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TARANTELLA

di Roberto Masuello

“Il paradiso lo preferisco per il clima. L’inferno per la compagnia”


Giorgio Sciò, ma io credevo fosse di Oscar Selvaggio

Nota: in questa storia si riporta il gergo carcerario, che spesso non è né


corretto né rispettoso. Me ne scuso.
Inoltre, per quanto i personaggi siano esistiti realmente (tranne uno) con altri
nomi, e la vicenda centrale sia inventata, qualche tempo dopo che l'avevo
scritta, questa storia si è verificata nella realtà, con modalità simili.
E mi scuso anche di questo, per quanto l'onnipotenza non sia tra le mie
caratteristiche.

Nel carcere ci sono degli incroci, dei crocevia. Quattro corridoi sfociano in una
stanzetta quadrata che ha quattro porte, una per corridoio. Naturalmente le porte
hanno sbarre e serrature enormi. Spesso, come in questo caso, sono dotate pure
di vetri molto spessi, infrangibili. La guardia apre una sola delle porte, e subito
la richiude, e fin quando chi è entrato non esce da un’altra porta non si apre a
nessuno.
In questo modo i detenuti non possono entrare in contatto tra di loro, e neppure
parlarsi.
Però attraverso i vetri qualche gesto si può intravvedere. Infatti quel giorno,
nel carcere dove lavoravo, mi trovavo nello stanzino al centro del quadrivio
insieme a Natalino, un detenuto anziano è molto potente, e mentre aspettavamo
che la guardia ci aprisse, dal vetro della porta di fianco a noi si videro un altro
detenuto con una guardia. Un detenuto con una folta barba e occhi da folle.
Subito Natalino fissò il detenuto con uno sguardo tra il severo e il sorpreso.
Dopo dirò di questo Natalino.
Il suo sguardo si faceva più fisso e terribile a ogni istante che passava, finchè
l’altro detenuto, che poi scoprirò chiamarsi Pizzichini, di punto in bianco si
mette a ballare come un tarantolato, cioè come stesse ballando la tarantella,
all’inizio piano piano, per non allarmare la guardia, ma poi, visto che Natalino
non mostrava di capire quei suoi gesti, dondolando a destra e a sinistra,
muovendo le mani come percuotendo un tamburello. Allora, visto che lo
stavamo guardando tutti, e la guardia già gli stava dicendo qualcosa, fini per
rendersi grottesco; la guardia prese a strattonarlo, finchè finalmente lui non
lesse un lampo di comprensione negli occhi di Natalino e allora smise quella
sua pericolosa esibizione. La guardia riprese a fatica il contegno, avrebbe anche
potuto fargli assaggiare il bastone. La cosa sarebbe potuta finire in un rapporto,
che non è mai una cosa buona per un detenuto.
Capii che quel detenuto, Pizzichini, avrebbe rischiato anche peggio per far
capire il suo messaggio a Natalino, il quale buono buono aveva abbassato lo
sguardo come se la cosa non lo riguardasse oltremodo.
Questa scena mi aveva sorpreso molto. Dovete sapere che Natalino è un
personaggio importante nel carcere, prima di tutto capeggiava una “banda”,
un’associazione criminale piuttosto importante nella zona, e poi perchè fratello
di sangue del famoso latitante Volturno. Almeno così mi pare. Abbastanza
potente che in quel momento ne veniva, così mi aveva detto, da una visita a un
isolato, un tale Francisco sudamericano (che però con la pronuncia napoletana
diventa Francischco, anzichè Fransisco). Diceva che andava a trovarlo, e che
avrebbe fatto da padrino alla cresima di questo Francisco.
A me, ve lo dico sincero, mi appariva un fatto inconcepibile. Sapete che vuol
dire essere isolati in carcere? In isolamento ci stanno sostanzialmente tre tipi di
persone: i collaboratori di giustizia (o i pentiti) che qui vengono chiamati per
brevità infami, e che non possono avere assolutamente nessun contatto con gli
altri detenuti, capirete perchè ... Gli autori di delitti sessuali particolarmente
spregevoli, come stupri, pedofilia, legati all’omosessualità e via dicendo; che lo
crediate o no, anche dentro il carcere esiste una specie di legge morale ... In
genere questi sono, sempre per brevità, mezzi pazzi oltre che delinquenti,
magari non abbastanza pazzi per il manicomio criminale (per brevità, oppiggi) e
insomma, meglio non mescolarli, se no sono guai ...
Ah, e poi ci sono i mafiosi, naturalmente, per brevità quarantuno bis, ma il
nostro simpatico carcere non è abbastanza degno per ospitare tali personalità.
Anzi, per dirla tutta, il nostro carcere non è un granchè attrezzato, e non
voglio arrivare a definirlo, come dicono quasi tutti i detenuti e molte guardie,
‘na fetenzia, ma ... Capirete da voi come stanno le cose.
Tornando a Francisco, questo ragazzo colombiano, che come tanti ragazzi
colombiani aveva deciso di fare il corriere della droga ed era stato acchiappato
alla frontiera, a un certo punto se ne esce dichiarandosi omosessuale.
Un bel modo di levarsi di torno, così l’isolamento è assicurato e la convenienza
la sa lui. Natalino dice che lo deve aiutare perchè a stu povero uaglione
sfortunato c'è toccato o’ticchet. Che sarebbe quando ti capita di fare la parte di
quell’uno su dieci che viene beccato dalla polizia, per farsi bella. Dice.
Ma il fatto inaudito è che Natalino come niente aveva ottenuto il permesso di
andarlo a trovare. Vi rendete conto, non solo lo andava a trovare, da soli loro
due in cella, ma avevano messo in piedi ‘sta messa in scena della cresima. Un
boss della mala locale, per lui la droga era come il pane per il panettiere, e un
corriere della coca, due uomini grandi e grossi (per non parlare dei vaccini) che
si mettono a fare il catechismo. Tuttavia a nessuno era parso strano.
Autorizzazione del direttore, e quando mai, e il comandante non aveva eccepito,
lui che è considerato il re degli scassacazzi. E in quanto testimone di Genova,
come si dice qui, assolutamente inappuntabile.
Quanto al Don, il cappellano, aveva subito benedetto con entusiasmo. Vi
parlerò poi di questo cappellano matto. E anche dello strizzacervelli. Una cosa
alla volta.
Fatto sta che il Pizzichini, incontrato lo sguardo terribile di Natalino, aveva
dovuto rispondere qualche cosa, li per li. E cosa aveva comunicato a Natalino?
Difficile dirlo...una danza, un tamburello...alludeva forse a una malattia? A una
festa? A uno sbattere di...ma certo! Il termine tarantella è piuttosto in uso
nell’ambiente. Di solito si riferisce a qualcosa di combinato: una tarantella è
una storia che viene messa in piedi da una o più persone per far credere
qualcosa agli altri, una montatura, insomma, una balla, un film. Una bicicletta.
Perchè allora non mimare la macchina da presa, o il gesto di pedalare? La
tarantella rimanda evidentemente a qualcosa di più serio, e anche un riferimento
culturale specifico. Natalino è napoletano, Pizzichini di Taranto. Camorra e
Corona ...
L’unico modo per saperne di più è chiedere a Natalino.
Come dite? Chi me lo fa fare?
È vero, oltretutto chiedere in carcere è cosa faticosa, e non costa solo fatica. È
merce di scambio la curiosità. Si paga. In diversi sensi: si paga per sapere e,
se le cose vanno storte, si paga perchè si è saputo.
Il fatto è che io sono così. Se me ne dovessi stare, mi verrebbe in mente una
frase che mi diceva ogni tanto mio padre: e allora che campi a fa’? Non so se
mi sono spiegato. Non sono curioso tanto per esserlo. Ho appena detto che la
curiosità si paga, a volte cara. E che devo trovare un senso nelle cose.
Potrà sembrarvi strano...eppure, con tutta la prudenza, s’intende...se no mica
duravo qua dentro.
In fondo, se lavoro in posti come questo, il carcere, la comunità, la strada, e
perchè mi ci spinge la curiosità. Non è una frivolezza. Si tratta di voler capire il
prossimo. Perchè fa certe scelte. Perchè questi posti sono pieni di gente che ha
rifiutato la vita “normale”, quella che facciamo noi, anche a rischio di vivere
male? Mala vita: lo vedrete bene come si vive in galera, e nelle strutture
chiuse; e mica per chissà quali torture, no, nessuno ti scoccia se tu non scocci.
Potresti pure morire, se non fosse per il fatto che poi puzzi. Fèti... E allora se
ne accorgono tutti. E perchè certa gente sceglie questa cattiva strada? Dice il
filosofo: per la cattiveria innata nell’uomo umano. Ma quando mai!
Qua dentro quasi la metà degli ospiti sono tossici malati. E quasi metà sono
stranieri non in regola. Poi ci sono gli abbituè, certo. Dove c'è roba c'è chi
ruba, dice il proverbio. A fronte di tutta questa cattiveria concentrata, fuori di
qua ci sono milioni di uomini liberi che uccidono, affamano, schiavizzano,
violentano, avvelenano, ecc. E magari lo fanno in nome della democrazia,
del progresso, e così via. Lo sapete.
Oppure ci sono le famiglie mafiose, quelle che è difficile colpirle. Tutta
questa gente, qua dentro ci capita raramente. Per caso. Siamo forse
buoni, noi?
E allora: se quelli dentro ci sono più per sfiga che per cattiveria, cioè per il peso
sociale dei loro atti, e fuori c'è di peggio, e io ne disquisisco, ho forse una
soluzione? No, devo essere sincero, no. C'è quella bella teoria del tappeto. E di
un altro direttore di carcere. Semmai poi ve la riferisco.
Non ho una risposta, comunque. Mi sono fatto delle idee, però questa è
una storia, mica un trattato. E poi è probabile che mi sbagli. O che non
sappia spiegarmi. Non sono un filosofo. Non studio le persone. Ci vivo
insieme, invece. E certe cose le vivo, dunque. E ve le racconto.
Potrei accontentarmi, anzi, potevo accontentarmi.
Però dovevo capire. Devo capire. E una maniera c'è. Se chiedessi spiegazioni
a Natalino mi guarderebbe sprezzante, oppure mi risparmierebbe lo sguardo,
volgendolo in basso, e sibilerebbe: “di che stai parlando? Quale gesto, quale
tarantella? Io manco lo conosco, a quello ...” cose di questo genere. Ma io so
come prenderlo, Natalino. Ognuno ha il suo segreto, ognuno il suo dolore.
Il suo non è essere boss in gabbia, fuori era solo il fratellastro di Volturno.
Non è essere ricchione, nessuno si azzarderebbe a dirlo; nemmeno Francisco
lo è. Forse non è neppure essere mezzo infame, cosa che, come sentiremo,
qualcuno mormora. No, bisogna capire perchè quest’uomo ha un vero altarino
in cella, e prega la Madonna. Fa o’veramente, come dice lui. Perchè un
malavitoso (come vi dicevo il termine malavita e proprio azzeccato) in galera
prega, magari sinceramente, soffre, spera, dispera, rispera?
Ve lo dico io perchè. Perchè Natalino ha una figlia che si droga.
Tossicodipendente. E sono legati, legatissimi. Oltre che per il legame padre e
figlia, per aver perso la madre di lei, ovvero moglie di lui.
Una donna straniera, pare molto bella; stroncata da malattia fulminante. Che
c'entro io in tutto questo? È che io lavoro anche al servizio per le
tossicodipendenze, anche in comunità, anche ...
Ne’, direte voi, ma in quanti posti lavori? Rivelazione! Sono precario ...
Oppure, c'è un modo elegante per dirlo: free lance. So’ frilens.
La figlia di Natalino, povera ragazza, entra e esce dalle strutture per i tossici.
Noi lo chiamiamo il giro della giostra. Non ce la fa proprio a starne fuori. Ci
sono diverse ragioni per questo fatto, alcune le conosco, altre no. Mi si spezza il
cuore a fare l’inventario delle motivazioni. Fatto sta che la ragazza si droga.
Ora, a me ogni tanto capita di averci a che fare, ma così, come usa oggi in tutti i
lavori, di sfuggita. Pare che non c'è più tempo per dedicarsi a una persona. A
cercare di capirla. Bisogna compilare moduli, raggiungere quote, far quadrare
conti. Si, pure coi tossici. Si, pure un precario come me. Che volete, non l’ho
progettato io, il mondo.
Ma per quanto poco abbia a che fare con sua figlia, per quanto sia disperato il
caso e poco si possa fare, Natalino è tenacemente convinto che io possa aiutare
la figlia. E mi dice sempre “l’hai vista?”, “come sta?”, “e un po’ meglio?”. Che
si può dire a un padre in quelle condizioni? Che non può vedere la figlia perchè
lei pure risulta pregiudicata e quindi non può accedere ai colloqui in carcere?
Che gli dico, dunque? Che non c'è niente da fare? Che va sempre peggio? Che
la ragazza manco si rende conto di chi ha di fronte? Natalino è vecchio, e
malato. Prega la Madonna. Anche se ha fatto del male nella sua vita, merita il
dolore della verità su tutto ciò che ama, tutto ciò che gli è rimasto?
E allora dico: “si, l’ho vista, sta così così ... Ci ho parlato ... Mo’ vediamo ...”.
E mo’ vediamo. Non vi ho descritto Natalino.
Natalino avrà sessant’anni. Ne dimostra un po’ meno di faccia, ma è
piegato male. Ha la faccia da italoamericano, però non un vero duro, del
tipo “l’hai detto a me?”.
È un simpaticone, un Joepesci. È bonario, benevolo, come posso dire. Per
questo quando s’incazza, o da ordini (cosa di cui, beninteso, nessuno di noi si
accorge) appare ancora più terrificante. È come papa ubriaco. Tutti lo temono.
O mostrano di temerlo. Nella confidenza, con me, ma credo pure con giudici e
avvocati e compagnia bella, è addirittura tenero, affettuoso. Si preoccupa per
tutti, lui.
E come sta la famiglia? E i vostri acciacchi? E quel concorso come è andato?
Cose così. Non sai se è sincero o affettato. Se fa l’imitazione del padrino o è un
vero patriarca che, come si dice, mantiene famiglie, vedove, orfani e così via.
Quando parla, lo sentirete, mantiene sempre toni bassi, guarda spesso a terra,
ma se ti fissa è il ritratto dell’umiltà. Un feroce mal di schiena cronico lo fa
piegare leggermente in avanti. Quasi sempre se la prende col mondo, lo
sentirete; e gli esce un vittimismo insopportabile. È il suo pezzo forte. Ed è
anche quando è l’ora di mollarlo e andarsene. Fateci caso, quando parla di se
è sincero e a volte straziante. Quando inizia la frase “sto paese”, è la fine. Non
si regge più. Fa il gran finale, si redime. Ma arriviamoci!
Siamo io e lui da soli. Lui come sempre in tuta, o in maglietta bianca e
pantaloncini quando fa caldo e toglie la tuta. Io sempre casual, una specie di
divisa. Un avvertimento. Sulla mia posizione esistenziale, intendo. Siamo in
una sezione speciale, che frequentano coloro che dichiarano di avere avuto
problemi con le sostanze stupefacenti. Gli psicofarmaci sono inclusi? Solo se
non prescritti da un medico. Dico sul serio. Ci sono anche delle celle, per
quelli che ci vivono in pianta stabile. È ambita, questa sezione, perchè è
l’unica dove si può fare qualcosa, giochi, computer e così via. Infatti Natalino
ci si è imbucato subito, anche se, come il resto dell’enorme complesso, è tutto
grigio. Proprio tutto. Pavimenti, pareti, soffitti, porte, finestre, infissi, sbarre,
interruttori, ringhiere, coprilampade, tavoli e sedie, armadi ... Le tute delle
guardie ... Tutto grigio.
Come a dire: merda sei e merda rimarrai. Questo lo diceva una guardia,
un bravo cristo, che aveva anche lavorato nei cosiddetti carceri modello,
dove invece è tutto colorato e tutti lavorano ... Ma non divaghiamo. Come
iniziamo a parlare diventa nervoso.
-allora, ti volevo chiedere di quella domandina che ho fatto...
-quella del ventuno ... (ventuno è sinonimo di colui che esce per lavorare
e rientra per dormire. Gran privilegio)
-quella. Che dice ‘o direttore?
-che vuoi che dica? Io non lo vedo mai. Meglio così. Ma si dice
che difficilmente ti faranno uscire. È presto.
-è presto per loro, chillemmuort...
(fa un piccolo gesto tra se … )
-ma sono loro che decidono. Loro e il magistrato. La legge è legge!
-ah, il giudice, quella ... Ti ho già parlato di lei?
-si, tante volte. Ho capito, ma che ci vuoi fare? Devi pensare a te.
-e che dici, la buona condotta?
-si, quella va bene. Però c'è la pericolosità, e poi, tuo fratello ...
-vabbuo’, ho capito. Devo accupare ancora. Che mi dici di mia figlia,
l’hai vista?
-no, questa settimana no. Ma i colleghi che l’hanno vista dicono
che...non va particolarmente male ...
-migliora, che dici?
-eh, non proprio. Diciamo che non peggiora.
-piglia sempre...
-sempre. Più i farmaci. Ma almeno così sta buona.
-si, sta buona. Dovevo pensarci io, a lei. E quella bonanima di sua madre.
Mo’, da sola, insieme a quel...
-lascia fare, almeno le vuole bene. La protegge.
-azz, e come la protegge, con la siringa! Bell’amore! Del resto se lei lo vuole,
che se lo tenga. La rispetto. Se no lo avrei già...
-si, ho capito. Ma non ti angustiare, che hai già i tuoi guai. Lei è sotto
controllo, lo sai.
-avrei dovuto pensare io a lei!
-dai, non ti flagellare così. Visto che credi, prega.
-dico sul serio, è colpa mia. E che ci dico a Dio, quello ha ragione a
castigarmi. E pure a lei, che potrei dirle? Ma ti pare, con tutta la merda che ho
venduto a tanti ragazzi ... E con tutta la coca che mi sono fatto salire nel naso,
posso mai dire qualcosa a qualcuno? Eh?
-ma nella vita si cambia, no? Quante volte l’abbiamo detto? Adesso tu stai
cambiando, e quando uscirai le starai vicino e l’aiuterai, con la tua esperienza...
-ma tu continui a seguirla, vero?
-io ci butto un occhio, non è che posso proprio occuparmi di lei, lo sai. Io
vado li per seguire i ventuno. Quando era in comunità, anni fa, l’avevo
seguita. Proprio una brava ragazza. Dolce ...
-tu mi devi promettere ...
-ancora! Farò tutto il possibile, te lo riprometto.
-posso fare tanto per te, tutto quello che vuoi!
-sul serio? Proprio tutto?
A questo punto mi prende per il braccio e ce ne andiamo nel corridoio. Dovete
sapere, se non lo sapete già, che dentro i carceri molte conversazioni vengono
registrate. Si dice che ci siano microfoni dappertutto. In ogni locale. Si dice che
registrino anche nelle stanze dove si fanno i colloqui con familiari, avvocati,
operatori, ecc. Il che sarebbe illegale. La leggenda vuole che ci sia un
microfono in ogni muro, in ogni angolo. Ma in realtà non ci sarebbe abbastanza
tempo e abbastanza personale per riascoltare tutte quelle eventuali
registrazioni. Sicchè , registreranno un po’ e un po’. Comunque la prudenza
non è mai troppa. La piega che ha preso quel discorso potrebbe rivelarsi
pericolosa, almeno per me. Ancora una frase e ci sono gli “estremi” per il
licenziamento. E, se succede qualcosa di brutto collegabile a quella
conversazione...
Senza contare l'ipotesi che qualcuno dica qualcosa, sapendo di essere
intercettato, per inguaiare qualcun altro...
Ma basta con la fantasia.
Cominciamo a camminare nel corridoio. Lì è difficile che ci siano microfoni...
Mobili.
Bisogna tuttavia stare attenti a non parlare rivolti alle telecamere. Dice uno
slavo della sezione speciale: “possono leggere il gabbiano”.
Insomma mi porta in giro per i corridoi e mi guarda serio, da sotto in su. Vi
ho detto che soffre di schiena.
-allora, che ti serve? Dai, che sto qua io. Parla!
-ma no, Natalino, non scherziamo. Mi piacerebbe sapere qualcosa di quel
tipo, quello che qualche giorno fa ballava la tarantella...
-ah, tutto qui? Vuoi sapere di quello ...
(la pausa è lunga. Si vede che pensa, soppesa)
...vedi, se fosse un altro a chiedermelo, tu lo sai come funzionano le cose
qua dentro...sarebbe una domanda pericolosa. O a pagamento ... E mi
verrebbe da pensare male. Ma nel tuo caso, lo so che sei un intellettuale e
che le cose ti interessano per le tue ricerche...
-ma quale intellettuale. Che mi muoio di fame!
-vabbuo’, comunque lo capisco che il tuo è un interesse professionale e,
diciamo, non pericoloso. Tu non te la canteresti mai, lo so. Del resto se
sarebbe il caso, fosse già successo, no? (aveva qualche problema, con
l’italiano. Ma chi non ne ha?)
-se è possibile, mi piacerebbe capire cosa è successo. Me lo tengo per me.
Sono una tomba.
-lo so, lo so. Ma vedi, prima di tutto io non so un granchè. Hai visto anche tu
che sono rimasto sorpreso dalla sua reazione. Anche abbastanza... Sollevato,
diciamo così. Ho intùito delle cose, più che altro, ma mica posso dartele come
fatti certi.
-ecco, ma intanto dimmi se le impressioni che hai avuto e che cosa hai intuìto.
Intuìto, si dice.
-si, ma ti ripeto, è tutta fantasia mia.
-lo sai che la fantasia è meglio della realtà. Anche per me. Avanti, ‘sta
fantasia...
-sei proprio tuosto, eh? E vabbe’, ecco qui: io l’ho guardato male perchè sai che
si dice, no? Almeno secondo il telegiornale, per quello che vale: è accusato di
avere partecipato a una violenza sessuale di gruppo, pare in dodici con un
handicappato... Ma ti pare? E poi, poi lo sospettano di avere partecipato ad altre
azioni simili. Quei bambini di quell’asilo ... E poi pare, sempre, che stava con
quello che ha ammazzato quella ragazza, sai, il caso della monaca di Monza.
-Monica, la ragazza di Monza, vuoi dire. Un po’ di rispetto, almeno per i morti,
e che ...
-figurati, proprio io, il rispetto per i morti. È che certe volte mi imbroglio, coi
nomi, specie quelli del nord. Comunque, a me sembrava impossibile. Radio
sbarra diceva che lo avevano incastrato, o che c'era un errore, o forse che i
giudici lo volevano incastrare e usarlo per farlo cantare...
(radio sbarra è la voce di corridoio)
Tu sai come è precisa, di solito, radio sbarra. Quindi, già il fatto che non ci sia
una versione precisa è strano. Comunque sia, quando l’ho visto, ho dovuto
fare la faccia brutta. Pure se ci conosciamo da tanto, ed ero rimasto persuaso
che fosse un uomo d’onore... Vabbe’, conosci anche tu il codice, in questi casi
non si perdona, si punisce. E se non lo fai, tocca a te. A meno che ... Stava a
lui giustificarsi in qualche modo.
E ha fatto la sola cosa che il vetro gli permetteva. Ha fatto la pantomina, il
treatino.
-ho capito. Ma cosa ha voluto dire?
-ha voluto dire che lui non c'entra in quella storia. O meglio, è estraneo
all’infamia dell’accusa, che gli costerà l’isolamento assoluto. Ma non ha fatto
le cose di cui lo accusano. Oppure, c'è un’altra possibilità.
-e quale? A me questa non mi convince tanto, e neppure a te, credo. Qua
dentro so’ tutti innocenti...
-guarda però che quello che ti dico è pure ipotesi. Qui lo dico e qui l’annego.
-dillo e negalo, allora.
-la tarantella non è semplicemente un trucco, un inganno. Non è come il gioco
delle tre carte, dove tu imbrogli facendo credere che c'è una carta invece di
un’altra. No, in questo caso lui intende dire che può pure essere implicato nei
fatti, che non è stato messo in mezzo per caso. Ma che i fatti non sono come
sembrano ...
-e come sono? Com’è ‘sta tarantella?
-oh, non ti basta mai, eh? Sempre co’sta frenesia... Siete tutti uguali, voi
comunisti...
-non sono comunista.
Natalino faceva fatica, lo percepivo. Prendeva tempo.
-e sarai socialista!
Dunque, la tarantella. Potrebbe essere che è tutta una messa in scena,
oppure che non si tratta di un vero delitto, ma di una cosa costruita.
-si, ma l’handicappato, i bambini, hanno sofferto. E la ragazza, Monica,
è morta!
-sai meglio di me che i bambini e gli handicappati si possono, come si dice,
monopolizzare, puoi fargli dire quello che vuoi, insomma. Quanto alla ragazza,
certo che è morta. Su questo non si discute... Ma potrebbe essere che non
c'entra nè il movente passionale e nè la mania...e ti posso garantire che quello,
di manie non ne ha. E allora, si uccide per un preciso motivo, ma che non
c'entra con tutte quelle balle che dicono in televisione. Sto paese ...
-aspetta, aspetta un attimo. Non ho capito. A parte i bambini, e l’handicappato,
che non sono attendibili, la ragazza è stata uccisa, ed è stata uccisa non per
follia animale, come hanno detto, ma per una ragione precisa, dici. E quale può
essere?
-a volte si tratta di vendette trasversali, come quando uccidono il figlio di
quello che ha sgarrato, ti ricordi? Oppure di avvertimenti, colpiscono qualcuno
vicino a qualcuno.
-quindi questo pezzo di merda avrebbe ucciso la ragazza per colpire qualcun
altro?
-anzitutto non ho detto che lui ha ucciso. Secondo poi, non so il movente
preciso. So solo, visto che lui ballava la tarantella, che dietro ci sono
altri significati. Magari mafiosi. O politici.
-politici? Fammi capire ...
-vedi, a ‘sto paese funziona tutto così: è tutto politica. Se uno ammazza a
qualcun altro, subito lo usano per dire: ecco, la mafia; allora la lotta alla mafia!
Mentre invece la mafia, almeno, fa qualcosa per la gente, dove comanda. Non
ci fa mancare niente. Non puoi dire di no!
Oppure dicono, ecco la sicurezza! Bisogna fare le leggi speciali. Bisogna
inasprire. E giù nuove tasse, e più soldi per gli sbirri e i giudici ...
O anche, fanno il discorso politico: ci sono i terroristi, bisogna difendere lo
stato, le istituzioni. Ah! ah! ah! Mi fanno ridere. I terroristi! E poi?
Difendere cosa? I loro interessi, nessuno fa niente per la povera gente che
non sa cosa mettere in tavola.
-vabbe’, mo’ ...
-e no! Che si dica, una buona volta.
Lo vedi che qui ci stanno quasi solo tossici e stranieri. Che cazzo di leggi hanno
fatto per aiutare i tossici? Li ammucchiano qua dentro. A fa’ che? Ti pare che
un tossico qui lo aiuti? A diventare delinquente, lo aiuti. I stranieri, lo sai
meglio di me, che ci lavori pure, con quei poveri mau mau: li usano per farsi
dare i voti dalla gente. Votateci che vi proteggeremo dagli invasori. Invece noi
sappiamo che questi che arrivano con le barche, quelli che riescono a arrivare,
ci servono come il pane. Per fare andare avanti le fabbriche del nord, a stipendi
da fame. Però poi ci fanno la cresta sopra, capisci, sfruttano la paura della
gente! E i giudici se la pigliano con noi, ci isolano, ci comprano con gli sconti
di pena, con le delazioni. Ma tu credi veramente che ...
-scusa, Natalino, ma devo andare adesso, ho un altro colloquio.
-si, vabbuo’, vabbuo’...
Ve l’ho detto che quando parte il delirio ... Diventa rosso, sputa, urla, e non
si può mica sentire. Poi, io in teoria dovrei contenerlo. Che figura ci faccio?
E tutta la sezione si anima. Poi dicono, il solito Natalino.
Lo lasciai e me ne andai. Bisognava fare così. Mentre mi allontanavo si
raccomandò ancora sua figlia. Non avevo capito molto sulla tarantella, se non
che le cose non stavano così come sembravano.
Ci poteva stare dietro di tutto. Politica, mafia, depistaggi. Però, perchè fare
del male a una ragazza, a dei bambini innocenti?
Lui ha detto, non come le tre carte. Invece a me sembra proprio il trucco delle
tre carte: qui c'è il delitto passionale, qui quello di mafia, e qui quello politico.
Scegli una carta: credi che sia un delitto passionale, come dicono tutti? E
l’unica spiegazione per il sacrificio crudele di vite innocenti. E invece no, è la
mafia. Ma che c'entra la mafia con queste storie? Che ci guadagna? La mafia
specula. E la politica? No, è del tutto inverosimile. La spiegazione è razionale,
ma non mi convince. Che cosa avrebbero da guadagnarci i pezzi grossi da
queste storie malate?
Ve lo dico io: quello vuole solo scansarsi i colpi, e si è inventato un
riferimento del tutto fuori luogo. È un professionista. Non ha manie,
perversioni. Forse lo hanno incastrato. Forse è “innocente”. Questo
pensavo.
Girovagavo per i meandri della galera pensando ai fatti miei. Ma continuava a
risalirmi la storia della tarantella. Perchè questa ossessione, adesso? Cosa me ne
frega di chi ha ucciso chi? Tanto più che non è mai servito a niente farsi delle
idee su queste cose, perchè alla fine decide il giudice, il tribunale. Ed è un po’
come la schedina. E non vinci mai. Girando, i corridoi in carcere sono infiniti,
girando, puoi camminare senza fermarti mai, ammesso che come me hai diritto
a farti aprire dalle guardie. Giri su te stesso senza vedere mai la fine. Entri dal
cancello, o dalla sbarra se entri con la macchina di servizio, poi infili l’ingresso
principale, quello del timbro, con la scala che porta agli uffici, oppure tiri dritto
al corpo di guardia, dove devi far vedere il pass (adesso cominciano con
insistenza a chiamarlo badge, non vi dico i casini che ne vengono fuori con tutti
i dialetti che si mischiano qui dentro...) ma se sei conosciuto, come me, te lo
tieni a penzolare negligentemente dalle tasche della camicia; e poi passi nel
detector. Se sei pivello, e non sai che devi lasciare chiavi e telefoni fuori, suona
tutto e fai una figura di merda, senza contare che poi tutti ti guardano male,
perchè sono autorizzati a pensare che volevi passare qualcosa di metallico o di
comunicativo a qualche detenuto.
In compenso, se porti dentro un milione in biglietti di grande taglio, ben
sistemati addosso, nessuno se ne accorge. Per non parlare di bustine di
idrolitina...solo un esempio.
Girando girando, si sentivano solo i televisori per i corridoi. Dovete sapere
che le televisioni vanno a tutto spiano, ventiquattro ore al giorno.
Anzi, addirittura c'è una leggenda: che se in una cella la tv è spenta, e i detenuti
non stanno dormendo, la guardia gli fa storie. Si insospettisce. E, sempre
secondo la leggenda, o riaccendi la tv, o so’ cazzi. Quest’ultima è
un’espressione ormai ben nota nella vulgata.
Vuol dire che sono guai. Sempre secondo la leggenda. Ma poi, ecco che mi
imbatto nel tempio della cultura: la biblioteca. La biblioteca è sempre
frequentata. E ben fornita dei due classici carcerari: i triller trucidoni (più
sono trucidi e più piacciono) e i trattati legali, si, la giurisprudenza, a
cominciare dai codici. C'è la leggenda, vera vi garantisco, che certi detenuti di
lungo corso ne sanno più del loro avvocato. Ma molto più! E poi, a sorpresa,
il terzo filone più gettonato e quello delle ricette. Qui mica scherzano quanto a
cucina. Tanto per fare entro e ci trovo il solito scenario: in un angolo una
guardia, più annoiata che mai, in un altro angolo il Barolo, bibliotecario
ufficiale perchè nessuno è bravo come lui, e in più deve scontare quasi un
ergastolo …
In un altro canto c'è l’avvocato. Tutti lo chiamiamo avvocato, perchè lo è, e
perchè il suo nome è meno significativo del titolo. Mo’ manco mi ricordo,
Arduino, forse. Il quarto angolo, quello dove i detenuti registrano il libro da
prendere o da lasciare, e magari ci danno un’occhiatina giusto per non pigliare
una sòla (un pacco, una fregatura, come preferite) è libero. Ora di fiacca. Mi
avvicino all’avvocato, dopo aver salutato gli altri due. L’avvocato ha un suo
banchetto in stile scrivano fiorentino rinascimentale, per la ragione che sa fare
le istanze. Vale a dire che sa scrivere come nessuno le lettere da indirizzare a
tribunali, giudici, magistrati di sorveglianza, ecc. Per richiedere tutto quello
che i detenuti chiedono senza tregua. E cioè continuamente di uscire; sconti di
pena, benefici di legge, e non vi sto ad annoiare oltre. Questo fa dell’avvocato
uno dei personaggi più potenti dell’istituto. Ma con discrezione. Perchè, come
dice, è sabaudo, lui. Volete sapere come ci è finito qui, uno come lui, ricco, di
buona famiglia, e con amicizie importantissime? Ha avuto sfortuna. Lo hanno
beccato, proprio il primo giorno della celeberrima inchiesta sulla corruzione
politica che ha posto fine al regime sponsorizzato dalla chiesa (già, chiesa) e
dagli americani. Per via che questi ultimi non avevano più interesse a
mantenere in vita tale regime, per via del muro, la sapete la storia, no?
E quanto alla chiesa, quella è come un abito, lo metti e lo smetti come vuoi.
Parlo del simbolo politico, eh! Con tutto il rispetto per chi crede, s’intende.
Per tornare al nostro avvocato, il primo giorno della grande e terribile inchiesta,
era per lui l’ultimo giorno di trattativa, con la firma del contratto, per una
transazione immobiliare che lo avrebbe reso uno dei proprietari immobiliari del
centro storico della grande città teatro di quelle gesta. La capitale morale.
Doveva sistemarsi per sempre, l’avvocato, quel giorno. Era il saldo per chissà
quali inestimabili servigi resi ai più audaci tra gli audaci del vecchio regime. E
invece fu la fine. Però una cosa bisogna riconoscere all’avvocato: fu, ed è
veramente un signore. Senza fare una piega, con un mezzo sorriso all’inglese,
dichiarò: “doveva andare cosi”. Poi, naturalmente, lo constaterete, è incazzato
come una belva con quei magistrati che hanno fatto tutto quel casino. E,
sempre da gran signore, ci mette su un velo ideologico. Ma sentiamolo.
-come andiamo, avuca’? sempre al lavoro?
-oh ciao, carissimo, si, ero assorto in queste pratiche. Sai com’e, qualcuno
deve sbrigarle, e se non lo faccio io ...
-se non lo facessi tu, qualcuno ci camperebbe, e molti dovrebbero indebitarsi
per pagare. Soprattutto gli stranieri, quelli senza un soldo, che si mangiano
la casanza, come farebbero? Onore al merito!
(la casanza è il rancio della prigione. Lo mangiano solo quelli senza soldi)
-grazie troppo buono.
-ti dispiace se facciamo due chiacchiere, o hai ancora molto lavoro da finire?
Pronunciai queste parole sotto tono, nella speranza che la guardia non
sentisse. Ma sembrava assopita. Il fatto è che io posso salutare tutti, è vero,
però un colloquio, come si definisce, lo posso fare solo con chi fa domanda.
Anzi, la “domandina”.
Funziona cosi: uno fa una richiesta scritta. Per la verità prima deve fare una
richiesta di moduli e penna (se non ce l’ha) alla guardia. Vi ho detto che tutto è
merce di scambio. Se poi uno è straniero e non sa “esprimersi”, beh, so’
cazzi ... Quando ha inoltrato la richiesta al direttore, o in subordine al
comandante (non ho mai capito questa variante, una specie di suicidio, a meno
di non essere testimoni di Genova, forse) si aspetta. Il direttore, creatura
mitologica che la maggior parte dei detenuti non ha mai visto e non vedrà mai,
non risponde alle domandine. Delega. A sottoposti, assistenti sociali, medici,
psicologi, educatori, mediatori, volontari, persino ministri di culto, vari ed
eventuali ...
Dopo molto tempo, il sottoposto e/o delegato si reca presso la stanza colloqui
(secondo la leggenda, microfonata) nel braccio, o sezione, dove c'è la cella del
richiedente. La guardia ti fa accomodare e va a chiamare il fortunato. Nella
cella subito si crea animazione, chi fa l’eco alla guardia chiamando il detenuto,
chi ammicca, chi accupa, chi invidia. Chi fa le corna. Chi, per dispetto, dice che
quello è ricchione.
Si sa che le celle da due sono da quattro, quelle da quattro sono da otto, e così
via, grazie al geniale raddoppio dei letti a castello. Così parlare con uno
richiama l’attenzione di due, quattro, sei, otto ... E il tempo passa.
Senza contare che solo tra andare e venire se ne passano due quarti d’ora. Uno a
andare e uno a venire, intendo. Perciò non potevo parlare a lungo con
l’avvocato, visto che non avevo in mano la “domandina”. Ne lui, come mi disse
citando un famoso detenuto, specie di Montecristo nostrano, la “rispostina”.
Non avevo neppure un mandato speciale del direttore, o di qualcun altro.
Comunque tutti parlavano con l’avvocato. Era una necessita. Conveniva pure
all’ordine interno. Una sorta di calmiere. Guardando quest’uomo minuto,
sempre elegante (nonostante l’impossibilità di vestire giacca e cravatta)
giovanile malgrado i sessanta più che i cinquanta, mi chiedo che ci faccia qui
dentro, e soprattutto perchè mantenga sempre il suo ottimo umore. Tutti quegli
altri che rubavano, al suo livello, sono fuori. Quelli che “per caso” erano dentro,
non hanno retto e si sono suicidati. O sono “solo” crollati. Invece lui mi guarda,
e sorride.
Facciamole pure due chiacchiere, con piacere. Anche lui si è adeguato al
tono minore. Capiva tutto al volo.
-tutto bene con la tua posizione?
-si, grazie al tuo interessamento pare che mi faranno uscire in affidamento,
prima o poi, presso quella comunità...
-non devi ringraziare me, ma il tuo amico Frankie Fubierre, che mi ha indicato
il tuo caso. Chissà perchè stai simpatico anche a quelli dell’altra sponda.
-perchè vedi, carissimo, quando ti comporti correttamente, anche con gli
avversari...per me non esistono nemici, a parte quei giudici fanatici e corrotti
che mi hanno condannato, che hanno affossato un’intera classe politica...lasuma
perdi ...
Dicevo, se ti comporti, e se fai un favore quando ti viene chiesto, ecco che
quando hai bisogno ... Qualcuno c'è.
-bene, bene. Certo se vai a lavorare fuori chi penserà a tutte le istanze?
-bah, intanto posso continuare a farlo nei ritagli di tempo, ci mancherebbe. E
poi, mica ho da scontare l’ergastolo, ne? Prima o poi finisco. Sai, ho un
buon avvocato!
Tu che mi dici? Hai bisogno qualcosa?
-veramente si. Sai niente di quella storia della tarantella?
-no, che tarantella?
(mi guardavo intorno come un ladro)
-quel... Come diavolo si chiama?
Barolo si era avvicinato silenzioso dietro di noi. Stava andando a riporre un
libro su uno scaffale.
Un bisbiglio: “Pizzichini, si chiama”.
-Pizzichini ... Sai niente della sua storia?
-so che è un mezzo dissociato della Corona. Uno piuttosto sfigato che
beccano
sempre. Adesso per quelle storie malate ...
-ma a te sembra possibile che ci sia dentro?
-ah no! Lo escludo. Per me quello li lo hanno incastrato. Figurati se un
professionista, uomo d’onore e tutto il resto, si caccia in delle faccende
così? Mica li scelgono al grande fratello, i picciotti...
-uagnoni...
-come dici? Ah, si, i picciotti sono quegli altri. Va ben, ti dico, a mio modo
di vedere lo hanno incastrato.
-e chi, sempre a tuo modo di vedere?
-i giudici, naturalmente. Loro vogliono farsi dire qualcosa, lui fa il ritroso, ed
ecco che si ritrova in isolamento con l’accusa più infamante che esiste. (la
guardia fa un rumore come uno che russa) e circola voce che se la sia, o se la
stia per ...
L’avvocato fa il gesto di uno che canta al microfono.
Secondo la leggenda la biblioteca è pulita. Non è microfonata. L’orecchione
medio impazzirebbe, con tutte quelle citazioni. L’orecchione è l’agente addetto
all’ascolto e/o alla trascrizione. Dunque l’avvocato alludeva al canto, al cantare,
al cantante.
- ho capito. E se non ...
(ripeto anch’io il gesto del cantante)
...loro ti ci fanno pensare.
-sempre svelto, il sciur. Adesso vedrai che ci pensa bene, e poi ci fa sentire
qualcosa. Tutto il resto e messinscena.
-come fai a esserne sicuro?
-radio sbarra. E poi, l’esperienza, trent’anni nei tribunali...
-beh, adesso mi sento più tranquillo.
-io no. Con questi giudici in circolazione, liberi, nessuno può essere tranquillo.
Non gli è bastato far fuori il vecchio sistema. Adesso puntano al potere.
Usano i ... Quei li insomma (rifa il gesto del cantante) per colpire sempre più
in alto, ricattare i potenti, eccetera.
-non ti sembra un po’ esagerata, come visione?
-per niente. Se vuoi ti racconto tutti i retroscena.
-grazie, non adesso. Quando sarai fuori, magari.
-comunque sappi che questo è il golpe dei giudici rossi. Li conosco
personalmente. A me non la fanno.
-ma i delitti, scusa, chi li ha commessi? (dico in un filo di voce)
-ah, ci sono i gruppuscoli di estremisti di destra. Oppure quelli di sinistra.
Credi che ammazzino solo i sindacalisti compiacenti?. E poi qualche
connivenza si rimedia sempre, se non altro per gratitudine...
-ancora con le connivenze? Allora l’amico di famiglia potrebbe anche averci
avuto a che fare, con le storie, o no?
-non credo. Se gliele commissionano, quelle cose, chi le farebbe? E perchè?
E nel caso, non ti fai beccare. Sarebbe madornale. Dammi retta. Altro che
tarantella. Questo è un trenino! Voglio vedere come se la cava, stuli’ ...
-hai un’idea molto poco romantica della sinistra. Eppure anche tu eri ...
- ...di lotta contigua, certo! con quello che ho visto potrei scrivere un
romanzo. E come gli piacerebbe! Altro che panza!
Comunque, non rinnego nulla. Solo che con certi giochi sporchi ...
I depistaggi...
-beh, avvocato, se andiamo a vedere i giochi, allora...
-no, no. Guarda che io lavoravo per difendere quelli che usavano mezzi nuovi
per tutelare il bene comune, e fare avanzare questo paese, se ti ricordi
eravamo la quarta potenza ... (ha detto anche lui “questo paese”)
-ah, nuovi, non sporchi. Capisco. E poi di che depistaggi parli?
-ci sono ancora gruppi di estrema sinistra, o di destra (per quello che importa
la distinzione) pronti a colpire per far ricadere la colpa su altri. Terroristi, ma
adesso non fanno più botti grossi, piuttosto piccole azioni che fiaccano il
morale, creano il panico, un po’ come fanno i loro colleghi islamici ...
-eh? Che c'entrano loro?
-ah non lo sai? Che loro vogliono fiaccare l’occidente, la culla della civiltà,
con azioni di piccolo terrorismo diffuso? Per un botto come le torri o le
stazioni metro, ci sono centinaia, migliaia di piccoli delitti. Ci vorrà un’altra
Lepanto! ... Prendi tutti gli spacciatori arabi che sono qui. Sai quanti ragazzi
sono morti di overdose? E sai perchè ...
A questo punto la guardia si rianima del tutto, ci guarda perplesso, e poi sbotta:
-Barolo, è ora di chiudere. Arrivederci a tutti.
Ci tocca uscire nel corridoio. Dal cancello della biblioteca a quello delle
rispettive sezioni ci resta si e no un minuto, al massimo due per sussurrare
qualche altra parola.
-va bene, avvocato. Se non ti spiace potremmo continuare questa discussione
tanto interessante. Ci vorrebbe un colloquio, però .
-senza problemi, carissimo. Sempre obbligato, lo sai ...
(la guardia lo sospinge verso il suo cancello)
-sono come il leone con la spina ... Ciao ne!
-arrivederci, avvocato.
A questo punto mi accodo al Barolo, che è in attesa di smistamento, e lui mi
fa, sottovoce:
-non dare retta a quel patacca. Vieni domani in biblioteca, tra le tre e le tre e
mezza. Son da solo. E ti spiego io come vanno le cose.
-va bene, grazie. (sospiro anch’io)
La storia comincia a intricarsi ben bene. In quel momento mi avvedo che c'è un
certo movimento nel corridoio. Mentre la nostra guardia “passava” l’avvocato a
un collega, da un altro cancello stava entrando un’altra guardia con un detenuto.
Nella penombra si vede poco, ma Barolo riconosce il detenuto e parte veloce
verso di lui. L’altro urla qualcosa di incomprensibile, tipo “ta’, gnaro de
merda!”; o perlomeno il suono era questo. Le guardie si buttano tra i due e
volano dei colpi, quasi tutti sulla schiena di Barolo. Una guardia si porta via il
detenuto urlante, intonso. L’altra prende Barolo sottobraccio, senza averlo
neppure “trattato” troppo, e lo riporta all’ovile. Dal cancello dove era appena
uscito l’avvocato una terza guardia mi ha aperto e in tutta fretta mi ha fatto
segno di seguirlo senza indugio, in modo che fossi implicato il meno possibile
nell’incidente. Quando ti dicono di seguirli senza indugio tu puoi fare
solamente una cosa: seguirli senza indugio.

Il giorno dopo, non ve lo nego, aspettavo di poter parlare con Barolo, anzi più
di tutto, di sentire cosa aveva da dirmi. La notte ci avevo dormito su. Poco.

C'era un temporale. Cominciava a fare caldo. Come vi ho detto, quella storia mi


stava prendendo, come mai nessuna. E senza una ragione precisa. Il destino? La
mattina come al solito, ingresso, con tutte le rotture di palle, timbro, caffè e
giornali. Allo spaccio bere e magiare non costa niente, anche se sulla qualità
bisogna accontentarsi. E ci sono tutti i giornali. Cioè, tutti quei giornali che il
personale carcerario ci si aspetta che legga. Niente Times. Niente Manifesti. Ma
tanta cronaca locale, quella che interessa sia guardie che ladri. Sono andato,
come ogni giorno, a salutare l’educatore capo Pippo, un personaggio davvero
notevole. Sulla cinquantina, da sempre, pochi capelli e barba bianca,
espressione di gioviale ma invincibile rassegnazione, la sua faccia dice: “non
c'è niente da fare”. Passato da movimentista, sportivo, giramondo. Prometteva
meglio, insomma, la sua vita. Ma non è così per tutti? Dopo trent’anni di
carcere, la fantasia, intesa come idealismo se non rivoluzionario, per non dire
iconoclasta, almeno riformista, non c'era più. O, chissà, chi poteva dirlo ...
Magari sotto la cenere...
Comunque devo ammettere che il suo sobrio scetticismo era un toccasana per
me. Quando ero più giovane mi faceva arrabbiare, ma mi serviva per accettare
la realtà. Adesso che pure io... Insomma, l’eta, mica sono un ragazzo... Ma dove
mi sto andando a infilare! Ecco, Pippo è quello che riporta alla realtà, e mica
solo me. Guardie di qua, e ladri di la. Un antidoto contro la complessità,
l’ambivalenza. Per lui non ci sono poliziotti corrotti o criminali romantici, come
nei film e nei romanzi. Per lui sono tutti fottuti uguali!
Ma c'è qualcosa, che emerge dalla massa, e che turba il riposo del mio mentore
Pippo: il direttore. È la sua fissa, la sua croce. Mettetela come preferite. Per lui
il direttore è come il guardiano della porta di Kafka, avete presente? Quello che
alla fine dice: “adesso che stai morendo, posso anche andarmene, ero qui solo
per te, per impedire a te di entrare”. Pippo infatti non è solo convinto che il
direttore ce l’abbia con lui. Di più, arriva addirittura ad affermare che il
direttore esiste per rovinare la vita a lui. Che è la sua unica soddisfazione (del
direttore) quella di rovinargli la vita. Detto questo, e premesso che Pippo è una
persona di prim’ordine sotto ogni profilo, immaginate un po’ che tipino può
essere questo direttore. Non so se ve lo descriverò. Non se lo merita mica. Vi
dico solo che le poche volte che ci ho a che fare, perchè col personale esterno
lui ha poco da spartire, sudo freddo, perchè mi ricordo tutte le cose di cui si
lamenta Pippo, e non vorrei mai passarci anch’io. Io, meno arte, ma vita più
longa! Chiamami fesso! direbbe il Principe. E non dite quale Principe, o mi
offendo.
Dopo tutti questi giri a vuoto, ma almeno in ambienti “salubri”, cioè sempre
grigi integrali, però con personale civile e senza detenuti, me ne vado a fare il
grande giro a vuoto, il tour dei corridoi bui. Passo dagli stranieri ai tossici, dalle
attività culturalsportive se non spirituali, alle scartoffie più improponibili. Tipo
i rinnovi dei permessi di soggiorno! Naturalmente quelli per motivi giudiziari.
Ho accennato alla religione perchè quella mattina c'era la funzione musulmana,
sotto il ramadan, che qui gli italiani chiamano ambaradan. Sono passato perchè
tra le mie funzioni mi occupo di mediare tra le loro esigenze e le istituzioni
italiane. Poi sono andato nella sezione dei tossici che vi ho già descritto. Per
tutti gli altri, la sezione dei tossici è il paradiso paraculato, mentre il locale
moschea è la casbah.
E importante capire un po’ la psicologia che domina questi luoghi. Anche se
poi, è risaputo, gli abitanti dicono che “solo chi ha passato questi cancelli sa”...
E poi eravamo in attesa del derby calcistico, tossici-maumau!
Dopo aver fatto tutta una serie di cose tra l’inutile e il delittevole, che
risparmio per umana pietà, vado a mangiare a mensa, insieme a Peppe e a
Hamid, che sono due tra le poche persone con cui mi trovo bene.
Pippo non mangia in mensa perchè ha bruciori di stomaco, e sapete perchè.
Del resto, io stesso comincio ad avere un po’ di acidità.
Peppe è una guardia in gamba. Totalmente allo zenith, o al nadir, se preferite,
della media dei suoi colleghi, impegnato com’e nel sociale, nella musica,
nella politica, e per niente interessato a portarsi certo lavoro a casa, ma è
meglio che mi sto zitto ... Peppe è talmente diverso che pure lui ha problemi
esistenziali, diciamo psicosomatici, solo che li esplicita diversamente da
Pippo. Lui mangia tanto, troppo. E beve. E fuma. E lo sapete, com’è.
Noi cerchiamo di aiutarlo, facendoglielo notare, ecc. Ma tenete presente che
Peppe è un quintalone andante, e fa pure la faccia cattiva.
Hamid invece è mediatore culturale di lingua araba, anche se non si direbbe.
Infatti è un kabilo (un berbero) biondo, anzi rosso, col nasone, le lentiggini e
gli occhiali. Una specie di woodyallen. Spesso le guardie ci confondono, e
chiamano me “Amico”, che è la traduzione del suo cognome, e lui dotto’.
Anche se io non sono dottore. Hamid invece lo è, ma figurarsi se qui lo
riconoscono! Chiaro?
Sicchè noi due siamo come fratelli. Veniamo dalle sponde dirimpettaie del
mediterraneo, ci piacciono quasi le stesse cose, e la gente ci confonde, ci chiede
se siamo fratelli. Vorrà dire qualcosa? Insomma, mangiamo in santa pace, anzi
ridendo e scherzando, tra occhiatacce di ufficiali e sottufficiali e truppa, che con
ogni probabilità considerano Peppe un infame, il sottoscritto un rompicoglioni
imperiale, e Hamid un mau mau di merda. Hamid, mi è venuto in mente, ha
lasciato il suo paese per non fare il militare, e non dover sparare addosso alla
sua gente.
Peppe è sempre il primo ad andarsene, perchè le occhiate che sente alle spalle
lo fanno digerire male, dice. E non si sa se è un bene o un male. Per la sua
salute, intendo. Fa un sacco di malattia. Ma è cosa comune.
Ce ne andiamo a passeggiare io e Hamid. Pure lui ha mangiato poco perchè
anche se ha la dispensa, come dottore, è pur sempre ramadan. Gli accenno alla
storia della tarantella. Pur essendo molto acuto, non afferra bene tutte le
sfumature tipicamente cripto-italiane della faccenda.
Mi dice solo una cosa. E me la sarei dovuta imprimere bene nella testa.
Lascia perdere, mi dice, tieniti lontano.
Invece scendo nel reparto dove c'è la biblioteca.
Barolo è da solo, come aveva detto. Un po’ contuso, mezzo storto dalle botte
che ha preso il giorno prima. Barolo è un ragazzo, dimostra trent’anni, anche
se a fare il conto delle sue gesta dovrebbe aver passato i quaranta.
Il fatto è che è rosso, in tutti i sensi, di pelle, di pelo, di carattere, si infiamma
come niente. Anche solo a muoversi un po’ veloce, diventa subito paonazzo. È
stato terrorista rosso, un comprimario, una piccola parte, non un capo. Ma è
bastato per assicurargli la vita dentro. Ha un carattere molto gioviale ed
espansivo, anche se è furbo e non da confidenza. Il suo nome dice tutto, se ci
pensate. Però non è un toponimo, o un enonimo (che allora sarebbe stato
meglio “sanzoveis”). Lui c'entra col delta del Po, piuttosto che con la sorgente.
-come va?- Gli dico.
-e che vuoi, l’è la vita della galera.
-ma che è successo?
-non l’hai capito, quello che stavano facendo entrare era il Pota, un nero,
un fascio infame.
-e dunque?
-e allora io devo dargli addosso, mica posso lasciarlo passare così.
- anche a costo di prendere le botte, di farti allungare la pena?
-quanto alle botte, amico mio, rispetto a quelle che ho preso fuori, queste qui
son pugnette! E poi con la pena che ho, sei mesi in più o in meno che
differenza vuoi che facciano? Poi sai che con noi politici le regole son
diverse...
-ma appunto perchè sei un politico, sei diverso, perchè non ti comporti
diversamente?
-perchè qua dentro la regola vale per tutti, non l’hai capito? La regola del cane
e del gatto. Se passa l’infame, devi dargli addosso, se no sei infame peggio di
lui, e poi son cazzi tuoi. Lo stesso vale se si incrociano il fregato e il
fregatore, il turco e il curdo, il fascio e il comunista. L’è uguale!
-sarà ... Comunque mi permetti di continuare a pensare che c'è differenza tra
voi politici e i comuni?
-certo. Noi siamo l’elite, la crema... Ma proprio per questa differenza oggi ti
dico delle cose che altrimenti non sapresti mai. Ringrazia questa eccezione. Un
colpo di fortuna per te, che ti interessi ... Lo so che sei a posto, lo sanno tutti
qui. Che ti interessano le cose perchè sei un ricercatore...
-non direi proprio...
-e poi, detto tra noi, te sei un compagno, no?
-beh, possiamo trovarci d’accordo su tante cose, ma io non mi sono mai
legato a un partito, ho sempre scelto in base a ...
-ma chi parla di partiti? Tu fai questo lavoro, aiuti gli ultimi, mica perchè sei
un baciapile, ci avrai il tuo passato, come quel Pippo la...
-Barolo, sei sicuro che questa stanza è pulita? Non e che mi vuoi come
compagno di cella?
-si, dai, fai mo’ l’infiltrato! Tra i lusco e il brusco, come il lambrusco! Su,
puoi star sicuro, e poi si scherza. Tu nega ogni addebito!
-cosa volevi dirmi, che tra un po’ passa la squadra?
-ecco, volevo dirti che quello che ti ha detto l’avvocato è tutta polenta, tutte
fesserie, come dite voi. Il Pizzichini lo conosco solo di fama, perchè sai che non
c’ho niente a che fare con gli organizzati, però ne capisco abbastanza per
sapere che non sono certo i giudici rossi a incastrarlo e manovrarlo. Anzi,
quando incastrano qualcuno, lo sai bene anche te che sei sempre dietro a
leggere, mettono in mezzo noi rossi. Comunisti, anarchici, cani sciolti e altre
bestie simili. Le stragi insegnano. E chi le aveva organizzate? La mafia, i
servizi, e un po’ quei coglioni dei neri, nei limiti della loro coglionaggine. Cioè,
quei li, senza appoggio di stato, polizia, soldi, non son nessuno ...
(si perde un attimo)
Se ci fai caso, quando esce fuori qualche nome di buona famiglia, qualcuno
della grande criminalità organizzata, e sempre perchè l’inchiesta è finita,
insabbiata, decorsa, o hanno condannato già dei rossi, magari “per sbaglio”,
capisci? Facilmente il signorino è al sicuro all’estero, o è scomparso, non se ne
hanno più tracce, vegnancancher! E il più delle volte, ti aggiungo, facile che c'è
di mezzo anche qualcuno dei servizi. Deviati, naturalmente! Cosa ti dice
questo?
-che lo stato è più interessato a incastrare o accollare le stragi ai rossi
... (fa dei gesti di incoraggiamento, piuttosto plateali)
Che se ci sono di mezzo mafiosi, o neri, o zerozerosette ... Non è
un complotto contro lo stato ma... Dello stato...
-bravo, lo dicevo, io!
-si, ma qui non c'è nessuno zorro di mezzo, solo l’ultimo sfigato dell’ultima
famiglia sfigata. E soprattutto non c'è nessuna strage. Solo delitti comuni,
anche se atroci, contro delle persone...
-ah, ma io parlavo per correggere la teoria dell’avvocato. Non posso mica
sentir dire che tutto ‘sto casino degli ultimi anni è opera di magistrati golpisti!
Lo stato se ne fa assai dei magistrati idealisti, quando gliene serve uno lo
trova
subito. Piuttosto. Lo stato, quando è nella merda ha bisogno dei pizzichini e
degli incappucciati, degli “ex” poliziotti e compagnia cantante. Perciò, io non
so di cosa è colpevole il Pizzichini, e certo quelle accuse li non sembrano
c'entrare molto, ma non si sa mai. Però basta coi martiri dei giudici di
sinistra.
-ho capito. E ti ringrazio. Dunque i giudici non sono così male, allora?
-son dei servi! Cosa mi fai dire? però son mica stupidi. E i
mammasantissima non saranno mai dei martiri, così come i fasci... Tutti
servi.
-ma come, anche i mafiosi?
-ma cosa credi, è tutta una guerra per finta, tra lo stato e la mafia. Ci credono,
e ci rimettono, solo dei poveri coglioni idealisti, come quel della chiesa e i
piccioni nel taschino! Ma lo stato, via, non venire a dirmi che te le bevi tutte!
-ma allora, scusa se mi permetto, io penso che anche il terrorismo, i tuoi
“compagni” illustri, facciano parte di una commedia, magari finanziata dai
grandi servizi stranieri.
-tu mi cogli nel vivo. Son sospetti che ho avuto anch’io, e ce li ho ancora. Però
io posso solo parlare della base, di quegli operai come me, e anche degli
studenti, che hanno creduto nella lotta armata come unica rivoluzione possibile,
per cambiare, per ...
(sembra perdersi davvero, stavolta)
Beh, noi ci abbiamo provato. È sembra che abbiamo perso. Questa battaglia!
Ma la vita è lunga. Certo quello che pensi tu non è privo di fondamento, ti
ripeto che anche a me son venuti dei sospetti. Però , come ti posso dire, se son
cane non ragiono come gatto. E viceversa. Capisci? Io ci ho puntato la mia
vita su questa storia. Potevo anche lasciarcela, su un vialone della litoranea,
una notte di diversi anni fa. Invece sono qui. Mi è andata bene? O male?
chissà. Ma io facevo sul serio. Non venirmi a chiedere se facevo per finta.
Facevo sul serio.
-allora, proprio... Come quei caramba e quei giudici che dicevi prima?
-ma cosa mi fai dire...però a pensarci bene, forse si. Si aveva un’idea dello
stato. Diversa, diversissima. Ma un’idea. Vai con dio, amico, che adesso
arriva quel morto di sonno di ieri, e non vorrei mai si svegliasse di colpo. Mai
sottovalutare il nemico!
-ciao, Barolo, grazie. Mi sei stato molto utile.
Era vero? Mi era stato utile? Tutto quel parlare intorno ai possibili risvolti di
quella strana vicenda non chiariva l’interrogativo di fondo: che ci faceva un
mafioso, per quanto di secondo piano, implicato in assurdi, indicibili
crimini contro persone indifese?
Premesso che io ancora non capivo cosa avesse a che fare la vicenda della
tarantella con la mia vita (questo è il vero interrogativo), ci voleva comunque
un bel deus ex machina. Mica facile trovarli...di solito vengono da soli. Non
potevo parlarne col massimo esperto neutrale, cioè Pippo. Mi avrebbe
cazziato a morte. E con ragione. E io non l’avrei ascoltato. Perciò niente
Pippo. Decisi dunque di affidarmi al caso.
Che prima mi fece imbattere nel temibile comandante. Pioveva, acquazzone
primaverile. E c'erano assembramenti, con gli ombrelli. Il grande capo era
circondato da suoi accoliti e, non essendo molto alto, risultava un po’ coperto.
Era un uomo terribile, un sardo dell’interno, piccolo, come dicevo, e
cattivissimo. Parliamoci chiaro: stimo i sardi al massimo, tra i popoli. Questo
non impedisce che il comandante, detto “carta canta”, volendo essere un figlio
di puttana, era un grandissimo figlio di puttana. Non so se mi spiego.
Pertanto, usando un trucco che non svelo, anche perchè solo le parole senza le
figure non rendono, mi resi invisibile, e proseguii nel mio itinerare
vanacircolare. finchè non trovai Gennarino Capece.

Gennarino è un napoletano verace. Difficile immaginare di poter essere più


napoletani di lui. È cicciottello, anche se fa molto sport, e perciò è agile e
scattante. Sempre a posto, porta i capelli a caschetto, mezzi neri e mezzi biondi,
padroni di non crederci; e un occhialino tondo che gli da un’aria da tonto.
Veramente da l’impressione di essere uno che fa l’imitazione di se stesso.
L’espressione ti fa domandare se possa trattarsi di un deficiente, o di un genio
assoluto.
La verità sta nel mezzo. Davvero. Posso testimoniarlo dal mio osservatorio
privilegiato, dove convivono anche in un solo essere bene e male, intelligenza e
stupidita, creatività e distruttività, eccetera.
Del resto, lo conoscerete, Gennarino, e forse lo apprezzerete. Dunque lo trovo
già nel corridoio, agitato, e mi dice:
-ue’, comme va? (canticchiando e agitandosi un po’) Ahi comme voglio
fa’! Una tarantella, mi sta mimando una tarantella. E ride.
-che cazzo ti ridi? Ti pare il modo di farti vedere dalla tv? (c'è una
telecamera proprio li sopra di noi)
-so che ti piace a’tarantella ...
-e come lo sai?
-mi hai detto che suoni pure, no?
Lui è così, sembra leggerti la mente, ti sorprende sempre, e sempre c'è una
spiegazione. Ma adesso e agitato...
-senti, ti devo parlare, so’ agitato!
-che succede?
-Natalino, ti devo parlare di Natalino ...
Che vi dicevo? Ora potrei continuare a riferirvi quello che disse Gennarino, ma
secondo me è meglio se conoscete la sua storia prima, altrimenti... Vi manca
qualcosa. E allora, eccola qua:
Storia di Gennarino
La prima volta che ho visto Gennarino, stavamo nel quadrivio. Era poco che
frequentavo. Aspettavamo di entrare in un corridoio. Mentre la guardia si
chinava a trafficare con le chiavi, lui, bell’e’buono, mi sussurra una frase in una
lingua orientale. Trattandosi di una frase rituale piuttosto conosciuta a chi si
interessa di cose orientali, tipo meditazione e yoga, non occorre conoscere la
lingua. Mi colpisce il fatto che lui conosca questo mio interesse. Come fa a
saperlo? Guardo quei suoi occhi buffi, dietro gli occhiali rotondi. Non ha
proprio nulla di inquietante. Glielo chiedo, nel corridoio. Intanto gli rispondo
con un’altra formula, e poi:
-come sai che conosco queste cose?
-lo sento.
-cioè, l’hai sentito dire? E da chi?
-no, io sento le cose. Le percepisco.
-ah, tu mi vedi, e sai che mi interessa una certa cosa. E la sai pure in lingua ...
-no, e che pure io mi interesso, faccio yoga, meditazione ... Ma veramente,
sai, io sento l’aura di certe persone. Pure i sentimenti. Le malattie.
-che mi dici?
-non ci credi? Eh, lo so, non ci crede nessuno. Ti faccio un esempio, hai
visto l’assistente sociale, quella ... Quella la?
-si, ho capito, embe’?
-ieri la guardo e, bell’e’buono, le dico “sei incinta”... E pure lei mi dice, e chi
te l’ha detto, e non lo sa nessuno, e un segreto ... Se stava a incazzà. Ma io ce
l’ho spiegato, che sono sensitivo...
-e lei?
-e lei, bell’e’buona, s’è girata e se n’è andata.
(Gennarino ripete continuamente bell’e’buono, e io ve lo riporto fedele. Se lo
ometto cambia il ritmo, e alla lunga pure l’armonia)
-allora hai questo dono, diciamo così.
-come no? Fin da quando ero bambino.
Mi chiede di fare meditazione, esercizi, vuole fare anche teatro, pittura, dice che
è portato. In effetti, nei mesi successivi mi rendo conto che Gennarino è un vero
artista, e anche molto versatile. Fa di tutto, e lo fa dedicandosi con serietà e
passione. È il detenuto ideale. Oltre a impegnarsi nelle attività culturali e
sportive, ha anche bisogno di parlare. E io di ascoltare. Così, nel giro di diversi
momenti di colloquio, o di attività, mi racconta la sua storia. Io ve la giro, come
fosse stata raccontata tutta d’un fiato, senza interruzioni di guardie, porte,
chiavi, amenità tipiche di qua dentro, che non interessano a nessuno. Fuori.
-io fin da bambino ero strano. A volte mi sembrava di sentire quello che la
gente pensava, oppure capivo uno che voleva fare, guardandolo. Mi è successo
pure di sentire che stava succedendo qualcosa, magari lontano da me. Ti ricordi
quel giorno che sei arrivato e stavo nel corridoio a camminare avanti e indietro,
e ti ho detto che ti dovevo parlare? Che tu pensavi che ti volevo dire qualcosa
aum aum, e per questo stavo nel corridoio? Invece ti ho detto che mi sentivo il
fuoco addosso. E il giorno dopo sul giornale c'era scritto che il palazzo dove
stavano mia moglie e mio figlio bell’e’buono era andato a fuoco, è che mio
figlio lo aveva salvato il pompiere, lo aveva preso direttamente dal letto che
stava dormendo. Ti ricordi ‘sto fatto? Beh, vedi che sento le cose. Quella volta
stavo quasi per impazzire, mi sentivo di bruciare. Come se bruciavo io!
Da bambino mi capitavano anche più spesso, queste cose, e tante volte non
dicevo niente per non scocciare o essere preso per matto. Avevo paura che mi
vendevano a un circo. Me l’aveva detto mio zio Alfio, nu’die’strunz! Ti
vendiamo al circo! E io ero piccolo, mi spaventavo.
Ma poi ho avuto altri motivi per mettermi paura. Certe volte mi sentivo
strano, non so dirti come, ma quando arriva lo riconosco subito, cominciavo a
tremare e bell’e’buono cadevo per terra. Poi non mi ricordo bene, e mi
dicevano che avevo avuto le convulsioni, che ero svenuto. Insomma ero
epilettico, bell’e’buono. Non grave. Ma poi so’ peggiorato. E ti dirò perchè.
La mia infanzia poteva anche passare liscia. Tenevo una famiglia normale,
padre che lavorava, fratelli, e mia mamma. Poi lei...è morta. Io ero bambino.
Da allora è stato un casino. Appena ho potuto, bell’e’buono ho iniziato a
lavorare, a viaggiare. E a drogarmi.
Pippavo, e lavoravo meglio. Non sentivo nemmeno le crisi. Una sera che stavo
a rota di coca, sai che ho fatto? Quella roba ti da un cazzo di coraggio,
bell’e’buono so’ entrato in un ristorante, con una pistola di plastica, e ho chiesto
i soldi ai clienti. Avevo già rubacchiato qualche cosetta, ma quella volta
sembrava una rapina. Sembrava solo, però . Pensa che la pistola aveva il
tappino rosso. Manco me n’ero accorto. Fatto sta che quelli mi guardano e
ridono. Mi è sembrato strano, era una tavolata, tutti uomini, certe facce brutte.
Allora insisto, “cacciate ‘e denari”. Loro mi fanno, “uaglio’, vuoi fare
o’veramente?” Non mi ricordo più come è andata. So solo che ho sentito
arrivare una crisi. E poi ho sentito arrivare loro. E i colpi. Mi sono svegliato
all’ospedale, parecchi giorni dopo. Bell’e’buono, ero andato in coma. Mi
avevano operato in testa, per le lesioni. Lo vedi il segno? Da allora i dottori mi
fanno prendere il gardenale. Io pensavo fosse una cosa per le piante. Dicono
che devo prenderlo sempre, se no rischio. Sai chi erano quelli della tavolata?
Mica cammorristi, no. Era una cena di poliziotti. Certo che ci credo, al karma!
Quando sono andato a lavorare a Londra, ho trovato Natalino che lavorava
anche lui li. Faceva import-export, 'e capito? A Napoli quasi non lo conoscevo.
Cioè sapevo chi era, ma che me ne fotteva? Quello è dovuto scappa, e proprio a
Londra doveva scappare. Potevamo anche non incontrarci mai...
Invece li mi ha incastrato, con la bustina gonfiabile. Lo sai come funziona? Uno
ti regala una dose di coca, una piccola dose. Dice, a un amico, un paesano (i più
cafoni arrivano a chiamarti parente, all’estero, lo sai?) certe cose sono dovute.
Poi la bustina bell’e’buona aumenta, ogni giorno un po’ di più. Poi, quando ti
sei abituato, comincia a diminuire.
Allora sei pronto, sei pronto per lo spaccio. Sono diventato un suo cavallo. A
Londra. Me ne sono dovuto andare, da quanto m’ero inguaiato. Pensa che
lavoravo nei migliori posti, guadagnavo come un re. Vabbe che poi finiva tutto
‘int’o’naso... E in Italia non me lo ritrovo di nuovo, bell’e’buono? A ogni parte
dove andavo, la stava la banda di Natalino! Se non è sfiga questa ... Pure che
cercavo di cambiare, mi sembrava, sai, come nel romanzo di Ugo
(voleva dire Hugo)
Che quello, Valegian, si ritrova sempre chillo’la, ‘o carognone, miezz’e...
Si, Giavert, si chiamava.
Insomma, io ci ho provato a cambiare. Il massimo è stato quando sono venuto
qui, lavoravo in un grande albergo, guadagnavo da fare paura. E non pippavo,
perciò tutti i soldi li portavo a casa. Avevo conosciuto mia moglie, a Londra, e
sono venuto a stare qui, vicino a lei. Abbiamo fatto un figlio. Stavo di nuovo
bene. Un giorno mi affaccio al balcone, e chi ti vedo a un altro balcone?
Natalino. Bell’e’buono! E mica stava di passaggio, no, abitava li! così capii che
la cosca sua si era sistemata qua. E d’altra parte questa è una zona buona,
turismo, alberghi, discoteche. La coca va. Ho fatto finta di non vederlo, ma lui
mi aveva visto benissimo. Ha ricominciato con la bustina gonfiabile. Me le
buttava sul balcone. Per un po’ l’ho ignorato, poi una volta che ero stanco,
avevo avuto una crisi, forse avevo litigato con mia moglie, il bambino piangeva
tutta la notte. Si, pure le cavallette. Insomma, bell’e’buono, mi so’ pippato la
bustina. E così sono tornato suo schiavo. Ma che sfiga e karma, era una
maledizione, una persecuzione! E io lo sentivo, sai, che andavo incontro alla
rovina. Infatti, mi fanno fare dei carichi sempre più grossi, ho un giro di decine
di persone.
Sono sempre sconvolto. Mia moglie vuole cacciarmi di casa. E allora ci
beccano. Fanno l’operazione brillante e acchiappano tutti i capi. Pensa che
quelli avevano messo a libro paga sbirri e carabinieri, che se la sono cantata
subito. Quindi grande operazione e grande scandalo.
Poi, con le intercettazioni, sono arrivati anche a me. Coi miei modesti
precedenti, e facendo il bravo, potevo prendermi un anno o due per spaccio.
Essendo tossico, tu lo sai, me li potevo fare in comunità. Ma che succede? I due
fratelli, che comandavano insieme a altri due come loro che è meglio non
nominare, decidono bell’e’buoni di fare la torta. Lo sai cos’e, no, la torta? Si
mettono d’accordo per collaborare, e se lo fanno tutti insieme, per ottenere
sconti, non viene considerata infamia, ma una specie di furbata democratica. Io
non sapevo che fetta mi era toccata. Quando mi chiama il giudice, riesco a
malapena a presentarmi al tribunale, ma non mi rendo conto di quello che
dicono. Mi ripiglio un po’ quando l’avvocato mi ripete le accuse: omicidio e
traffico internazionale! Omicidio? E di chi? Finalmente, con grande fatica,
riprendo contatto con la realtà. Mi risveglio. Dicono che hanno trovato la
pistola che aveva ucciso Gaetano l’infame nel sottoscala di casa mia. Te lo
ricordi Gaetano? Per loro era infame, lui. E doveva morire.
Allora sono riuscito a parlare col giudice, lucido, e ci ho detto: “dottore, guardi
che io di pistola ci avevo solo quella col tappino rosso. Guardi che in quel
palazzo ci vive mezza banda. Controlli le impronte, per favore! E poi quale
traffico internazionale? Io non sono mai stato dove dite, mi era pure scaduto il
passaporto.”
Fatto sta che con quelli, i magistrati, finisce sempre pari e patta. Fanno la
balistica sulla pistola e per fortuna mi scagionano.
Ma il traffico internazionale non me lo toglie nessuno. Perchè ormai con la
banda, con la famiglia, avevano patteggiato così. E lo sai chi era l’autista che
trasportava la merce dal porto di X fino a qua? Quell’ommeniente di Giggino
Chiagnone. Si, proprio quello dalla lacrima facile, quello che sta nel reparto
degli instabili. Sai perchè hanno salvato lui, e per salvare lui hanno incastrato
me? perchè lui tiene famiglia. Tre figli. La moglie malata. E un incidente
stradale col morto. Se gli accollavano i viaggi, rovinavano una famiglia. Invece
io ero il tossico. Non ce l’avevo una famiglia, io? Un figlio piccolo che non
vedo crescere? Sai quanto mi hanno dato. E si che lo sai. Dodici anni. Dodici
anni, ora ridotti a dieci. Quasi quasi non se li fa nessuno, della banda. Forse se
li
sarebbe fatti quello che aveva sparato a Gaetano, se non avessero sparato pure a
lui. Coi giudici non c'è verso di ragionare, loro hanno in testa il loro piano, la
loro contabilità. Già fargli capire che un tossico marcio come me, che non
riuscivo nemmanco più a fare il cameriere, che mi cadevano i piatti di mano,
come facev’a’spara’, con una trentotto? E viaggiare per due tremila chilometri,
ncoppa a nu tir, carico di coca, ti pare? Ma non c'è stato niente da fare. Caso
chiuso. Anche perchè riaprire un’inchiesta con sbirri e carabinieri imputati e
condannati era come giocare con le mine, capisci? Caso chiuso.
Insomma, bell’e’buono, mi sono ritrovato criminale. E gli anni li sto facendo
tutti. A meno che qualche angelo, come te, non mi fa andare a lavorare. Io qua
dentro feto di brutto, lo sai. Non basta la galera, devo pure stare in cella con
Natalino. A meno che uno dei due non va in un altro carcere, sono condannato
a convivere con lui. Perchè? perchè ‘sta maledizione? E chi lo sa... Forse il
karma; o forse quello, con tutto il potere che ha, vuole stare con me per
controllarmi. Lui dice per aiutarmi, ma che gliene fotte ... Può darsi che abbia
paura di me, della mia reazione se prende il sopravvento la forza della
disperazione. Io, a questi, li distruggerei tutti. Ma sono pacifista. So’ yogi...
Ormai ho chiuso con la droga. Mio figlio è un ragazzo e non voglio che si
vergogni per tutta la vita di me.
Mia moglie mi ha fatto capire che mi ha lasciato. Non mi fa mancare niente,
anche perchè la mia famiglia sta a pezzi. Mi ha detto che quando esco posso
andare a stare da lei. Ma lo so che è finita. Del resto è giusto, non le ho dato
che dispiaceri. Non se lo meritava. Mo’ ti ho detto tutto. Così capisci perchè in
carcere ho letto tutti i sutra e i commentari, tutti i testi esoterici del tao e
tibetani, perchè faccio yoga e tantra. Pure da dilettante, mica è male. E mo’ che
mi aiuti tu, è un’altra musica! Quando ti ho visto, bell’e’buono ho subito sentito
che era arrivato il bodhisattva. Tu mi puoi capire, che sei buddista. Come, non
sei buddista? ...
Ora Gennarino mi guardava, non con quell’aria da cazzo, come quando tutto
goduto ti racconta le storie, ma serio, terribilmente serio, come quando e in
paranoia. È brutto, quando è in paranoia.
-Natalino, non puoi capire quanto m’ha esasperato! Io bell’e’buono
l’ammazzo!
-non era il tuo protettore?
-prima di tutto, da sempre ordini. Poi prega, a ogni ora del giorno e della notte,
tu lo sai come fa? Maronna qua e Maronna la. Con quella lamentela
impossibile...e poi ‘na puzza d’incenso, quello di chiesa ... Come devo fare?
Me ne fa di tutti i colori. La tv è la sua, e ‘o padrone. Decide sempre lui, e
sempre
programmi pesanti. La cucina non ne parliamo. Tu sai che sono un cuoco, ho
fatto l’alberghiero. Ma deve cucinare isso, ‘o’scef ... Certe ciofeche, non si
possono manco vedere.
E io? A lavare i piatti. Poi di notte mi scorreggia.
-come sarebbe a dire “mi”?
-lo fa apposta, verso di me, lo fa di proposito! Non ti puoi fare una sega in pace,
manco a morire. Se provi a fartela nel letto, lo sai, qua dentro ti gonfiano.
Quello tiene il sonno leggero, sente tutto. Se vado in bagno, dopo due, tre o
quattro minuti al massimo comincia a dire che devo lasciarlo libero per lui. In
doccia non ti puoi azzardare, stanno in comune ... Mi sta ammazzando ... Che
devo fare? Sto scontando pena doppia, dieci anni, e dieci anni co’ Natalino in
mezz’...
E poi se mi azzardo a dire qualcosa, lo sai come risponde no?
“’nceromborocazz”!
Io non posso farcela, così.
-perchè non chiedi di cambiare cella?
-scherzi? Quello è lui che comanda, e lui che firma le disposizioni. E
poi sarebbe come un tradimento. E allora ...
-so’ cazzi.
-io cerco di rifugiarmi nella meditazione, nell’arte... Ma posso farlo solo
fuori dalla cella, nelle ore di attività. Se mi vede o mi sente fare cose che lui
ritiene “eretiche”, fa il diavolo a quattro. Io bell’e’buono l’accoltello e così
me ne faccio venti di anni, ma almeno in pace...
-dai, cerca di calmarti. Facciamo un po’ d’esercizi, vedrai che ti passa.
... (dopo un certo tempo)
-adesso va meglio. Aspetta ad andartene, ti devo dire un’altra cosa. Vedi che
Natalino, l’ho sentito che diceva a uno dei suoi che tu gli stai rompendo i
coglioni, che vuoi sapere di quella storia di Pizzichini, quella del maniaco, hai
capito?
-non parliamone qua.
(usciamo a passeggiare nel corridoio)
Ti sembra una cosa seria?
-chi lo sa, con quelli non si può mai sapere. Mi sembra che ha bisogno di te, e
se non avesse bisogno ...
-va bene, ho capito. Dici che “bell’e’buono mi fa fare fuori”
-no, basterebbe meno ... Una lezione, sai come?
Comunque tu non ci dire più niente, per sicurezza. Se ci stanno problemi, io ti
avviso. E, accorto, che parla sempre con quella guardia calabrese, Gege’.
-veramente? Fa pappa e ciccia con quello? Cose da pazzi! Non ci sono limiti...
-quando mai ci sono stati?
-ma secondo te, che lo conosci, Natalino quanto potere ha? E quanto è dentro
quella storia?
-lui fa parte delle famiglie, anche se non è un grande capo bastone. Questa zona
e un bluff, un ripiego. Lui campa sulla collaborazione coi giudici, anche se te
parlerà sempre male. Così mantiene pure la patina di rispettabilità... Capito?
così, bell’e’buono ... Gira la palla ... Tutto quello che succede nelle famiglie è
condiviso e coperto, anche se sono parenti lontani. Hai capito? Tra di loro non
passa uno spiffero. E se qualcuno parla, è perchè è tutto combinato. Non ti
fidare mai. Guarda me...
Me ne andai ben poco impressionato. Sapevo che con Natalino mi ero messo in
cattiva luce, parlando. Sapevo anche che aveva un certo potere. Neanche tanto,
poi. Una volta avevo sentito Pippo dire: “se quello continua a rompere i
coglioni lo faccio trasferire”. Avevo anche sentito dire che una volta era
successo. Piuttosto mi preoccupava che desse ordini, o ordinazioni, se preferite,
a quella guardia. Quello mi sembrava vagamente pericoloso. Gennarino era un
noto paranoico, e quando era in paranoia ne sparava di tutti i colori. Una volta
ce l’aveva con un gatto, un’altra con un gabbiano che si affacciava alle sue
sbarre. Diceva che aveva un messaggio dell’aldilà. Ma l’opinione comune era
implacabile: il gabbiano era solo un gabbiano, e aveva una gran fame. Non
voglio dire che Gennarino fosse uno stupido, tutt’altro. Era un animista.
A Gennarino gli volevo bene. Aveva la storia più triste e sfortunata di tutti, la
dentro. In fondo, aveva solo portato delle bustine di droga a persone, tra l’altro,
in trepidissima attesa. Per usare un eufemismo. Nient’altro, per meritarsi quegli
oltre dieci anni. Si, perchè mica c'erano solamente i dieci anni della pena... No,
c'erano stati i processi prima, e dopo ci sarebbe stata la pericolosità
sociale...sempre che reggesse psicologicamente.
Cos’e la pericolosità sociale? Ne, ma sarete curiosi! È quando un criminale
viene ritenuto, per usare un termine abusato, irrecuperabile, e allora anche fuori
dal carcere è carcerato, in tante diverse forme. Per gli associati, cioè coloro
ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, di solito andava così. Ma
capirete che Gennarino Capece era molto lontano da quello “standard”. Però
con la famiglia di Natalino si era “imparentato”, e tanto basta. Pensate che ci
sono assassini che non arrivano a fare dieci anni. Uomini “d’affari” che
riducono in rovina migliaia di famiglie, e non se li fanno. Altri che...ma che
continuo a fare. Avete capito. Il mistero continuava ad accompagnarmi, anche
nelle notti, nei sabati sera e nelle domeniche, nei giorni festivi.

Decisi di parlarne con un esperto. L’esperto si chiamava Carlo. Un ex latitante


ed ex ergastolano, diventato scrittore di successo. Gia, direte voi, come sarebbe
ex ergastolano (giacche scrittore di successo non stupisce più!). Ve lo spiego.
La sua storia è ben nota sia negli ambienti a sbarre che tra gli intellettuali, e i
loro lettori, ma credo non oltre questi ambiti. È un acutissimo scrittore. Ma tra i
venti e i quarant’anni la sua vita è stata un inferno assoluto. Da ragazzo
militava in una organizzazione politica già piuttosto compromessa, ma lui era
pulito. Trovò un’amica morta, in casa sua, dell’amica, e chiamò la polizia. O i
carabinieri. Lo accusarono di omicidio. Senza prove. Sembra, nella dinamica,
uno di questi delitti di oggi, dei quali stiamo trattando in questa storia, senza o
con troppe spiegazioni, ovviamente contrastanti. Carlo scappò, appena potè,
all’estero. Fu forse il suo primo errore, giovanile. Il secondo fu tornare, questo
non più tanto giovanile. In sua assenza, tra anni di piombo e leggi “speciali”,
era stato processato in contumacia; e gli avevano accollato tutto quello che
c'era libero nei paraggi. È passato alla storia per aver subito tutti i gradi di
giudizio più uno, causato da un vizio di forma, e per lui fatale e inappellabile.
Quando stava quasi per morire in carcere, in seguito a, chiamiamola così, una
dieta, il presidente della repubblica lo graziò. Nell’immensa sfortuna incontrò
un’immensa fortuna. Un presidente presidente. Ero in contatto con Carlo,
avevo letto con piacere i suoi libri, e gli avevo scritto. Mi aveva risposto, ci
scrivevamo. Provai a contattarlo via mail, ma rimasi sul vago. Mi disse che la
cosa gli suonava interessante, ma che non potevamo certo mettere su un
carteggio con cui il grande orecchio poteva baloccarsi. Mi parlò di una
presentazione di un libro, in una città non lontanissima. Fissammo. Andare
fuori quella sera, viaggiare in macchina ascoltando musica, mi fece bene.
All’incontro, in una bettola dopo la presentazione (mortalmente noiosa come
tutte le presentazioni di libri) ci fu il piacere di guardarsi negli occhi.
Riconoscere io in lui il grande combattente. E lui in me un interessante
scassacazzi, mezzo compromesso, dato che lavoravo in carcere, ma anche
stimolante per certe mie osservazioni che gli avevo lanciato. Persino nel buio
della bettola, dall’ottimo vino però , si vedevano brillare i suoi occhi. Gli occhi
erano l’avamposto di tutta la sua personalità: chiari, lucenti, penetranti. Non
davano scampo.
Per il resto, un tipo normale. Con su gli occhiali scuri non te lo saresti
ricordato. Vestito come me, come uno qualunque. Sui cinquanta, un po’
logorato dalla vitaccia. Deciso, secco. Come nascondesse la gran pena, e
avesse sempre fretta. Gli parlai finalmente chiaro:
-quando ho sentito di questi delitti assurdi, qualcosa in testa ha cominciato a
girare contro senso. Già mi pareva
inconcepibile che qualcuno ammazzasse o violentasse ragazze, bambini,
vecchi, e così via, e non si trovasse mai il colpevole. Sai, ormai succede di
continuo. Basta guardare il telegiornale.
Cosi, quando a questi delitti ho associato la figura di un criminale
professionista, un mafioso, colluso, e tutto quello che vuoi, sono andato in tilt.
Sai che vuol dire?
Non riesco a capire qualche messaggio impellente dentro il mio cervello.
Ma devo capirlo. A tutti i costi. O impazzisco.
-tutto questo ti fa onore. Però ti consiglio di non esagerare.
La storia del nostro tempo è piena zeppa di misteri. E ancora. Di collusioni, se
vuoi. Chi ha ammazzato il presidente degli Stati Uniti? Chi ha fatto saltare le
torri gemelle, e perchè?
Chi ha sparato al Papa, ha ucciso Moro, Ppp, e perchè? E, più modestamente,
ma egoisticamente: chi ha incastrato me, e perchè? Secondo te, io cosa avrei
dovuto fare? Passare la vita a cercare i miei persecutori? I colpevoli di uno dei
tanti delitti di stato? E a che pro, se mai ci riuscissi? Per scoprire che sono dei
funzionari, e che quello che hanno fatto alla mia vita non è altro che lavoro di
circostanza? Oppure farmi rovinare la vita da una ossessione? Beh, l’ho fatto.
E stavo per morire. Quello che voglio dirti e, segui pure il tuo istinto, fai pure
tutte le ricerche che vuoi, ma come un ricercatore.
Non confondere i mezzi con i fini. La tua vita è preziosa, perchè sei un
individuo consapevole. Disposto a lottare. Se ti fai notare troppo, non sarai
più ne consapevole ne potrai lottare. Perchè sarai morto, o in galera, ma
dall’altra parte.
O impazzito. L’ossessione, curala. Ridimensionala. Usala. Non ti fare
trascinare. Puoi solo perdere l’equilibrio e finire male. Se senti le cose che
senti, lotta per la giustizia. Per aiutare gli altri. Per cambiare. Anzi, visto che lo
stai già facendo, continua. Fai di più e meglio. E divertiti, anche. Io ho trovato
una via d’uscita nella scrittura. Ho finto di inventare storie, ma ho raccontato la
realtà. Solo che i nomi veri non ce li ho messi. Ho già fatto vent’anni tra galera
e latitanza. Che dici, possono bastare? Detto questo, veniamo al punto. Vuoi
sapere cosa ne so io, cosa ne penso? Per fortuna, da quando sono uscito di
galera non ne so più niente di storie di mala. Naturalmente mi sono fatto una
bella idea, e se la situazione non è cambiata radicalmente, posso dirti che il
livello di collusione tra tutti gli “stati paralleli”, cioè servizi segreti italiani e
stranieri, polizie per i cazzi loro, mafie, criminalità comune, ma mica tanto,
come le bande brentane, logge politiche golpiste, e compagnia bella, è sempre
alto.
Mettici anche giudici e avvocati se vuoi. Alcuni, eh? Io non sono di quelli che
sparano a zero. L’abito non fa il monaco, ma ci sono un sacco di monaci che
onorano il loro abito.
Infatti, per le persone integre, come te, non c'è niente di più naturale che fare
bene il proprio...compito? Stavo per dire dovere... All’opposto, c'è una
corruzione spaventosa. A questo proposito, leggiti cosa scrive Impomatato sui
processi politici, lui ha scoperto che c'erano dentro tutti, di qua e di la.
Le associazioni criminali si occupano della crisi! Non è da ridere? Bon.
Che altro dirti?
-secondo te, è possibile che un mafioso sia implicato in una storia assurda,
nella quale non ha nulla da guadagnare, apparentemente? Io non posso
credere che quello ci sia capitato per caso, o per sbaglio. E non è il tipo del
pedofilo o del maniaco. Via, è un mafioso!
-tutto e possibile. Io ho conosciuto gente che era disposta ad ammazzare la
madre, la propria intendo, per la “causa”. Del resto li conosciamo tutti, no?
Quello che ha sciolto il figlio del pentito nell’acido, eccetera. Dio che pena!
Se gli commissionano qualunque azione, loro la fanno. Ne ho sentite di tutti i
colori.
Anche riguardo ai politici. Non hanno ammazzato il fratello del pentito, per
vendicarsi? E in diversi, sai, hanno ammazzato il proprio, di fratello ... Ma
lasciamo stare queste tristezze. Tu mi chiedi se è possibile che la mafia, o un
altro potere parallelo, si interessi a un delitto “comune”, a un omicidio rituale o
a un caso di violenza su minori? Si, è possibile, secondo me. Ti ripeto: tutto è
possibile, con quella gente. Possono sparare al papa domani, se lo trovano utile.
E nota che i mafiosi sono devoti...
Quello che dovrebbe interessarti di più, e che è anche più difficile da scoprire, e
potrebbe costarti la pelle, è il movente. Premesso che “quella gente” è capace
di tutto, perchè dovrebbe farlo? Ridimmi un po’ quali sono questi delitti, che
prima parlavamo di fretta?
(lui e un forte bevitore, e adesso stava carburando)
-hanno beccato questo tizio in relazione a quella violenza di gruppo su un
handicappato, o presunta tale, non si capisce bene. Ma poi le indagini lo
hanno messo in relazione a quell’altra storia di violenza sui bambini di
quell’asilo, ma non direttamente ... E, cosa più grave, sembra implicato in
quell’inspiegabile delitto di Monza, sai quella ragazza...
-si, mi ricordo. Ti dirò, la storia dell’handicappato, che poi bisogna chiamarlo
disabile, è veramente allucinante, ma potrebbe avere un significato per
qualcuno. I bambini non mi tornano, di solito la mafia non li tocca, figli dei
pentiti a parte. La ragazza di Monza invece, si, è un tipico delitto senza
movente, ma sa molto di mafia e/o servizi, nelle modalità.
(riflette molto intensamente)
più che altro a istinto, quella mi sembra ricordare altre storie simili. La mia, per
dirne una. Ragazze uccise, scomparse, quasi a caso, per quanto ne sappiamo.
Le altre storie invece, mi sembrano meno probabili. Ma sai, non sono un
criminologo. Però è interessante, questo tizio implicato nelle faccende più
strane. Non sottovalutare quello che dice radio sbarra, comunque. Se dice
che i giudici vogliono incastrarlo, quella è la pista numero uno. Quindi, per
quanto inverosimile possa sembrare, lo incrimineranno per quelle cose. Il
resto si vedrà.
D’altra parte, io dovevo farmi vent’anni dentro. Senza prove. Solo perchè ero
noto alle forze dell’ordine come militante politico. Ancora non ne avevo
venti, di anni!
(lunga pausa pensierosa. Sembra riassorbire la luce dagli occhi)
Perciò resta alla finestra a seguire le indagini, ascolta senza fare più
domande e... Pensa alla salute! Cioè, goditi la vita.
-si, ho capito, devo farmi i cazzi miei. Sempre la solita solfa...
-eh, dai, mica sei uno sbirro? Vuoi mica scrivere? Ti vedrei bene come
giornalista. Così almeno avresti, come dire...un abito. Con tutti gli annessi e
connessi. Se vuoi ti metto in contatto con un mio amico giornalista d’assalto.
Lavora per un piccolo giornale, come potresti fare tu. Però fa dell’ottimo
giornalismo d’inchiesta. Sai, in provincia è più difficile, perciò più raro. Ma
rischia di essere anche molto più interessante. E se non sbaglio si è dedicato
anche a storie torbide come quelle che piacciono a te. Il fatto è che se sei un
giornalista sei prima di tutto legittimato a fare il tuo lavoro. E poi, i giornalisti
hanno imparato a fermarsi quando sentono puzza di bruciato. O se no, come i
pochi grandi, quello che vive sotto scorta, o quello che fa vergognare gli altri
per le loro scorte, beh, bisogna sapersi parare il culo. Se ti organizzi bene,
puoi anche attaccare il mitico cuore dello stato. Ai nostri tempi eri morto, se
ci provavi. Che ne dici?
-non sono e non credo sarò mai un giornalista. Però , mi interessa.
Fammici parlare.
-questo ragazzo è molto coraggioso, vedrai che ti piacerà.
-e tu che stai facendo adesso? Sei sempre attivo nei movimenti?
-certo. Ora che ho finito quest’altro libro, che mi dara da vivere per un po’, s
però, torno nella mia terra a dedicarmi alla gente, alla comunità. Per me il
cruccio più grande non è legato ai crimini più o meno statali, con quelli ho
voltato pagina.
Li considero una specie di fatalità, o di calamita naturale. Invece sono molto
coinvolto con la vita delle persone che non riescono a tirare avanti. Capisci?
La lotta per la sopravvivenza.
Non posso più vedere gente buona, capace, attiva, che agonizza, soccombe.
Viviamo in un mondo spietato, che ti sorride e ti dice: “uno su mille ce la fa”.
Tutti gli altri no. Ecco, io voglio cambiare un mondo dove se ce la fai bene, e
se no puoi anche morire. O vivere male, come i nostri amici a strisce. Lo voglio
per le persone del mio paese, per esseri umani in carne e ossa. Lo voglio per i
miei parenti emigrati in America e finiti sotto una terribile dittatura, che poi
lascia una scia di miseria infinita, anche dopo che è finita. Capisci, lavoro non
per una astrazione, un principio, ma per degli esseri umani, che soffrono! E non
meritano di soffrire così ...
-come li aiuti?
-non lo sai? Sostengo le lotte per migliorare le condizioni di vita, contro gli
abusi di potere. Per esempio, adesso stiamo lavorando sullo sfruttamento
selvaggio dell’acqua. Poi ci sono molti movimenti contro aziende di fuori che
sfruttano, licenziano, fanno quello che vogliono.
E a contrastarli siamo in pochi. Poi c'è il fronte specifico della cultura. Questo
lo sai, porto avanti il discorso della lettura attiva, dei centri di aggregazione
per i giovani più o meno a rischio... Ma parlami un po’ anche di te, della tua
vita...
La sua requisitoria continuò ancora, con toni veramente alti. Lo invidiavo,
sapete. Era grande. Però mancò poco che lo mandassi affanculo, quando mi
consigliava di farmi gli affari miei. Proprio lui, che si era fatto anni di galera
per gli affari degli altri ... Gia, direte, proprio per esperienza parla, e ti
consiglia per il tuo bene ... Ma andate affanculo anche voi!

E poi in galera io ci sto già. Lo avrei ringraziato invece, Carlo, perchè il suo
amico giornalista mi confortò non poco. Aveva ragione. Siamo molto simili.
Solo che lui ha capitalizzato la sua curiosità, le sue ossessioni. Vi racconterò del
nostro incontro. Abitava in un posto vicino a me, a poco più di un’ora di
macchina, finiva di lavorare che era notte, e aveva sempre voglia di parlare. Si
presentò vestito anche lui come uno qualunque, dimostrava un po’ più di una
trentina, però rimaneva impresso. Più alto della media, dinoccolato e agile, con
un fare deciso e disinvolto che colpiva. Era un cacciatore di misteri e scandali,
nel suo piccolo. Aveva appena scritto un saggio brillante sul declino del potere
della televisione, partendo dal fatto che i cittadini della sua sperduta provincia
si erano riuniti spontaneamente ed erano riusciti a impedire uno scempio
ambientale, senza dare retta a ciò che dicevano politici locali e nazionali, il
buon senso, i media, e anche lei, mamma tv. Mi era piaciuto molto. Scritto con
semplicità, di agile lettura, però acuto e molto incoraggiante. Per davvero, il
potere della televisione sulle persone stava diminuendo? Forse si. Il capitalismo
mostrava crepe mai viste, ma la politica e soprattutto la tv, la grande madre
lucente, continuava a negare, a coprire, a lanciare jingle confortanti. Ah si?
Sembrava dire la gente, e vediamo un po’ ... Quanto all'internet, beh quello a
differenza della mamma (verità di stato) spezzettava notizie opinioni falsità e
quant'altro (soprattutto quant'altro, mi ripeteva sempre un amico) in modo da
creare la cortina fumogena che andava a coprire anche la fluorescenza
televisiva. E che la morente avanguardia intellettuale battezzò postverità (cioè
troppe verità, nessuna verità). Peccato che, come i preti, i superstiti intellettuali
si limitino ormai solo alla somministrazione di sacramenti dimenticandi. Lo so,
mo' è troppo. A volte mi scappa...
Andai all’incontro con questo giornalista molto carico. Lui mi disse subito
una cosa:
-il tuo nome e il mio restano celati, fin quando uno dei due, o una terza parte,
non chiede di rivelare uno o più nomi.
Allora decidiamo insieme se rivelarci o no. Non si chiama mafia. Mo' si
chiama privacy. O, per dirla in italiano, diritto alla tutela della propria
vita privata.
-se sei d’accordo cominciamo, altrimenti arrivederci e grazie. Che ne pensi?
-che sono d’accordo. Anzi, mi piace!
-bene. Mi ha detto Carlo che mi vuoi parlare di qualcosa di misterioso, e
anche un po’ scabroso. Delitti politici eccetera. Poterebbe esserci qualcosa di
grosso sotto, per cui forse dovremmo rivolgerci a qualcuno più grande di noi.
Ci penso io.
Mi ha detto anche che sei coinvolto professionalmente in queste vicende e che
rischi in prima persona. Ragione in più per muoversi coi piedi di piombo.
Oltretutto, io mi occupo della cronaca di questa provincia, che confina con la
tua, ma nella tua io non ho “giurisdizione”, perciò anche io devo piombarmi i
piedi. Ma adesso raccontami tutto nei dettagli.
Gli raccontai tutto nei dettagli. Mi accorsi che in questa ultima esposizione dei
fatti, grazie al suo ascolto attento e a poche domande azzeccate, riuscii a vedere
chiaramente il quadro della situazione, forse per la prima volta.
-quindi cos’e che ti colpisce tanto in questa storia? Fai un respiro, chiudi gli
occhi e dimmi quello che ti viene in mente...
-ma, direi che soprattutto ho paura che ci siano organizzazioni sotterranee, la
mafia, o anche parte della politica, che potrebbe uccidere a caso, per
creare ... (ci fu una lunga pausa)
Per creare qualche sentimento, qualche interesse nell’opinione pubblica. Non so
dire perchè ho questa paura.
-la parola chiave è proprio paura. Tu credi che vogliano creare la paura. E
anche qualcos’altro...
-si, qualcos’altro, anche. L’altro elemento chiave della storia è la mia
curiosità, ossessiva ... Ecco, vedi: il progetto potrebbe essere quello di creare
paura e anche morbosa curiosità. Ma è pazzesco.
-tante cose sono o sembrano pazzesche. Tuttavia bisogna seguire ciò che si
sente. Considera che per molti la paura, quando è insopportabile, si trasforma
in qualcos'altro: odio, sfiducia, allontanamento dalle istituzioni o dalla società
in toto, coazione a ripetere...
Solo che tu devi proteggerti. Limitati da ascoltare quello che senti dire.
Oppure parla con gente fuori, gente pulita. Quando sai qualcosa me lo
comunichi, e io provvedo alla ricerca di informazioni. Magari c'è solo una
possibilità su mille che questa storia sia vera. E se fosse proprio quella
possibilità, quella giusta? Sarebbe una storia pazzesca, come dici tu. E anche
pericolosa, per dei pesci piccoli come noi.
Perciò, all’occhio. Sentiamoci ogni volta che abbiamo novità. Devi usare solo
ed esclusivamente questa linea telefonica del giornale, che è abbastanza sicura.
Non dirmi mai cose importanti coi mezzi di comunicazione. Usa questa scheda,
quando chiami. È offerta dalla casa. Mai altri telefoni. E se parliamo di
persona, dobbiamo essere soli e in ambienti “mobili”, come questo. (eravamo
in un parco, in pieno giorno. Un posto molto bello. Lo aveva scelto lui,
naturalmente. C'era pure il laghetto e la barchetta per le soffiate clamorose...)
Ok? Ah, un’altra cosa. In queste faccende occorre molta pazienza, perchè per
arrivare a qualcosa potrebbero volerci anni. Questo è quello che insegna
l’esperienza. La storia, se vuoi.
-ma dimmi un po’, come ti trovi a fare questo lavoro? Mi sembra grandioso.
-ho cominciato presto, a scrivere. Solo che la fantasia mi si scatena solo in
presenza di fatti, di fatti strani. Non invento storie, come Carlo. Non ne ho
genio. Invece mi piace da matti inseguire, domandare, parlare con la gente
stando attento alle sfumature, finchè non colgo qualcosa che è sfuggito a tutti. È
la mia vita. E mi piace.
-non hai paura?
-e di cosa?
-non so, rappresaglie...
-vedi, io di travaglio ne ho poco! Li da me ci conosciamo quasi tutti di persona.
Ci incontriamo per strada.
-appunto.
-ma ti immagini, uno che mi manda i sicari? O una bomba? Mica siamo sotto
l'ombra della cupola, siamo lontani. No, al massimo può scapparci una rissa, un
cazzotto, dal diretto interessato. È successo, so che stai per chiederlo, con un
marito cornuto. Neanche mi fossi fatto io sua moglie! E tu, come ti trovi, da
carceriere?
-non sono mica carceriere! Operò nel sociale ...
-ma si, caricavo. Sai, noi giornalisti, malelingue...
-non mi trovo male, a fare la vita che faccio. Un po’ precaria, magari, ma
interessante.
-riguardo alla precarietà, non ci facciamo mancare niente. Ormai siamo tutti
nella stessa barca, amico mio. Anzi, la vedi la mia barchetta, li? (indica la sua
utilitaria scassata) Non è per non dare nell’occhio. Anche i giornalisti fanno la
fame. Credimi. Per Carlo è diverso. Lui ha sfondato. Ma si merita tutto il
successo, per quello che ha patito ...
-sono d’accordo, però , attenzione, anche lui deve vendere. Se un libro
va male, e quello dopo magari pure ... Mica ha il conto in Svizzera!
-ma e vero che tu hai letto tutti i suoi libri? Come hai fatto?
-ah, ah, ah! La dice anche lui, questa! Sono belli, i suoi libri, davvero.
-come ti sembra che vada la sua carriera?
-sempre meglio, lui scrive sempre meglio, il che è notevole. Però il mercato
è quello che è, è capriccioso. Oggi va questo, domani non va più.
-eh, gia. Invece la cronaca tira sempre. E anche la galera... Pardon,
il sociale! Ora e tardi, che fai, torni a casa o vuoi fermarti?
-no, vado, domattina levataccia.
-a presto, allora. Aspetto tue notizie ... E muoviti con prudenza.
-a presto!

Tornai al lavoro veramente su di giri. Persino l’ingresso del carcere mi


sembrava allegro, nel pallido sole mattutino. Addirittura positivo. Ma non era
proprio così. Non presentivo il cazziatone che stava arrivando. E poi, che
stavo facendo di male? E a chi, infine, se non a me? Ve l’ho detto, non sono
fesso, non voglio morire. Però manco vivere nella paura.
Forse non vi ho detto neppure quanti anni ho. Ho passato i cinquanta. Ma ne ho
sempre dimostrati cinque o anche dieci di meno. Dipende da diversi fattori.
Non vorrete che scenda nei dettagli. Del resto, se mi seguirete, saprete quasi
tutto di
me. Mica si possono tenere nascoste certe cose. Per esempio, qualcuno potrebbe
chiedere: a donne come stai? Male. O bene ... Da un po’ sono di nuovo solo,
dopo una di quelle storie che, chissà perchè, definiamo fallimenti. E da
pochissimo, proprio pochissimo, mi vedo con una nuova. Cioè precisamente
nuova no, ma non sottilizziamo. Per la verità, non so ancora se è una cosa seria
o no. Perciò tralascio di parlarvi di casa mia, e del tempo che ci passo. È un
cubicolo suburbano, e ci dormo solamente. No, anzi, qualche volta ci mangio
pure, alternando i pasti fissi sul lavoro, nelle tristi mense del sociale, ai rari
ristoranti. Perchè sono pur sempre precario. Sulle mense sono stato un po’
ingrato. Diciamo che possono essere anche allegre. Dipende dal gusto. E dal
mood. Il mud, capito? A farmi stare meglio concorre l’aver conosciuto questo
giornalista, e in generale sapere che ci sono giovani che ancora si buttano nella
vita, che vanno controcorrente. Che amano la vita, come la amo io, e voi,
probabilmente; ma nonostante ciò, anzi forse proprio perciò la sfidano. Non
vogliono subirla così.
Ma ecco Hamid venirmi incontro meno colorito del solito, che già pare ‘na
chiavica.
-ehi, amigo, vai in ufficio che ti cerca Pippo. Sta un po’ incazzato. Secondo
me vai subito se no è peggio. Però mantieni tuo aplomb. Ricorda le parole del
filosofo: panta rei.
Volo da Pippo. Che vorrà il vecchio mentore? Entro e noto subito che è scuro in
volto, anche se lo tiene basso. Io lo vedo lo stesso, lo capisco. Conosco Pippo
da anni, un uomo eccezionale, però , come vi accennavo, molto provato dalla
vita che fa dentro. Sindrome da capro espiatorio. O, come dicono in sezione
frequenza licenza media, un capo respiratorio. Che poi, volendo, possono
spingersi fino a capperò spiratorio, dopo un doppio passaggio. Certo che il
termine espiazione, in quell’ambiente, suona male, se non ti hanno condannato.
O se sei stato condannato per concorso! E poi contiene la parola spia, e anche
azione ... Qualcosa fa un rumore terribile contro una scrivania. La collega che
batteva al computer se ne è appena uscita, sospinta da una delle terribili
occhiate indirette di Pippo, che adesso si volge verso di me, come un evento
naturale.
-che cosa ti passa per la testa, a fare il detective qua dentro, eh?
Mi hanno detto che vai in giro facendo domande, che vuoi sapere di mafiosi e
delle loro colpe, delle collusioni, addirittura. Sei impazzito? Sai che fine
fanno quelli come te che...
-chi te lo ha detto, Gege’? O si è scomodato il comandante?
O addirittura sua eminenza, l’incubo?
-fai poco lo spiritoso. Che importa chi me l’ha detto? Qua le minchiate si
scoprono subito e si sanno subitissimo. Mi spieghi cosa ti è preso, si o no?
-ma niente, una semplice curiosità. Questo fatto di Pizzi...
-non fare nomi! Coglione!
(scandisce con le labbra, mentre con le dita indica i muri)
Non mi interessa sapere con chi ce l’hai. Solo capire perchè vai cercando
guai!
-scusa, non credevo di procurarti tutti ‘sti problemi. Ho agito d’impulso.
-impulso il cazzo! Certo che mi procuri guai, qua ti ci ho portato io. Però a
rischiare sei tu, e non solo professionalmente. C'è bisogno che ti dica che fine
fa chi parla troppo, o fa domande inopportune, in questo ambito? Senza
contare gli aspetti deontologici, legali, addirittura.
-ma scusa, non fai anche tu domande riguardanti colpe e complicità, non le
facciamo tutti, se rientrano nel contesto del lavoro che...
-ma quando mai? Mi hai mai sentito chiedere di collusioni, di mandanti,
istituzionali poi? Di organizzazioni politiche, di mafie? È roba che scotta, e
del tutto al di fuori del contesto, come dici tu. Al massimo certe domande le
può fare un avvocato, un magistrato, ma vai tranquillo che difficilmente le
farà qui. (un dito continua a girare, allusivo, come un ventilatore) e non così
direttamente.
Il nostro mestiere e aiutare questi a stare un po’ meglio, a tenersi occupati.
A parlare di loro stessi. A rompere meno i coglioni!
Tu sei pagato per tenerli buoni, aiutarli a rieducarsi, a reinserirsi, porca troia! E
tu invece me li istighi, rimestando la brace sotto la cenere? Mentre parla di
brace e cenere emerge il suo lato più rurale, di rude uomo di terre selvagge, ma
anche gli scappa, con la rabbia, qualche accento lontano. Giacchè Pippo è uomo
di mondo, in senso letterale. Vi risparmio il rimanente della filippica. Me la
meritavo tutta. E lui non si meritava che gli caricassi la già pesante zavorra.
Usciamo in cortile e mi parla in modo più chiaro, e anche più umano.
-guarda che a me non importa niente del tuo interesse per la tarantella, io
voglio solo che le cose filino. Meno rotture di palle ho, e meglio sto. Lo
capisci? Te l’ho detto fin dall’inizio, devi mettere da parte certe tue tendenze
negative…
-ma ce ne sono altre?
-lasciamo perdere. Questa basta e avanza. Parli troppo. Fai troppe domande. E a
sproposito, aggiungerei. Come quella volta, che mentre facevate il teatro yoga,
quella cosa li, hai fatto mettere in scena l’incontro tra Messina e sua figlia. Ti
ricordi? Ti ricordi, che poi lui con le lacrime agli occhi ti ha detto che la figlia
non l’aveva ancora vista? Devi stare più attento, soprattutto con certi
personaggi. L’avvocato, per esempio. Come puoi fidarti di lui?
-ma se da una mano a tutti, ogni volta che può ... Non lo trovi utile anche
tu, anche per l’insieme dei rapporti...
-ma che c'èntra questo? Ti risulta che, per ringraziarlo, scambio confidenze
con lui? Vicino a un agente, per di più. Magari spingerò per l’affidamento di
quella vipera, ma solo perchè le pressioni sono forti, è peggio tenerselo che
lasciarlo uscire ... E poi, Capece!
-che ha fatto Gennarino?
-che hai fatto tu! Quello parla, parla sempre, delira! E poi è un elemento
pericoloso...
-ma dai, Gennarino? Conosci la sua storia. Dieci anni per qualche bustina
spacciata...
-tra i capi d’imputazione ha anche omicidio e appartenenza a...
-sai benissimo che è stato scagionato. La pistola non era la sua.
-perchè. Credi che non ce l’avesse, una pistola?
-si, ma di plastica. Con ancora il tappino rosso ...
-e poi faceva parte della banda di Natalino. E ho detto tutto. Quello dice una
parola e tu cammini storto. (scruta la mia faccia incredula) Ma dimmi, un po’,
vuoi saperne più di me? Sto dentro questo carcere da quando è stato costruito,
anzi ...
-ma si, Pippo, ammetto di avere solo da imparare da te e non ripeterò più questi
errori...ne ho anche parlato con persone esperte che mi hanno consigliato …
-quali persone?
(stavo per dire “lo scrittore...e anche un giornalista”. Mi sono fermato appena
in tempo. Così capite quanto sono furbo)
-ne ho parlato...con lo psicologo capo, sai quello della supervisione.
-e che ti ha detto?
-di farmi gli affari miei. Di non mischiare il sacro col profano.
Ci aveva raggiunti Peppe. Sorridendoci, con quel suo faccione rosso, ci aiuta
a distenderci.
-che poi, lo sapete, la tarantella induce lo stato di trance! Lo so perchè è
roba della mia terra. Induce la trans e ti tarantoli. Questo vuol dire che li
per li ti dimeni, in preda ai tuoi demoni ... E poi, che qualcun altro ti fa
ballare! E ci guarda tutti e due, contento della trovata comica. Pensa te,
proprio un pizzardone riesce a strapparci un sorriso. Poi sopraggiunge
anche il dottor Hamid.
-anche nella tradisione araba ci sono la trans e i demoni indotti ritualmente,
per essere schiacciati ritualmente. Si chiamano jinn...
-ce l’hai già detto, Hamid, ce li hai anche descritti, gin fizz, gin e tonic, e
avanti così!
Pippo lo smorza, non tanto perchè non abbia voglia di divertirsi, si vede che si
diverte, ma è già da troppo tempo lontano dai suoi guai di competenza. Come
se cercasse di ridurne il cumulo, giorno dopo giorno, già sapendo che è
destinato a crescere; può solo aumentare. Kafka abita sempre li. Lo so bene io,
che l’ho anche messo in scena, coi detenuti ...
Pippo ha un’ultima cosa da dirmi, mentre torniamo indietro.
-devi stare molto attento. Ti ricordi che fine han fatto, certi colleghi ... Un
po’ inopportuni, ti ricordi?
Caccio subito il ricordo più scomodo: -si, Maria Teresa, per esempio.
-già, proprio quella ti ricordi, per prima. Lo sai quanto mi ha fatto incazzare. E
lo sai chi è che l’ha bruciata? Qui posso dirtelo: proprio il tuo amico
Pizzichini delle tarante!
Rimasi scioccato, e senza parole. Ma io non lo sapevo, che c'entrava lui?
Comunque, bisogna che vi parli un po’ di questa Maria Teresa.
Era una psicologa, molto brava e dedita al suo lavoro, e ai suoi pazienti del
tutto particolari: i detenuti in via di reinserimento. Maria Teresa, una ragazza
minuta e aggraziata, avrà avuto trent’anni. Non uno schianto; e poi li dentro
pareva quasi asessuata.
però spiccava per l’amore che metteva in ogni aspetto del suo lavoro. Vale
a dire: in ogni colloquio, in ogni contatto umano. Perciò più che al porcile,
riconduceva gli omaccioni, a digiuno sessuale pluriennale, al focolare.
Il che era pure peggio, non so se mi spiego. Questo rendeva Maria Teresa
amata e ambita da tutti. Ma più profondamente, sottilmente invisa. E
pericolosa. Destava desiderio, invidia e gelosia, rimpianto. Anche odio.
Quando entrai in contatto con lei, sapevo che la chiamavano quasi tutti
M.Teresa di Calcutta, oppure M.Teresa Goretti (peggio ancora) e lo sapeva
anche lei. Era il prezzo da pagare. E lei lo pagava. Siciliana anomala, lontana
da famiglia e legami, senza nostalgia. Idealista, ma anche molto concreta, si era
classificata tra i primi nel suo concorso. Ce la metteva tutta. Il che, se non ce
l’avete ancora chiaro, è una aggravante notevole, in questo ambiente. La
vedevo dentro, e anche fuori, perchè continuava a seguire “i ragazzi” anche o
forse soprattutto fuori, quando cercavano un lavoro, una casa, di ri-costruire
delle relazioni, e tutto quello che si può immaginare. Lavorava e basta. Non
sembrava avere altri interessi. Non ricordo una occasione in cui abbia parlato o
accennato ad altri argomenti. Coi
“ragazzi” all’esterno aveva un rapporto molto più sciolto che in carcere, e
vedevo che alcuni incoraggiavano, o forse semplicemente soggiacevano, alla
naturale, spontanea seduzione che quel corpicino ammantato di ingenuità, e
sempre sobriamente elegante, ispirava loro. Non solo loro, intendiamoci.
Neanche a me dispiaceva, M.Teresa. Per questa leggera aura seduttiva, che
spingeva alcuni “ragazzi” a fare a gara per un colloquio, e tutti comunque a
compiacersene, lei riusciva a tenere in pugno tutto e tutti. E con molta
autorevolezza. Questo è importante, alla luce di quanto avvenne in seguito,
perchè dimostra che la ragazza avrebbe potuto benissimo controllare le pulsioni
dei suoi pazienti, oppure, in subordine, trombarsene uno o più al di fuori
dell’istituto. Con discrezione. Dopo un certo periodo di lavoro comune, credo
un anno o poco più, M.Teresa rivestiva un ruolo assolutamente di primo piano
nel carcere. Era diventata insostituibile. Lama a doppio taglio: da una parte
elemento indispensabile e perciò, formalmente apprezzata. Sull’altro filo, una
che faceva, parlava, pensava troppo: una scassacazzi, secondo il vocabolario
paramilitare in vigore, anzi di più, una pericolosa scassacazzi. Ma questo
nessuno si sarebbe azzardato a dirlo in pubblico, ad alta voce.
Una volta mi accorsi, ma così, di sfuggita, che lei non badava assolutamente
all’ipotesi che le conversazioni potessero essere registrate. Come ognuno di noi
qualche volta, ma lei mi pareva ignorare la cosa del tutto. Un ammirevole senso
di liberta. Glielo chiesi. Mi disse: “ma va, che vai a pensare? A me mi devono
registrare? A M.Teresa di caccutta? E per sentire cosa? Il test
emempiai? O i traumi dell’infanzia di qualche disgraziato?”
Insomma, mi aveva smontato subito. Ma un giorno, dopo un periodo che non la
vedevo, e pensavo fosse in ferie, mi domandai dove fosse finita. Il periodo
stava diventando piuttosto lungo, per le ferie. Un trasferimento era fuori
discussione, me lo avrebbe detto, mi/ci avrebbe salutato come minimo con una
pizza. Una malattia, pensai? La ragazza è minuta, cagionevole. Ultimamente la
vedevo un poco patita. Mi rivolsi a Pippo. Di solito Pippo è una tomba. Ma a un
fido collaboratore risponde sempre, non può tenerlo all’oscuro.
-siediti.
(esordi così, secco e controvoglia. Molto controvoglia)
Se vuoi saperlo te lo dico. Maria Teresa è stata trasferita.
-come trasferita? All’improvviso? Senza nemmeno salutare? Non è da lei!
-diciamo che è stata trasferita... D’ufficio.
-ma che è successo?
-e una storia lunga...
-e ma tu me la racconti...voglio sapere che cazzo è successo... Assolutamente!
-va bene, ma calmati. Peppe, noi usciamo, andiamo fino alla sezione
sonasega.
-agg’capito, capo. Come fosse antani!
Ce ne andammo a passeggiare. Tutto intorno ai cancelli grigi c'erano alberi,
alberi a volontà, di tutti i tipi. Peccato che non li distinguo, gli alberi, se no ve
li descriverei. Giuro. E poi colline sovrastanti, vecchi borghi, o anche antichi
borghi abbarbicati sulle montagne. E così via. Il sole batteva: neanche questa
è una gran notizia ...
-quella ragazza, te lo avevo detto che rischiava. Già circolavano voci malevole
sul suo conto. Sai quanto dia fastidio qui dentro, chiunque cerchi di fare
qualcosa, di cambiare, nel bene e nel male. Questa maledetta osmosi del cazzo.
-o’tappeto!
-esatto. Qualche tempo fa un detenuto, proprio l’infame più infame che c'è, ha
detto ufficialmente che ha fatto sesso con lei durante un colloquio, anzi
addirittura che ha subito una specie di mobbing, da parte di lei. Te lo immagini,
quella ragazza che propone allo scimmione “se mi scopi ti faccio uscire”?
E totalmente falso, inaccettabile. Ma ha fatto subito presa sulle teste d’uovo,
qui. E sulle carogne, indipendentemente dalla divisa che portano. Ha fatto presa
semplicemente perchè già circolavano voci infondate sui costumi sessuali della
ragazza. Il fango.
-e incredibile! E lei come l’ha presa?
-non è mica finita qui. Lui ha dichiarato di averla messa incinta, naturalmente
sempre coercitivamente ... Lei è stata chiamata dal direttore, che aveva già
predisposto una commissione interna, pensa te quel carognone, e di fronte alle
loro domande lei ha negato, negato, ma poi è crollata dal punto di vista
nervoso.
-e cosa ha fatto?
-li ha mandati a fare in culo tutti. Lo so perchè me lo ha raccontato. Era il
minimo che potesse fare una persona messa in mezzo in quella maniera. Le
hanno dato due alternative, anzi subito una: trasferimento immediato. Lei ha
rifiutato, ha minacciato una denuncia. Allora le hanno detto: “dia le
dimissioni”. Lei non ci ha visto più.
-e come è finita?
-è finita che hanno rimandato al giorno dopo (un venerdi) la decisione, al
tardo pomeriggio, nota, a ridosso dell’orario di chiusura degli uffici. Hanno
fatto in modo di discutere fino a sfinirla per la seconda volta, lei ha detto che
il suo avvocato la stava aspettando fuori, e quando ha avuto un’altra crisi di
nervi, è intervenuto il medico, quell’altro pezzo di merda, e l’ha sedata.
Ha detto che era violenta. Maria Teresa, violenta. Hai capito? Hai capito di che
forza sono questi? Poi l’hanno fatta caricare in un’auto di servizio coi vetri
oscurati e l’hanno portata all’opigi di Castiglione con un ordine di servizio.
L’hanno trasferita di autorità, ma probabilmente sembrava più una paziente che
un operatore.
-io non ci posso credere. Sono così bastardi?
-sono carcerieri. Lei però ha sbagliato ... E si, amico mio, è inutile che ti
incazzi, lei era vulnerabile, molto vulnerabile, e si è resa ancora più vulnerabile.
-e come?
-andando a fare colloqui al reparto y da sola col detenuto. Lascia perdere che
c'era la guardia di fuori, quello è un uomo dei reparti speciali, preparato per la
difesa, lo sai come funziona. In caso di aggressione lui garantisce
l’incolumità, ma non può mica mettersi a origliare per cogliere le sfumature
psicologiche, e poi magari fare da testimone in caso di rogna come questa?
Oppure che fa, il guardone?
-e ti pare che non se ne accorgeva lui, se ...
-infatti. Sarebbe anche intervenuto. Non scherziamo. Conosci il mio passato.
Sai che ho lottato, e anche qui dentro faccio la mia parte, nei limiti del
possibile. Ma ho imparato a essere realista. Se presti il fianco, qui dentro, sei
finito.
-ma adesso come sta? Cosa fa?
-ha dato le dimissioni, il giorno dopo credo. Appena si è ripresa dalla dose
di farmaci che quel bastardo di strizzacervelli gli ha propinato a tradimento.
Nella commissione c'erano tutti i responsabili, il comandante, il
rappresentante del personale, eccetera. Pensa che sono arrivati a far
partecipare il prete, per avere una testimonianza al di sopra delle parti.
Capisci? Ultraterrena. -cose da pazzi. Cosa possiamo fare?
-niente. Credo che la ragazza si riprenderà e continuerà a lavorare bene come sa
fare. Ma con una consapevolezza diversa. Ho un contatto al suo paese. Ah, sai
una cosa? Pare che fosse incinta davvero. Naturalmente non di quello
scimmione, ma di un ragazzo che ha conosciuto e con cui si stava fidanzando...
(Allora Gennarino aveva azzeccato il pronostico ... Solo che
confusionario com’era aveva confuso le cose. Ma ci aveva pigliato.)
-ma allora era questo Pizzichini che l’aveva inguaiata?
-si, lo stesso che ci aveva combinato quel casino, quando si fece mandare in
comunità dal giudice sotto copertura, e poi ...
-adesso capisco, perchè non mi ricordavo di lui! Lo avevo conosciuto con un
altro nome... Però , aspetta un attimo, anche la sua faccia era diversa da
quando l’ho visto mentre ballava la tarantella. Vabbe’ che l’avrò visto forse
un’ora in tutta la mia vita, ma la faccia era diversa ...
-con quella barba era irriconoscibile, adesso che glie l’hanno fatta tagliare lo
riconosceresti. Ma poi, con la gente che vediamo passare, vuoi ricordarti di
tutti?
Aveva ragione, come al solito. Però c'era qualcosa di strano in quella storia, e
più andava avanti e più mi pareva strana. Percepivo misteri dietro ogni fatto. In
realtà non potevo definire nulla con certezza, comunque. Avevo un ricordo
vago della storia di Pizzichini in comunità. Era riuscito a ottenere dei benefici
da un magistrato, uno peraltro in gamba, che stava incastrando un mucchio di
merdosi boss. L’ultima richiesta era di andare in comunità, e di andarci sotto
copertura, cioè con una falsa identità. Con tutti gli annessi e connessi. La
procedura era rischiosa. Dalla comunità sarebbe potuto evadere facilmente. Ma
il giudice evidentemente lo teneva in pugno. Lo inviò in comunità come signor
Taldeitali, tossicodipendente condannato alla pena di ... Pizzichini non sarebbe
scappato, per il semplice motivo che, se da Taldeitali si fosse rivelato
Pizzichini, la sua vita non sarebbe valsa più niente. Mi spiego meglio:
Pizzichini, che tutti conoscevano come Taldeitali, stava collaborando con la
magistratura in segreto. Se le cose fossero andate in un certo modo, la sua
identità sarebbe stata rivelata all’ultimo, in fase processuale, e allora sarebbero
stati cazzi per lui, nel senso che il resto della sua grande famiglia lo avrebbe
dichiarato morto. Ma il pentitismo ha i suoi pro: Pizzichini si sarebbe rifatto
una vita, dopo aver scontato una pena minima, veramente “scontata”, come il
signor Taldeitali, in un qualche luogo, con una casa e un lavoro protetti.
Insomma, un signore. Se non che a volte i pentiti fanno i furbi, non collaborano
del tutto. Intendiamoci, a volte fanno l’opposto, cioè si inventano cose per
ottenere sconti. Ma il caso di Pizzichini dev’essere stato il primo, perchè, dopo
una serie di comportamenti da mafioso, fu cacciato dalla comunità, in seguito
alla relazione stilata da una assistente sociale, imbeccata da una psicologa.
Chi? Indovinate. Il giudice gli tolse il giocattolo, il beneficio così raro, e tornò a
torchiarlo. Evidentemente. Ed evidentemente lui dovette starsene. E la rabbia
repressa la sfogò sulla povera M.Teresa. Inoltre, la comunità risultò sputtanata
per bene, quando si seppe che aveva ospitato un tale fenomeno.

A questo punto un altro, enorme dubbio, mi sorgeva.


-scusa, Pippo, ma come ha fatto Pizzichini, inguaiato come stava, a uscire e a
farsi incriminare per quei delitti allucinanti?
Questa era la domanda da un milione di dollari.
-io non sono un investigatore, come te. Posso solo dedurre dei fatti, la fantasia
ho imparato a lasciarla a casa. Se lui è uscito, è stato scarcerato. Se e stato
scarcerato, in qualità di collaboratore di giustizia, e perchè stava collaborando
in modo soddisfacente. Mi segui? Bene.
Se è evaso, in senso lato, dalla vita che era stata programmata per lui, e ha
commesso dei crimini, orrendi tra l’altro, ci possono essere diverse
spiegazioni. O si voleva fare perdonare dai suoi sodali, ma mi sembra poco
probabile, visto che il perdono è una merce che scarseggia tra le famiglie.
Anche se gli ammazzassi il peggior nemico, resti infame. O ha barato con i
giudici, d’accordo coi suoi sodali; hanno fatto la torta, insomma. In questo caso
sarebbe un gran figlio di puttana, e il magistrato fa la figura del pollo.
-rispetto a questo giudice, cosa pensi?
-no, è al di sopra di ogni sospetto. Uno di quei kamikaze che tiene ancora in
piedi la magistratura. Però tutti possono sbagliare, soprattutto se hai a che
fare con gente così.
-sacrifici necessari. Per la causa ...
-si. Naturalmente nessuno mette in conto la morte di una ragazza, o dei
bambini molestati. Ma questi fatti sono tutti da dimostrare, ancora.
-perciò, o ha fregato lui “noi”, o lo hanno fregato i suoi.
-se le accuse dovessero essere provate, è più probabile che sia lui a fregarci. Se
i suoi capi avessero voluto non sarebbe tornato in galera. Sarebbe morto.
-Pippo, ma come è possibile che siamo arrivati a questo punto?
-se ti colpisce la corruzione, la collusione, non hai ancora visto niente. Qui in
fondo siamo in un carcere medio piccolo.
Devi vedere gli istituti del profondo sud, dove ognuno, ma proprio
ognuno, pensa esclusivamente ai cazzi suoi. Oppure dentro i ministeri ...
Ti lascio immaginare. E che dire del nostro attuale governo?
-perchè quelli degli altri scherzano ...
-come siamo potuti cadere così in basso non lo so. So che un tempo c'era più
senso. C'era il senso del dovere, il senso dell’onore, il senso dello stato ... Era
troppo, il senso, e noi volevamo giustamente abbatterlo. Ti ricordi? I nostri
genitori vivevano in base a questi “sensi”. Il famoso sacrificio, che però
conteneva il sacro. Una guerra mondiale, l’olocausto, le bombe atomiche,
avevano segnato il limite dell’obbedienza e delle convenzioni sociali. Noi
abbiamo provato a cambiare.
-mica sarà colpa nostra, adesso?
-in un certo senso si. Se non ci fosse stato il movimento studentesco,
sarebbe continuata la tirannia del senso, come avviene ancora in certi
paesi ... Invece abbiamo messo in crisi questo sistema di automatismi
sociali. E il potere, incalzato, ha reagito. E ha creato il sistema libero dai
vincoli. Fai quello che vuoi. finchè non ti beccano ...
Ma io ormai ripensavo a quel che mi aveva appena detto riguardo a
Pizzichini: “Se i suoi capi avessero voluto vendicarsi non sarebbe tornato in
galera. Sarebbe morto.”

Mi adeguai al fare prudente che mi avevano consigliato. Passò un’altra


giornata, mi annoiavo a morte. Mi sentivo fermo. Inutile. Quanto tempo era
passato dall’inizio della storia? Una settimana, qualche giorno in più.
Incredibile. Mi sembrava un tempo lunghissimo, infinito, “quasi”, quello che
stavo passando immerso in quell’incubo ossessivo. Andai in comunità.
Mentre perdevo tempo gingillandomi in un ufficio, decisi di indagare
seriamente, scientificamente. Sui documenti. Cercai perciò dentro le cartelle
che celavano le storie dei personaggi che uscivano dal carcere e entravano in
altre strutture, sperando di trovarci qualche dettaglio illuminante.
Quando mai ...
Ma ebbi un colpo di fortuna. Il giorno dopo, scartabellando, mi accorsi che
spostando una enorme pila di cartelle, veniva scoperta una specie di grata,
residuo di un lavoro fatto male da qualche tossico della comunità, o magari
lasciato a metà. Cosa non rara. La grata era piena di polvere e pertanto
quasi nascosta, ma si intravvedeva dall’altra parte una luce fioca e,
soprattutto, si sentivano chiaramente le voci di chi parlava.
Una voce. Tombola! Era la voce inconfondibile dell’ingegner Sciupatiello
Cappa. Dovete sapere diverse cose. Anzitutto chi era questo ingegner Cappa.
Poi com’e che ci troviamo in uffici attigui. E infine vi faccio vedere tutte le
idee che mi sono venute per fare bene lo spettatore attivo, come ho definito la
mia posizione.
L’ingegner Cappa; non ricordo il suo nome tedesco, però ricordo il doppio
senso del suo significato tradotto: sa ma non sa! Era un professionista tirolese,
altoatesino, come diciamo noi italiani. Era stato incastrato anche lui nella
grande retata sulla corruzione tra politica e affari che qualche anno prima
aveva scosso la vita dell’avvocato, e anche quelle di tutti noi. Solo che Cappa
era uno dei primi dieci della lista, quello che controfirmava gli atti per i
passaggi di grandi proprietà, gli appalti, i permessi, le licenze edilizie, e un
sacco di altre cose che ho sempre felicemente ignorato. Ma avevo letto che
era uno dei più potenti in quella Milano marcia di fine secolo breve.
Talmente potente che la galera l’aveva vista per qualche giorno, giusto per una
visita dovuta. Poi era stato affidato alla comunità per cui lavoravo anche io.
Con la mansione di consulente; pensa-te.
Tutto quello che doveva fare era presentarsi tutte le mattine feriali a una certa
ora, occupare l’ufficio amministrativo adiacente a quello che usavo io
(abusavo, per meglio dire, visto che non avevo un ufficio), dispensare consigli
(fiscali, per lo piu) per poi tornarsene nella sua villa, ai domiciliari.
La sua villa principesca. Naturalmente non lo si vedeva mai, se non entrare e
uscire di fretta. L’autista lo aspettava fuori per tutte le ore che lui passava a
“lavorare” in comunità. Per il presidente della comunità, un religioso laico (un
frate laico, per la precisione) di sani principi ma sempre bisognoso di liquidi, la
presenza dell’illustre espiante era uno dei doni del signore più insperati. Sia per
i consigli. Sia per le donazioni che arrivavano da Milano. In cambio di
comprensione (non si doveva parlare con nessuno della presenza di Cappa e di
quello che faceva). Sia perchè è così che si fa la storia: redimendo Barabba, ma
che dico, Erode. O era Pilato? Lasciamo perdere. Ah, già, e perchè lo
chiamavamo Sciupatiello?
Semplice: perchè sfiorava i duecento chili. Vabbe, non esageriamo. Ma a
centocinquanta ci arrivava comodo comodo. Era un colosso di quasi due
metri. Eppure riusciva a essere discreto.
Sempre perfettamente in tiro, come appaiono i top manager in tivu, potente
anche nella disgrazia. Sempre inappuntabile, coi capelli tinti, o rifatti, e gli
occhiali scuri che non fanno capire l’espressione. Senza eta. Un intoccabile.
E così uno dei colpi di fortuna che ebbi in quel periodo, ma chissà se di fortuna
si trattava, fu quello di poter ascoltare ciò che il potente affidato diceva. Non
corsi il rischio di farmi beccare con le mani nel sacco. Quell’ufficio non era il
mio ed era frequentato da almeno due o tre segretarie amministrative, per
quanto ricordassi. La porta aveva una chiave, una di quelle semplici, di casa,
quelle tonde. Non ci si poteva fidare. Allora richiusi il buco, andai di corsa in
un centro di elettronica poco lontano, gestito da cinesi, e comprai un
registratore digitale. Era alla mia portata, di qualità abbastanza bassa, ma non
così bassa da doversi abbassare, come mi disse il ragazzo cinese che si
occupava del reparto, ridendo come un cinese. Infatti lo provai, e la
riproduzione della voce era sufficientemente chiara. Certo, se avessi registrato
una conversazione telefonica, avrei dovuto sopperire con l’immaginazione per
quanto riguardava l’interlocutore, ma potevo sentire tutto quello che Cappa
diceva, e non doveva essere poco. Incollai col nastro adesivo il registratore, che
aveva una autonomia di parecchie ore nonostante stesse nel palmo di una mano,
alle grate, e ricoprii tutto con la montagna di cartelle che avevo spostato. La
caccia, anzi la pesca, si sarebbe rivelata molto proficua, per un dilettante come
me. A volte il fato bacia gli audaci. O i belli. Altre volte, secondo me,
spara a caso. Chi c'è c'è. Il mio unico merito era quello, di esserci. Lasciate che
vi faccia un rapporto su tutto quello che raccolsi con le registrazioni, che ogni
sera passavo a scaricare sull’ipod. L’aipod che mi teneva compagnia nelle
lunghe ore di ozio in carcere. Prima di tutto, Cappa non aveva perso tempo, nel
senso che dal suo rifugio dorato, ufficio della comunità-strada panoramicavilla
sul mare, continuava impunemente a dirigere gli affari suoi, e pure quelli dei
suoi amici meno fortunati, che invece di anni di affidamento si erano beccati
qualche pena carceraria (pochi, e poca roba, ma bisognava pure concedere
qualcosa al “fare giustizia”) oppure una scomodissima latitanza. Non potevo
certamente cogliere tutte le sfumature e i riferimenti delle conversazioni del
granduomo, ma una idea me la stavo facendo. Tutto quello che si era detto di
lui, al condizionale, sembrava confermarsi. Cappa teneva insieme parecchi fili
di un ordito che conduceva nei più nascosti angoli del nostro paese, come pure
nei luoghi più noti:
Palazzo Chigi, ministeri, borsa, Banca d’Italia, e così via. Gli angoli in ombra
non sapevo dove fossero e chi li abitasse, lui chiamava tutti per nome di
battesimo, con quel suo accento crucco, per cui era facile immaginare
(almeno per me, che mi tengo sempre informato) quando probabilmente
parlava dei reduci della grande inchiesta, dei noti esponenti politici ancora
sull’onda, oppure di personaggi dei quali mi sfuggiva l’identità. Spesso
parlavo con un Matteo, o più Matteo...compri?
Parlava di affari. Spesso in ufficio transitavano persone che nulla avevano a che
vedere con la comunità. Venivano per lui. E lui poteva permetterselo, con la
gratitudine e la deferenza che tutti gli tributavano, nei paraggi. Oltretutto,
l’ufficio era comodo perchè non credo che a casa sua potesse ricevere
tranquillamente chiunque. Non i pregiudicati, sicuramente. Ne i vecchi
compagni d’arme, peraltro quasi tutti pregiudicati! Anche la linea telefonica
doveva considerarla amica, perchè pur non menzionando mai un reato, un
cognome, un ordine, riusciva a trasmettere tranquillamente tutte le informazioni
che riteneva necessarie. Ci incrociammo solo un paio di volte, sempre entrando
e uscendo, e lui manco mi guardò. Dovette scambiarmi per un tossico. Meglio
così. Ma voi state aspettando le importanti rivelazioni, nespa’? Ecco il succo:
già due giorni dopo, erano stati a trovarlo due persone interessanti. Non
potendole vedere, dovevo basarmi solo su quanto dicevano, sul tono che
usavano, eccetera. Erano molto informati sulla malavita e sul carcere. A un
certo punto usci la mia carta, quella che aspettavo. Lui disse ... Ma lasciate che
trascriva la conversazione.

K – cosa mi raccontate? Come vanno le cose in questa zona amena?


(dopo una pausa. Voce cavernosa)
A – che vuole, questa è una periferia che offre poco, ma naturalmente ci
sono aspetti che interessano i nostri comuni amici...
K – ho visto, tanti cantieri, e poi il turismo. Lei che dice?
(voce normale, un po’ stentata, forse perchè a disagio)
A – sa, io ne capisco poco, di affari. Più che altro mi occupo... Di certe
voci …
K – ah si. Lei è l’esperto di gossip, diciamo così! Ci sono comunicazioni
particolari da parte di Alfredo e degli altri amici?
A – sul territorio, come le dicevo, non ci sono particolari novità, a parte le
situazioni delicate di cui abbiamo già parlato. Gli imprenditori di punta della
provincia che sono nel mirino degli attacchi sono sempre abbastanza tranquilli,
soprattutto il signor Rolando, che ha ricevuto le accuse più pesanti. Gli avvocati
stanno lavorando sodo e sono piuttosto ottimisti. Anche altre figure stanno
lavorando...ai fianchi...come lei ben sa. C'è qualche problema nella strada,
come sempre, ma niente di che. Invece se siamo qui oggi è per alcune situazioni
che riguardano la popolazione della casa circondariale.
(pausa)
K – si, mi dica.
A – anzitutto hanno arrestato il Piccolo...voglio dire il signor Lorenzo.
K – vi ho detto di fare attenzione ai nomi ... (mormora “scheisse”) Chi è
questo Lorenzo?
A – quel signore attempato, che ha avuto la disavventura con la nipotina ...
Non so se...
K – ah so, quello. Si, me ne hanno parlato. Qualche problema?
A – bisognerebbe cercare di assisterlo; di farlo uscire non se ne parla, per ora.
L’opinione pubblica in questo momento è ipersensibile al riguardo, e lui è
stato incastrato...
K – incastrato, eh, dice? Forse non è neppure un'aquila, come dite voi. Però
va tutelato.
A – si. Lui. Ma più che altro noi... Bisogna cioè che si comporti
nel modo giusto, se no diventa un problema. K – ma mi hanno
detto che ha un’eta...
A – infatti, l’ipotesi più probabile è che si possa ottenere la scarcerazione, i
domiciliari. E poi si vedrà il da farsi. Ma adesso c'è una preoccupazione più
grossa.
K – mi dica.
A – quel tale ... Il signor Cosimo
K – Cosmo? Ah si, ho capito...
A – è molto irrequieto. Secondo alcune voci che ha raccolto il signor
Geraldo, qui, è possibile che questo signore, in particolari momenti di forte
stress possa...come dire, parlare troppo. Mi capisce?
K – certo. Vada avanti, può parlare tranquillamente qui.
A – c'è il timore fondato che Cosimo, come temono i suoi amici, possa
perdere la testa e cantare troppo. A sproposito. A squarciagola, diciamo. Lei
che dice, signor Geraldo?
(Geraldo) – per quello che mi compete, posso confermare che questa voce è
fondata. Il soggetto in questione è ritenuto instabile e fortemente
influenzabile. Perciò, se dovesse essere messo alle strette, potrebbe esagerare.
Mandare messaggi di minaccia, a chi non fa abbastanza per lui ... Beninteso,
secondo il suo punto di vista.
K – e voi cosa suggerite?
A – non mi permetterei mai, dottore...
In ogni caso, il signor Alfredo suggerisce di mandare un messaggio a Cosimo
e, se non capisce o non si adegua ... Insomma, bisognerà intervenire. Ma
volevamo sentire prima il suo parere.
K – io ne sono fuori, per fortuna. Ma direi che sarebbe preferibile che questo
signore accettasse i consigli. Altrimenti intervenire non sarà facile. Ma nel
caso...
Lei che ne dice?
(Geraldo) – in effetti, dottore, e molto problematico. Si può mettere in mezzo
qualche detenuto affidabile. Ma la cosa farebbe rumore. Oppure...
A – oppure?
(Geraldo) – si potrebbe per esempio organizzare un incidente...credibile,
durante un trasferimento. Lui è imputato e dovrà sostenere molti interrogatori;
un bel vai e vieni dal tribunale.
(squilla il telefono. Passano alcuni minuti di distrazione dall’argomento)
K – ho capito. Del resto lei lavora sul campo, e la sua e opinione autorevole.
Allora dite così al signor Alfredo: che io auspico che il Cosimo capisca il
messaggio. Altrimenti, vada per l’incidente. Naturalmente questa e opinione
da profano. Sentirò anche chi di dovere per verificare se la strada indicata e la
più percorribile. Ma anche a me non pare ci siano molte alternative. Forse
bisognerà disturbare anche il ministro ... Fatemi sempre sapere cosa dicono gli
amici... (escono)
La conversazione era stata estremamente interessante, anche se non del tutto
comprensibile. Perchè? perchè il nome di battesimo di Pizzichini era: Cosimo.
Telefonai all’amico giornalista e ci incontrammo in un bar. A telefoni spenti gli
raccontai il succo del mio lavoro. Ne fu entusiasta.
-accidenti, amico mio, sei fenomenale! E così, se il nome fosse proprio quello
del detenuto che dici tu, questi signori sarebbero dei bei pezzi
dell’underground, del sommerso locale. Facciamo anche nazionale, vista la
portata ... E veramente incredibile quello che sta venendo fuori, incredibile
nella doppia accezione di difficile da credere e di straordinario da sapere...e
puoi darmi una copia della registrazione?
-direi che è d’uopo che tu tenga tutto il materiale. A proposito, ma è proprio
tutto sicuro, non è che rischi, rischiamo?
-allora, te l’ho garantito, e mica parlo a vanvera io! Noi siamo quelli a cui
vengono recapitate le intercettazioni, non quelli che vengono intercettati ...
Chi di dovere sa che deve concederci una zona d’ombra. In caso contrario, ci
rimetterebbero da una nostra, come vogliamo chiamarla, ostilità? Ritorsione?
-capito. Scusa ma essendo nuovo... E quello che abbiamo beccato è uno
grosso che sicuramente non sospetta minimamente di essere ascoltato.
Figuriamoci registrato. Per quanto le registrazioni non abbiano alcun valore,
come si dice...probatorio.
Adesso voglio informarmi bene sulla posizione di Cosimo Pizzichini e anche
su quel tale Lorenzo Piccolo... Sempre ammesso che si chiami così.
-no, ascolta, e dammi retta. Ci dobbiamo fidare uno dell’altro ciecamente. Io
rappresento una specie di assicurazione sulla vita per te, e senza di te non potrei
sapere nulla di questo affare. Ormai è un affare, un affare vero, amico mio!
Allora, facciamo cosi: su Lorenzo Piccolo indago io. Quanto ai movimenti
interni, hai promesso che non farai più domande, lo hai promesso sia a me che
al tuo capo, Pippo si chiama, giusto? Tieni fede alla parola data, magari chiedi
a lui se sa qualcosa, o al massimo a qualcuno fidato del personale civile. Ma se
è vero che ci sono microfoni, sarebbe meglio non parlarne per niente. Capisci
che adesso, se quello che sappiamo è vero, cioè se è quello che sembra, tu sei a
rischio di... Sopravvivenza. E nemmeno io sto troppo bene! Ti dico queste cose
non per spaventarti...
-ma per terrorizzarmi, ho capito!
-fin dall’inizio ti ho detto che ti avrei parlato chiaro. Meglio così, lo sai.
-si, certo.
-bisogna che ci rivediamo, mi dai il materiale e...mi sa che a questo punto
dovremo presentarci con nomi, cognomi e una bella storia. Ci vediamo nello
stesso posto della volta scorsa, ma dall'altro lato del laghetto. Mi sembra
necessario, non ti pare?
Mi pareva. Ero inguaiato, adesso. Compromesso. E perchè, prima no? Me ne
andai a lavorare tutto pieno di me, per il fatto di avere scoperto un vero
complotto, e con l’adrenalina che la paura pompava a pieno ritmo. Pensai di
passare prima da Pippo. Però , un momento ... Cosa gli avrei potuto chiedere?
“Ehi, sai per caso com’e messo Pizzichini? Dici che se la canta? E, se se la
canta, credi che lo faranno fuori?” Anche senza il linguaggio da film di
gangsters, avrei beccato un bel cazziatone da Pippo. No, meglio evitare. La cosa
migliore era lasciare fare al caso, come era successo fino ad allora. Stavo anche
pensando di comprare un piccolo ma potente microfono direzionale che stava in
un pugno, e permetteva di ascoltare nitidamente la fonte che si puntava, anche a
cento metri di distanza. Era decisamente fuori budget, per me. Andava ben oltre
il mio misero bilancio mensile, voglio dire. Avevo anche pensato come
camuffarlo per portarlo dentro: lo avrei collocato all’interno del videoproiettore
che mi lasciavano usare coi carcerati più evoluti, nei corsi di cinema e teatro.
Dentro è vuoto, e ci sono molte prese per l’aria. Stava in una comoda valigetta
che avrei potuto portare in giro, posare su tavoli e scrivanie, eccetera. Ma
dovevo trovare i soldi. E se li avessi chiesti al giornalista? Forse non era il caso.
Mi avrebbe detto: “e se ti beccano con quella roba?”
Mentre pensavo così e mi aggiravo per i corridoi, azzeccai il primo incontro.
La sorte mi aveva mandato Gennarino. In piena forma:
-ue’, senti questa: so’ sempre stato nullatenente, ma mo’ mi hanno promosso
nullacapitano ... L’hai capita? Tenente e capitano!
-certo che lo metti a frutto bene, tutto il tempo che hai, eh? Hai fatto dei passi
avanti con l’affresco? E la commedia nuova la stai scrivendo?
-e appunto, sto inventando delle battute, per fare una commedia comica
brillante, alla Wudy Allen...
-Allen, si dice ... Col compare come va? Lo sai che la buona condotta
è fondamentale per l’affidamento?
-si, stavolta sto facendo come dici tu, cerco di ignorarlo. Quello ci prova
sempre, a provocarmi, ma mentre lui prega la Maronn’e’pompei, io faccio
meditazione. Mi isolo!
-bravo, così devi fare. Altre novità?
-niente. Niente. Il fatto delle cacche dei cani, lo sai? Ho scoperto che i cani
annusano le cacche per avere informazioni, è come il giornale, il telegiornale
dei cani ... Si scambiano un sacco d’informazioni accussì...
-si, notizie di merda, però ... Nessuna altra novità?
-none.
-e com’e che pare che tutti sanno che mi interesso alla faccenda della
tarantella? Non è che tu...
-stai scherzando? Io mi faccio i cazzi miei, lo sai. Ti ho detto che Natalino
parla sempre di te, a destra e a manca, ma io no ...
(ce ne stavamo andando per il corridoio della sezione speciale)
Mo’ bell’e’buono pensi ca so’ infame?
-no, però mi hanno riferito, che... Insomma, parli un po’ troppo.
-e chi lo dice? Quelli sono le solite malelingue.
Lo sai perchè dicono così di me?
-no, perchè?
-perchè sono invidiosi. Si, invidiano la mia intelligenza, il fatto che tengo una
famiglia, un figlio che sta crescendo bene, mica andrà a fare la carriera loro,
sai. E poi ciomitt’n’culo a tutti, alla faccia del ricchione. Lo sai che dicono
che sono ricchione, pure? -non mi dire!
-e pure di te, lo dicono, sai?
-sul serio? Ah, adesso mi offendo veramente!
-sai che ti dico? Solo con te posso parlare qua dentro. Portami fuori, ti
prego. Fammi uscire, fammi andare a lavorare. Poi ci vediamo e ti faccio i
spaghetti allo scoglio come piacciono a te. Come solo a Napoli li sanno
fare... -non correre. Ci vuole tempo e pazienza. La pazienza e la virtù dei
forti, ti ricordi?
-si, l’ha detto Scespi’.
-per questo devi continuare gli esercizi di meditazione, di training, di
autocontrollo. Ok?
-vabbuo’. Ah, senti quest’altra: che si chiama Donato Cavallo va dal dentista,
che ne pensi?
-e che devo pensare... Ah, vuoi dire ...che non si guarda in bocca? Ma tu, ai
carcerati, queste battute gli vuoi far sentire? È la volta che ti fanno la pelle...
In quella passò Pippo, indaffaratissimo e con le mani piene di fogli.
-ah, sei qui? Guarda quante domandine ho da smaltire. Abbiamo ... Prendi
queste due, sono i più noiosi. Vai prima da questo, come si chiama, il
toscano ...
-ah, è l’Orso, va bene vado.
-c'è anche quel romeno che vuole suicidarsi, sai quale?
-si, si. “esti pentru mine”; e chi se lo scorda...
Questo Vlad Zepesc era un tipo fantastico, parlava malissimo l’italiano, e ogni
volta che qualcuno si avvicinava alla sua cella gridava “è per me, è per me”... In
realtà, non era mai per lui. Passai dal bar. Avevo bisogno di caffeina e
chiacchiere di giornali. Se Pippo se ne fosse accorto si sarebbe incazzato, non
mi avrebbe compreso. Ero in preda a momenti di confusione mentale, durante i
quali mi assalivano grossi dubbi sulla situazione in cui mi ero cacciato, e
indecisioni sul da farsi. Mi venivano grandi idee che scartavo subito. E pensieri
paranoici. Al bar guardavo gli avventori, quasi tutti in divisa, tranne alcuni
infermieri e dottori in camice. Cominciai a immaginare di avere con me il
microfono direzionale e di poterli ascoltare. Cosa avrebbero detto? “ecco
l’infamone?” oppure mi avrebbero ignorato ... “ah, si, quello, è il precario che
viene a tappare i buchi” ...
però mi guardavano. Lo vedevo appena sopra la linea del giornale, e non con la
coda dell’occhio, ma con...il ciuffo? Insomma, con la parte superiore
dell’occhio. Se però portavo lo sguardo su di loro, o addirittura li fissavo, non
mi guardavano più. Ma cosa vai a pensare, mi dissi... Quelli guardano sempre.
Si appoggiano al bancone e guardano. Malevoli anzichè no. E commentano. È
il loro passatempo, da sempre.

L’Orso mi aspettava, come sempre molto dignitoso, inappuntabile, la cella in


ordine. Un po’ rigido, aggiungerei. Più sui quaranta che sui trenta, anche se
giovanile e addirittura figo (col foulard al collo, per dirne una). Si capiva che
aveva vissuto. Per farvi un’idea del personaggio: era figlio di uno dei migliori
avvocati della sua città e, com’è come non è, si era impegnato fin dall’infanzia,
come fosse una missione, a contrariare il padre, a rovinargli la vita, anzi. Quelle
storie karmike che si capiscono solo a quadro completo. Da ragazzo era entrato
in una organizzazione eversiva di destra, girava in spider con le fighe e offriva
coca a tutti, finchè non si è messo a fare sul serio e l’hanno incastrato con
diverse accuse di complicità in delitti raccapriccianti. E giù anni di galera. Stava
quasi in isolamento, a meno che non gli andasse a genio un partner, un
coinquilino. Al momento era solo in cella. Era uno di quelli che nutriva una
predilezione per me, il che, al di la delle possibili spiegazioni, era più
inquietante che lusingante, visto il personaggio e la sua storia. Il suo nome di
battaglia era Orso, e ci teneva che fosse usato quello e non il nome di battesimo,
che era Roberto. Un vezzo curioso. Forse un marchio.
-ciao Orso. Come va?
-ciao caro, bene, bene. Sai se ci sono novità sulla mia situazione?
-no. Tu sei sufficientemente intelligente perchè non ti racconti palle o tenti di
indorarti la pillola.
-già. E pensa che mio padre, quel rottinculo di un borghese ipocrita, continua a
prodigarsi per me, a muovere personalità per farmi avere benefici. Ma l’unica
cosa che ottiene e che qui mi trattino coi guanti.
-che non e poco.
-è vero. Lo so che non uscirò facilmente di qui. E so anche perchè. Pur
essendomi arruolato nelle file della destra estrema, ho attaccato lo stato, e l’ho
fatto senza pietà e senza compromessi. Questo loro non lo perdonano. Non lo
fanno coi compagni, figurati con un camerata! Ma questo è anche il mio
onore.
-si vede che vivi ancora di ideali. Sei tra i pochi.
-io ho sempre vissuto così. E morirò così.
Nella vita ho avuto tutto. Soldi. Donne. Avventura. Potere. Passione.
Vendette. Tutto quello che voglio e essere me stesso. E ci sto riuscendo. Non
voglio morire fava!
Per questo, lo sai, ti ingabbiano, amico mio! Solo mi dispiace per la mia
donna, che mi aspetta. Anche adesso. Pur sapendo tutto quello che ho fatto di
notte, mentre lei dormiva. Mi aspetta, e mi aspetterà sempre.
-tutto a posto con quella spiacevole faccenda?
-quella del rumeno? Si, tutto chiarito e sistemato. Un accordo tra signori
è possibile, anche con quei selvaggi di slavi.
-bene. Ti trovo in forma, come sempre.
-si. Addirittura ho pensato di fare qualcosa per te.
-per me?
-tu sei l’unica persona con cui parlo qui dentro. E lo sai perchè? Quando ti
parlo mi ascolti. Non mi giudichi, o se lo fai non lo dai a vedere. Non mi dai
mai false speranze, però si capisce che ti impegni, ho visto quante persone
hai fatto uscire, in affidamento o in ventuno. So che ti batti per me, e lo
apprezzo. Il fatto che la mia situazione sia quasi senza speranza non dipende
certo da te. Tu lo sai, per quanto possa apparire inverosimile, io ho dei valori,
e qua dentro li faccio rispettare. Costi quel che costi.
Ma andiamo a fare un giro, ti va?
Uscimmo nel corridoio. La guardia parlava con un collega tra le sbarre, in
fondo. Mi guardò e gli feci un cenno, come a dire, camminiamo. Abbozzò.
Riprese a parlare. A questo punto ero molto incuriosito. E mi risaliva l’ansia.
-Cosi, quando ho saputo che ti appassioni quella storia della tarantella, e che ti
eri rivolto a quell’infame di Natalino, ho deciso che ti avrei aiutato.
-cosa vuoi dire?
-su Natalino, voglio dire proprio che è un infame. Nessuno lo sa, perchè lui
sta bene attento a non farsi sgamare. Io ho agganci fuori, e mi dicono tutto.
Tipo, stai attento a quello perchè, oltre la maschera del boss dei miei coglioni,
c'è un individuo privo di scrupoli, che fa la spia con le guardie. Capisci? Se le
compra con le soffiate. E loro stanno bene attenti a coprirlo. Capirai, ‘un gli
pare i’vvero! Ma a me, non la racconta. Siccome lui sa tutto di quella storia di
Pizzichini, e tu avrai le tue ragioni per voler conoscerla, voglio che lui te ne
parli per benino, come fa con le guardie. Per filo e per segno, non so se mi
spiego.
-ma, come puoi ottenere ...
-come fo? Te lo dico io! Gli ho mandato un messaggio, trasversale, tramite
persone di fuori, persone importanti. Il messaggio per te, come per chiunque,
sarebbe inintelligibile, ma fatti conto che suona così, per lui:
“o dai le informazioni che quella persona ti chiede, oppure si sapra che fai
l’infame interno”.
E questo lo farà correre al cesso di filato, ah! ah!
-ma non era il caso, Orso. Adesso diventerò un nemico, per lui, e per i suoi
amici fuori.
-eh no! Tu non hai idea di chi ho mosso io. Loro non ti toccheranno con un
dito, anzi, ti proteggeranno! c'è qualcosa che ti sfugge, del potere, e che io
conosco solo per via di mio padre: la gerarchia, finchè è legittimata, e sacra. Se
il capo ti dice una cosa, è quella. Se poi gli si fa le scarpe, al capo, allora
cambia tutto. Ma sta tranquillo, che questi le scarpe possono solo venderle al
mercato, quelle taroccate! -non ci posso credere!
-fa’ un po’ come cazzo ti pare! L’altra cosa che voglio dire è che per me e un
punto d’onore aiutarti e l’ho fatto. L’ho fatto col cuore, sai. Lo so che suona
un po’ ridicolo, ma è vero.
-beh, se dici così ... Ma tu che ne pensi di quella storia? È possibile che stato e
mafia si mettano a fare giochetti sulla pelle delle persone?
-possibilissimo. Lo hanno sempre fatto. E continueranno a farlo, se gli torna
comodo. Che sia un treno ieri, o una bambina oggi, che importa? Gli importa
‘na sega, a quelli! Io ho partecipato a delle azioni organizzate dai servizi, lo
sai, te l’ho raccontato. Non uscirà mai un nome da questa bocca, ma i fatti son
codesti. E l’unica cosa di cui mi pento e di non essere andato fino in fondo
con qualcuno di quelli ... Ma lasciamo perde! Ora, tu so che leggi molto, e
impari in fretta
... -insomma …
-lascia fare, ‘un fa i’modesto! Allora, adesso ti dico altre due cose: la prima e:
guarda con attenzione il telegiornale. Quanti minuti vengono dedicati ai delitti
irrisolti del piccolo qua e della piccola la? E quanti minuti vengono dedicati,
invece, ai cazzi nostri? cioè a come una cricca di bastardi, ci metto dentro tutti:
destra sinistra e centro, cattolici e comunisti, imprenditori, intellettuali e
ballerine (io li conosco bene, ci so’ cresciuto in mezzo!) si sta spolpando il
paese raccontandoci la fiaba di natale. E poi dicono il fascismo! Ma che si son
mai sentite queste storie allora? Mai! Quanti minuti vengono dedicati alla
guerra in Afghanistan? Nota che io non sono contrario alla guerra. La guerra è
un’istituzione sacra. E mai dedita al profitto. Deh! Quanti alla crisi energetica e
ambientale che ci sta fottendo? E il resto del conto te lo puoi fare da te. Pensa
un attimo: di cosa parla la gente? Della cricca? Della guerra? Del petrolio? Dei
tumori che ci vengono grazie agli avvelenamenti avallati dallo stato? No,
parlano della piccola Roma e del piccolo Akire, l’uxoricida albanese. Parlano
del padre iracheno che ha ucciso la figlia per onore, oppure del soldato di
carriera che ha fatto fuori la moglie, soldata di carriera. Ora, mi vuoi dire, con
tutti i problemi che abbiamo sopra il capo, che cazzo me ne può fregare a me di
queste storie? Eppure, facci caso. Vai al bar e ascolta di che parla la gente,
calcio a parte.
-tiene bene pure la figa...
-la fica l’e sacra e sempre se ne parlerà perchè se ne deve parlare! Ma mi hai
capito?
Allora, l’altra cosa che ti devo dire è questa: quando parlerai con Natalino, non
mettere avanti curiosità intellettuali, ma inventati una ragione valida, altrimenti
lui, che ti dira comunque quello che vuoi sapere, si farà un’idea sbagliata di te.
E invece, se la deve fare sbagliata, l’idea, ma come torna comoda a te. Non
puoi, per esempio, mettere in mezzo qualche parente?
L’orso, nel suo delirio, mi aveva dato una buona idea. Ormai la frittata era fatta,
oppure, ma era molto meno probabile, si stava inventando tutto per millantare
(cosa? E a che pro?). L’idea era quella di raccontare che uno dei bambini
molestati in quella scuola era mio nipote, figlio di una mia sorella. Che guarda
caso, aveva vissuto in quella città col marito. Il cognome del marito è diverso
dal mio, e vattelappesca... Certo con una indagine approfondita, di tipo
poliziesco, il gioco sarebbe caduto.
Ma la mia palla non era così importante da meritare tanto. Se la sarebbero
bevuta. Congedai Orso con la scusa del tempo, anche se il vero motivo per cui
scappavo era che non reggevo più, e non riuscivo più a mascherare ansia e
tensione.
In che casino mi ero cacciato? Lui si prodigò in infinite raccomandazioni,
facendomi intendere che ero in una botte di ferro. “Come Attilio Regolo”
avrei voluto dirgli. Lui insisteva, insisteva, e me ne andai con un sorriso
fintissimo stampato sulla mia faccia da pirla. La situazione precipitò quando
andai a timbrare. Mi cadde l’occhio, e non era mai successo, sulla scheda di
Gege’, della guardia che faceva pappa e ciccia con Natalino. Lessi il suo
cognome. E accanto a quello, il nome di battesimo. Geraldo. Mi sentii
perduto. Sfinito. Vulnerabile. In quei giorni, quanti ne erano passati? una
decina; giravo per i corridoi cercando di non incontrare nessuno. Ma erano gli
altri che mi trovavano. Tutto accadeva come in un copione scritto da qualcuno
che non conoscevo.
Incrociai il Chierici, un criminale da strapazzo, mezzo tossico e mezzo
rincoglionito, uno che faceva avanti e indietro dal manicomio criminale.
Aveva chiesto un colloquio. Lo avevamo ignorato. Ma quando mi vide
passare mi chiamò dalle sbarre e dovetti dargli retta.
La sua cella era affollatissima e lo portarono fuori, nel parlatoio più vicino.
Lo ascoltai rassegnato.
-aho’, lo sai che me stanno a combina’? Me stanno a pignora tutti i stracci in
casa. Quel poco che c'è, che ci campano mi madre e mi fratello, quel
rincojonito ... Mo’ è diventato pure frocio, pensa’n’po’.
Chierici viveva, quando poteva, con una madre anziana e malatissima, e con
un fratello che seguiva spesso le sue orme, pur essendo molto meno sveglio. Il
che era tutto dire.
Ricordavo che, a causa di certe vecchie pendenze, tipo che non avevano
pagato il condominio per anni, mentre erano in comunità o al gabbio, oppure
delle multe, l’agenzia delle entrate gli aveva richiesto delle cifre con tanti zeri.
Loro non possedevano neppure quelli, gli zeri.
-o’sai, che prima si so’ presi quella specie di scantinato che mi padre c’aveva
lasciato, per venderlo all’asta a quattro soldi.
‘o sai, che hanno passato i crediti ai squali, a Creditalia prima, e a Equestri
mo’. E st’infami se stanno a porta’ via e’ssedie, i tappeti, la tivu’. Ma che
mondo è? Io sono solo un tossico, tu lo sai, mio fratello e’n deficiente, e mi
madre una povera invalida...
-si ma tu, ti metti pure a fare le rapine! E allora passi dalla parte del torto.
Si fanno le rapine?
-no? cioè, vojo di’, no, nun se fanno le rapine. Vabbe’, ho sbajato, lo ammetto.
Del resto, manco se fidano più de famme spaccia’, a me e a mi fratello... Ma
mo’ perchè s’aa piano co’ mi madre, eh? Che ne può lei?
-e che vivete nella stessa casa, stesso stato di famiglia, e se non posso togliere
a te, tolgono a lei.
-mortacci loro ... Senti un po’, sei sempre vegetariano tu?
-no, quando mai?
-e allora ti ricordi che ti avevo parlato di mio zio, il pescatore? Beh, se vai a
trovarlo, e gli dici di interessarsi a ‘sta faccenda, di rimedia’ un po’ di soldi per
mi madre, e poi gli ricordi pure di tenermi il lavoro per quando esco, perchè tu
mi farai uscire, vero? Poi gli dici di ammollarti un po’ di pesce buono.
Aggratis, s’intende. Va bene?
-vedrò che posso fare.
-ah, senti, te devo di’ ‘na cosa. Annamo ner coridoio.
(usciamo)
-vedi che se dice, qua, che te stai a caccia in un casino coi mafiosi, che fai
troppe domande e te devi sta’ zitto. Io lo dico per te, eh, a me nun me ne frega
un cazzo, s’intende!
Arrivò la guardia. Lo osservai attentamente, il Chierici. Se anche un
mentecatto come lui, rapinatore dilettante di vecchiette e tabaccai, simpatico a
volte, ma a stento capace di intendere e di volere, sapeva tutto e mi dava
consigli, ero veramente messo male. Mentre lo riportavano in cella, e la
guardia lo teneva stretto, mi disse:
-vedi, noi due siamo culo e camicia. Io so’ camicia pero’!
La guardia lo spintonò senza riguardo.
Un detenuto mi aveva scritto: “La cicala ride, guardando la formica che
lavora. La formica ride, quando vede la cicala che non ride più.”
Incontrai altre persone quel giorno. Dalla biblioteca sbucò l’avvocato che
attaccò uno dei suoi cavalli di battaglia.
-uei, ciao. Son qui che faccio le pulizie. Al giorno d’oggi non c'è pietà per noi
normodotati. Se non hai almeno una psicopatia, un disturbo, una dipendenza,
non sei considerato. Se invece manifesti un minimo disagio sociale, se ne
violenti una ogni tanto, se magari hai una bella immunodeficienza, allora sei a
cavallo. Si occupano di te per tutta la vita. Si interessano. Ti studiano...
-ho capito, avvocato. Siamo stati sfigati.
-ma lo sai che è da quando sono qua dentro che ho scoperto la cuccagna del
disagio sociale. Prima facevo la bella vita, ed ero convinto che i poveri
soffrissero, con l’unico sollievo di non pagare tasse.
Adesso so quante tasse paghiamo tutti noi per mantenere questo esercito di
parassiti. Ogni ospite di questa casa costa ogni giorno, come minimo, uno
stipendio medio mensile.
-non esageriamo. Invece un uomo politico, o il portaborse di un politico, o
una delle sue amanti, quanti stipendi medi ci costa, al giorno? Si
intromise Barolo, con lo straccio “mocio” in mano.
-vuole dire, l’avvocato, che la vita è come una spalmata di merda travestita
da nutella. Vero, avvocato? Strofina, dai! Sopraggiunse Hamid.
-ti devo dire una cosa!
-non possiamo fare un’altra volta? Non ne posso più di lavoro, scusami.
-non ce probblema, amico. Ti vedo stressato.
-infatti. Non ho seguito il tuo consiglio.
-quello di non mangiare carne di maiale?
-no. L’altro. Poi ti racconto.
Incrociai anche Peppe, e per la prima volta, anzichè godermi la sua faccia
rubiconda, mi soffermai sui particolari della divisa. Peppe era un agente. Mi
faceva paura, era un potenziale pericolo.
Stavo andando fuori del tutto. Occorreva una pausa. Uscii e me ne andai a
passeggiare. Era ancora un bel tardo pomeriggio di primavera inoltrata. Il sole
splendeva sul mare come a insistere sul fatto che la vita era, nonostante tutti i
suoi casini, una strabiliante manifestazione di forza vitale.
Casualmente passai dallo zio pescatore del Chierici e mi feci dare alcuni chili
di pesce di giornata a un prezzo contenuto. Andai a casa e iniziai a preparare
una zuppa di pesce, il mio piatto preferito.

Dovete sapere che ho un cugino, anzi un cuggino (va pronunciato cosi)


veramente scassacazzi, ma lo sopporto perchè siamo molto legati, in quanto
unici due rampolli maschi della famiglia. Siamo quasi coetanei, e sempre un
pochino in competizione. Lui, tronfio del fatto di essere laureato in medicina e
di scrivere canzoni, mi critica perchè dice che scrivendo mi attengo
strettamente ai fatti, senza parlare delle cose gratuite, di ciò che accade tutto
intorno ai fatti,
che i fatti colora. Come scrivessi un memoriale, dice. Infatti.
Allora ho pensato, va bene, stasera ho bisogno di rilassarmi, di distrarmi dal
mio precipitare nella torbida faccenda che sto raccontando. Perciò mi vedrò
con la ragazza che sto corteggiando, le farò da mangiare la cosa più buona che
so fare, con la musica migliore che conosco, berremo, guarderemo un film e
magari faremo l’amore. Magari.
E, approfittando dell’occasione, descriverò tutto questo per corroborare un
clima romanzesco, secondo il cuggino, piuttosto carente. Entrai in casa.
Casa...una specie di loculo, in un edificio informe di antichissima pietra,
concepito non si sa bene se per il soggiorno o per la segregazione. Aprendo la
porta c'era subito un locale, unico, di non più di una trentina di metri quadri.
A sinistra, un bagno talmente piccolo che conteneva water, lavandino, bidet (ah,
l’antica civiltà italica!) e una vasca da bagno per un bambino o un nano, ma
dotata di getto per la doccia. Il tutto incastrato in modo che non si potesse
mantenere la posizione eretta e contemporaneamente allargare le braccia, ma
solo muoversi come un contorsionista.
Forse pensata per il circo dell'epoca, la “casa” era dotata di piano cottura e
lavabo deluxe con stipetti, e vi troneggiava un tavolino quadrato con quattro
sedie virtuali. Il fatto è che se si fossero presentate quattro persone non si
sarebbero potute estrarre e usare tutte le sedie contemporaneamente. Per fortuna
la mia vita sociale escludeva tali adunate.
C'era un bel letto camuffabile, con un armadio, a fianco. Ma, attenzione: oltre
a dormirci, non c'era più altro spazio per deambulare, e poi nel letto ci
potevano stare comodamente due persone a patto che se ne stessero strette
strette, cosa che peraltro auspicavo per quella sera.
Ah, nella parete davanti al letto una nicchia ospitava uno schermo di computer e
un piccolo player pieno di film. Lo stesso che, chiamato proiettore, portavo in
galera a beneficio dei miei clienti. Il mio unico tesoro. I muri erano color casa
di ex fumatore pentito, il mobilio funzionale, diciamo così. Però c'era una bella
vista sul quartiere più multietnico della città, quindi il più vivo.
La vera attrazione della casa era, ve lo dico, il prezzo dell’affitto. Imbattibile.

Presi due spicchi d’aglio e li pulii come solo chi sa pulire gli spicchi d’aglio in
quella maniera fa. Misi un po’ d’olio di oliva in una pentola. Feci imbiondire
l’aglio prima di toglierlo. Il più delle volte lo faccio anche scurire l’aglio, l’olio
prende più gusto e l’aglio si può anche mangiare a parte, anzichè buttarlo.
Addirittura, nero, cioè abbrustolito, è buonissimo, ma l’ho mangiato poche
volte nella vita, perchè il cuggino dice che fa malissimo alla circolazione
cardiaca. A questo punto, abbassando la fiamma al minimo, inizia l’alternanza
che crea la mia zuppa di pesce stile mediterraneo, vale a dire che si mette del
solido, il pesce, e dei liquidi, che andiamo a vedere, sempre usando la misura
convenzionale, e anche un po’ vaga, del “bicchiere”. Misi nell’olio caldo dei
pezzi di pesce che avevo pulito nel lavabo, gallinella e scorfano (che è rognoso
da pulire) ma vanno bene anche spada e tonno, purchè la carne sia spessa e
grassa, si sciolga un poco ma non del tutto. Poi il primo bicchiere, vino bianco
locale sfuso. Potrei anche nominare un vino, ma a che pro? L’alcol evapora e
resta solo il caratteristico aroma appena accennato. Quindi, a distanza di pochi
minuti, ecco i gamberi. Interi, io li metto interi. Poi bicchiere di acqua, si,
acqua di fonte. Non ci sarebbe bisogno di salare, ma un pizzico, con l’acqua, si
può aggiungere. La musica che avevo messo su (sempre il favoloso player,
multifunzione, regalo del cuggino) era la migliore che conoscessi.
Avevo “stappato” per l’occasione Bitches Brew e In a silent way di Miles, i
dischi che hanno cambiato tutto. Erano appena usciti in edizione integrale,
tutto il registrato, compresi i cazziatoni sottovoce di Miles. Stava girando
Bitches, Bennie spargeva il tappeto di note basse che si intrecciavano col sitar
di Balakrishna, mentre Herbie teneva il pedale e Wayne era in agguato col
soprano. Erano contenuti anche testi e foto, nella scatola magica. Un portento.
Cos’era quell’uggiolare? Un cane? No, è Airto col talking drum brasiliano del
quale dimentico sempre il nome. Il nostro putipu.
Quindi aggiunsi i moscardini, in ciuffi. Poi bicchiere di cubetti di pomodoro.
Ancora, pesciolini interi e anelli di totani. Poi bicchiere di ... E qui mi
sbizzarrisco con un tocco di oriente: salsa di soja e alghe tritate. Alla fine ci
metto un mix di erbette (segreto!) e qualche cozza e altre conchiglie, tipo
vongole, gentile omaggio dello zio pescatore...
Barbarella, la donna che aspettavo mentre cucinavo, era arrivata. Aveva
suonato il citofono, e mentre le rispondevo mi ero ricordato di chiudere la porta
del bagno e spalancare la finestra, stando attento a non decapitarmi. Fuori
nuvole scure coprivano il cielo.
Aveva un po’ più di trent’anni, scura e misteriosa. Entrò in tutto il suo
splendore. Vestito bianco. Tacchi. Molto bella e molto affascinante. Capelli
corvini e occhi uguali. Ma con un che di sofferto, di inquietante, anche. Ci
eravamo conosciuti organizzando un cineforum, e scoprendo gusti comuni, la
scusa per vederci da soli era stata quella di vedere o rivedere certe chicche.
Quella sera toccava a “Piccoli omicidi”, un film americano degli anni settanta,
in lingua originale coi sottotitoli, edizione rara resa possibile da un gruppo di
entusiasti sottotitolatori volontari. Esistono. Entrò e l’abbracciai, per
esagerare. Recava con se una bottiglia di bianco, perchè diffidava un po’ delle
mie scelte, forse a ragione.
La bottiglia era un Aragosta di Alghero, vino a costo accessibile, ma ottimo
col pesce. Anzi, il mio preferito. Me ne rallegrai. La zuppa era pronta, perchè
in venti o trenta minuti è giusta e oltre diventa francese. Ne parliamo un’altra
volta, di quella francese. Aspettammo qualche minuto col coperchio alzato
perchè si freddasse appena appena. Era ottima, anche più carica del solito,
perchè Gennarino mi aveva suggerito di metterci mezzo dado di pesce.
Mangiammo e bevemmo gustando tutto e ridendo di... Gusto. La musica era
gustosa anch’essa, e pregustavamo il film. E forse altro?
Il film era piuttosto bizzarro. Narrava di un fotografo, un ottimo fotografo, che
ormai riusciva a fotografare solo merde. Evidente metafora del tempo. La storia
era sceneggiata da Jules Feiffer, un visionario, e diretta da Alan Arkin, un pazzo
della compagnia di Cassavetes, Falk, eccetera. Ma i pezzi forti erano le figure
femminili, e la gigantesca, surreale interpretazione di Vincent Gardenia, un
attore strepitoso, e poi vari camei, come il prete spretato interpretato da
Sutherland. Finiva per precipitare nella distruzione della società
americana/occidentale, con Elliot Gould, un’icona dell’epoca, a sparare non più
foto ma proiettili, e sui passanti (non sulle merde).
Il film lo guardammo abbracciati sul divano. Stavo bene. Come avevo fatto?
L’amore, probabilmente. Cominciava a insinuarsi in una certa qual forma. Ma
non ci pensai. Quanto al resto della nottata...non vorrete mica che scenda in
particolari?

La mattina uscii di casa comprensibilmente soddisfatto. Vedevo il mondo in


modo diverso. Barb era uscita prima, dopo essersi alzata per prima e dopo aver
fatto il caffè. Come sempre fanno le donne. La giornata era spettacolosa, il sole
splendeva sempre più convinto, sempre più pieno di se. Il mare amplificava i
suoi raggi e me li sparava addosso. Camminavo piano e sudavo. Alla faccia del
ritardo e della prima colazione fatta, decisi per una seconda colazione al bar,
con cornetto al cioccolato e giornale. Ah, che bello cafe! Poi mi recai al
lavoro. Quello a sbarre. Quello del trionfo dell’eterogenesi dei fini. Mi ricordai
dell’osmosi, di cui mi aveva parlato Pippo, e mentre timbravo intuii che mi
aspettava una giornata terribile. Era così, il sole mi aveva generosamente
caricato perchè sapeva.
L’universo intero mi scortava verso il mio destino. La catastrofe! Esageravo?
chissà. Giudicate voi, dai fatti. Entrai in ufficio e Pippo mi porse una sola
domandina. Era di Natalino, e specificava il mio nome a grosse lettere
pesantemente vergate da mano gnorante. “qui lo dico e qui lo annego”. C.v.d.
Alzai lo sguardo dal foglietto e il mio sguardo si incontrò con quello di
Pippo. La sua faccia pallida, incorniciata da radi peli bianchi, si rifletteva
nella mia rosea e impallidita, piena di capelli e peli di barba e baffi
disordinati. I suoi occhi chiari erano piantati nei miei, scuri e instabili. Mi
fissava dall’alto in basso.
-allora? Adesso dimmi precisamente quello che farai. E che poi farai,
precisamente come mi hai detto.
-beh, vado, lo ascolto, non dico niente di significativo, e torno a riferirti.
-va bene. E se per caso ti parla di mafia, congiure e corruzione?
-taglio corto e dico che ho da fare. Lo mollo, come quando parla del mondo
che è ingiusto.
-bene. Mi raccomando.
-tranquillo. Imboccai i corridoi come un condannato a morte, anche se la pena
di morte non esiste più in Italia, e non so com’e che cammina un condannato a
morte. Dead man walking. Non stavo bene, comunque. Cosa avrebbe fatto
Natalino? Avrebbe ignorato a che punto era arrivata la mia curiosità? Mi
avrebbe rifilato delle balle di circostanza per depistarmi? O avrebbe
raccontato delle cose, così, tanto per sovvertire la logica e incasinarmi la vita
del tutto?
Quando arrivai da lui era seduto sulla branda, la testa rivolta ai piedi.
Posizione della schiena innaturale, doveva fargli male. Si alzò e venne verso di
me. Sorrise. Poi fece cenno alla guardia, come si fosse trattato di un cameriere,
che avremmo passeggiato nel corridoio. Mi diede la mano. -allora, come
andiamo?
-bene. E tu, che mi dici?
-un po’ di dolore. Ma la vita è dolore. No?
-e un ingrediente che non può mancare.
-ascolta, ho deciso di aiutarti in quella faccenda.
-quale? (nonostante tutto, reggevo ancora)
-quella della tarantella. Però ti chiedo tre cose, come la lampada di Saladino.
-nientemeno.
-bisogna dare per avere, figliolo. Lasciatelo dire da uno che ha i capelli
bianchi e potrebbe essere tuo padre.
-senti, Natalino, io ti ringrazio, ma non è il caso. Era solo una curiosità, e mo’
mi sta passando...
-e tardi per tornare indietro. Mi hanno consigliato di aiutarti, e io ascolto i
consigli.
(merda! L’Orso non vaneggiava, non bleffava!)
Allora, prima di tutto ti chiedo di darmi una ragione valida perchè io ti metta a
parte di certi segreti. Non possiamo considerare la curiosità, mi capisci ... Non
possiamo inguaiarci per mezzo della curiosità. Tu mi devi dire perchè ti
interessa tanto ‘sta cosa. Secondo poi, mi devi fare un favore. Piccolo per te,
ma grosso per me. Leviamoci di qua, sta ‘a telecamera. Ho sentito parlare di
questa dottoressa svizzera che lavora in ospedale, Lilly Gruber...
-Lina Grueber.
-essa. Ho saputo che quando segue qualcuno lei, lo manda in certe cliniche
che ci ha solo il contatto lei, e questi tornano belli puliti per sempre. Ti chiedo
semplicemente di convincerla a prendersi in cura mia figlia. Tu lo puoi fare,
vero?
La dottoressa Grueber, psichiatra d’avanguardia, era mia amica. Era arrivata
da un po’ in Italia, e si era rivolta a me, tramite amici comuni, anzi, paesani,
per lei. Mi aveva chiesto consigli su come inserirsi al meglio nella complicata
struttura sanitaria italiana, e io glielo avevo spiegato, usando diverse lingue,
giacche il suo italiano era ancora incompleto.
Ero stato efficace e preciso. Come avrebbe detto Natalino, mi doveva un
favore. Potevo chiederle di prendersi in cura chiunque, adesso che
effettivamente dirigeva il servizio in cui lavorava, purchè con il dovuto
riguardo. Feci un cenno affermativo a Natalino. La sua aspettativa era
esagerata, i clienti-pazienti della Grueber andavano effettivamente a trascorrere
periodi in strutture d’eccellenza convenzionate, ma sul fatto che poi non
ricadessero più nelle dipendenze, chi poteva garantire? Lei, poi, era
specializzata nella cura dell’alcolismo, anche se bastava dicesse che beveva, e
il tossico era suo. Non sapevo che utilità avrebbe potuto avere, però ,
disilludere Natalino. Prima di tutto quella mossa poteva giovare molto alla
figlia, a lui, e anche a me. E poi, in quel momento, avevo bisogno di quanti più
appigli possibile. Non ero in grado di ragionare, l’unica alternativa che mi
veniva era quella di girargli le spalle e andarmene. Ma, come aveva detto lui,
era un po’ tardi per tornare indietro.
-si, la conosco bene, e posso chiederle questo favore. E poi?
-poi, per finire, siccome ti manderò a parlare con una persona fuori di qui,
diciamo che dovrai presentarti discretamente, ed essere positivo con lui. Mi hai
capito?
-ma che persona? Che bisogno c'è? E poi che vuol dire discreto, positivo?
-ti mando da mio fratello, in Francia.
(dovevo aver fatto una faccia terribile, perchè a lui scappava un sorrisetto,
però subito tornò all’espressione di circostanza)
Non ti mangerà, anzi ti aiuterà. E tu dovrai portargli rispetto, e favorirlo. Mica
è nu’ fetente ‘e’carcerato. E il capofamiglia!
Ti troverai in questo bar di Nizza domani a quest’ora precisa. Guarda, il nome
del bar è scritto qui, nel palmo della mia mano. Hai letto bene? Allora ricorda:
ti devi presentare da solo, altrimenti ti fotti, fai ‘na figur’e’mmerda, e me la
fai fare pure a me. Poi, ti siedi a un tavolino fuori, ordini una coca cola e ti
metti a leggere la gazzetta. Devono essere la coca cola, perchè il colore è
inconfondibbile, e la gazzetta, per la stessa raggione. Quella te la devi portare
dall’Italia, che magari non la trovi, la. Hai capito? Questo è quando. (feci una
pausa penosa)
-e se non ci vado?
-se non ci vai, sono cavoli tuoi. Però non ci fai un figurone, e certe cose
restano impresse nella memoria. Se uno ti chiede un favore e poi non lo vuole
più, tu come la prendesti, eh?
Stavo per rispondergli che non me poteva fottere di meno, ma non era proprio
il caso. Si era scordato della prima condizione.
-e non mi so’ scordato della prima condizione. Che mi dai, come motivazione
per la tua ricerca? Qualcosa che sta in piedi, che mica pettiniamo le bambole
… Gli rifilai la storia del nipotino che poteva essere stato molestato nella
scuola dello scandalo.
Come prevedevo la cosa non lo fece scomporre, la accettò con un misto di
rispetto e di indifferenza negli occhi, come dire, può andare. Se è vera è buona;
se non è vera, chi se ne fotte. Feci per andarmene, la confusione nella mia testa
stava montando invincibile, insieme a sensi di colpa, di inadeguatezza e altri
che non sto a sforzarmi di dire per non deprimervi troppo.
Lui si raccomandò trecento volte sua figlia, come al solito, più del solito, e io
per trecento volte lo rassicurai. Poi schizzai fuori e tornai verso l’ufficio. Per
strada sentii una guardia che diceva a un altro:
-e inutile che vengono qua a cercare di redimere, questi tanto non cagnano!
Jescono, e trasono! 'E capito, 'e rutt’o’cazz!
A chi si riferiva, quel troglodita? Il suo collega non pareva interessato al
discorso, ma si girò verso me quando li sorpassai. Teneva un sorrisetto...
Proseguii. Ero in grado di affrontare lo sguardo di Pippo, e dirgli che andava
tutto bene? Forse no. Deviai per il bar. Mi misi a un tavolino. Per prima cosa
bevvi un alcolico, un “maison”, cosa che facevo di rado, specie prima di
pranzo.
Poi mi misi a scrivere la richiesta di presa in carico della figlia di Natalino per
la dottoressa Grueber. Infine, uscii in terrazza e inviai un messaggio al
giornalista.
“incontro rimandato. Ci sono novità. Ci sentiamo tra un’ora o due.”
Al bar c'era lo strizzacervelli. Mi avvicinai e gli chiesi se aveva qualcosa per
l’insonnia. Senza quasi guardarmi si frugò in tasca e mi allungò un blister,
con un sorriso che significava “puoi andare”. Perchè lo avevo fatto? Volevo
dare l’idea di non stare bene, di essere un po’ esaurito. Forse lo ero davvero. E
pensavo potesse tornarmi comodo, in futuro.
Mi concentrai per andare da Pippo. Avevo intenzione di andare via prima e
non potevo farlo senza farmi vedere da lui. Di mangiare nemmeno parlarne.
Non riuscivo a credere che stava succedendo tutto quello che mi stava
succedendo. Ma dovevo reagire.
Per fortuna in ufficio c'era la collega agente segretaria, Peppe, e un altro tizio
che non conoscevo. Sembrava un rappresentante. Mi limitai a gironzolare per
l’ufficio, e poi, fingendo chiamate sul cellulare, lo salutai dicendo che mi
cercavano dalla comunità e dovevo andare.
Mi fece un cenno d’intesa su “quella cosa la”. Gli risposi: “Tutto a posto!”
Uscii di fretta e di fretta camminai. Mentre camminavo, cambiai la scheda nel
telefono. Misi quella che mi aveva dato il giornalista e lo chiamai.
Gli accennai quello che era successo, cercando ellissi comprensibili. Comprese.
-che vuoi fare, amico mio?
-a questo punto, andare. Non andare rischia di essere peggio, da quello che mi
sembra di capire.
-mi fido di quello che senti, giunti dove siamo. Ma il rischio di uno scherzo lo
dobbiamo mettere in conto. Perciò facciamo cosi: io ti accompagno.
Naturalmente non verrò al bar, ma sarò nei paraggi. Se le cose dovessero
mettersi male, usi il trucco da film di dire che sono vicino e che se non torni
entro un’ora, o una cosa così, io chiamo la polizia, faccio il nome del pezzo
grosso, e può darsi, dico può darsi, che questo li spaventi. Adesso mi organizzo.
Possiamo partire o appena finisco il lavoro, stanotte, e avere del tempo libero in
loco, il che sarebbe meglio perchè io possa appostarmi. Oppure partire
domattina e tenerci comunque un’oretta per il sopralluogo, che dovrai fare tu da
solo, naturalmente. Scegli. La nostra chiacchierata avremo il tempo di farla in
macchina. Andiamo con la mia che, anche se sembra un ferrovecchio, e
attrezzata da zerozerosette.
-beh, la mia è anche peggio. Langue nel mio non ampio parcheggio in attesa di
lunghi viaggi che tardano a verificarsi. Va bene, dai, andiamo insieme e tu mi
fai da angelo custode. Se non sei stanco partiamo subito, così ci paraculiamo.
-non ti preoccupare, se ho sonno posso appisolarmi in macchina, ah, ah! ... Mi
stai rendendo la vita interessante, lo sai?
Ci vediamo a mezzanotte dove ci siamo visti l’altra volta. Hasta!
-siempre!
Andai a casa a prepararmi.
Quando si dice vivere una vita che non si sarebbe mai immaginata! A
mezzanotte precisa salii sulla sua scassona zerozerosettata che parti
senza indugio. Parlammo a lungo, di tante cose. Io iniziai con le mie
intercettazioni.
-eccoti il materiale registrato. Mi raccomando non perderlo!
-per chi mi hai preso? Ti sembro Closeau? Raccontami un po’.
- in una telefonata ho sentito il Cappa che si rivolgeva, con una insolita
deferenza a un personaggio che chiamava Claudio. Credo possa trattarsi
del politico che intendeva avvisare. -cosa gli ha detto?
-usando un linguaggio parecchio criptico, gli ha detto che forse bisognera
sistemare la faccenda del solista stonato in maniera eclatante. Ha usato questi
termini, poi sentirai la registrazione. Ha detto anche, forse bisognera usare il
codice g otto. G otto, capisci?
-che figli di puttana! Se ne compiacciono.
-eh si. Evidentemente per loro è stato un grande successo. E alla fine, quando
ha riattaccato, gli ha mandato un “vai in mona”. Forse non e stato trattato
come sperava?
-già. E così, potrebbe essere che stanno organizzando come mettere a tacere il
sicario, se dovesse parlare o minacciare di farlo. È un classico del genere.
-l’ho pensato anch’io. Da morto si archivia come pazzo isolato, e si recidono
tutti i possibili legami. Strano che non l’abbiano fatto subito.
-devi considerare che la mafia ha un codice d’onore. E poi, che magari il
“solista” serviva per altre imprese; se non avesse fatto degli errori. Adesso è
sotto pressione e può darsi che non regga, o che venga considerato
inaffidabile...
-su Piccolo hai trovato qualcosa?
-certo. Lorenzo Lopiccolo, un anziano, credo oltre i settanta, è stato arrestato
con l’accusa di molestie sessuali su una minore. La nipotina acquisita, nel
senso che è la nipote della sua convivente, e figlia della figlia di lei, una
tossicodipendente. Guarda in mezzo a quei fogli, ci sono i dettagli.
-hey, ma questi lo so chi sono! La madre della bambina è una ex tossica, è stata
in comunità tempo fa e si è reinserita alla grande, l’ho aiutata io a trovare
lavoro. E questo maiale lo conosco, me lo ricordo ... Una storia veramente
schifosa e triste. Ma adesso dimmi, come è possibile che i servizi sociali
abbiano affidato a questo porco, e non alla madre riabilitata, la cura della
figlia?
-beh, io non lo so. In comune fanno un po’ quello che vogliono, lo sai ... Il
nonnetto non mi sembra compromesso, a vedere il suo passato...
-aspetta, aspetta. Questa donna una volta mi ha detto che il Lopiccolo la
ricattava, le diceva “se vuoi vedere tua figlia devi fare questo e quello...” E le
ha anche proposto di fare sesso con lui. Ti rendi conto?
E quando le ho detto, perchè non lo denunci? Sai cosa mi ha risposto? Che non
poteva farlo, perchè c'erano di mezzo certi personaggi che non avrebbero
gradito lo sgarro. In seguito mi ha rassicurato, dicendomi che era riuscita a
vedere la figlia senza dover sottostare ai desideri del vecchio. Adesso la visuale
è più ampia, no?
-pero’, vedi, è strano. Anche quest’altro è finito in galera. Se è anche lui un
protetto della famiglia, perchè è stato ingabbiato?
-che la magistratura stia riprendendo punti di svantaggio? Del resto questo
qua è vecchio, certo non stara molto in carcere.
-forse va messo in conto anche questo: sono dei coglioni. I fratelli che ti
vogliono dare informazioni in cambio di favori, il Cappa che fa telefonate e
riceve personaggi sospetti in comunità, e questo sicario, pardon, solista
stonato, che si fa beccare...non mi sembra un quadro di eccellenza. A volte la
realtà risulta banalmente malmessa ... La banalità del male...
-speriamo. Ti ho detto che Gege’, la “guardia del corpo” di Natalino, si
chiama Geraldo, e quindi che poteva essere lui a colloquio con Cappa, anzi, se
avessi soldi li scommetterei. Incredibile. Si sentono davvero intoccabili.
-meglio così. Credo che ti stiano sottovalutando. Scusa, che ci stiano ... La
discussione si srotolava nella notte, mentre andavamo incontro all’alba
francese.
più tardi, gli confidai che mi sentivo un po’ ossessionato da tutta quella storia,
che non mi dava tregua, mi spossava. Mi stupì una delle sue considerazioni.
-non prenderla male, ma può darsi che tu sia un bipolare. Un po' maniaco e un
po' depressivo, in gergo ciclotimico. Capisci? Certo che capisci, questi
termini fanno parte più del tuo lavoro che del mio.
però io conosco l’argomento perchè ho una certa familiarità. Le mentine che
mi vedi ingoiare non sono mentine. È litio. Sai cosa significa?
-si. Sei in cura?
-da anni. Ho provato a farne a meno, ma è dura. Anche perchè io faccio una
vita movimentata, sono spesso sotto stress. Da una parte e preoccupante. È
pur sempre una “malattia grave”. Ma d’altra parte e incoraggiante: anche una
psicosi la si può “addomesticare”, usare positivamente. Non trovi?
-accidenti, è fantastico. E dici che io ...
-non so, però riconosco certe analogie. Questo spiega due pazzi che nella
notte vanno incontro a una morte sicura!
-ehi, vaffanculo, io voglio vivere ancora. E voglio andare in fondo a questa
storia!
La notte era magnifica. Se mai mi ero sentito vivo era in quel
momento. L’aurora stava per essere francese. Mi ricordai che
dovevamo fermarci all’autogrill a comprare la gazzetta.

Il bar era a Vieux Nice, ma i tavolini davano sul lungomare, sul marciapiede di
fronte c'era l’ingresso della spiaggia. Il giornalista si era appostato a cento metri
di distanza, su un molo, vestito come un cretino, e fingeva di fotografare
gabbiani appollaiato su un seggiolone pieghevole, mentre in realtà il suo zoom
potentissimo era puntato su di me. Appoggiata a un palo del molo c'era una bici
che aveva noleggiato. Avrebbe tentato di seguirmi senza dare nell’occhio.
Nell’insieme sembrava geniale. O suicida. O un mix delle due cose. Il sole
splendeva già da ore. Io trangugiavo cola e cercavo di leggere una gazzetta
quasi priva di interesse. Questo mi permetteva di pensare. Purtroppo. Dopo
quasi un’ora una grossa berlina accostò. Si apri una portiera e un ragazzotto coi
capelli unti, o “gelati”, mi fece segno di avvicinarmi, e mi disse:
-sali dietro.
Finsi di recuperare delle carabattole e misi platealmente dei soldi sul tavolino
facendo segno ai camerieri, cercai di guadagnare tempo per il mio
giornalistabirduoccer-inseguitore. Salii in macchina. Accanto al ragazzo c'era
un autista, un nero robusto e pieno di orecchini. Il ragazzo disse: -tieni
l’appuntamento col don, vero?
-diciamo di si. Mi manda suo fratello.
-bene. Hai detto pure troppo. Non parlò nessuno per un quarto d’ora. Resistevo,
non volevo girarmi, ma nelle curve con la coda dell’occhio cercavo di
individuare un ciclista. Ma niente. Giungemmo in un grande centro benessere.
L’auto scese in un garage sotterraneo. Prima di scendere dalla macchina, vidi
un tipo in gessato blu leggero e capelli unti, o “gelati”, che scambiava dei segni
col ragazzo. Dietro di lui stava un altro nero. Seguii i due accompagnatori fino
a un ascensore, e poi in un corridoio pieno di porte. Il ragazzo mi porse un
sacchetto e mi indicò una porta.
-cambiati li dentro, puoi lasciare tutte le tue cose, poi vieni con costume e
accappatoio e ciabatte in fondo al corridoio, dove sta una piscina. Li ti aspetta
il capo.
Parlando aveva rivelato l’accento campano. Il nero invece doveva essere
muto, e forse anche cieco, perchè mi guardava come se non mi vedesse. Mi
cambiai. Nel sacchetto c'erano due costumi, due accappatoi, due ciabatte, tutta
roba di qualità.
Uscii e mi diressi in fondo al corridoio, dove c'era una porta a vetri che filtrava
bagliori azzurri. c'era una piscina in marmo decorato, forse finto, una cosa
sfarzosa, che voleva ricordare l’antica Roma, nelle intenzioni. In realtà era un
impianto termale con acqua quasi bollente, tipo onsen giapponese. Nell’acqua
c'era un solo uomo, quello che prima era fuori in gessato blu leggero. Mi invitò
ad entrare in acqua. Ricordava suo fratello, vagamente nei tratti.
L’impostazione però era la stessa. Abbronzato, look da italoamericano, capelli
grigi tirati indietro, tatuaggi.
-sono Vito Volturno, entra piano, è molto calda. Ma fa un gran bene. Mentre mi
calavo nella confortevolissima acqua, notai il nero seduto su una panchina, due
metri più in la.
-allora, che si dice? Mio fratello mi ha parlato bene di te. Ti ho invitato a fare
il bagno balsamico perchè è un modo infallibile per evitare perquisizioni,
intercettazioni e altri sospetti. Qui dentro non si può ne registrare ne
fotografare ... Così stiamo tranquilli. E mo’ che sei a tuo agio, dimmi pure
tutto quello che ti serve.
-vede, come le avra accennato suo fratello, sono personalmente interessato
alla faccenda della tarantella ... Posso fare nomi?
-e certo! Siamo solo noi due e Abdul, ma quello non vede non sente e non
parla.
-insomma, la storia di Pizzichini mi tocca, soprattutto per quanto riguarda i
bambini.
-tieni parenti o amici coinvolti?
-si.
-mi dispiace. In virtù del legame che hai con mio fratello, ti posso dire che
questi delitti non sono casuali, ma sono stati commissionati
appositamente.
-da chi? E perchè? E...
-frena, uaglio’! mica sono il computer della polizia. Quello che ti posso dire, e
ti ripeto che te lo dico volentieri, è che queste azioni sono state
commissionate da una famiglia che vuole usare esterni, cioè uomini di altre
famiglie. Perchè non lo so, può essere che questa famiglia abbia interessi
nella cosa, può trattarsi di vendette, mi capisci? Oppure di lavori su
commissione, scambi di favori…
-ma si trattava di bambini, di ragazze...
-quel che si deve fare si deve fare. Pure a me è dispiaciuto quando hanno
ammazzato il figlio dell’infamone, ma, come dicono i latini, morse la tua e
non la vita mia ...
-detta così, mi scusi, e un po’ vaga...
-io ti dico quello che posso dirti. Ti ho offerto bagno e chiacchierata. Per tua
enorme regola, nomi non se ne fanno mai, a meno che non si tratti di traditori
infami, allora si nominano per l’ultima volta. Ti posso dire, però , e te lo
dico, perchè più che di soci si tratta di concorrenti, che la comanda e partita
dalla ‘ndrina della Sila. Calabresi. Perchè non lo so. Se vuoi puoi chiederlo a
loro. Ma non te lo consiglio. (si fece una grassa risata) Ti ho già detto molto.
E qui lo dico ...
-e qui lo annega!
Mi scappò di bocca. Tutto quel calore, la stanchezza e l’adrenalina
cominciavano a fare scherzi ...
-esatto! Tiene raggione fratemo a dire che sei chicazz! Tra un poco usciamo di
qua perchè se no ci viene l’infarto. Quando ti riaccompagnano, mio nipote ti
darà un pacchettino, una cosa piccolissima da portare a fratemo. Non ti
preoccupare, non è niente di compromettente, un oggetto di uso comune, che
tutti abbiamo addosso. È importante che ce lo fai avere. Se poi ci fossero
problemi, tu sai che fai? Vai da frate mitra, quel ricchione di prevete che sta in
carcere, gli dici che ti devi confessare, e poi gli confidi il problema, e lui
pensa a tutto. Ti chiedo questo piccolo favore, e anche di scordare questo
posto, il bar... E la targa della macchina, caso mai l’avessi memorizzata senza
volere.
Ero allibito. Ma cosa mi aspettavo, dalla mafia? Il nero mi fissava da un po’,
altro che cieco e sordomuto. Mi venne da pensare fosse...omosessuale.
Naturalmente era un delirio da esaurimento.
-ti chiedi perchè uso i neri e non qualche bravo ragazzo dei nostri? Questi sono
fidati, sai, sono pronti a tutto, sono indistruttibili, e poi, so’, come si dice, so’
leali. Non tradiscono. A meno che, sai com’e, se Maometto non va alla
montagna, va al mare, no? E poi i tempi cambiano. Noi ci stiamo
internazionalizzando, abbiamo affari in tutto il mondo. Ma che te lo dico a fare?
Tu sei intelligente. Sei professore no?
-non proprio.
-vabbuo’, uaglio’, ammuncinne. Non c'è bisogno che mi ringrazi. Aiuta quella
povera disgraziata di mia nipote, che ne ha bisogno. Abdul, pretaportee cet
homme a son bar favori! Tu parli francese?
-poco.
-abbuo’, questo capisce pure nu poco e italiano. E poi non dovete fare
fermate intermedie. Stammi buono.
-arrivederci, don...Vito.
Mi sembrava un’altra gaffe, ma invece si fece una bella risata e uscì
dall’acqua, sparendo dalla mia vista. E dalla mia vita, speravo.
Mezzora dopo ero al bar. E mezzora dopo ancora il giornalista, dall’altra parte
della strada, mi fece cenno di andare alla macchina. Salii come avevamo
concordato, fingendo di aprire con la chiave, mentre lui era già sdraiato
dietro. Presi la via diretta verso l’autostrada.
-allora, com’è andata?
-quel bastardo non mi ha detto un cazzo e mi ha dato sto pacchettino da portare
a suo fratello! Cornuto e mazziato. Non bisognerebbe mai giocare da dilettanti
coi professionisti.
-aspetta, fermiamoci a mangiare in un autogrill e raccontami tutto per bene.
-che vuoi che ti racconti, mi ha rifilato un sacco di fregnacce, a bagno dentro
una piscina di acqua calda, e poi se n’è uscito co’sta novità del pacchettino.
Dice che non è niente di compromettente, che se me lo trovano è un oggetto
di uso comune, anonimo. E che, se ho dei problemi, di rivolgermi al prete
del carcere.
-cosa?
-si, hai capito bene.
-non possiamo aprirlo ‘sto pacchetto?
-penso di si, a meno che non si accordino sul tipo di confezionamento ...
Ma mi sembra un involto di carta o plastica, veramente anonimo. -lo
vedremo. Ci fermammo nel primo autogrill italiano, per bere un caffe
decente.
Avevamo talmente sonno che ci mettemmo a dormire subito, ripromettendoci di
esaminare la situazione al risveglio. Due ore dopo, con un altro bel caffè,
eravamo tutti e due di nuovo pronti a ragionare. Il pacchetto, invero minuscolo,
sembrava imponente, sul sedile posteriore. Il giornalista aveva idee chiare.
-l’ho esaminato. Non c'è verso di disfarlo senza che si noti. Però ti posso dire
che l’involucro di plastica, contenuto dentro la carta da pacchi, pesa pochissimi
grammi, non contiene sostanze tossiche, occupa lo spazio di un’unghia. In
altre parole, li dentro non ci può essere altro che una scheda telefonica.
Torna con quanto ti han detto: è un oggetto di uso comune, che chiunque può
avere in tasca. Se però ti beccano mentre lo consegni, una telecamera per
esempio, passi i guai di sicuro. Ho pensato due cose: usa il prete, digli che
non puoi scendere in sezione, che devi andare via urgentemente, e dagli il
pacchettino. Così vedi anche come si comporta. Gliela scarichi a lui, no?
Naturalmente in un luogo sicuro, possibilmente fuori...
-il boss ha detto di confessarmi, perciò nella cappella. Scommetto che è
l’unico posto non microfonato. E l’altra idea quale sarebbe?
-non scommettere sul confessionale pulito. Le vie del signore sono infinite ...
L’altra idea è questa: conosci un poliziotto? Un vero sbirro, intendo, di quelli
che lavorano in questura?
-direi di no. Cioè si, ma fidati, no. Perchè?
-secondo me, e sai che non parlo a caso, è meglio se, in maniera informale,
parli della faccenda della tarantella con un poliziotto intelligente. Non fare
battute, ce ne sono.
Questo servirebbe a parare il culo a te e, se permetti, giunti a questo punto,
anche a me. Naturalmente dovresti esporre i fatti in modo generico, basandoti
su tue impressioni e omettendo tutte le fonti tranne radio sbarra. Vale a dire:
ho sentito questo e quest’altro. Nemmeno un nome.
-e quello poi non attacca con le domande, ne parla coi superiori, e insomma:
passo dalla brace alla padella?
-non credo. Se ti useranno come uno dei loro canali, come gli informatori, non
hanno ne interesse ne legittimità a sputtanarti. Prenderanno atto dei sospetti
che tu butterai sul piatto e ti ringrazieranno. Non possono trattenerti, ne
tantomeno cacciarsi nel roveto del carcere, che compete ad altra giurisdizione.
Perciò ti ringrazieranno e ti benediranno. Come il prete.
-ora che ci penso, uno lo conosco. Non so se è fidato, e neanche intelligente.
Però siamo legati da un filo comune. Lui è parente di un ragazzo che è morto
in comunità qualche anno fa. Abbiamo parlato un poco e mi pare che potrebbe
darmi ascolto ... Oltretutto fa parte di una forza di polizia che si muove dietro
le quinte...cioè, non va in giro in divisa, capisci?
-molto bene! Allora chiamalo domani e digli tutto quello che sappiamo. Di
persona. In un secondo momento, vedremo, puoi anche dirgli che ne hai
parlato a me, in quanto amico e non giornalista. Stiamo per arrivare. Mi
raccomando, tieni la bocca chiusa con tutti e smetti anche di registrare
l’amico Cappa. Lasciarci la pelle non vale il piacere. Lo stesso vale anche per
me.
Tornai a casa stanchissimo, nonostante il bagno caldo. Chiamai la questura e
chiesi dello sbirro amico. Non c'era, sarebbe stato in servizio la mattina dopo.
Lui era il cognato di Gino, un uomo che era stato un periodo in comunità.
Questo Gino aveva una particolarità: era stato alcuni anni in servizio nei
carabinieri. Ma non era un carabiniere comune. Se il suo curriculum
corrispondeva a quello che mi raccontava, era d’eccezione: missioni di “pace” e
scorte ai magistrati in Sicilia, durante le offensive della mafia, purtroppo
vincenti. La sua mente era rimasta sconvolta da due fatti. Il primo erano i morti
che lui stesso aveva causato in Palestina, in azioni di incursione a protezione
degli uomini della missione. Il secondo era la paura che aveva a scortare i
magistrati. Era sicuro che sarebbe morto con loro. Tanto che un giorno,
nell’impossibilità di essere trasferito ad altri incarichi, proprio per l’esperienza
e l’affidabilità mostrati all’estero, tentò una carta della disperazione. Si iniettò
dell’eroina, e poi disse che era tossicodipendente. Il comando la prese fin
troppo seriamente. Gli comunicarono che, data la delicatezza degli incarichi che
ricopriva, e la gravità del fatto, che pregiudicava completamente la sua
posizione, era espulso dall’arma immediatamente. E con disonore. Cioè senza
benefici. Si ritrovò così senza lavoro e senza soldi. Ma il peggio doveva ancora
venire. Tornò a casa. Usava regolarmente psicofarmaci. Anzi, non proprio, ne
abusava. Sua moglie, mi sfugge la ragione, osservava la medesima usanza.
Avevano un figlio, un ragazzino che andava alle elementari. Gino, non trovando
alternative, iniziò a sfruttare la grande esperienza accumulata nel territorio
borderline delle investigazioni private, sinchè non si trovò a contatto con la
malavita. E divenne spacciatore prima, e autista di fiducia di un boss poi. Un
giorno trovò la moglie morta di overdose da farmaci. La sua mente, già
vacillante, ebbe un crollo. Considerava quella disgrazia come il castigo divino
per gli omicidi, che tali erano, commessi durante il suo servizio. Era sfuggito
alla morte in Palestina, in Africa, in Sicilia, e anche la benemerita lo aveva
graziato, lasciandolo coi suoi segreti. Ma alla fine Dio lo aveva colpito così,
subdolamente. Divenne un paziente psichiatrico. Durante il reinserimento mi
confidava che non riusciva a dormire, a causa dei ricordi che riaffioravano dal
passato. Viveva di psicofarmaci e sigarette. Non voleva vedere neppure il figlio,
per paura di fare del male anche a lui. Tutti gli volevano bene, e lo cercavano
per parlare con lui. Fino al giorno in cui mi chiamarono per dirmi che era
sdraiato per terra nel bagno della sua stanza. Era morto, non c'era più nulla da
fare. I carabinieri mi interrogarono a lungo, insieme a tutto il personale che
aveva lavorato con Gino. Quando accennai loro allo stato di servizio di Gino, si
mostrarono sorpresi e non tornarono sull’argomento. Allora ne parlai con lo
sbirro, che avevo conosciuto al funerale.
Siccome si offri come tutore del ragazzino rimasto orfano, discutemmo sui
dettagli. Poi gli dissi di Gino, delle sue paure, del fatto che, in mancanza di
una dichiarazione pubblica sulla autopsia del corpo di Gino, il che aumentava
i sospetti, tutta la vicenda mi faceva pensare che Gino fosse stato una vittima
della coscienza sporca del corpo dei carabinieri. Nel senso che era crollato
psicofisicamente ... Niente di mistico.
Inaspettatamente, lo sbirro fu d’accordo con me. E non in virtù dell’antica
rivalità tra corpi di polizia. In fin dei conti aveva perso una sorella e un
cognato, quello avevamo condiviso e quello ci legava. Mi disse che lo stato ti
trattava come un signore, mantenuto discretamente e impunito, solo fino a che
lo servivi. Gli servivi. Dopodichè, ognuno per se. Chiaramente, Gino era
diventato un grosso problema. Ma con la certificazione di tossicodipendenza e
malattia psichiatrica si era annientato da solo. In tutti i sensi. Comunque lo
sbirro non aveva voglia di parlare del cognato, voleva piuttosto sapere come
fare per ottenere l’affidamento del nipote. Con tutto quel che ne seguiva. Mi
addormentai ripensando alla vita di Gino il carabiniere incursore.
-sociologo? Lo sbirro mi accolse con una battuta che conoscevamo e alla
quale non potevo non rispondere.
-sociopatico, dotto’, sociopatico! Come ti vanno le cose?
-che vuoi fare? Sempre in questa valle...
In effetti non era cambiato, un po’ più chiattello, i capelli biondastri appiccicati
e gli occhiali scuri sempre sul naso, secondo me ci dormiva, per un effetto
totale di trasandatezza quasi studiata. Ah, e il toscano spento appeso alle labbra,
per credersi Clint Eastwood.
La faccia rideva sempre, in posizione di riposo ... Ci eravamo dati
appuntamento nel bar di fronte alla questura, dove se non eri guardia potevi
essere solo...
-allora, che soffiata sei venuto a farmi?
Gli dissi, molto sommariamente come suggerito dal giornalista, di avere
sentito cose riguardanti un certo killer di mafia implicato in delitti anomali e
forse sul punto di parlare. E perciò minacciato ... La feci più confusa che
potevo. Lui cambiò espressione, non rideva più.
-ma cosa mi racconti? Vuoi dire che hai sentito tutte queste cose nei corridoi?
Sono tutti impazziti la dentro? Oppure qualcuno si è confidato con te e non
mi vuoi dire il nome?
-no, ho messo insieme mezze parole e dicerie di radio sbarra, e ho voluto
parlarne con qualcuno per confidarmi ... Uno dell’ambiente come te, che
magari sa che farne delle informazioni. Ne ho parlato ieri con un amico, ma lui
sa ‘na sega.
-voi buonisti mi fate impazzire. Volete salvare il mondo e poi tanto le cose
fanno il loro corso.
Hai visto com’e finito Gino? E quanti altri ne ho visti finire così. E non mi
tirerai mica fuori la sociologia, adesso? Quella è colpa della società?
-macche’! Ci sono uomini e uomini. Ma ci sono anche crimini e crimini. Questa
storia, converrai, e molto anomala. Che c'entra la mafia con le storie malate? E
non è che dietro spunteranno le deviazioni statali, qualche tuo collega
mascherato...
-e se fosse, che te frega a te? E che ci potresti fare? Mica sei uno sbirro. Non
capisco quale può essere il tuo scopo; il vostro motivo, di voi zecche pelose, a
venirvi a mettervi in mezzo. Volete salvare il mondo? O fare indagini voi?
-se mi interessano certe trame, è solo per cercare di capire, e magari dare una
mano perchè certe cose non accadano più. O accadano meno, per essere realisti.
D’altra parte, a quelli come Gino una mano ho sempre cercato di darla.
-ma si, scusa, sono un po’ nervoso. Siamo già pieni abbastanza di merdate ...
Ma questo è un mio problema. Può darsi che queste tue impressioni possano
servire, in futuro. A proposito, visto che sei interessato alla storia...
-mah, veramente...
-si, si, guarda, stanno traducendo qui il Sante, te lo ricordi, quel politico
di quella banda famosa? Ci hanno fatto pure il film.
-si, mi ricordo. Ma non aveva scontato?
-certo. Ma lo fanno testimoniare coatto in una vecchia storia di terrorismo, sai
quel giudice di qui, azzoppato ... Lo hanno convocato con le buone e lui ha dato
picche, allora gli hanno ricordato i suoi ventisette anni passati, un po’ diversi da
quelli di Mandela. E la pericolosità sociale. E così si e convinto.
-e cosa c'è di interessante, dal punto di vista storico?
-beh, Sante rappresenta il passato, sai, il solista, il bello, la banda di qua e la
banda di la ... Quando, insomma, uno con una macchina, un’arma e un
compare metteva in scacco una città. Poi è arrivata la politicizzazione, lui è
stato uno dei primi a contaminarsi. Non dico fosse meglio prima, ma ci si
distingueva più chiaramente. Almeno così mi racconta mio padre. Io ero un
ragazzo.
-anch’io. Comunque, poi è subentrata la mafia di stato, e fine del film.
-m’hai ammazzato la poesia. Evvabbe’, si vede che pure tu c’hai i tuoi pensieri.
Se dovessi avere bisogno chiamami a questo numero. Se scopro qualcosa, lo
leggi sul giornale! Mi strizzò l’occhio e si diresse verso l’entrata del suo
ufficio. Non eravamo tornati sui dolori passati. Avrei voluto chiedergli del
nipote, ma avevo la testa altrove. Tornai a casa. Era bello ma non avevo voglia
di fare
niente.
Figurarsi lavorare. Mi salvava il cumulo orario.
Controllai la posta, era un po’ che non lo facevo.

Il deus ex machina si ripresentò, come sempre, inatteso. Mi chiamavano per


una missione umanitaria in Africa, come supporto educativo. Avevo fatto
domanda mesi prima, e non ci pensavo proprio più. La cosa mi fece un grande
piacere. Dovete sapere che almeno ogni due o tre anni faccio uno di questi
viaggi che mi danno tanto, tantissimo. In realtà, direte, vai per dare tu agli altri.
Certo, ma dal punto di vista umano è tutta ricchezza che mi viene. Anche da
quello professionale, a essere sincero. Si vede come funziona la vita in altri
angoli di mondo. Si crede, forse a ragione, di cambiarlo un pochino, il mondo.
E poi, ho una storia, anche familiare, di viaggi, di studi, di lavori in giro. In
Italia ma anche fuori. Un discreto tasso di internazionalismo: sono stato in tutti
i continenti, e ho più parenti all’estero che in “patria”.
Per tornare a noi, e per farla breve, ero felice di aderire. La chiamata era in
emergenza, per una sostituzione all’ultimo. La partenza era prevista per la
settimana dopo. Forse era l’occasione per dimenticare tutta la storia. Sperando
che lei si dimenticasse di me. Naturalmente dovevo fare il giro delle chiese,
avvisare tutti i datori di lavoro, non lasciare nulla in sospeso. Prima però
chiamai l’organizzazione per chiedere dettagli.
La missione non rientrava nel mese, come credevo, ma andava dai due ai tre.
Questo cambiava parecchie cose. Anzitutto i miei datori di lavoro, pur non
potendo rifiutare perchè il sistema garantisce i permessi per questo tipo di
viaggi, sarebbero rimasti contrariati.
E, soprattutto, avrei dovuto tirare la cinghia ben bene, senza tre mesi di
stipendio. L’organizzazione umanitaria dava un rimborso spese, ma inferiore
ai miei lauti guadagni usuali...
però c'erano troppe ragioni a favore del viaggio. Così confermai, anche se mi
dissero che il paese di destinazione era a rischio di guerra civile, e pure quelli
confinanti non stavano benissimo. Anche il concetto di confine era vago da
quelle parti, le etnie debordavano in seguito a movimenti traumatici. E io
dovevo operare a cavallo di quei flussi migratori! Mi spedirono i biglietti, e il
kit informativo. Quindi mi apprestai al giro di comunicazioni. Come
prevedevo, Pippo fu il più contrario. Non che facessi un granche, ma lo
alleviavo di parecchi grattacapi. Soprattutto i colloqui di routine che lui
reputava inutili. Io, invece, ci sguazzavo. Nei giorni seguenti, sarei dovuto
correre in carcere, in comunità, nei servizi, e poi in altri uffici per le pratiche
burocratiche, i vaccini, controllare il passaporto, ecc.
Chiamai anche il giornalista. Concordò con me che il viaggio avrebbe fatto
molto bene alla mia salute, e disse che avrebbe proseguito lui il nostro lavoro
durante la mia assenza. Mi sentivo molto sollevato. Il mondo mi attendeva!
Pippo alla fine cedette:
-anche se mi lasci nella merda, ti auguro di fare un’esperienza
indimenticabile, e di ricaricarti, piuttosto che scaricarti, così appena torni me
ne vado subito in ferie.
Gennarino era combattuto:
-ue’, bell’e’buono te ne vai in Africa; e che bellezza! però a me mi rimani
qua, in mezzo a ‘sta banda ‘i cornuti e lacche... E come posso fare io?
Hai voglia a dirgli di portare avanti tutte le attività culturali sportive e
spirituali, in primis resistere alle provocazioni, fortificarsi e mantenere
tenacemente una forma di progettualità, vicina alla realtà. Pure se utopica, va
bene. In quella condizione ... Lui, come tutti gli affettivoidi, segue i
sentimenti, soprattutto attaccamento e abbandono. Ne sappiamo qualcosa. Ma
aveva la sua forza interiore, ce l’avrebbe fatta anche senza di me. Ci
mancherebbe. I tossici della sezione Disneyland improvvisarono un mezzo
banchetto con dolci che avevano preparato la notte. Ci abbuffammo finchè le
guardie non ci ricordarono che era contro il regolamento banchettare nel
corridoio. Più che altro ero io in fallo.
I ragazzi mi preannunciarono una vera festa per il mio ritorno. Mi chiesero
di portar loro del fumo buono. Del fumo africano. Barolo e l’avvocato mi
regalarono due vecchie guide, una routard e una rough, o forse una lonely
planet, di alcuni dei paesi che avrei attraversato. Li ringraziai di cuore, era
un gesto sentito.
-cambiaci un po’ il mondo, che’l va brisa ben … poi quando torni ci racconti.
-si, e portaci qualche diamante se ne trovi. Al limite va bene anche
dell’uranio, ne!
Hamid fu prodigo di consigli sia nei riguardi degli infidi arabi suoi parenti e
storici mercanti di schiavi, sia verso quelli degli indolenti neri. Tutte cose
interessanti ma prive di reale utilità, dal momento che avrei viaggiato in
gruppo, scortato, e avrei soggiornato in centri blindati e sorvegliati, forse
persino dai caschi blu. O qualcosa di simile. La ciliegina ce la mise Chierici:
-aho’, nun te fa frega’ a valiggià già all’areoporto o alla stazzione,
sta’campana, me raccomando!
Passai, naturalmente, dal cappellano del carcere, e gli buttai li:
-c'è questo pacchettino da consegnare a Natalino, da parte di suo fratello. Può
pensarci lei, io devo partire per l’Africa? Non fece una piega, allungò la mano e
mi riservò uno di quegli sguardi che solo se hai frequentato il seminario sei in
grado di produrre.
Passai a salutare i miei colleghi, Totò e il Greco, detto Recchiadgomm.
Giaime non c'era. Recchiadgomm organizzava i turni. Anche a lui avevo
parecchio incasinato la vita.
Se vi chiedete che significa recchiadgomm proverò a spiegarvelo. Lui è barese,
e mi ha insegnato un po’ di barese. Quando ci siamo conosciuti sapevo già un
po’ di barese, ma lo pronunciavo male. Infatti mi chiese se ero di Foggia. No,
che non ero di Foggia. Così mi insegnò un sacco di termini stretti. Uno di questi
è recchiadgomm, che significa, alla lettera, orecchio di gomma. Il
metasignificato è, più o meno, persona ambigua. Ambigua, ma anche
inafferrabile. Ineffabile, ecco.
“Qud ca tene la recchia de gomma” o “qud ca move la recchia” e il tipo che non
si fa capire, e dunque generalmente considerato meno fesso. E lo sfaccimm
napoletano, il paraculo romano, il drago padano, e via dicendo.
Non che questo abbia molta pertinenza con la storia. Ma Recchia mi aveva
“imparato” come muovermi senza farmi troppo male in quell’ambiente del
cazzo che va dalla tossicodipendenza alla cura. Che confina con la strada, con
la malavita, con le lottizzazioni selvagge delle ausl, dai primari ai “fiumi” di
metadone, alla versione europea della psichiatrizzazione che già il
supermercatone occidentale aveva sperimentato con successo nella dreamland
che si estende da Ellis Island a Honolulu. Quel mondo che stavo per lasciare,
e con sollievo.

Tornai a casa dopo cento giorni. Cento giorni pieni di passione, di casini e di
una fatica defatigante, se mi concedete.
Ma questa storia, lo capirete, non ci può stare qua dentro. Vi racconterò,
invece, cosa ho trovato al mio ritorno. Quasi niente di diverso, per la verità. E
poi, quando ritorni a contatto con la realtà fondamentale della vita, la realtà
della sopravvivenza, tendi a ridimensionare tutte le cose, che prima ti
sembravano così importanti, se non prioritarie. Per dirne una, il contatto che in
quei cento giorni avevo avuto con la morte, un rischio remotissimo per quanto
riguardava me, è una realtà per parecchi cadaveri in carne e ossa ... Mi fecero
ripensare al mio personale rischio nell’affare della tarantella. Prima di tutto: chi
mi credevo di essere per temere di essere ucciso? E, secondo: era probabile
questo evento? Da uno a dieci quante possibilità avevo di essere trasformato in
cadavere, come uno di quelli che avevo visto nell’ospedale dove avevo
lavorato, o nei centri di accoglienza che bazzicavo, o per le strade africane,
addirittura? Il Principe avrebbe detto,
sollevandomi un gomito: “ma mi faccia il piacere!”
Archiviato dunque questo argomento cominciai, per contrasto o per paradosso,
a percepire quanto i tempi stessero cambiando, qui nel nostro bel paese,
probabilmente in tutta l’Europa e nell’intero Bengodi.
In peggio, naturalmente, in peggio. Si stavano avvicinando a grandi passi tempi
davvero duri. Quasi tutti quelli che conosco, e la mia unica ricchezza sono le
migliaia di persone che conosco in ogni dove, mi rivelavano problemi di
sostentamento, di garanzie per il futuro, ovvero di mancanza se non
impossibilità di progettualità. Non so perchè ho detto quasi tutte. A pensarci,
non mi viene in mente nessuno che mi abbia detto di essere tranquillo. Anche le
persone coi soldi, certamente. Non basta avere soldi per essere tranquilli. I soldi
vanno coltivati bene, se no muoiono. Lasciatevelo dire da uno che, di soldi, non
ci ha mai capito un cazzo.
Torniamo allora alla tarantella, che adesso, in questo mutato quadro di crisi
globale, questo quadro senza più cornice e con ancora pochi colori, in cui
riscopriamo di nuovo il sentore della sopravvivenza, mi sembra non solo
accettabile, ma addirittura quasi normale. Insomma, che sarà mai, se un
apparato misto pubblico privato, cioè sommerso statale e imprenditoria
criminale organizzata, dovesse compiere delitti senza movente per scopi che
al momento sfuggono alla mia limitata mente? Pensateci. Perchè no?
Lasciatemi ritornare dolcemente nella realtà quotidiana, dolcemente in senso
motorio, s’intende.
L’idea amletica, pirandelliana o eduardiana, o’triato dint’o’triato, mi attira
molto, ma probabilmente prenderebbe troppo spazio. Durante la mia
permanenza in Africa avevo abbozzato uno spettacolo teatrale da fare in
carcere, in cui si metteva in scena la storia della tarantella, per vedere che facce
avrebbero fatto gli spettatori, per vedere se qualcuno di loro si sarebbe
tradito ...
Avevo già un abbozzo di sceneggiatura da far vedere a Pippo ma, come si può
intuire, la cosa avrebbe incontrato diverse asperità. Primo: l’idea l’ha già
avuta Shakespeare, appunto nell'Amleto (infatti il mio titolo era “Amuleto”.
Così lo pronuncia un noto spacciatore siculo che si sta facendo qualche anno
ma che quando esce, dice, cia’ un miglione e sette, e due locali gestiti dalle
sue donne...) Perciò qualcuno potrebbe accusarmi di plagio.
Secondo: Pippo si incazzerebbe come una belva. E a ragione. L’ultimo
spettacolo era saltato proprio per divergenze con lui, ma lasciamo stare, la
divagazione ci porterebbe troppo in la. Terzo: i detenuti attori, o gli attori
detenuti, fiuterebbero il marcio, anche lontano dalla Danimarca. Anche i
tossici e anche i matti. Sapete di quello che disse: siamo matti, mica scemi?
Quarto: se poi, per ipotesi, lo spettacolo andasse “in scena”, quanto camperei?
Allora si, a scherzare col fuoco ... E quinto fate voi, sicuramente e stato solo
un passatempo delle notti insonni d’Africa, tra zanzare, disperazione e
umanità. Ma non potevo certo baloccarmi con progetti del genere. Dovevo
invece recuperare il tempo perduto.
Incontrai prima Hamid per un cous cous a casa sua. Era un amico fidato e
discreto, e mi avrebbe ragguagliato sui tre mesi di mia assenza, senza chiedermi
nulla in cambio. Per la verità, lo avevo tenuto all’oscuro di tutto solo per il fatto
che aveva passato già abbastanza guai, tra la fuga dal suo paese, la
regolarizzazione nel nostro, equiparazione degli studi, lavoro, casa, famiglia.
Gli volevo bene, non volevo rischiarlo. c'era stato un solo fatto degno di nota in
quei tre mesi. Anzi due. Il primo era un mezzo fatto, non ancora confermato: il
detenuto kosovaro Barack Zawich, detto Baraneik, non era rientrato da un
permesso. Mancando da oltre ventiquattro ore si disperava di rivederlo tornare.
Lampo a cielo sereno.
c'era stato invece un fatto di sangue. Un detenuto somalo si era impiccato,
dopo tutta una serie di richieste che erano state ignorate. Anche perchè non si
capiva bene cosa dicesse. Sic. In cella con lui c'era uno dei personaggi più
terrificanti dell’istituto, un ex macellaio del Madagascar, stando ai documenti,
completamente pazzo, che nessuno riusciva a capire. E nessuno sapeva che ci
facesse di preciso in galera. E ora ci si poteva anche chiedere: e che ci faceva
in quella cella, con un detenuto depresso e in sciopero della fame?
Peppe aveva chiamato Hamid e gli aveva detto che gli toccava la traduzione
dell’interrogatorio del “norcino malgascio”, come lo definiva lui. Hamid mi
riferì di una conversazione alquanto surreale, durante la quale il presunto
francofono rispondeva a gesti, finchè non esplose letteralmente in una
delirante versione del fatto, in un italiano televisivo. Che era questa: “Gesù
Cristo è arrivato e ha detto a lui di morire e a me di non fare nulla, di non
intervenire contro la volontà divina.”
A parte questa tragedia, subitaneamente affossata dagli organi competenti,
non era successo altro di memorabile. Mangiammo il buonissimo cous cous in
compagnia della sua bella famiglia e mi apprestai, il giorno dopo, lunedi
lavorativo, a presentarmi a rapporto dal capo.

Ah, dimenticavo, incontrai per strada la moglie di Gennarino col figlio, un


ragazzino in carne dall’aria arguta, molto meno fesso del babbo, si
sarebbe detto. Taddeo. Li invitai al bar a prendere il gelato. Era quasi fine
estate. Il ragazzo se lo godette. Voleva anche dell’altro gelato...
Lei mi fece capire che era ormai la ex moglie di Gennarino, anche se lo
avrebbe aiutato sempre, eccetera. Ma l’amore era andato. Mi parve provata,
segnata da rughe che una quarantenne non meritava. E rassegnata, forse.
Parlammo un po’ del ragazzo, anche perchè se lei, come tutti i parenti dei
detenuti, attaccava a parlare del parente detenuto, il gelato si squagliava.
Avrebbe iniziato una scuola nautica, il ragazzo, e poi per la stagione sportiva
era stato inserito nella squadra giovanile di calcio cittadina, il che gli avrebbe
fatto smaltire ciccia e dolci in eccesso. Mostrò la genialità del padre,
contrapposta alla quieta ordinarietà della madre. Fece alcune osservazioni
interessanti per un ragazzetto, e poi mi disse che stava scrivendo una storia,
anche lui come suo padre, una storia in cui tutte le persone che “non andavano
bene” venivano ibernate in un apposito centro, a cominciare dal capo del
governo, quel nano infame, e poi via via tutti i cattivi, i nazisti e i criminali,
ma quelli veri, non gli innocenti come il povero papa.
Gli chiesi chi e come avrebbe potuto discernere il bene dal male e decidere
chi doveva essere ibernato.
-ah, a votazione. Tutti votano da casa, via internet, le proposte.
Ostracismo cibernetico!
-ma se si sbagliano tutti, se vengono ingannati dalla televisione che dice che
uno è cattivo e invece poi è buono?
-intanto la televisione non c'è più, in questo mondo, solo internet. E poi se ci si
sbaglia, si può fare la revisione e disibernare il tipo, con le scuse e l’indennizzo.
Se avessero fatto la revisione al processo di papa, come aveva chiesto, adesso
sarebbe fuori, con le scuse e l’indennizzo. L’indennizzo ... Gennarino mi aveva
parlato della sua richiesta intempestiva, che il tribunale aveva archiviato, perchè
riaprire quel caso significava far saltare un tombino “troppo fetente assai”. Quel
ragazzo mi lasciò una profonda impressione.
Pippo mi acchiappò subito e mi portò nell’ufficio di riserva, da soli. Mi
disse:
-adesso non ci muoviamo di qui finchè non ti ho detto tutto quello che è
necessario per mollarti e andarmene una settimana solo con mia moglie in
un posto che non rivelerò nemmeno sotto tortura.
-va bene, dimmi tutto e parti tranquillo.
-ah, a proposito, ti ha cercato con molta insistenza Natalino. Mi ha lasciato “la
commissione”, hai capito, di dirti di andare da lui non appena torni. Tu sai che
fai? Non ci vai proprio! Non mi sembrava così provato come diceva di essere.
Del resto, ognuno conosce il proprio dolore. Dopo tre ore e mezza mi liberò.
Il mio amico Recchia mi chiamò e mi disse che se ero disponibile c'era da fare
un accompagnamento lungo, fino al fondo dello stivale, con un ragazzo che
doveva sbrigare certe questioni imprescindibili. Anche se non ero disponibile,
veramente, perchè non c'era nessun altro. La settimana dopo. Gli dissi che
andava bene, perchè così avevo il tempo di riprendermi, dare fiato a Pippo e...
E poi mi disse che al più presto dovevo recuperare le ferie dell’anno
precedente,
se no era un casino. Tutti gli anni si presentava questa, appunto, annosa
questione delle ferie. Nessuno riusciva a farle tutte, perchè nel nuovo mondo
del libero mercato le ferie erano funzionali al consumo, ma non al lavoro,
specie se precario. E comunque quelle poche ferie non si potevano, per legge,
ne pagare ne sopprimere.
Bisognava farle, magari dedicandosi a un altro lavoro... (sic!)
Concordai che, in maniera discreta, avrei fatto il viaggio di
accompagnamento, e poi avrei cominciato a prendere qualche giorno di ferie,
senza farmi sgamare da Pippo e da tutti quegli altri committenti che, pur non
sapendo che farsene di me, mi trovavano irresistibilmente indispensabile.
Infine chiesi a Recchia la destinazione del viaggio e alcune delucidazioni, e
quando iniziò a parlare sobbalzai. Il paese sperduto che dovevo raggiungere col
ragazzo da accompagnare si trovava nella Sila. Vi riferirò dopo del ragazzo e
del viaggio. Pensai subito che dovevo chiamare il giornalista, e così feci,
appena finito il colloquio con Recchia. Fu felice di risentirmi. Decidemmo di
vederci, perchè dovevo raccontargli del mio viaggione in Africa. E lui di
eventuali, quanto improbabili, sviluppi. Siccome la settimana era tutta
impegnata dal recuperò del lavoro, ci vedemmo la sera dopo, anzi la notte,
quando fini al giornale. Localino e cozze a volontà. Gli raccontai finchè ne ebbe
la curiosità. Poi gli chiesi quello che da giorni stavo pensando di chiedergli:
-ci sono novità?
-si e no. Hai detto che vai nella Sila? Accidenti, so il nome del capobastone
della zona, quello che...
-da cui partirebbero le tarantelle, secondo il guappone latitante.
-esatto. Si chiama Stompanato. Non è che vai la e lo incontri?
-e chi sono, Mandrake? Buono a sapersi comunque. E altre novità?
-ma, sono esplosi alcuni scandali, legati più che altro ad appalti truccati, cose
che se si facesse luce si vedrebbe chiaramente che fanno capo proprio ai
nostri cari boss, via Montecitorio, s’intende. Sono saltati altri sindaci e giunte
comunali, ormai ne restano in piedi meno delle carte del piatto, e anche un
paio di regionali, o provinciali. Ma niente di sconvolgente. Già, ah, ah! Ci
vuole altro per sconvolgerci, oramai.
-eh si. Comunque di niente di collegabile alla tarantella?
-no. Niente. Del resto i processi sono e saranno lunghi. Dell’amico non si sa
niente?
-ho dato un’occhiata discreta al registro dei movimenti e non è successo
niente, nè a Pizzichini e nè agli altri collegabili.
-non ci resta che aspettare.
-si, e sperare.
La nottata fu piacevole. Non dormii granchè. Ma tanto avevo ancora il jet leg. Il
fuso orario, e il mal d’Africa. Le giornate di lavoro furono pesanti, anche
perchè si trattava di burocrazia arretrata, niente di vivo: istanze respinte che
sarebbero state respinte nuovamente, speranze di uscire dal carcere deluse,
recriminazioni tanto giuste quanto imponderabili. Nel frattempo volevo
recuperare il rapporto con Barbarella, con cui ci eravamo affezionati prima del
mio lungo soggiorno all’estero. Lei si era un po’ stancata nell’attesa.
Raffreddata, come si dice. Mi promise che avrebbe trovato una serata per me,
compatibilmente...
Ah, ma devo farvi sapere di Elmo, il ragazzo che dovevo accompagnare al
paese, del motivo del viaggio eccetera.
Elmo, un anagramma del nome, è così soprannominato a causa del volume
ininterrottamente fluente di parole che riesce a riversare su chiunque gli capiti
nel raggio di blaterazione. E correlato al termine “fare un elmo”. Il suo è un
parlare patologico, non ha sempre un reale bisogno di comunicare qualcosa,
tanto più che tende a soffocare “l’interlocutore” e a non lasciarlo fiatare. Lo so,
vi ricorda qualcuno. La coazione, l’impulso a parlare è il risultato di un
complicato equilibrio chimico creato nel suo organismo dalle meraviglie di big
pharma. Se fosse rimasto a cocaina ed eroina non credo parlerebbe tanto. La
riprova è che l’affabulazione, o il deliquio se preferite, non è costante. Elmo
parla continuamente, tutto il giorno, ma non tutti i giorni. Diciamo una ventina
di giorni al mese, a volte più a volte meno. La frequenza, la quantità di giorni
dipende dalla somministrazione mensile di un potente farmaco che gli viene
iniettato. Lo chiamiamo “Aldo Giovanni e Giacomo”, perchè quando glielo
fanno sembra pervaso da un divertimento che si può ottenere sommando il
potenziale di almeno tre comici. L’effetto del farmaco, però , tende a scemare
(eh, eh) prima dei trenta giorni, a causa dello stato d’animo e, appunto, delle
interazioni con altri farmaci e delle eventuali ricadute nell’uso di alcol e droghe.
Perciò non si può sapere quando Elmo ricomincerà a delirare, e se lo farà per un
giorno o dieci... Probabilmente, poi, non è possibile somministrarne di più
senza pregiudicare “la salute del paziente”, e così ci dobbiamo sorbire un
numero imprecisato di giornate oratorie del nostro ragazzo.
Elmo è un ragazzo, veramente avrà già quarantanni, e forse se arriva a sessanta
smetteremo di chiamarlo ragazzo, e incarna il prototipo del tossico calabro: di
statura media, grassoccio ma anche irrobustito dalla fatica, l’occhio sincero
dietro le lenti da sole, i capelli scuri sempre maniacalmente tirati, l’assurdo
abbigliamento da dimenticare, con abbinamenti che potrebbero uccidere una
stilista all’istante.
Ne si fa mancare il corredo completo di anelli, catene, e tutti i gadget
folkloristici (qualcuno ricorda il cornetto rosso, per esempio?). L’unghia del
mignolo, per dire, e un artiglio d’ordinanza. Il suo compendio sono il caffè e la
sigaretta, a qualsiasi ora del giorno o della notte. Quanto agli argomenti del suo
almanaccare, si riferiscono praticamente in toto alla sua cultura di provenienza:
malgrado viva qui da anni, parla ancora come un perfetto calabrese, aspirando
le vocali e anche molte consonanti, non disdegnando termini dialettali stretti e
per noi incomprensibili. Parla di tutto, intervenendo anche nelle discussioni
altrui e distruggendole, ma sempre senza cognizione di causa. Mi ricorda quel
tipo dell’ignoranza enciclopedica ... E tuttavia Elmo non è cattivo, se
consideriamo la sua storia. Afferma, e la sua cartella e i miei colleghi Recchia e
Totò avvalorano la sua versione, di avere perso entrambi i genitori in un
“incidente” quando era un ragazzo, anzi un ragazzino. L’incidente, che per tutti
è automobilistico, per i pochi confidenti intimi di Elmo è in realtà un
ammazzamento, una esecuzione della mafia calabra. Non si sa se perchè
avessero commesso un torto verso quei signori, o forse invece per il solo fatto
di essere figlia e genero di un esponente di spicco di una cosca. Un regolamento
di conti, in questo caso. Si comprenderà come un fatto del genere, e il
successivo esilio di Elmo presso gli zii in un paese qua vicino, possa modificare
e condizionare un’esistenza per sempre. In conseguenza della sua storia Elmo
era diventato prodigo, ma proprio prodigo. Sempre in prima fila per ogni
evenienza, dal lavorare a menare le mani, dal discutere -purtroppo- alle
libagioni anche tossiche, non infrequenti. Offriva sempre tutto a tutti. Se c'era
qualcuno in difficolta lui interveniva, simulando un coraggio assoluto. In
presenza di un problema, lui era il risolutore, come una specie di mister Wolf
millantatore. All’ora di cucinare era un grande chef, nelle incombenze di
manutenzione della casa di campagna, che occupava insieme ad altri suoi
compagni di comunità, poteva essere un pittore, ma anche un carpentiere, ma
anche idraulico o un elettricista... Insomma, ci siamo capiti. Una specie di
presidente del consiglio. Per questo tutti lo apprezzavano, tutti lo tolleravano,
tutti lo temevano, e tutti lo disprezzavano!
Provate un po’ a figurarvi, una specie di radio dialettale sempre accesa, e senza
musica.
Anzi, a pensarci bene, ogni tanto Elmo metteva su degli orrendi dischi di
musica della ‘ndrangheta, ballate strizzapalle che cantavano le gesta di nobili
banditi, latitanti martiri di sbirri vastasi, e giustizieri d’infami. Finchè non
interveniva Recchia a proibire la diffusione di quel materiale, finanche
illegale. Ca va sans dire, Elmo era diventato un poliassuntore di sostanze
tossiche di prima categoria, sopravvissuto a dispetto dei molti e forse
millantati episodi di violenza, overdose, incidenti, rapine, arresti, e via
dicendo.
Tornando alla missione, Elmo era erede del nonno ormai vecchio e
malandato, nonchè esposto al rischio piombo di Sila. Il viaggio era necessario
perchè Elmo andasse a firmare da un notaio tutti i documenti necessari per la
successione di discreti possedimenti e anche per la tutela da parte di un altro
parente, dal momento che Elmo era paziente psichiatrico conclamato. Status
che, al di la dell’apparenza di elettricista o all’occorrenza idraulico, con
coppola e sigaretta, nessun suo conoscente poteva negargli.
Non poteva viaggiare da solo. Il viaggio sarebbe stato lungo, in treno, e il
soggiorno breve, due o tre giorni lavorativi al massimo. Come conforto, Elmo
aveva fatto da poco l’iniezione, e parlava si e no due o tre ore al giorno. Si
rendeva necessaria una qualche forma di immunizzazione.
Allora, facciamo che vi risparmio gli ultimi giorni di lavoro “routinario” e i
preparativi della partenza. La freccia italica impiegava dieci ore, nelle
intenzioni, ma poi sarebbe stato necessario un itinerario in bus e taxi o nonno
taxi, per raggiungere il paese di Elmo.
Durante il viaggio, a parte i lunghi sonni e le mangiate, c'erano due possibilità:
parlare con Elmo, o meglio ascoltarlo, comprese le pause sigaretta. Oppure
fingere di dormire. Leggere o ascoltare musica, nemmeno “parlarne”. Il tossico
da sigaretta e dentro un ciclo che conosco bene: a parte le ore di sonno, che in
alcuni casi vengono interrotte per fumare (Elmo rientrava nella casistica) nelle
restanti ore di veglia il fumatore “deve” fumare almeno ogni ora o, nella
categoria professionisti che Elmo ben rappresenta, ogni mezzora.
Aggiungiamoci il cercare un finestrino da aprire o chiudersi in un bagno, perchè
sul treno non si può fumare, era un bel lavoro, e un discreto diversivo per me,
che non potevo certo fingere di dormire per tutto il tempo.
A parte queste pause, dicevo, l’alternativa all’ascolto di Elmo, comunque
piuttosto contenuto rispetto alla fase acuta, era l’attacco: cioè parlare io,
chiedergli notizie dei luoghi che avremmo visitato, come delle persone da
incontrare, e delle cose da fare, delle pratiche da sbrigare. Dovete, o dovreste, o
se non altro potreste, sapere che esiste un ampio studio clinico del delirio che
aiuta ad approcciarsi e orientarsi nei suoi meandri. Io avevo studiato alcune
teorie e riuscivo a volte a tradurle in pratica, a modo mio, come potevo. Questo
mi aiutava a mettermi a mio agio e chissà, a fare altrettanto col delirante. Il
metodo che uso e un po’ parente del teatro.
ia studi acclarati, I disturbi più profondi, quelli psicotici dunque, deriverebbero
da un conflitto improponibile, totale: contro il mondo. Da qui la fuga all'interno
(il disinvestimento) o la lotta all'ultimo sangue, naturalmente perdente, come
nella sociopatia. Altri percorsi “alternativi” sono violenza, delinquenza,
tossicodipendenza, disoccupazione, ecc...
Il delirio crea una realtà alternativa. E meno dolorosa di quella primaria. Si
può provare a mettere in scena il trauma, il delirio? Il teatro a volte lo fa. E
coi deliranti, naturalmente, può diventare terapeutico. Era, se non il mio
pane (perchè estremamente difficile da realizzare) il mio companatico.
Ma naturalmente bisogna avere l'accortezza di restare alla giusta distanza
(esattamente come nella gestione del conflitto) ... E poi c'è la questione della
veridicità di quanto si ascolta. Sara vero, o no? E la posizione del
terapeuta/regista, degli spettatori. Ma ci perderemmo...
Fargli domande sembrava funzionare, lo gratificava anche, sia nell’orgoglio
dell’appartenenza, sia per il fatto di sentirsi guida.
Vi riferisco alcuni dialoghi, anche divertenti, in ordine sparso, alcuni li abbiamo
avuti sul treno, mentre altri avvenivano dal vivo, mentre giravamo i paesi del
Krotonese, della Sila greca o “marchesato”, luoghi belli e dimenticati.
-allora, dimmi un po’, dov’e che andiamo? Dove sta tuo nonno?
-noi siamo di Caccuri, vedrai che bellezza. Però mio nonno mo’ sta a Palla
Palla, vicino a San Giovanni in fiore. Ci ha l’ufficio e un monolocale li, per
gli affari.
-Palla palla? Che nome strano! E San Giovanni in fiore, parlamene un po’.
-ma che ti devo dire? Io sono di Caccuri, San Giovanni è la città capitale, no?
E dedicata a San Giovanni, quel santo famoso, no?
-e perchè in fiore?
-perchè in primavera, dovresti vedere, è tutto un fiorire di fiori...
-veramente dappertutto fioriscono i fiori in primavera. E palla palla
perchè?
-non lo so! Forse perchè c'è una palla di qua e una di la...e in mezzo...
-ho capito. Che c'è’ di bello da vedere?
-c'è il castello, la villa, poi vedrai anche la casa della mia famiglia, è antica, e
bellissima. Lo sai che la eredito? Magari non tutto, perchè ci sono altri
parenti, ma però il più tanto è mio. C’avremo mille etti di terra! Ma che dico?
cioè sarà mio, quando mio nonno...però gli auguro di vivere fino a cento
anni!
-quanti anni ha?
-mi sa novanta, sai.
-allora non manca tanto!
-vabbe’, abbondiamo allora! Lo sai perchè devo scendere giù? Toto’ ti ha
spiegato?
-per sommi capi.
-eh? E chi sono?
-no, dico, mi ha accennato; ma se mi spieghi meglio preferisco.
-allora, tu sai dei miei, vero? Loro sono stati ammazzati da dei bastardi
che dobbiamo ancora trovarli, ma vedi che appena so i nomi ...
-adesso pensiamo a quello che dobbiamo fare domani, alla strage pensiamo poi.
-evvabbe’. Quando è morta mia nonna, che mio nonno non ci pensava a
queste cose, allora mi ha detto: “vedi che te ne devi scendere, dobbiamo fare
scrivere certe carte al notaio così quando me ne vado resta tutto a te e ancora
non le lo fotte qualche malenato.”
Tra i miei casini, galera e comunità, sono passati due anni, ma ora queste carte
si devono fare, perchè nonno è vecchio e dice malato, pure. Oltre a questo,
andrò al cimitero, a trovare i miei, e poi tutta la sfilata dei parenti, quelli
credono che sto fuori per lavoro, e tutti rispettano la mia famiglia al paese,
vedrai che mangiate: la ‘nduja, il pesce fresco da Krotone, certi funghi che te
li sogni ...
-bene, bene. Il vino non lo nominiamo neanche, giusto?
-mannaja a te! Mi devi fare morire? Lo sai che la salsiccia di cinghiale senza
cirò non vale niente?
-allora saltiamo la salsiccia. Buttiamoci sulla soppressata!
-o voi u’zippangulo fresco fresco, lo vendono dabbanna?
-sarebbe a dire?
-il cocomero, l’anguria. Come li chiamate? Senti una cosa: naturalmente tu
devi dire che sei mio collega di lavoro, che montiamo gli impianti di
riscaldamento nelle case, va bene? Tanto questi non sanno cosa sono gli
impianti ...
(ride, ride continuamente!)
-va bene. Ci sono resti della civiltà greca, o di quella araba, dalle tue parti?
-come no? Gli arabi lasciali perdere, che li ammazziamo tutti. Dei grechi
ci sono i sassi, come si chiamano, i pordenoni. E poi c'è l’acquedotto.
-ma quello non sarà romano?
-ma che ne so? Lo sai che non ho studiato, ero impegnato nelle rapine.
-e quella cosa laggiù cos’è?
-la chiesa degli ebrei. La silagogga. Si, ci stavano gli ebrei una volta. Poi, i
nazisti ...
-c'è anche la piana degli albanesi, o è in Sicilia?
-gli albanesi ci sono, a Karfici, a San Nicola. Non so. Pure quelli se non
stanno buoni ‘i’seccamu...
-e voi parlate un po’ di greco?
-no! Te l’ho detto che non ho studiato!
In realtà, ascoltando il dialetto strettissimo e quasi incomprensibile dei locali,
che il nonno di Elmo allentava un poco parlando con lui, riuscivo a carpire
dei suoni che somigliavano al greco antico, proprio quello che si studia a
scuola. Nella Sila di Elmo c'erano paesaggi da incanto: boschi perenni,
pianori e laghi in quantità. Elmo volle portarmi a tutti i costi e tornare a
vedere quello di Cecita, il suo preferito. Tutto sapeva di antico. Appresi la
storia di Melissa, teatro di una strage di stato ben più vicina di quelle
savoiarde, e anche molto emblematica.
Per chi ama la sintesi di wiki: “Il 29 ottobre del 1949 i contadini di Melissa in
provincia di Crotone, guidati dal disoccupato Francesco Nigro con a seguito i
propri familiari e gli attrezzi di lavoro, occuparono delle terre incolte in
contrada Fragala. La Polizia chiamata dai proprietari del fondo occupato,
dopo vari tentativi di far sgomberare i terreni occupati, dalle maniere
pacifiche passò alle maniere forti, lanciando lacrimogeni: si crearono vari
tafferugli tra i reparti della Polizia ed i contadini occupanti tre dei quali
rimasero uccisi: Giovanni Zito, Angelina Mauro e lo stesso Francesco Nigro,
colpiti alla schiena. Altri quindici manifestanti furono feriti.”
Ah, si dice che molte nuove nate, da allora e per qualche tempo, vennero
chiamate col nome di Melissa, per onorare quei caduti per il diritto di vivere
contro il diritto di possedere.
Certo che poi, incassati i colpi dell’esercito, se ci si limita subire, a emigrare,
o a ingrossare, e ingrassare, le fila della mafia, un filo tristemente logico non
manca. Ero dentro il territorio della ‘ndrangheta, diventata la seconda, se non
la prima mafia d’Italia, e quindi del mondo, probabilmente. Più intraprendenti
e con meno scrupoli, avevano almeno eguagliato i maestri siciliani, per non
parlare di quegli sbruffoni dei napoletani, che secondo Elmo si credevano
chissà chi, e invece ...
-noi siamo i meglio, lo sai, qui non c'è foglia che la’ndrina non voglia. E qui
gli infami non ci sono, se no ...
-Allora, come te lo devo dire? Quali sono i patti? Niente cammurria, oppure
si torna a casa subito! -non ci vengo!
-e allora ti lascio qui.
-magari, che mi lassi!
-si, e così nel giro di ventiquattro ore polizia e carabinieri ti ributtano in gabbia.
-si, e ribbuttano via ‘a chiave! Vedi che la so, la lezione. Ma se voglio, non
mi faccio trovare per anni, qui su. Non ti ho fatto vedere i rifugi apposta,
quelli li devono conoscere solo gli uomini d’onore. E se no quelli
dell'Aspromonte... Quando non si poteva fermare Elmo, era meglio virare,
lasciare scorrere, portarsi su altri argomenti.
-e che altri paesi belli ci sono qua vicino?
-ci sono i monti, belli. Poi c'è Savelli, che so io, il mare. Il mare è bellissimo,
meglio di su.
-e il paese che abbiamo passato?
-quello è Cerenza, il paese dei scecchi!
-in che senso?
-e il paese dei cretini. L’usanza dice che qua i furbi, quelli intelliggenti,
nascono a Caccuri, e i scemi invece nascono a Cerenza!
Diedi un’occhiata al paese circostante. Eravamo in piazza, il sole di
mezzogiorno a picco. Pochi vecchi passeggiavano o sostavano seduti
all’ombra su sedie di paglia. Un tipo spiritato passò con un tre ruote fumante
ululando “licorizza!”. Ma nessuno se lo “filava”. Questo era il paese dei furbi,
dunque. Degli intelliggenti. È proprio vero, che tutto il mondo è paese.
In quei due giorni girammo parecchio, sempre in taxi perchè il nonno non
guidava, forse non aveva mai guidato o forse aveva smesso, vai a capirlo. Il
taxista era una specie di parente, probabilmente lavorava solo per lui. La zona
fu perlustrata accuratamente dal taxi, alla fine non c'erano più misteri. Dal
notaio non entrai, per ovvie ragioni di opportunità, e aspettai in un bar,
facendo conoscenza con alcuni aspetti della vita locale. Elmo mi disse di
guardare se i gestori avevano una caviglia rigonfia, in quel caso erano i
“giusti”, cioè quelli che portavano una pistola al garretto per segnalare la loro
condizione di ossi duri, tanto per restare nell’ortopedia.
Il gestore del bar aveva la caviglia gonfia. Invece in tribunale accompagnai
Elmo, in veste di tutore provvisorio nominato dall’organo competente. Li mi
fu presentato il vero tutore futuro dei beni di Elmo, un sedicente avvocato
Masaluzza, un cinquantenne, all’apparenza, impomatato e con lo sguardo
vitreo, perso nelle scartoffie che probabilmente non aveva e non avrebbe mai
letto. Nei suoi occhi io lessi la disgrazia di Elmo, con un amministratore così
avrebbe ereditato solo delle grane. Ma il nonno era convinto, parlava di
questo parente con la massima deferenza, e tutto lasciava pensare che fosse un
uomo della famiglia. Di quella famiglia. Il nonno mi prese da parte, tutto
grave, e mi disse:
-la potete firmare voi, a questa carta?
-no, signor Carmelo, non posso, quella la deve firmare l’assistente sociale.
-e voi non siete assistente...so...saccio? Non fate la stessa cosa?
-no. Se firmo sono guai. Se vuole le spiego perchè ... Bisogna che
portiamo il documento su e lo facciamo vedere all’ufficio competente.
-tremo che il guaio è già fatto se non ci diamo il documento subbito
firmato all’avvocato.
-allora proviamo col fax.
-e pruvamo cu chiddu.
La sera, nella cameretta coi due letti che dividevamo, io ed Elmo eravamo
distrutti. Ma lui continuava ad alzarsi e andare alla finestra a fumare. E
solo perchè sapeva che mi dava noia il fumo. All’improvviso, da agitato e
stranamente poco ciarliero, si fece cupo e stramazzò sul mio letto.
-io non ce la faccio, non ce la faccio!
-che succede? Spiegami.
-ma lo vedi come mi tratta?
In effetti, in un paio di occasioni, avevo visto che il nonno se lo portava via e
lo apostrofava duramente, solo che non capivo un accidente del sonoro.
-qual è il problema?
-lui è rimasto al secolo scorso, e tutto onore e dovere. Dice che devo diventare
uomo, smetterla co’ste minchiate della droga e delle medicine, che sono paccio
solo perchè non voglio a sumermi le mie responsabilità. Dice che devo tornare
e iniziare a amministrare le terre insieme a lui, così poi sarò pratico quando lui
non ci sarà più. Ma come faccio? Mi ci vedi qui, a fare il contadino, in mezzo a
‘sti zulu? E poi come esce un picciotto d’onore che mi manca di rispetto, io che
devo fare? Devo spararci, ecco che devo fare, o al massimo ci devo fare a
coltellate. Così poi il resto della vita me la passo in galera, o all’opigi, coi
precedenti che c’ho!
Adesso non era più tanto fiero delle origini.
-cerca di calmarti. Ora tienilo buono tuo nonno, digli che ci penserai. Che poi
è la verità, in questo momento non devi mica decidere niente, quando torni ci
pensi per bene e poi decidi cosa vuoi fare. Se non te la senti, puoi sempre
dirgli che e l’autorità giudiziaria che ti impedisce di tornare. Sono scuse che
tengono. E se non ti crede, se ne farà una ragione, no? Che vuoi che faccia, il
nonnetto?
-tu non lo conosci. Lui è un uomo d’onore, uno che se parla fa piangere la
gente. Solo se dice una parola. Se non mi piego, iddo mi spezza. Ma non
capisci?
-vuoi dire che tuo nonno conta molto nella ...
-zitto, certe cose non si dicono! Ma se tu chiedi in giro, anche nel bar dove eri
oggi, chi è Carmelo Stompanato, vedi che tutti si azzittiscono e abbassano la
testa!
Mi irrigidii. Lui se ne accorse e smise di parlare.
-come hai detto?
-che se tu lo nomini, tutti s’azzittiscono, muti! S’annaccano...
-no, il nome, mi ripeti il nome?
-Carmelo Stompanato. Perchè?
-ma tu non fai Cureri di cognome?
-si, ma chisto il padre di mia mamma è. C’ha il cognome di mia madre.
-ah ecco...
(ero molto disorientato. Lui mi si avvicinò)
-senti, mi devi aiutare, io posso fidarmi solo di te, di Toto’ e del Greco. Per
la verità il suo confidente era Toto’, mezzo conterraneo, ma li in quel
momento c'ero io.
-mio nonno è il mio sangue, ma non capisce cosa mi è successo. Per lui la
droga è merce, non lo capisce l’uso, dice che è roba da ominicchi. E poi la
pischiatria, lui si pensa che lo faccio apposta per non andare in guerra, capisci?
-per non pagare le tasse.
-quelle sono escluse dal priore...
Che ne sa di quello che mi passa per la capa? Che ne sa dei ricordi che sto
vivendo qui adesso? I miei, morti sparati dentro la macchina, l’incidente,
l’incidente ... Tu invece capisci, vero?
Scoppiò a piangere. Raramente l’avevo visto così. Del resto era prevedibile. Si
avvicinò ancora e capii quello che dovevo fare. Lo abbracciai, e restammo così
per qualche minuto. Anche io ero scosso. Il destino mi aveva di nuovo fatto uno
sgambetto. Lui ritornò sorridente e chiacchierone. Non mi sorprendeva, era la
chimica.
-ascolta, adesso ci facciamo una camomilla, prendi le terapie e andiamo
a nanna. Domani è un altro giorno. Sapevamo che sarebbe stata dura.
-dopodomani mattina ripartiamo, ma se vuoi possiamo anticipare a domani. Mi
invento io una scusa.
-vediamo. Vieni che andiamo in cucina.
Uscimmo dalla stanzetta, che dava su un’ampia anticamera. La casa era
veramente fantastica, tutta in legno, con le pareti imbiancate a calce o stucco, e
tutta una serie di oggetti appesi, utensili da cucina in rame, teste di orsi, persino
fucili. E file di bottiglie, naturalmente. Una finestra interna, senza infissi ne
vetri, scavata nel muro, dava su un salone, posto più in basso.
Il salone sarà stato cento metri quadri, con un tavolo di legno massiccio da
cinquanta posti. In un angolo c'era il vecchio, di spalle, illuminato dalla luce
di uno schermo.
Allora, mi sussurrò Elmo per non farsi sentire:
-vedi, sta parlando con suo fratello in America. Usano scapi. U telefono con
piuter.
-ti ho pure iscritto al corso di informatica...
Stava per mettersi a ridere ma lo bloccai, facendo segno di stare zitto. Nelle due
tasche dei pantaloni avevo due cose: il cellulare, spento, e l’ipod cinese, quello
che registrava ogni cosa. L’idea non mi “venne” neanche, era già li: tirai fuori il
cellulare, lo accesi, e dissi a Elmo:
-guarda che belle le foto di oggi, del lago. Mentre lui fissava il display, era un
vero patito di telefoni, con l’altra mano estrassi il registratore, lo accesi e lo
posai sul davanzale della finestra, con un solo movimento. Degno di Bond.
Dopodichè gli feci cenno di andare verso la cucina. Dopo un quarto d’ora e
due sigarette, lo riportai nell’anticamera e mi appoggiai col gomito alla
finestra. Il vecchio stava sempre cianciando incomprensibilmente. Elmo
continuava a guardare le foto e rideva piano, adesso che si era ripreso gli era
tornato l’umorismo. A un certo punto il nonno dovette avvertire la nostra
presenza, perchè si girò verso la finestrella. Io mi scansai subito,
nascondendomi alla sua vista.
-Meluzzo, cu minchia cummini alla’ssupra? Va curcati ca dimani e un’autru
jurnu!
Elmo si mise a ridere, e anch’io lo imitai, fino a piegarmi in due, recuperando
così il registratore e rimettendomelo in tasca. In camera chiesi di nuovo
informazioni a Elmo.
-allora tuo nonno è un pezzo grosso? E suo fratello?
-suo fratello? È il capo dei capi. Un pezzo dimmerda, non lo vedo da almeno
dieci anni. Quello se mi piglia mi fa la pelle. Ma tu queste cose te le devi
tenere per te, mi raccomando.
-ma stai scherzando? È mai uscita una parola da me o dagli altri?
-no, ma non si sa mai. Qui si rischia di finire a reggere i ponti.
-cioè?
-dentro i piloni, no? Dell’autostrada.
Fu la mia volta di ridere di gusto.
-ma di cosa si occupano i tuoi...i due, insomma?
-che ne so. Comandano, fanno i padroni. Mio nonno comanda questa zona, suo
fratello, mezza Calabria. E poi c’ha i suoi uomini la, a Denver. Che affari fanno
non lo so. Non l’ho mai saputo. So che la droga potevo averla gratis, quanta ne
volevo, bastava chiedere. Questo ti fa capire. No?
-e chi sarà il capo dopo tuo nonno?
-e proprio questo che lui sta cercando di farmi capire. Lui volesse, vorrebbe
che fossi io. Ma mi ci vedi a me, a fare il boss? E allora, mi sa che ci mette a
Masaluzza.
-quello del tribunale?
-mi sa.
Ci sdraiammo. Elmo si stava spegnendo. Si addormentò, come sempre,
all’istante, quasi dandosi fuoco con l’ultima sigaretta. Io mandai un
messaggio al giornalista: “so che non ci crederai, ma ho trovato Stomp.
Sto dormendo in casa sua.”
Dopo venti minuti arrivò la sua risposta: “e pazzesco. Cerca di essere
prudente.”
Replicai: “tranquillo. E se esco vivo da questa storia, giuro che scrivo un libro.”
E lui: “e io giuro che te lo faccio pubblicare.”
Un altro: “ci possiamo sentire domani?”
La mia ultima replica: “non credo di poterlo fare. Ci vediamo tra due giorni, o
tre al massimo.”
La mattina il vecchio ci svegliò di buonora, pieno di energia e persino
sorridente. Alla luce del sole, e delle ultime rivelazioni, mi appariva come un
diavolo: i capelli candidi e lunghi fino alle spalle, la faccia una carta geografica
di rughe dure e secche, i peli come rovi; gli occhi azzurri, o verdi, penetranti
pur nell’insieme dello sguardo apparentemente mite, umile, timorato! Vestito
sempre come un contadino la domenica. Persino la coppola. A colazione proferì
alcune frasi:
-oggi abbiamo finito le commissioni. Voi dovete partire domani, o volete
fermarvi ancora? Senza complimenti.
(non attese la risposta. Avevo imparato quella formula di “cortesia”)
perchè vedi, figghiolo mio, domani a matina arriva ‘o zio Frenk, dall’America.
Pensa. E siccome arriva all’aeroporto di Lamezia, viarroma, pensavo di andarlo
a pigghiare, no? Cu tassi, e vi ci porto pure a voi. Ho visto che ci sta un volo
che costa poco, mi sono permesso di prenotare, se non vi offendete... (guardava
me)
Accussì non vi dovete fare tutte quelle ore di treno, e offro io. Accettate?
Io ed Elmo ci guardammo. Per me era una manna, ma mi resi conto che lui
era atterrito all’idea di incrociare il fratello del nonno ... (come diavolo si
chiama? Il prozio?).
Ma in fondo non si poteva evitare l’incontro, nemmeno se avessimo preso il
treno. Gli toccava. Sicchè ci guardammo senza fiatare. Il vecchio lo
scambiò per entusiasmo.
-bene, picciotti, allora in piedi! Oggi si va a Catanzaro!
Che cazzo ci andiamo a fare, pensai? Elmo mi lesse nel pensiero, e
fissandomi, sudato e con la sigaretta che spargeva cenere sul panciotto, mi
disse:
-andiamo alla procura, la hanno fatto i processi. Sai, i processi.
-ah, i processi...
Finsi di aver capito. Arrivò presto il giorno dopo, e l’imbarco su un low cost
che ci avrebbe portati parecchio vicini a casa. Tra l’arrivo dello zio Frenk e la
nostra partenza c'era meno di un’ora, per cui l’incontro non poteva essere
traumatico più di tanto. Si risolse, anzi, con una pacca, molto forte ma
innocua per la pellaccia di Elmo, in piedi in un bar dell’aeroporto. Io mi ero
tenuto a distanza. Fingevo di telefonare e intanto fotografavo l’americano a
piacimento. Meraviglie della tecnica. Lo zio Frenk ricordava Deniro in quel
film ... Adesso non ricordo il titolo. Un suo accompagnatore, tale e quale
Rocco Testadicane, mi fissò brutto, e allora misi via il telefono e sorrisi
all’indirizzo di Elmo e di suo nonno. Onde evitare.
Partimmo tranquilli. Per tutti e due era un enorme peso in meno. Dovevo solo
far capire a Elmo che sugli aerei non si fuma.

-Fammi capire, tu hai fotografato e registrato Don Ciccio Stompanato e suo


fratello?
-affermativo, capo. Niente di probante, di inequivocabilmente probante.
però tutto conferma la tesi.
Eravamo nel solito localino vicino al giornale, che chiudeva tardi, pieno di
gente di musica e di rumori. Era mezzanotte.
-aspetta, dammi prima tutti i dettagli. La tesi si vede alla fine.
-come ti ho detto, ho ascoltato delle conversazioni, anche se in lingua, dei
fratelli, e poi li ho visti insieme all’aeroporto.
E solo quanto mi ha detto il nipote che avvalora alcuni nostri sospetti.
-cosa ti ha detto, di preciso?
-intanto che il nonno dirige la cosca locale, che il vero comandante in capo
è questo Francesco, Frenk, o Ciccio Stompanato, che controlla e coordina
affari anche negli Stati Uniti, in Colombia, e via con tutto il circo
internazionale. Il ragazzo rientrerebbe anche nei piani futuri del nonno, se
non che è totalmente inaffidabile. Usa la droga. E parla. Nel viaggio di
ritorno e poi a casa, dato l’effetto degli psicofarmaci, che non sto a
spiegarti, Elmo mi ha detto molte altre cose: che sotto il dominio del nonno
c'è la droga, infatti lui poteva averla gratis.
Le donne, come sopra. Poi c'è la protezione di locali negozi e aziende, lui
ricorda di essere andato a bruciare per gioco vetrine e depositi. C'è l’usura,
Elmo si ricorda che da ragazzino portava borse piene di soldi da una casa
all’altra. E poi c'è il traffico di rifiuti tossici, camion interrati e navi fantasma.
Ma qui si entra nell’indimostrabile.
E comunque, tutto quello che può dirmi Elmo non è utilizzabile, per due
ragioni: perchè non posso ne registrarlo ne riferire le sue parole, per ovvie
ragioni deontologiche e umane, e, anche se lo facessi, abbiamo a che fare con
la parola di un incapace.
-Immagino che questo Elmo non ti abbia detto niente a proposito di
Pizzichini, della tarantella. E dei moventi, insomma.
-ti dicevo di ieri, quando siamo tornati. Il transfert, vale a dire il bisogno di
parlare con qualcuno, ha prevalso. Avrebbe parlato per ore di qualunque cosa,
allora gli ho fatto delle domande, se no eravamo ancora li. Lui è capace di
parlarti per ore di ... Devo ancora riprendermi dalle crisi che ha avuto, ieri lo
hanno visto due psichiatri...
Comunque, tornando a noi, gli ho chiesto di tradurmi delle frasi che avevo
risentito dalla registrazione della videofonata tra il nonno e suo fratello. In
alcuni passaggi pare che l’americano, Frenk, chieda all’italiano, Carmelo, se
ci sono novità su quel pazzo, il solista. Carmelo gli dice che è sempre ritirato
e che non si sa se vorrà cantare o no. Ma che se dovesse farlo avrebbe una
sorpresa. Perchè, dice, c'è l’autorizzazione per “stutarlo”, per spegnerlo. E il
fratello reagisce con fastidio a questi accenni alla corresponsabilità, perchè si
capisce che vorrebbe decidere tutto lui, fare tutto a modo suo. In un altro
passaggio Carmelo dice, con un po’ d’imbarazzo, se questo affare del solista
era proprio necessario, si capisce che lo ripugna, perchè esula dalla tradizione.
Allora Frenk, che è capo ed è pure americano, anche se mi sembra più
giovane di Carmelo... Lo mette a tacere ricordandogli che se sono dove sono
lo devono “alla politica”, e la politica tocca servirla.
“Se no stavamo ancora a rubarci i greggi!”
-tutto ciò è estremamente interessante, ma non dimostra molto di più di
quanto magistratura e soprattutto forze di polizia, sanno già. Ti ricordi altre
cose importanti?
-potrebbero venirmi in mente. Ho registrato dei pensieri che mi sembravano
degni di memoria, ti lascio tutto così te lo studi. Ecco, qui ci sono le foto.
-fammi vedere. Questo è Carmelo? Effettivamente dimostra un secolo. E
questo e il fratello? Si, sembra più giovane: se non altro più in carne, e ha
qualche capello scuro, ancora. E guarda come si veste, sembra, ehi, ma è
uguale a Deniro in quel film ... Vero? Guarda qui!
-si, si vede che l’America migliora antropologicamente. Non so che eta abbia,
ma pare un fiore.
-basta guardare su wiki! Senti, ti ripeto, tutta questa storia è romanzesca. Però
non ci possiamo fare un granchè, temo. Non possiamo certo far incriminare
nessuno. Voglio dire, Pizzichini è già incriminato per dei reati, i boss sono già
nel mirino delle polizie di mezzo mondo...e noi che possiamo aggiungere?
Inseguiamo un discorso: il movente straordinario, inconcepibile, di alcuni
crimini senza apparente senso. Riuscire a provare questa tesi sarebbe davvero
un'impresa eccezionale, perchè a me sembra ancora incredibile. Eppure so che
siamo sulla strada giusta, lo sento. Ma occorrerebbe una confessione in piena
regola, anzi più di una, e che si armonizzassero una volta incrociate. E poi tutto
dipende da troppi fattori: dagli investigatori che hanno in mano le indagini, dai
magistrati che si avvicendano nei diversi gradi di giudizio, magari da un
impiegato che trascrive una dichiarazione ... I tempi sono omerici. Per questo in
Italia non si arriva mai a capo di nulla. Questo è l’equivalente “democratico” di
ciò che altrove avviene col pugno di ferro, come in Russia, per fare un esempio,
o nelle dittature militari, dove le cose vengono semplicemente messe a tacere.
A proposito, mon ami, la prima udienza di Pizzichini è per venerdi.
-tra quattro giorni?
-tre oramai. Non vorrai fare l’alba.
-no. Ma stavo pensando a quello che dicevi. Eppure è bastato un libro sulla
camorra, con molte descrizioni di fatti e pochi nomi, del resto noti, ed è
venuto fuori un casino.
-certo, ma è come i vecchi film sulla mafia. Tu racconti una storia e la gente
prende coscienza del problema. Questo è un passo avanti. Perciò ti dico che
se tu scrivi un libro, oppure scriviamo un reportage insieme, come preferisci,
con o senza nomi, la storia è molto utile per aprire le menti su questa
faccenda.
- sulla manipolazione ...
-si, e sui poteri occulti. Ma capisci, non posso farci un articolo, e un giudice non
può usare questo materiale per incastrare qualcuno o accelerare i tempi della
giustizia. Il giornalismo, come la legge, ha le sue regole. Ed è messo come è
messo.
-eppure mi piacerebbe contribuire a cambiare lo stato delle cose, sai. Oggi ho
provato a leggere il giornale. Le prime sedici pagine parlavano della crisi
economica globale e dei rischi che corriamo. Ci credi se ti dico che non ho
capito un solo concetto? Di cosa dovrei avere paura? Tu sai dirmelo? E poi, a
pagina diciassette, una notizia: cento morti nel mar di Sicilia, i soliti cento
disgraziati annegati nel tentativo di raggiungerci in questo...paradiso? Non è
folle?
-no, sono d’accordo.
E se mi chiedi di farti capire cosa c'era scritto nelle sedici pagine iniziali, beh,
potrei spiegarti un sacco di concetti e tradurti molti termini economici. Ma la
verità e che neppure io, che ci scrivo, so cosa sta succedendo, nè perchè. È la
stessa situazione della tarantella: pensaci. Sappiamo che sta succedendo
qualcosa di brutto, di inconcepibile, ma nessuno sa di cosa si tratta, di
preciso. Nessuno sa mettere ordine, governare queste tragedie...
-neppure chi tira i fili, secondo te?
-no, perchè ognuno tira un solo filo, il suo. Siamo pur sempre in democrazia!
Qualcuno avrà commissionato la cosa, l’assassinio di quella ragazza, per
esempio, o il traffico di migranti nel mediterraneo su una barca maledetta,
oppure il crollo di un sistema del credito, o del debito, se preferisci. Questi
personaggi di potere hanno il loro interesse a che le cose vengano eseguite.
Poi ci sono quelli che hanno eseguito gli ordini, i soldati. Che
presumibilmente capiscono poco o niente del disegno totale, sanno solo che
va fatta una cosa: l’assassino deve sopprimere una vita, “eliminare”, per soldi.
Il marinaio deve trasportare corpi, vivi o morti, e sempre per soldi. Il
banchiere deve investire, senza badare alle conseguenze.
-per soldi?
-vedi che mi segui? È un sistema, questo capitalismo avanzato, che si sta
evidentemente autodistruggendo. Il fatto è che dentro la distruzione ci siamo
noi. Ma è sempre stato così, no? Lo sai che ti vedo di nuovo stanco, e teso,
come prima di andare in Africa? Ti ci vorrebbe una vacanza vera.
-fatto. La settimana prossima sono in montagna, con mia madre.
-ah! Ma pensa...
-si, mia madre è molto malata e me ne occupo solo io, praticamente.
Quando posso la vado a prendere al paese e la porto in qualche posto dove
c'è aria buona e la vita non costa un occhio.
-e bravo!
-ah, senti, c'è un’altra cosa curiosa che non ti ho ancora detto. Oggi mi hanno
chiamato dal reparto separato, dove tengono i collaboratori di giustizia. Mi
hanno detto che un detenuto doveva parlarmi urgentemente, che voleva essere
mandato in comunità oppure minacciava di farsi del male. Mi hanno detto di
parlarci, che questo lo avrebbe forse calmato, anche se di muoversi di li non
c'era nessuna speranza. Sai, il reparto è isolato, e addirittura fuori dal
complesso principale, puoi arrivarci solo attraverso un ingresso dedicato, e
chiunque accede può farlo solo dentro una macchina di servizio coi vetri
oscurati. La macchina entra direttamente nel sottosuolo della palazzina. È una
cosa seria. Il personale è la crema della polizia speciale. Sono tutti uomini
preparati, vestiti sempre in assetto da combattimento, e vanno a lavorare dentro
quelle macchine, nessuno al di fuori del loro reparto sa come si chiamano, cosa
fanno, dove vivono. Insomma, il rischio corruzione è ridotto al minimo, per non
parlare della sicurezza.
Quando sono arrivato li uno di questi, con la tuta nera e gli occhiali scuri,
come gli altri, una sorta di montagna di muscoli, mi dice di attendere che mi
portano dal detenuto. Gironzolo nel corridoio e sembra che si siano dimenticati
di me.
Allora mi ricordo che Pippo mi aveva detto di non andare mai da solo li, che se
non c'era lui, come oggi, ci dovevo andare solo con un ordine scritto. Quelli
hanno insistito molto, hanno detto che il detenuto era a rischio, che doveva
testimoniare, che per favore, si è scomodato il direttore in persona. Hai capito?
Secondo me si trattava di Pizzichini.
-e cosa hai fatto?
-quando mi sono ricordato le parole di Pippo mi sono detto che dovevo farmi
furbo, così quando è arrivato l’agente speciale gli ho detto “guardi che posso
vedere il detenuto solo se c'è un ordine scritto e firmato dal comandante o dal
direttore. Io sono un esterno, capisce, qui dovrei venirci solo accompagnato
dal titolare, eccetera...”
Allora quello si mette a telefonare, non fa nomi, ma capisco che si tratta di
qualcosa di delicato e che però nessuno e presente o si prende la
responsabilità. Il comandante non si trovava, o non si faceva trovare. Mentre
quelli se la chiacchieravano continuavo ad andare su e giù per il corridoio e a
un certo punto vedo da uno spioncino due uomini seduti, uno, di spalle,
sembrava Pizzichini. L’altro di fronte a lui era un agente di questi, forse, però
con la tuta grigià anzichè nera.
Si sono accorti di me e mi sono subito discostato. Quello è un posto dove non
si scherza. Alla fine mi chiamano, insistono ancora un po’, insisto pure io,
finchè mi riaccompagnano via. Mentre sto andando sento qualcun altro al
telefono che grida: “come, il mediatore culturale? Allora dovevamo chiamare
lui, non l’altro?”
-che significa?
-che forse cercavano Hamid, il mio collega che parla arabo. So che nel
reparto c'è, ci dovrebbe essere un collaboratore turco, che ha deciso di
testimoniare contro il cartello del mediterraneo...
-ma parla turco, non arabo.
-si, ma il mediatore turco non ce l’abbiamo. E poi Hamid è un mago. Ti ho
raccontato questo perchè credo che la situazione sia confusa, ingestibile.
Quelli ci hanno confusi perchè ci somigliamo, ti rendi conto? E non ci
capisco niente. Ma vedo che anche tu stai a pezzi.
-si, e ora di fare la nanna. Tu riposati e non pensare più a tutte ‘ste cose, se
riesci...almeno provaci. Ci sentiamo per il processo, venerdi.

L’indomani lavorai tutto il giorno, in carcere e in comunità. Dovevo riferire


ancora su Elmo. Il giorno dopo ci sarebbe stata una perizia psichiatrica. La
sera seguente dovevo presenziare a un incontro sul volontariato in Africa, e
anche questo impegno mi stava tenendo lontano dai pensieri. In carcere
regnava ancora la confusione estiva, che stava per finire. Nel reparto dei
tossici erano arrabbiati con me perchè avevano preparato la festa, rischiando
casini per mettere insieme dolci e bibite, e io non mi ero presentato. Gli
spiegai del viaggio in Calabria, ma non era sufficiente. Dovetti affrontare
Natalino, non si può ignorare un boss, e per fortuna in pubblico. Gli dissi che
ero molto occupato, che presto sarei andato da lui per un colloquio. Lui aveva
il muso lungo, e mi disse:
-bisogna ricordarsi degli amici non solamente nel momento del bisogno, ‘o sai?
-Natalino, tua figlia è stata presa in carico dalla dottoressa Grueber, e capace
che tra un po’ te la manda a disintossicarsi in una bella clinica. Io ho dovuto
fare un altro viaggio, molto impegnativo.
-lo so, che sei stato in Calabria. In quale località?
-nella Sila, ho accompagnato un ragazzo dalla famiglia.
Cercai di scrutare l’espressione dei suoi occhi. Apparentemente sembrò
indifferente alla cosa. Ma c'era sempre una luce diversa, una luce aliena che
guizzava nei suoi bulbi. Mi ricordava suo fratello, naturalmente, ma anche gli
altri boss che avevo visto, soprattutto l’americano. Questi dovevano calcolare
all’istante, come calcolatrici elettroniche, soppesare ogni fatto che gli capitava.
Alla fine me ne andai, c'era confusione sufficiente a giustificare la cosa.
Accaddero altre cose, ma nessuna degna di nota. Quei giorni mi sembravano,
mi sembrano, i più confusi della mia vita. Il venerdi mi preparai e raggiunsi
mia madre. Vi ho detto che mia madre è l’unico parente che mi e rimasto in
Italia, oltre al cuggino scasscazzi.
Mia madre e anziana, ottuagenaria, canuta e curva sotto il peso dei malanni
e della tante battaglie. Troppe, vorrei dire, ma evidentemente, se ha retto
bene finora...
Vive al paesello, dove ha un uomo, che la “accompagna”, come si dice, da
quando è rimasta vedova, saranno vent’anni o trenta. Anche lui e piuttosto
avanti negli anni e se possibile ancora più malandato di lei. Hanno qualche
amico in paese, più che altro qualche conoscenza, con cui passano le serate al
bar, alle carte, se riescono.
Il fatto di avere passato gran parte della loro vita in lontane città per lavorare, ha
stravolto l’esistenza di questo come di altri paeselli. Ma che lo dico a fare ... Il
patto è che una o due volte l’anno la vado a prendere e ce ne stiamo qualche
giorno da soli.
Partimmo diretti alla “montagnetta”, una località collinare appenninica,
volendo con accesso al mare, alcuni chilometri a picco più sotto, raggiungibile
in auto, visto l’incedere della mamma che scoraggiava qualunque tipo di
spostamento. Quando arrivai avevo il telefono spento e tale ritenevo di doverlo
lasciare, anche perchè questi erano i patti: niente telefono, niente computer,
niente tivu’.
Perdipiù, la sera prima Recchia e Totò mi avevano tempestato di telefonate a
proposito di Elmo, che non si era presentato per andare a fare la perizia, e credo
neppure a dormire la notte, a giudicare dalle chiamate perse. Fatto sta che io
avevo viaggiato in macchina per molte ore, e stavo cercando di rilassarmi, di
dimenticare. Ma proprio allora mi ricordai del processo di Pizzichini, e
comunque anche la curiosità per le sorti di Elmo cominciava a rimordermi.
Appena messa a letto la mamma stanchissima, accesi l’infernale viatico per la
nevrosi. Ansiogeno o ansiolitico? Mah! C'erano tante chiamate, e due
messaggi. Uno del giornalista e uno del cellulare della comunità. Entrambi
dicevano: chiama subito. Tra l’altro c'erano diversi numeri sconosciuti, e un
prefisso calabrese. Strano, perchè non avevo lasciato il mio numero laggiù.
Chiamai Recchia ma non rispondeva, forse stava suonando. Tante volte
avevamo suonato insieme, a quelle ore. Chiamai Totò, che mi rispose,
laconico.
-che vuoi che ti dica? Ieri sera Elmo non è tornato, non si sa dove ha dormito,
oggi non si è presentato al lavoro e nessuno l’ha visto. In poche parole, è
sparito. Volevamo chiederti se tu hai degli elementi da darci per cercare di
capire dove potrebbe essere ... Lo so, è assurdo, ma è un tentativo. Non
sappiamo dove sbattere la testa!
-oltre a quello che vi ho raccontato del viaggio, non mi viene altro. Avete
sentito il nonno?
-si. Dice cose incomprensibili, pure per me che sono mezzo calabrese. Dice che
sarà andato a drogarsi, o sarà finito in un ospedale dei pazzi. Non è molto utile.
-si sono lasciati male, perchè Elmo parla troppo, e capisci che questo, in certa
Calabria, rappresenta un problema. Anche il resto della famiglia si è
pronunciato a proposito. È una cosa che non gli perdonano.
-il fatto è che non sappiamo dove cercarlo, nessuno ne ha idea. Ho dei brutti
presentimenti.
-beh, l’esperienza, purtroppo, fa fare brutti pensieri. Io sono in montagna, ma
chiamami se sai qualcosa.
-ok, stai bene. A presto.
Poi chiamai il giornalista.
-accidenti, è tutto il giorno che ti cerco! Hai visto il telegiornale?
-sono in un posto senza tv. E senza telefono. Ho guidato tutto il giorno ...
Ma cosa e successo?
-Pizz ... Il solista, te lo ricordi? Lo hanno fatto fuori, davanti al tribunale.
-cosa? E come?
-ascolta. Ormai è successo. Ho saputo anche della sparizione di Elmo.
Non abbiamo tempo da perdere. Ascoltami bene: tu sei in vacanza, giusto? Non
c'è bisogno di dirmi dove; ce la fai domani a trovarti dove abbiamo fatto
birdwatching quella volta, prima che andassi in Africa?
-si, ma...
-non ci sono ma. Ci vediamo li alle cinque va bene?
-fai le sei. Sono con mia madre.
-porta anche lei. La macchina lasciala da qualche parte prima del confine e
prendi un treno. Quando hai finito questa telefonata butta via sia la scheda che
il telefono. Mi hai capito? I social non devi nemmeno sapere più cosa sono!
(gridava)
-si.
-ok, se devi chiamare me o qualcuno per forza di cose, cerca una cabina
pubblica e usa quella. Non fare nomi, numeri o indirizzi. Non usare carta di
credito o bancomat. Cambia look. Cambia anche albergo, per questa notte. E
lascia solo il documento di tua madre, il tuo no. Ci vediamo domani. Hai
capito tutto?
-si. Sono un po’ in paranoia.
-è normale. Ma dormi. Penso io a tutto. Voglio dire, il giornale.
-grazie.

FRANCIA

Mi ero steso sulla sabbia davanti al molo. Al corredo da bagno fornito dal
boss Volturno durante la mia precedente visita avevo aggiunto un
asciugamano enorme di mia madre, degli occhiali da sole appena comprati e
ancora con l’etichetta, e un cappello di paglia uscito da chissà dove.
Aggiungeteci che mi ero rasato completamente, capelli, baffi e barba, peli sul
petto e ovunque, persino le sopracciglia, in un impeto parossistico.
Vi do un consiglio anche se non richiesto: non rasatevi mai le sopracciglia, a
meno di non voler sembrare uno psicopatico. Non so perchè, ma è proprio
questo l’effetto che ne viene fuori. Sembravo l’uomo caduto sulla terra, in
tenuta da spiaggia, e credo che anche il giornalista avrebbe faticato a
riconoscermi. Comunque, vicino a me c'erano delle ragazzine e una famiglia
di tedeschi quasi albini, perciò non aveva molto da scegliere. Arrivò puntuale,
sempre uguale: dinoccolato, ricci e barba incolta, cappellino e occhiali, jeans
corti e maglietta; come fosse sempre in vacanza, sempre a divertirsi. E con la
macchina e lo zoom montato, naturalmente. Me lo puntò addosso mentre si
avvicinava, penso per non fermarsi a fissarmi e a sghignazzare. Stese il suo
asciugamani accanto al mio e, come un perfetto omosessuale a caccia
cominciò a parlarmi guardando dentro la macchina, puntata sul mare.
-sei perfetto. Tua madre ti riconosce?
-non mi dire niente. Ho dovuto faticare per spiegarle perchè venivamo in
Francia e perchè io ci venivo rasato da capo a piedi. Senti un po’, ma la linea
non dicevi che era sicura?
-per quanto mi riguarda si. Ma se sei ricercato dalla polizia, loro possono
intercettare il telefono, l’apparecchio proprio, indipendentemente dalla scheda
che usi. E se può la polizia, può anche la famiglia... Per questo la prossima
volta userai un telefono pubblico dal quale ti puoi allontanare subito.
-certo che ne hai letti di gialli, tu. Va bene. Dimmi tutto, che se non ci
ammazzano loro finirà per farlo il sole. Nella prima eventualità, sappi che ti
ho sempre amato.
-primo. Pizzichini è stato portato in tribunale con le manette, ma senza catena.
Appena è sceso dal cellulare ha guardato dall’altro lato del viale, c'era un taxi
fermo, si è divincolato dal poliziotto, gli ha mollato una gomitata, e il
pizzardone sembrava tale e quale quello che teneva Oswald a Dallas, hai
presente, quando Ruby gli spara? Vabbe’, dicevo, si lancia verso il taxi,
guardando prima di attraversare, ma quando e in mezzo alla strada
sopraggiunge una macchina, contromano, e lo investe. Andava tipo a cento
all’ora.
Nella macchina digitale c'è il filmato, prendila e guardalo, mentre ti racconto.
Poteva essere un avvertimento, una lezione, o una esecuzione. Fatto sta che
quello era morto già sull’ambulanza.
L’uomo alla guida e stato riconosciuto, è Barack detto Baraneik, il kosovaro
evaso. Non l’hanno ancora preso, ma sono sicuri, bla bla bla. La cosa si
commenta da se.
Secondo. Come ti dicevo, ho poi saputo che il tuo assistito Elmo è scomparso,
anche lui è finito al telegiornale e ci sono appelli tipo chi l’ha visto, perchè è
pericoloso per se e per gli altri, ecc.
Terzo. Tra un po’ si parlerà anche della tua scomparsa. Casa tua ha ricevuto
una visita notturna. c'era niente di importante?
-nel loculo? No. Il materiale ce l’hai tutto tu. Mi auguro tu lo tenga al
giornale. Il registratore e l’archivio del cuggino li porto sempre son me, nella
mia quarantottore, insieme all’indispensabile. Il cult kit. E una pistola.
-stai scherzando? Hai seguito le mie istruzioni? I documenti?
-una cosa alla volta. Certo che sto scherzando, se avessi una pistola mi sparerei
nelle palle. Il passaporto ce l’ho sempre con me, insieme alla patente. Non ho
perso niente di importante, credimi. Quanto alle istruzioni ... L’unica che non
ho osservato è stato il cambio di albergo. Non potevo svegliare mia madre e
agitarla ancora.
-sei un pazzo. Hai rischiato moltissimo. Ma se non altro sappiamo che non ti
stanno addosso. E quindi possiamo stare tranquilli.
-magari mi hanno seguito per vedere con chi mi incontravo, che dici?
Mi spieghi perchè tutte queste precauzioni?
-la prendo come una domanda retorica. Se possiamo essere soddisfatti di una
cosa, è che abbiamo colto nel segno. Il solista era stato ingaggiato dagli
Stomp per uccidere e violentare a caso, per seminare terrore e confusione,
usando complici presi sul campo, cioè dei veri maniaci fuori di testa. I delitti
sono funzionali a una precisa strategia politica, però i committenti politici
possiamo solamente immaginarceli. Questo me lo ha detto un magistrato,
anche se non potrebbe, e me lo ha confermato uno sbirro che con me parla
molto. Qualcosa è andato storto. Forse la ragazza non doveva morire, forse
qualcuno dei fuori di testa si è o ha tradito, insomma risultato che il nostro è
stato incastrato e ha cominciato a ricattare tutti: i suoi mandanti, i giudici, la
polizia. Come previsto, lo hanno eliminato. È evidente che i crimini non erano
collegati casualmente e che non avevano moventi riconducibili alla mafia.
Morto Pizzichini, nessuno potrà chiarire mai le cose. A meno che spunti un
uomo dei servizi impazzito, ma di solito quelli sono rarissimi, e caduchi,
molto caduchi. Perciò complimenti, hai azzeccato tutto. Solo che ora ci sei tu
nel mirino. Io non so, probabilmente mi pareranno il culo. Ma tu devi sparire.
Per sempre, o fino a un miracolo ... Sono qui per aiutarti a metterti al sicuro.
Te e tua madre, s’intende.
-credo nei miracoli. Però non so se e quando mi abituerò all’idea di vivere
come un fuggiasco. Come Carlo...
-come vedi lui è riuscito a tornare, e a vivere normalmente.
-sei sicuro che non ci siano alternative?
-la visita a casa tua, la sparizione di Elmo, oltre ai numeri di telefono che mi
hai mandato e che ho verificato, non lasciano spazio a dubbi, sono segnali più
che sufficienti. Credo che tutte le domande che hai fatto e i viaggi frequenti,
specie quello in Calabria, ti abbiano fatto rientrare nel mirino. Nel target,
bisogna dire adesso. E devi sapere che “loro”, i mafiosi, quando vogliono
possono chiedere alle forze dell'ordine di intervenire...tu adesso gli stai
parecchio sulle palle, anche se sei troppo piccolo per una caccia e
un'esecuzione. Il vero rischio viene comunque da loro.
Il resto lo vedremo, lo dedurremo da quello che la gente e i media diranno, a
come si muoveranno la polizia e la magistratura, eccetera. Andiamo al bar, sto
schiattando. Preferisco morire bevendo una cosa. Intanto tu pensa a cosa
vorresti fare.
Ci avvicinammo al bar. Il sole stava calando ma picchiava ancora.
Ordinammo birra e stuzzichini. Sembrava il preannuncio di una bella serata in
Costa Azzurra.
-stanotte non riuscivo a dormire. Allora ho finito di leggere un libro, l’ultimo
libro di Marino, lo conosci anche tu.
-quello dei cani romantici? Devo ancora iniziarlo. Ma prosegui.
-la storia finisce che il protagonista diventa un collaboratore della polizia
internazionale, viene inscenata la sua morte per annegamento, e lui sparisce.
Ho deciso che potrei fare lo stesso.
-a parte i ringraziamenti per avermi svelato il finale, lo sai che l’idea e geniale?
Ci ho fatto un pensierino anch’io. Ma come procediamo?
-facciamo che vado negli Stati Uniti come turista, vado alla polizia
internazionale e denuncio, filmati e registrazioni alla mano, Francis
Stompanato, o come diavolo si fa chiamare. Naturalmente racconto una storia
ben farcita, mio cuggino dice che sono bravo in questo, ma che sia credibile,
mediamente credibile. E chiedo e spero di essere inserito nel programma
protezione testimoni.
-Stompanato è cittadino americano? Sei sicuro?
-Elmo dice, diceva di si. E sennò come ci vive in America, da anni e anni?
chissà che fine ha fatto. Elmo, dico.
-non credo sia da invidiare. Ma restiamo ancorati, fratello. La tua idea mi
sembra buona, forse ottima, previa verifica. L’importante, come in tutte le cose
è la tua convinzione. Io predisporrò un piano, anzi possiamo cominciare a farlo
insieme, adesso. Dimmi una cosa, tua madre ti seguirebbe? E se poi la
rispediscono a casa? Non sono mica pratico di queste cose, sai.
-vediamo. Intanto gliene parlo. Lei ha studiato poco, ma capisce al volo le
cose importanti. È molto legata alla vita. Ha perso il marito e una figlia, e gli
resto solo io. Mi seguirà senza problemi. La salute è debole qua tanto quanto
la.
-dov’è adesso?
-abbiamo preso una stanza all’Ibis, vicino alla stazione. Ti dicevo. L’unico
dubbio è quello che hai sollevato tu. Non ci ho dormito tutta la notte. Credo
che accetteranno la mia testimonianza, perchè non vedranno l’ora di
sbarazzarsi di gentaglia come Stompanato. Però , da questo punto in poi, ho il
vuoto. Giustizia americana e intrighi internazionali compresi.
-e lungaggini burocratiche, e eventuali poliziotti corrotti, perchè no. Io sono
qui per questo, comunque. E il giornale fornirà appoggio, nei limiti del
possibile. Non hai altre persone in Italia?
(lunga pausa)
-no. Cioè, volendo si. Alcune, decine, centinaia, migliaia. Ma solo una
dipende da me, adesso, ed è mia madre.
-allora: innanzitutto ti servono due biglietti aerei. Facciamo che prendiamo due
Nice-Montreal, che sono i più economici, e ti permettono di arrivare dal
Canada via terra, diciamo a New York. Un vero viaggio di piacere, e piuttosto
sicuro, il che non guasta. I documenti li hai. Dobbiamo vedere se è necessario il
visto. Per quanto riguarda le tue cose, come ci regoliamo?
(pausa per pensare)
-ho qualche soldo in banca, la macchina alla stazione. E basta.
-pensiamoci un attimo. Bisogna che tu mi firmi una delega, o come si chiama.
Insomma mi incarichi di ritirare i tuoi soldi, vendere la macchina, chiudere
tutte le utenze, fare tutte le pratiche in tua vece. Poi dovrai aprire un conto
sicuro da qualche parte. Ma quello, nel capitalismo avanzato, non è un
problema...
-vadi ultra, santana! Come diceva Max il topone. Non vorrei mi svanisse il
patrimonio!
-se necessario posso far venire un mio amico notaio, andavamo a scuola
insieme e non può dirmi di no. Ci vuole tempo.
Poi, può darsi che ci serva un piano b, nel caso gli americani nicchino.
Fammici pensare, adesso mi sono già consumato la pila. Dunque ...
Potremmo fare in modo che nel frattempo la vostra vacanza prosegua.
Vieni, andiamo in una agenzia di viaggi e vediamo che si può fare.
Un’ora più tardi avevamo due biglietti per una crociera alle Canarie. I biglietti
erano pagati in contanti, committente il giornale. Mia mamma come benficiaria.
Il mio nome risultava sulla lista ma non c'era emissione di biglietto nominativo,
come per i voli.
L’arrivo era previsto a Las Palmas de Gran Canaria, con un soggiorno di sei
giorni, ma il giornalista mi chiese, per precauzione, di prendere un traghetto e
andare a Tenerife. In un’ora saremmo stati sull’altra isola e ci avrebbe trovato
una sistemazione presso certi suoi amici che gestivano un albergo a Puerto
Cruz. Ma quanti amici aveva? Ci accompagnò in un altro albergo, all’Esterel,
un posto quasi nascosto, a picco sul mare e molto suggestivo. Altri amici suoi,
probabilmente. Sulle pareti dell’hotel, foto di clienti celebri. Persino Bud
Spencer. Tutto era predisposto per i dieci giorni successivi. Ci saremmo rivisti
al solito posto, col notaio e i biglietti per Stati Uniti e Canada, con partenza
immediata appena emessi. Quelli civetta per New York da annullare poco dopo.
L'unico rischio lo avrei corso all'aeroporto di Montreal, prima di prendere il
treno. Pensammo anche a questo.
Chiesi al giornalista di contattare il mio amico poliziotto speciale, quello con
cui avevamo condiviso la dipartita dell'incursore Gino. Contavo sul fatto che
il legame stretto con lui all'epoca mi avrebbe permesso di chiedergli la cosa
assurda che stavo per domandargli. E cioè di scortarmi a Montreal. Ricordavo
anche che avesse dei parenti in Canada, e quindi potesse unire l'utile al
dilettevole, e con una buona scusa.
Lo chiesi al giornalista, e approvò l'idea di contattarlo per me.
Mi abbracciò, l’amico, e mi disse anche:
-potrai avvertire tu i tuoi amici stretti, ma tutti da telefono pubblico, e tutti
prima dell’imbarco. Poi basta. Non c'è molto spazio per i sentimenti, capisci.

Mi sentivo molto strano. Mia madre lo percepiva e non faceva domande,


ma presto avrei dovuto spiegarle tutto. E farle accettare tutto. Avrebbe
accettato? Come avremmo fatto, col suo compagno? La situazione era
surreale. E non potevo fare molto altro. Se si deve fare, mi dissi,
facciamolo subito.
La sera, in albergo, dopo avere meditato a fondo, la invitai a cena.
L’alberghetto, una vecchia stazione scavata nei faraglioni rossi, aveva un
aspetto spettacolare, e anche un po’ spettrale. Il mare ti spruzzava in faccia.
I titolari, confermati amici del giornalista, erano estremamente discreti.
Estremamente sta per tombe.
-ti devo parlare, ma’. Mettiamoci in un tavolo appartato.
Ci accomodammo. Lei faceva fatica a camminare e io cercavo di non
farlo sembrare un problema.
-bello questo posto vero?
-bellissimo. Una vacanza davvero diversa, me l’avevi promesso, ma non
credevo, una cosa così.
-e non hai ancora visto niente ...
-tu mi nascondi qualcosa, ve’?
-senti, noi non abbiamo mai fatto giri di parole, perciò ti dirò la verità subito.
Ma prima...
-guarda che ho capito. Ti ho messo al mondo io, sai.
-lo so. “Come ti ho fatto ti disfo”!
-e allora...ho capito che sei nei guai. Tutta questa pagliacciata della rasatura,
la pellicciata...
-l’alopecia. Non te la sei bevuta?
-no. E poi ‘sto ragazzo. Ho capito che siete molto amici, e che ti sta aiutando.
E ho capito pure che è una cosa seria...
Non e che ti piacciono gli uomini, adesso?
-no, ma’ ...
(una grande risata liberatoria. Finalmente sono rilassato)
No, sei lontana.
-ma ho capito pure che c'è un guaio vero, cosa credi. E sappi che io ti aiuterò
sempre.
-lo so. Stavolta però ti chiedo una cosa grossa, per un guaio grosso. Se te
la senti.
-che, qualche volta non me la sono sentita, forse? Dimmi come posso aiutarti
e io lo farò. Servono soldi?
-no. Anzi, poi dovrai chiedere ad Agostino di ritirarti la pensione e ... Ma
che c'entra questo adesso?
Ma’, dobbiamo scappare dall’Italia. E forse non tornarci più. Mi cercano
delle persone che se mi trovano non so cosa mi fanno. E non voglio lasciarti
qua.
-non c'è problema, quando partiamo? Prima raccontami tutto con calma.
(poi, a voce più alta)
Vogliamo ordinare qua, o no?

L'amico/giornalista mi fece sapere tramite il gestore dell'albergo che l'amico


poliziotto era disposto ad accompagnarci nel viaggio, anzi che ne era felice.
Del resto contavo su di lui, c'era un legame. Una grande notizia.

CANARIE
(e ritorno)

La nave che ci aveva lasciati a Las Palmas stava facendo manovra in porto, e
noi già ci muovevamo col traghetto verso Santa Cruz de Tenerife. Alle nostre
spalle c'erano le case colorate, le palmeras, e i bagliori di un deserto artificiale.
Ci avvicinavamo alla rena nera, vulcanica dell’isola che ospitava suo malgrado
il grande vulcano del Teide, senza il quale peraltro non esisterebbe. Il vulcano
si vede da ogni punto dell’isola. O almeno così mi pare. Dopo una sosta nella
capitale per far riprendere la mamma, con un pasto leggero di mare, ce ne
andammo a Puerto La Cruz, dove l’amico del giornalista ci avrebbe ospitato per
quasi una settimana. Ci stavamo rilassando, tutto sommato.
Sembrava che mia madre avesse accettato la situazione, anzi, come accadeva
sempre, quando accadeva, la crisi esaltava la sua forza e la sua capacità di
reazione. Che adesso si dice resilienza...
Mi sembrava addirittura che camminasse più spedita. Piccola e sempre curva,
anche se meno. Canuta ma spigliata. Insomma, avete capito. Le accennai alla
probabile difficolta di portarci dietro Agostino, il suo compagno.
-adesso dobbiamo pensare a te, a noi. Poi vediamo che si può fare per lui.
Tanto quello si arrangia, si è sempre arrangiato. Mica muore.
Qualcosa mi sfuggiva, a livello logico. Mentre qualcosa, dentro, mi diceva
che questo frangente aveva permesso di rinsaldarci nel legame più profondo
che esiste. E niente e nessuno lo avrebbe intaccato. Se ero quasi sicuro che
avrebbero lasciato mia madre con me, nel caso fossi stato accettato come
testimone da proteggere, lo ero altrettanto rispetto al fatto che nessuna altra
persona ci avrebbe potuti raggiungere. Dall’Italia, poi ... Naturalmente
queste erano mie fantasie, chissà la realtà.

Mentre fantasticavo sul futuro prossimo, cominciai a rimuginare su una


impressione che mi tormentava, mentre il guagua, il minibus supercomodo, si
inerpicava tra le colline fantastiche dell’isola. Neanche a farlo apposta,
l’ossessione riguardava Pizzichini. Quando il giornalista mi aveva fatto
vedere il filmato salvato nel suo apparecchio, avevo notato, oltre alla scena
del fuggitivo che veniva investito, peraltro confusa e fuori fuoco, un dettaglio
che mi inquietava parecchio, ma non sapevo perchè. Pizzichini, nell’ultima
istantanea della sua vita, sdraiato sul selciato, o su una barella, aveva il viso
intatto, anche se sporco di sangue. Ebbene? Quella era indubbiamente la sua
faccia, la stessa delle foto segnaletiche, e, a disegnarci una barba, la stessa che
avevo visto l’ultima volta. Ma ricordo che quando lo avevo intravisto per un
attimo nella cella del reparto y, specialissimo, quello isolato, lui era di spalle,
quindi la faccia non potevo averla vista. Vedevo solo il poliziotto in tuta
grigia di fronte a lui, che gli parlava. Cosa non andava in quella scena? Se non
vedevo Pizzichini, allora cosa mi turbava?
Ci ripassavo da giorni, su quelle foto mentali, fate conto che tre o quattro giorni
dopo, anzi in una notte con un’arietta meravigliosa, sdraiato sul letto finalmente
realizzai cosa non tornava. Sobbalzai.
A momenti svegliavo mia madre. Non era possibile: la faccia del cadavere,
era quella del poliziotto che stava nella cella, o nel parlatoio, con Pizzichini.
Ci ragionai meglio.
Ripetiamo: era la faccia di Pizzichini, mafioso, ricercato, detenuto,
collaboratore, cadavere, persino ospite di comunità, era quella, senza dubbio.
Mica potevano essersi ingannati tutti.
L’alternativa mi colpì in fronte come una manata autoinflitta, come se la
trovata di un film di fantascienza venisse dalla mia mente, anzichè da quella di
uno sceneggiatore ispirato: Pizzichini, quel giorno, era vestito con una tuta da
poliziotto!
perchè o come fosse possibile, era tardi per scoprirlo. Ormai ero lontano
dall’Italia, da Pippo e dal carcere, e chissà quando e se ci sarei tornato.
Potevano averlo vestito così per proteggerlo meglio, camuffandolo? E allora chi
era quello di spalle, vestito in borghese? Probabilmente non lo avrei mai
saputo. Anzi, a questo punto un'altra rivelazione si fece strada in me,
spontanea: non lo volevo sapere.

In quei giorni girammo per il versante più atlantico dell’isola, che non aveva
proprio nulla di tropicale. C'era il vulcano, ma raggiungere la cima era una
sfacchinata, così ci limitammo a una specie di rifugio a metà altezza. A Puerto
Cruz c'era un parco fantastico, con migliaia di uccelli liberi. Camminando
piano piano, impiegavamo giornate a visitarlo. C'erano anche degli acquari e
dei delfinari con degli animali incredibili. I delfini facevano numeri acrobatici
insieme agli istruttori, una cosa di una sincronia che mi lasciava stupito, come
un bambino. La mamma dopo un po’ si annoiava. Invece i leoni marini, quelli
interpretavano una specie di pantomima che anche lei trovava irresistibile.
C'erano le banane, le migliori banane europee, anche se le Canarie sono
praticamente Africa. Si potevano visitare le coltivazioni e assaggiare ogni
genere di prodotto derivato dal frutto. Grazie a queste e altre attrazioni,
passammo dei giorni spensierati. E forse era proprio ciò di cui avevamo
bisogno. Mia madre era impenetrabile. Io pensavo che, se fosse finito tutto di
li a poco, almeno avevamo passato quei giorni insieme, da soli, a parlare.
Cose del passato, fatti di famiglia. Una riconciliazione non esplicita, non
richiesta, non necessaria. Una riconciliazione con la vita.
Da un internet point mandai una mail al cuggino da un account che usavamo
solo io e lui per organizzare delle beffe culturali. Gli raccomandai di stare
tranquillo, qualunque cosa avesse sentito, che mi sarei fatto vivo presto.
Rifacemmo il percorso a ritroso, fino all’alberghetto dell’Esterel. Il giornalista
si presentò col notaio e sbrigammo tutta una serie di menate burocratiche da
incubo. Poi io e il mio amico ci appartammo a parlare in una delle tante
salette semiaperte sul mare.
-com’e la situazione laggiù?
-dietro la storia di Pizzichini si è scatenato un inferno: la paranoia della
sicurezza. Come è stato possibile. Doveva deporre, testimoniare. E tutti si
chiedono cosa avesse da dire da farsi ammazzare. La magistratura resta
abbottonata, questa volta non si scherza. La polizia dice che si stanno
accertando le cause. Lascia aperta, col silenzio, anche l’ipotesi accidentale.
Dice che il Barack, non ancora preso e neppure identificato (pensa te)
potrebbe essere un non insolito pirata della strada.
-ho dato un’occhiata alle testate principali, ma non ci ho trovato niente di
interessante.
-i recidivi giornalastri eversori, di “sinistra”, battono sul complotto, sul
pentito messo a tacere perchè non rivelasse segreti su oscuri legami tra ...
Stato e mafia … si mormora anche a proposito di certi delitti inspiegabili. E
indovina chi ha fatto la soffiata ai giornali di Roma e Milano?
Si batte sul petto.
-fantastico! Sei il mio giornalista eroe preferito! E poi?
-poi basta. Di Elmo non si parla già più. Quanto a te, ti stanno cercando tutti.
E venuto fuori che anche tua madre è scomparsa. In mancanza di una
imbeccata, si ventila il matricidio-suicidio da parte del solito depresso estivo.
Un po’ in ritardo, nel tuo caso!
-fai il serio, stai parlando della mia reputazione!
-hanno provato a intervistare le persone vicine a te. Pippo non ha detto quasi
niente, se non che sei il più valido dei suoi collaboratori esterni, e che non avevi
ricevuto minacce. Lo psichiatra del carcere ha dichiarato che facevi uso di
psicofarmaci che lui stesso ti prescriveva. Questa non è male.
-glie l’ho fatto io, l’assist.
-un certo Fuffo, tuo collega psicologo che adesso pare sia diventato
criminologo, ha rilasciato una bella dichiarazione sul vostro mondo, sulla
vostra “vocazione”. Ti ha difeso a spada tratta, insomma.
Hanno detto che non avevi legami, a parte la madre scomparsa. E poi, pensa,
ci sono le interviste al frate e a una guardia carceraria.
Il religioso rivela che qualche giorno prima della tua scomparsa ti eri
confessato, ma che non avevi rivelato niente che giustificasse un tuo
eventuale gesto, e comunque il segreto lo costringeva ...
-che pezzo di merda!
-si, e la guardia, invece, non viene nominata, solo le iniziali. G. C. Però io
ho confrontato una foto di scarto della collega col materiale che avevo
raccolto quando mi avevi parlato di lui, e si tratta di quel Geraldo
Caccioppolo, no, Cacciapopolo. Insomma, l’uomo dei boss.
-e cosa dice, quest’altro pilastro della società?
-questo ti stupirà. Secondo me lo ha concordato coi suoi capi. Dice in sostanza
che intrattenevi rapporti un po’ troppo intimi, troppo stretti, con alcuni
detenuti, e che secondo lui potevi essere stato vittima di una ritorsione. Magari
per una richiesta mancata.
E sai a chi allude? Ai detenuti politici. Dice che eri vicino ad alcuni ... Non fa
i nomi ma lascia immaginare ampi scenari.
-hai capito? Sono indeciso se ammirarli o considerarli degli idioti totali.
-forse ammiri la loro idiozia. Comunque, non ci sono fatti, ma solo parole. Tu
puoi stare tranquillo. Domani o dopodomani al massimo, dipende dalla
stanchezza e dall’autobus Montreal-New York, sarai davanti a un ufficiale di
polizia degli Stati Uniti a fare la tua deposizione contro il boss Francesco
Stompanato. Qui c'è tutto il necessario per il viaggio. In questa valigia roba per
te e tua madre, il resto lo prendete sul posto. In questa borsa tutti i documenti.
Devi legartela alla vita, così...Ci sono mille dollari, i biglietti pagati, e una
carta di credito con altri soldi in un conto in Svizzera ...
-però . Che fantasia!
-attingi pure finchè hai bisogno, però senza esagerare, perchè mica lavoro
all’Herald Tibune. Se ti dovessero mandare indietro, scatterebbe il piano b,
che consiste in un rifugio per esiliati politici in un paese ... Ma non
parliamone adesso, che magari porta sfiga. Andrà in porto il piano a!
-il tuo amico dei servizi sarà come un'ombra, per voi. Tu non fare mostra di
conoscerlo, se lo scorgi evita lo sguardo. L'ho già ringraziato io per te.
Quando ti lascerà, davanti all'ufficio della polizia, andrà a trovare i suoi
parenti canadesi.
A proposito, lui mi ha detto di riferirti delle cose, non so bene a cosa si riferisce
ma essendo fededegno ti dico...anzitutto un certo Sakaroff ti manda un
messaggio che suona cosi: “l'uomo che assaltava le caserme dei carabinieri con
la bombola del gas è al sicuro, in scia'straa.”
-non e possibile! Sakaroff e il nickname di Milius, uno dei miei colleghi più
mitici, e il messaggio significa che Elmo e salvo! Se vuoi ti spiego tutto, se
hai tempo.
-sono libero. Ma allora finisco di dirti. Ecco un altro messaggio: “il grosso ratto
e la sua sposa ti hanno sostituito”.
-il grosso ratto e la sposa sono Max il Topone e Minnie, due squilibrati storici
della comunità...ma che vorrà dire che mi hanno sostituito?
-questo posso spiegartelo: in pratica c'era un problema, del tutto teorico ma da
non sottovalutare. Pur avendo fatto i biglietti come dipendente del giornale, ho
dovuto indicare i nomi tuo e di tua madre, non solo per i voli, ragione per cui il
nostro amico, chiamiamolo Bond, vi scorterà, ma anche quello di tua madre
per la crociera. E pur avendo chiesto e ottenuto una certa discrezione, qualcuno
con delle entrature avrebbe potuto scoprire i vostri nomi e la presenza a bordo.
Così Bond si è rivolto ai tuoi colleghi, e loro gli hanno dato una mano a
mettere in piedi una messa in scena all'imbarco. In pratica questi due
personaggi, il topo e la sposa, hanno impersonato te e tua madre, coi biglietti e
tutto, mentre voi, come ricorderai, siete stati accolti a parte da un ufficiale...et
voila!
-allora, nell'ordine: Milius è il collega con più esperienza sul campo, anche se in
realtà e più giovane di noi, però aveva iniziato a lavorare quando era ancora
minorenne. È veramente un grandissimo figlio di...beh, letteralmente, sua
madre faceva “la vita” come si dice, in via Pre, che è la strada a cui allude il
messaggio. Ora che si è ritirata da molto tempo, ha ancora una casa la, un
rifugio che potrebbe nascondere Messina con tutto il suo denaro, e neanche le
teste di cuoio lo troverebbero.
Milius (che non si offenderebbe per queste note) deve aver trovato Elmo,
oppure lui si è fatto trovare, con la sua tipica dabbenaggine, e lo hanno
spedito a Genova, al sicuro.
Il riferimento agli assalti alle caserme dei carabinieri col gas fa pensare subito a
Elmo, senza avere bisogno di nominarlo: una delle balle più grosse che ha
sparato è proprio quella di avere assalito i carabinieri armato di bombole,
insieme ad altri compagni. I quali, neanche a dirlo, hanno smentito,
tributandogli un insulto che lui considera la peggiore delle vergogne. Hanno
dichiarato che non solo lui non delinqueva, ma che quando li fermavano, lui
risultava sempre incensurato! Tanto che insisteva con gli agenti al terminale
denunciando errori nel sistema! Ma ti rendi conto? Bene, sono contento che sia
in salvo.
Milius è stato davvero grande, in questo suo gesto nobile. Pensa che più di
una volta mi ha trascinato col suo esempio in viaggi umanitari che, per
pigrizia o altro, non avrei deciso di fare.
E di Max il Topone e di Minnie, che ti devo dire? Sono due personaggi
incantevoli e perduti. Sono stati in comunità per anni e poi, raggiunto il limite
massimo, li abbiamo sistemati in alloggi protetti. Lei è sempre stata
innamorata di lui, tanto che siamo stati costretti a organizzare un matrimonio
pagano per suggellare il loro legame.
Lui è un ossessivo alla massima potenza. Ha passato la sua esistenza a
possedere cose, situazioni, persone, addirittura, fino a consumarle del tutto. Per
farti un'idea: una volta che si era invaghito degli astronauti fece un tale casino
che alla fine la Nasa gli concesse una breve conversazione con Armstrong, fui
io a comporre il numero di telefono indicato nella mail all'orario stabilito e a
passargli la chiamata; eravamo in comunità. Quanto ad Aldrin, con la sua
tecnica da varano di Komodo, Max riusci a individuare l'albergo dove
dormiva e ad attenderlo finchè non riuscì a beccarlo. E quello sai che gli disse?
Se non dici a nessuno che sono qui ti offro da bere e ti firmo quello che vuoi.
Max il topone girava sempre con una copia di lunar landing, all'epoca il suo
testo feticcio. Quanto a Collins lo liquidò perchè non era sceso sulla luna. Non
c'è da stupirsi nè del fatto che colga tutto ciò che avviene intorno a lui
(secondo me aveva persino avvertito l'aria pesante intorno a me ed Elmo) nè
che sia in grado di affrontare sfide difficilissime. E riuscito a diventare amico
di un famoso autore di fantascienza, non ti faccio il nome, e a farsi mandare gli
inediti in anteprima. Posso garantirti anche questo, perchè ero io a tradurglieli.
Lui è un genio del fai da te, ma sulla letteratura si affidava a me.
E poi, una volta mi ha mostrato un disco di un gruppo rock famoso, e tra i
crediti c'era un ringraziamento per lui, col suo cognome vero, gridandomi:
visto, che non mi credi!...anche qui non ti dico quale gruppo, non ci
crederesti...
-la tua grande passione per i matti mi affascina molto, ma sai che ho la testa
piena di ben altre storie folli, e soprattutto che devo riversarle su carta,
devo riempire un tot di pagine ogni giorno...
-si, scusa, mi sono fatto prendere la mano.
-è molto strano come ci siamo trovati immersi, sempre di più, in questa strana
storia, no? Sembra proprio un viaggio nella follia. Ma non tanto e non solo in
quella del tuo ambito lavorativo, che secondo logica dovrebbe rappresentare
la minoranza, lo “scarto”, come dice quel famoso direttore di carcere nel film,
da nascondere sotto “o' tappeto”. Lui diceva anche, se non sbaglio, che il
tappeto non basta più, che quasi quasi il mondo andrebbe ricoperto da un
tappeto. Questi sono tempi che mi pare di poter definire se non bui,
perlomeno offuscati...che ne dici?
-anch'io mi sento disorientato e credo che ci stiamo muovendo a tentoni
nell'oscurità. Ma tutti, proprio tutti. Però adesso dobbiamo pensare a noi.
Posso chiamare un po’ di persone per rassicurale e salutarle?
-si, prima di partire ti metto a disposizione un telefono e potrai chiamare, ma
capirai da te che conviene sentire solo poche persone, le più fidate e magari più
discrete, non so se mi spiego. Dì loro che potranno avere tue notizie da me, poi
troveremo il modo di triangolare in maniera sicura.
-si, hai ragione. Anche se so che odii parlare di affari, dimmi anche della
contribuzione.
-niente, il giornale si aspetta da te un memoriale, un’esclusiva, che invierai a
me e che io revisionerò. Scrivici quello che vuoi. Tanto i fatti sono quelli e io
forse li conosco perfino meglio di te. Ora pensa solo a te e alla mamma. E good
job!
-aspetta, c'è un fatto che forse non conosci. Non so nemmeno se si può parlare
di fatto, giudica tu. Ci ho pensato a lungo, e sono sicuro di avere visto
Pizzichini, l’ultima volta in galera, l’ho appena sbirciato da una fessura. Ed era
vestito con una tuta da poliziotto. Ci sono arrivato dopo, per via della differenza
con e senza la barba.
-cosa? Ma sei sicuro?
-mi cecassero! Ho visto lui in divisa, e un altro di spalle vestito in borghese,
che invece non so chi fosse. Non so cosa pensare.
-questo, se fosse vero, aprirebbe scenari nuovi. Pizzichini un infiltrato? Un
infiltrato che si veste da poliziotto mentre si trova dentro ... E poi muore … un
suicida praticamente. Che casino! Bisogna che mi ci fai lavorare.
-potremmo parlarne con quel poliziotto che conosco. Prova ad accennargliene.
-si ma tu scordati di telefonare a sbirri da qui. Equivarrebbe a un suicidio,
anche questo. Ci penserò io. E poi sai che ne ho un altro paio sottomano, di
sbirri canterini. Il bello dell’Italia, e che una mano lava l’altra ...
-lo so, e tutt’e due sciacquano le palle.
Il saluto, il possibile addio, fu lungo e sofferto. Il giornalista si fermò a
mangiare, a camminare e parlare con noi, fino al momento della partenza. Un
vero amico. Il più prezioso. Ah, ma bisogna che vi faccia sentire qualche
estratto delle mie ultime telefonate.

Il cuggino: -ma dai, allora sparisci, e quando ci vediamo?


-ma che ne so? Ti ho detto che neanche so come andrà a finire, sta storia.
-però , sai, che ti invidio. Tu hai sempre avuto una vita avventurosa, quella
che hai sempre desiderato. E anch’io. Solo che io ...
-tu ti godrai la famiglia e i soldi che stai guadagnando come medico.
Vacanze di lusso, eccetera...
-sai che goduria! Io ti voglio bene, mi mancherai, se non potremo vederci.
-vedrai che il modo si troverà. Anche io ti voglio bene, fratello. E mi
mancherai anche tu. Adesso è meglio che ci salutiamo, se non vogliamo che
l’avventura rischi di prendere una piega pericolosa.
-mooo, che bastardo! Scrivi da cane, ma almeno le vivi, le storie!
-puoi sempre arruolarti in Emergency e andare a vivere emozioni forti...
-ci penserò ...
Barbarina era in ferie al suo paese, Olmedo, nel Logudoro. Un posto
incantevole. C'ero stato anche io, prima di conoscerla.
-ajo’, come va?
-ma tu sei? Mi avevano detto che eri sparito. Basta che mi allontano e
combini guai.
-senti, Ba, è una cosa seria. Devo sparire, perchè ho ricevuto delle minacce. Me
ne andrò per un periodo all’estero, mi porto mia madre, per sicurezza. Ti
prometto che ci rivedremo, anche se non so dirti quando.
-ma accidenti. Ero appena riuscita a conoscerti, ad apprezzarti.
-a chi lo dici! Ma non posso farci niente, credimi. Se restavo rischiavo la vita,
forse. Ti farò sapere. Anche adesso è meglio che non stiamo tanto al
telefono, può essere rischioso ... Meno male che voi sardi siete riservati, mi
faciliti…
-vaffanculo! Io cominciavo a...insomma, a volerti bene.
-anch’io. Adesso devo lasciarti, però ...
-ti farai sentire? ...

Chiamai la comunità. Parlai con Toto’. Fu piuttosto straziante, ma travestito


da imbarazzante. Pur essendo degli orsi, facevamo squadra da diversi anni.
Quanti? Cinque, dieci, quindici? Tra una cosa e l’altra, era una vita che ci
frequentavamo. Ma loro erano in grado di capirmi al volo, sicchè il commiato
fu breve, anche se non secco. A Toto’ scappò da piangere, e così lo seguii.
Chiesi di salutarmi tanto Recchia e Milius.
Nel casino dei passaggi da un interno all’altro intercettai anche l’avvocato,
che era stato affidato alla comunità, e faceva il telefonista nei momenti morti.
-ueila’, ma allora sei vivo?
-si, avvocato, però faresti meglio a dimenticare questa telefonata e a non
parlarne con nessuno. Per la tua salute, ne!
-oh, quando si tratta della salute, sai che divento attentissimo! Oh merda, mi e
caduta la canna nel wisky!
-meno male che il buonumore non ti abbandona mai. Devo andare adesso.
-lo immagino, ma senti qui: mi sto già occupando di diverse cause. Per
esempio della madre di quella bambina molestata dal nonno, sai, quella
carogna di Lopiccolo. Gli farò un culo così!
-sono contento. Però se hai a che fare con lui, parati il culo.
-ah si, e perchè?
-ha degli amici. Tipo il quintalone dell’ufficio.
-l’eminenza? Ma non c'è problema! Lo sai che non mi saluta nemmeno, quel
piciu? Ma chi si crede di essere? ...
Con Pippo la comunicazione fu più difficile.
Chiamai Peppe.
-ciao Pe’, sono io!
-tu? Ma dove sei finito?
-e una storia lunga. Sentimi bene, senza fare nomi, pensi di potermi passare il
capo per qualche minuto al tuo cellulare? Magari se andate in cortile...
-aspetta che lo chiamo e vedo ...
-ciao, disgraziato, ma che ti è successo, spiega!
-ciao Pippo.
Gli spiegai.
-sei proprio un pirla. Alla fine hai fatto di testa tua.
-è vero, ma ormai era tardi, anche quando mi hai avvertito. Ho messo in moto
un meccanismo e, da un semplice sospetto, mi sono ritrovato nella storia più
allucinante che...
-ma è sicuro questo piano di espatrio?
-si. Tra poche ore mi imbarco, e poi ti farò avere mie notizie. Ti ringrazio
per tutto l’aiuto che mi hai dato. E per la fiducia. E per...
-si, per il buon cuore!
-a proposito, puoi farmi dei favori? Dovresti salutarmi Hamid. E poi comprare
dei libri e regalarli a Gennarino, a Barolo, a ...
-si, e che mi metto a fare, la libreria ambulante?
-ti prego, sono delle edizioni rare che non arriverebbero mai li. Vorrei che
rimanessero loro come mio ricordo. Soprattutto a Gennarino, digli di tenere
duro.
-guarda che tra un po’ esce. Lo affidiamo alla comunità.
-questa si che è una bella notizia! ...

AMERICA
Questa è la fine della storia. L’ho scritta in forma narrativa, perchè è l’unica
che mi veniva spontanea, e non ho voglia di sforzarmi, dopo che l’ho vissuta
questa storia, di raccontarla anche.
Alla fine è il mio memoriale. Come quello di Gennarino, cioè inutile ma
terapeutico. Infatti, a chi importa di tutta la faccenda, se non a me? Il bravo
giornalista ne farà ciò che crederà. La cosa mi riguarda poco, visto che vivo in
una località degli States che non posso rivelare per non incasinare
definitivamente la mia esistenza, e un po’ anche quella delle altre persone
coinvolte. E giusto per chiudere il racconto, come l’avessi scritto a un amico,
ci butto dentro tutto.
Ora vi racconto le ultime, come sono arrivato qui e come sono andate le cose.
Il viaggio è filato liscio come l’olio, fino a Manhattan. Ho sistemato mamma in
un albergo da poco (sono cari gli alberghi, a NYC, sarebbe stato meglio cercare
un buco nel Jersey, ma visto che pagava l’Herald Tribune!) e poi sono andato
alla polizia.
Il tour poliziesco e durato tutto il giorno, ed è ripreso il giorno dopo, ma senza
“up on the wall, motherfucker!”, il simpatico benvenuto dei cops. Abbiamo
vinto la scommessa, dal momento che si sono rivelati molto interessati a
quanto avevo da dire, e soprattutto da mostrare. Le registrazioni sono state la
carta vincente, anche perchè non capendo molto quello che dicevano, potevo
infiocchettarle come volevo.
In effetti ho calcato un po’ la mano, ma la prospettiva di tornare in patria alla
scadenza del visto turistico, oppure di fare la vita del latitante, con la mamma
malata, mi avrebbe spinto persino a mentire. Tanto, che male c'è? Avevo
imparato dai pentiti che parlare, anzi cantare, è un’arte, che non importa che
fatti riferisci, l’importante è la politica.
Qui credo che il mio amico fraterno, il giornalista M. (stavo per scrivere il
nome!) censurerà un pochino.
Così ho calcato la mano con le efferatezze dei fratelli Stompanato e, già che
c'èro, con quelle dei fratelli Volturno. Affanculo pure loro. Gli americani,
intesi come polizia, erano molto interessati a incastrare il boss Stomp. Non
chiedetemi perchè ne percome, non ho intenzione, dopo aver capito come
“funziona” il sistema italiano, di cercare di capire quello americano. A me
interessava solo entrare, chiedere la protezione, ed essere al riparo da quei
bastardi di mafiosi. E non solo, forse. Anche perchè mia madre, che non
aveva voluto approfondire gli accertamenti in Italia perchè non si fidava, qui
ha accettato di farsi curare (il mito americano regge) e il quadro clinico non è
molto incoraggiante. Ma lasciamo stare.
Alla fine, dunque, l’ho spuntata. Dopo giorni di interrogatori, consulti con
FBI e polizie internazionali (compresa quella italiana) e interpreti e avvocati
d’ufficio, hanno deciso che si poteva procedere con l’imputazione del boss, e
quindi anche ad avviare la mia richiesta di protezione. E come aver fatto
tredici, credetemi. Me la cavo bene con l’inglese, ma qui ero come in una
giungla. La fortuna è che i tempi della giustizia sono molto più accettabili,
rispetto all’Italia. In Italia avrebbero fatto in tempo ad ammazzarmi due volte,
casomai fossi riuscito a resuscitare.
Adesso, che è passato del tempo, ho una sistemazione dignitosa, in un posto
molto bello, con angoli panoramici spettacolari. Non troppo freddo d’inverno e
caldo d’estate. Ma mi hanno detto di non indulgere in dettagli sul luogo. Ho una
casa, una casetta prefabbricata, come usano qua, ma bella e completa. Ho un
lavoro. E una macchina usata, tutto gentilmente offerto da Mr. P.
Il presidente, il capo della nazione. Mi piacerebbe parlarvi del mio lavoro, ma
c'è il veto anche su quello. Hanno tenuto conto della mia esperienza nel sociale,
nella riabilitazione sociale e, insomma, la sto mettendo a frutto. Vicino a dove
sto c'è un carcere. Questo posso dirlo, perchè da queste parti c'è un carcere in
ogni comune. E un po’ come il supermercato. E ce ne sono di vario tipo: statali,
privati, lavorativi, produttivi, eccetera. Un vero spasso. Per farla breve...
Vabbe’, la faccio finita. Una considerazione. Sono passato dal paese delle
famiglie a quello degli orfani, dal ricatto dell’appartenenza al racket delle
corporations. Bella frase, vero? Adesso ve la spiego, anche. L’Italia e il paese
delle famiglie. Famiglie di varia natura, mi capirete. Se non fai parte di una
famiglia, hai vita dura. E comunque non fai tanta strada, a meno che tu non sia
un genio assoluto. Se sei baciato dal genio italico, allora puoi andare lontano,
anche senza appartenere a nessuna famiglia. Però sei un’eccezione.
L’America è, invece, il paese degli individualisti. Degli orfani, così li ho
ribattezzati.
Vonnegut, un grande scrittore col quale ho intrattenuto una breve
corrispondenza molto esilarante, diceva che gli americani hanno bisogno più di
tutto di famiglie allargate, per trovare quel calore che la famiglia tradizionale,
ormai disintegrata dal sistema del capitalismo selvaggio, non può più garantire.
Perchè dico questo? Già, perchè?
Ah, si, perchè mi sono trovato a meraviglia qui, in quanto orfano. Di padre, si
capisce. E in più ci ho mamma al seguito. Questo è per dire che non sto mica
tanto male. Non state in pena per me, nel caso ve ne venisse l’impulso. E poi,
un’altra cosa. Qui comandano le corporations, le multinazionali. Che poi
comandano sul globo intero. Il loro ricatto al popolo di questo paese e, per
estensione, all’intera umanità, e diventato intollerabile. Se mai fosse stato
tollerabile.
La gente qui muore di fame. Letteralmente. Frugano nei cassonetti. Rubano.
Rapinano. Trafficano. Converrete con me, e con quel filosofo francese, che
rubare e meglio che morire di fame.
Bene. Oltre a mangiare e a non avere grossi problemi, non avendo vizi, ho la
fortuna di vivere in un osservatorio privilegiato. Saprò un attimo prima di
voi quando sarà la fine del mondo. Mica poco, converrete. Se volete, vi farò
sapere. Dovete chiedere di me a quel giornalista. Come si chiama? Non
posso dire il nome. Bisogna aspettare che pubblichi l’ambaradan. Il
memoriale. Nel frattempo, mi mancherete.
Mi mancheranno tutti. Anche quei disgraziati dietro le sbarre. Che nel silenzio
del corridoio buio gridavano una frase incomprensibile, nella speranza che
qualcuno si girasse, dicendo “eh?” E allora partiva l’implacabile replica ...
(Suca!)

[fine]
Foto di copertina dell'autore

Parco Lambro e dintorni, 1976/79

Roberto Masuello
just an human being
masuellor@gmail.com
sito: masuellor.wordpress.com

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