pi recenti, di interventi regionali a favore della grande impresa, a conferma del fatto che le politiche di incentivo delle Regioni sono state circoscritte al comparto delle piccole e medie imprese, mentre il sostegno delle grandi imprese rimasto di competenza statale.

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Tabella 2.12 - Distribuzione territoriale degli interventi e struttura industriale - 2001-2003


Interventi nazionali Piccola 2001 Nord Centro Sud Italia 2002 Nord Centro Sud Italia 2003 Nord Centro Sud Italia 0,98* 0,96* 0,94* 0,21 0,98* 0,94* 0,97* 0,54* 0,93* 0,98* 0,93* 0,71* 0,99* 0,49 0,36 0,84* 0,93* 0,67 0,55 0,85* 0,92* 0,79* 0,37* 0,81* 0,01 0,87 0,38 0,16 -0,07 -0,35 0,68 0,12 0,96* 0,71 0,89* 0,09 0,13 0,89 0,94* 0,30 0,83* 0,81 0,90* 0,76* 0,99* 0,51 0,85* 0,89* 0,88* 0,81* 0,98* 0,84* 0,03* 0,70* 0,07* 0,22* 0,03 -0,24 0,21 0,13 0,10 0,33 -0,11 0,32 0,01 -0,11 0,83 0,66 0,88* 0,13 0,97* 0,59 0,94* 0,42 0,83* 0,97* 0,75* 0,68* 0,97* 0,55 0,84* 0,83* 0,96* 0,94* 0,91* 0,82* 0,74* -0,11* 0,49* 0,38* 0,07 -0,06 -0,22 -0,10 -0,27 -0,36 -0,08 -0,12 -0,38 -0,09 -0,19 Media Grande Interventi decentrati Piccola Media Grande Interventi regionali Piccola Media Grande

Correlazione tra ammontare delle agevolazioni erogate e numero di imprese per dimensione dell'impresa (piccola, media e grande). Le "imprese non classificate" e le "agevolazioni non classificate" sono state escluse dall'analisi. * significativit all'1%. Fonte: elaborazione REF su dati Istat (2006) e MAP (2005)

Le politiche regionali in alcuni settori di intervento


Le politiche a sostegno delle attivit di Ricerca e Sviluppo
Sul terreno istituzionale la competenza in materia di Ricerca e Sviluppo (R&S) attribuita dallart. 117 della Costituzione in maniera concorrente a Stato e Regioni. In particolare lo Stato definisce le linee quadro della legislazione, mentre alle Regioni viene lasciata la definizione della normativa di dettaglio. Da un attento monitoraggio recentemente compiuto dallISAE, risulta che tutte le Regioni, ad eccezione di Abruzzo, Calabria e Umbria, hanno indicato attraverso una disposizione legislativa lambito e le modalit di intervento nel settore della R&S e dellinnovazione. Soltanto quattro Regioni, Basilicata, Campania, Emilia Romagna e Valle dAosta, hanno una legge specifica di promozione dellattivit di ricerca e sviluppo. Diversamente la Lombardia, il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia hanno emanato disposizioni per la promozione dellinnovazione delle imprese. Nelle rimanenti Regioni gli interventi in materia di R&S sono contenuti in disposizioni aventi ad oggetto il sostegno alle attivit produttive ed alleconomia. Soltanto cinque Regioni (Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Bolzano, Piemonte) prevedono interventi nella ricerca di base, mentre quasi tutte intervengono nella ricerca applicata (con leccezione della Toscana, Sicilia e Campania) e nello sviluppo precompetitivo. Sul piano della programmazione delle politiche e degli interventi, quattro Regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Campania) pi la Provincia Autonoma di Trento realizzano una programmazione specifica nel settore della

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ricerca e dellinnovazione. Nelle altre si registra una programmazione relativa allo sviluppo delle attivit produttive e non specificatamente della ricerca e sviluppo. Per quel che riguarda i tipi di intervento realizzati, per la maggior parte delle Regioni vengono indicate le forme di contribuzione alle spese dei progetti che possono essere finanziamenti in c/capitale, contributi c/interessi, credito dimposta o bonus fiscale. Per la Campania e il Molise si rinvia alla programmazione regionale, mentre per la Provincia Autonoma di Bolzano si rinvia alla disciplina sugli aiuti di Stato alle imprese. Per il Lazio, la Lombardia, le Marche, la Provincia Autonoma di Trento, la Sicilia e la Sardegna si parla in modo generico di contributo al finanziamento dei progetti, senza specificare la forma da questi assunta e senza rinviare ad altre disposizioni. Sul piano quantitativo, le spese regionali in R&S sono risultate di ammontare limitato e decrescente nel tempo, passando dal 4,25% allo 0,9% della spesa pubblica consolidata per R&S. Tabella 2.13 - Spesa regionale in R&S 1999-2003
1999 Totale spese regionali R&S Totale spesa pubblica consolidata in R&S % spese regionali R&S su totale spesa pubblica R&S Ammontare espresso in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su dati Isae (2006) 103,0 2000 47,7 2001 54,8 2002 52,5 2003 28,9

2.422,0 2.608,9 2.792,9 2.623,3 3.017,2

4,3

1,8

2,0

2,0

1,0

Con specifico riguardo agli interventi attuati, sotto forma di incentivo, a favore del settore delle imprese (tabella 2.14), le risorse complessivamente erogate evidenziano una crescita marcata nel periodo 2000-2002 ed una rapida diminuzione nel triennio successivo. A spiegare questa dinamica sono soprattutto gli interventi nazionali, che nellultimo triennio si riducono a meno della met, e in misura minore gli interventi decentrati. Appaiono invece in costante aumento le risorse stanziate autonomamente dalle Regioni. Tabella 2.14 - Agevolazioni concesse per Ricerca e Sviluppo 2000 - 2005
2000 Interventi nazionali Interventi decentrati Interventi regionali Totale 1.013,3 149,8 36,5 1.199,6 2001 1.366,6 234,9 41,2 1.642,7 2002 3.110,8 159,0 75,7 3.345,5 2003 2.171,9 239,4 93,7 2.505,0 2004 1.569,9 274,6 171,4 2.015,9 2005 1.327,7 150,5 302,1 1.780,3

Ammontare espresso in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su dati MAP (2006)

Le politiche a favore dei distretti


Il termine distretto industriale diventa espressione comune del linguaggio di politica industriale con lemanazione della legge 317/91 e i successivi provvedimenti attuativi. Definiti come aree territoriali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese caratterizzate da una particolare

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specializzazione produttiva, dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione residente, i distretti sono da subito apparsi materia di competenza regionale sia per la loro identificazione (sulla base di parametri nazionali contenuti nel DM 21/04/93) che per lattuazione di specifici interventi di supporto finanziario. Tra questi, la legge 266/97 il primo intervento legislativo rilevante per il finanziamento dei distretti attraverso contributi per linnovazione informatica e tecnologica. Successivamente la legge Bassanini, nel delegare alle Regioni gli interventi a favore dellindustria, ha stabilito che le risorse a sostegno degli interventi nei distretti industriali confluissero in un Fondo Unico regionale. Il processo di identificazione dei distretti da parte delle Regioni avvenuto lentamente: alla fine del 2004 dodici Regioni avevano provveduto ad individuare i distretti industriali, identificandone 161. Inoltre, le fonti informative sui distretti industriali, che si aggiungono alla mappa istituzionale fornita dalle Regioni, sono molte e non univoche. Recentemente lIstat ha aggiornato al 2001 le informazioni sui distretti industriali: tali dati sono riportati nella tabella 2.15 insieme a quelli forniti dalle Regioni. Rispetto ai 199 distretti identificati nel 1991, lIstat ha definito 156 distretti, per un totale di quasi 5 milioni di addetti di cui 2 milioni addetti manifatturieri, rispetto ai 133 distretti individuati dalle Regioni alla fine del 2001. Anche se i criteri di identificazione utilizzati dallIstat e dalle singole Regioni sono sostanzialmente simili ed entrambi ispirati al DM 21/04/93 e alle successive modifiche legislative, lIstat, tuttavia, segue una metodologia parzialmente differente. In particolare non accorpa i distretti contigui giungendo ad identificare un numero maggiore di distretti rispetto alle Regioni. Tabella 2.15 - Distretti industriali 2001
Regioni Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 4 133 2 1 156 3.236 2.085 4.949.721 994 892 1.928.602 7 6 4 26 3 6 12 19 4 1 13 15 5 27 2 6 2 6 8 1 574.432 466.494 81.823 435.063 31.542 96.859 4.307 26.177 144.096 9.927 204.501 179.525 22.905 171.524 9.903 31.483 1.531 10.395 42.557 2.627 16 27 4 22 3 1.745.042 46.814 861.546 123.244 683.094 14.464 385.105 50.776 Numero 25 Numero 12 Addetti 297.034 ISTAT di cui addetti manifatturieri 116.326

Fonte: IPI (2002), ISTAT (2006)

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A quindici anni dallemanazione delle prime norme in materia di distretti, emerge la sproporzione tra lattivit formale di riconoscimento e programmazione e gli interventi effettivamente realizzati. Tuttavia da questo processo si possono trarre alcuni segnali importanti per lo sviluppo di nuovi indirizzi di politica territoriale, tra cui lincentivazione non di singole imprese, ma del contesto in cui le stesse si trovano ad operare attraverso interventi rivolti a gruppi di imprese e a fattori materiali ed immateriali propri del contesto. Gli interventi che hanno trovato maggiore diffusione sul territorio nazionale hanno riguardato le strutture di supporto alla qualit e alla certificabilit della stessa, i centri di servizio per le imprese volti a favorire laccesso agli strumenti agevolativi nazionali e comunitari, i centri di servizio per linnovazione, la riqualificazione di siti industriali dismessi, linternazionalizzazione delle imprese e la commercializzazione dei prodotti. Inoltre, in Lombardia sono nati i Comitati di distretto, veri e propri tavoli di lavoro che successivamente sono stati istituiti in tutte le Regioni. La Lombardia stata la prima regione a muoversi sul terreno dei distretti ed il modello lombardo stato seguito da diverse altre Regioni. In Lombardia i contributi vengono concessi fino al 40% degli investimenti: nel periodo 1995-2000 sono stati concessi contributi per 20 milioni di euro attuando 110 progetti per un totale di 50 milioni di euro di investimento. Nel 2001 la Lombardia ha inoltre proceduto ad una nuova definizione di distretti, individuando sei metadistretti o distretti tematici (biotecnologie alimentari, altre biotecnologie, moda, design, nuovi materiali, ICT) che si configurano come aree caratterizzate da forti rapporti di rete ed interazioni tra imprese non limitate territorialmente. Come detto, la maggior parte delle Regioni si ispirata al modello lombardo pur con variazioni dettate dalle specificit locali e dalle risorse a disposizione: il Friuli Venezia Giulia si caratterizza per una particolare attenzione al riordino delle politiche territoriali, alla tutela ambientale e ad un generale snellimento delle pratiche amministrative necessarie. I contributi, inoltre, possono essere concessi anche a totale copertura dei costi; nel 2003 il Veneto ha introdotto il patto per lo sviluppo del distretto quale strumento di durata triennale per la definizione della progettualit strategica dei distretti. Nel primo triennio 2003-2005 sono stati riconosciuti 28 patti per lo sviluppo a fronte di 116 domande di contributo ritenute ammissibili a fronte di un impegno finanziario pari a 15 milioni di euro; la Liguria estende il campo di intervento anche allo sviluppo di reti telematiche e di strutture preposte alla gestione dei flussi informativi; la Toscana, contemplando anche opere di urbanizzazione nelle aree destinate agli insediamenti industriali, nel 2001-2002 ha stanziato 2,5 milioni di euro per i distretti; le Marche si caratterizzano per il sostegno finanziario anche, e soprattutto, delle attivit progettuali svolte dai Comitati di distretto; il Piemonte ha sostenuto progetti innovativi di politica industriale a favore dellaggregazione delle piccole e medie imprese al fine di migliorare lintegrazione sistemica e i rapporti tra le imprese stesse. Nel periodo 19982004, 93 progetti sono risultati beneficiari di oltre 30 milioni di euro; in Campania gli interventi a favore dei distretti rientrano nellambito dei Piani Regionali di Sviluppo; la Sardegna ha puntato al miglioramento dei servizi allinterno dei distretti ed ha stanziato 7 milioni di euro nel triennio 1998-2000;

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lEmilia Romagna che non ha riconosciuto formalmente la categoria dei distretti industriali, per poter definire le aree oggetto di particolari politiche industriali al momento della progettazione degli interventi, concedendo maggiore autonomia agli attori locali. Tale modello di governance territoriale punta a migliorare le esternalit a prescindere dalla specializzazione delle singole aree e gli interventi vengono finanziati tramite la contrattazione programmata.

Da pi parti riconosciuta la mancanza di una politica di governance dei distretti, solo in parte compensata da specifiche iniziative delle singole Regioni, che tuttavia non sempre sono riuscite a sopperire al bisogno di collaborazione intradistrettuale con il mondo delle istituzioni, della ricerca e della finanza. Leffettiva realizzazione delle politiche di distretto risente ancora di molti limiti, in parte dovuti alla mancanza di politiche organiche e in parte alle risorse dedicate allindividuazione dei distretti stessi. Ad oggi le intenzioni di trasferire alle Regioni gli interventi a favore dei distretti non si sono rivelate supportate da obiettivi precisi e strumenti idonei.

Le politiche di incentivo alle imprese negli anni recenti e possibili scenari


La recente riforma del sistema degli incentivi alle imprese
Il sistema degli incentivi alle imprese stato segnato da un processo di riforma che nelle sue linee fondamentali stato definito nel corso del 2005, per effetto della legge finanziaria 2005 (L. 311/2004) e del recente provvedimento sulla competitivit (D.L. 35/2005, convertito nella L. 80/2005). Le linee guida di tale riforma prevedono il superamento dellimpostazione generalista degli incentivi e il rafforzamento del rapporto tra il mondo delle imprese e delle banche per favorire laccesso al credito. In sede di legge finanziaria 2005 (art. 1, comma 354 della legge 311/2004) stato istituito presso la gestione separata della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. il Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese e programmi di ricerca, con una dotazione iniziale di 6.000 milioni di Euro e finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati. Il Fondo dovrebbe diventare lo strumento attraverso cui finanziare le leggi di incentivazione tra cui la 488/92, i contratti di programma, il Fondo Innovazione Tecnologica (FIT), il Fondo Agevolazioni alla Ricerca (FAR). Con il decreto competitivit (D.L. 35/2005, convertito nella L. 80/2005) il sistema degli incentivi alle imprese stato oggetto di riforma, con lintroduzione di nuovi criteri relativi alla concessione di contributi in conto capitale che non possono essere superiori al finanziamento con capitale di credito composto da un finanziamento pubblico agevolato, attraverso il Fondo Rotativo, e da un finanziamento bancario a tasso di mercato. Gli obiettivi fondamentali che si inteso perseguire con la riforma sono di quattro ordini: (i) attenuare limpatto sulla finanza pubblica del contributo in conto capitale e ridurre lintensit complessiva degli aiuti; (ii) impegnare maggiormente le imprese, attraverso il passaggio graduale dal contributo in conto capitale a un sistema di finanziamento, in parte pubblico, in parte bancario; (iii) coinvolgere il sistema bancario nel finanziamento diretto degli investimenti delle imprese; (iv) aumentare il grado di selettivit delle iniziative, anche al fine di allocare le risorse verso obiettivi mirati di innovazione e competitivit. Il CIPE ha stabilito, in sede di prima applicazione, nella misura di 3.700 milioni di Euro la dotazione finanziaria da destinare agli interventi agevolativi a valere sulle

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risorse del Fondo di rotazione sulla base della seguente ripartizione settoriale e territoriale2: Tabella 2.16 - Ripartizione CIPE
Ripartizione territoriale Aree sottoutilizzate Ricerca e Sviluppo 50,2% Ricerca scientifica e tecnologica, diffusione delle tecnologie, mobilit dei ricercatori (D.L.vl 297/1999) Settori dell'economia di rilevanza nazionale (FIT - L. 46/1982) Agevolazioni per gli investimenti nei settori dellindustria, servizi, costruzioni, produzione e distribuzione di energia elettrica e calore, turismo, commercio (L. 488/92 riformata) Altro 49,8% Settori dell'economia di rilevanza nazionale (FIT - L. 46/1982) Contratti di programma Patti Territoriali e Contratti d'Area Contratti di filiera agroalimentare/distretto/programma settore agricolo e operazioni di riordino fondiario Totale Ammontare espresso in milioni di euro. Fonte: elaborazione REF su fonte CIPE (2005) 550 260 Altro 550 500 1860 Totale

Ripartizione settoriale

500

400 240 240 300 2.490

160

1.840 1.210 3.700

Inoltre, nel corso del 2005 sono state messe a punto le norme di attuazione della riforma per due sistemi agevolativi: la Legge 488/92 e le misure della programmazione negoziata. In particolare, con D.M. 1 febbraio 2006 sono state emanate le disposizioni di attuazione ai fini della Legge 488/92 e sono state ripartite su base territoriale e settoriale le risorse disponibili (pari a complessivi 679,88 milioni)3. Pur interessando il sistema degli incentivi di competenza statale, la riforma del 2005 interessa anche il comparto delle Regioni. A questo fine occorre ricordare che la legge 488/92, e quindi il principale strumento di agevolazione degli investimenti delle imprese sia in ordine al numero degli interventi agevolati che all'ammontare delle risorse impiegate, per effetto delle modifiche intervenute nel 1999 nellambito del processo di decentramento amministrativo, stata resa pi flessibile e compatibile con le politiche di sviluppo locale definite dalle Regioni. Queste ultime sono in grado di orientare parte delle risorse verso obiettivi di intervento a livello settoriale o territoriale coerenti con le proprie scelte programmatiche. I criteri che determinato la scelta da parte delle Regioni nell'attivare graduatorie speciali di carattere territoriale sono ispirati a diverse necessit locali e differenti politiche di sviluppo: aree particolarmente
2 Con successiva delibera CIPE del 22 marzo 2006 sono state ripartite le residue risorse (pari a 2.300 milioni) allocandole su quattro complessi di misure: L. 488/92 (400 milioni), Fondo per lInnovazione Tecnologica (845 milioni), Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca (690 milioni) e infine Contratti di Programma (365 milioni). Il CIPE (Del. 29 settembre 2004; Del. 18 marzo 2005) ha prima accantonato limporto di 1.528,50 milioni di Euro da ripartire tra i vari interventi del Fondo aree sottoutilizzate (FAS) e poi destinato, a valere su questo accantonamento, la somma di 529,38 milioni di Euro per la concessione di incentivi alle imprese sulla base della legge 488/92. Per la stessa finalit il Ministero delle Attivit produttive (D.M. 30 settembre 2005) ha assegnato 150,5 milioni di Euro a valere su economie derivanti da rinunce e revoche.

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svantaggiate che manifestano una sensibile difficolt ad accedere ad adeguate misure di sostegno; aree con territori attrezzati e destinati ad attivit produttive (distretti industriali, contratti d'area, patti territoriali) dove sia emersa una maggiore domanda di investimento; territori con elevate potenzialit di sviluppo industriale; aree colpite da fenomeni di deindustrializzazione; aree colpite da eventi congiunturali che necessitano di ripresa economica. Tabella 2.17 - Legge 488/92 - Riepilogo generale delle risorse per settore e per destinazione territoriale
Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Bolzano Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Graduatorie multiregionali Italia Fonte: DM 02-02-2006 Bando Artigianato 1,136 0,039 0,644 0,067 0,033 0,623 0,188 0,548 0,198 0,884 0,344 0,272 1,142 1,494 0,898 8,294 5,687 1,543 4,275 8,322 4,161 0,000 40,793 Bando Industria 7,159 0,243 4,059 0,420 0,208 3,924 1,183 3,454 1,249 5,570 2,170 1,715 7,193 9,415 5,658 52,252 35,825 9,721 26,934 52,427 26,213 110,141 367,135 Bando Turismo 4,640 0,157 2,631 0,272 0,135 2,544 0,767 2,239 0,810 3,610 1,407 1,112 4,662 6,102 3,667 33,867 23,220 6,301 17,457 33,980 16,990 71,387 237,958 Bando Commercio 0,947 0,032 0,537 0,056 0,028 0,519 0,157 0,457 0,165 0,737 0,287 0,227 0,951 1,245 0,748 6,912 4,739 1,286 3,563 6,935 3,467 0,000 33,994 Totale 13,882 0,471 7,871 0,815 0,404 7,610 2,295 6,698 2,422 10,802 4,209 3,327 13,949 18,257 10,971 101,325 69,470 18,850 52,230 101,664 50,832 181,528 679,880

Ammontare espresso in milioni di euro.

Allo stesso modo i criteri che hanno portato le Regioni ad attivare graduatorie speciali di tipo settoriale sono riconducibile a fattori quali: la scelta di particolari settori che costituiscono il supporto alla crescita e allo sviluppo dell'intero sistema produttivo regionale; la necessit di riposizionamento di alcuni comparti ad alta intensit di lavoro penalizzati dalla concorrenza di Paesi esteri a basso costo di manodopera; il grado di innovazione e propensione all'esportazione di determinati settori produttivi aventi un'incidenza significativa nella struttura produttiva regionale.

Il sistema degli incentivi alle imprese nel quadro del processo di riforma
La necessit di semplificare lintero sistema della finanza agevolata resta attuale, specie alla luce del mutato assetto istituzionale conseguente alla riforma del Titolo V della Costituzione. Il sistema attuale il prodotto di una stratificazione di leggi confezionate spesso su specifiche problematiche e quindi copre un numero eccessivo di obiettivi, prevedendo peraltro una molteplicit di strumenti e quindi

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una frammentazione degli interventi. Il sistema, inoltre, non governato a causa del non definito ambito di intervento tra i diversi livelli di governo. Occorre pertanto prevedere una revisione complessiva del sistema volta a una sua semplificazione che risulti funzionale alla riorganizzazione e alla riqualificazione necessarie al recupero di competitivit della nostra industria. A tal fine la revisione dovrebbe essere ispirata alla focalizzazione degli obiettivi ed alla specializzazione degli interventi: (i) la focalizzazione degli obiettivi necessaria, data la carenza di risorse finanziarie, per indirizzare gli interventi in modo che risultino il pi possibile incisivi sui fattori rilevanti per la competitivit; (ii) strettamente connessa la necessit di una specializzazione degli interventi, abbandonando luso degli strumenti di tipo generalista a favore di strumenti specifici per specifici obbiettivi, in modo da massimizzarne lefficacia. Unipotesi di riorganizzazione dellintero sistema degli incentivi alle imprese lungo queste linee potrebbe essere basata sul medesimo principio che regola le modalit di utilizzo dei fondi strutturali comunitari da parte dellUnione europea. In sintesi, lo Stato di concerto con le Regioni, in una logica di programmazione pluriennale, dovrebbe fissare obiettivi specifici per il perseguimento dei quali stanzia risorse finanziarie dedicate, rivisitando per quanto occorra lattuale sistema di canalizzazione delle risorse finanziarie, basato prevalentemente sul Fondo per le aree sottoutilizzate e sul Fondo Unico per gli incentivi. Il momento di programmazione potrebbe essere quello del DPEF. Il ruolo di regolatore delle conseguenti politiche di sviluppo dellapparato produttivo deve necessariamente essere ricoperto dal Ministero dello Sviluppo Economico. Ferma restando la possibilit per lo Stato di gestire alcune linee riferite a determinati obiettivi, lutilizzo delle risorse dedicate avviene attraverso le Amministrazioni regionali sulla base di programmi condivisi. Meccanismi di premialit possono poi stimolare le Regioni a comportamenti virtuosi. Un sistema con queste caratteristiche, attenuerebbe, se non addirittura eliminerebbe, il rischio di sovrapposizione e di duplicazione degli interventi; costringerebbe le Amministrazioni pubbliche a focalizzare gli obiettivi; imporrebbe alle autorit deputate alla gestione di specializzare gli interventi; consentirebbe infine di limitare la dispersione delle risorse finanziarie a disposizione. Il riordino dellintero sistema della finanza agevolata dovrebbe passare, inoltre ,attraverso la redazione di un codice o un testo unico. Il codice che qui si ipotizza dovrebbe registrare questo nuovo approccio: concentrando lazione dello Stato nelle materie indicate dalla Costituzione, che sono quelle maggiormente rilevanti ai fini della competitivit del sistema produttivo; definendo chiaramente gli obiettivi dellintervento statale e lasciando alle Regioni i programmi che non vi rientrino; raccogliendo le disposizioni normative coerenti con quegli obiettivi e abrogando le altre; definendo i casi in cui, in applicazione del principio di sussidiariet, alle Amministrazioni statali spettano anche funzioni amministrative. Esso dovrebbe contenere anche alcune norme generali e procedurali, che definiscano i tipi di incentivo e i modelli procedimentali essenziali, nonch alcuni principi relativi ai soggetti beneficiari e ai loro requisiti, alla destinazione degli aiuti, alla trasparenza dei procedimenti e alla partecipazione degli interessati, ai criteri di assegnazione, alla valutazione e ai controlli. Dovrebbe procedere, infine, a individuare chiaramente le responsabilit dei vari organi statali per i diversi obiettivi e programmi. Ci reso necessario dal fatto che la centralit del Ministero dello Sviluppo Economico, affermata dal D.Lgs. n. 300/99, stata poi disconosciuta da norme successive, che hanno attribuito rilevanti compiti di coordinamento e di gestione ad altre amministrazioni, come la Presidenza del Consiglio e il Ministero delleconomia e delle finanze.

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3. I servizi ai cittadini
Introduzione e sintesi dei risultati
Nel processo che ha condotto gradualmente la spesa pubblica verso livelli di governo sempre pi decentrati ha giocato un ruolo cruciale lidea che lintervento pubblico sarebbe stato pi efficiente avvicinandosi il pi possibile ai contribuenti, proprio nellerogazione di quei servizi direttamente fruibili e monitorabili dal cittadino stesso. Per questo, federalismo fiscale, autonomia territoriale e servizi ai cittadini sono termini inscindibili tra loro, cos come legato a questi fattori il ruolo dei Comuni che, storicamente e fisicamente, sono stati e sono il livello di governo pi prossimo ai cittadini e che regolano gran parte della spesa pubblica per erogazione dei servizi, una volta esclusa la sanit. Le tendenze pi recenti, per, evidenziano come questi elementi si siano mossi in modo antitetico se analizzati nel contesto attuale, dove le risorse a disposizione degli Enti territoriali sono diminuite nel corso dellultimo quinquennio (blocco delle aliquote e riduzione dei trasferimenti) mentre una tendenza opposta ha subito il numero delle funzioni attribuite agli Enti territoriali. Queste contraddizioni hanno ripercussioni non solo sulla capacit degli Enti territoriali di agevolare politiche pubbliche locali, ma anche sul loro impegno a incentivare lefficienza nella gestione dei servizi al fine di contenere i costi. Lobiettivo di questo capitolo proprio quello di inquadrare lattuale struttura di bilancio dei Comuni, evidenziando la gamma dei servizi offerti ai cittadini e il modo in cui lesercizio di tali funzioni si correli alle dinamiche in atto in materia di federalismo, tenendo conto delle differenze territoriali, sia in termini di reddito che di composizione demografica. Il primo paragrafo dedicato allanalisi dei servizi erogati dai Comuni valutati a partire dalla struttura del bilancio, tenendo conto delle altre funzioni svolte, delle dinamiche pi recenti, dellubicazione e della dimensione del comune. I due paragrafi successivi si concentrano, invece, sul ruolo che i Comuni hanno nella produzione di servizi alla persona e di pubblica utilit. Infine, viene presentato un possibile scenario sullimpatto del federalismo sui meccanismi di finanziamento di tali servizi. Dallanalisi emerge un quadro dellintervento comunale molto variegato, le cui dinamiche non sempre appaiono coerenti con levoluzione della domanda di servizi. In generale, traspare una sostanziale inerzia dei Comuni rispetto alle strutture di bilancio ereditate, sia per ragioni strutturali connesse alla conformazione della societ e del territorio, sia per la mancata attuazione del disegno costituzionale in materia di federalismo. Ne consegue una forte divaricazione, in termini quantitativi, tra Nord e Sud in materia di servizi erogati, ma pi specificatamente tra Comuni ricchi e quelli poveri. In particolare, i principali risultati possono essere cos riassunti: circa un terzo della spesa dei Comuni viene assorbita dai costi di amministrazione e solo il 10% dedicata a finanziare il welfare locale. Laltra met, invece, costituita dai servizi di pubblica utilit e dagli investimenti per la tutela e lo sviluppo del territorio. La struttura di bilancio dei Comuni risulta influenzata sia dallubicazione geografica che dalla dimensione. Si rileva una sostanziale sperequazione in valori assoluti; in dinamica, le spese per investimenti crescono pi velocemente, ma tra le funzioni di spesa, quella che assorbe crescentemente risorse riguarda i costi

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di amministrazione, seguita dalle spese sociali e per i servizi di pubblica utilit. Le cause della crescita della spesa sono diverse, ma in genere vanno ricondotte ad una scarsa disciplina di bilancio e alla crescita della domanda di servizi; i servizi alla persona dipendono largamente dalle condizioni reddituali e dalle dimensioni del Comune, lasciando emergere situazioni non idonee a favorire lo sviluppo. I Comuni del Mezzogiorno, pur dedicando ai servizi alla persona una quota non trascurabile della loro spesa, non riescono a garantire un servizio alla persona in termini pro-capite che vada oltre la met di quanto erogato dai Comuni del Nord; il divario pi consistente tra i territori si riscontra nel campo degli asili nido e dei servizi per gli anziani, ma non imputabile alla demografia, quanto alleredit di bilancio, ai limiti posti allautonomia e alla mancanza di uneffettiva perequazione. Ne consegue che lofferta di servizi non in grado di assecondare la domanda, ponendosi a freno dello sviluppo locale; i flussi migratori tendono ad esacerbare la carenza di offerta dei servizi, da un lato assorbendo risorse dai Comuni per i servizi di accoglienza, dallaltro, alimentando una maggiore domanda di servizi, che in buona parte viene disattesa per via delle tariffe elevate; la spesa corrente per public utilities maggiormente concentrata nei grandi Comuni e al Centro. Complessivamente, il passaggio dalla gestione in economia a quella affidata a gestori industriali mostra dei recuperi di efficienza nel comparto idrico e ha effetti eterogenei per quanto riguarda lo smaltimento rifiuti, dove la copertura dei costi mostra delle carenze al Sud; una sostenuta domanda di servizi e una transizione verso modelli gestionali pi efficienti da un lato, la costante pressione derivante dalla domanda di servizi per anziani e bambini dallaltro, non sono supportati da scelte adeguate a livello istituzionale. I limiti allautonomia tributaria e lassenza di meccanismi di perequazione generano deficit che, in uno scenario di federalismo inapplicato, si scaricano sulla formazione di debito.

Le spese per i servizi ai cittadini nei bilanci dei Comuni: analisi territoriale e dimensionale
Federalismo, distribuzione del reddito e demografia: alcune considerazioni
La definizione del quadro analitico su cui si ritaglia lintervento pubblico attuato dai Comuni richiede una premessa circa le determinanti che influiscono sulla struttura di bilancio degli Enti locali. La proporzione di spesa per i servizi ai cittadini nei bilanci dei Comuni rispetto alla spesa complessiva, infatti, dipende da almeno tre variabili: la disuguaglianza allinterno della comunit locale; la struttura della popolazione residente; il grado di autonomia fiscale dellEnte. La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi allinterno della comunit locale, se analizzata in un contesto di federalismo responsabile, incide necessariamente sullammontare di spesa per i servizi richiesta dai cittadini: un Comune caratterizzato dalla presenza solo di ricchi necessita di una minore spesa per assistenza; al contrario, un Comune in cui i poveri sono la maggioranza dovrebbe tendere ad aumentare tali voci di spesa, anche se le rigidit di bilancio o una non idonea composizione delle spese preclude questa possibilit.

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Laltra variabile rappresentata dalla distribuzione della popolazione sul territorio nazionale e la sua struttura per et: esiste, infatti, una correlazione positiva tra la spesa sociale rispetto al Pil e lindice di dipendenza strutturale della popolazione, cio il rapporto tra la popolazione in et non attiva (individui con et inferiore a 14 anni e superiore a 65) e popolazione attiva (individui con et compresa tra i 15 e i 65 anni). Sfortunatamente, entrambi le variabili sono correlate negativamente con il grado di autonomia finanziaria dellEnte, dato che questa dipende essenzialmente dal reddito pro-capite medio dei cittadini, che a sua volta tende ad essere pi basso nei Comuni con un elevato indice di dipendenza della popolazione. In prospettiva, pertanto, un federalismo fiscale non capace di applicare meccanismi perequativi condivisi tra giurisdizioni con diverse caratteristiche di base imponibile e disuguaglianza tender inevitabilmente ad aumentare le differenze quantitative e qualitative dei servizi offerti. Tale discrasia, visto il mancato funzionamento di un effettivo meccanismo di perequazione negli anni passati, traspare gi nellanalisi dei bilanci dei Comuni, mettendo in evidenza, a maggior ragione nellottica di un potenziamento del decentramento amministrativo, come la relazione inversa tra reddito e servizi assistenziali non si materializzi lungo il territorio, lasciando persistere una correlazione positiva tra ricchezza del territorio e erogazione dei servizi da parte dei Comuni.

Composizione e distribuzione territoriale della spesa dei Comuni


La molteplicit di aspetti connessi allazione dei Comuni nellerogare servizi, impone una valutazione delle modalit con cui le Amministrazioni municipali esercitano il loro ruolo lungo il territorio. Nella tabella 3.1 si propone uno spaccato della spesa dei Comuni, in cui si evidenziano le funzioni svolte suddivise per ripartizione territoriale, cos come emerge dalla rilevazione Istat riferita ai bilanci 2003-2004. Si tratta di una scomposizione per macro settori di intervento, che serve a delineare una prima rappresentazione della struttura di bilancio dei Comuni italiani. Nei paragrafi successivi si passer ad un grado di dettaglio maggiore sulle singole voci di intervento. Il primo aspetto da sottolineare che le prime quattro funzioni per ordine di grandezza assorbono quasi l80% della spesa: funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo (33%)4; gestione del territorio e dellambiente, dove sono classificati il servizio idrico, il servizio smaltimento rifiuti e ledilizia residenziale pubblica (20%); viabilit e trasporti (14%) e spesa sociale (10%). Per quanto concerne la composizione delle spese per zona di ubicazione del Comune, i dati di bilancio mostrano divaricazioni anche notevoli circa la composizione per funzioni. Lonere per il funzionamento della macchina amministrativa (servizi generali), ad esempio, sensibilmente inferiore al Centro (24,5% circa) e molto pi alto al Nord-Ovest (43%), dove pesa lanomalia di Milano e la componente in conto capitale della gestione delle societ partecipate. Viceversa, i Comuni del Nord impiegano una quota di spesa per la gestione del territorio e dellambiente inferiore alla media nazionale, contrariamente a quanto accade al Centro-Sud. Leggermente pi omogenee lungo il territorio le quote di spesa dedicate alla Viabilit e Trasporti e ai Servizi Sociali.

Il dato condizionato dai valori della citt di Milano. Al netto di tale anomalia, lincidenza media di tale funzione pari al 28% della spesa totale.

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Tabella 3.1 - La composizione della spesa dei Comuni, per funzione e ripartizione territoriale
(Mln di euro) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (in % del totale nazionale) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (in % del totale funzione) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale Fonte: elaborazioni REF su dati ISTAT Nord-Ovest 2004 11.956 122 785 2.289 889 588 196 3.531 4.141 2.550 294 234 27.576 Nord-Est 2004 4.075 46 385 1.531 600 518 85 2.112 2.182 1.915 229 235 13.912 Centro 2004 4.008 66 675 1.479 633 286 115 3.159 3.806 1.663 421 269 16.581 Sud 2004 7.329 312 961 1.796 663 621 224 2.823 6.956 1.836 504 252 24.276 Italia 2004 27.368 546 2.806 7.095 2.785 2.013 620 11.625 17.085 7.964 1.448 990 82.345

43,7% 22,3% 28,0% 32,3% 31,9% 29,2% 31,6% 30,4% 24,2% 32,0% 20,3% 23,6% 33,5%

14,9% 8,4% 13,7% 21,6% 21,5% 25,7% 13,7% 18,2% 12,8% 24,0% 15,8% 23,7% 16,9%

14,6% 12,1% 24,1% 20,8% 22,7% 14,2% 18,5% 27,2% 22,3% 20,9% 29,1% 27,2% 20,1%

26,8% 57,1% 34,2% 25,3% 23,8% 30,8% 36,1% 24,3% 40,7% 23,1% 34,8% 25,5% 29,5%

100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

43,4% 0,4% 2,8% 8,3% 3,2% 2,1% 0,7% 12,8% 15,0% 9,2% 1,1% 0,8% 100,0%

29,3% 0,3% 2,8% 11,0% 4,3% 3,7% 0,6% 15,2% 15,7% 13,8% 1,6% 1,7% 100,0%

24,2% 0,4% 4,1% 8,9% 3,8% 1,7% 0,7% 19,1% 23,0% 10,0% 2,5% 1,6% 100,0%

30,2% 1,3% 4,0% 7,4% 2,7% 2,6% 0,9% 11,6% 28,7% 7,6% 2,1% 1,0% 100,0%

33,2% 0,7% 3,4% 8,6% 3,4% 2,4% 0,8% 14,1% 20,7% 9,7% 1,8% 1,2% 100,0%

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Tabella 3.2 - La composizione della spesa dei Comuni, per funzione e classe dimensionale (anno 2003)
Numero di abitanti (Mln di euro) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (in % del totale nazionale) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (in % del totale funzione) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale 0-5000 3.935 7 315 1.175 399 515 295 2.141 3.537 1.065 340 348 14.269 500020000 4.732 35 541 1.649 513 578 137 2.089 3.769 1.840 367 346 16.600 2000050000 2.742 77 372 924 376 276 84 1.155 2.339 1.124 171 156 9.867 50000100000 2.157 109 278 610 279 161 53 851 1.638 805 141 126 7.209 100000200000 1.370 95 192 477 228 135 19 718 985 639 86 15 4.959 oltre 200000 9.415 145 867 1.643 689 231 83 4.365 2.825 1.872 157 286 22.577 Totale 24.351 469 2.565 6.479 2.483 1.897 671 11.318 15.093 7.346 1.262 1.277 75.482

16,2% 1,5% 12,3% 18,1% 16,1% 27,2% 43,9% 18,9% 23,4% 14,5% 26,9% 27,2% 18,9%

19,4% 7,6% 21,1% 25,5% 20,7% 30,5% 20,4% 18,5% 25,0% 25,1% 29,0% 27,1% 22,0%

11,3% 16,4% 14,5% 14,3% 15,1% 14,6% 12,6% 10,2% 15,5% 15,3% 13,6% 12,2% 13,1%

8,9% 23,4% 10,8% 9,4% 11,2% 8,5% 7,9% 7,5% 10,9% 11,0% 11,2% 9,9% 9,6%

5,6% 20,3% 7,5% 7,4% 9,2% 7,1% 2,8% 6,3% 6,5% 8,7% 6,8% 1,2% 6,6%

38,7% 30,9% 33,8% 25,4% 27,8% 12,2% 12,3% 38,6% 18,7% 25,5% 12,4% 22,4% 29,9%

100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

27,6% 0,0% 2,2% 8,2% 2,8% 3,6% 2,1% 15,0% 24,8% 7,5% 2,4% 2,4% 100,0%

28,5% 0,2% 3,3% 9,9% 3,1% 3,5% 0,8% 12,6% 22,7% 11,1% 2,2% 2,1% 100,0%

27,8% 0,8% 3,8% 9,4% 3,8% 2,8% 0,9% 11,7% 23,7% 11,4% 1,7% 1,6% 100,0%

29,9% 1,5% 3,9% 8,5% 3,9% 2,2% 0,7% 11,8% 22,7% 11,2% 2,0% 1,8% 100,0%

27,6% 1,9% 3,9% 9,6% 4,6% 2,7% 0,4% 14,5% 19,9% 12,9% 1,7% 0,3% 100,0%

41,7% 0,6% 3,8% 7,3% 3,1% 1,0% 0,4% 19,3% 12,5% 8,3% 0,7% 1,3% 100,0%

32,3% 0,6% 3,4% 8,6% 3,3% 2,5% 0,9% 15,0% 20,0% 9,7% 1,7% 1,7% 100,0%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

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Le disomogenee strutture di bilancio che si riscontrano a livello territoriale, tendono a diversificarsi ulteriormente quando si prende in considerazione anche la dimensione del Comune. In questo, caso, partendo dai dati di un campione selezionato si evince come la spesa per servizi generali sia pi incidente per i Comuni molto grandi (vedi nota a fondo pagina), mentre la spesa sociale assorbe pi risorse nei Comuni di dimensione intermedia. Di converso, la spesa per la gestione del territorio e dellambiente degrada al crescere della dimensione del Comune, mentre il contrario vale per la spesa per viabilit e trasporti. Difficile trovare delle regole interpretative univoche circa simili distribuzioni, anche se nel primo caso sembrerebbero emergere diseconomie di scala e nel secondo una logica concentrazione di tali servizi nei grandi centri. Ci che conta, ai fini dellanalisi che segue, che la struttura di bilancio risulti influenzata sia dallubicazione del comune sia dalla dimensione. Ne consegue che, inevitabilmente, anche la spesa per lerogazione dei servizi risulti influenzata da tali fattori, che pertanto saranno richiamati come possibile causa di diversit tra i Comuni analizzati. Tabella 3.3 - La composizione della spesa dei Comuni, per funzione e ripartizione territoriale (valori pro-capite)
Nord-Ovest (Euro pro-capite) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (Indice Italia=100) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale Fonte: elaborazioni REF su dati ISTAT 166,2 85,0 106,4 122,7 121,4 111,1 120,3 115,6 92,2 121,8 77,2 89,9 127,4 79,2 44,8 73,0 114,8 114,6 136,9 72,9 96,6 67,9 127,9 84,1 126,3 89,9 76,2 62,9 125,2 108,5 118,3 73,9 96,5 141,4 115,9 108,7 151,3 141,4 104,8 75,0 160,1 95,9 70,9 66,7 86,4 101,2 68,0 114,1 64,6 97,5 71,3 82,6 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 2004 786 8 52 150 58 39 13 232 272 168 19 15 1.812 Nord-Est 2004 374 4 35 141 55 48 8 194 200 176 21 22 1.278 Centro 2004 360 6 61 133 57 26 10 284 342 149 38 24 1.491 Sud 2004 355 15 47 87 32 30 11 137 337 89 24 12 1.175 Italia 2004 473 9 48 123 48 35 11 201 295 138 25 17 1.422

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Tabella 3.4 - La composizione della spesa dei Comuni, per funzione e classe dimensionale (anno 2003, valori pro-capite)
Numero di abitanti (Euro pro-capite) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale (Indice Italia=100) Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo Funzioni relative alla giustizia Funzioni di polizia locale Funzioni di istruzione pubblica Funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali Funzioni nel settore sportivo e ricreativo Funzioni nel campo turistico Funzioni nel campo della viabilit e dei trasporti Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente Funzioni nel settore sociale Funzioni nel campo dello sviluppo economico Funzioni relative a servizi produttivi Totale 89,7 8,4 68,1 100,7 89,2 150,8 243,7 105,1 130,1 80,5 149,4 151,2 105,0 65,9 25,6 71,5 86,3 70,1 103,3 69,3 62,6 84,6 84,9 98,4 91,7 74,5 63,2 92,0 81,4 80,1 85,0 81,9 70,7 57,3 87,1 86,0 76,3 68,8 73,4 79,5 209,7 97,3 84,5 100,7 76,3 70,8 67,5 97,4 98,4 100,6 88,8 85,7 84,5 304,6 112,7 110,7 137,7 107,1 42,8 95,3 98,1 130,7 102,3 17,8 98,7 229,0 183,0 200,0 150,2 164,3 72,0 73,1 228,4 110,8 150,9 73,6 132,5 177,1 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 0-5000 388 1 31 116 39 51 29 211 348 105 33 34 1.405 500020000 284 2 33 99 31 35 8 126 227 111 22 21 998 2000050000 273 8 37 92 37 28 8 115 233 112 17 16 983 50000100000 343 17 44 97 44 26 8 135 261 128 23 20 1.148 100000200000 365 25 51 127 61 36 5 191 263 170 23 4 1.322 oltre 200000 989 15 91 173 72 24 9 458 297 197 16 30 2.371 Totale 432 8 45 115 44 34 12 201 268 130 22 23 1.339

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

Un primo criterio per valutare il modo in cui le diverse strutture di bilancio incidono nellerogazione dei servizi quello di analizzare la distribuzione della spesa pro-capite per funzione, ubicazione del comune e sua dimensione. Partendo dallaggregato Istat, si osserva che la spesa totale dei Comuni per singolo cittadino , nella media nazionale, pari a circa 1.400 euro, ma lintervento municipale nel Nord-Ovest di gran lunga superiore al resto dItalia (circa il 27% in pi della media nazionale e oltre il 50% del Mezzogiorno, dove si riscontra la pi bassa spesa comunale pro-capite). Pertanto, a parit di cose, giova sempre tenere a mente come la fruizione di servizi comunali sia largamente influenzata da una sostanziale sperequazione in valore assoluto tra i territori, che

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persiste per quasi tutte le funzioni. I dati pi estremi riguardano, a parte la spesa per servizi generali, la spesa per i servizi sociali, doppia al Nord (circa 170 euro pro-capite) rispetto al Mezzogiorno (quasi 90 euro), per trasporti e viabilit, anchessa largamente superiore, e per la gestione del territorio, questultima maggiore nei Comuni meridionali. Divaricazioni anche ampie si registrano nella distribuzione per classi dimensionali dellintervento comunale. La spesa per singolo cittadino, infatti, risulta essere maggiore nei Comuni pi grandi per buona parte delle funzioni di spesa, in particolare quella per servizi generali, settore sociale, viabilit e trasporti, mentre inferiore a quella dei Comuni pi piccoli nei comparti della gestione del territorio e dello sviluppo economico.

La dinamica della spesa dei Comuni


Prima di entrare nel dettaglio con cui si esplica lerogazione dei servizi pubblici da parte dei Comuni utile soffermarsi sullanalisi delle dinamiche che hanno interessato la spesa comunale negli ultimi anni, in modo da delineare la cornice entro la quale si innestano le diverse realt territoriali. Se si escludono dal computo i trasferimenti che i Comuni operano a favore di altri Enti pubblici e la spesa per interessi, si pu osservare come la spesa comunale complessiva nel periodo 1998-2005, dopo uniniziale maggiore risalita, sia cresciuta in linea con il dato medio dellintera Pubblica Amministrazione. Tuttavia, nella scomposizione tra parte corrente e in conto capitale, si riscontra una maggiore dinamicit di questultima rispetto alla media del complesso della Pubblica Amministrazione (anche tenendo conto delle dismissioni). Tale comportamento pu derivare sia dal ruolo preminente che i Comuni occupano nel comparto degli investimenti pubblici, sia dalle maggiori risorse a tal fine disponibili. Infatti, come risaputo, per i Comuni vale la regola di contabilit, come aggiornata dalla Finanziaria per il 2004, secondo la quale il ricorso allindebitamento consentito solo per il finanziamento degli investimenti. Figura 3.1 - La spesa primaria della Pubblica Amministrazione
150

140 130

Indice 1998=100

120 110

100 90 1998 1999

Pubblica Amministrazione (al netto dei Comuni) Comuni 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

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Figura 3.2 - La spesa primaria corrente della Pubblica Amministrazione


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Indice 1998=100

130

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110

100

Pubblica Amministrazione (al netto dei Comuni) Comuni

90 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 3.3 - La spesa primaria in conto capitale della Pubblica Amministrazione


170 160 150
Indice 1998=100

140 130 120 110 100 90 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Pubblica Amministrazione (al netto dei Comuni) Comuni

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Soffermandosi sulla struttura del bilancio dei Comuni, le componenti pi dinamiche che rivestono una sostanziale rilevanza allinterno del bilancio sono state, in primis, i consumi intermedi, con una crescita cumulata tra il 1998 e il 2005 del 51,1% e secondariamente gli investimenti fissi, mentre la spesa per il personale ha registrato una dinamica alquanto contenuta, non solo per leffetto scalino occorso nel 2000 con la centralizzazione delle competenze in materia di personale della scuola.

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Figura 3.4 - La spesa primaria dei Comuni


170 160 150
Indice 1998=100

Consumi Intermedi Investimenti Personale

140 130 120 110 100 90 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Tenendo conto del ruolo che la spesa per consumi intermedi riveste allinterno del bilancio comunale, oltre il 50% della spesa corrente al netto degli interessi, e che allinterno di tale classificazione economica ricadono gran parte delle funzioni di spesa esercitate dai Comuni, si possono ricavare le prime indicazioni circa le pressioni che vengono esercitate sulla struttura di bilancio comunale dalle tendenze sottostanti levoluzione demografica e la domanda di servizi, fermo restando il problema del controllo delle dinamiche di spesa in un assetto federale. Non bisogna, infatti, trascurare che negli ultimi anni il trasferimento di poteri dal Centro alla Periferia ha generato una sostanziale perdita di controllo della finanza locale, cos come testimoniato dal fallimento di tutti i Patti di Stabilit interni, che pur essendo stati rispettati, non hanno consentito di arginare la crescita della spesa pubblica decentrata. Pertanto, non facile identificare quanta della brillante dinamica di spesa sia stata indotta da una maggiore domanda strutturale, o quanta derivi da lassismo amministrativo, esacerbato dal mancato coordinamento tra finanza locale e Governo centrale. Unanalisi delle dinamiche per funzione pu, almeno in prima battuta, meglio definire le forze che hanno sospinto la spesa comunale negli ultimi anni. Facendo riferimento ad una recente pubblicazione Isae5 che mostra levoluzione della spesa comunale distinta per funzioni, si osserva come, nel periodo 1998-2004 (ultimo anno disponibile), la spesa dei Comuni sia cresciuta del 41,5% (il dato maggiore di quello esposto precedentemente, perch non rivisto). La funzione che pi ha contribuito alla crescita della spesa totale, e che spiega circa il 40% della crescita totale della spesa, stata quella dei servizi generali, ovvero quella attinente il funzionamento dellamministrazione (compresa la spesa per interessi e il personale) e, quindi, meno influenzata dalla domanda di servizi. Circa il 20% dellincremento di spesa stato destinato alla gestione del territorio, mentre un altro 20% circa dellaumento imputabile, parimenti, alla crescita della spesa per servizi sociali e a quella per la viabilit e i trasporti.

Isae, La finanza locale in Italia - Rapporto 2005.

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Tabella 3.5 - La spesa dei Comuni, scomposizione per funzioni, Anni 1998-2004
Milioni di euro Servizi generali Giustizia Polizia locale Istruzione Cultura Sport Turismo Viabilit e trasporti Gestione del territorio Servizi sociali Sviluppo economico Servizi produttivi Totale 1998 17.515 314 1.905 7.867 1.728 1.402 316 6.813 13.312 5.276 1.140 1.523 59.111 1999 18.477 352 2.017 8.182 2.090 1.625 463 8.298 14.119 5.597 1.157 1.549 63.924 2000 21.565 408 2.158 6.904 2.246 1.587 496 8.074 14.668 6.122 1.327 1.673 67.226 2001 24.970 403 2.273 7.220 2.371 1.660 433 9.132 15.413 6.719 1.556 1.546 73.697 2002 25.744 424 2.379 7.616 2.355 1.592 395 8.970 16.386 7.092 2.021 1.315 76.287 2003 25.002 392 2.486 8.376 2.576 1.761 441 9.560 17.024 7.263 2.068 1.119 78.069 2004 27.280 400 2.718 8.962 2.788 1.926 476 9.946 18.034 7.637 2.393 1.068 83.625

Composizione % Servizi generali Giustizia Polizia locale Istruzione Cultura Sport Turismo Viabilit e trasporti Gestione del territorio Servizi sociali Sviluppo economico Servizi produttivi Totale 29,6% 0,5% 3,2% 13,3% 2,9% 2,4% 0,5% 11,5% 22,5% 8,9% 1,9% 2,6% 100,0% 28,9% 0,6% 3,2% 12,8% 3,3% 2,5% 0,7% 13,0% 22,1% 8,8% 1,8% 2,4% 100,0% 32,1% 0,6% 3,2% 10,3% 3,3% 2,4% 0,7% 12,0% 21,8% 9,1% 2,0% 2,5% 100,0% 33,9% 0,5% 3,1% 9,8% 3,2% 2,3% 0,6% 12,4% 20,9% 9,1% 2,1% 2,1% 100,0% 33,7% 0,6% 3,1% 10,0% 3,1% 2,1% 0,5% 11,8% 21,5% 9,3% 2,6% 1,7% 100,0% 32,0% 0,5% 3,2% 10,7% 3,3% 2,3% 0,6% 12,2% 21,8% 9,3% 2,6% 1,4% 100,0% 32,6% 0,5% 3,3% 10,7% 3,3% 2,3% 0,6% 11,9% 21,6% 9,1% 2,9% 1,3% 100,0%

Fonte: elaborazioni REF su dati ISAE

Anche da questo spaccato funzionale, difficile trarre conclusioni univoche in merito ai driver della spesa, in quanto per met sembrerebbero riconducibili a fattori di tipo gestionale (spesa per servizi generali), e quindi condizionati dal cattivo disegno del federalismo, che non ha realizzato a livello locale uneffettiva responsabilizzazione di bilancio, ma per la restante parte potrebbero essere determinati da fattori strutturali di domanda, cui i Comuni hanno dovuto far fronte. Si tenga conto che, anche laumento delle spese per servizi generali pu essere correlato ad una maggiore domanda per servizi ai cittadini, sia di tipo public utilities sia alla persona, che ha indotto i Comuni ad operare con costi di funzionamento pi elevati. A fini dellanalisi successiva, comunque, occorre tenere presente come la prevalenza degli oneri di funzionamento condizioni, in generale, lerogazione di servizi da parte del Comune ed quindi arduo rintracciare relazioni stabili che

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consentano di classificare i Comuni a seconda della struttura della spesa. In quanto segue, pertanto, ci si limita a descrivere i fenomeni connessi alla tipologia di intervento verso i cittadini, tentando di catalogarli a seconda della localizzazione del Comune e della sua dimensione. Nei paragrafi successivi, invece, si porr un maggiore accento circa lesistenza, attuale e prospettica, di relazioni tra struttura di bilancio e conformazione della popolazione.

I servizi erogati dai Comuni: i servizi di pubblica utilit


Nellultimo quindicennio i servizi di pubblica (acqua, gas, luce, servizio smaltimento rifiuti e trasporti pubblici locali) utilit sono stati caratterizzati da profonde riforme e ristrutturazioni, volte principalmente a favorirne la liberalizzazione e a ridurne il grado di frammentazione con cui tali servizi sono offerti dai Comuni. In questambito, la focalizzazione stata su aspetti di efficienza della gestione, superando il modello municipale basato sulla produzione diretta dei servizi e sullo stretto controllo gestionale della Pubblica Amministrazione, ed stata finalizzata anche al miglioramento delle potenzialit delle imprese locali. Tuttavia, sebbene la gestione di alcuni servizi, come il gas, lenergia elettrica e il trasporto pubblico urbano, abbiano effettivamente subito profonde trasformazioni, altri settori, come il servizio smaltimento rifiuti e i servizi idrici sono ancora offerti in buona misura dai Comuni, che per delegano alcune funzioni di queste attivit ad imprese private. Dalle risultanze di bilancio dei singoli Comuni, e quindi dalla spesa che essi sostengono direttamente per tale finalit, emerge una spesa pro-capite corrente pari a 144 euro, circa il 18,4% delle uscite correnti totali dei Comuni. Nella scomposizione territoriale, il dato si distribuisce in maniera disomogenea: i comuni del Centro Italia risultano essere quelli con il maggior costo per abitante (176 euro). La spesa per i trasporti locali risulta pi elevata nelle aree in cui sono presenti le citt di maggiori dimensioni e che non hanno esternalizzato il servizio, almeno dal punto di vista della contabilit di bilancio. Il servizio idrico integrato registra un maggior costo in termini pro- capite nei Comuni del Mezzogiorno, fra laltro penalizzati da dimensioni minori (circa il 50% della popolazione del Centro-Nord vive in Comuni con pi di 200mila abitanti contro il 32% del Mezzogiorno) e che pertanto risentono della presenza di forti economie di scala nella gestione del servizio. Tuttavia, la maggiore spesa del Sud trova anche giustificazione, come mostrato con maggior dettaglio successivamente, nel lassismo di bilancio nella gestione di questi servizi desumibile dalla scarsa copertura del costo del servizio riscontrato in questa area del Paese. Sebbene si riveli omogenea tra le macro ripartizioni territoriali, la spesa per lo smaltimento dei rifiuti mostra una peculiarit allinterno della area settentrionale, in cui i Comuni del Nord-Est spendono circa il 40% in meno di quelli del NordOvest.

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Tabella 3.6 - La spesa corrente dei Comuni per servizi di pubblica utilit
Euro pro-capite Ripartizione territoriale Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Italia Classi dimensionali 0-5000 5000-20000 20000-50000 50000-100000 100000-200000 oltre 200000 Totale 1,6 2,8 7,9 19,9 29,2 135,9 29,6 38,4 26,4 21,3 25,7 17,1 11,6 24,5 77,8 80,0 93,3 102,2 84,3 110,1 89,8 117,8 109,2 122,5 147,8 130,5 257,6 143,9 16,5% 17,6% 18,3% 18,7% 15,1% 21,4% 18,4% Trasporti 30,1 15,6 71,4 14,4 29,6 Servizio idrico integrato 21,0 20,5 19,9 31,8 24,5 Servizio smaltimento rifiuti 100,6 61,3 84,7 99,6 89,8 Totale 151,7 97,4 176,0 145,7 143,9 in % della Spesa corrente Totale 18,6% 12,1% 19,9% 21,4% 18,4%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

I servizi erogati dai Comuni: il welfare locale


I servizi alla persona rivestono un ruolo prioritario nellattivit dei Comuni, perch proprio a questo livello di governo che viene affidato essenzialmente il perseguimento dellobiettivo equitativo sul versante della spesa. Da questo punto di vista, opportuno sottolineare come i cambiamenti nella struttura demografica, ancora in corso nel nostro Paese, e lincremento dellimmigrazione e dei ricongiungimenti familiari degli immigrati, abbiano determinato significative pressioni su questo tipo di interventi. Ne consegue una notevole dinamicit nellultimo decennio, anche se le potenzialit di offerta da parte dei Comuni sono frenate dalleccessivo costo dei servizi, ad alta intensit di lavoro, a cui corrisponde, per finalit assistenziali, la richiesta di un corrispettivo (tariffa) inferiore ai costi. Ciononostante, lanalisi di bilancio dei Comuni mette in luce come, in presenza di vincoli sempre pi stringenti di finanza pubblica, e in virt di eredit storiche e culturali, lintervento pubblico locale per servizi alla persona tenda ad essere correlato alla ricchezza del Comune che eroga i servizi. In media, secondo i dati di bilancio tratti da un campione rappresentativo, i Comuni dedicano ai servizi alla persona il 22,8% della loro spesa corrente totale, pari a poco meno di 180 euro pro-capite, suddivisi in modo abbastanza uniforme tra i vari capitoli di intervento, con prevalenza di quelli assistenziali, circa il 32,5% degli interventi, per il trasporto pubblico scolastico e refezione, circa il 23%, e per linfanzia e gli asili nido, circa il 14%. Molto limitata, invece, la spesa corrente rivolta alle strutture di ricovero per gli anziani, pari a poco pi di 11 euro pro-capite, ovvero il 6,3% del totale dei servizi alla persona. In valore assoluto e in percentuale della propria spesa corrente totale, sono i Comuni del Nord-Est a spendere maggiormente per lerogazione di servizi alla persona, rispettivamente quasi 222 euro pro-capite e il 27,5%, seguiti da quelli del Nord-Ovest che dedicano circa il 26% della propria spesa corrente a tale forma di intervento.

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Tabella 3.7 - La spesa dei Comuni per servizi alla persona, Anno 2003
Euro pro-capite Scuola materna Istruzione elementare Istruzione media Assistenza scolastica, trasporto, refezione e altri servizi Edilizia residenziale pubblica e economicopopolare Asili nido, servizi per l'infanzia e per i minori Strutture residenziali e di ricovero per anziani Assistenza, beneficenza pubblica e servizi diversi alla persona Totale in % della Spesa corrente Totale

Ripartizione territoriale Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Italia 25,8 25,9 24,7 8,8 19,5 14,5 16,6 12,9 8,4 12,4 8,1 7,7 6,6 5,1 6,7 47,3 38,0 52,0 31,4 40,7 6,2 5,4 3,5 3,5 4,6 31,4 30,1 34,6 13,5 25,3 16,4 21,4 8,8 3,5 11,2 61,9 76,7 58,2 45,4 57,9 211,6 221,8 201,3 119,6 178,2 25,9% 27,5% 22,8% 17,6% 22,8%

Classi dimensionali 0-5000 5000-20000 20000-50000 50000-100000 100000-200000 oltre 200000 Totale 11,7 10,2 9,2 16,0 32,9 51,6 19,5 13,0 11,0 10,5 11,8 13,9 15,8 12,4 7,4 6,6 5,9 6,2 6,7 7,0 6,7 35,6 36,8 38,6 39,7 39,0 56,5 40,7 1,4 1,7 3,9 5,9 8,4 11,2 4,6 5,4 17,1 22,2 27,2 39,6 57,1 25,3 11,1 9,8 6,0 10,4 20,1 16,5 11,2 44,2 50,3 56,2 60,3 73,8 79,4 57,9 129,9 143,5 152,6 177,5 234,5 295,1 178,2 18,2% 23,1% 22,8% 22,5% 27,2% 24,5% 22,8%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

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I Comuni del Mezzogiorno dedicano ai servizi alla persona una quota della loro spesa, che pur essendo inferiore alla media nazionale, non appare trascurabile allinterno della struttura di bilancio. Tuttavia, se si valuta lintervento in termini di spesa pro-capite, i Comuni del Mezzogiorno non riescono a garantire un servizio alla persona che vada di poco superiore alla met di quanto erogato dai Comuni del Nord. Come notato in precedenza, ci dipende essenzialmente da fattori strutturali legati alla dotazione del Mezzogiorno, che non consente ai Comuni di quel territorio di avere una capacit di spesa complessiva confrontabile con quelli settentrionali. Lanalisi congiunta delle quote di spesa e delle uscite pro-capite segnalerebbe per i Comuni del Sud non tanto una discrezionalit politica volta a dirottare le risorse di bilancio verso altre funzioni, quanto linsufficienza di risorse in grado di eguagliare la media nazionale a parit di quote di bilancio impiegate. Nello specifico, le distanze pi forti si evidenzierebbero per i servizi agli anziani e ai minori (asili nido), mentre meno marcato sarebbe il divario sugli interventi di assistenza sociale, salvo considerare che per questa voce vale una forte correlazione negativa con il reddito e questultimo, in media, risulta essere quasi la met di quello del Nord. La somma di questi elementi si pone in contrasto con le finalit della Costituzione che richiedono una sostanziale uniformit dei livelli essenziali di assistenza lungo il territorio e, in prospettiva, richiede un forte impegno in termini di perequazione. Tale assunto, pur ridimensionato nei termini, vale anche una volta tenuto conto delle diseconomie e della diversa domanda di servizi alla persona che esistono al variare della classe dimensionale del Comune. Come si pu vedere dalla tabella 3.7, esiste una chiara relazione positiva tra dimensione del Comune e spesa pro-capite per servizi alla persona. Tale relazione deriva sia da una maggiore domanda di tali servizi nei centri di maggiore dimensione, che in quelli piccoli vengono spesso sostituiti da autoproduzione (i nonni sono accuditi in famiglia e accudiscono i nipoti in assenza dei genitori, che peraltro di rado lavorano entrambi), sia dai maggiori costi di erogazione associati ai grandi centri. Poich nella ripartizione territoriale questi tendono a concentrarsi nel Centro-Nord, il divario di spesa pro-capite con larea meridionale tende ad essere enfatizzato, ma non alterato nella sua problematicit.

Lintervento pubblico comunale: alcuni caveat


Questa prima disamina della composizione del bilancio dei Comuni mette in luce alcuni aspetti che opportuno segnalare prima di passare ad analizzare in maggior dettaglio le politiche di intervento dei Comuni e le determinanti che ne condizionano le scelte, in quanto decisivi per linterpretazione delle risultanze di bilancio. In primo luogo, i Comuni svolgono una molteplicit di funzioni senza che nessuna di esse mostri una significativa prevalenza rispetto alle altre. Questo determina una sostanziale instabilit delle voci di bilancio in termini dinamici, generata dalle pressioni che luna esercita sullaltra. Ci impedisce di caratterizzare in modo univoco le scelte operate dai Comuni, anche quando si riesca ad individuare dei gruppi pi o meno omogenei, distinti per dimensione, struttura demografica, reddito, ubicazione. Lanalisi di bilancio deve essere quindi utilizzata come indizio e mai come prova dellefficacia o meno con cui ciascun Comune svolge il suo ruolo. Il secondo punto che anche luniverso dei Comuni molto frammentato e difficile da ridurre a categorie. Quanto esposto in precedenza, infatti, solo un tentativo di catalogazione a fini espositivi, ma non difficile riscontrare come allinterno di ciascun gruppo esistano peculiarit difficilmente riconducibili ad una

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regola generale. Ci espone lanalisi delle determinanti delle voci di spesa al rischio di sottorappresentazione del fenomeno. In effetti, anche analisi statistiche rigorose non riescono a spiegare significativamente i fenomeni osservati. A complicare il quadro, infine, concorre il fatto che i Comuni svolgono una parte consistente delle loro funzioni con affidamento a societ, il cui operato non desumibile dal bilancio del Comune stesso.

Servizi alla persona e sviluppo del territorio


Le attivit svolte dai Comuni rivestono un ruolo non trascurabile per i processi che caratterizzano lo sviluppo dei territori. Limpulso che le politiche comunali esercitano sullevoluzione delleconomia locale agisce sia direttamente sulla formazione del reddito disponibile della popolazione residente, con forme di sostegno diretto al reddito delle famiglie o con diversificazione del prelievo locale, sia indirettamente sulla struttura del mercato del lavoro, mediante lerogazione di servizi che contribuiscono a favorire la partecipazione al lavoro da parte delle categorie pi critiche, quali donne, giovani, immigrati. In questultimo caso, si tratta di servizi alla persona che sostituiscono limpegno privato, liberando risorse per una maggiore offerta di lavoro, ma che assecondano anche dinamiche demografiche che altrimenti attiverebbero pressioni sulla struttura sociale locale, inibendone un corretto sviluppo. In generale, si pu sostenere che, a parit di cose, una sostanziale presenza di servizi per linfanzia e per gli anziani possa essere associata ad una maggiore partecipazione femminile al lavoro, nonch ad un tessuto sociale pi coeso. Lerogazione di tali servizi, inoltre, accompagnata da altre forme di intervento assistenziale, specie nel campo delledilizia pubblica, contribuisce ad accrescere lo sviluppo demografico del territorio in modo equilibrato, arginando le tendenze allinvecchiamento della popolazione. Ovviamente, lerogazione dei servizi alla persona, richiedendo un costo, esplica i suoi effetti in modo differente a seconda delle metodologie di finanziamento. Se per alcuni servizi, criteri di finanziamento ricadenti sulla fiscalit generale (locale e non) appaiono coerenti con lerogazione di prestazioni a soggetti deboli, per altri, il ricorso a strumenti di tariffazione pi o meno commisurati alla capacit reddituale dellutente risulterebbero comunque auspicabili, soprattutto in quelle realt in cui pi forti sono le esigenze espresse dalla struttura demografica. Laspetto finanziario della spesa per i servizi alla persona non di portata trascurabile, in quanto tali esborsi costituiscono il 18% dellintervento corrente dei Comuni e una loro mancata copertura inevitabilmente si riflette sullequilibrio di bilancio. In questa sezione, si cercher di connotare quantitativamente gli aspetti sopra delineati, mettendo a confronto le grandezze di bilancio con alcuni indicatori demografici e macroeconomici, nel tentativo da un lato, di individuare le relazioni esistenti tra lattuazione delle politiche sociali da parte dei Comuni e lo sviluppo dei relativi territori, dallaltro di evidenziare lesistenza di criticit, anche in chiave prospettica, che talune dinamiche potranno manifestare sullequilibrio di bilancio.

Mercato del lavoro, sviluppo del territorio e servizi per i cittadini


Il primo passo per valutare la coerenza della spesa per servizi ai cittadini con le esigenze del territorio quella di analizzare la distribuzione regionale degli interventi, come classificata da una recente indagine dellIstat. Secondo tale rilevazione, nel 2003 la spesa di carattere sociale erogata dai Comuni stata pari a 5,3 miliardi di euro, largamente concentrata nel Nord (circa 3 miliardi di euro),

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lievemente inferiore al Centro (1,12 miliardi) e decisamente pi bassa al Sud e nelle Isole (0,54 e 0,48 miliardi, rispettivamente). L84% della spesa assorbita in tre aree di intervento: per la famiglia e i minori (38% del totale), per gli anziani (25%) e per i disabili (21%). La quota destinata alla popolazione immigrata ancora di entit contenuta, pari al 2,3% del totale (120 milioni di euro). Due terzi della spesa per le famiglie e i minori rappresentata da quella per gli asili nido, mentre tre quarti della spesa per gli anziani assorbita dalle strutture residenziali. Per quanto riguarda gli asili nido, solo 2.467 Comuni, pari al 30% del totale, gestiscono questo servizio che, per, data la distribuzione della popolazione per classi dimensionali del Comune, raggiunge i due terzi della popolazione italiana. Gli asili mancano totalmente nella met dei Comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, poich lattivazione del servizio avrebbe costi elevati rispetto al numero dei possibili beneficiari e nel 20% dei Comuni con popolazione compresa tra i 5 e i 20 mila abitanti. In particolare, lassenza del servizio caratterizza maggiormente i Comuni del Sud e i piccoli Comuni del Nord-Ovest. Il livello di copertura medio del servizio (il rapporto tra il numero di bambini che vivono in Comuni in cui disponibile il servizio e quello dei bambini di et inferiore a tre anni) assai variabile sul territorio: pari a circa il 75% al Nord, all80% al Centro, ma scende al 42% al Sud e al 48% nelle Isole. Tuttavia, la sperequazione territoriale si amplia sensibilmente quando si considerano i rapporti tra coloro che effettivamente frequentano un asilo e i bambini di et inferiore ai 2 anni. In questo caso, gli utenti effettivi sono pari a 145 mila unit, mentre quelli potenziali sono pari a 1,61 milioni, di cui circa 100 mila immigrati regolari. Il numero di quelli che effettivamente frequentano lasilo, varia da 239 unit ogni 10 mila bambini nel Sud ai 1.359 bambini su 10 mila nel Nord-Est. A causa dei requisiti di accesso al servizio basati sulle condizioni socio-economiche dei richiedenti, il rapporto tra le tariffe ricevute dagli utenti e la spesa per gli asili nido dove il servizio presente assai bassa: le tariffe coprono, in media, un quinto dei costi, anche se le differenze territoriali e dimensionali sono rilevanti. Al Sud e nelle Isole il tasso di copertura pari solo al 13%, mentre in tutto il resto del Paese oscilla tra il 21% nel Nord-Ovest e il 25% al Centro. Inoltre, esso decrescente al crescere del numero di abitanti del Comune: i Comuni fino a 5 mila abitanti coprono circa la met del servizio (52%), mentre quelli da 5 a 20 mila coprono i costi per il 29%; per i Comuni pi grandi il tasso di copertura basso (circa il 6%) mentre per i Comuni di medie dimensioni esso circa il 13%. Passando al comparto di spesa per gli anziani, si riscontra una diffusione di strutture residenziali sufficientemente elevata, presente in 4.791 Comuni, con una copertura di quasi l80% della popolazione. Ancor pi diffusi sono i servizi di assistenza domiciliare, vista la loro presenza in 7.117 Comuni (pari all88% del totale) e per un totale di circa il 93% della popolazione. Tuttavia, come nel caso degli asili nido, anche se in misura inferiore, il livello di copertura medio del servizio assai variabile sul territorio: pari a circa al 92% al Nord, all90% al Centro, ma scende al 53% al Sud e al 62% nelle Isole. Il tasso di copertura dei costi attraverso la tariffa consistente almeno per i Comuni di piccole e medie dimensioni che hanno attivato il servizio, dove oscilla tra il 65 e l90%; nei Comuni di grandi dimensioni, invece, la tariffa copre circa un quinto dei costi. A livello territoriale il tasso di copertura sembra essere minore al Nord rispetto al Sud, anche se la variabilit allinterno del territorio sempre molto elevata. Il quadro informativo sopra sintetizzato fornisce gi delle chiare indicazioni circa il disomogeneo grado di intervento lungo il territorio e per funzioni. Ma laccostamento ad alcuni indicatori demografici e macroeconomici a rendere il quadro dellintervento comunale nel settore sociale piuttosto preoccupante. Dalla

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figura sottostante, infatti, emerge nitidamente come lentit della spesa sociale sia positivamente correlata al reddito, a differenza di quanto ci si aspetterebbe vista la natura assistenziale di tale spesa. Figura 3.5 - La relazione tra reddito e spesa sociale (2003)
30000 28000 26000 24000
Pil nominale

R = 0,6303

22000 20000 18000 16000 14000 12000 10000 0 50 100


Spesa sociale, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

150

200

La stretta relazione positiva tra le due grandezze non riconducibile alla struttura demografica dei territori, in quanto anche scomponendo le voci di spesa per tipologia di intervento e parametrizzandole alla popolazione di riferimento, non emergono relazioni positive tra spesa per minori e presenza di bambini sotto i 3 anni o tra spesa per anziani e incidenza degli over-65 tra i residenti. Anzi, nel primo caso si riscontra addirittura una relazione negativa. Figura 3.6 - I bambini e la spesa per i minori (2003)
4,8 4,6
Incidenza % bambini<3anni sul totale

R = 0,4227

4,4 4,2 4 3,8 3,6 3,4 3,2 3 2,8 200 700 1200 1700

Spesa per minori, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

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Figura 3.7 - Over-65 e spesa per gli anziani (2003)


28,0 R = 0,0604 26,0
Incidenza % over-65 anni su totale
2

24,0 22,0 20,0 18,0 16,0 14,0 0 50 100 150 200 250

Spesa per anziani, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Ne consegue che, a guidare le scelte dei Comuni nello stanziamento di risorse per finalit sociali la dotazione reddituale dei residenti. Ovviamente, lesistenza di siffatta correlazione pu avere una duplice interpretazione, a seconda che si ipotizzi che sia la domanda di servizi ad orientare lintervento dei Comuni, oppure che sia la struttura di bilancio a qualificare la tipologia di intervento. Nel primo caso, si pu immaginare che nei territori a pi elevato reddito procapite la domanda di asili nido, intesa come disponibilit a pagare, sia pi elevata perch pi elevata la partecipazione femminile al lavoro. In sostanza esisterebbe una correlazione spuria tra reddito e spesa per minori, che rifletterebbe o la correlazione positiva tra maggiore occupazione femminile e reddito pro-capite o la correlazione negativa tra partecipazione femminile al lavoro e tasso di fertilit. Nella prima fattispecie, la maggiore partecipazione femminile al lavoro eserciterebbe una pressione di domanda sui Comuni e di conseguenza una maggiore spesa pro-capite per servizi allinfanzia. Sotto laltra ipotesi, invece, i territori con una maggiore occupazione femminile, essendo caratterizzati da una minor tasso di fertilit e da maggior reddito, dovrebbero registrare, anche a parit di domanda, una spesa pro-capite (sulla popolazione di riferimento) maggiore rispetto al resto del Paese. Se una delle suesposte condizioni fosse verificata, si giustificherebbe una maggiore spesa pro-capite per minori nei territori a pi elevato reddito pro-capite. Tuttavia, levidenza empirica non chiarificatrice, perch se vero che i territori a pi elevato reddito pro-capite sono anche quelli a maggiore partecipazione femminile, anche vero che non esiste alcuna correlazione tra tasso di fecondit e occupazione femminile. Inoltre, data, ad esempio, la struttura di accesso agli asili nido, regolata secondo criteri inversamente proporzionali al reddito, non dovrebbe trasparire una relazione positiva tra reddito e spesa per infanzia che lasciasse emergere una maggiore disponibilit a pagare dei nuclei familiari con entrambi i coniugi lavoratori.

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Figura 3.8 - Reddito e occupazione femminile (2003)


30000 28000 26000
Pil nominale, euro pro-capite
2

R = 0,8778

24000 22000 20000 18000 16000 14000 12000 10000 15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

45,0

Tasso % occupazione femminile Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 3.9 - Fecondit e occupazione femminile (2003)


45,0 40,0
Tasso % occupazione femminile

R = 0,0818

35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 30 32,5 35 37,5 40 42,5 45


Tasso % di fecondit
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

A rendere, peraltro, debole questa chiave di lettura concorre il fatto che, anche per tipologie di spesa assistenziali le cui finalit non sono correlabili a variabili macroeconomiche, permane una forte correlazione positiva con il reddito pro-capite del territorio in cui ubicato il Comune. questo il caso della spesa per disabili, positivamente correlata al reddito pro-capite e negativamente allincidenza dei disabili allinterno della popolazione del territorio.

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Figura 3.10 - Reddito e spesa per disabili (2003)


40 35
Spesa pre disabili, euro pro-capite

R = 0,4923

30 25 20 15 10 5 0 10000

15000

20000

25000

30000

Pil nominale, euro pro-capite


Fonte: elaborazioni REF su dati Ista t

Figura 3.11 - Incidenza dei disabili sulla popolazione e relativa spesa (2003)
70 65
Numero disabili per 1000 abitanti

R = 0,3539

60 55 50 45 40 35 30 0 5 10 15 20 25 30 35 40

Spesa per disabili, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Pi convincente, invece, sembra essere linterpretazione che assegna alla struttura di bilancio il ruolo di vera determinante dei servizi ai cittadini erogati dai Comuni. Sarebbero quindi il grado di autonomia finanziaria, intesa come disponibilit di risorse libere proprie, e la flessibilit di bilancio sul versante delle uscite a consentire lattivazione di maggiori flussi finanziari diretti alla spesa sociale, a prescindere dalle specifiche esigenze del territorio. Se questo fosse vero, una volta appurata la complementariet tra erogazione di servizi al cittadino e sviluppo economico del territorio, ma anche la necessit costituzionale di garantire livelli essenziali dassistenza uniformi, si

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aprirebbero non trascurabili problemi di perequazione delle capacit fiscali tra i Comuni nel corso del processo di attuazione del federalismo fiscale. Utilizzando un campione di Comuni rappresentativo della realt italiana, sembra emergere una sostanziale correlazione tra struttura di bilancio e erogazione dei servizi alla persona, anche se i fattori mostrati in precedenza dimensione del Comune e sua ubicazione si configurano come elementi esplicativi delle scelte di intervento dei Comuni. Come si pu vedere dai grafici allegati, la correlazione tra autonomia finanziaria (calcolata come rapporto tra entrate proprie e spesa al netto di quella sociale) e spesa sociale pro-capite, pur essendo significativa per il complesso dei Comuni considerato, assume maggior robustezza una volta scomposta per classi dimensionali. Inoltre, si pu verificare anche come, salvo parziali eccezioni per le aree metropolitane, il legame positivo tra autonomia finanziaria e intervento nel settore sociale sia pi stretto al crescere della dimensione del Comune. In questultimo caso, infatti, per i Comuni pi piccoli giocano un ruolo maggiore le diseconomie di scala, che ad esempio rendono irrealizzabile un asilo nido anche in presenza di notevoli risorse autonome, oppure la forte dipendenza erariale per il complesso della bilancio.

Figura 3.12 - Il legame tra autonomia finanziaria e spesa sociale (3000<Comuni<10000 ab.)
1400 R = 0,1061 1200
Spesa sociale, euro pro-capite
2

1000 800 600 400 200 0 0 0,5 1 1,5


Autonomia finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

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Figura 3.13 - Il legame tra autonomia finanziaria e spesa sociale (20000<Comuni<60000 ab.)
700 600
Spesa sociale, euro pro-capite

R = 0,2084

500 400 300 200 100 0 0,2 0,4 0,6


Autonomia finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

0,8

Figura 3.14 - Il legame tra autonomia finanziaria e spesa sociale (Comuni>60000 ab.)
700 600
Spesa sociale, euro pro-capite

R = 0,2258

500 400 300 200 100 0 0,2 0,4 0,6


Autonomia finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

0,8

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Figura 3.15 - Il legame tra autonomia finanziaria e spesa sociale (Comuni>10000 ab.)
700 600 500 400 300 200 100 0 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2
Autonomia finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

R = 0,1512

Figura 3.16 - Il legame tra copertura finanziaria del servizio e spesa sociale (Comuni>60000 ab.)
700 R = 0,1856 600 500 400 300 200 100 0 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25
Copertura finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)
2

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Spesa sociale, euro pro-capite

Spesa sociale, euro pro-capite

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Figura 3.17 - Il legame tra copertura finanziaria del servizio e spesa sociale (Comuni>10000 ab.)
700 R = 0,0863 600
Spesa sociale, euro pro-capite
2

500 400 300 200 100 0 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5
Copertura finanziaria Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

interessante notare che la relazione tra autonomia finanziaria e spesa per i servizi alla persona pi significativa e robusta di quella esistente tra grado di copertura finanziaria dei servizi erogati e entit dei servizi pro-capite. Infatti, sebbene questultima mostri caratteristiche simili a quella sopra rappresentata, ovvero significativit crescente al crescere delle dimensioni del Comune, appare dominata dallesistenza della prima. Ci conferma che, non la disponibilit a pagare degli utenti a guidare le scelte dei Comuni, cos come rappresentata dal grado di copertura finanziaria dei servizi, quanto la ricchezza del Comune, che a fronte di maggiori disponibilit di qualsiasi natura, eroga un maggior numero di servizi, non necessariamente dietro corrispettivo e ovviamente con diversi gradi di efficienza qui non contemplati. Da sottolineare, peraltro, come le scelte operate negli ultimi anni dal Governo centrale che, impegnato a contenere il debordo dei conti pubblici, ha frenato i trasferimenti ai Comuni proprio nel comparto dei servizi sociali, abbiano esercitato le pressioni maggiori nelle aree con pi basso reddito pro-capite e minore autonomia finanziaria. Viceversa, riscontrandosi una sostanziale incapacit dei Comuni a contrastare con adeguate politiche di sviluppo la condizione reddituale di partenza, ovvero la possibilit che la politica di riequilibrio territoriale avvenga a livello comunale, sarebbe stato opportuno, da un lato, predisporre forme di sostegno al reddito dei contribuenti dei territori pi svantaggiati, dallaltro adottare criteri incentivanti per il ricorso allindebitamento per finanziare investimenti nel settore dei servizi alla persona.

Limpatto dei flussi migratori sullerogazione dei servizi ai cittadini


Un aspetto che merita attenzione, anche per quanto sostenuto in precedenza, determinato dalle implicazioni che i flussi migratori potranno avere sulla struttura di bilancio e sulle politiche dei Comuni. In linea di principio, infatti, viste le determinanti della spesa per servizi alla persona reddito pro-capite, struttura demografica, partecipazione femminile al

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lavoro, dimensione del Comune ci si pu chiedere come queste possano interagire con il fenomeno della regolarizzazione degli immigrati che sta caratterizzando il nostro Paese. Limmigrazione, infatti, potrebbe agire anche sensibilmente in alcuni territori, in quanto: modifica la struttura demografica, in genere frenando il processo di invecchiamento e aumentando il numero di bambini; aumenta la dimensione del Comune, generando in alcuni casi possibilit di economie di scala, ma in altri, specie nelle grandi citt dove il fenomeno pi diffuso, maggiori oneri per il congestionamento dei servizi; pu incrementare il tasso di partecipazione femminile al lavoro, basti pensare al fenomeno delle badanti, anche se nei casi di ricongiungimento la donna potrebbe non lavorare; ha un effetto misto sul reddito, in quanto abbassa quello medio degli utenti dei servizi alla persona e, sotto certe condizioni, innalza quello medio dellarea in cui si localizza.

Di conseguenza, a seconda dellubicazione, della modalit e dellentit con cui si sviluppano i flussi migratori, possibile delineare alcune parziali implicazioni circa lo sviluppo dei territori e il ruolo dei Comuni. Attualmente gli stranieri residenti in Italia sono 2,4 milioni, pari al 4,1% della popolazione complessiva. La maggior parte di essi risiede al Nord (quasi il 64%), dove rappresentano quasi il 6% della popolazione, seguito dal Centro (il 24%), con un incidenza del 5% circa e, infine, il restante 12% vive al Sud, dove costituisce appena l1,4% dei residenti. Nelle statistiche ufficiali il loro numero fortemente cresciuto negli ultimi anni a seguito delle regolarizzazioni degli immigrati irregolari (nel 2001 essi erano solo 1,33 milioni). Nel tempo sta mutando anche il motivo dellimmigrazione nel nostro Paese: anche se i flussi migratori sono ancora prevalentemente indotti dalla ricerca di un lavoro in Italia (75% del totale), nellultimo decennio sono fortemente aumentate le richieste per ricongiungimenti familiari. Questo aspetto comporter precisi cambiamenti per la nostra finanza pubblica. Se, infatti, un numero crescente di lavoratori aiuta a compensare laumento del rapporto tra popolazione inattiva e attiva, laumento del numero di ricongiungimenti familiari (principalmente donne e bambini) agisce in senso opposto, soprattutto, come sembra, se le donne richiamate nel nostro Paese dal coniuge precedentemente immigrato per lavoro non svolgono alcuna attivit lavorativa. possibile intuire linizio di questa fase di transizione osservando le variazioni intercorse negli ultimi anni alla composizione per fasce di et della popolazione immigrata: mentre gli immigrati di et superiore ai 65 anni sono rimasti costanti in rapporto alla popolazione complessiva, il peso degli immigrati di et compresa tra i 18 e i 65 anni raddoppiato, mentre il peso dei minori passato dal 2,9% del 2001 al 5% del 2005. Oggi la popolazione immigrata giovane e circa l80% potenzialmente attiva. Ipotizzando che i ricongiungimenti familiari influiscano poco sul numero degli occupati e che gli immigrati abbiano, in media, un reddito non elevato, possibile ipotizzare che i servizi sociali sottoposti a maggior tensione a causa del fenomeno dellimmigrazione siano quelli per asili nido e per le famiglie e i minori in generale, fermo restando lintervento che i Comuni svolgono nellassistenza diretta agli immigrati in quanto tali. Queste problematiche, per, opportuno ricordare, sono correlate pi al breve periodo che non al medio-lungo, poich laumento degli immigrati nel prossimo futuro aumenter a tassi decrescenti e poich in futuro la loro composizione per et tender ad uniformarsi con quella della popolazione complessiva.

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Tabella 3.8 - Popolazione immigrata


Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino - Alto Adige Veneto Friuli - Venezia Giulia Liguria Emilia - Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia Popolazione (a) 2003 4.231.334 120.909 9.108.645 950.495 4.577.408 1.191.588 1.572.197 4.030.220 3.516.296 834.210 1.484.601 5.145.805 1.273.284 321.047 5.725.098 4.023.957 596.821 2.007.392 4.972.124 1.637.639 2005 4.330.172 122.868 9.393.092 974.613 4.699.950 1.204.718 1.592.309 4.151.369 3.598.269 858.938 1.518.780 5.269.972 1.299.272 321.953 5.788.986 4.068.167 596.546 2.009.268 5.013.081 1.650.052 Immigrati (b) 2003 127.563 2.949 378.507 35.794 183.852 43.498 41.920 163.838 127.298 32.362 54.660 167.480 24.348 2.500 43.202 35.092 3.560 18.374 50.890 11.686 381.800 189.652 2005 208.538 4.258 594.279 49.608 287.732 58.915 65.994 257.161 193.608 53.470 81.890 247.847 38.582 3.790 85.773 47.943 5.923 31.195 69.679 15.972 576.815 298.857 Incidenza (b)/(a) 2003 3,0% 2,4% 4,2% 3,8% 4,0% 3,7% 2,7% 4,1% 3,6% 3,9% 3,7% 3,3% 1,9% 0,8% 0,8% 0,9% 0,6% 0,9% 1,0% 0,7% 3,8% 3,5% 0,9% 2,7% 2005 4,8% 3,5% 6,3% 5,1% 6,1% 4,9% 4,1% 6,2% 5,4% 6,2% 5,4% 4,7% 3,0% 1,2% 1,5% 1,2% 1,0% 1,6% 1,4% 1,0% 5,8% 5,1% 1,4% 4,1% Popolazione <3anni (c) 2003 140.348 4.488 338.699 41.652 172.262 38.361 44.754 137.198 112.847 27.245 50.398 185.052 43.034 10.561 260.314 162.761 21.970 75.738 201.838 53.338 917.762 375.542 829.554 2.122.858 2005 146.153 4.548 357.584 42.031 178.790 39.528 47.093 146.233 120.451 29.049 52.271 198.206 43.943 10.231 257.883 160.352 21.328 74.564 202.540 53.120 961.960 399.977 823.961 2.185.898 Immigrati <3anni (d) 2003 10.179 243 31.115 2.580 15.333 2.356 2.418 13.590 8.680 2.302 4.231 9.318 1.344 101 2.390 2.119 166 817 3.275 524 77.814 24.531 10.736 113.081 2005 14.088 301 43.063 3.450 21.655 3.342 3.612 19.015 12.649 3.339 5.592 13.795 2.009 171 3.518 2.601 243 1.194 3.862 675 108.526 35.375 14.273 158.174 Incidenza (d)/(c) 2003 7,3% 5,4% 9,2% 6,2% 8,9% 6,1% 5,4% 9,9% 7,7% 8,4% 8,4% 5,0% 3,1% 1,0% 0,9% 1,3% 0,8% 1,1% 1,6% 1,0% 8,5% 6,5% 1,3% 5,3% 2005 9,6% 6,6% 12,0% 8,2% 12,1% 8,5% 7,7% 13,0% 10,5% 11,5% 10,7% 7,0% 4,6% 1,7% 1,4% 1,6% 1,1% 1,6% 1,9% 1,3% 11,3% 8,8% 1,7% 7,2%

25.782.796 26.469.091 10.980.912 11.245.959 20.557.362 20.747.325 57.321.070 58.462.375

977.921 1.526.485

1.549.373 2.402.157

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat. Dati espressi in unit e valori percentuali

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Nel breve periodo, tuttavia, limpatto sulla finanza pubblica locale potrebbe essere significativo. Per quanto riguarda la spesa per interventi e servizi sociali destinata agli immigrati regolari, questa appariva ancora limitata nel 2003 (ultimo anno disponibile), circa 120 milioni di euro, pari al 2,3% della spesa comunale totale, e largamente concentrata nei territori maggiormente interessati dai flussi migratori. In termini pro-capite, i Comuni pi generosi sono quelli di Basilicata, Lazio e Emilia Romagna, mentre il minimo rintracciabile in Liguria. Purtroppo, non esistono statistiche riferite al 2005 per avere cognizione delle pressioni direttamente esercitate sulle finanze dei Comuni dalla regolarizzazione degli immigrati, ma, ipotizzando che la spesa abbia seguito il tasso di crescita dei flussi migratori, tenendo ferma quindi la spesa unitaria registrata nel 2003, possibile valutare la dimensione del problema. Sotto questa ipotesi, infatti, la spesa dedicata direttamente agli immigrati nel 2005 sarebbe superiore ai 180 milioni di euro, circa il 3% della spesa sociale totale (stimata), con valori superiori al 7% per i Comuni laziali e poco inferiori al 6% per lUmbria.

Tabella 3.9 - La spesa dei Comuni per l'assistenza agli immigrati


Spesa per Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino - Alto Adige Veneto Friuli - Venezia Giulia Liguria Emilia - Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia *stima Fonte: elaborazioni REF su dati Istat. Dati espressi in euro e valori percentuali Immigrati 2003 8.374.294 274.775 17.772.528 2.788.480 10.226.232 3.119.826 1.669.331 16.860.553 9.254.397 2.494.388 3.695.075 28.740.217 1.006.721 136.786 2.784.801 3.121.666 661.642 404.903 3.894.439 1.233.105 61.086.019 44.184.077 13.244.063 2005* 13.690.165 396.742 27.903.949 3.864.640 16.004.254 4.225.586 2.628.002 26.464.414 14.075.047 4.121.344 5.535.852 42.531.506 1.595.257 207.368 5.528.928 4.264.848 1.100.816 687.436 5.332.297 1.685.363 95.177.752 66.263.748 20.402.312 Spesa per immigrati pro-capite 2003 (2005) 65,6 93,2 47,0 77,9 55,6 71,7 39,8 102,9 72,7 77,1 67,6 171,6 41,3 54,7 64,5 89,0 185,9 22,0 76,5 105,5 62,5 115,7 69,8 76,5 Incidenza su spesa 2003 1,5% 0,8% 2,1% 0,9% 2,1% 1,7% 1,1% 2,9% 2,2% 3,9% 2,9% 5,5% 1,5% 1,0% 1,3% 2,0% 2,6% 0,7% 1,4% 0,6% 2,0% 3,9% 1,3% 2,3% 2005* 2,3% 1,1% 3,0% 1,2% 3,1% 2,1% 1,5% 4,2% 3,1% 5,8% 3,9% 7,4% 2,2% 1,4% 2,3% 2,5% 3,9% 1,2% 1,8% 0,7% 2,8% 5,3% 1,8% 3,1%

118.514.159 181.843.813

Ovviamente, lintervento diretto di assistenza agli immigrati costituisce laspetto minoritario rispetto al complesso dei servizi cui le persone straniere regolarizzate hanno diritto. Sotto questo aspetto, come detto, le pressioni pi significative dovrebbero interessare la categoria dei servizi ai minori, in particolare gli asili

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nido, con modalit peraltro differenti. Da un lato, infatti, avendo riscontrato che nellerogazione dei servizi esistono delle limitazioni allofferta imposte dalla struttura di bilancio preesistente, la maggiore domanda potr manifestarsi solo con un aumento della richiesta di servizi. Non detto quindi che si verifichi un impatto negativo sui bilanci dei Comuni, anche se indirettamente il bilancio ne risente dal versante delle entrate, visto che la mancanza di servizi influenza la formazione del reddito e quindi del gettito. Ed proprio su questo fronte che i rischi sono maggiori. Infatti, soffermandosi nellambito degli asili nido, essendo garantita una preferenza di accesso al servizio sulla base delle condizioni socio-economiche, ed essendo il bacino di utenza limitato, ci implica che, se non verr aumentata lofferta, la spesa per asili e minori in genere sar principalmente convogliata verso la popolazione immigrata. Se questo si verifica, per, dato che gli immigrati regolari sono caratterizzati da un livello di reddito medio-basso, aumenter il costo di bilancio a causa di una netta separazione tra la tariffa media richiesta e leffettivo costo di erogazione dei servizi, soprattutto quelli per asili nido. Tuttavia, dai dati di bilancio non traspare una chiara relazione tra copertura del servizio e incidenza della popolazione regolarizzata. Anzi, sembrerebbe emergere un legame inverso, quasi a segnalare la presenza di meccanismi di tarrifazione che, pur basati su criteri di accesso preferenziali per i redditi pi bassi, costituirebbero dei sistemi di sbarramento per quei redditi particolarmente bassi, non in grado di sostenere neanche le tariffe minime. La frammentariet dei dati a disposizione non consente di fornire unindicazione robusta su questo fronte, che necessiterebbe di informazioni sulla tipologia di fruitori degli asili nido e dei servizi per i minori in generale.

Figura 3.18 - Popolazione immigrata (<3 anni) e copertura servizi alla persona (2003)
0,16 0,14 0,12 0,1 0,08 0,06 0,04 0,02 0 Marche Toscana Friuli - Venezia Giulia Trentino - Alto Adige Abruzzo Molise Lazio Valle d'Aosta Campania Piemonte Veneto Puglia Emilia - Romagna Sicilia Lombardia Sardegna Liguria Basilicata Calabria Umbria Grado di copertura finanziaria Quota immigrati (*)

(*) Incidenza immigrati su totale popolazione (bambini < 3anni) Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Ministero Interno

In conclusione, il quadro delineato sottolinea alcuni elementi contraddittori: lofferta non pu essere facilmente ampliata a causa di un aumento dei costi che non tutti i Comuni sono in grado di affrontare; la struttura tariffaria improntata al perseguimento di finalit equitative impatta negativamente sullofferta di lavoro femminile della popolazione residente, perch, da un lato tendono ad essere

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escluse le donne con maggior reddito medio e pi alta disponibilit a pagare, dallaltro rischiano di essere escluse le classi di reddito estremamente povere, che trovano pi conveniente lautoproduzione, come nel caso degli immigrati, che in alcune Regioni costituiscono oltre il 10% dellutenza potenziale.

I servizi pubblici locali: una caratterizzazione della realt italiana


Lo stato di attuazione delle riforme
I servizi pubblici locali sono stati protagonisti di radicali mutamenti normativi nel corso degli anni 90. Il primo settore, cronologicamente, ad essere investito dalla riforma quello dei servizi idrici, che nel 1994 con la legge Galli (l. 36/94) inizia un lento processo di industrializzazione e liberalizzazione, peraltro ancora non compiuto. Seguono nel 1997 la riforma dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (decreto Ronchi) e la riforma del trasporto pubblico locale (Decreto Burlando 422/1997). Infine, tocca ai settori dellenergia: il processo di liberalizzazione del settore dellenergia elettrica ha avuto il suo inizio con il Decreto Bersani nellaprile del 1999 (Decreto 78/99); la ristrutturazione del settore del gas naturale stata definita dal Decreto legislativo 164/00 (Decreto Letta), che recepiva nellordinamento italiano la direttiva di liberalizzazione del mercato europeo del gas 98/30/CE. Alle riforme settoriali si affianca il processo di revisione del testo unico degli Enti locali iniziato nel 2001 e alloggi ancora in fieri. In generale le riforme miravano a conseguire una gestione economica ed efficiente del servizio attraverso lesternalizzazione a societ di capitali, superando lelevata frammentazione dellofferta. Inoltre, si prevede la separazione fra funzione di programmazione e regolamentazione (in capo alle Amministrazioni pubbliche) e gestione industriale del servizio. Lattuazione delle riforme proceduta a ritmi diversi nei singoli servizi e nel complesso non pu ancora considerarsi compiuta. La gestione dei servizi di pubblica utilit appare meno frammentato rispetto al passato solo nel Nord e nel Centro del Paese; il Sud, invece, stato interessato solo marginalmente dai processi di riforma dellultimo decennio. Nel settore del gas e dellenergia elettrica si assistito al progressivo abbandono della fornitura diretta da parte dei Comuni per passare ad unofferta da parte di societ di capitali regolamentate e spesso ad alta partecipazione comunale al fine di sfruttare le economie di scala. Oggi la quasi totalit di questi servizi offerto dal mercato, anche se il Comune individua le caratteristiche qualitative e quantitative dei servizi. Le ragioni vanno ricercate nella maggiore economicit di gestione, nella maggiore potenzialit espansiva di alcune aziende municipalizzate, nella spinta verso linnovazione tecnologica e il conseguente miglioramento della qualit dei servizi offerti e negli ingenti capitali necessari per gli investimenti che dovevano coinvolgere anche le iniziative economiche private. Per gli altri settori, servizio smaltimento rifiuti e servizio idrico integrato, lobiettivo stato quello di individuare un bacino di utenza ottimale (gli Ambiti territoriali Ottimali) e di gestire per mezzo di ununica impresa le funzioni caratterizzanti tali servizi. Il decreto Ronchi prevedeva la creazione di un sistema integrato per i rifiuti che considerasse non solo la raccolta, ma anche il trasporto, il recupero e lo smaltimento. Similmente, per il servizio idrico, la Legge Galli si proponeva la gestione integrata di acquedotti, fognature e depurazione delle acque reflue. Tali previsioni legislative hanno individuato un punto di

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partenza a cui in questi anni gli Enti locali hanno saputo dare attuazione solo parziale e con differenze sul territorio. Per quanto riguarda il settore idrico, ancora a met del 2005, circa il 45% dei Comuni e il 33% della popolazione veniva coperto con una gestione diretta del Comune. I maggiori ritardi si accusano al Nord e al Sud, con quasi met dei Comuni che ancora non hanno provveduto allaffidamento a terzi del servizio idrico integrato, mentre nellItalia centrale solo il 15% dei Comuni registrava un ritardo nellesternazione del servizio6. Fra i comparti dellalveo dei servizi pubblici locali, quello dei trasporti quello che mostra le maggiori difficolt. Si tratta di un servizio sussidiato in Italia come nel mondo intero. La riforma prevedeva una nuova ripartizione di competenze: lattribuzione alle Regioni della responsabilit di programmazione e finanziamento del servizio e agli Enti locali delegava le funzioni di programmazione operativa. Inoltre, si stabiliva laffidamento tramite gara del servizio a societ di capitali a cui i Comuni avrebbero dovuto affidare la gestione prevedendo una copertura minima dei costi attraverso i ricavi del traffico (35%). Nonostante il numero delle societ di capitali che gestiscono questi servizi sia notevolmente aumentato negli ultimi anni quasi esclusivamente al Nord e al Centro, tali societ sono totalmente o prevalentemente di propriet del Comune stesso. In questa situazione i Comuni sono per riusciti, grazie al miglioramento della economicit di gestione delle imprese controllate, a beneficiare di un incremento di entrate derivante dalla distribuzione dei dividendi o dalla cessione di partecipazioni di queste societ, anche se le limitazioni imposte ai trasferimenti dalle ultime Leggi finanziarie hanno affievolito la possibilit di ottenere per questa via miglioramenti delle entrate a parit di spesa.

Le tariffe e la copertura dei costi del servizio


Il decorso della normativa che induce i Comuni ad esternalizzare i servizi pubblici locali rende frammentato il panorama territoriale e impone una sostanziale cautela nellanalisi dei bilanci dei Comuni, che nascondono allinterno di essi processi di riforma del servizio anche sostanziali. Tuttavia, tali dati consentono, almeno in prima approssimazione, di fornire un quadro della struttura dei costi e dellefficienza gestionale, cos come espressa dal grado di copertura dei servizi erogati, entrambi significativi ai fini dellanalisi del ruolo delle Amministrazioni locali nel favorire lo sviluppo dei territori in cui sono ubicate. La maggior spinta verso lefficienza e la totale copertura dei costi deriva dal servizio integrato di smaltimento rifiuti. A regime previsto il passaggio dal tributo parametrato alla superficie utilizzata dai proprietari di immobili alla tariffa in due parti: una fissa al fine di considerare la necessit di investimenti e laltra parametrata alla effettiva produzione di rifiuti, al numero dei componenti del nucleo familiare e allimpegno civico verso la riduzione e la razionalizzazione della quantit prodotta. Per quanto il Decreto Ronchi sia stato emanato nel 1997 e successivamente rinviato a causa delle resistenze locali, nel 2004 solo 564 Comuni, pari al 7% del totale e riguardante circa 9,8 milioni di abitanti, finanzia tale servizio attraverso la tariffa, anche se la copertura dei costi non totale e caratterizzata da elevata variabilit. Attualmente la sperimentazione riguarda per la maggior parte i Comuni del Nord (l80%) e principalmente di dimensioni medio-piccole.

Indagine sui servizi idrici, ISTAT, 2005.

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Secondo i dati dellAPAT, considerando i proventi del servizio smaltimento rifiuti e le spese di questo servizio nel 1999, in media i Comuni riuscivano a coprire l80% dei costi: quelli che avevano un tasso di copertura superiore erano circa il 60% (di cui solo 400 Comuni hanno una copertura integrale), mentre il rimanente 40% presentava tassi di copertura variabili tra il 50 e l80%. Dallanalisi dei bilanci del 2003, la situazione sembrerebbe migliorata: il tasso di copertura medio dei costi di circa il 91%, anche se scende all82% al Sud ed superiore allunit nel Nord-Ovest (al Centro circa il 91%). Nel dettaglio regionale, i Comuni pi virtuosi sono quelli dellEmilia Romagna e delle Marche, che registrano un avanzo di parte corrente nella gestione del servizio, mentre quelli con maggiori deficit sono collocati nel Lazio, Molise e Calabria. Dai dati presenti in tabella si evince che il livello di spesa pro-capite non incide sulla capacit di copertura del servizio. Allo stesso modo, dalla ripartizione dimensionale non sembra emergere una chiara relazione n tra spesa pro-capite e popolazione, n tra questultima e il tasso di copertura. Tabella 3.10 - La spesa dei Comuni per il servizio di smaltimento rifiuti
Servizio smaltimento rifiuti Regioni Piemonte Lombardia Liguria Trentino A.A. Veneto Friuli V.G: Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Spesa pro-capite 102,8 92,6 141,0 51,4 49,9 78,2 72,9 113,0 101,0 72,2 65,2 87,4 70,2 111,9 94,0 76,1 79,1 106,1 100,2 89,8 Tasso di copertura 96,1% 101,5% 102,5% 86,8% 90,7% 89,1% 108,5% 99,3% 91,2% 111,0% 74,6% 88,2% 74,7% 78,1% 86,6% 86,6% 76,2% 83,5% 86,4% 91,1%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

Il grado di copertura dei costi del servizio, invece, sembra essere influenzato da altri fattori. In particolare, si rileva una discreta relazione positiva tra autonomia tributaria e tasso di copertura del servizio, segno da un lato, della presenza di maggiori capacit gestionali complessive allinterno di unamministrazione, ma dallaltro, della difficolt di intervenire con le tariffe in territori con basso reddito pro-capite. In ogni caso, come spesso accade nei problemi di finanza locale, chi pi efficiente tende a spendere meglio, mentre chi ha una situazione di bilancio poco brillante o pu vantare consistenti trasferimenti dal Centro tende ad essere meno responsabile dal punto di vista del bilancio. Come mostrato, in seguito, inoltre, anche la dotazione di impianti per lo

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smaltimento di ciascuna area tende a condizionare gli oneri di natura corrente per lerogazione del servizio. Figura 3.19 Disciplina fiscale e efficienza gestionale nel servizio di smaltimento dei rifiuti
40,0% 35,0% 30,0%
Autonomia tributaria

R = 0,2468

25,0% 20,0% 15,0% 10,0% 5,0% 0,0% 60,0%

70,0%

80,0%

90,0%

100,0% 110,0% 120,0%

Grado di copertura dei costi


Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

Una situazione analoga, motivata dalla carenza di investimenti infrastrutturali soprattutto al Sud, caratterizza il servizio idrico integrato. La disponibilit di acqua pro-capite non presenta una variabilit geografica di un certo rilievo; tuttavia, la disparit pi marcata considerando la quota di risorsa idrica che viene persa nel processo distributivo, maggiore al Sud e inferiore al Nord e comunque assai variabile da zona a zona (cfr. capitolo 4). Nella tabella 3.11, pertanto, possono verificarsi alcune differenziazioni di costo e di copertura del servizio a seconda che sia direttamente il Comune a gestire il servizio oppure che questo sia affidato ad un gestore privato. I dati sono tratti dai bilanci dei Comuni e riferiti allanno 2003. Come si pu vedere, il grado di copertura dei costi del servizio varia anche significativamente da una regione allaltra, mentre pi omogeneo nella scomposizione dimensionale. Come detto, ci dipende essenzialmente dal grado di esternalizzazione del servizio a conferma di quanto rilevato dallindagine IndisREF, che evidenzia come il grado di copertura del servizio vari tra gestione diretta e affidata. I Comuni che gestiscono direttamente il servizio tendono a registrare un grado di copertura dei costi minore rispetto a quello dei gestori privati, non tanto per una maggiore onerosit della gestione, quanto per una minore capacit di acquisire i ricavi.

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Tabella 3.11 - La spesa dei Comuni per il servizio idrico


Servizio idrico Regioni Piemonte Lombardia Liguria Trentino A.A. Veneto Friuli V.G: Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Spesa pro-capite 14,1 23,4 24,7 73,8 18,9 18,9 10,1 14,6 12,4 14,3 26,2 30,9 58,3 37,0 6,4 16,2 68,1 28,5 43,6 24,5 Tasso di copertura 79,2% 119,2% 81,7% 69,7% 80,2% 87,6% 64,5% 42,2% 44,9% 48,5% 62,9% 54,2% 73,9% 65,1% 15,9% 45,4% 68,2% 83,8% 65,2% 75,6%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

Tabella 3.12 - Indicatori del servizio di acquedotto


Totale Copertura costi
(1)

Affidata 94,6 0,54 0,58 0,44 26,7 4.973

Diretta 86,2 0,37 0,43 0,32 20,0 2.804

92,3 0,51 0,55 0,42


(3) (4)

Ricavi unitari (euro/mc) Costi unitari (euro/mc) Tariffa media


(2)

Quota volumi persi totale, %


(1) (2) (3) (4)

25,4 4.572

Indice lineare delle perdite totali Ricavi totali in % dei costi totali

Calcolata come ricavi totali da vendita acqua su volumi fatturati in mc/anno In percentuale dei volumi in ingresso alla distribuzione Perdite in mc/anno su chilometri di rete

Fonte: elaborazioni REF su dati Indis (2004)

Come si pu vedere dai grafici sotto riportati, dallanalisi dellattuazione della Legge Galli, operata sui dati di spesa per il servizio idrico integrato tratti dai bilanci dei Comuni, emerge una chiara differenza tra le Amministrazioni che hanno attuato la riforma Galli e quelle che ancora non hanno individuato il gestore unico. Per le prime, infatti, si registra un costo pro-capite del servizio sensibilmente inferiore, mentre quasi tutte le Amministrazioni che hanno mantenuto la gestione diretta del servizio accusano maggiori oneri di gestione.

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Figura 3.20 - Attuazione legge Galli e spesa per il servizio idrico (Piemonte)
100 90 80 70
Euro pro-capite

NO GALLI

60 50 40 30 20 10 0 AT TO AL NO VC CN BI VB GALLI

Elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

Figura 3.21 - Attuazione legge Galli e spesa per il servizio idrico (Lombardia)
100 90 80 70
Euro pro-capite

NO GALLI

60 50 40 30 20 10 0 BG BS MI CR CO PV SO VA LO LC MN
Elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

GALLI

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Figura 3.22 - Attuazione legge Galli e spesa per il servizio idrico (Campania)
120

100 NO GALLI Euro pro-capite 80 GALLI

60

40

20

0 NA SA AV BN BV CE Elaborazioni REF su dati Ministero Interno (2003)

Ovviamente, tali risultati non possono essere conclusivi, ma identificano la possibilit che il mancato affidamento del servizio possa sottendere lesistenza di inefficienze gestionali nellamministrazione. Per quanto attiene il servizio di trasporto pubblico locale, i dati di bilancio consentono solo una parziale disamina del fenomeno, in quanto i criteri di contabilizzazione non sono uniformi tra i Comuni e non si dispone di un dettaglio della voce di spesa per tale funzione, ma essa viene ricavata per differenza dalla macrovoce Viabilit e Trasporti. In generale, il servizio erogato da aziende private a larga partecipazione pubblica, seguite da quelle totalmente private o con partecipazione pubblica minoritaria e residualmente dalla gestione diretta delle Amministrazioni locali. Ne deriva che, almeno dal punto di vista contabile, il ruolo dei Comuni nellambito del trasporto pubblico locale appaia secondario. Ci evidente dai dati sulla spesa pro-capite desunti dai bilanci. Inoltre, poich gran parte della copertura dei costi del servizio assicurata con forme di trasferimento dalla Regione o dai ricavi dei gestori, risulta impossibile determinare il grado di copertura tariffario del servizio. Nella tabella 3.13, infatti, si evince chiaramente come per gli aggregati regionali, solo una frazione piccolissima delle spese sostenute viene coperta direttamente da introiti del comune, in quanto i valori dei piccoli Comuni che gestiscono direttamente il servizio risultano largamente diluiti. Soffermandosi esclusivamente sui Comuni che gestiscono direttamente il servizio, occorre notare che questi erano poco meno di 230 alla fine del 2003, con una spesa pro capite di circa 18 euro e un grado di copertura del servizio di circa il 37%, ovvero leggermente sopra la soglia imposta dalla legge allente gestore (pari al 35%). Data la scarsit di rilevazioni, difficile rintracciare regolarit o indicatori di performance per questo tipo di servizi strettamente connessi allattivit dei Comuni. Lunico elemento di tipo qualitativo che si pu sottolineare che,

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nonostante lintento volto a liberalizzare il servizio, permane ancora sotto forma di partecipazione il ruolo del Comune come principale attore. Tabella 3.13 - La spesa dei Comuni per il servizio di trasporto pubblico locale
Trasporto pubblico locale Regioni Piemonte Lombardia Liguria Trentino A.A. Veneto Friuli V.G: Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Spesa pro-capite 57,5 10,7 70,6 18,7 27,4 0,8 4,5 30,5 26,0 16,5 122,2 6,0 14,0 22,5 13,9 24,2 1,1 15,7 3,1 29,6 Tasso di copertura 0,2% 6,7% 0,9% 3,4% 0,1% 1,5% 1,8% 1,0% 0,0% 3,9% 1,0% 2,2% 0,8% 0,4% 0,9% 0,5% 1,5% 0,4% 0,5% 1,1%

Fonte: elaborazioni REF su dati Ministero dell'Interno. Anno 2003

Federalismo e servizi ai cittadini: quali scenari per il finanziamento?


Le innovazioni costituzionali apportate negli ultimi anni sono state finalizzate a disciplinare due aspetti della struttura dellintervento pubblico: attuare, dal lato della spesa, il principio di sussidiariet attribuendo agli Enti locali molte funzioni, escluse quelle specificamente riservate allo Stato, in quanto di interesse generale; riconoscere agli Enti locali, dal lato delle entrate, la facolt di applicare tributi propri e il diritto a disporre dei proventi di addizionali e sovra-imposte su tributi erariali e compartecipazioni al gettito riferibile al loro territorio. I cambiamenti apportati nel corso degli anni derivano dalla crescente consapevolezza della necessit di responsabilizzare gli Enti che erogano spese, attribuendo loro entrate autonome e definendo di conseguenza vincoli di bilancio potenzialmente pi chiari. Con il Patto di stabilit interno, che richiede a tutto il sistema della Pubblica Amministrazione comportamenti di bilancio coerenti con i vincoli esterni sui saldi di finanza pubblica, gli Enti locali sono stati infatti chiamati a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di contenimento del disavanzo e di riduzione del debito, nei termini previsti dal Patto di stabilit europeo. Con lampliarsi dellautonomia tributaria, inoltre, gli Enti locali dovranno necessariamente aumentare la loro capacit di monitorare gli effetti distributivi

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delle misure che mettono in atto e studiare le variazioni che queste comportano sul piano dellequit nella realt locale. Ovviamente, il sistema che si venuto formando espone la funzionalit della Pubblica Amministrazione a non pochi rischi. Esiste, infatti, un potenziale conflitto tra autonomia territoriale e Patto di stabilit interno, che di fatto rappresenta un vincolo per le decisioni di spesa degli Enti, cos come le recenti leggi finanziarie hanno evidenziato; non sembra, poi, che gli Enti locali siano ancora pronti a sfruttare in modo efficace la leva fiscale. La tensione tra diritti di cittadinanza e autonomia locale influir notevolmente sulle prospettive future di decentramento fiscale e amministrativo. Da qui la necessit di predisporre accurati meccanismi di perequazione, che sono indispensabili per mantenere lunit in uno Stato caratterizzato da un dualismo economico, ma che limitano la libert decisionale e il senso di responsabilit della Periferia e pongono le basi per ripiani ex-post del governo centrale. Da non trascurare, inoltre, come il nostro Paese sia caratterizzato da una sostanziale incongruenza, che vede il patrimonio immobiliare pubblico per due terzi in mano agli Enti locali, mentre il debito quasi totalmente a carico dello Stato. A fronte di questi aspetti critici, alcune soluzioni appaiono auspicabili. Per quanto riguarda lautonomia fiscale, la via alternativa per laumento delle entrate proprie lintensificazione delle tariffe, cio il corrispettivo richiesto ai cittadini per i servizi pubblici offerti. Attualmente lautonomia gestionale (rapporto tra entrate da corrispettivo e spesa corrente) non ha dimensioni rilevanti, poich supera il 30% solo per il 3,6% dei Comuni, mentre minore del 10% per il 53,6%. La media nazionale, altalenante ma decrescente rispetto alla classe dimensionale, solo pari al 9,9%, minore al Sud rispetto al Nord e al Centro. Considerando che i Comuni del Sud sono caratterizzati anche da una minore autonomia tributaria, tale situazione aggrava la loro reale capacit di autonomia rispetto al resto del Paese. Oggi una quota consistente di spesa pubblica complessiva tende a favorire la classe media e non i poveri. Sarebbe forse opportuno ripensare alla struttura delle tariffe al fine di privilegiare veramente i poveri e richiedere sforzi aggiuntivi a quella fascia di popolazione che pu sostenere una quota maggiore del costo e che probabilmente la maggiore beneficiaria del servizio. Non sempre ci possibile. Ad esempio, nel caso del servizio di smaltimento rifiuti (il cui finanziamento avviene attraverso un contributo e non propriamente una tassa) opportuno, per ragioni di efficienza, fissare un contributo parametrato alla quantit di rifiuti prodotta, come alcuni Comuni stanno gi sperimentando anche per ridurre i costi di questo servizio pubblico; per le tariffe degli asili nido, poi, valgono le considerazioni di efficienza allocativa analizzate nei paragrafi precedenti. Se le entrate saranno caratterizzate da una dinamica poco accentuata, la via pi ragionevole dunque il contenimento delle spese. Questo non necessariamente implica una riduzione dei servizi offerti, ma almeno una riduzione degli sprechi. Fissare un livello di spesa osservando le potenzialit di gettito sembra la strada pi virtuosa. Oggi tale situazione non rispettata, e questo si ripercuote sulle potenzialit di offerta di alcuni servizi sociali ad alta intensit di lavoro, come i servizi per le famiglie e i minori e per le case di cura per gli anziani. Ci implica che i Comuni saranno chiamati a ricercare, gi nel breve periodo, ampi spazi di efficienza nella gestione di bilancio, ma considerando la diseguale distribuzione del reddito e della ricchezza e lampliarsi dei servizi di competenza degli Enti locali, si prospetta un aumento della gi diseguale offerta di servizi pubblici locali.

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La generale insoddisfazione degli Enti locali li ha spinti a ricercare modalit alternative di finanziamento. Losservazione della relazione della Corte dei Conti (2005) sembra allarmante: la crisi di liquidit che andata delineandosi ha sospinto gli Enti territoriali ad un recupero finanziario affidato ad un pi consistente ricorso al debito che segna infatti livelli crescenti. Il sostenuto ricorso al debito ha trovato la principale causa nella insufficiente evoluzione delle entrate locali. Il dato preoccupante lutilizzo che stato fatto del debito: anche se per met utilizzato per finanziare la spesa per investimenti, una quota consistente di debito stata accesa per fronteggiare le limitazioni imposte ai Comuni attraverso le ultime leggi finanziarie. Figura 3.23 - La finanza dei Comuni
130,0 2003 Indice 2003=100, valori cumulati 120,0 2004 2005

110,0

100,0

90,0

80,0 Spesa per erogazione servizi Spesa per investimenti Debito

Fonte: elaborazioni REF su dati Banca d'Italia, Istat, Ministero Interno

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4. La rete infrastrutturale per lo sviluppo locale


Introduzione e sintesi dei risultati
Il ruolo degli Enti territoriali sullo sviluppo del territorio, oltre che con gli interventi di spesa di natura corrente, si esplica con la creazione e gestione delle infrastrutture pubbliche. Allinterno della Pubblica Amministrazione le Amministrazioni locali rivestono un ruolo primario nella politica degli investimenti: circa il 60% della spesa totale per investimenti, infatti, veicolata dagli Enti territoriali. Si tratta di interventi di vario genere, che incidono direttamente (finanziamento delle opere) o indirettamente (concessione di autorizzazioni) sulla formazione delle infrastrutture e si articolano su molteplici settori con intensit diversa lungo il territorio. Partendo dal presupposto che la dotazione infrastrutturale dei territori costituisce un requisito indispensabile per lo sviluppo dei medesimi, il presente capitolo si pone lobiettivo di descrivere lo stato dellarte del sistema delle infrastrutture, evidenziando, nei modi che si rendono possibili, il ruolo che gli Enti territoriali svolgono nello sviluppo del territorio attraverso la politica di investimenti. Nel fare questo, si mettono in risalto le diversit che caratterizzano le diverse aree del Paese e lo stato complessivo delle infrastrutture rispetto al contesto internazionale. In questo modo, si cerca di fare emergere, da un lato, le eventuali carenze del Paese rispetto ai principali partner europei, dallaltro, gli elementi che caratterizzano determinate Regioni rispetto ad altre. Con riferimento allanalisi territoriale, si terr conto sia delle esigenze espresse dal territorio, cos come esse traspaiono da alcuni indicatori locali, sia dellintervento profuso dagli Enti, cos come lo si pu desumere dallanalisi dei bilanci. Ci permette di identificare il ruolo che le Amministrazioni locali giocano nel favorire o contrastare la convergenza tra i territori. Una volta definito il quadro delle infrastrutture lungo il territorio e i comparti nel primo paragrafo, si procede alla costruzione di un indice sintetico della dotazione infrastrutturale, che consente di valutare sia il modo in cui il complesso delle infrastrutture si pone in relazione con lo sviluppo dei territori, sia la distribuzione tra le Regioni della domanda di infrastrutture, espressa come differenza dalla dotazione media nazionale. Inoltre, unendo tale informazione con quella finanziaria riferita allattribuzione delle risorse alle Amministrazioni decentrate derivante dallapplicazione del federalismo fiscale, si fornisce unindicazione circa la domanda potenziale di fondi necessari a colmare le profonde differenze che caratterizzerebbero il Paese a federalismo applicato (paragrafo 2). Infine, nel terzo paragrafo, sempre nellottica di valutare il ruolo giocato dalle Amministrazioni locali nel promuovere lo sviluppo del territorio, si mostra levidenza empirica delle recenti pratiche concessorie nellambito della costruzione o ampliamento di potenza delle centrali elettriche, evidenziando i comportamenti delle Amministrazioni coinvolte e i fattori che contribuiscono ad alimentare i ritardi in tali procedure. I principali risultati possono essere riassunti come di seguito: nel confronto internazionale, lItalia presenta dei ritardi considerevoli nella dotazione infrastrutturale; la distribuzione territoriale delle infrastrutture caratterizzata da ampie diversit, in particolare nei settori della distribuzione del gas metano, della qualit dei trasporti, delle strutture sanitarie, degli impianti di smaltimento dei rifiuti;

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una misura sintetica della dotazione di infrastrutture calcolata sulla base delle esigenze di ciascun territorio mostra una chiara differenziazione tra le diverse aree territoriali di cui si compone il Paese. La regione pi infrastrutturata la Lombardia, mentre quella pi carente, con una dotazione inferiore del 35% a quella lombarda, la Campania. Lindice di dotazione infrastrutturale perfettamente correlato al reddito pro-capite del territorio e alla spesa per investimenti in opere pubbliche, mostrando un evidente problema di divergenza allinterno del Paese. Il divario si accentua considerando, ipoteticamente, le risorse che saranno disponibili con lapplicazione del federalismo. Regioni come la Campania e la Sicilia dovrebbero attivare una leva finanziaria pari a circa il 100% delle proprie risorse per colmare il gap che le separa dalla media nazionale; il ruolo delle Amministrazioni locali non ha un segno univoco nella determinazione di fenomeni di convergenza o divaricazione dei territori, anche se complessivamente domina laspetto finanziario connesso alle risorse di bilancio e quindi il tratto divergente che caratterizza le due aree duali del Paese. Si possono individuare segnali di azione riequilibrante nei comparti del servizio di depurazione delle acque, dello smaltimento dei rifiuti e delle infrastrutture stradali. Viceversa, emergono spinte alla differenziazione dovute al decentramento nei settori dellenergia, della sanit, della scuola e dei servizi dacquedotto.

La distribuzione territoriale delle infrastrutture


Il quadro della dotazione infrastrutturale del Paese molto controverso e solo di recente lIstat, con un corposo dataset, ha fornito degli elementi per tracciare un primo bilancio sulla conformazione della rete delle infrastrutture in Italia. Le informazioni consentono di predisporre un quadro statico per quanto concerne la dotazione di strade, autostrade, linee ferroviarie, rete di distribuzione e produzione dellenergia, servizio idrico e ciclo dei rifiuti, infrastrutture sanitarie e scolastiche. I dati sono rilevati per provincia e regione e non si limitano alla misurazione della dotazione, ma forniscono anche indicazioni sulla funzionalit di tali infrastrutture e sulla domanda esistente. Nel complesso si tratta di informazioni in grado di evidenziare gli elementi distintivi che caratterizzano i diversi territori e che permettono di correlare la dotazione infrastrutturale ad altri fattori specifici, quali la densit abitativa, il reddito pro-capite, il valore aggiunto prodotto, i giudizi delle famiglie. Il set informativo disponibile consente di tracciare un quadro dettagliato della dotazione infrastrutturale del Paese.

Le infrastrutture dei Trasporti


Lanalisi della rete infrastrutturale in materia di trasporti per comodit di trattazione viene scomposta tra settore delle strade e quello delle ferrovie, tralasciando la discussione sulla dotazione di porti e aeroporti che, pur di estrema rilevanza, comunque non incide grandemente ai fini di una valutazione globale sul merito delladeguatezza della struttura dei trasporti italiani lungo il territorio nazionale. La rete stradale italiana nel suo complesso, ovvero considerando le strade comunali, provinciali, statali e le autostrade, consta di una dotazione nazionale di quasi 832 mila km, pari a circa 2,76 km per Kmq e 14,2 Km per 1000 abitanti. Sia come copertura del territorio che della popolazione servita, il dato si rivela largamente superiore alla media europea, ma manifesta alcune criticit in ordine al tasso di congestionamento, essendo lincidenza di autoveicoli per km

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leggermente pi alta della media europea. Tale dato deriva dallampia varianza che caratterizza i valori che concorrono alla formazione della media nazionale. Il coefficiente di variazione della dotazione pro-capite pari a 0,553, ma questo imputabile ai fattori morfologici e al grado di densit abitativa. Infatti, in termini di distribuzione per chilometro quadrato tra le Regioni il grado di eterogeneit sensibilmente inferiore, con il coefficiente di variazione che si riduce a 0,355. Il combinato disposto di una distribuzione sufficientemente omogenea lungo il territorio, ma molto eterogenea in termini di copertura della popolazione genera delle forti differenze in termini di congestionamento della rete, una volta ipotizzata la stretta correlazione tra numero di abitanti e di auto circolanti. Come si pu vedere dalla figura 4.1, regioni come Lombardia, Lazio e Campania presentano tassi di congestionamento sensibilmente superiori al resto delle Regioni italiane, per effetto soprattutto dellelevato grado di concentrazione urbana della popolazione presente in tali Regioni, che, a parit di cose, introduce dei limiti fisici alla costruzione di infrastrutture soddisfacenti. Figura 4.1 - Il grado di congestionamento della rete stradale
120 100 80 60 40 20 0 Marche Liguria Trentino A.A. Emilia Romagna Toscana Lombardia Friuli V.G: Abruzzo Molise Lazio Valle d'Aosta Piemonte Veneto Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Umbria Sardegna Italia

(auto per km)

Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat

La conformazione delle infrastrutture stradali lungo il territorio, peraltro, probabilmente assumerebbe una variabilit ancora pi elevata se si considerasse il grado di manutenzione delle strade. Utilizzando i dati di bilancio dei Comuni7 con riferimento alla spesa per investimenti nel settore della viabilit (standardizzandola per i km di strada di loro competenza) come proxy dellimpegno finanziario profuso, e quindi della qualit delle strade, si rileva come il differenziale tra Nord e Sud tenda ad ampliarsi notevolmente. Mentre al Nord, in media, i Comuni spendono per la viabilit circa 11.300 euro per Km di strade di loro competenza, tale valore scende a circa 4.600 nei Comuni del Sud. Anche tenendo conto del grado di congestionamento delle strade e ponderando per tale fattore, gli stanziamenti destinati al settore strade dei

I Comuni hanno competenza su circa il 93% del parco stradale nazionale e tale percentuale pressoch costante tra le Regioni.

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Comuni del Nord in media superiore del 50% rispetto a quanto speso al Sud per Km e auto in circolazione. Figura 4.2 - La spesa dei Comuni per le strade (2003)
16000 14000 12000
euro pro-capite

10000 8000 6000 4000 2000 0 Piemonte Lombardi Liguria Trentino Friuli V.G. Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Passando allanalisi della rete ferroviaria, la declinazione territoriale del problema ripropone gli stessi elementi identificati con la rete stradale, mostrando le criticit maggiori nelle Regioni con pi elevata densit abitativa. Tuttavia, occorre notare come il livello di differenziazione regionale della dotazione di infrastrutture ferroviarie per cittadino residente sia inferiore a quanto osservato per le strade. Gli elementi a disposizione, purtroppo, non consentono di pervenire ad un giudizio robusto sulladeguatezza delle infrastrutture ferroviarie rispetto alle esigenze del territorio, anche se, usando la produzione industriale come indicatore delle esigenze di trasporto, emergerebbero delle gravi carenze soprattutto nelle Regioni del Centro-Nord. Ci che si pu rilevare, osservando la dimensione della rete ferroviaria italiana nel suo complesso, che essa sia in linea con la media europea in termini di copertura del territorio, ma significativamente sottodimensionata con riferimento alla popolazione servita, dato che la percentuale di persone che usa il treno come mezzo di trasporto in Italia sia inferiore alla media europea (questultimo fenomeno potrebbe essere proprio collegato allinadeguatezza del servizio disponibile). Se si prende in considerazione il traffico merci, il grado di congestionamento della rete ferroviaria appare limitato rispetto al resto dEuropa, ma ci potrebbe dipendere essenzialmente dal basso grado di utilizzo delle linee ferroviarie per il trasporto merci, pari a poco pi della met della media europea. Ne emergerebbe, quindi, un problema di sfruttamento inadeguato della rete, dovuto in parte alla saturazione delle linee per il trasporto di persone. La breve panoramica sullo stato delle infrastrutture dei trasporti terrestri lungo il territorio nazionale non lascia trasparire gravi carenze come media rispetto agli standard europei, ma evidenzia delle realt alquanto differenziate lungo il territorio. Da un lato la dotazione infrastrutturale tende a penalizzare le Regioni del Mezzogiorno, dove comunque la domanda di trasporti risulta quasi ovunque soddisfatta per via del minore tasso di sviluppo. Dallaltro, nelle aree pi sviluppate - il Nord e le aree metropolitane - le maggiori infrastrutture non sembrano in grado di assecondare le pressioni esercitate

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dalla domanda di trasporti, generando significativi fenomeni di congestionamento. La disamina territoriale ha mostrato anche, con riferimento alla rete stradale, come lazione degli Enti locali si ponga a contrasto di tali fenomeni, rispondendo, grazie ai margini di autonomia disponibile, alle esigenze espresse dal territorio. Si configurerebbe, pertanto, un doppio livello di intervento nel settore in oggetto, in cui lo Stato garantisce le infrastrutture di base e gli Enti territoriali assecondano le preferenze territoriali. La tenuta del Paese nel confronto internazionale, quindi, dipenderebbe dalla composizione di queste due forze espresse dal territorio, il cui equilibrio necessariamente dipender dallevoluzione del disegno federalista, in particolare dalle soluzioni che saranno adottate in materia di autonomia finanziaria delle Amministrazioni locali e di gestione dei fondi per le infrastrutture e il riequilibrio territoriale.

Le infrastrutture per la produzione e distribuzione dellEnergia


La dotazione di infrastrutture energetiche, siano esse destinate alla produzione o alla distribuzione, lascia trasparire elementi di criticit rispetto ai fabbisogni, sia con riferimento al divario con gli altri Paesi europei, sia riguardo alla conformazione territoriale di tali infrastrutture. Partendo dal quadro complessivo del comparto dellenergia elettrica, il dato che emerge per lItalia identifica una sostanziale carenza sul lato dellofferta. Infatti, la potenza installata, che esprime il potenziale produttivo di energia elettrica, risulta sensibilmente inferiore al resto dellUnione monetaria. Il gap con gli altri Paesi europei deriva essenzialmente dal mancato impiego della fonte nucleare per la produzione di energia elettrica, che conta per circa il 20% della potenza totale del resto dEuropa. Di fatto, se si passa a guardare la produzione netta di energia elettrica per ciascun paese, emerge chiaramente come la media dei Paesi europei generi oltre il 32% dellelettricit sfruttando la risorsa nucleare, mentre lItalia compensa tale divario con lutilizzo del petrolio, e in parte del gas, per alimentare le centrali termoelettriche. Ci, ovviamente, pur non configurandosi come deficit infrastrutturale in termini fisici, genera dei gap qualitativi che si riverberano sul prezzo dellenergia e sulla sensibilit agli shocks esterni dovuta alla dipendenza energetica nellapprovvigionamento. A fronte di tale problema, lintervento degli Enti territoriali gioca un ruolo solo in parte compensativo, in quanto le competenze in materia di realizzazione e gestione della rete sono di pertinenza dellAmministrazione centrale (Grtn, Terna, Enel sono i soggetti direttamente coinvolti). Un primo ambito in cui gli Enti locali possono influire direttamente con politiche di infrastrutturazione quello della produzione tramite le aziende ex-municipalizzate. Tuttavia, la quota di produzione delle aziende locali modesta: i produttori nazionali coprano circa il 93% della potenza installata mentre lazienda ex-municipalizzata pi grande (Aem-Milano) ha una quota del 2,1%. Inoltre, si pu identificare un contributo delle Amministrazioni territoriali nella fase autorizzativa. Sul versante delle autorizzazioni, infatti, i livelli di governo sub-centrale contano, in quanto sia le Regioni che i Comuni possono ritardare e in taluni casi impedire la costruzione di nuove centrali. Il quadro che ne emerge non perfettamente armonico tra i ruoli dei diversi livelli di governo, che operando in distonia tra loro, contribuiscono ad acuire alcune gravi carenze sia sul fronte della distribuzione interna, sia sul versante degli approvvigionamenti. Per quanto riguarda le infrastrutture del gas, il problema posto dalla realt italiana duplice. Innanzitutto, a differenza di quanto accade con lenergia elettrica, il sistema infrastrutturale italiano non garantisce una copertura uniforme del territorio, creando ampie difformit anche nei consumi (e nei prezzi pagati per lenergia). Come mostrato nella tabella 4.1, nelle Regioni del

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Nord oltre il 40% della popolazione utilizza il gas, consumando circa 90mila metri cubi di gas allanno pro-capite. Viceversa, nel Mezzogiorno la copertura della popolazione non raggiunge in media il 20% e il consumo pro-capite annuo pari a 16mila metri cubi (poco pi di un sesto del costo pro-capite della popolazione del Nord). Una discrasia cos ampia risiede nella carenza infrastrutturale della rete di distribuzione, che mentre al Nord presente con circa 125 metri per Kmq, al Sud garantisce una copertura pari a poco meno di un quarto (circa 31 metri per Kmq). Tabella 4.1 Infrastrutture di rete e consumi di gas metano
Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud Fonte: elaborazioni REF su dati Istat utenti/ popolazione 38,9% 10,3% 41,4% 18,9% 33,9% 35,5% 47,8% 44,4% 34,5% 31,0% 33,9% 34,3% 34,5% 29,6% 16,2% 22,4% 22,2% 10,6% 12,2% 0,0% 30,1% 40,2% 34,0% 16,2% m rete/ kmq 85,7 10,2 174,8 24,9 142,6 85,9 103,4 120,5 58,8 52,9 78,2 71,0 63,1 32,4 65,0 41,3 16,2 21,2 31,2 0,0 69,1 124,9 64,8 30,8 consumo pro-capite (migliaia metri cubi) 90 26 91 54 84 70 55 109 63 56 62 36 52 38 15 22 28 10 9 0 55 89 50 16

Laltro elemento che si pone come criticit infrastrutturale, almeno dal punto di vista potenziale, la scarsit di fonti di approvvigionamento che espone il Paese al rischio di mercato monopolista. LItalia, infatti, importa gran parte del gas naturale e quasi la met di questo giunge da un singolo produttore. In queste condizioni, come gi sperimentato nel recente passato, il rischio di insufficienza dellapprovvigionamento e di lievitazione dei prezzi non trascurabile. Attualmente il prezzo del metano in Italia non si discosta molto dal resto dEuropa, ma la costruzione di terminali che consentano di ampliare la capacit di importazione appare sempre pi urgente. Rispetto alla capacit vigente, infatti, pari a circa 90 G(m3)/anno, e di poco superiore al fabbisogno nazionale, la costruzione degli 11 rigassificatori in cantiere consentirebbe di raddoppiare la capacit di importazione.

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In conclusione, lo stato delle infrastrutture sul versante dellenergia pone il Paese in una posizione competitiva non di primo piano, essendo presenti sia problemi di quantit che di costo di approvvigionamento. In particolare, la dipendenza petrolifera costituisce una forte penalizzazione per le imprese costrette a pagare un costo dellenergia superiore al resto dei principali partners europei. Inoltre, la bassa e concentrata capacit di importazione di gas naturale espone il Paese al rischio di black-out nelle forniture. Anche nel quadro interno, la presenza di una rete di distribuzione non capillare, come nel caso del gas, o non in grado di garantire il trasporto dellenergia elettrica dalla produzione al luogo di domanda, genera delle strozzature per lo sviluppo dei territori, rendendo necessaria unaccelerazione degli investimenti, sia nel campo della creazione di nuova rete di trasmissione elettrica, sia in quello della distribuzione del gas. Si tratta di interventi in cui il ruolo diretto delle Amministrazioni locali limitato, ma persiste una competenza concorrente di tali Enti nella concessione delle autorizzazioni, il cui impatto sullo sviluppo del territorio difficile da valutare. Se da un lato, infatti, difficile ipotizzare una divaricazione territoriale significativa del costo dellenergia, dallaltra anche possibile prospettare una maggiore spinta alla concorrenza derivante dallapertura ad una molteplicit di operatori. In tal caso, non dovrebbero essere trascurati sia i vantaggi sulle tariffe derivanti da una maggiore concorrenza, sia ipotesi di ricaduta sul territorio di tasse locali (addizionali) sulla produzione di energia che potrebbero anche essere potenziate rispetto al livello attuale, pari a circa 12 euro pro-capite nella media nazionale. Difficile determinare i territori maggiormente interessati dalla localizzazione della produzione e, quindi, quelli su cui si dovrebbero concentrare i maggiori benefici fiscali. Se a guidare le scelte di allocazione sar la domanda di energia, data la distribuzione regionale dei fabbisogni, i maggiori vantaggi ricadrebbero sui bilanci dei Comuni del Nord. Viceversa, se il congestionamento esistente dovesse indurre ad una delocalizzazione verso le aree con minore domanda (e produzione), allora si genererebbe un incremento dellautonomia finanziaria dei Comuni meridionali

Le infrastrutture dellAmbiente
Uno dei comparti principali su cui poggiano le prospettive di sviluppo di un territorio sicuramente quello dellambiente e delle relative infrastrutture idonee a preservarlo. In questambito il ruolo degli Enti territoriali cruciale, in quanto essi sono il livello istituzionale determinante nella decisione di creazione di uninfrastruttura di tal genere e, in molti casi, anche il soggetto che direttamente gestisce tali opere. Con riferimento alle infrastrutture connesse al trattamento e smaltimento dei rifiuti, possibile identificare nella dotazione di infrastrutture di smaltimento basate sul riciclo, il compostaggio e il recupero energetico una qualit superiore rispetto alle tecniche di smaltimento in discarica. Per quanto concerne la situazione italiana rispetto alla media europea, si riscontra un sostanziale gap qualitativo nei processi di smaltimento, giacch a fronte dei 260 kg/abitante di rifiuti smaltiti in discarica, in Italia tale valore si colloca sopra i 320 Kg/abitante. Viceversa, rispetto ad una media europea di quasi 330 Kg/abitanti, lItalia smaltisce solo 190 Kg/abitanti con metodologie di recupero e incenerimento. Alla radice della distanza che separa lItalia dal resto dEuropa concorre sicuramente lo stato di carenza infrastrutturale che caratterizza, seppur con tratti molto eterogenei, le diverse aree del Paese. Dalla tabella 4.2, infatti, possibile evidenziare come lutilizzo di discariche di tipo tradizionale sia di gran lunga il criterio pi adottato per lo smaltimento rifiuti nel Mezzogiorno, mentre gli impianti di compostaggio e i termovalorizzatori prevalgano al Nord. Pi omogenea, invece, la distribuzione dei termovalorizzatori tra le ripartizioni territoriali, ma non tra le Regioni, visto che al Sud, ad esempio, 16 dei 23 impianti

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di termovalorizzazione e biostabilizzazione sono collocati in Calabria e Campania, mentre Sicilia, Puglia e Basilicata ne sono prive. Ne consegue che, mentre al Sud quasi l80% dei rifiuti prodotti viene smaltito in discarica, al Nord tale percentuale scende sotto il 50%. Tabella 4.2 Le infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti
Regione Impianti di Impianti di discarica per incenerimento per rifiuti urbani rifiuti urbani 22 9 14 20 12 16 29 28 6 17 10 51 34 44 23 31 41 130 14 551 122 61 368 2 15 1 4 2 0 10 8 1 1 3 0 0 0 2 1 0 1 2 53 34 13 6 Impianti di compostaggio 47 53 17 18 3 4 26 20 2 5 11 4 1 10 4 0 4 6 1 236 168 38 30 Impianti di biostabilizzazione e termovalorizzazione 3 14 3 9 3 0 4 17 3 4 7 4 1 9 0 0 7 0 2 90 36 31 23 % Rifiuti urbani smaltiti in discarica 73,2% 25,3% 47,9% 46,8% 34,9% 85,7% 53,6% 40,4% 65,5% 79,6% 93,7% 79,5% 57,4% 58,6% 92,6% 81,3% 89,6% 92,0% 72,7% 62,9% 47,3% 71,0% 79,4%

Piemonte Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Difficile trarre implicazioni da queste statistiche, specie sul ruolo degli Enti locali, anche se in prima battuta, come mostrato nella figura 4.3, sembra esistere una relazione inversa tra tipologia dellinfrastruttura per lo smaltimento e spesa in conto capitale sostenuta dai Comuni per tale funzione. Ne consegue che, i Comuni con gli impianti di smaltimento pi efficienti spendono di meno, mentre quelli con ancora unelevata presenza di discariche tendono a contrastare tale carenza di infrastrutture. Un altro elemento da considerare nel valutare la relazione tra dotazione infrastrutturale e lo sviluppo del territorio, comprendendo in questo anche la qualit della vita dei cittadini, il limite che la morfologia dellambiente pone alla struttura ottima degli impianti di smaltimento. Infatti, laddove esiste la possibilit di innalzare la dimensione media degli impianti, ovvero limitarne la diffusione nel territorio, emergono giudizi migliori circa lo stato di salute dellambiente.

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Figura 4.3 - Spesa dei Comuni e tipologia d'impianto (2003)


0,8 0,7
Incidenza impianti "efficienti"/totale

R = 0,2565

0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0 2 4 6 8 10 12


Spesa dei Comuni, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Ministero degli Interni

Figura 4.4 - Dimensione degli impianti e qualit dell'ambiente


50 R = 0,6151
2

Giudizi delle famiglie sull'ambiente

40

30

20

10 0 25000 50000 75000


Tonnellate per impianto Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Tale risultato dipende anche dal fatto che in genere gli impianti pi piccoli sono anche quelli pi vecchi e che utilizzano tecnologie obsolete. Come si pu vedere dalla figura 4.4, la relazione tra dimensione dellimpianto e giudizi sulla qualit dellambiente significativamente positiva, e, tenendo conto della relazione positiva tra dimensione e tipologia degli impianti, lascia trasparire una connessione positiva tra questultima e i giudizi delle famiglie. Poich ad una maggiore dimensione media degli impianti si associa una minore spesa da parte dei Comuni opportuno precisare che la relazione tra giudizi delle famiglie e spesa dei Comuni negativa, ma in modo spurio, nel senso che i giudizi riflettono

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il cattivo utilizzo degli impianti, non la spesa che i Comuni affrontano per modificare lo status quo. Pertanto, la relazione inversa tra spesa e dotazione di infrastrutture di smaltimento superiori deve essere guardata positivamente e anzi rafforzata per favorire una maggiore convergenza tra i territori, ancora una volta demarcati da un sostanziale ritardo del Mezzogiorno rispetto al Nord del Paese. Il ritardo infrastrutturale del Paese si conferma anche nel servizio della depurazione delle acque: sia in termini di popolazione servita che in termini di tipologia di trattamento, il nostro Paese si posiziona fra i paesi europei pi arretrati. Quello della depurazione un ambito in cui il ruolo dei Comuni, pur mediato dalla partecipazione in societ di capitali o consorzi, fondamentale nella costruzione e, in molti casi, gestione delle infrastrutture deputate a tale funzione. Pertanto, lanalisi della dotazione di impianti di depurazione lungo il territorio alquanto significativa nel valutare limpatto dellazione dei Comuni sullo sviluppo del territorio, per le ripercussioni che la carenza di tali infrastrutture pu esercitare sulla tutela dellambiente e delle relative risorse necessarie alla sua preservazione. Sfortunatamente, il set di dati a disposizione non consente di formulare considerazioni conclusive su questo tema, ma permette soltanto di apprezzare leterogeneit presente lungo il territorio e il ritardo di alcune aree rispetto alla media nazionale. Nelle ripartizioni territoriali il Nord sopravanza di poco il Sud, mentre il Centro manifesta il ritardo maggiore con poco pi di un quarto della popolazione interessata dal servizio. I risultati si modificano solo debolmente se si considera il numero di Comuni dotato di infrastrutture per la depurazione delle acque come parametro per lanalisi della copertura del servizio. sempre il Centro del Paese ad avere la minore copertura del territorio. Tabella 4.3 Le infrastrutture per la depurazione delle acque
Regione Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud Fonte: elaborazioni REF su dati Istat Utenti/Popolazione 54,6% 77,0% 46,6% 53,4% 63,9% 50,7% 54,0% 44,3% 24,4% 35,9% 23,6% 38,3% 34,4% 57,4% 37,4% 72,9% 35,9% 25,2% 31,5% 71,9% 47,0% 52,3% 30,5% 43,8% Comuni serviti/Totale Comuni 64,3% 79,1% 47,8% 64,9% 52,6% 70,3% 32,7% 57,3% 30,3% 45,5% 26,1% 21,6% 46,7% 71,1% 36,0% 85,3% 46,2% 30,5% 32,4% 71,2% 46,7% 53,7% 26,8% 48,6%

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Per quanto riguarda la distribuzione dellacqua per usi civili, non esiste una misurazione diretta della dotazione infrastrutturale dellintero universo, ma si possono utilizzare alcuni indicatori per valutare il grado di adeguatezza della rete idrica nazionale. Innanzitutto, il grado di copertura degli utenti che, come emerge dai dati Istat, assicura la fornitura di acqua potabile al 99,5% dei Comuni e al 97,1% della popolazione residente (entrambi dati riferiti al 1999), non evidenziando problemi significativi di copertura a livello territoriale. Ci che, invece, costituisce elemento di peculiarit della rete di distribuzione il suo grado di efficienza, che assume tonalit alquanto variegate tra le singole Regioni. Misurata con il rapporto tra acqua erogata e quella immessa nella rete, lefficienza manifesta dei valori discontinui ma decrescenti lungo le ripartizioni territoriali. Se al Nord, infatti, circa il 77% dellacqua immessa in rete viene erogata, al Sud tale percentuale scende a poco pi del 63%, contro una media nazionale del 71,5%. Questo quadro, che ancora un volta vede una posizione di arretratezza del Mezzogiorno, viene confermato anche dal maggior dettaglio offerto dallanalisi campionaria riferita allanno 2004. Secondo i dati Indis/REF, infatti, le perdite si collocano intorno al 25% nella media nazionale, ma al Mezzogiorno tale percentuale sale al 39%. Se si analizza la sola fase di distribuzione, il divario tra i territori sembra lenirsi, ma ci pi leffetto della dimensione della rete. Infatti, se si concentra lattenzione sullIndice lineare delle perdite totali, ovvero le perdite ponderate per chilometri di rete, si pu osservare come ancora una volta la performance del Mezzogiorno, caratterizzato da una minore (e meno efficiente) dotazione infrastrutturale, risulti di gran lunga la peggiore nel confronto con le altre aree del Paese. Dallanalisi dei bilanci dei Comuni si evince una correlazione positiva tra tasso di copertura del servizio di depurazione e spesa in conto capitale per il servizio idrico integrato. Figura 4.5 - Intervento dei Comuni e copertura del servizio (2003)
0,9 0,8 0,7
Utenti/Popolazione

R = 0,3777

0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0 20 40 60 80 100 120 140


Spesa dei Comuni, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Ministero degli Interni

Dal punto di vista dellanalisi del ruolo giocato dalle Amministrazioni locali, per, il fenomeno non necessariamente configura un processo divergente tra i territori, in quanto alle Regioni con maggiore dotazione infrastrutturale non si associa una maggiore autonomia finanziaria. I maggiori investimenti, quindi, riflettono

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decisioni di spesa non indotte dalla struttura di bilancio degli Enti e, quindi, non influenzate dagli esiti del decentramento e dalla relativa attribuzione di risorse proprie ai Comuni.

Le infrastrutture sanitarie e scolastiche


La distribuzione delle infrastrutture sociali lungo il territorio nazionale riveste unimportanza cruciale nella valutazione delle potenzialit di sviluppo di unarea, al pari del ruolo giocato dalle infrastrutture pi direttamente connesse alla realizzazione di outcomes economici. Infatti, alla presenza di queste infrastrutture legata, da un lato, la qualit dello stile di vita dei cittadini, che ha ricadute non trascurabili sulla produttivit dei lavoratori, dallaltro, laccesso alleducazione, che costituisce forse il driver principale della competitivit nellattuale fase della globalizzazione. Per quanto attiene le infrastrutture sanitarie, i principali indicatori sono riportati nella tabella successiva.

Tabella 4.4 Le infrastrutture sanitarie


Regione Posti letto ogni 1000 degenti 36,2 30,6 27,6 29,1 30,9 34,6 28,7 30,0 29,4 23,9 28,1 33,1 23,4 27,9 22,9 23,5 30,7 35,3 23,6 28,9 28,4 30,2 30,8 25,1 Posti letto ogni 100000 abitanti 429,5 345,9 419,1 429,2 411,3 431,2 360,4 455,8 382,2 325,2 370,2 527,0 399,1 501,6 300,8 393,1 318,7 500,6 373,1 444,7 410,2 422,3 444,1 376,9 Medici ogni 100 posti letto 48,6 49,4 51,4 40,4 42,1 44,7 59,9 47,1 56,2 65,0 49,4 53,3 48,8 43,0 65,2 44,8 49,9 40,5 56,7 46,0 51,0 48,6 54,3 52,1 Medici ogni 1000 degenti 17,6 15,1 14,2 11,8 13,0 15,5 17,2 14,1 16,5 15,6 13,9 17,7 11,4 12,0 14,9 10,5 15,3 14,3 13,4 13,3 14,5 14,7 16,7 13,1 Posti letto per struttura ospedaliera 200,0 425,0 312,0 130,7 205,6 225,9 204,9 252,3 180,9 174,6 110,2 142,4 152,5 161,5 121,8 152,3 190,1 134,1 139,6 159,5 176,3 244,0 147,8 140,4 Istituti ogni 1000 Kmq 3,7 0,3 5,3 2,4 5,1 2,9 5,2 3,4 3,3 1,9 5,3 11,3 3,2 2,3 10,5 5,4 1,0 5,0 5,2 1,9 4,7 4,3 5,8 4,5 Dotazione ogni 10 posti letto 4,9 7,6 5,6 7,7 5,6 5,5 5,5 5,9 6,0 7,4 6,3 4,4 4,5 4,9 4,7 4,5 5,3 3,2 4,6 4,3 5,1 5,5 5,3 4,4

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Eurostat

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Come si pu vedere, nonostante la Costituzione italiana imponga una sostanziale garanzia di uniformit dei servizi erogati lungo il territorio nazionale, esistono delle sostanziali difformit tra le varie aree che compongono il Paese, anche se nel complesso le variabili considerate tendono a sovrapporsi. Al Sud, per esempio, i cittadini dispongono di circa 25 posti letto ogni 1000 degenti, contro i 30 disponibili al Nord, ma, se si guarda al numero dei medici, questi risultano essere di pi al Centro e al Sud in relazione ai posti letto disponibili. I dati riscontrati sul territorio nazionale sono, in media, al d sotto di quanto osservato nel resto dEuropa. Ponendo a confronto il numero di posti letto a disposizione per abitante, la posizione dellItalia risulta sensibilmente distaccata dalla media europea. In effetti, complessivamente in Italia, tra pubblico e privato, si spende meno che negli altri Paesi in rapporto al Pil, anche se ci, imputabile allo scarso peso della sanit privata, che invece nel resto dEuropa ha unincidenza maggiore. Da rilevare come la dimensione media delle strutture sanitarie, esprimibile dal numero di posti letto per istituto ospedaliero, sia sensibilmente pi elevata al Nord rispetto al Mezzogiorno, dove si riscontra una maggiore frammentazione. Un modo per valutare il grado di adeguatezza delle infrastrutture sanitarie, ed estrapolare gli indicatori significativi, quello di confrontare i dati sulle consistenze infrastrutturali con i giudizi espressi dai pazienti. Un primo indicatore qualitativo quello relativo ai giudizi sui tempi di attesa, che restituisce informazioni preziose circa il livello di congestionamento delle infrastrutture disponibili. Come si pu vedere dalle figure allegate, i tempi di attesa sono inversamente correlati alla dimensione media delle strutture sanitarie presenti e ancor di pi alla dotazione di apparecchiature in esso presenti. Ospedali di dimensioni maggiori, pertanto, cos come confermato da molte analisi di settore, realizzano maggiori recuperi di efficienza nellerogazione di servizi, mentre la dotazione di un numero maggiore di apparecchiature consente un pi agevole smaltimento delle richieste.

Figura 4.6 - Infrastrutture sanitarie e efficienza


65
Indice di attesa >20 minuti, % di risposte positive

60 55 50 45 40 35 30 25 20 3 4 5 6

R = 0,4356

Dotazione di apparecchiature, Indice Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

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Figura 4.7 - Infrastrutture sanitarie e efficienza


70
Indice di attesa >20 minuti, % di risposte positive

R = 0,2694 60 50 40 30 20 10 0 0 100 200 300 400 500

Posti letto per struttura ospedaliera Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 4.8 - La relazione tra fondo sanitario e dotazione infrastrutturale


260 240
Posti letto per 1000 degenti

R = 0,3581

220 200 180 160 140 120 100 1400

1450

1500

1550

1600

1650

Spesa sanitaria pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Un altro indicatore genericamente riferito al grado di soddisfazione espresso dai pazienti esibisce una chiara correlazione positiva sia con le due variabili appena discusse, sia con il numero di medici disponibile ogni 1000 degenti. Anche in questo caso, le tre variabili complessivamente considerate mostrano una distribuzione sensibilmente penalizzante larea meridionale del Paese, riproponendo anche in questo comparto il gap esistente a livello infrastrutturale con la parte pi avanzata del Paese e ponendo degli interrogativi non secondari circa le scelte di finanziamento di parte corrente del sistema sanitario in capo alle Regioni.

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Tabella 4.5 Le infrastrutture dellIstruzione


Dimensione classi (numero studenti per classe) Regione Piemonte Lombardia Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia Scuole materne 24,7 24,8 23,8 22,8 24,5 24,5 24,9 23,4 24,1 23,7 22,5 21,1 23,2 23,5 20,8 20,8 22,9 20,7 24,5 24,1 22,6 23,5 Scuole elementari 17,8 18,9 17,9 16,9 17,9 19,2 18,4 16,8 18,4 19,2 17,3 15,9 18,5 20,2 16,9 15,9 18,8 16,9 18,4 18,6 18,4 18,4 Scuole medie 21,2 21,3 21,6 20,1 21,3 21,8 21,6 21,3 21,5 21,5 20,6 19,0 21,2 22,4 19,9 19,2 21,0 19,0 21,4 21,5 20,9 21,2 Scuole superiori 22,7 22,0 21,5 19,7 20,9 21,6 21,2 20,6 21,5 21,9 22,1 21,1 22,6 21,9 21,7 20,9 20,9 20,5 21,8 21,6 21,6 21,7 TOTALE SCUOLE 20,7 20,8 20,2 19,0 20,2 21,0 20,7 19,7 20,8 21,0 20,1 18,8 20,9 21,7 19,6 18,8 20,5 19,0 20,6 20,8 20,5 20,6 UNIVERSITA' 3210,3 4761,4 3641,3 1568,5 2934,7 2840,6 3730,9 2794,0 2108,4 7866,1 2569,6 1605,7 5090,0 3985,1 1910,3 3552,4 4420,2 2138,8 3337,2 4440,8 3748,3 3731,0

Qualit insegnamento (numero docenti per classe) Scuole materne Piemonte Lombardia Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia 89,7 91,0 96,0 97,8 91,5 88,1 87,9 91,5 90,3 85,0 94,6 101,5 92,2 87,2 105,1 104,1 83,6 111,5 91,4 87,4 92,0 90,9 Scuole elementari 113,3 109,4 105,6 118,2 114,1 107,3 109,2 105,1 102,5 107,4 102,6 111,3 102,0 93,5 113,4 115,0 104,9 114,8 109,6 107,1 103,6 106,6 Scuole medie 119,0 121,6 115,2 125,4 120,5 111,3 111,8 113,8 110,6 109,5 111,9 126,3 112,9 106,2 134,0 136,1 121,6 130,7 118,4 110,7 117,9 116,8 Scuole superiori 105,4 108,3 111,7 125,1 111,6 114,5 113,2 113,8 113,6 106,3 105,1 112,9 100,0 105,7 110,0 110,8 113,2 116,7 110,4 109,8 107,3 108,9 TOTALE SCUOLE 108,8 109,9 109,0 119,4 111,9 108,5 107,9 107,7 105,8 104,8 104,2 113,7 102,4 99,3 115,3 116,5 108,3 118,6 109,9 106,1 106,3 107,6 UNIVERSITA' 57,8 62,8 71,2 96,8 73,9 65,4 85,5 53,4 50,3 59,3 47,2 46,0 43,9 45,9 78,9 41,0 53,0 68,2 66,6 65,0 48,7 59,6

Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

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Questo, infatti, tiene conto solo in parte della differente dotazione in conto capitale che ciascuna regione ha, sottoponendo a stress finanziario le Regioni meno robuste dal punto di vista infrastrutturale, che tra laltro sono anche quelle con la minore capacit fiscale. Nella figura 4.8 evidente la correlazione positiva tra dotazione finanziaria e infrastrutturale, che segnala la presenza di meccanismi non convergenti tra le Regioni, nonostante la presenza di un meccanismo di perequazione allinterno dello schema di attribuzione delle risorse. Il quadro si presenta, almeno dal punto di vista delle infrastrutture, meno problematico per quanto riguarda il settore dellistruzione, che sembra essersi conformato in modo pi deciso ai dettami di uniformit dei diritti di cittadinanza contenuti nella Costituzione. I dati presentati nella tabella 4.5, difatti, mostrano una sostanziale omogeneit tra le varie Regioni sia con riferimento alla dislocazione delle strutture, sia con riguardo alla presenza del corpo docente, salvo in questultimo caso una discreta distanza ancora una volta tra Nord e Sud per quanto riguarda il numero di docenti per 1000 studenti nel campo universitario. I dati sopra riportati, ovviamente, non consentono di delineare il quadro di adeguatezza effettivo del sistema scolastico nei confronti dello sviluppo del territorio. Nel confronto internazionale, lItalia presenta un numero di studenti per classi e per docente inferiore alla media dei Paesi Ocse, in alcuni casi anche in modo marcato. Tuttavia, bisogna considerare che le statistiche internazionali risentono di metodologie di computo tali da rendere poco omogenei, e quindi poco significativi, i confronti. Sarebbe, infatti, necessario poter valutare il ruolo della morfologia dei territori, la struttura del sistema scolastico e anche lo stesso criterio, in genere basato sullinquadramento giuridico ma non sulla posizione effettiva, con cui si contano il numero degli insegnanti, per addivenire ad un giudizio organico sulladeguatezza delle infrastrutture. Allo stesso modo, mancano anche nella disarticolazione territoriale parametri in grado di fornire indicazioni consistenti circa la qualit delle infrastrutture esistenti. Figura 4.9 - La spesa in R&D nelle Universit italiane
4000 3500 3000
Euro per studente

2500 2000 1500 1000 500 0 Piemonte Lombardi Veneto Friuli V.G: Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

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Ad esempio, sarebbe opportuno sapere qual la dotazione pro-capite di computer per gli studenti o il numero di accessi a internet per ciascuna classe, o ancora la presenza di laboratori linguistici o attinenti materie scientifiche. Purtroppo, si tratta di informazioni non ancora disponibili in chiave omogenea lungo il territorio, ma in fase di costruzione. Un primo indicatore pi idoneo a restituire informazioni circa la capacit del sistema dellistruzione di generare sviluppo pu essere il livello di spesa per studente universitario in ricerca e sviluppo. Come riportato nella figura 4.9, gli studenti che frequentano le universit del Nord usufruiscono di un livello qualitativo dellinsegnamento sensibilmente superiore, circa il 30% pi elevato, se si considera come proxy la spesa in ricerca e sviluppo per studente erogata dalle universit. Tale differenziazione qualitativa nel campo dellistruzione a livello territoriale trova conferma sia in indagini pi accurate, che tengono conto dellagire di diverse componenti socio-economiche che sono alla base della formazione dei giovani - reddito della famiglia, probabilit di impiego, etc sia nellanalisi quantitativa delle risorse dedicate localmente alla scuola. Per quanto concerne lintervento pubblico locale in questo comparto, infatti, pur essendo le competenze sovrapposte a seconda del tipo di scuola e della regione in cui essa ubicata, possibile affermare che le infrastrutture riferibili alla scuola materna, elementare e media inferiore siano di competenza dei Comuni. pertanto possibile individuare, limitatamente a queste componenti delle strutture scolastiche, il ruolo giocato dalle Amministrazioni comunali e la coerenza tra esigenze di arricchimento infrastrutturale e spesa sostenuta dai Comuni. Figura 4.10 - La spesa dei Comuni per l'Istruzione
1000 900 800 700
Euro per studente

600 500 400 300 200 100 0 Piemonte Lombardi Veneto Friuli V.G: Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Centro Sud Italia
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Come si pu vedere dalla figura 4.10, quando si passa ad analizzare la quantit di risorse impiegate dai Comuni per la costruzione e manutenzione delle scuole e dei servizi ad esse connesse, le diversit lungo il territorio emergono in maniera sostanziale. Mentre al Nord mediamente i Comuni spendono (in conto capitale) circa 470 euro per alunno, al Sud tale cifra scende a poco pi di 210 euro, contro una media nazionale di 330 euro. Si tratta di distanze molto ampie che si collegano direttamente alla solidit finanziaria degli Enti e che, inevitabilmente,

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saranno acuite da un passaggio verso forme di autonomia pi accentuate. Difatti, anche se non esiste una correlazione forte tra spesa pro-capite dei Comuni per la scuola e autonomia tributaria, esiste una relazione indiretta dettata dal fatto che per i Comuni con maggiore dotazione di risorse e con maggiore solidit, la capacit di indebitamento maggiore.

Infrastrutturazione del territorio e sviluppo locale


E possibile condensare le informazioni illustrate nel paragrafo precedente definendo la dotazione infrastrutturale complessiva dei territori, scomposti per ripartizioni e Regioni, in modo da avere un parametro sintetico che consenta di valutare la posizione di ciascuna regione sia rispetto alla media nazionale, sia rispetto agli altri territori. La dotazione infrastrutturale viene approssimata con un indice sintetico costruito come somma delle variabili sopra discusse standardizzate secondo la media nazionale. La scelta delle variabili avviene individuando per ciascun comparto quella che meglio descrive il grado di adeguatezza di quella infrastruttura rispetto agli obiettivi per cui stata installata. Pertanto, ad esempio, per quanto riguarda il settore dei rifiuti, la variabile che entra nellindicatore lincidenza di impianti di incenerimento, di compostaggio e di termovalorizzazione rispetto al totale degli impianti. In questo modo, lindicatore che ne scaturisce non di tipo assoluto, ma viene calcolato relativamente ad un parametro di riferimento. In questo modo, la regione con maggiore dotazione di infrastrutture non quella in cui fisicamente si trovano il maggior numero di infrastrutture, bens quella con il maggior numero di opere relativamente alle proprie esigenze. In totale vengono usate 10 variabili, tutte standardizzate rispetto alla media nazionale e inserite con uguale peso. Questo sicuramente costituisce elemento di arbitrio, in quanto non tutte le infrastrutture hanno pari peso, ma esula dai compiti di questo rapporto quello di individuare, facendo ricorso a tecniche econometriche, le opere che pi sono funzionali allo sviluppo. In questa sede, infatti, ci si limita a descrivere lo stato delle infrastrutture lungo il territorio e, successivamente, la relazione in cui esse si pongono con la crescita economica. Dalla figura 4.11, traspare come la distribuzione delle infrastrutture sia molto differenziata lungo il territorio ma che, salvo rare eccezioni, restituisca un risultato largamente intuibile. Le Regioni del Mezzogiorno sono quasi tutto sotto la media nazionale e il Sud nel suo complesso accusi un ritardo di circa 11 punti rispetto agli standard nazionali. Il confronto si fa ancora pi penalizzante se si considera che il divario medio tra Nord e Sud del Paese pari a circa 26 punti e Regioni come la Campania registrano un valore dellindice del 35% pi basso rispetto a quello della Lombardia, che secondo questa graduatoria risulterebbe essere, se si eccettua il Molise, la regione pi infrastrutturata dItalia. Per poter valutare limportanza del complesso di tali infrastrutture nelle dinamiche dello sviluppo del territorio, nei grafici seguenti viene mostrata la relazione tra lindice di dotazione infrastrutturale e, rispettivamente, spesa per investimenti in opere pubbliche e il livello e il tasso di crescita del Pil procapite nominale. Come si pu vedere dalla figura 4.12, la relazione che lega lo stock esistente agli investimenti significativamente positiva, segnalando un problema non secondario di mancata convergenza tra le Regioni. In sostanza, si investe di pi nei territori che gi godono di una maggiore dotazione di infrastrutture relativamente alle loro esigenze.

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Figura 4.11 - L'indice di dotazione infrastrutturale


130

120

110
Italia = 100

100

90

80

70 Piemonte Lombardi Veneto Friuli V.G: Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 4.12 - Infrastrutture e investimenti pubblici


130,0 R = 0,541
Indice di infrastrutturazione, Italia=100
2

120,0

110,0

100,0

90,0

80,0

70,0 100

140

180

220

260

300

Investimenti, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Inoltre, la relazione che lega la dotazione di infrastrutture alla crescita economica di segno negativo e questo costituisce un ulteriore elemento di divergenza, in quanto la relazione di tipo spurio, segnalando non tanto limpatto che le infrastrutture hanno sulla crescita, ma semplicemente che le infrastrutture si addensano nelle aree pi avanzate, quelle con un

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maggior reddito pro-capite, che sono quelle con una minor tasso di crescita. Figura 4.13 - Infrastrutture e crescita economica
140,0 R = 0,5886
Indice di infrastrutturazione, Italia=100
2

130,0

120,0

110,0

100,0

90,0

80,0 8,0%

10,0%

12,0%

14,0%

16,0%

Variazione cumulata del Pil nominale Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Figura 4.14 - Infrastrutture e reddito pro-capite


130,0 R = 0,6467
2

120,0
Indice di infrastrutturazione, Italia=100

110,0

100,0

90,0

80,0

70,0 10000

12000

14000

16000

18000

20000

22000

Pil nominale, euro pro-capite Fonte: elaborazioni REF su dati Istat

Giova peraltro ricordare che, per le modalit con cui stato costruito lindice, peso uguale a ciascuna infrastruttura, il legame positivo con il reddito pu sottendere anche fenomeni di carenza infrastrutturale in alcuni comparti in corrispondenza di alti livelli di reddito, in quanto territori con un forte sviluppo economico possono andare incontro a fenomeni di congestionamento che generano forti esigenze di arricchimento di alcune infrastrutture esistenti.

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questo sicuramente il caso della Lombardia, che nel ranking delle Regioni per grado di infrastrutturazione si trova al primo posto. Difficile quindi trarre delle conclusioni univoche circa le esigenze effettive dei territori e sulle modalit pi idonee a sopperire a tali necessit. Da un lato, accelerazioni sul versante dellautonomia finanziaria locale potrebbero rivestire un ruolo cruciale nel calibrare le politiche di investimento, consentendo unallocazione ottimale delle risorse. Dallaltro, tuttavia, rimane il rischio che leventuale indebolimento di misure di riequilibrio territoriale limiti gli spazi di convergenza tra i territori, acuendo il problema del dualismo Nord-Sud presente nelleconomia italiana. Sarebbe comunque opportuno, vista la complessit del problema, mantenere una cabina di regia a livello centrale almeno per quanto riguarda la determinazione della strategicit delle infrastrutture ai fini dello sviluppo complessivo nazionale. Il coordinamento centrale, infatti, potrebbe trovarsi in una posizione migliore per valutare quando un investimento, pur localizzato in una zona ad alta infrastrutturazione, costituisca una priorit per il Paese, perch in grado di innalzarne il tasso di sviluppo. Viceversa, lo stessa regia nazionale potrebbe valutare in modo pi completo leventualit di localizzare in territori pi svantaggiati uninfrastruttura, anche se questa dovesse rivelarsi meno produttiva. Ovviamente, la costituzione di un organismo centrale non si contrappone alla creazione di autonomie locali, ma semplicemente svolge il ruolo di coordinamento per determinate politiche di intervento strutturale, che non possono essere lasciate al semplice arbitrio delle realt locali che, come discusso nel prossimo paragrafo, possono anche costituire una forte freno, o quantomeno una distorsione, alle politiche di sviluppo del Paese. A prescindere da questo tipo di considerazioni, che coinvolgono la definizione degli assetti istituzionale secondo il progetto di decentramento delle competenze, sin da adesso importante valutare quali siano gli aspetti finanziari collegati alla crescita dellautonomia locale indotta dalla spinta federalista con riferimento alle esigenze di infrastrutture dei territori di pertinenza, cos come definite dallindicatore sopra discusso. A tal fine, utilizzando le stime Isae circa la dotazione finanziaria aggiuntiva di ciascuna regione conseguente allapplicazione del federalismo fiscale, cos come previsto dalla Costituzione (lo scenario tiene conto degli effetti della cosiddetta devolution che stata bocciata dal referendum del 25-26 giugno 2006) possibile valutare il grado di copertura dei gap infrastrutturali e le relative esigenze di indebitamento. Il criterio con cui si procede al calcolo dellindice il seguente. Partendo dal presupposto che la capacit di indebitamento degli Enti territoriali direttamente legata allammontare di risorse proprie presenti in bilancio8, possibile definire un indice di capacit di indebitamento, standardizzando le risorse proprie pro-capite di ciascuna regione rispetto alla media nazionale, che viene posta uguale a 100. Il valore di tale indicatore di tipo relativo, in quanto, a prescindere dal valore assoluto, individua la capacit pro-capite di indebitamento di ciascuna regione rispetto alla media nazionale che viene posta uguale a 100. Se a questo indicatore si accosta quello sopra descritto, costruito con il medesimo criterio, ma con riferimento alla dotazione di infrastrutture, si pu ottenere unapprossimazione della distanza che separa le esigenze di infrastrutture dalla capacit di indebitarsi (fabbisogno di fondi). Questa ottenuta

La legge di contabilit prevede un limite allindebitamento parametrato sulle entrate degli Enti territoriali. Per gli Enti locali, tale limite fissato dalla Finanziaria 2005 al 12% delle entrate dei primi tre titoli del bilancio. Per le Regioni il limite fissato al 25% delle entrate proprie.

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sommando algebricamente il divario di ciascuna regione della media nazionale per entrambi gli indicatori. In questo modo, ad esempio, una regione che registra un indice di dotazione infrastrutturale pari a 90 e uno di capacit di indebitamento pari a 110, esibir un fabbisogno di fondi nullo. Nella figura sottostante, si riporta la doppia distanza dalla media nazionale dei singoli indici regionali di infrastrutture e di risorse. Mentre il Nord registrerebbe un surplus di risorse rispetto alle esigenze di infrastrutture ampiamente positivo, anche perch parte da un situazione di maggior dotazione rispetto alla media nazionale, nel Mezzogiorno, la carenza di infrastrutture si cumulerebbe alla minore dotazione di risorse che emergerebbe in seguito alla devoluzione di competenze. Figura 4.15 - Risorse e infrastrutture
60

40
Distanze dalla media nazionale, Italia = 200

20

-20

-40

-60 Piemonte Lombardi Veneto Friuli V.G: Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Isae

Se le distanze mostrate nella figura sopra descritta derivassero da indici confrontabili, ovvero il valore delle infrastrutture pro-capite fosse equivalente alle risorse di bilancio pro-capite della media nazionale (cio il 100 dellindice di infrastrutture fosse equivalente in valore al 100 delle risorse di bilancio), allora i valori espressi in figura potrebbero essere letti direttamente come degli indicatori di fabbisogno finanziario. Poich, invece, in media il valore dello stock di capitale della Pubblica Amministrazione, limitatamente ai comparti considerati, risulta essere il doppio9 delle risorse proprie di cui saranno fornite le Regioni con il decentramento, occorre ricalcolare conseguentemente i parametri in modo da avere una misura in valore assoluto della domanda di fondi da parte delle Regioni per colmare il gap infrastrutturale. Sebbene lindicatore cos elaborato presenta una connotazione quantitativa, il grado di approssimazione cui si costretti a ricorrere per costruire indici di questo tipo induce a considerare le informazioni che se ne ricavano pi con valore segnaletico, che come indicazione puntuale. Sulla scorta di questo importante caveat, ci che emergerebbe che Regioni come la Campania e la Sicilia, per colmare il gap infrastrutturale e
9 Il dato ricavabile dalla pubblicazione Investimenti fissi lordi per branca proprietaria, stock di capitale e ammortamenti, ISTAT, 2004.

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finanziario con la media nazionale avrebbero bisogno di ricorrere al debito per un ammontare, rispettivamente, pari al 109 e 91% delle risorse proprie. Figura 4.16 - I fabbisogni finanziari con il decentramento
0,8 0,6
(Gap infrastrutturale+finanziario)/Risorse proprie

0,4 0,2 0 -0,2 -0,4 -0,6 -0,8 -1 -1,2 Piemonte Lombardi Veneto Friuli V.G: Liguria Emilia Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud
Fonte: elaborazioni REF su dati Istat, Isae

Se ne conclude, come gi arguito nel rapporto presentato lanno scorso, che con laccelerazione del processo federalista il problema del riequilibrio territoriale diventa molto stringente e non pu essere affidato alla semplice autonomia degli Enti territoriali, ma necessita del coinvolgimento sia di strumenti governati dal centro, sia di operatori in grado di garantire risorse in unottica di medio/lungo periodo.

La sindrome del not in my backyard nel settore dellenergia


Il quadro della dotazione infrastrutturale del Paese, specie nella sua componente che lascia trasparire carenze anche profonde, non pu non essere considerato alla luce delle resistenze che si manifestano alla realizzazione di opere caratterizzate da esternalit negative (sindrome Nimby). Sui problemi che attengono la realizzazione di infrastrutture sporche, gli aspetti da considerare riguardano lattuale attribuzione di competenze nella procedura autorizzativa e di controllo, il sistema di ripartizione dei costi e dei benefici derivanti dallinstallazione in loco di unopera che genera esternalit negative, lo stato dellarte e levoluzione della legislazione in materia ambientale. Utilizzando i dati della per la concessione di possibile identificare realizzazione di tali correttivi. pi recente esperienza italiana in materia di autorizzazioni ampliamento o costruzione di nuove centrali elettriche, alcuni dei fattori che pi si frappongono alla opere, nonch fornire delle considerazioni su possibili

Il primo elemento da sottolineare che dati i tempi di durata prevista della fase esecutiva della procedura concessoria, circa 3 anni e mezzo, circa 18 mesi in

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media sono assorbiti dalla Valutazione di impatto ambientale (Via), ma tale tempistica pi elevata nel caso di nuovi impianti (quasi 2 anni). In genere non sussistono grandi differenze tra le Regioni, salvo leccezione in senso peggiorativo riscontrata per Calabria e Campania (circa 6 mesi in pi rispetto alla media nazionale). Sulla carta, tale tempistica complessiva risulta sensibilmente ridotta dallintroduzione della cosiddetta legge sblocca centrali (L.55/2002), che ha semplificato liter autorizzativo in capo alle Amministrazioni locali e che con la precedente normativa poteva superare anche lanno. Tuttavia, dal punto di vista pratico, la storia delle recenti pratiche autorizzative costellata da un forte ricorso alla giustizia amministrativa da parte essenzialmente degli Enti decentrati, che ha notevolmente dilatato i tempi di esecuzione delle opere. In genere, oltre il 40% delle iniziative interessato dai ricorsi, ma tale percentuale sale al 50% nel caso di nuovi impianti. La relazione che lega da un lato il contenimento dei poteri degli Enti territoriali e dallaltro il numero di ricorsi trasferibile anche ad altri campi nel contesto della creazione di infrastrutture e merita un accurato ripensamento, visto che, analizzata in dinamica, mostra unincidenza dei ricorsi praticamente su tutte le iniziative, con una dilatazione dei tempi uguale alla normativa precedente. Sebbene questa crescente tendenza al ricorso sia stata alimentata anche da una maggiore dinamicit delle richieste di concessione, che quindi ha deteriorato anche il clima in cui tali iter si sono materializzati, non pu sfuggire il legame processo autorizzativo che escluda gli Enti e relativo ricorso da parte di questi ultimi. Esistono anche dei fattori peculiari che incidono sulla propensione degli Enti ad opporsi allautorizzazione. In primo luogo, sembra emergere una maggiore resistenza nei Comuni in cui la qualit dellaria migliore, visto che circa la met delle autorizzazioni localizzate in tali aree sono interessate da ricorso (contro il 30% dei procedimenti nei Comuni con una cattiva qualit dellaria). Viceversa, non sembra sussistere una relazione robusta tra opposizione allautorizzazione e condizioni socioeconomiche del Comune di riferimento, anche se esiste una debole correlazione con il reddito pro-capite dei cittadini. Infine, si riscontra unopposizione maggiore verso linvestitore locale piuttosto che su quello esterno. Ci pu essere determinato da almeno due fattori. Da una lato, limprenditore locale pu acquisire pi facilmente il parere positivo dellEnte, ma poi sconta una maggiore avversit da parte della comunit locale. Dallaltro, linvestitore locale potrebbe gi essere presente nel territorio con altre aziende inquinanti e quindi sconta una sostanziale insofferenza dei locali. Dalle considerazioni test riportate, emerge chiaramente come la strutturazione di interventi infrastrutturali con esternalit negative non sembra poter essere scindibile dalla definizione di un sistema di ripartizione di costi e benefici. Anche in questo caso, lesperienza statunitense mostra come lintroduzione di meccanismi di compensazione per i territori possa agire da deterrente verso la sindrome Nimby, specie nei casi in cui vige unelevata autonomia politica locale. In un sistema federale, come quello che sembra delinearsi in Italia, tuttavia, rimane il problema della definizione della legislazione ambientale, che ogni anno va incontro a sostanziali modifiche, non garantendo quindi un quadro certo e stabile e motivando lintersezione, con relativa creazione di contenzioso, tra legislazione regionale e quella nazionale. questo un aspetto cruciale per linsediamento di infrastrutture funzionali allo sviluppo, in quanto determina lassenza di regole certe che inevitabilmente ostacolano le politiche di investimento che in questi settori sono regolate dalla presenza di ampi costi fissi non recuperabili. Sebbene su questi aspetti difficile definire scenari concreti, comunque possibile prefigurare i rischi che una mancata risoluzione di tali

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problematiche pu generare in termini di allungamento delle distanze rispetto ai principali Paesi industrializzati, ma anche nei confronti di quelli di nuova industrializzazione. Il riferimento ovviamente allAlta Velocit in Piemonte e ai rigassificatori, la cui mancata costruzione rischia, da un lato di isolarci dai processi economici che stanno interessando lUnione europea, dallaltro di esporci alle fluttuazioni imposte dai produttori internazionali, che sfruttano la posizione di monopolisti per spuntare prezzi maggiori per la fornitura di gas naturale da cui lItalia largamente dipende.

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5. Gli scenari e le politiche per lo sviluppo del territorio


Introduzione
Lanalisi economica interessata alle cause della bassa crescita italiana e alle possibili soluzioni per una pronta ripresa, non pu prescindere da una valutazione della conformazione dei territori, delle esigenze che essi esprimono, dal ruolo giocato dalla Pubblica Amministrazione decentrata nel favorire lo sviluppo locale. Con questo spirito, nei capitoli precedenti si cercato, innanzitutto, di caratterizzare, anche se a grandi linee, il ruolo del settore pubblico nelleconomia italiana, valutandone le implicazioni per la crescita del Paese e lopportunit di unevoluzione in senso federale per meglio conformarsi alle esigenze dei territori. Successivamente, si sono descritte, con il maggior grado di dettaglio possibile, le modalit con cui si esplica lazione della Pubblica Amministrazione a livello locale, sia nel supportare con politiche di incentivo le imprese, sia nel favorire con lerogazione di servizi alla persona il corretto ed equilibrato decorso dei processi demografici e sociali. In sostanza, stato preso in considerazione il ruolo di Regioni e Comuni nel promuovere e mantenere lo sviluppo del territorio. Infine, stata operata una ricognizione della situazione delle infrastrutture del Paese, della loro dislocazione lungo il territorio e del ruolo giocato dalle Amministrazioni locali nel favorire, attraverso le politiche di investimento, ladeguamento della dotazione infrastrutturale rispetto agli standard internazionali. Il quadro che ne emerge offre spunti di conclusione alquanto contrastanti in merito alle prospettive di sviluppo del Paese, ma decisamente univoco sul ruolo delle Amministrazioni decentrate quale attore principale nel processo di rilancio del Paese attraverso gli interventi sul territorio. per tali ragioni, quindi, che, in questo capitolo conclusivo, muovendo dai principali risultati emersi dallanalisi sopra condotta, e sulla base delle linee di politica economica che emergono dal disegno di Legge finanziaria per il 2007, attualmente in discussione in Parlamento, si intendono discutere i possibili scenari che si delineano per quanto riguarda il disegno dellintervento pubblico in un assetto federale, le politiche di incentivo alle imprese lungo il territorio nazionale, lintervento dei Comuni nellerogazione dei servizi ai cittadini e le prospettive per il territorio in materia di dotazione di infrastrutture.

Lintervento pubblico alla luce del decentramento e della Finanziaria 2007


Lo scenario che si prefigura per la composizione dellintervento pubblico nei prossimi anni risente sia delle dinamiche in atto, sia dei provvedimenti contenuti nella Legge Finanziaria per il 2007. Sul primo versante, una valutazione delle risultanze di bilancio degli ultimi cinque anni pone in evidenza le difficolt incontrate finora nel contemperare le esigenze eterogenee dei territori con la necessit di garantire pari opportunit di sviluppo e di accesso ai servizi pubblici a imprese e cittadini lungo lintero territorio nazionale. Ne sono una chiara testimonianza, e in parte una causa scatenante, limperfetto coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo,

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riassumibile nel blocco dellautonomia fiscale e nel fallimento dei patti di stabilit interni, e la disapplicazione di meccanismi di perequazione, ancorch imperfetti. Lintervento pubblico si cos caratterizzato da un lato, per una lievitazione non controllata, n coordinata con landamento delle entrate, che ha provocato un deterioramento dei saldi di finanza pubblica e del debito, e a cui occorrer opporre correzioni significative nei prossimi anni; dallaltro, per una riallocazione inefficiente tra comparti di spesa e aree del Paese, che ha favorito la crescita della spesa di funzionamento (in particolare quella per il personale e le consulenze) e gli investimenti pubblici al Nord. A queste dinamiche avverse sembra contrapporsi, almeno nelle intenzioni, la Legge finanziaria per il 2007 che, facendo leva anche sulla bocciatura referendaria della devolution, prevede un rilancio del Patto di Stabilit interno, un ripristino dellautonomia fiscale degli Enti territoriali, un potenziamento degli incentivi per riqualificare la spesa decentrata, la sperimentazione di forme di aggregazione e collaborazione tra livelli di governo omologhi. Allo stato mancano ancora espliciti riferimenti alla perequazione e al riequilibrio territoriale, con il rischio di non riuscire ad incidere sui divari che intercorrono tra il Nord ed il Sud del Paese, specie nel comparto dei servizi alla persona e delle infrastrutture. Queste ultime, peraltro, sembrano destinate a ritornare maggiormente allinterno della sfera decisionale dello Stato, in opposizione alle tendenze in atto, ma garantendo forse unallocazione territoriale pi efficiente. Lo scenario che si va cos delineando, tenendo conto dello stato attuale della finanza pubblica, dellaccelerazione della riforma del Titolo V della Costituzione e delle misure contenute nella Finanziaria 2007, presenta le seguenti caratteristiche: un maggiore ruolo delle Amministrazioni locali allinterno della Pubblica Amministrazione, in virt dellapplicazione della legislazione vigente e tenendo conto dei margini amplificati dazione degli Enti territoriali previsti in Finanziaria. Si determina quindi una sostanziale differenziazione rispetto al resto dEuropa, dove la quota di spesa veicolata dalle Amministrazioni decentrate risulta sensibilmente inferiore alla realt italiana; un miglioramento, almeno in linea teorica, della composizione della spesa a favore di quella per investimenti, grazie alle maggiori disponibilit concesse con le tasse di scopo agli Enti locali per finanziare le opere pubbliche e alla contrazione della spesa corrente necessaria per risanare i conti. Tuttavia, il quadro potrebbe risentire di un restringimento dei vincoli allindebitamento, per invertire la crescita del debito complessivo che si protrarr anche questanno, nonch della mancata predisposizione per le Amministrazioni decentrate di obblighi di razionalizzazione della spesa per il personale, che sono stati limitati allAmministrazione centrale; una situazione di incertezza in merito alla questione del riequilibrio territoriale. Da una parte, una maggiore quota della spesa pubblica guidata dalla capacit fiscale potrebbe esacerbare i divari territoriali, dallaltra, un recupero di efficienza complessiva della spesa pubblica potrebbe liberare risorse aggiuntive per finanziare interventi nel Mezzogiorno, come gi prescritto dalla Finanziaria 2007; un differente impatto delle misure destinate agli Enti locali e contenute nel progetto di Legge finanziaria per il 2007 sulle diverse realt territoriali; allo stato i Comuni del Nord sembrano trarre un vantaggio di breve periodo, mentre quelli del Sud sono costretti a concorrere al risanamento dei conti pubblici con uno sforzo maggiore, in termini di incidenza sul bilancio. Difficile stabilire se il contenimento della spesa nei Comuni del Mezzogiorno potr

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rappresentare una spinta verso un complessivo recupero di efficienza che avvantaggi le componenti pi produttive della spesa, o, al contrario, generer fenomeni di insostenibilit delle misure o riduzione ulteriore dei servizi erogati ai cittadini.

Una nuova politica degli incentivi alle imprese


Il disegno di Legge finanziaria per il 2007 introduce profonde innovazioni nel campo dei fondi per le imprese, andando incontro per molti versi alle esigenze espresse da diversi commentatori, ma modificando sensibilmente sia il ruolo delle Amministrazioni territoriali, in particolare le Regioni, nel veicolare tali fondi, sia i criteri di gestione della politica industriale. Lo scenario che si delinea, tenendo conto tanto del ruolo assegnato agli Enti territoriali nel favorire lo sviluppo del territorio, quanto della struttura produttiva del Paese incerto. Daltronde, la natura sperimentale dei disposti che regolano il funzionamento dei fondi impone di prefigurare prospettive di riuscita delliniziativa quantomeno contrastanti. Il testo presentato in Parlamento conforme allidea di ripristinare una politica industriale, di cui il Paese ha estremo bisogno, che sia da un lato finalizzata a coprire gli spazi lasciati vuoti dal mercato (e non a sostituirsi ad esso), dallaltro ad accompagnare processi che altrimenti si realizzerebbero in tempi troppo lunghi o non si materializzerebbero del tutto. con questi obiettivi che dovrebbero nascere i Progetti di innovazione industriale, che costituiscono il nocciolo duro del provvedimento, e che prevedono la selezione di ambiti di intervento e financo di operatori, reputati in grado di far avanzare tecnologicamente lintero sistema produttivo italiano. Il provvedimento assicura anche che a tali finalit siano dedicate risorse accuratamente ricavate, con opera di razionalizzazione, tra quelle attualmente impiegate con una molteplicit di strumenti privi di organicit e, quindi, non in grado di perseguire alcun risultato. Anzi, nella versione presentata in Parlamento, la dotazione dei fondi esistenti viene incrementata di circa 900 milioni di euro e fatta confluire nel Fondo per linnovazione e la competitivit, da cui comunque attingono anche gli interventi di tipo orizzontale che continuerebbero a coesistere, anche se in modo non definito in Finanziaria. A fronte di queste scelte che prefigurano una pi marcata presenza dello Stato nella selezione degli ambiti in cui si ritiene possa meglio realizzarsi limpresa italiana, opportuno contrapporre una pi accurata riflessione, vista anche la delicatezza degli argomenti, su alcuni aspetti o impostazioni del disposto. Innanzitutto, deve rilevarsi come la selezione dei progetti esecutivi sia affidata alla sfera decisionale di un singolo responsabile, nominato dal Ministro per lo Sviluppo Economico, e non sia invece determinata attraverso pi efficaci processi bottom-up . In questo senso, sarebbe auspicabile separare il ruolo del responsabile di progetto, che deve essere meramente esecutivo, da quello politico, che oltre alla definizione delle linee strategiche, deve anche farsi carico di selezionare, con criteri di manifestazione dinteresse di portata internazionale, i progetti su cui si vogliono concentrare le risorse. In altre esperienze, come quella francese, per questo tipo di funzioni si fatto ricorso alla figura trasversale di unAgenzia indipendente, che coadiuva come strumento decisionale collegiale, sia le scelte di Governo, sia quelle del responsabile di progetto. Inoltre, nel cosiddetto Piano Beffa, adottato appunto in

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Francia, lo Stato non individua i nuovi progetti, ma ha solo un ruolo nella sollecitazione delle iniziative e nella limitazione del rischio ( previsto un rimborso dei finanziamenti pubblici se funziona il progetto). Sono, invece, gli operatori privati, coinvolti dallinizio, che assumono il monitoraggio e la gestione dei progetti, giacch le imprese s'impegnano a finanziare con loro fondi propri la met delle spese di R&S. Nelloperare il confronto con lesperienza francese, ovviamente, bisogna considerare il problema delladeguatezza della nostra struttura decisionale (capacit di programmazione, gestione e controllo) rispetto a quella transalpina e, pertanto, si dovrebbe prevedere un cammino parallelo tra il potenziamento della struttura incaricata della gestione della politica industriale e la selezione e implementazione dei Progetti di innovazione industriale. Un altro aspetto problematico allinterno del provvedimento consiste nella non specificazione dei fondi riorganizzati tra interventi a favore dei Progetti finalizzati e interventi di tipo orizzontale e automatici (ovvero quelli tradizionali). Tale individuazione ex ante appare al contrario quanto mai opportuna, in quanto i fondi coinvolti nel riordino sarebbero distratti da altre finalit e sarebbe importante capire quale sia la platea dei beneficiari. In questo senso, il provvedimento dovrebbe altres meglio puntualizzare sia limportanza delle piccole e medie imprese, sia la finalizzazione dei Progetti che devono garantire lavanzamento tecnologico non di un gruppo di imprese, magari grandi, o di un astratto sistema industriale, quanto quello dellapparato produttivo italiano, che per circa il 75% fatto di piccole e medie imprese. Infine, nel provvedimento viene molto attenuata la rilevanza dei territori ove tali progetti vengono calati, indebolendo sensibilmente il ruolo degli Enti che governano il territorio (in particolare le Regioni). Si tratta di un aspetto in forte contrasto con le tendenze in atto e che rischia di trascurare le esigenze del territorio nella selezione di progetti su cui si andranno ad impegnare ingenti risorse. Sebbene la Finanziaria preservi il diritto delle Regioni di predisporre interventi finalizzati a favorire lo sviluppo locale, purch in sintonia con le linee guida della programmazione nazionale, palese linversione dei ruoli nel processo decisionale con cui si attuano le scelte di politica industriale: non il territorio che manifesta le proprie esigenze e lo Stato che vi si conforma, come vorrebbe la prassi di un Paese federale, ma lo Stato che decide e le Regioni che si adeguano.

Investimenti e servizi alla persona: verso una finanza pubblica comunale?


Il quadro della finanza pubblica che si ricava dallanalisi condotta nei capitoli precedenti e la disamina di alcuni punti nodali della Finanziaria 2007, portano ad individuare nei Comuni il livello di Governo dove si concentreranno nel prossimo futuro sia le scelte prioritarie per lo sviluppo del territorio, sia le tensioni maggiori imposte dalla domanda di servizi pubblici. In entrambi i casi, saranno determinanti i criteri di finanziamento con cui le esigenze di bilancio verranno soddisfatte. La situazione di partenza vede gi i Comuni impegnati come maggiori attori sia nellerogazione di servizi alla persona, se si esclude la sanit, sia nella formazione di capitale pubblico. Da questo punto di vista, il quadro prospettico spontaneo che si delinea tende ad accrescere questa posizione di predominanza, ponendo degli interrogativi circa le fonti di finanziamento.

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I Comuni, infatti, sono impegnati a fronteggiare sia le dinamiche migratorie, destinate in futuro ad accentuarsi, sia lonere dellinvecchiamento della popolazione, che innalza significativamente la domanda di servizi. Daltro canto, il gap infrastrutturale che caratterizza il Paese rispetto ai principali partner europei, e la stessa domanda di infrastrutture funzionali allerogazione di servizi alla persona, impone un maggior impegno di tipo finanziario per fronteggiare tali maggiori esigenze. Infine, nello scenario che si prefigura non si pu trascurare lelevata eterogeneit che caratterizza lattuale distribuzione di infrastrutture e servizi lungo il territorio, fortemente penalizzante il Mezzogiorno in valore assoluto, ma con ampie fasce di inadeguatezza relativa anche nelle aree pi avanzate del Paese, vista la maggiore domanda esistente. A questi elementi che concorrono a delimitare i contorni del quadro prospettico con cui si definisce il ruolo dei Comuni, fornisce una risposta solo parziale il testo di legge Finanziaria per il 2007 attualmente in discussione, che dispone sia forme nuove di finanziamento, sia vincoli e incentivi sul fronte della spesa. In entrambi i casi, per, il tentativo sembra pi quello di arginare pressioni latenti sul versante della tenuta dei conti pubblici e della domanda di infrastrutture e servizi, che delineare un quadro chiaro per il futuro anche prossimo. Difatti, la definizione di soluzioni di tipo strutturale, che simultaneamente diano risposta a siffatte problematiche adattando lintervento pubblico alle esigenze territoriali, rimandata ai lavori di una Commissione apposita, che raccoglie leredit dellAlta Commissione sul federalismo fiscale. La Finanziaria 2007, pertanto, si limita, nel campo delle infrastrutture, ad allargare il campo dazione dei Comuni, prevedendo ladozione di una tassa di scopo parametrata sullimposta comunale sugli immobili, ma non valutando le possibili ricadute del disposto n sulla gi profondamente iniqua distribuzione delle infrastrutture lungo il territorio, n sul gi elevato livello previsto della pressione fiscale per i prossimi anni. Se a questo aspetto si somma la previsione di un taglio non trascurabile della spesa comunale per soddisfare le richieste del Patto di Stabilit interno, si ricava un margine molto esiguo per il potenziamento dei servizi alla persona. Per le stesse ragioni dellimposte di scopo, tra laltro, la maggiore capacit di manovra delle aliquote delle addizionali comunali non potr essere attivata per erogare maggiori servizi e, comunque, non lo sar in maniera uniforme. Come detto poco sopra, si tratta di problemi di breve periodo, che verranno ammortizzati nel medio termine, quando la finanza comunale si sar rimodulata e rafforzata. Al raggiungimento di questo risultato, invece, giovano non solo il tentativo di rafforzare le capacit finanziarie autonome degli Enti locali, cosa del tutto condivisibile, ma anche la presa di coscienza del crescente peso che i Comuni stanno acquisendo allinterno della Pubblica Amministrazione, ricollocando risorse dallAmministrazione centrale (o da altre Amministrazioni locali) a quella comunale. Su questo punto, invero, la Finanziaria contiene degli elementi innovativi che, sotto forma di incentivo alla aggregazione tra Amministrazioni e allo sviluppo di strutture congiunte di erogazione dei servizi, nonch allutilizzo di parte del demanio ricadente nel territorio del comune, prefigurano sia una maggiore efficienza della spesa decentrata, sia lattribuzione ad essa di maggiori risorse trasferite. In conclusione, se da un lato la Finanziaria risponde opportunamente alla domanda di maggiore autonomia fiscale espressa dagli Enti locali, dallaltro tenta di soddisfare, anche se solo in parte, i fabbisogni crescenti che si stanno materializzando a livello territoriale. Si tratta di un aspetto cruciale per invertire le dinamiche divergenti che hanno caratterizzato le principali aree del Paese in

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questi ultimi anni e che la Manovra tenta di contrastare anche destinando consistenti risorse centrali al finanziamento di infrastrutture o di servizi alla persona e prevedendo forme di compensazione tra i territori, per accrescere la capacit di indebitamento di quelli meno dotati di risorse.

Il rapporto stato elaborato con le informazioni disponibili al 04/10/2006.

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