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Carmelo Intrisano

Il rischio nanziario

ARACNE

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ISBN

88548-0082-1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dellEditore. I edizione: maggio 2005

A Giulia

In realt si sa solo quando si sa poco; con il sapere aumenta il dubbio. Johann Wolfang Goethe

Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1. Il rischio e limpresa 1.1 La denizione di rischio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Le modalit di classicazione dei rischi. . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Il rischio operativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Il rischio dellindebitamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il rischio di cambio 2.1 I motivi della internazionalizzazione delle imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Il cambio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Le modalit di impatto del rischio di cambio. . . . . . . . . . . . 2.4 Lintensit dellimpatto del rischio di cambio . . . . . . . . . . . 2.5 Il rischio paese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 17 20 24 35 36 41 45 55

3 Il rischio di tasso dinteresse 3.1 Il tasso di interesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 3.2 Gli effetti della variabilit del tasso dinteresse sulle imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3.3 La misurazione della sensitivit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 4 Il rischio di insolvenza 4.1 Linsolvenza delle imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Le perdite sui crediti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Un modello per la previsione dello stato dinsolvenza: lanalisi discriminante . . . . . . . . . 4.4 Il rischio di insolvenza delle PMI secondo Basilea 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 85

5 La relazione rischio rendimento 5.1 La funzione di utilit dellinvestitore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 5.2 La teoria del portafoglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 5.3 Il Capital Asset Pricing Model . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 5.4 LArbritage Pricing Theory . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
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6 Gli strumenti derivati 6.1 Introduzione: lutilit e la convenienza dei derivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 6.2 Le Opzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 6.3 I future . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 6.4 Gli Swap . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 7 Il Value at Risk 7.1 Il VaR come metrica del rischio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 7.2 I modelli di calcolo del VaR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172 Bibliograa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

Introduzione
In Italia, le imprese non nanziarie denotano ancora un forte ritardo nella gestione dei rischi aziendali, rispetto al livello raggiunto, invece, dal sistema bancario. In tali imprese, la gestione dei rischi nanziari, essendo considerata estranea al core business, non ha assunto nora il ruolo che ad essa dovrebbe competere in quella logica della creazione di valore che gran parte del management aziendale sostiene spesso anche con eccessiva enfatizzazione di perseguire. Nei confronti del rischio si assiste ad un vero e proprio riuto culturale, per lo pi originato dalla diffusa convinzione che la sua gestione sia foriera di effetti positivi soltanto nelle imprese che denotano particolari gradi di complessit, perch sono organizzate in gruppi o perch operano in mercati e contesti differenti. Il riuto da ascrivere ad unerrata concezione del valore che spinge gran parte delle nostre imprese a rimanere, di fatto, ferme ed ancorate alle tradizionali forme di gestione e di valutazione, basate sulle performance contabili. Volendo trovare i motivi di ci, non si possono non considerare le particolari condizioni in cui versano le strutture nanziarie delle nostre imprese, ancora caratterizzate da una eccessiva incidenza del leverage rispetto allequity. Ad eccezione di alcune aziende, il cui capitale quotato nella borsa valori, il resto delle imprese italiane presenta, infatti, un forte squilibrio nanziario a favore dellindebitamento verso il sistema bancario che, come noto, guarda pi alle consistenze patrimoniali e ai risultati contabili, che alla capacit di creare valore. A differenza del mercato anglosassone, in cui gli investitori di capitale a pieno rischio svolgono una funzione da protagonisti nel nanziamento delle imprese, da noi lequity relegato, purtroppo, ad un ruolo di secondaria importanza. Esso, infatti, risente ancora dellimpostazione bancocentrica del sistema nanziario, nonostante siano trascorsi ben dodici anni dal Testo Unico 385, con il quale si intendeva rompere denitivamente con le posizioni di rendita del passato, proiettando denitivamente gli istituti di credito verso uno scenario maggiormente competitivo e pi aperto alle regole del mercato.
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Di tale condizione soffrono in misura superiore, ovviamente, le piccole e medie imprese, condizionate, come noto, dalla scarsa dotazione di risorse proprie. Per esse non esiste un mercato del capitale di rischio cos come non esiste unattivit di venture capital e di merchant banking che consenta di svincolarsi dal credito bancario, rifornendo una quantit di equity sufciente per realizzare i loro processi di sviluppo. Afnch la situazione cambi, sono necessari, pertanto, interventi radicali, che permettano di allineare il nostro sistema ai sistemi anglosassoni, ove presente una tta rete di operatori a pieno rischio, in grado di competere con il tradizionale leverage di derivazione bancaria. In tal modo, ci si sgancia dai tradizionali criteri di valutazione adottati dalle banche, basati sullanalisi degli investimenti in unottica di breve periodo, per affermare invece la visuale del lungo periodo, naturalmente pi coerente con gli impiegi nel capitale di rischio, i cui rendimenti difcilmente sono, appunto, realizzabili nel breve. Soltanto con tali presupposti, il valore potr effettivamente diffondersi anche tra le nostre imprese che cominceranno a vedere in esso lunica logica di gestione che permette di competere, sopravvivere e soddisfare le attese degli azionisti nel lungo termine. Le imprese che continueranno a riutare tale logica saranno inesorabilmente emarginate e destinate ad uscire dal mercato di riferimento, in quanto avranno poche possibilit di portare a termine i loro programmi di crescita, che soltanto un capitale paziente, qual il capitale di rischio, pu consentire. Ebbene, la ricerca del valore richiede, anzitutto, limmunizzazione dellimpresa dalla variabilit del contesto di riferimento, che soltanto una gestione dinamica del rischio in grado di assicurare. Daltra parte una maggiore attenzione al rischio e alle variabili di mercato si impone anche alla luce delle nuove disposizioni previste da Basilea in materia di rating che spingono gli istituti di credito a rivedere le politiche di afdamento nora seguite, inducendoli, viepi, a forme di razionalizzazione degli impieghi, in funzione della specica rischiosit presentata dal cliente. A differenza di oggi, in cui il price del credito pressoch indipendente dal rischio, nei prossimi anni il credito bancario sar differenziato, con tassi coerenti alla specica variabilit delle performance azien-

Introduzione

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dali. Le imprese non potranno pi sottrarsi dallimplementare forme di gestione volte ad elevare il grado di stabilit dei risultati aziendali, contenere la vulnerabilit dellimpresa e ridurre il rischio dinsolvenza. La gestione dei rischi aziendali diventer, in questa prospettiva, unesigenza non soltanto per agevolare il ricorso allequity ma anche per abbassare il costo dellindebitamento verso il sistema bancario. A tal ne, il management aziendale avr la possibilit di sfruttare le soluzioni gestionali e i paradigmi in uso nelle banche, apportando le rettiche ed integrazioni che si renderanno necessarie in ragione delle specicit operative che normalmente contraddistinguono unimpresa non creditizia. In questo il presente lavoro cerca di dare un contributo, nellintento di migliorare la conoscenza sulla complessit associata alla dinamica del rischio nelle imprese non bancarie, suggerendo alcune soluzioni per quanticare e coprire il rischio, nellottica, ovviamente, di unimpresa proiettata verso la creazione di valore. Dopo un primo capitolo dedicato alla relazione che lega il rischio allimpresa, analizzando i concetti di leva nanziaria e di leva operativa, considerati come strumenti di indagine delle due generiche manifestazioni di rischio, quella nanziaria da una parte e quella operativa dallaltra, lanalisi si concentra sulle singole forme di rischio nanziario. Pertanto, nel secondo capitolo viene studiato il rischio di cambio, partendo dalle reali motivazioni che sono allorigine dellinternazionalizzazione delle imprese, in modo da giungere ad una considerazione di tale rischio non disgiunta dagli altri aspetti relativi alla dinamica evolutiva dellimpresa. Del rischio di cambio, il lavoro tratta, in particolare, le diverse congurazioni, riservando una specica sezione al rischio Paese, ritenuto sempre pi un fattore decisivo nellesposizione delle imprese, dopo i recenti casi di default nazionali che hanno gravemente intaccato le posizioni creditorie di migliaia e migliaia di imprese. Nel terzo capitolo, lanalisi rivolta al rischio di tasso di interesse, soffermando lattenzione, prima, sui processi di formazione dei tassi sul mercato, per proporre, poi, alcune modalit di quanticazione degli effetti prodotti dalla variabilit dei tassi dinteresse sulle imprese, mutuando ed adattando le tecniche di risk management delle aziende di credito.

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Introduzione

Il quarto capitolo, quindi, studia il rischio di insolvenza, nella convinzione che il default sia un fenomeno che interessi tutte le imprese, anche se con intensit diverse. Linsolvenza sentita, infatti, anche nelle aziende non bancarie, con riferimento ai rapporti di credito che nascono dalle loro transazioni commerciali. Analizzate le tre specie di rischio nanziario, il lavoro si sofferma, nel quinto capitolo, sullanalisi della relazione rischiorendimento, con particolari riferimenti alla Portfolio Theory, ai modelli del Capital Asset Pricing Model e dellArbitrage Pricing Theory, onde leggere il rischio dalla particolare visuale degli operatori di mercato. Riguardo alle modalit di copertura del rischio nanziario, il sesto capitolo fornisce unampia trattazione degli strumenti derivati, dando esempi di impiego delle opzioni, dei future e degli swap, sulla base delle speciche esigenze di hedging aziendale. Lultimo capitolo, inne, dedicato al Value at Risk, considerato la metodologia verso la quale dimostra sempre di pi orientarsi il risk management dei nostri giorni, nellottica della creazione di valore per gli azionisti. A conclusione di questa introduzione, desidero rivolgere un sincero ringraziamento a tutti coloro che, contribuendo alla mia crescita scientica, hanno reso possibile il presente lavoro. Un sentito ricordo va al Prof. Giancarlo Pochetti, i cui insegnamenti sono ancora in me vivi, a ben sei anni dalla sua scomparsa. Un grazie al Prof. Francesco Colombi per i Suoi continui stimoli alla ricerca e per la Sua paziente guida, mai venuta meno. Un grazie al Prof. Alberto Manelli, soprattutto per la Sue continue dimostrazioni di umanit. Un grazie alla Dott.ssa Anna Paola Micheli, la cui collaborazione e disponibilit stata determinante per la stesura denitiva del lavoro. Un grazie particolare a mia moglie e a mia glia, per il tempo che ho loro sottratto.

1. Il rischio e limpresa
1.1. La denizione di rischio Diversi studiosi si sono occupati del rischio, fornendone denizioni e interpretazioni pi o meno autentiche. Secondo alcuni, il rischio da associare esclusivamente ai fenomeni suscettibili di misurazione statistica, essendo ripetibili nel tempo. Tra questi, ricordiamo anzitutto Knight che, nel suo Risk, uncertainty and prot subordina il rischio alla possibilit di attribuire ai diversi risultati o scenari di un determinato evento una probabilit oggettiva di manifestazione 1. Rispetto a questa interpretazione, una parte della dottrina ne critica il carattere eccessivamente oggettivo e la convinzione aprioristica che, data una specica frequenza registrata nel passato, questa debba ripetersi anche nel futuro. De Finetti e Savage, ad esempio, suggeriscono una concezione maggiormente soggettivistica del rischio, partendo dalla constatazione che laccezione di rischio di Knight non pu essere condivisa, considerato che gli individui non hanno tutti lo stesso grado di conoscenza e la medesima disponibilit di informazioni sugli eventi. Viene afermata, quindi, lesistenza di diversi livelli di probabilit soggettiva, derivanti dalla ducia attribuita dai soggetti ai diversi esiti, anzich un unico grado dincertezza e di rischio oggettivo 2. Secondo tale accezione, il valutatore, in sostanza, che, posto di fronte ad una serie di risultati forniti da una successione signicativa di prove, assume questi risultati come elementi rappresentativi del modello di rischio collegato al fenomeno da analizzare, attribuendo a ciascun elemento un grado di ducia corrispondente alla frequenza in cui il risultato medesimo si manifestato nellambito dellinsieme delle prove considerate. Di conseguenza soltanto in un caso il fenomeno
Occorre ricordare, infatti, che limpiego di strumenti statistici richiede che levento oggetto di analisi si manifesti un numero di volte tale da potere attribuire allo stesso una determinata frequenza. 2 C. CONTI, Lesposizione dellimpresa ai rischi nanziari, Egea Milano 1996, p. 3. 15
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rappresentabile mediante la probabilit soggettiva e precisamente laddove i possibili risultati di un evento facciano emergere, secondo la valutazione dellanalista, evidenti segnali di simmetria. In conclusione, la concezione di De Finetti e Savage porta a riconoscere ed affermare la difcolt di afdare la stima di un rischio a procedimenti oggettivi di valutazione, contrariamente alla denizione data da Knight che, spingendo a scartare le previsioni inquinate da valutazione personali dellanalista, invita a concentrare lattenzione su una denizione di probabilit il pi oggettiva possibile. Molto vicina a questa interpretazione, la versione suggerita dal Gobbi, secondo il quale non esiste un rischio oggettivo e indipendente dalla visuale adottata, ma un rischio di valore diverso da soggetto a soggetto, considerando le diverse dotazioni informative e, quindi, le differenti capacit di previsione e di stima. Lautore di LAssicurazione in generale, infatti, partendo dalla constatazione che le opposte previsioni, formulate normalmente da un osservatore, riguardo ai diversi andamenti futuri, appaiono pi o meno certe in relazione alle probabilit che le stesse possano effettivamente realizzarsi, giunge allaffermazione di una probabilit stimata, quale misura soggettiva del grado di rischio 3. Le ulteriori posizioni che hanno trovato, a riguardo, affermazione in dottrina sono quella assolutista e quella relativista. La prima vede nel rischio il complesso degli scenari oggettivamente negativi, a prescindere dallosservatore, come, ad esempio, un incendio, un incidente, un infortunio, unalluvione, che, per la loro stessa natura, vengono percepiti negativamente, indipendentemente dallesistenza di speciche attese. La seconda estende il rischio a tutti gli eventi che sono negativi rispetto ad una determinata aspettativa o ad una specica media. Tra le due, la seconda appare meno restrittiva, coinvolgendo una gamma pi ampia di fenomeni e comprendendo, eventi che, pur essendo di per s non negativi, poich collegati a un risultato positivo, sono comunque da includere nel concetto di rischio, in quanto associati ad uno scenario ritenuto di valore inferiore a quello preso a riferimento, come nel caso di una prova superata con un risultato inferiore alle attese.
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U. GOBBI, LAssicurazione in generale, INA, Roma 1974, p. 14.

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1.2. Le modalit di classicazione dei rischi Nella complessit dellimpresa, il rischio, in quanto suscettibile di assumere diverse congurazioni, non pu essere sintetizzato in una sola classicazione, in grado di fornirne una descrizione puntuale e completa. Pur tuttavia, allinterno dellimpresa, si rende comunque necessario pervenire ad un criterio di tassonomia del rischio, onde denire le risorse e le competenze idonee per la sua copertura. Al pari delle altre dimensioni dellimpresa, anche nella gestione del rischio non si pu prescindere, infatti, dal garantire condizioni di efcacia ed efcienza, per evitare azioni che possano nire per distruggere valore anzich crearne. In ogni caso occorre mantenere una visione organica ed unitaria del rischio dimpresa, evitanto qualsiasi forzatura che, nellintento di isolare una specica tipologia di rischio nellambito dellunitario sistema cui lo stesso appartiene, nisca per trascurare le mutue relazioni, intercorrenti tra le diverse forme di rischio. Ci trova, peraltro, ampia condivisione tra gli aziendalisti, anche se con diverse argomentazioni. Giannessi, ad esempio, sottolinea nella sua opera Le aziende di produzione originaria la natura sistemica dei rischi che, al pari delle funzioni aziendali, sono legati da reciproche relazioni, secondo un continuo avvicendarsi di operazioni, ognuna delle quali non si verica in maniera casuale, ma in stretta connessione con le altre e, insieme ad esse, in conformit del ne perseguito dallazienda 4. Bertini vede, addirittura, nellazienda come sistema di rischi un nuovo modo di concepire la combinazione produttiva, essendo un sistema strettamente collegato sia al sistema di funzioni dal quale scaturisce, sia al sistema di operazioni dal quale riceve il carattere dinamico che contraddistingue i rischi aziendali rispetto agli altri rischi 5. In particolare, lesigenza di leggere in ottica sistemica spinge a identicare, valutare e gestire i rischi dellimpresa in relazione al con4 E.GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria, Volume primo (Le aziende agricole), Colombo Cursi Editore, Pisa 1960, p. 53. 5 U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi nelleconomia aziendale, Giuffr, Milano 1987, p. 35.

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tributo che essi sono in grado di apportare sulla variabilit delle performance dimpresa, sia di breve che di medio e lungo periodo, sempre con lobiettivo di migliorare le opportunit di creazione di valore, combinando e fronteggiando gli eventi di rischio, con decisioni atte a preservare i risultati aziendali dallinstabilit esterna. Su tali basi, dunque, e nella piena consapevolezza dellesigenza di pervenire, come detto, alla mappatura delle diverse forme di rischio associate allattivit aziendale, una soluzione pu essere la classicazione a cascata, per cui si procede mediante successivi step di specicazione, introducendo, via via, nuovi criteri di distinzione. Secondo questa logica, quindi, i rischi aziendali sono classicabili anzitutto in rischi puri e rischi speculativi, a seconda delle conseguenze prodotte sulle performance aziendali, rappresentate, per i primi, esclusivamente da perdite e, per i secondi, da risultati sia negativi che positivi 6. I rischi puri, in particolare, comprendono un insieme estremamente composito di eventi, da quelli che provocano danni alle attivit aziendali, a quelli che producono conseguenze sui beni di terzi, estranei allimpresa. Sono tali gli eventi accidentali di origine atmosferica, gli incendi e quantaltro che comporti danni diretti ai fabbricati, alle merci e al normale ciclo di produzione. Pi specicatamente, appartengono ai rischi puri: gli eventi associati alla tutela ambientale, allo smaltimento riuti e, in senso lato, allinquinamento (rischi ecologici); gli eventi collegati al funzionamento degli impianti energetici (rischi energetici); gli eventi quali furto, rapina e spionaggio industriale (rischi legati alla sicurezza). In relazione alle loro caratteristiche, i rischi puri sono strettamente legati ad eventi imprevedibili, per i quali il gestore del rischio ricorre per lo pi al trasferimento ad operatori specializzati e alla relativa copertura con forme pi o meno strutturate, come i bonds catastrofali e le operazioni di capitale contingente. In particolare, i primi sono basati sulllintervento di una societ intermediaria (Special Purpose Vehicle)
D. DRAGO, Rischio di interesse e gestione bancaria, Bancaria editrice, Roma 1998 p. 24.
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che, previo accordo con limpresa (sponsoring rm), emette obbligazioni con rendimento e rimborso del capitale subordinati agli esiti del rischio puro o della classe di rischi puri coperti. Le seconde sono caratterizzate, invece, dallemissione di titoli a un certo strike price, non appena si verica la contingenza di una perdita di ingente valore.

Figura 1.1. I rischi aziendali Rischio di cambio Rischio finanziario Rischio di tasso dint. Rischio di credito Rischio operativo Rischi puri

Rischi speculativi Rischio dimpresa

I rischi speculativi denotano una superiore complessit, data la loro dipendenza dallinsieme delle variabili aziendali in grado di modicare la redditivit dellimpresa. Essi sono classicabili in rischi operativi e rischi nanziari, a seconda dei fattori da cui scaturiscono. Per i rischi nanziari, invece, gli eventi che rilevano attengono, per lo pi, alla gestione nanziaria dellimpresa, nelle sue componenti costituite dalle perdite su crediti (rischio di credito), dagli oneri e dai proventi derivanti dalla variabilit del cambio (rischio di cambio),

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nonch dai costi e dai ricavi scaturenti, rispettivamente, dagli impieghi e dallindebitamento (rischio di tasso di interesse) 7.

1.3. Il rischio operativo Le imprese, come detto, sono esposte alla mutevolezza dellambiente in modo diverso a seconda della loro capacit di adeguare, modicare e adattare la propria struttura. La domanda proveniente dal mercato e le vendite aziendali non rimangono costanti ma cambiano nel tempo, sia verso lalto che verso il basso, a seconda delle preferenze dei consumatori. Nella nostra economia neoindustriale, la domanda connota forti elementi di instabilit, dovuta alla variabilit dei gusti, alla mutevolezza delle esigenze e delle aspettative del consumatore, sempre pi orientato verso una nuova e specica concezione del prodotto. Il cliente ha abbandonato il tradizionale approccio al prodotto, basato sul grado di soddisfazione generato dalla sua materialit, per avvicinarsi viepi al concetto di prodotto aggregato, vale a dire di un prodotto concepito, in massima parte, sotto il prolo dei servizi che lo stesso pu garantire. Come conseguenza, la domanda diventata pi complessa, giacch i clienti non ricercano prodotti e servizi ma soluzioni ai propri problemi 8, ed divenuto meno agevole dimensionare la capacit produttiva, poich non basta pi produrre un bene e piazzarlo sul mercato ma occorre anche offrire al cliente un sistema articolato di servizi, che possa interagire e rispondere efcacemente ai bisogni complessi9. In parte limpresa pu contrastare tale variabilit cercando di stabilizzare la domanda, ricorrendo, per esempio, ad azioni di marketing che migliorino la delizzazione al brand dellazienda, accrescano
7 Come si vede si tratta di unaccezione di rischio nanziario pi estensiva di quella talvolta in uso in dottrina, riferita alle scelte dindebitamento e al rapporto tra mezzi di terzi e capitale proprio. Nella visione qui adottata di rischio nanziario lattenzione , infatti, rivolta agli scostamenti possibili sul risultato atteso a causa dei cambiamenti che le variabili nanziarie sono in grado di generare nel prolo monetario, associato ad un debito, ad un credito nanziario o mercantile. 8 E. VALDANI, F. DOSI, La personalizzazione di massa nelle imprese italiane: unindagine esplorativa, SDA Bocconi, Milano 1995, p. 30. 9 E. RULLANI, in AA.Vv, Limpresa e il management dei servizi nelleconomia neo industriale, Atti dell8 convegno di Sinergie, Napoli 18 ottobre 1996, p. 13.

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lutilit del prodotto e, in tal modo, permettano di contenere i forti segnali di discontinuit provenienti dal mercato. Spesso, ci non tuttavia sufciente a risolvere linstabilit trasmessa dallesterno, essendo altres necessario predisporre unadeguata elasticit operativa, grazie alla quale la struttura produttiva dellimpresa riesca ad adattarsi alle mutevoli condizioni dellambiente di riferimento e ad assicurare una superiore certezza dei suoi risultati. Soltanto con un basso grado di rigidit della struttura aziendale, limpresa pu, infatti, adattare i livelli produttivi agli eventuali mutamenti dello scenario di riferimento e, in tal guisa, attenuare laleatoriet dei suoi risultati operativi. Per tale obiettivo, occorre mantenere bassa ntanto che le esigenze produttive lo consentono lincidenza dei costi ssi rispetto a quella dei costi variabili, nella consapevolezza che al crescere dei costi ssi aumenta anche la rigidit aziendale e diventa difcile da modicare la struttura produttiva. Con riferimento ad un orizzonte temporale ben denito e a un dato intervallo di scala produttiva, i costi ssi, tipicamente rappresentati dagli ammortamenti, dalle spese amministrative e dalle spese generali, risultano, infatti, pressoch indipendenti dallentit dei volumi prodotti, al contrario dei costi variabili, come gli oneri sostenuti per lacquisto di materie prime, che, notoriamente, sono strettamente collegati allammontare della produzione. In una struttura caratterizzata da unalta incidenza di costi ssi, aumenta il rischio operativo dellazienda e la sua esposizione alla imprevedibilit del contesto esterno, atteso che un eventuale andamento sfavorevole del mercato, con la conseguente essione del fatturato, si traduce, inesorabilmente, in risultati operativi inferiori alle attese. A causa dei costi ssi come sottolinea Van Horne la variazione percentuale nei protti che accompagna una variazione nel volume di produzione maggiore della variazione percentuale nel voume di produzione stesso10. Di contro, in una struttura con forte incidenza di costi variabili, diminuisce il rischio dellimpresa e la sua sensibilit alla dinamica del mercato, data la possibilit di contenere, riducendo i costi, i riessi negativi che una diminuzione delle vendite pu generare sulle performance di periodo.
J.C. VAN HORNE, Teoria e tecnica della nanza di impresa,Edizione italiana a cura di F. Cesarini e M. Onado, Il Mulino, Bologna 1984, p. 208.
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Questa capacit dellimpresa di adattarsi ai movimenti della domanda misurabile mediante la leva operativa che, come noto, denisce la reattivit o elasticit dellEBIT alle variazioni del livello di attivit operativa. La leva operativa costituisce un importante indicatore del grado di rischio operativo, ossia, del rischio di incorrere in perdite indotte da contrazioni del fatturato. Con una leva operativa alta cresce il rischio, considerato che, in tali condizioni, diminuzioni, anche modeste, del fatturato, niscono per produrre signicative riduzioni dellEBIT, spingendo velocemente limpresa verso larea di perdita. Rispetto al rischio operativo, la cui origine rappresentata comunque dallincertezza delle vendite e dei costi di produzione, il leverage operativo esplica un effetto di amplicazione di una variabilit gi esistente che, pur provenendo come detto dallesterno, risente di alcuni aspetti specici del core business dellimpresa, come lesistenza di barriere allentrata, la concentrazione delle fonti di approvvigionamento e la progressiva obsolescenza degli impianti, in quanto fattori forieri, in date condizioni, di instabilit delle performance operative. In quanto elasticit, la leva operativa denita dalla seguente espressione:
RO = ( EBIT01 / EBIT0) / ( V01/V0)

indicando con: RO il rischio operativo; EBIT01 laumento o la diminuzione dellEarning before interest and taxes, tra lanno 0 e lanno 1; EBIT0 lEarning before interest and taxes relativo allanno iniziale 0; V01 laumento o la diminuzione del fatturato, tra lanno 0 e lanno 1; V0 le vendite nellanno iniziale 0. Lespressione precedente pu essere scritta anche nella seguente forma:

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RO = [(EBIT1 EBIT0) / EBIT0] / (V1 V0) / V0 RO ={[(V1 CV1 CF)(V0 CV0 CF)] / EBIT0} / [(V1 V0) /V0] RO = {[(V1 CV1) (V0 CV0)] / EBIT0} / [(V1 V0) /V0]

avendo indicato con V1 le vendite al tempo 1. Esprimendo, inoltre, le vendite e i costi variabili in termini delle quantit vendute Q1 e Q0 per i relativi prezzi e costi unitari cv, si ottiene:
RO = (p * Q1 cv * Q1) (p * Q0 cv * Q0) * [p*Q0 / (pQ1 pQ0)]

da cui:
RO ={[p(Q1 Q0) cv (Q1 Q0)]/[Q0 (p cv) Cf]}/[(Q1 Q0)/QO] RO={[(Q1 Q0) * (p cv) ] / [Q0 (p cv) Cf] }*[Q0 /(Q1 Q0)] RO= Q0 * (p cv) / [Q0 (p cv) Cf ] RO = mc* Q0 / EBIT

Il rischio operativo , dunque, funzione del margine di contribuzione e dellEBIT: esso cresce allaumentare del margine di contribuzione, data, come detto, limpossibilit di ridimensionare la struttura produttiva nella parte rappresentata dai costi ssi; scende in corrispondenza di pi elevati livelli reddituali.

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1.4. Il rischio dellindebitamento Come detto pi volte nel corso di questo lavoro, il rischio dipende dal grado di autonomia dallesterno, non essendo limpresa una macchina concepita e realizzata per operare secondo schemi e procedure rigidamente e deterministicamente ssate, dal comportamento e dalla dinamica completamente prevedibili, capace di funzionare indipendentemente dagli stimoli provenienti dallambiente esterno; n tantomeno un sistema chiuso autopoietico, in grado di produrre i propri componenti rigenerando continuamente la propria organizzazione, grazie ai processi interni che lo rendono autonomo dal contesto 11. Ebbene, lindebitamento riduce tale grado di autonomia e, con esso, aumenta il complessivo rischio dimpresa. Le scelte riguardanti la struttura nanziaria possono nire per amplicare ulteriormente la vulnerabilit dellimpresa derivante dalla gestione operativa. Al crescere del leverage diminuiscono le possibilit di adattare la struttura aziendale ad eventuali contrazioni del fatturato, dato che gli oneri nanziari associati allindebitamento sono rigidi rispetto al volume delle vendite. Per tale motivo, alcuni autori arrivano a denire il rischio nanziario facendo unicamente riferimento allinsieme delle manifestazioni di rischio collegate al capitale di credito. Il Fanni, ad esempio, fa coincidere il rischio nanziario con il rischio dipendente dallassunzione di capitale di credito ai ni del nanziamento dei progetti e dellimpresa medesima, partendo dalla semplice constatazione che se i progetti vengono nanziati mediante nuovo capitale di credito si amplia il grado di scostamento dei possibili risultati produttivi dalla media rispetto a quanto accadrebbe se fossero nanziati unicamente con capitale proprio 12. Della stessa opinione il Solomon, secondo il quale una parte del rischio globale di impresa (RGI) ha origine nella gestione operativa, vale a dire nel complesso dei fattori che contribuiscono a congurare la qualit del usso di utili netti operativi attesi, alcuni dei quali sono
11 G. GOLINELLI, Lapproccio sistemico al governo dellimpresa I, Padova, Cedam 2000, pp. 40 e 48. 12 M. FANNI, Manuale di nanza dellimpresa, Giuffr Editore, Milano 2000, p. 659.

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da associare alle previsioni delle condizioni economicopolitiche generali, altri alle previsioni inerenti le regioni ed i mercati in cui si trova ad operare lazienda sia per quanto attiene la vendita dei propri prodotti sia per quanto riguarda lapprovvigionamento dei fattori produttivi; altri, ancora, alla velocit e essibilit con cui limpresa in grado di ridurre i suoi costi di produzione quando si contrae il suo fatturato.13 La restante parte di RGI deriverebbe, invece, dalle modalit di approvvigionamento nanziario dellimpresa o, per meglio dire, dal grado di copertura del fabbisogno aziendale con il ricorso allindebitamento piuttosto che al capitale proprio. In condizioni normali, caratterizzate dalla presenza di capitale di credito nellimpresa, risulta quindi: RGI = RO + RF
Figura 1.2. Le componenti del rischio globale

Rischio originato da fattori di natura operativa (RO)

Rischio globale dimpresa (RGI)

Rischio originato dal ricorso allindebitamento per la copertura del fabbisogno finanziario (RI)

13

E. SOLOMON, Teoria della Finanza aziendale, Il Mulino, Bologna 1972, p. 103.

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Capitolo 1

Laddove, invece, limpresa sia nanziata unicamente con capitale proprio, il rischio globale coincide allora con il rischio operativo:
RGI = RO se N = K

Si tratta evidentemente di una situazione puramente teorica, in quanto nella realt il fabbisogno nanziario delle imprese trova sempre copertura nellindebitamento oltre che nellequity. Di norma, pertanto, le due congurazioni di rischio globale e di rischio operativo divergono, per cui:
RGI RO se N < K

Il ricorso allindebitamento, infatti, accresce il grado di incertezza degli utili netti rispetto a quello degli utili netti operativi, a causa degli oneri ssi, quali sono gli interessi passivi, che si frappongono tra i primi e i secondi.

Tabella 1.1. Impresa non indebitata Utile Operativo Oneri Finanziari Utili netti 100 90 10% T 100 t+1 90 10% t 100 10 90 Impresa indebitata t+1 90 10 80 11% 10%

Considerato ci, la diminuzione dellutile netto generato da una essione della gestione operativa pi consistente, in presenza di oneri nanziari, data la loro incomprimibilit al contrarsi dei risultati tipi-

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ci dellimpresa, come si pu notare dallesempio sviluppato nella tabella precedente, in cui una stessa riduzione del reddito operativo del 10% determina nellimpresa indebitata una variazione degli utili netti dell11% contro il 10% di diminuzione dellimpresa non indebitata. N daltra parte leventuale ricorso allindebitamento a tasso variabile pu eliminare il maggiore rischio generato dalla presenza di capitale di credito. Addirittura, se lindebitamento a tasso variabile, una crescita dei tassi di mercato nisce per amplicare ulteriormente la vulnerabilit degli utili netti rispetto alle variabili di mercato, come si evince anche dallesempio riportato nella tabella seguente, ove limpresa indebitata a tasso variabile subisce una diminuzione degli utili netti del 12%, a causa di una diminuzione del reddito operativo del 10% ed un concomitante aumento, sempre del 10%, degli oneri nanziari.

Tabella 1.2. Impresa non indebitata T 100 t+1 90 Impresa indebitata a tasso variabile t t+1 100 90 10% 10 100 90 10% 90 11 79 12%

Utile operativo Oneri Finanziari Utili netti

10%

La maggiore instabilit degli utili in presenza di una struttura nanziaria caratterizzata dal capitale di credito testimoniata anche dallandamento della funzione degli utili netti, esprimibile, come noto, nel seguente modo:
RN = p * Q cv * Q CF OF

che pu esere scritta anche:

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Capitolo 1

RN = (p cv)* Q CF OF

ossia:
RN = mc * Q CF OF

che, in assenza di indebitamento, diventa:


RN = mc * Q CF

Figura 1.3. Funzione degli utili netti


RN RN1 RN0 RN1*

RN0*

RN = mc*Q CF

RN = mc*Q CF - OF

Q0 CF

Q1

OF+CF

Poich le funzioni hanno la medesima pendenza, pari al margine unitario di contribuzione mc, una data riduzione delle vendite (Q1 Q0), determina, nelle due distinte ipotesi di assenza (RN1RN0) e di

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presenza di indebitamento (RN1*RN0*), una variazione, identica in valore assoluto, ma diversa in termini percentuali, maggiore nella seconda ipotesi [(RN1*RN0*)/RN0*], rispetto alla prima [(RN1 RN0)/RN0]. Alle stesse conclusioni si giunge, peraltro, analizzando la reattivit del reddito netto al variare delle quantit vendute, esprimibile come:
( EPS/EPS)/( Q/Q)={[p(Q1Q0)cv(Q1Q0)]/[Q0(pcv)CFOF}/[(Q1Q0) /QO] ( EPS/EPS)/( Q/Q)={[(Q1 Q0)*(p cv)]/[Q0 (pcv)CFOF]}*[Q0 /(Q1 Q0)]

da cui moltiplicando e dividendo per il termine [Q0 (p cv) CF] si ottiene:


( EPS/EPS)/( Q/Q)={[(Q1 Q0)*(pcv)]/ [Q0 (p cv) CF]}/{[Q0(pcv) CF]/ /[Q0 (p cv) CF OF]}*[Q0 /(Q1 Q0)] ( EPS/EPS)/( Q/Q)={[(Q1Q0)*(pcv)]/[Q0(pcv)CF]}*{[Q0/(Q1Q0)]} /{ [Q0 (p cv) CF]/ [Q0 (p cv) CF OF] }

da cui:
{[(Q1 Q0) * (p cv) ] / [Q0 (p cv) CF] } * [Q0 * (Q1 Q0)]

rappresenta la leva operativa, ossia il fattore di amplicazione del rischio operativo, associato ad una data variazione percentuale delle quantit vendute. Laltra parte dellespressione, costituita da:

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Capitolo 1

[Q0 (p cv) CF]/ [Q0 (p cv) CF OF]

rappresenta invece la leva nanziaria, vale a dire la reattivit dellEPS rispetto dellEBIT, essendo:
( EPS/EPS)/( EBIT/EBIT)={[p(Q1Q0)cv (Q1 Q0)]/[Q0(pcv)CFOF}* *{[Q0 (p cv) CF]/ [p(Q1 Q0) cv (Q1 Q0)]} ( EPS/EPS)/(( EBIT/EBIT)=[Q0(p cv)CF]/[Q0(p cv)CFOF]/}

Perci si pu affermare che il rischio complessivo o leva combinata dellimpresa il risultato del rischio operativo, amplicato della leva nanziaria.
LEVA COMB.TA = LEVA OPERATIVA * LEVA FINANZIARIA

che pu essere scritta anche nella forma:


LEVA COMB.TA = [mc Q0 / EBIT ] * [(mc* Q0 CF)/EPS ]

ossia:
LEVA COMB.TA=(mc2* Q02 mc* Q0* CF)/(EBIT*EPS)

o ancora, considerando una quantit generica Q:


LEVA COMB.TA=(mc2* Q2mc*Q*CF)/[(mc*Q CF)* (mc*Q CF OF)]

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