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di Roberto Masuello
Nel carcere ci sono degli incroci, dei crocevia. Quattro corridoi sfociano in una
stanzetta quadrata che ha quattro porte, una per corridoio. Naturalmente le porte
hanno sbarre e serrature enormi. Spesso, come in questo caso, sono dotate pure
di vetri molto spessi, infrangibili. La guardia apre una sola delle porte, e subito
la richiude, e fin quando chi è entrato non esce da un’altra porta non si apre a
nessuno.
In questo modo i detenuti non possono entrare in contatto tra di loro, e neppure
parlarsi.
Però attraverso i vetri qualche gesto si può intravvedere. Infatti quel giorno,
nel carcere dove lavoravo, mi trovavo nello stanzino al centro del quadrivio
insieme a Natalino, un detenuto anziano è molto potente, e mentre aspettavamo
che la guardia ci aprisse, dal vetro della porta di fianco a noi si videro un altro
detenuto con una guardia. Un detenuto con una folta barba e occhi da folle.
Subito Natalino fissò il detenuto con uno sguardo tra il severo e il sorpreso.
Dopo dirò di questo Natalino.
Il suo sguardo si faceva più fisso e terribile a ogni istante che passava, finchè
l’altro detenuto, che poi scoprirò chiamarsi Pizzichini, di punto in bianco si
mette a ballare come un tarantolato, cioè come stesse ballando la tarantella,
all’inizio piano piano, per non allarmare la guardia, ma poi, visto che Natalino
non mostrava di capire quei suoi gesti, dondolando a destra e a sinistra,
muovendo le mani come percuotendo un tamburello. Allora, visto che lo
stavamo guardando tutti, e la guardia già gli stava dicendo qualcosa, fini per
rendersi grottesco; la guardia prese a strattonarlo, finchè finalmente lui non
lesse un lampo di comprensione negli occhi di Natalino e allora smise quella
sua pericolosa esibizione. La guardia riprese a fatica il contegno, avrebbe anche
potuto fargli assaggiare il bastone. La cosa sarebbe potuta finire in un rapporto,
che non è mai una cosa buona per un detenuto.
Capii che quel detenuto, Pizzichini, avrebbe rischiato anche peggio per far
capire il suo messaggio a Natalino, il quale buono buono aveva abbassato lo
sguardo come se la cosa non lo riguardasse oltremodo.
Questa scena mi aveva sorpreso molto. Dovete sapere che Natalino è un
personaggio importante nel carcere, prima di tutto capeggiava una “banda”,
un’associazione criminale piuttosto importante nella zona, e poi perchè fratello
di sangue del famoso latitante Volturno. Almeno così mi pare. Abbastanza
potente che in quel momento ne veniva, così mi aveva detto, da una visita a un
isolato, un tale Francisco sudamericano (che però con la pronuncia napoletana
diventa Francischco, anzichè Fransisco). Diceva che andava a trovarlo, e che
avrebbe fatto da padrino alla cresima di questo Francisco.
A me, ve lo dico sincero, mi appariva un fatto inconcepibile. Sapete che vuol
dire essere isolati in carcere? In isolamento ci stanno sostanzialmente tre tipi di
persone: i collaboratori di giustizia (o i pentiti) che qui vengono chiamati per
brevità infami, e che non possono avere assolutamente nessun contatto con gli
altri detenuti, capirete perchè ... Gli autori di delitti sessuali particolarmente
spregevoli, come stupri, pedofilia, legati all’omosessualità e via dicendo; che lo
crediate o no, anche dentro il carcere esiste una specie di legge morale ... In
genere questi sono, sempre per brevità, mezzi pazzi oltre che delinquenti,
magari non abbastanza pazzi per il manicomio criminale (per brevità, oppiggi) e
insomma, meglio non mescolarli, se no sono guai ...
Ah, e poi ci sono i mafiosi, naturalmente, per brevità quarantuno bis, ma il
nostro simpatico carcere non è abbastanza degno per ospitare tali personalità.
Anzi, per dirla tutta, il nostro carcere non è un granchè attrezzato, e non
voglio arrivare a definirlo, come dicono quasi tutti i detenuti e molte guardie,
‘na fetenzia, ma ... Capirete da voi come stanno le cose.
Tornando a Francisco, questo ragazzo colombiano, che come tanti ragazzi
colombiani aveva deciso di fare il corriere della droga ed era stato acchiappato
alla frontiera, a un certo punto se ne esce dichiarandosi omosessuale.
Un bel modo di levarsi di torno, così l’isolamento è assicurato e la convenienza
la sa lui. Natalino dice che lo deve aiutare perchè a stu povero uaglione
sfortunato c'è toccato o’ticchet. Che sarebbe quando ti capita di fare la parte di
quell’uno su dieci che viene beccato dalla polizia, per farsi bella. Dice.
Ma il fatto inaudito è che Natalino come niente aveva ottenuto il permesso di
andarlo a trovare. Vi rendete conto, non solo lo andava a trovare, da soli loro
due in cella, ma avevano messo in piedi ‘sta messa in scena della cresima. Un
boss della mala locale, per lui la droga era come il pane per il panettiere, e un
corriere della coca, due uomini grandi e grossi (per non parlare dei vaccini) che
si mettono a fare il catechismo. Tuttavia a nessuno era parso strano.
Autorizzazione del direttore, e quando mai, e il comandante non aveva eccepito,
lui che è considerato il re degli scassacazzi. E in quanto testimone di Genova,
come si dice qui, assolutamente inappuntabile.
Quanto al Don, il cappellano, aveva subito benedetto con entusiasmo. Vi
parlerò poi di questo cappellano matto. E anche dello strizzacervelli. Una cosa
alla volta.
Fatto sta che il Pizzichini, incontrato lo sguardo terribile di Natalino, aveva
dovuto rispondere qualche cosa, li per li. E cosa aveva comunicato a Natalino?
Difficile dirlo...una danza, un tamburello...alludeva forse a una malattia? A una
festa? A uno sbattere di...ma certo! Il termine tarantella è piuttosto in uso
nell’ambiente. Di solito si riferisce a qualcosa di combinato: una tarantella è
una storia che viene messa in piedi da una o più persone per far credere
qualcosa agli altri, una montatura, insomma, una balla, un film. Una bicicletta.
Perchè allora non mimare la macchina da presa, o il gesto di pedalare? La
tarantella rimanda evidentemente a qualcosa di più serio, e anche un riferimento
culturale specifico. Natalino è napoletano, Pizzichini di Taranto. Camorra e
Corona ...
L’unico modo per saperne di più è chiedere a Natalino.
Come dite? Chi me lo fa fare?
È vero, oltretutto chiedere in carcere è cosa faticosa, e non costa solo fatica. È
merce di scambio la curiosità. Si paga. In diversi sensi: si paga per sapere e,
se le cose vanno storte, si paga perchè si è saputo.
Il fatto è che io sono così. Se me ne dovessi stare, mi verrebbe in mente una
frase che mi diceva ogni tanto mio padre: e allora che campi a fa’? Non so se
mi sono spiegato. Non sono curioso tanto per esserlo. Ho appena detto che la
curiosità si paga, a volte cara. E che devo trovare un senso nelle cose.
Potrà sembrarvi strano...eppure, con tutta la prudenza, s’intende...se no mica
duravo qua dentro.
In fondo, se lavoro in posti come questo, il carcere, la comunità, la strada, e
perchè mi ci spinge la curiosità. Non è una frivolezza. Si tratta di voler capire il
prossimo. Perchè fa certe scelte. Perchè questi posti sono pieni di gente che ha
rifiutato la vita “normale”, quella che facciamo noi, anche a rischio di vivere
male? Mala vita: lo vedrete bene come si vive in galera, e nelle strutture
chiuse; e mica per chissà quali torture, no, nessuno ti scoccia se tu non scocci.
Potresti pure morire, se non fosse per il fatto che poi puzzi. Fèti... E allora se
ne accorgono tutti. E perchè certa gente sceglie questa cattiva strada? Dice il
filosofo: per la cattiveria innata nell’uomo umano. Ma quando mai!
Qua dentro quasi la metà degli ospiti sono tossici malati. E quasi metà sono
stranieri non in regola. Poi ci sono gli abbituè, certo. Dove c'è roba c'è chi
ruba, dice il proverbio. A fronte di tutta questa cattiveria concentrata, fuori di
qua ci sono milioni di uomini liberi che uccidono, affamano, schiavizzano,
violentano, avvelenano, ecc. E magari lo fanno in nome della democrazia,
del progresso, e così via. Lo sapete.
Oppure ci sono le famiglie mafiose, quelle che è difficile colpirle. Tutta
questa gente, qua dentro ci capita raramente. Per caso. Siamo forse
buoni, noi?
E allora: se quelli dentro ci sono più per sfiga che per cattiveria, cioè per il peso
sociale dei loro atti, e fuori c'è di peggio, e io ne disquisisco, ho forse una
soluzione? No, devo essere sincero, no. C'è quella bella teoria del tappeto. E di
un altro direttore di carcere. Semmai poi ve la riferisco.
Non ho una risposta, comunque. Mi sono fatto delle idee, però questa è
una storia, mica un trattato. E poi è probabile che mi sbagli. O che non
sappia spiegarmi. Non sono un filosofo. Non studio le persone. Ci vivo
insieme, invece. E certe cose le vivo, dunque. E ve le racconto.
Potrei accontentarmi, anzi, potevo accontentarmi.
Però dovevo capire. Devo capire. E una maniera c'è. Se chiedessi spiegazioni
a Natalino mi guarderebbe sprezzante, oppure mi risparmierebbe lo sguardo,
volgendolo in basso, e sibilerebbe: “di che stai parlando? Quale gesto, quale
tarantella? Io manco lo conosco, a quello ...” cose di questo genere. Ma io so
come prenderlo, Natalino. Ognuno ha il suo segreto, ognuno il suo dolore.
Il suo non è essere boss in gabbia, fuori era solo il fratellastro di Volturno.
Non è essere ricchione, nessuno si azzarderebbe a dirlo; nemmeno Francisco
lo è. Forse non è neppure essere mezzo infame, cosa che, come sentiremo,
qualcuno mormora. No, bisogna capire perchè quest’uomo ha un vero altarino
in cella, e prega la Madonna. Fa o’veramente, come dice lui. Perchè un
malavitoso (come vi dicevo il termine malavita e proprio azzeccato) in galera
prega, magari sinceramente, soffre, spera, dispera, rispera?
Ve lo dico io perchè. Perchè Natalino ha una figlia che si droga.
Tossicodipendente. E sono legati, legatissimi. Oltre che per il legame padre e
figlia, per aver perso la madre di lei, ovvero moglie di lui.
Una donna straniera, pare molto bella; stroncata da malattia fulminante. Che
c'entro io in tutto questo? È che io lavoro anche al servizio per le
tossicodipendenze, anche in comunità, anche ...
Ne’, direte voi, ma in quanti posti lavori? Rivelazione! Sono precario ...
Oppure, c'è un modo elegante per dirlo: free lance. So’ frilens.
La figlia di Natalino, povera ragazza, entra e esce dalle strutture per i tossici.
Noi lo chiamiamo il giro della giostra. Non ce la fa proprio a starne fuori. Ci
sono diverse ragioni per questo fatto, alcune le conosco, altre no. Mi si spezza il
cuore a fare l’inventario delle motivazioni. Fatto sta che la ragazza si droga.
Ora, a me ogni tanto capita di averci a che fare, ma così, come usa oggi in tutti i
lavori, di sfuggita. Pare che non c'è più tempo per dedicarsi a una persona. A
cercare di capirla. Bisogna compilare moduli, raggiungere quote, far quadrare
conti. Si, pure coi tossici. Si, pure un precario come me. Che volete, non l’ho
progettato io, il mondo.
Ma per quanto poco abbia a che fare con sua figlia, per quanto sia disperato il
caso e poco si possa fare, Natalino è tenacemente convinto che io possa aiutare
la figlia. E mi dice sempre “l’hai vista?”, “come sta?”, “e un po’ meglio?”. Che
si può dire a un padre in quelle condizioni? Che non può vedere la figlia perchè
lei pure risulta pregiudicata e quindi non può accedere ai colloqui in carcere?
Che gli dico, dunque? Che non c'è niente da fare? Che va sempre peggio? Che
la ragazza manco si rende conto di chi ha di fronte? Natalino è vecchio, e
malato. Prega la Madonna. Anche se ha fatto del male nella sua vita, merita il
dolore della verità su tutto ciò che ama, tutto ciò che gli è rimasto?
E allora dico: “si, l’ho vista, sta così così ... Ci ho parlato ... Mo’ vediamo ...”.
E mo’ vediamo. Non vi ho descritto Natalino.
Natalino avrà sessant’anni. Ne dimostra un po’ meno di faccia, ma è
piegato male. Ha la faccia da italoamericano, però non un vero duro, del
tipo “l’hai detto a me?”.
È un simpaticone, un Joepesci. È bonario, benevolo, come posso dire. Per
questo quando s’incazza, o da ordini (cosa di cui, beninteso, nessuno di noi si
accorge) appare ancora più terrificante. È come papa ubriaco. Tutti lo temono.
O mostrano di temerlo. Nella confidenza, con me, ma credo pure con giudici e
avvocati e compagnia bella, è addirittura tenero, affettuoso. Si preoccupa per
tutti, lui.
E come sta la famiglia? E i vostri acciacchi? E quel concorso come è andato?
Cose così. Non sai se è sincero o affettato. Se fa l’imitazione del padrino o è un
vero patriarca che, come si dice, mantiene famiglie, vedove, orfani e così via.
Quando parla, lo sentirete, mantiene sempre toni bassi, guarda spesso a terra,
ma se ti fissa è il ritratto dell’umiltà. Un feroce mal di schiena cronico lo fa
piegare leggermente in avanti. Quasi sempre se la prende col mondo, lo
sentirete; e gli esce un vittimismo insopportabile. È il suo pezzo forte. Ed è
anche quando è l’ora di mollarlo e andarsene. Fateci caso, quando parla di se
è sincero e a volte straziante. Quando inizia la frase “sto paese”, è la fine. Non
si regge più. Fa il gran finale, si redime. Ma arriviamoci!
Siamo io e lui da soli. Lui come sempre in tuta, o in maglietta bianca e
pantaloncini quando fa caldo e toglie la tuta. Io sempre casual, una specie di
divisa. Un avvertimento. Sulla mia posizione esistenziale, intendo. Siamo in
una sezione speciale, che frequentano coloro che dichiarano di avere avuto
problemi con le sostanze stupefacenti. Gli psicofarmaci sono inclusi? Solo se
non prescritti da un medico. Dico sul serio. Ci sono anche delle celle, per
quelli che ci vivono in pianta stabile. È ambita, questa sezione, perchè è
l’unica dove si può fare qualcosa, giochi, computer e così via. Infatti Natalino
ci si è imbucato subito, anche se, come il resto dell’enorme complesso, è tutto
grigio. Proprio tutto. Pavimenti, pareti, soffitti, porte, finestre, infissi, sbarre,
interruttori, ringhiere, coprilampade, tavoli e sedie, armadi ... Le tute delle
guardie ... Tutto grigio.
Come a dire: merda sei e merda rimarrai. Questo lo diceva una guardia,
un bravo cristo, che aveva anche lavorato nei cosiddetti carceri modello,
dove invece è tutto colorato e tutti lavorano ... Ma non divaghiamo. Come
iniziamo a parlare diventa nervoso.
-allora, ti volevo chiedere di quella domandina che ho fatto...
-quella del ventuno ... (ventuno è sinonimo di colui che esce per lavorare
e rientra per dormire. Gran privilegio)
-quella. Che dice ‘o direttore?
-che vuoi che dica? Io non lo vedo mai. Meglio così. Ma si dice
che difficilmente ti faranno uscire. È presto.
-è presto per loro, chillemmuort...
(fa un piccolo gesto tra se … )
-ma sono loro che decidono. Loro e il magistrato. La legge è legge!
-ah, il giudice, quella ... Ti ho già parlato di lei?
-si, tante volte. Ho capito, ma che ci vuoi fare? Devi pensare a te.
-e che dici, la buona condotta?
-si, quella va bene. Però c'è la pericolosità, e poi, tuo fratello ...
-vabbuo’, ho capito. Devo accupare ancora. Che mi dici di mia figlia,
l’hai vista?
-no, questa settimana no. Ma i colleghi che l’hanno vista dicono
che...non va particolarmente male ...
-migliora, che dici?
-eh, non proprio. Diciamo che non peggiora.
-piglia sempre...
-sempre. Più i farmaci. Ma almeno così sta buona.
-si, sta buona. Dovevo pensarci io, a lei. E quella bonanima di sua madre.
Mo’, da sola, insieme a quel...
-lascia fare, almeno le vuole bene. La protegge.
-azz, e come la protegge, con la siringa! Bell’amore! Del resto se lei lo vuole,
che se lo tenga. La rispetto. Se no lo avrei già...
-si, ho capito. Ma non ti angustiare, che hai già i tuoi guai. Lei è sotto
controllo, lo sai.
-avrei dovuto pensare io a lei!
-dai, non ti flagellare così. Visto che credi, prega.
-dico sul serio, è colpa mia. E che ci dico a Dio, quello ha ragione a
castigarmi. E pure a lei, che potrei dirle? Ma ti pare, con tutta la merda che ho
venduto a tanti ragazzi ... E con tutta la coca che mi sono fatto salire nel naso,
posso mai dire qualcosa a qualcuno? Eh?
-ma nella vita si cambia, no? Quante volte l’abbiamo detto? Adesso tu stai
cambiando, e quando uscirai le starai vicino e l’aiuterai, con la tua esperienza...
-ma tu continui a seguirla, vero?
-io ci butto un occhio, non è che posso proprio occuparmi di lei, lo sai. Io
vado li per seguire i ventuno. Quando era in comunità, anni fa, l’avevo
seguita. Proprio una brava ragazza. Dolce ...
-tu mi devi promettere ...
-ancora! Farò tutto il possibile, te lo riprometto.
-posso fare tanto per te, tutto quello che vuoi!
-sul serio? Proprio tutto?
A questo punto mi prende per il braccio e ce ne andiamo nel corridoio. Dovete
sapere, se non lo sapete già, che dentro i carceri molte conversazioni vengono
registrate. Si dice che ci siano microfoni dappertutto. In ogni locale. Si dice che
registrino anche nelle stanze dove si fanno i colloqui con familiari, avvocati,
operatori, ecc. Il che sarebbe illegale. La leggenda vuole che ci sia un
microfono in ogni muro, in ogni angolo. Ma in realtà non ci sarebbe abbastanza
tempo e abbastanza personale per riascoltare tutte quelle eventuali
registrazioni. Sicchè , registreranno un po’ e un po’. Comunque la prudenza
non è mai troppa. La piega che ha preso quel discorso potrebbe rivelarsi
pericolosa, almeno per me. Ancora una frase e ci sono gli “estremi” per il
licenziamento. E, se succede qualcosa di brutto collegabile a quella
conversazione...
Senza contare l'ipotesi che qualcuno dica qualcosa, sapendo di essere
intercettato, per inguaiare qualcun altro...
Ma basta con la fantasia.
Cominciamo a camminare nel corridoio. Lì è difficile che ci siano microfoni...
Mobili.
Bisogna tuttavia stare attenti a non parlare rivolti alle telecamere. Dice uno
slavo della sezione speciale: “possono leggere il gabbiano”.
Insomma mi porta in giro per i corridoi e mi guarda serio, da sotto in su. Vi
ho detto che soffre di schiena.
-allora, che ti serve? Dai, che sto qua io. Parla!
-ma no, Natalino, non scherziamo. Mi piacerebbe sapere qualcosa di quel
tipo, quello che qualche giorno fa ballava la tarantella...
-ah, tutto qui? Vuoi sapere di quello ...
(la pausa è lunga. Si vede che pensa, soppesa)
...vedi, se fosse un altro a chiedermelo, tu lo sai come funzionano le cose
qua dentro...sarebbe una domanda pericolosa. O a pagamento ... E mi
verrebbe da pensare male. Ma nel tuo caso, lo so che sei un intellettuale e
che le cose ti interessano per le tue ricerche...
-ma quale intellettuale. Che mi muoio di fame!
-vabbuo’, comunque lo capisco che il tuo è un interesse professionale e,
diciamo, non pericoloso. Tu non te la canteresti mai, lo so. Del resto se
sarebbe il caso, fosse già successo, no? (aveva qualche problema, con
l’italiano. Ma chi non ne ha?)
-se è possibile, mi piacerebbe capire cosa è successo. Me lo tengo per me.
Sono una tomba.
-lo so, lo so. Ma vedi, prima di tutto io non so un granchè. Hai visto anche tu
che sono rimasto sorpreso dalla sua reazione. Anche abbastanza... Sollevato,
diciamo così. Ho intùito delle cose, più che altro, ma mica posso dartele come
fatti certi.
-ecco, ma intanto dimmi se le impressioni che hai avuto e che cosa hai intuìto.
Intuìto, si dice.
-si, ma ti ripeto, è tutta fantasia mia.
-lo sai che la fantasia è meglio della realtà. Anche per me. Avanti, ‘sta
fantasia...
-sei proprio tuosto, eh? E vabbe’, ecco qui: io l’ho guardato male perchè sai che
si dice, no? Almeno secondo il telegiornale, per quello che vale: è accusato di
avere partecipato a una violenza sessuale di gruppo, pare in dodici con un
handicappato... Ma ti pare? E poi, poi lo sospettano di avere partecipato ad altre
azioni simili. Quei bambini di quell’asilo ... E poi pare, sempre, che stava con
quello che ha ammazzato quella ragazza, sai, il caso della monaca di Monza.
-Monica, la ragazza di Monza, vuoi dire. Un po’ di rispetto, almeno per i morti,
e che ...
-figurati, proprio io, il rispetto per i morti. È che certe volte mi imbroglio, coi
nomi, specie quelli del nord. Comunque, a me sembrava impossibile. Radio
sbarra diceva che lo avevano incastrato, o che c'era un errore, o forse che i
giudici lo volevano incastrare e usarlo per farlo cantare...
(radio sbarra è la voce di corridoio)
Tu sai come è precisa, di solito, radio sbarra. Quindi, già il fatto che non ci sia
una versione precisa è strano. Comunque sia, quando l’ho visto, ho dovuto
fare la faccia brutta. Pure se ci conosciamo da tanto, ed ero rimasto persuaso
che fosse un uomo d’onore... Vabbe’, conosci anche tu il codice, in questi casi
non si perdona, si punisce. E se non lo fai, tocca a te. A meno che ... Stava a
lui giustificarsi in qualche modo.
E ha fatto la sola cosa che il vetro gli permetteva. Ha fatto la pantomina, il
treatino.
-ho capito. Ma cosa ha voluto dire?
-ha voluto dire che lui non c'entra in quella storia. O meglio, è estraneo
all’infamia dell’accusa, che gli costerà l’isolamento assoluto. Ma non ha fatto
le cose di cui lo accusano. Oppure, c'è un’altra possibilità.
-e quale? A me questa non mi convince tanto, e neppure a te, credo. Qua
dentro so’ tutti innocenti...
-guarda però che quello che ti dico è pure ipotesi. Qui lo dico e qui l’annego.
-dillo e negalo, allora.
-la tarantella non è semplicemente un trucco, un inganno. Non è come il gioco
delle tre carte, dove tu imbrogli facendo credere che c'è una carta invece di
un’altra. No, in questo caso lui intende dire che può pure essere implicato nei
fatti, che non è stato messo in mezzo per caso. Ma che i fatti non sono come
sembrano ...
-e come sono? Com’è ‘sta tarantella?
-oh, non ti basta mai, eh? Sempre co’sta frenesia... Siete tutti uguali, voi
comunisti...
-non sono comunista.
Natalino faceva fatica, lo percepivo. Prendeva tempo.
-e sarai socialista!
Dunque, la tarantella. Potrebbe essere che è tutta una messa in scena,
oppure che non si tratta di un vero delitto, ma di una cosa costruita.
-si, ma l’handicappato, i bambini, hanno sofferto. E la ragazza, Monica,
è morta!
-sai meglio di me che i bambini e gli handicappati si possono, come si dice,
monopolizzare, puoi fargli dire quello che vuoi, insomma. Quanto alla ragazza,
certo che è morta. Su questo non si discute... Ma potrebbe essere che non
c'entra nè il movente passionale e nè la mania...e ti posso garantire che quello,
di manie non ne ha. E allora, si uccide per un preciso motivo, ma che non
c'entra con tutte quelle balle che dicono in televisione. Sto paese ...
-aspetta, aspetta un attimo. Non ho capito. A parte i bambini, e l’handicappato,
che non sono attendibili, la ragazza è stata uccisa, ed è stata uccisa non per
follia animale, come hanno detto, ma per una ragione precisa, dici. E quale può
essere?
-a volte si tratta di vendette trasversali, come quando uccidono il figlio di
quello che ha sgarrato, ti ricordi? Oppure di avvertimenti, colpiscono qualcuno
vicino a qualcuno.
-quindi questo pezzo di merda avrebbe ucciso la ragazza per colpire qualcun
altro?
-anzitutto non ho detto che lui ha ucciso. Secondo poi, non so il movente
preciso. So solo, visto che lui ballava la tarantella, che dietro ci sono
altri significati. Magari mafiosi. O politici.
-politici? Fammi capire ...
-vedi, a ‘sto paese funziona tutto così: è tutto politica. Se uno ammazza a
qualcun altro, subito lo usano per dire: ecco, la mafia; allora la lotta alla mafia!
Mentre invece la mafia, almeno, fa qualcosa per la gente, dove comanda. Non
ci fa mancare niente. Non puoi dire di no!
Oppure dicono, ecco la sicurezza! Bisogna fare le leggi speciali. Bisogna
inasprire. E giù nuove tasse, e più soldi per gli sbirri e i giudici ...
O anche, fanno il discorso politico: ci sono i terroristi, bisogna difendere lo
stato, le istituzioni. Ah! ah! ah! Mi fanno ridere. I terroristi! E poi?
Difendere cosa? I loro interessi, nessuno fa niente per la povera gente che
non sa cosa mettere in tavola.
-vabbe’, mo’ ...
-e no! Che si dica, una buona volta.
Lo vedi che qui ci stanno quasi solo tossici e stranieri. Che cazzo di leggi hanno
fatto per aiutare i tossici? Li ammucchiano qua dentro. A fa’ che? Ti pare che
un tossico qui lo aiuti? A diventare delinquente, lo aiuti. I stranieri, lo sai
meglio di me, che ci lavori pure, con quei poveri mau mau: li usano per farsi
dare i voti dalla gente. Votateci che vi proteggeremo dagli invasori. Invece noi
sappiamo che questi che arrivano con le barche, quelli che riescono a arrivare,
ci servono come il pane. Per fare andare avanti le fabbriche del nord, a stipendi
da fame. Però poi ci fanno la cresta sopra, capisci, sfruttano la paura della
gente! E i giudici se la pigliano con noi, ci isolano, ci comprano con gli sconti
di pena, con le delazioni. Ma tu credi veramente che ...
-scusa, Natalino, ma devo andare adesso, ho un altro colloquio.
-si, vabbuo’, vabbuo’...
Ve l’ho detto che quando parte il delirio ... Diventa rosso, sputa, urla, e non
si può mica sentire. Poi, io in teoria dovrei contenerlo. Che figura ci faccio?
E tutta la sezione si anima. Poi dicono, il solito Natalino.
Lo lasciai e me ne andai. Bisognava fare così. Mentre mi allontanavo si
raccomandò ancora sua figlia. Non avevo capito molto sulla tarantella, se non
che le cose non stavano così come sembravano.
Ci poteva stare dietro di tutto. Politica, mafia, depistaggi. Però, perchè fare
del male a una ragazza, a dei bambini innocenti?
Lui ha detto, non come le tre carte. Invece a me sembra proprio il trucco delle
tre carte: qui c'è il delitto passionale, qui quello di mafia, e qui quello politico.
Scegli una carta: credi che sia un delitto passionale, come dicono tutti? E
l’unica spiegazione per il sacrificio crudele di vite innocenti. E invece no, è la
mafia. Ma che c'entra la mafia con queste storie? Che ci guadagna? La mafia
specula. E la politica? No, è del tutto inverosimile. La spiegazione è razionale,
ma non mi convince. Che cosa avrebbero da guadagnarci i pezzi grossi da
queste storie malate?
Ve lo dico io: quello vuole solo scansarsi i colpi, e si è inventato un
riferimento del tutto fuori luogo. È un professionista. Non ha manie,
perversioni. Forse lo hanno incastrato. Forse è “innocente”. Questo
pensavo.
Girovagavo per i meandri della galera pensando ai fatti miei. Ma continuava a
risalirmi la storia della tarantella. Perchè questa ossessione, adesso? Cosa me ne
frega di chi ha ucciso chi? Tanto più che non è mai servito a niente farsi delle
idee su queste cose, perchè alla fine decide il giudice, il tribunale. Ed è un po’
come la schedina. E non vinci mai. Girando, i corridoi in carcere sono infiniti,
girando, puoi camminare senza fermarti mai, ammesso che come me hai diritto
a farti aprire dalle guardie. Giri su te stesso senza vedere mai la fine. Entri dal
cancello, o dalla sbarra se entri con la macchina di servizio, poi infili l’ingresso
principale, quello del timbro, con la scala che porta agli uffici, oppure tiri dritto
al corpo di guardia, dove devi far vedere il pass (adesso cominciano con
insistenza a chiamarlo badge, non vi dico i casini che ne vengono fuori con tutti
i dialetti che si mischiano qui dentro...) ma se sei conosciuto, come me, te lo
tieni a penzolare negligentemente dalle tasche della camicia; e poi passi nel
detector. Se sei pivello, e non sai che devi lasciare chiavi e telefoni fuori, suona
tutto e fai una figura di merda, senza contare che poi tutti ti guardano male,
perchè sono autorizzati a pensare che volevi passare qualcosa di metallico o di
comunicativo a qualche detenuto.
In compenso, se porti dentro un milione in biglietti di grande taglio, ben
sistemati addosso, nessuno se ne accorge. Per non parlare di bustine di
idrolitina...solo un esempio.
Girando girando, si sentivano solo i televisori per i corridoi. Dovete sapere
che le televisioni vanno a tutto spiano, ventiquattro ore al giorno.
Anzi, addirittura c'è una leggenda: che se in una cella la tv è spenta, e i detenuti
non stanno dormendo, la guardia gli fa storie. Si insospettisce. E, sempre
secondo la leggenda, o riaccendi la tv, o so’ cazzi. Quest’ultima è
un’espressione ormai ben nota nella vulgata.
Vuol dire che sono guai. Sempre secondo la leggenda. Ma poi, ecco che mi
imbatto nel tempio della cultura: la biblioteca. La biblioteca è sempre
frequentata. E ben fornita dei due classici carcerari: i triller trucidoni (più
sono trucidi e più piacciono) e i trattati legali, si, la giurisprudenza, a
cominciare dai codici. C'è la leggenda, vera vi garantisco, che certi detenuti di
lungo corso ne sanno più del loro avvocato. Ma molto più! E poi, a sorpresa,
il terzo filone più gettonato e quello delle ricette. Qui mica scherzano quanto a
cucina. Tanto per fare entro e ci trovo il solito scenario: in un angolo una
guardia, più annoiata che mai, in un altro angolo il Barolo, bibliotecario
ufficiale perchè nessuno è bravo come lui, e in più deve scontare quasi un
ergastolo …
In un altro canto c'è l’avvocato. Tutti lo chiamiamo avvocato, perchè lo è, e
perchè il suo nome è meno significativo del titolo. Mo’ manco mi ricordo,
Arduino, forse. Il quarto angolo, quello dove i detenuti registrano il libro da
prendere o da lasciare, e magari ci danno un’occhiatina giusto per non pigliare
una sòla (un pacco, una fregatura, come preferite) è libero. Ora di fiacca. Mi
avvicino all’avvocato, dopo aver salutato gli altri due. L’avvocato ha un suo
banchetto in stile scrivano fiorentino rinascimentale, per la ragione che sa fare
le istanze. Vale a dire che sa scrivere come nessuno le lettere da indirizzare a
tribunali, giudici, magistrati di sorveglianza, ecc. Per richiedere tutto quello
che i detenuti chiedono senza tregua. E cioè continuamente di uscire; sconti di
pena, benefici di legge, e non vi sto ad annoiare oltre. Questo fa dell’avvocato
uno dei personaggi più potenti dell’istituto. Ma con discrezione. Perchè, come
dice, è sabaudo, lui. Volete sapere come ci è finito qui, uno come lui, ricco, di
buona famiglia, e con amicizie importantissime? Ha avuto sfortuna. Lo hanno
beccato, proprio il primo giorno della celeberrima inchiesta sulla corruzione
politica che ha posto fine al regime sponsorizzato dalla chiesa (già, chiesa) e
dagli americani. Per via che questi ultimi non avevano più interesse a
mantenere in vita tale regime, per via del muro, la sapete la storia, no?
E quanto alla chiesa, quella è come un abito, lo metti e lo smetti come vuoi.
Parlo del simbolo politico, eh! Con tutto il rispetto per chi crede, s’intende.
Per tornare al nostro avvocato, il primo giorno della grande e terribile inchiesta,
era per lui l’ultimo giorno di trattativa, con la firma del contratto, per una
transazione immobiliare che lo avrebbe reso uno dei proprietari immobiliari del
centro storico della grande città teatro di quelle gesta. La capitale morale.
Doveva sistemarsi per sempre, l’avvocato, quel giorno. Era il saldo per chissà
quali inestimabili servigi resi ai più audaci tra gli audaci del vecchio regime. E
invece fu la fine. Però una cosa bisogna riconoscere all’avvocato: fu, ed è
veramente un signore. Senza fare una piega, con un mezzo sorriso all’inglese,
dichiarò: “doveva andare cosi”. Poi, naturalmente, lo constaterete, è incazzato
come una belva con quei magistrati che hanno fatto tutto quel casino. E,
sempre da gran signore, ci mette su un velo ideologico. Ma sentiamolo.
-come andiamo, avuca’? sempre al lavoro?
-oh ciao, carissimo, si, ero assorto in queste pratiche. Sai com’e, qualcuno
deve sbrigarle, e se non lo faccio io ...
-se non lo facessi tu, qualcuno ci camperebbe, e molti dovrebbero indebitarsi
per pagare. Soprattutto gli stranieri, quelli senza un soldo, che si mangiano
la casanza, come farebbero? Onore al merito!
(la casanza è il rancio della prigione. Lo mangiano solo quelli senza soldi)
-grazie troppo buono.
-ti dispiace se facciamo due chiacchiere, o hai ancora molto lavoro da finire?
Pronunciai queste parole sotto tono, nella speranza che la guardia non
sentisse. Ma sembrava assopita. Il fatto è che io posso salutare tutti, è vero,
però un colloquio, come si definisce, lo posso fare solo con chi fa domanda.
Anzi, la “domandina”.
Funziona cosi: uno fa una richiesta scritta. Per la verità prima deve fare una
richiesta di moduli e penna (se non ce l’ha) alla guardia. Vi ho detto che tutto è
merce di scambio. Se poi uno è straniero e non sa “esprimersi”, beh, so’
cazzi ... Quando ha inoltrato la richiesta al direttore, o in subordine al
comandante (non ho mai capito questa variante, una specie di suicidio, a meno
di non essere testimoni di Genova, forse) si aspetta. Il direttore, creatura
mitologica che la maggior parte dei detenuti non ha mai visto e non vedrà mai,
non risponde alle domandine. Delega. A sottoposti, assistenti sociali, medici,
psicologi, educatori, mediatori, volontari, persino ministri di culto, vari ed
eventuali ...
Dopo molto tempo, il sottoposto e/o delegato si reca presso la stanza colloqui
(secondo la leggenda, microfonata) nel braccio, o sezione, dove c'è la cella del
richiedente. La guardia ti fa accomodare e va a chiamare il fortunato. Nella
cella subito si crea animazione, chi fa l’eco alla guardia chiamando il detenuto,
chi ammicca, chi accupa, chi invidia. Chi fa le corna. Chi, per dispetto, dice che
quello è ricchione.
Si sa che le celle da due sono da quattro, quelle da quattro sono da otto, e così
via, grazie al geniale raddoppio dei letti a castello. Così parlare con uno
richiama l’attenzione di due, quattro, sei, otto ... E il tempo passa.
Senza contare che solo tra andare e venire se ne passano due quarti d’ora. Uno a
andare e uno a venire, intendo. Perciò non potevo parlare a lungo con
l’avvocato, visto che non avevo in mano la “domandina”. Ne lui, come mi disse
citando un famoso detenuto, specie di Montecristo nostrano, la “rispostina”.
Non avevo neppure un mandato speciale del direttore, o di qualcun altro.
Comunque tutti parlavano con l’avvocato. Era una necessita. Conveniva pure
all’ordine interno. Una sorta di calmiere. Guardando quest’uomo minuto,
sempre elegante (nonostante l’impossibilità di vestire giacca e cravatta)
giovanile malgrado i sessanta più che i cinquanta, mi chiedo che ci faccia qui
dentro, e soprattutto perchè mantenga sempre il suo ottimo umore. Tutti quegli
altri che rubavano, al suo livello, sono fuori. Quelli che “per caso” erano dentro,
non hanno retto e si sono suicidati. O sono “solo” crollati. Invece lui mi guarda,
e sorride.
Facciamole pure due chiacchiere, con piacere. Anche lui si è adeguato al
tono minore. Capiva tutto al volo.
-tutto bene con la tua posizione?
-si, grazie al tuo interessamento pare che mi faranno uscire in affidamento,
prima o poi, presso quella comunità...
-non devi ringraziare me, ma il tuo amico Frankie Fubierre, che mi ha indicato
il tuo caso. Chissà perchè stai simpatico anche a quelli dell’altra sponda.
-perchè vedi, carissimo, quando ti comporti correttamente, anche con gli
avversari...per me non esistono nemici, a parte quei giudici fanatici e corrotti
che mi hanno condannato, che hanno affossato un’intera classe politica...lasuma
perdi ...
Dicevo, se ti comporti, e se fai un favore quando ti viene chiesto, ecco che
quando hai bisogno ... Qualcuno c'è.
-bene, bene. Certo se vai a lavorare fuori chi penserà a tutte le istanze?
-bah, intanto posso continuare a farlo nei ritagli di tempo, ci mancherebbe. E
poi, mica ho da scontare l’ergastolo, ne? Prima o poi finisco. Sai, ho un
buon avvocato!
Tu che mi dici? Hai bisogno qualcosa?
-veramente si. Sai niente di quella storia della tarantella?
-no, che tarantella?
(mi guardavo intorno come un ladro)
-quel... Come diavolo si chiama?
Barolo si era avvicinato silenzioso dietro di noi. Stava andando a riporre un
libro su uno scaffale.
Un bisbiglio: “Pizzichini, si chiama”.
-Pizzichini ... Sai niente della sua storia?
-so che è un mezzo dissociato della Corona. Uno piuttosto sfigato che
beccano
sempre. Adesso per quelle storie malate ...
-ma a te sembra possibile che ci sia dentro?
-ah no! Lo escludo. Per me quello li lo hanno incastrato. Figurati se un
professionista, uomo d’onore e tutto il resto, si caccia in delle faccende
così? Mica li scelgono al grande fratello, i picciotti...
-uagnoni...
-come dici? Ah, si, i picciotti sono quegli altri. Va ben, ti dico, a mio modo
di vedere lo hanno incastrato.
-e chi, sempre a tuo modo di vedere?
-i giudici, naturalmente. Loro vogliono farsi dire qualcosa, lui fa il ritroso, ed
ecco che si ritrova in isolamento con l’accusa più infamante che esiste. (la
guardia fa un rumore come uno che russa) e circola voce che se la sia, o se la
stia per ...
L’avvocato fa il gesto di uno che canta al microfono.
Secondo la leggenda la biblioteca è pulita. Non è microfonata. L’orecchione
medio impazzirebbe, con tutte quelle citazioni. L’orecchione è l’agente addetto
all’ascolto e/o alla trascrizione. Dunque l’avvocato alludeva al canto, al cantare,
al cantante.
- ho capito. E se non ...
(ripeto anch’io il gesto del cantante)
...loro ti ci fanno pensare.
-sempre svelto, il sciur. Adesso vedrai che ci pensa bene, e poi ci fa sentire
qualcosa. Tutto il resto e messinscena.
-come fai a esserne sicuro?
-radio sbarra. E poi, l’esperienza, trent’anni nei tribunali...
-beh, adesso mi sento più tranquillo.
-io no. Con questi giudici in circolazione, liberi, nessuno può essere tranquillo.
Non gli è bastato far fuori il vecchio sistema. Adesso puntano al potere.
Usano i ... Quei li insomma (rifa il gesto del cantante) per colpire sempre più
in alto, ricattare i potenti, eccetera.
-non ti sembra un po’ esagerata, come visione?
-per niente. Se vuoi ti racconto tutti i retroscena.
-grazie, non adesso. Quando sarai fuori, magari.
-comunque sappi che questo è il golpe dei giudici rossi. Li conosco
personalmente. A me non la fanno.
-ma i delitti, scusa, chi li ha commessi? (dico in un filo di voce)
-ah, ci sono i gruppuscoli di estremisti di destra. Oppure quelli di sinistra.
Credi che ammazzino solo i sindacalisti compiacenti?. E poi qualche
connivenza si rimedia sempre, se non altro per gratitudine...
-ancora con le connivenze? Allora l’amico di famiglia potrebbe anche averci
avuto a che fare, con le storie, o no?
-non credo. Se gliele commissionano, quelle cose, chi le farebbe? E perchè?
E nel caso, non ti fai beccare. Sarebbe madornale. Dammi retta. Altro che
tarantella. Questo è un trenino! Voglio vedere come se la cava, stuli’ ...
-hai un’idea molto poco romantica della sinistra. Eppure anche tu eri ...
- ...di lotta contigua, certo! con quello che ho visto potrei scrivere un
romanzo. E come gli piacerebbe! Altro che panza!
Comunque, non rinnego nulla. Solo che con certi giochi sporchi ...
I depistaggi...
-beh, avvocato, se andiamo a vedere i giochi, allora...
-no, no. Guarda che io lavoravo per difendere quelli che usavano mezzi nuovi
per tutelare il bene comune, e fare avanzare questo paese, se ti ricordi
eravamo la quarta potenza ... (ha detto anche lui “questo paese”)
-ah, nuovi, non sporchi. Capisco. E poi di che depistaggi parli?
-ci sono ancora gruppi di estrema sinistra, o di destra (per quello che importa
la distinzione) pronti a colpire per far ricadere la colpa su altri. Terroristi, ma
adesso non fanno più botti grossi, piuttosto piccole azioni che fiaccano il
morale, creano il panico, un po’ come fanno i loro colleghi islamici ...
-eh? Che c'entrano loro?
-ah non lo sai? Che loro vogliono fiaccare l’occidente, la culla della civiltà,
con azioni di piccolo terrorismo diffuso? Per un botto come le torri o le
stazioni metro, ci sono centinaia, migliaia di piccoli delitti. Ci vorrà un’altra
Lepanto! ... Prendi tutti gli spacciatori arabi che sono qui. Sai quanti ragazzi
sono morti di overdose? E sai perchè ...
A questo punto la guardia si rianima del tutto, ci guarda perplesso, e poi sbotta:
-Barolo, è ora di chiudere. Arrivederci a tutti.
Ci tocca uscire nel corridoio. Dal cancello della biblioteca a quello delle
rispettive sezioni ci resta si e no un minuto, al massimo due per sussurrare
qualche altra parola.
-va bene, avvocato. Se non ti spiace potremmo continuare questa discussione
tanto interessante. Ci vorrebbe un colloquio, però .
-senza problemi, carissimo. Sempre obbligato, lo sai ...
(la guardia lo sospinge verso il suo cancello)
-sono come il leone con la spina ... Ciao ne!
-arrivederci, avvocato.
A questo punto mi accodo al Barolo, che è in attesa di smistamento, e lui mi
fa, sottovoce:
-non dare retta a quel patacca. Vieni domani in biblioteca, tra le tre e le tre e
mezza. Son da solo. E ti spiego io come vanno le cose.
-va bene, grazie. (sospiro anch’io)
La storia comincia a intricarsi ben bene. In quel momento mi avvedo che c'è un
certo movimento nel corridoio. Mentre la nostra guardia “passava” l’avvocato a
un collega, da un altro cancello stava entrando un’altra guardia con un detenuto.
Nella penombra si vede poco, ma Barolo riconosce il detenuto e parte veloce
verso di lui. L’altro urla qualcosa di incomprensibile, tipo “ta’, gnaro de
merda!”; o perlomeno il suono era questo. Le guardie si buttano tra i due e
volano dei colpi, quasi tutti sulla schiena di Barolo. Una guardia si porta via il
detenuto urlante, intonso. L’altra prende Barolo sottobraccio, senza averlo
neppure “trattato” troppo, e lo riporta all’ovile. Dal cancello dove era appena
uscito l’avvocato una terza guardia mi ha aperto e in tutta fretta mi ha fatto
segno di seguirlo senza indugio, in modo che fossi implicato il meno possibile
nell’incidente. Quando ti dicono di seguirli senza indugio tu puoi fare
solamente una cosa: seguirli senza indugio.
Il giorno dopo, non ve lo nego, aspettavo di poter parlare con Barolo, anzi più
di tutto, di sentire cosa aveva da dirmi. La notte ci avevo dormito su. Poco.
E poi in galera io ci sto già. Lo avrei ringraziato invece, Carlo, perchè il suo
amico giornalista mi confortò non poco. Aveva ragione. Siamo molto simili.
Solo che lui ha capitalizzato la sua curiosità, le sue ossessioni. Vi racconterò del
nostro incontro. Abitava in un posto vicino a me, a poco più di un’ora di
macchina, finiva di lavorare che era notte, e aveva sempre voglia di parlare. Si
presentò vestito anche lui come uno qualunque, dimostrava un po’ più di una
trentina, però rimaneva impresso. Più alto della media, dinoccolato e agile, con
un fare deciso e disinvolto che colpiva. Era un cacciatore di misteri e scandali,
nel suo piccolo. Aveva appena scritto un saggio brillante sul declino del potere
della televisione, partendo dal fatto che i cittadini della sua sperduta provincia
si erano riuniti spontaneamente ed erano riusciti a impedire uno scempio
ambientale, senza dare retta a ciò che dicevano politici locali e nazionali, il
buon senso, i media, e anche lei, mamma tv. Mi era piaciuto molto. Scritto con
semplicità, di agile lettura, però acuto e molto incoraggiante. Per davvero, il
potere della televisione sulle persone stava diminuendo? Forse si. Il capitalismo
mostrava crepe mai viste, ma la politica e soprattutto la tv, la grande madre
lucente, continuava a negare, a coprire, a lanciare jingle confortanti. Ah si?
Sembrava dire la gente, e vediamo un po’ ... Quanto all'internet, beh quello a
differenza della mamma (verità di stato) spezzettava notizie opinioni falsità e
quant'altro (soprattutto quant'altro, mi ripeteva sempre un amico) in modo da
creare la cortina fumogena che andava a coprire anche la fluorescenza
televisiva. E che la morente avanguardia intellettuale battezzò postverità (cioè
troppe verità, nessuna verità). Peccato che, come i preti, i superstiti intellettuali
si limitino ormai solo alla somministrazione di sacramenti dimenticandi. Lo so,
mo' è troppo. A volte mi scappa...
Andai all’incontro con questo giornalista molto carico. Lui mi disse subito
una cosa:
-il tuo nome e il mio restano celati, fin quando uno dei due, o una terza parte,
non chiede di rivelare uno o più nomi.
Allora decidiamo insieme se rivelarci o no. Non si chiama mafia. Mo' si
chiama privacy. O, per dirla in italiano, diritto alla tutela della propria
vita privata.
-se sei d’accordo cominciamo, altrimenti arrivederci e grazie. Che ne pensi?
-che sono d’accordo. Anzi, mi piace!
-bene. Mi ha detto Carlo che mi vuoi parlare di qualcosa di misterioso, e
anche un po’ scabroso. Delitti politici eccetera. Poterebbe esserci qualcosa di
grosso sotto, per cui forse dovremmo rivolgerci a qualcuno più grande di noi.
Ci penso io.
Mi ha detto anche che sei coinvolto professionalmente in queste vicende e che
rischi in prima persona. Ragione in più per muoversi coi piedi di piombo.
Oltretutto, io mi occupo della cronaca di questa provincia, che confina con la
tua, ma nella tua io non ho “giurisdizione”, perciò anche io devo piombarmi i
piedi. Ma adesso raccontami tutto nei dettagli.
Gli raccontai tutto nei dettagli. Mi accorsi che in questa ultima esposizione dei
fatti, grazie al suo ascolto attento e a poche domande azzeccate, riuscii a vedere
chiaramente il quadro della situazione, forse per la prima volta.
-quindi cos’e che ti colpisce tanto in questa storia? Fai un respiro, chiudi gli
occhi e dimmi quello che ti viene in mente...
-ma, direi che soprattutto ho paura che ci siano organizzazioni sotterranee, la
mafia, o anche parte della politica, che potrebbe uccidere a caso, per
creare ... (ci fu una lunga pausa)
Per creare qualche sentimento, qualche interesse nell’opinione pubblica. Non so
dire perchè ho questa paura.
-la parola chiave è proprio paura. Tu credi che vogliano creare la paura. E
anche qualcos’altro...
-si, qualcos’altro, anche. L’altro elemento chiave della storia è la mia
curiosità, ossessiva ... Ecco, vedi: il progetto potrebbe essere quello di creare
paura e anche morbosa curiosità. Ma è pazzesco.
-tante cose sono o sembrano pazzesche. Tuttavia bisogna seguire ciò che si
sente. Considera che per molti la paura, quando è insopportabile, si trasforma
in qualcos'altro: odio, sfiducia, allontanamento dalle istituzioni o dalla società
in toto, coazione a ripetere...
Solo che tu devi proteggerti. Limitati da ascoltare quello che senti dire.
Oppure parla con gente fuori, gente pulita. Quando sai qualcosa me lo
comunichi, e io provvedo alla ricerca di informazioni. Magari c'è solo una
possibilità su mille che questa storia sia vera. E se fosse proprio quella
possibilità, quella giusta? Sarebbe una storia pazzesca, come dici tu. E anche
pericolosa, per dei pesci piccoli come noi.
Perciò, all’occhio. Sentiamoci ogni volta che abbiamo novità. Devi usare solo
ed esclusivamente questa linea telefonica del giornale, che è abbastanza sicura.
Non dirmi mai cose importanti coi mezzi di comunicazione. Usa questa scheda,
quando chiami. È offerta dalla casa. Mai altri telefoni. E se parliamo di
persona, dobbiamo essere soli e in ambienti “mobili”, come questo. (eravamo
in un parco, in pieno giorno. Un posto molto bello. Lo aveva scelto lui,
naturalmente. C'era pure il laghetto e la barchetta per le soffiate clamorose...)
Ok? Ah, un’altra cosa. In queste faccende occorre molta pazienza, perchè per
arrivare a qualcosa potrebbero volerci anni. Questo è quello che insegna
l’esperienza. La storia, se vuoi.
-ma dimmi un po’, come ti trovi a fare questo lavoro? Mi sembra grandioso.
-ho cominciato presto, a scrivere. Solo che la fantasia mi si scatena solo in
presenza di fatti, di fatti strani. Non invento storie, come Carlo. Non ne ho
genio. Invece mi piace da matti inseguire, domandare, parlare con la gente
stando attento alle sfumature, finchè non colgo qualcosa che è sfuggito a tutti. È
la mia vita. E mi piace.
-non hai paura?
-e di cosa?
-non so, rappresaglie...
-vedi, io di travaglio ne ho poco! Li da me ci conosciamo quasi tutti di persona.
Ci incontriamo per strada.
-appunto.
-ma ti immagini, uno che mi manda i sicari? O una bomba? Mica siamo sotto
l'ombra della cupola, siamo lontani. No, al massimo può scapparci una rissa, un
cazzotto, dal diretto interessato. È successo, so che stai per chiederlo, con un
marito cornuto. Neanche mi fossi fatto io sua moglie! E tu, come ti trovi, da
carceriere?
-non sono mica carceriere! Operò nel sociale ...
-ma si, caricavo. Sai, noi giornalisti, malelingue...
-non mi trovo male, a fare la vita che faccio. Un po’ precaria, magari, ma
interessante.
-riguardo alla precarietà, non ci facciamo mancare niente. Ormai siamo tutti
nella stessa barca, amico mio. Anzi, la vedi la mia barchetta, li? (indica la sua
utilitaria scassata) Non è per non dare nell’occhio. Anche i giornalisti fanno la
fame. Credimi. Per Carlo è diverso. Lui ha sfondato. Ma si merita tutto il
successo, per quello che ha patito ...
-sono d’accordo, però , attenzione, anche lui deve vendere. Se un libro
va male, e quello dopo magari pure ... Mica ha il conto in Svizzera!
-ma e vero che tu hai letto tutti i suoi libri? Come hai fatto?
-ah, ah, ah! La dice anche lui, questa! Sono belli, i suoi libri, davvero.
-come ti sembra che vada la sua carriera?
-sempre meglio, lui scrive sempre meglio, il che è notevole. Però il mercato
è quello che è, è capriccioso. Oggi va questo, domani non va più.
-eh, gia. Invece la cronaca tira sempre. E anche la galera... Pardon,
il sociale! Ora e tardi, che fai, torni a casa o vuoi fermarti?
-no, vado, domattina levataccia.
-a presto, allora. Aspetto tue notizie ... E muoviti con prudenza.
-a presto!
Presi due spicchi d’aglio e li pulii come solo chi sa pulire gli spicchi d’aglio in
quella maniera fa. Misi un po’ d’olio di oliva in una pentola. Feci imbiondire
l’aglio prima di toglierlo. Il più delle volte lo faccio anche scurire l’aglio, l’olio
prende più gusto e l’aglio si può anche mangiare a parte, anzichè buttarlo.
Addirittura, nero, cioè abbrustolito, è buonissimo, ma l’ho mangiato poche
volte nella vita, perchè il cuggino dice che fa malissimo alla circolazione
cardiaca. A questo punto, abbassando la fiamma al minimo, inizia l’alternanza
che crea la mia zuppa di pesce stile mediterraneo, vale a dire che si mette del
solido, il pesce, e dei liquidi, che andiamo a vedere, sempre usando la misura
convenzionale, e anche un po’ vaga, del “bicchiere”. Misi nell’olio caldo dei
pezzi di pesce che avevo pulito nel lavabo, gallinella e scorfano (che è rognoso
da pulire) ma vanno bene anche spada e tonno, purchè la carne sia spessa e
grassa, si sciolga un poco ma non del tutto. Poi il primo bicchiere, vino bianco
locale sfuso. Potrei anche nominare un vino, ma a che pro? L’alcol evapora e
resta solo il caratteristico aroma appena accennato. Quindi, a distanza di pochi
minuti, ecco i gamberi. Interi, io li metto interi. Poi bicchiere di acqua, si,
acqua di fonte. Non ci sarebbe bisogno di salare, ma un pizzico, con l’acqua, si
può aggiungere. La musica che avevo messo su (sempre il favoloso player,
multifunzione, regalo del cuggino) era la migliore che conoscessi.
Avevo “stappato” per l’occasione Bitches Brew e In a silent way di Miles, i
dischi che hanno cambiato tutto. Erano appena usciti in edizione integrale,
tutto il registrato, compresi i cazziatoni sottovoce di Miles. Stava girando
Bitches, Bennie spargeva il tappeto di note basse che si intrecciavano col sitar
di Balakrishna, mentre Herbie teneva il pedale e Wayne era in agguato col
soprano. Erano contenuti anche testi e foto, nella scatola magica. Un portento.
Cos’era quell’uggiolare? Un cane? No, è Airto col talking drum brasiliano del
quale dimentico sempre il nome. Il nostro putipu.
Quindi aggiunsi i moscardini, in ciuffi. Poi bicchiere di cubetti di pomodoro.
Ancora, pesciolini interi e anelli di totani. Poi bicchiere di ... E qui mi
sbizzarrisco con un tocco di oriente: salsa di soja e alghe tritate. Alla fine ci
metto un mix di erbette (segreto!) e qualche cozza e altre conchiglie, tipo
vongole, gentile omaggio dello zio pescatore...
Barbarella, la donna che aspettavo mentre cucinavo, era arrivata. Aveva
suonato il citofono, e mentre le rispondevo mi ero ricordato di chiudere la porta
del bagno e spalancare la finestra, stando attento a non decapitarmi. Fuori
nuvole scure coprivano il cielo.
Aveva un po’ più di trent’anni, scura e misteriosa. Entrò in tutto il suo
splendore. Vestito bianco. Tacchi. Molto bella e molto affascinante. Capelli
corvini e occhi uguali. Ma con un che di sofferto, di inquietante, anche. Ci
eravamo conosciuti organizzando un cineforum, e scoprendo gusti comuni, la
scusa per vederci da soli era stata quella di vedere o rivedere certe chicche.
Quella sera toccava a “Piccoli omicidi”, un film americano degli anni settanta,
in lingua originale coi sottotitoli, edizione rara resa possibile da un gruppo di
entusiasti sottotitolatori volontari. Esistono. Entrò e l’abbracciai, per
esagerare. Recava con se una bottiglia di bianco, perchè diffidava un po’ delle
mie scelte, forse a ragione.
La bottiglia era un Aragosta di Alghero, vino a costo accessibile, ma ottimo
col pesce. Anzi, il mio preferito. Me ne rallegrai. La zuppa era pronta, perchè
in venti o trenta minuti è giusta e oltre diventa francese. Ne parliamo un’altra
volta, di quella francese. Aspettammo qualche minuto col coperchio alzato
perchè si freddasse appena appena. Era ottima, anche più carica del solito,
perchè Gennarino mi aveva suggerito di metterci mezzo dado di pesce.
Mangiammo e bevemmo gustando tutto e ridendo di... Gusto. La musica era
gustosa anch’essa, e pregustavamo il film. E forse altro?
Il film era piuttosto bizzarro. Narrava di un fotografo, un ottimo fotografo, che
ormai riusciva a fotografare solo merde. Evidente metafora del tempo. La storia
era sceneggiata da Jules Feiffer, un visionario, e diretta da Alan Arkin, un pazzo
della compagnia di Cassavetes, Falk, eccetera. Ma i pezzi forti erano le figure
femminili, e la gigantesca, surreale interpretazione di Vincent Gardenia, un
attore strepitoso, e poi vari camei, come il prete spretato interpretato da
Sutherland. Finiva per precipitare nella distruzione della società
americana/occidentale, con Elliot Gould, un’icona dell’epoca, a sparare non più
foto ma proiettili, e sui passanti (non sulle merde).
Il film lo guardammo abbracciati sul divano. Stavo bene. Come avevo fatto?
L’amore, probabilmente. Cominciava a insinuarsi in una certa qual forma. Ma
non ci pensai. Quanto al resto della nottata...non vorrete mica che scenda in
particolari?
Il bar era a Vieux Nice, ma i tavolini davano sul lungomare, sul marciapiede di
fronte c'era l’ingresso della spiaggia. Il giornalista si era appostato a cento metri
di distanza, su un molo, vestito come un cretino, e fingeva di fotografare
gabbiani appollaiato su un seggiolone pieghevole, mentre in realtà il suo zoom
potentissimo era puntato su di me. Appoggiata a un palo del molo c'era una bici
che aveva noleggiato. Avrebbe tentato di seguirmi senza dare nell’occhio.
Nell’insieme sembrava geniale. O suicida. O un mix delle due cose. Il sole
splendeva già da ore. Io trangugiavo cola e cercavo di leggere una gazzetta
quasi priva di interesse. Questo mi permetteva di pensare. Purtroppo. Dopo
quasi un’ora una grossa berlina accostò. Si apri una portiera e un ragazzotto coi
capelli unti, o “gelati”, mi fece segno di avvicinarmi, e mi disse:
-sali dietro.
Finsi di recuperare delle carabattole e misi platealmente dei soldi sul tavolino
facendo segno ai camerieri, cercai di guadagnare tempo per il mio
giornalistabirduoccer-inseguitore. Salii in macchina. Accanto al ragazzo c'era
un autista, un nero robusto e pieno di orecchini. Il ragazzo disse: -tieni
l’appuntamento col don, vero?
-diciamo di si. Mi manda suo fratello.
-bene. Hai detto pure troppo. Non parlò nessuno per un quarto d’ora. Resistevo,
non volevo girarmi, ma nelle curve con la coda dell’occhio cercavo di
individuare un ciclista. Ma niente. Giungemmo in un grande centro benessere.
L’auto scese in un garage sotterraneo. Prima di scendere dalla macchina, vidi
un tipo in gessato blu leggero e capelli unti, o “gelati”, che scambiava dei segni
col ragazzo. Dietro di lui stava un altro nero. Seguii i due accompagnatori fino
a un ascensore, e poi in un corridoio pieno di porte. Il ragazzo mi porse un
sacchetto e mi indicò una porta.
-cambiati li dentro, puoi lasciare tutte le tue cose, poi vieni con costume e
accappatoio e ciabatte in fondo al corridoio, dove sta una piscina. Li ti aspetta
il capo.
Parlando aveva rivelato l’accento campano. Il nero invece doveva essere
muto, e forse anche cieco, perchè mi guardava come se non mi vedesse. Mi
cambiai. Nel sacchetto c'erano due costumi, due accappatoi, due ciabatte, tutta
roba di qualità.
Uscii e mi diressi in fondo al corridoio, dove c'era una porta a vetri che filtrava
bagliori azzurri. c'era una piscina in marmo decorato, forse finto, una cosa
sfarzosa, che voleva ricordare l’antica Roma, nelle intenzioni. In realtà era un
impianto termale con acqua quasi bollente, tipo onsen giapponese. Nell’acqua
c'era un solo uomo, quello che prima era fuori in gessato blu leggero. Mi invitò
ad entrare in acqua. Ricordava suo fratello, vagamente nei tratti.
L’impostazione però era la stessa. Abbronzato, look da italoamericano, capelli
grigi tirati indietro, tatuaggi.
-sono Vito Volturno, entra piano, è molto calda. Ma fa un gran bene. Mentre mi
calavo nella confortevolissima acqua, notai il nero seduto su una panchina, due
metri più in la.
-allora, che si dice? Mio fratello mi ha parlato bene di te. Ti ho invitato a fare
il bagno balsamico perchè è un modo infallibile per evitare perquisizioni,
intercettazioni e altri sospetti. Qui dentro non si può ne registrare ne
fotografare ... Così stiamo tranquilli. E mo’ che sei a tuo agio, dimmi pure
tutto quello che ti serve.
-vede, come le avra accennato suo fratello, sono personalmente interessato
alla faccenda della tarantella ... Posso fare nomi?
-e certo! Siamo solo noi due e Abdul, ma quello non vede non sente e non
parla.
-insomma, la storia di Pizzichini mi tocca, soprattutto per quanto riguarda i
bambini.
-tieni parenti o amici coinvolti?
-si.
-mi dispiace. In virtù del legame che hai con mio fratello, ti posso dire che
questi delitti non sono casuali, ma sono stati commissionati
appositamente.
-da chi? E perchè? E...
-frena, uaglio’! mica sono il computer della polizia. Quello che ti posso dire, e
ti ripeto che te lo dico volentieri, è che queste azioni sono state
commissionate da una famiglia che vuole usare esterni, cioè uomini di altre
famiglie. Perchè non lo so, può essere che questa famiglia abbia interessi
nella cosa, può trattarsi di vendette, mi capisci? Oppure di lavori su
commissione, scambi di favori…
-ma si trattava di bambini, di ragazze...
-quel che si deve fare si deve fare. Pure a me è dispiaciuto quando hanno
ammazzato il figlio dell’infamone, ma, come dicono i latini, morse la tua e
non la vita mia ...
-detta così, mi scusi, e un po’ vaga...
-io ti dico quello che posso dirti. Ti ho offerto bagno e chiacchierata. Per tua
enorme regola, nomi non se ne fanno mai, a meno che non si tratti di traditori
infami, allora si nominano per l’ultima volta. Ti posso dire, però , e te lo
dico, perchè più che di soci si tratta di concorrenti, che la comanda e partita
dalla ‘ndrina della Sila. Calabresi. Perchè non lo so. Se vuoi puoi chiederlo a
loro. Ma non te lo consiglio. (si fece una grassa risata) Ti ho già detto molto.
E qui lo dico ...
-e qui lo annega!
Mi scappò di bocca. Tutto quel calore, la stanchezza e l’adrenalina
cominciavano a fare scherzi ...
-esatto! Tiene raggione fratemo a dire che sei chicazz! Tra un poco usciamo di
qua perchè se no ci viene l’infarto. Quando ti riaccompagnano, mio nipote ti
darà un pacchettino, una cosa piccolissima da portare a fratemo. Non ti
preoccupare, non è niente di compromettente, un oggetto di uso comune, che
tutti abbiamo addosso. È importante che ce lo fai avere. Se poi ci fossero
problemi, tu sai che fai? Vai da frate mitra, quel ricchione di prevete che sta in
carcere, gli dici che ti devi confessare, e poi gli confidi il problema, e lui
pensa a tutto. Ti chiedo questo piccolo favore, e anche di scordare questo
posto, il bar... E la targa della macchina, caso mai l’avessi memorizzata senza
volere.
Ero allibito. Ma cosa mi aspettavo, dalla mafia? Il nero mi fissava da un po’,
altro che cieco e sordomuto. Mi venne da pensare fosse...omosessuale.
Naturalmente era un delirio da esaurimento.
-ti chiedi perchè uso i neri e non qualche bravo ragazzo dei nostri? Questi sono
fidati, sai, sono pronti a tutto, sono indistruttibili, e poi, so’, come si dice, so’
leali. Non tradiscono. A meno che, sai com’e, se Maometto non va alla
montagna, va al mare, no? E poi i tempi cambiano. Noi ci stiamo
internazionalizzando, abbiamo affari in tutto il mondo. Ma che te lo dico a fare?
Tu sei intelligente. Sei professore no?
-non proprio.
-vabbuo’, uaglio’, ammuncinne. Non c'è bisogno che mi ringrazi. Aiuta quella
povera disgraziata di mia nipote, che ne ha bisogno. Abdul, pretaportee cet
homme a son bar favori! Tu parli francese?
-poco.
-abbuo’, questo capisce pure nu poco e italiano. E poi non dovete fare
fermate intermedie. Stammi buono.
-arrivederci, don...Vito.
Mi sembrava un’altra gaffe, ma invece si fece una bella risata e uscì
dall’acqua, sparendo dalla mia vista. E dalla mia vita, speravo.
Mezzora dopo ero al bar. E mezzora dopo ancora il giornalista, dall’altra parte
della strada, mi fece cenno di andare alla macchina. Salii come avevamo
concordato, fingendo di aprire con la chiave, mentre lui era già sdraiato
dietro. Presi la via diretta verso l’autostrada.
-allora, com’è andata?
-quel bastardo non mi ha detto un cazzo e mi ha dato sto pacchettino da portare
a suo fratello! Cornuto e mazziato. Non bisognerebbe mai giocare da dilettanti
coi professionisti.
-aspetta, fermiamoci a mangiare in un autogrill e raccontami tutto per bene.
-che vuoi che ti racconti, mi ha rifilato un sacco di fregnacce, a bagno dentro
una piscina di acqua calda, e poi se n’è uscito co’sta novità del pacchettino.
Dice che non è niente di compromettente, che se me lo trovano è un oggetto
di uso comune, anonimo. E che, se ho dei problemi, di rivolgermi al prete
del carcere.
-cosa?
-si, hai capito bene.
-non possiamo aprirlo ‘sto pacchetto?
-penso di si, a meno che non si accordino sul tipo di confezionamento ...
Ma mi sembra un involto di carta o plastica, veramente anonimo. -lo
vedremo. Ci fermammo nel primo autogrill italiano, per bere un caffe
decente.
Avevamo talmente sonno che ci mettemmo a dormire subito, ripromettendoci di
esaminare la situazione al risveglio. Due ore dopo, con un altro bel caffè,
eravamo tutti e due di nuovo pronti a ragionare. Il pacchetto, invero minuscolo,
sembrava imponente, sul sedile posteriore. Il giornalista aveva idee chiare.
-l’ho esaminato. Non c'è verso di disfarlo senza che si noti. Però ti posso dire
che l’involucro di plastica, contenuto dentro la carta da pacchi, pesa pochissimi
grammi, non contiene sostanze tossiche, occupa lo spazio di un’unghia. In
altre parole, li dentro non ci può essere altro che una scheda telefonica.
Torna con quanto ti han detto: è un oggetto di uso comune, che chiunque può
avere in tasca. Se però ti beccano mentre lo consegni, una telecamera per
esempio, passi i guai di sicuro. Ho pensato due cose: usa il prete, digli che
non puoi scendere in sezione, che devi andare via urgentemente, e dagli il
pacchettino. Così vedi anche come si comporta. Gliela scarichi a lui, no?
Naturalmente in un luogo sicuro, possibilmente fuori...
-il boss ha detto di confessarmi, perciò nella cappella. Scommetto che è
l’unico posto non microfonato. E l’altra idea quale sarebbe?
-non scommettere sul confessionale pulito. Le vie del signore sono infinite ...
L’altra idea è questa: conosci un poliziotto? Un vero sbirro, intendo, di quelli
che lavorano in questura?
-direi di no. Cioè si, ma fidati, no. Perchè?
-secondo me, e sai che non parlo a caso, è meglio se, in maniera informale,
parli della faccenda della tarantella con un poliziotto intelligente. Non fare
battute, ce ne sono.
Questo servirebbe a parare il culo a te e, se permetti, giunti a questo punto,
anche a me. Naturalmente dovresti esporre i fatti in modo generico, basandoti
su tue impressioni e omettendo tutte le fonti tranne radio sbarra. Vale a dire:
ho sentito questo e quest’altro. Nemmeno un nome.
-e quello poi non attacca con le domande, ne parla coi superiori, e insomma:
passo dalla brace alla padella?
-non credo. Se ti useranno come uno dei loro canali, come gli informatori, non
hanno ne interesse ne legittimità a sputtanarti. Prenderanno atto dei sospetti
che tu butterai sul piatto e ti ringrazieranno. Non possono trattenerti, ne
tantomeno cacciarsi nel roveto del carcere, che compete ad altra giurisdizione.
Perciò ti ringrazieranno e ti benediranno. Come il prete.
-ora che ci penso, uno lo conosco. Non so se è fidato, e neanche intelligente.
Però siamo legati da un filo comune. Lui è parente di un ragazzo che è morto
in comunità qualche anno fa. Abbiamo parlato un poco e mi pare che potrebbe
darmi ascolto ... Oltretutto fa parte di una forza di polizia che si muove dietro
le quinte...cioè, non va in giro in divisa, capisci?
-molto bene! Allora chiamalo domani e digli tutto quello che sappiamo. Di
persona. In un secondo momento, vedremo, puoi anche dirgli che ne hai
parlato a me, in quanto amico e non giornalista. Stiamo per arrivare. Mi
raccomando, tieni la bocca chiusa con tutti e smetti anche di registrare
l’amico Cappa. Lasciarci la pelle non vale il piacere. Lo stesso vale anche per
me.
Tornai a casa stanchissimo, nonostante il bagno caldo. Chiamai la questura e
chiesi dello sbirro amico. Non c'era, sarebbe stato in servizio la mattina dopo.
Lui era il cognato di Gino, un uomo che era stato un periodo in comunità.
Questo Gino aveva una particolarità: era stato alcuni anni in servizio nei
carabinieri. Ma non era un carabiniere comune. Se il suo curriculum
corrispondeva a quello che mi raccontava, era d’eccezione: missioni di “pace” e
scorte ai magistrati in Sicilia, durante le offensive della mafia, purtroppo
vincenti. La sua mente era rimasta sconvolta da due fatti. Il primo erano i morti
che lui stesso aveva causato in Palestina, in azioni di incursione a protezione
degli uomini della missione. Il secondo era la paura che aveva a scortare i
magistrati. Era sicuro che sarebbe morto con loro. Tanto che un giorno,
nell’impossibilità di essere trasferito ad altri incarichi, proprio per l’esperienza
e l’affidabilità mostrati all’estero, tentò una carta della disperazione. Si iniettò
dell’eroina, e poi disse che era tossicodipendente. Il comando la prese fin
troppo seriamente. Gli comunicarono che, data la delicatezza degli incarichi che
ricopriva, e la gravità del fatto, che pregiudicava completamente la sua
posizione, era espulso dall’arma immediatamente. E con disonore. Cioè senza
benefici. Si ritrovò così senza lavoro e senza soldi. Ma il peggio doveva ancora
venire. Tornò a casa. Usava regolarmente psicofarmaci. Anzi, non proprio, ne
abusava. Sua moglie, mi sfugge la ragione, osservava la medesima usanza.
Avevano un figlio, un ragazzino che andava alle elementari. Gino, non trovando
alternative, iniziò a sfruttare la grande esperienza accumulata nel territorio
borderline delle investigazioni private, sinchè non si trovò a contatto con la
malavita. E divenne spacciatore prima, e autista di fiducia di un boss poi. Un
giorno trovò la moglie morta di overdose da farmaci. La sua mente, già
vacillante, ebbe un crollo. Considerava quella disgrazia come il castigo divino
per gli omicidi, che tali erano, commessi durante il suo servizio. Era sfuggito
alla morte in Palestina, in Africa, in Sicilia, e anche la benemerita lo aveva
graziato, lasciandolo coi suoi segreti. Ma alla fine Dio lo aveva colpito così,
subdolamente. Divenne un paziente psichiatrico. Durante il reinserimento mi
confidava che non riusciva a dormire, a causa dei ricordi che riaffioravano dal
passato. Viveva di psicofarmaci e sigarette. Non voleva vedere neppure il figlio,
per paura di fare del male anche a lui. Tutti gli volevano bene, e lo cercavano
per parlare con lui. Fino al giorno in cui mi chiamarono per dirmi che era
sdraiato per terra nel bagno della sua stanza. Era morto, non c'era più nulla da
fare. I carabinieri mi interrogarono a lungo, insieme a tutto il personale che
aveva lavorato con Gino. Quando accennai loro allo stato di servizio di Gino, si
mostrarono sorpresi e non tornarono sull’argomento. Allora ne parlai con lo
sbirro, che avevo conosciuto al funerale.
Siccome si offri come tutore del ragazzino rimasto orfano, discutemmo sui
dettagli. Poi gli dissi di Gino, delle sue paure, del fatto che, in mancanza di
una dichiarazione pubblica sulla autopsia del corpo di Gino, il che aumentava
i sospetti, tutta la vicenda mi faceva pensare che Gino fosse stato una vittima
della coscienza sporca del corpo dei carabinieri. Nel senso che era crollato
psicofisicamente ... Niente di mistico.
Inaspettatamente, lo sbirro fu d’accordo con me. E non in virtù dell’antica
rivalità tra corpi di polizia. In fin dei conti aveva perso una sorella e un
cognato, quello avevamo condiviso e quello ci legava. Mi disse che lo stato ti
trattava come un signore, mantenuto discretamente e impunito, solo fino a che
lo servivi. Gli servivi. Dopodichè, ognuno per se. Chiaramente, Gino era
diventato un grosso problema. Ma con la certificazione di tossicodipendenza e
malattia psichiatrica si era annientato da solo. In tutti i sensi. Comunque lo
sbirro non aveva voglia di parlare del cognato, voleva piuttosto sapere come
fare per ottenere l’affidamento del nipote. Con tutto quel che ne seguiva. Mi
addormentai ripensando alla vita di Gino il carabiniere incursore.
-sociologo? Lo sbirro mi accolse con una battuta che conoscevamo e alla
quale non potevo non rispondere.
-sociopatico, dotto’, sociopatico! Come ti vanno le cose?
-che vuoi fare? Sempre in questa valle...
In effetti non era cambiato, un po’ più chiattello, i capelli biondastri appiccicati
e gli occhiali scuri sempre sul naso, secondo me ci dormiva, per un effetto
totale di trasandatezza quasi studiata. Ah, e il toscano spento appeso alle labbra,
per credersi Clint Eastwood.
La faccia rideva sempre, in posizione di riposo ... Ci eravamo dati
appuntamento nel bar di fronte alla questura, dove se non eri guardia potevi
essere solo...
-allora, che soffiata sei venuto a farmi?
Gli dissi, molto sommariamente come suggerito dal giornalista, di avere
sentito cose riguardanti un certo killer di mafia implicato in delitti anomali e
forse sul punto di parlare. E perciò minacciato ... La feci più confusa che
potevo. Lui cambiò espressione, non rideva più.
-ma cosa mi racconti? Vuoi dire che hai sentito tutte queste cose nei corridoi?
Sono tutti impazziti la dentro? Oppure qualcuno si è confidato con te e non
mi vuoi dire il nome?
-no, ho messo insieme mezze parole e dicerie di radio sbarra, e ho voluto
parlarne con qualcuno per confidarmi ... Uno dell’ambiente come te, che
magari sa che farne delle informazioni. Ne ho parlato ieri con un amico, ma lui
sa ‘na sega.
-voi buonisti mi fate impazzire. Volete salvare il mondo e poi tanto le cose
fanno il loro corso.
Hai visto com’e finito Gino? E quanti altri ne ho visti finire così. E non mi
tirerai mica fuori la sociologia, adesso? Quella è colpa della società?
-macche’! Ci sono uomini e uomini. Ma ci sono anche crimini e crimini. Questa
storia, converrai, e molto anomala. Che c'entra la mafia con le storie malate? E
non è che dietro spunteranno le deviazioni statali, qualche tuo collega
mascherato...
-e se fosse, che te frega a te? E che ci potresti fare? Mica sei uno sbirro. Non
capisco quale può essere il tuo scopo; il vostro motivo, di voi zecche pelose, a
venirvi a mettervi in mezzo. Volete salvare il mondo? O fare indagini voi?
-se mi interessano certe trame, è solo per cercare di capire, e magari dare una
mano perchè certe cose non accadano più. O accadano meno, per essere realisti.
D’altra parte, a quelli come Gino una mano ho sempre cercato di darla.
-ma si, scusa, sono un po’ nervoso. Siamo già pieni abbastanza di merdate ...
Ma questo è un mio problema. Può darsi che queste tue impressioni possano
servire, in futuro. A proposito, visto che sei interessato alla storia...
-mah, veramente...
-si, si, guarda, stanno traducendo qui il Sante, te lo ricordi, quel politico
di quella banda famosa? Ci hanno fatto pure il film.
-si, mi ricordo. Ma non aveva scontato?
-certo. Ma lo fanno testimoniare coatto in una vecchia storia di terrorismo, sai
quel giudice di qui, azzoppato ... Lo hanno convocato con le buone e lui ha dato
picche, allora gli hanno ricordato i suoi ventisette anni passati, un po’ diversi da
quelli di Mandela. E la pericolosità sociale. E così si e convinto.
-e cosa c'è di interessante, dal punto di vista storico?
-beh, Sante rappresenta il passato, sai, il solista, il bello, la banda di qua e la
banda di la ... Quando, insomma, uno con una macchina, un’arma e un
compare metteva in scacco una città. Poi è arrivata la politicizzazione, lui è
stato uno dei primi a contaminarsi. Non dico fosse meglio prima, ma ci si
distingueva più chiaramente. Almeno così mi racconta mio padre. Io ero un
ragazzo.
-anch’io. Comunque, poi è subentrata la mafia di stato, e fine del film.
-m’hai ammazzato la poesia. Evvabbe’, si vede che pure tu c’hai i tuoi pensieri.
Se dovessi avere bisogno chiamami a questo numero. Se scopro qualcosa, lo
leggi sul giornale! Mi strizzò l’occhio e si diresse verso l’entrata del suo
ufficio. Non eravamo tornati sui dolori passati. Avrei voluto chiedergli del
nipote, ma avevo la testa altrove. Tornai a casa. Era bello ma non avevo voglia
di fare
niente.
Figurarsi lavorare. Mi salvava il cumulo orario.
Controllai la posta, era un po’ che non lo facevo.
Tornai a casa dopo cento giorni. Cento giorni pieni di passione, di casini e di
una fatica defatigante, se mi concedete.
Ma questa storia, lo capirete, non ci può stare qua dentro. Vi racconterò,
invece, cosa ho trovato al mio ritorno. Quasi niente di diverso, per la verità. E
poi, quando ritorni a contatto con la realtà fondamentale della vita, la realtà
della sopravvivenza, tendi a ridimensionare tutte le cose, che prima ti
sembravano così importanti, se non prioritarie. Per dirne una, il contatto che in
quei cento giorni avevo avuto con la morte, un rischio remotissimo per quanto
riguardava me, è una realtà per parecchi cadaveri in carne e ossa ... Mi fecero
ripensare al mio personale rischio nell’affare della tarantella. Prima di tutto: chi
mi credevo di essere per temere di essere ucciso? E, secondo: era probabile
questo evento? Da uno a dieci quante possibilità avevo di essere trasformato in
cadavere, come uno di quelli che avevo visto nell’ospedale dove avevo
lavorato, o nei centri di accoglienza che bazzicavo, o per le strade africane,
addirittura? Il Principe avrebbe detto,
sollevandomi un gomito: “ma mi faccia il piacere!”
Archiviato dunque questo argomento cominciai, per contrasto o per paradosso,
a percepire quanto i tempi stessero cambiando, qui nel nostro bel paese,
probabilmente in tutta l’Europa e nell’intero Bengodi.
In peggio, naturalmente, in peggio. Si stavano avvicinando a grandi passi tempi
davvero duri. Quasi tutti quelli che conosco, e la mia unica ricchezza sono le
migliaia di persone che conosco in ogni dove, mi rivelavano problemi di
sostentamento, di garanzie per il futuro, ovvero di mancanza se non
impossibilità di progettualità. Non so perchè ho detto quasi tutte. A pensarci,
non mi viene in mente nessuno che mi abbia detto di essere tranquillo. Anche le
persone coi soldi, certamente. Non basta avere soldi per essere tranquilli. I soldi
vanno coltivati bene, se no muoiono. Lasciatevelo dire da uno che, di soldi, non
ci ha mai capito un cazzo.
Torniamo allora alla tarantella, che adesso, in questo mutato quadro di crisi
globale, questo quadro senza più cornice e con ancora pochi colori, in cui
riscopriamo di nuovo il sentore della sopravvivenza, mi sembra non solo
accettabile, ma addirittura quasi normale. Insomma, che sarà mai, se un
apparato misto pubblico privato, cioè sommerso statale e imprenditoria
criminale organizzata, dovesse compiere delitti senza movente per scopi che
al momento sfuggono alla mia limitata mente? Pensateci. Perchè no?
Lasciatemi ritornare dolcemente nella realtà quotidiana, dolcemente in senso
motorio, s’intende.
L’idea amletica, pirandelliana o eduardiana, o’triato dint’o’triato, mi attira
molto, ma probabilmente prenderebbe troppo spazio. Durante la mia
permanenza in Africa avevo abbozzato uno spettacolo teatrale da fare in
carcere, in cui si metteva in scena la storia della tarantella, per vedere che facce
avrebbero fatto gli spettatori, per vedere se qualcuno di loro si sarebbe
tradito ...
Avevo già un abbozzo di sceneggiatura da far vedere a Pippo ma, come si può
intuire, la cosa avrebbe incontrato diverse asperità. Primo: l’idea l’ha già
avuta Shakespeare, appunto nell'Amleto (infatti il mio titolo era “Amuleto”.
Così lo pronuncia un noto spacciatore siculo che si sta facendo qualche anno
ma che quando esce, dice, cia’ un miglione e sette, e due locali gestiti dalle
sue donne...) Perciò qualcuno potrebbe accusarmi di plagio.
Secondo: Pippo si incazzerebbe come una belva. E a ragione. L’ultimo
spettacolo era saltato proprio per divergenze con lui, ma lasciamo stare, la
divagazione ci porterebbe troppo in la. Terzo: i detenuti attori, o gli attori
detenuti, fiuterebbero il marcio, anche lontano dalla Danimarca. Anche i
tossici e anche i matti. Sapete di quello che disse: siamo matti, mica scemi?
Quarto: se poi, per ipotesi, lo spettacolo andasse “in scena”, quanto camperei?
Allora si, a scherzare col fuoco ... E quinto fate voi, sicuramente e stato solo
un passatempo delle notti insonni d’Africa, tra zanzare, disperazione e
umanità. Ma non potevo certo baloccarmi con progetti del genere. Dovevo
invece recuperare il tempo perduto.
Incontrai prima Hamid per un cous cous a casa sua. Era un amico fidato e
discreto, e mi avrebbe ragguagliato sui tre mesi di mia assenza, senza chiedermi
nulla in cambio. Per la verità, lo avevo tenuto all’oscuro di tutto solo per il fatto
che aveva passato già abbastanza guai, tra la fuga dal suo paese, la
regolarizzazione nel nostro, equiparazione degli studi, lavoro, casa, famiglia.
Gli volevo bene, non volevo rischiarlo. c'era stato un solo fatto degno di nota in
quei tre mesi. Anzi due. Il primo era un mezzo fatto, non ancora confermato: il
detenuto kosovaro Barack Zawich, detto Baraneik, non era rientrato da un
permesso. Mancando da oltre ventiquattro ore si disperava di rivederlo tornare.
Lampo a cielo sereno.
c'era stato invece un fatto di sangue. Un detenuto somalo si era impiccato,
dopo tutta una serie di richieste che erano state ignorate. Anche perchè non si
capiva bene cosa dicesse. Sic. In cella con lui c'era uno dei personaggi più
terrificanti dell’istituto, un ex macellaio del Madagascar, stando ai documenti,
completamente pazzo, che nessuno riusciva a capire. E nessuno sapeva che ci
facesse di preciso in galera. E ora ci si poteva anche chiedere: e che ci faceva
in quella cella, con un detenuto depresso e in sciopero della fame?
Peppe aveva chiamato Hamid e gli aveva detto che gli toccava la traduzione
dell’interrogatorio del “norcino malgascio”, come lo definiva lui. Hamid mi
riferì di una conversazione alquanto surreale, durante la quale il presunto
francofono rispondeva a gesti, finchè non esplose letteralmente in una
delirante versione del fatto, in un italiano televisivo. Che era questa: “Gesù
Cristo è arrivato e ha detto a lui di morire e a me di non fare nulla, di non
intervenire contro la volontà divina.”
A parte questa tragedia, subitaneamente affossata dagli organi competenti,
non era successo altro di memorabile. Mangiammo il buonissimo cous cous in
compagnia della sua bella famiglia e mi apprestai, il giorno dopo, lunedi
lavorativo, a presentarmi a rapporto dal capo.
FRANCIA
Mi ero steso sulla sabbia davanti al molo. Al corredo da bagno fornito dal
boss Volturno durante la mia precedente visita avevo aggiunto un
asciugamano enorme di mia madre, degli occhiali da sole appena comprati e
ancora con l’etichetta, e un cappello di paglia uscito da chissà dove.
Aggiungeteci che mi ero rasato completamente, capelli, baffi e barba, peli sul
petto e ovunque, persino le sopracciglia, in un impeto parossistico.
Vi do un consiglio anche se non richiesto: non rasatevi mai le sopracciglia, a
meno di non voler sembrare uno psicopatico. Non so perchè, ma è proprio
questo l’effetto che ne viene fuori. Sembravo l’uomo caduto sulla terra, in
tenuta da spiaggia, e credo che anche il giornalista avrebbe faticato a
riconoscermi. Comunque, vicino a me c'erano delle ragazzine e una famiglia
di tedeschi quasi albini, perciò non aveva molto da scegliere. Arrivò puntuale,
sempre uguale: dinoccolato, ricci e barba incolta, cappellino e occhiali, jeans
corti e maglietta; come fosse sempre in vacanza, sempre a divertirsi. E con la
macchina e lo zoom montato, naturalmente. Me lo puntò addosso mentre si
avvicinava, penso per non fermarsi a fissarmi e a sghignazzare. Stese il suo
asciugamani accanto al mio e, come un perfetto omosessuale a caccia
cominciò a parlarmi guardando dentro la macchina, puntata sul mare.
-sei perfetto. Tua madre ti riconosce?
-non mi dire niente. Ho dovuto faticare per spiegarle perchè venivamo in
Francia e perchè io ci venivo rasato da capo a piedi. Senti un po’, ma la linea
non dicevi che era sicura?
-per quanto mi riguarda si. Ma se sei ricercato dalla polizia, loro possono
intercettare il telefono, l’apparecchio proprio, indipendentemente dalla scheda
che usi. E se può la polizia, può anche la famiglia... Per questo la prossima
volta userai un telefono pubblico dal quale ti puoi allontanare subito.
-certo che ne hai letti di gialli, tu. Va bene. Dimmi tutto, che se non ci
ammazzano loro finirà per farlo il sole. Nella prima eventualità, sappi che ti
ho sempre amato.
-primo. Pizzichini è stato portato in tribunale con le manette, ma senza catena.
Appena è sceso dal cellulare ha guardato dall’altro lato del viale, c'era un taxi
fermo, si è divincolato dal poliziotto, gli ha mollato una gomitata, e il
pizzardone sembrava tale e quale quello che teneva Oswald a Dallas, hai
presente, quando Ruby gli spara? Vabbe’, dicevo, si lancia verso il taxi,
guardando prima di attraversare, ma quando e in mezzo alla strada
sopraggiunge una macchina, contromano, e lo investe. Andava tipo a cento
all’ora.
Nella macchina digitale c'è il filmato, prendila e guardalo, mentre ti racconto.
Poteva essere un avvertimento, una lezione, o una esecuzione. Fatto sta che
quello era morto già sull’ambulanza.
L’uomo alla guida e stato riconosciuto, è Barack detto Baraneik, il kosovaro
evaso. Non l’hanno ancora preso, ma sono sicuri, bla bla bla. La cosa si
commenta da se.
Secondo. Come ti dicevo, ho poi saputo che il tuo assistito Elmo è scomparso,
anche lui è finito al telegiornale e ci sono appelli tipo chi l’ha visto, perchè è
pericoloso per se e per gli altri, ecc.
Terzo. Tra un po’ si parlerà anche della tua scomparsa. Casa tua ha ricevuto
una visita notturna. c'era niente di importante?
-nel loculo? No. Il materiale ce l’hai tutto tu. Mi auguro tu lo tenga al
giornale. Il registratore e l’archivio del cuggino li porto sempre son me, nella
mia quarantottore, insieme all’indispensabile. Il cult kit. E una pistola.
-stai scherzando? Hai seguito le mie istruzioni? I documenti?
-una cosa alla volta. Certo che sto scherzando, se avessi una pistola mi sparerei
nelle palle. Il passaporto ce l’ho sempre con me, insieme alla patente. Non ho
perso niente di importante, credimi. Quanto alle istruzioni ... L’unica che non
ho osservato è stato il cambio di albergo. Non potevo svegliare mia madre e
agitarla ancora.
-sei un pazzo. Hai rischiato moltissimo. Ma se non altro sappiamo che non ti
stanno addosso. E quindi possiamo stare tranquilli.
-magari mi hanno seguito per vedere con chi mi incontravo, che dici?
Mi spieghi perchè tutte queste precauzioni?
-la prendo come una domanda retorica. Se possiamo essere soddisfatti di una
cosa, è che abbiamo colto nel segno. Il solista era stato ingaggiato dagli
Stomp per uccidere e violentare a caso, per seminare terrore e confusione,
usando complici presi sul campo, cioè dei veri maniaci fuori di testa. I delitti
sono funzionali a una precisa strategia politica, però i committenti politici
possiamo solamente immaginarceli. Questo me lo ha detto un magistrato,
anche se non potrebbe, e me lo ha confermato uno sbirro che con me parla
molto. Qualcosa è andato storto. Forse la ragazza non doveva morire, forse
qualcuno dei fuori di testa si è o ha tradito, insomma risultato che il nostro è
stato incastrato e ha cominciato a ricattare tutti: i suoi mandanti, i giudici, la
polizia. Come previsto, lo hanno eliminato. È evidente che i crimini non erano
collegati casualmente e che non avevano moventi riconducibili alla mafia.
Morto Pizzichini, nessuno potrà chiarire mai le cose. A meno che spunti un
uomo dei servizi impazzito, ma di solito quelli sono rarissimi, e caduchi,
molto caduchi. Perciò complimenti, hai azzeccato tutto. Solo che ora ci sei tu
nel mirino. Io non so, probabilmente mi pareranno il culo. Ma tu devi sparire.
Per sempre, o fino a un miracolo ... Sono qui per aiutarti a metterti al sicuro.
Te e tua madre, s’intende.
-credo nei miracoli. Però non so se e quando mi abituerò all’idea di vivere
come un fuggiasco. Come Carlo...
-come vedi lui è riuscito a tornare, e a vivere normalmente.
-sei sicuro che non ci siano alternative?
-la visita a casa tua, la sparizione di Elmo, oltre ai numeri di telefono che mi
hai mandato e che ho verificato, non lasciano spazio a dubbi, sono segnali più
che sufficienti. Credo che tutte le domande che hai fatto e i viaggi frequenti,
specie quello in Calabria, ti abbiano fatto rientrare nel mirino. Nel target,
bisogna dire adesso. E devi sapere che “loro”, i mafiosi, quando vogliono
possono chiedere alle forze dell'ordine di intervenire...tu adesso gli stai
parecchio sulle palle, anche se sei troppo piccolo per una caccia e
un'esecuzione. Il vero rischio viene comunque da loro.
Il resto lo vedremo, lo dedurremo da quello che la gente e i media diranno, a
come si muoveranno la polizia e la magistratura, eccetera. Andiamo al bar, sto
schiattando. Preferisco morire bevendo una cosa. Intanto tu pensa a cosa
vorresti fare.
Ci avvicinammo al bar. Il sole stava calando ma picchiava ancora.
Ordinammo birra e stuzzichini. Sembrava il preannuncio di una bella serata in
Costa Azzurra.
-stanotte non riuscivo a dormire. Allora ho finito di leggere un libro, l’ultimo
libro di Marino, lo conosci anche tu.
-quello dei cani romantici? Devo ancora iniziarlo. Ma prosegui.
-la storia finisce che il protagonista diventa un collaboratore della polizia
internazionale, viene inscenata la sua morte per annegamento, e lui sparisce.
Ho deciso che potrei fare lo stesso.
-a parte i ringraziamenti per avermi svelato il finale, lo sai che l’idea e geniale?
Ci ho fatto un pensierino anch’io. Ma come procediamo?
-facciamo che vado negli Stati Uniti come turista, vado alla polizia
internazionale e denuncio, filmati e registrazioni alla mano, Francis
Stompanato, o come diavolo si fa chiamare. Naturalmente racconto una storia
ben farcita, mio cuggino dice che sono bravo in questo, ma che sia credibile,
mediamente credibile. E chiedo e spero di essere inserito nel programma
protezione testimoni.
-Stompanato è cittadino americano? Sei sicuro?
-Elmo dice, diceva di si. E sennò come ci vive in America, da anni e anni?
chissà che fine ha fatto. Elmo, dico.
-non credo sia da invidiare. Ma restiamo ancorati, fratello. La tua idea mi
sembra buona, forse ottima, previa verifica. L’importante, come in tutte le cose
è la tua convinzione. Io predisporrò un piano, anzi possiamo cominciare a farlo
insieme, adesso. Dimmi una cosa, tua madre ti seguirebbe? E se poi la
rispediscono a casa? Non sono mica pratico di queste cose, sai.
-vediamo. Intanto gliene parlo. Lei ha studiato poco, ma capisce al volo le
cose importanti. È molto legata alla vita. Ha perso il marito e una figlia, e gli
resto solo io. Mi seguirà senza problemi. La salute è debole qua tanto quanto
la.
-dov’è adesso?
-abbiamo preso una stanza all’Ibis, vicino alla stazione. Ti dicevo. L’unico
dubbio è quello che hai sollevato tu. Non ci ho dormito tutta la notte. Credo
che accetteranno la mia testimonianza, perchè non vedranno l’ora di
sbarazzarsi di gentaglia come Stompanato. Però , da questo punto in poi, ho il
vuoto. Giustizia americana e intrighi internazionali compresi.
-e lungaggini burocratiche, e eventuali poliziotti corrotti, perchè no. Io sono
qui per questo, comunque. E il giornale fornirà appoggio, nei limiti del
possibile. Non hai altre persone in Italia?
(lunga pausa)
-no. Cioè, volendo si. Alcune, decine, centinaia, migliaia. Ma solo una
dipende da me, adesso, ed è mia madre.
-allora: innanzitutto ti servono due biglietti aerei. Facciamo che prendiamo due
Nice-Montreal, che sono i più economici, e ti permettono di arrivare dal
Canada via terra, diciamo a New York. Un vero viaggio di piacere, e piuttosto
sicuro, il che non guasta. I documenti li hai. Dobbiamo vedere se è necessario il
visto. Per quanto riguarda le tue cose, come ci regoliamo?
(pausa per pensare)
-ho qualche soldo in banca, la macchina alla stazione. E basta.
-pensiamoci un attimo. Bisogna che tu mi firmi una delega, o come si chiama.
Insomma mi incarichi di ritirare i tuoi soldi, vendere la macchina, chiudere
tutte le utenze, fare tutte le pratiche in tua vece. Poi dovrai aprire un conto
sicuro da qualche parte. Ma quello, nel capitalismo avanzato, non è un
problema...
-vadi ultra, santana! Come diceva Max il topone. Non vorrei mi svanisse il
patrimonio!
-se necessario posso far venire un mio amico notaio, andavamo a scuola
insieme e non può dirmi di no. Ci vuole tempo.
Poi, può darsi che ci serva un piano b, nel caso gli americani nicchino.
Fammici pensare, adesso mi sono già consumato la pila. Dunque ...
Potremmo fare in modo che nel frattempo la vostra vacanza prosegua.
Vieni, andiamo in una agenzia di viaggi e vediamo che si può fare.
Un’ora più tardi avevamo due biglietti per una crociera alle Canarie. I biglietti
erano pagati in contanti, committente il giornale. Mia mamma come benficiaria.
Il mio nome risultava sulla lista ma non c'era emissione di biglietto nominativo,
come per i voli.
L’arrivo era previsto a Las Palmas de Gran Canaria, con un soggiorno di sei
giorni, ma il giornalista mi chiese, per precauzione, di prendere un traghetto e
andare a Tenerife. In un’ora saremmo stati sull’altra isola e ci avrebbe trovato
una sistemazione presso certi suoi amici che gestivano un albergo a Puerto
Cruz. Ma quanti amici aveva? Ci accompagnò in un altro albergo, all’Esterel,
un posto quasi nascosto, a picco sul mare e molto suggestivo. Altri amici suoi,
probabilmente. Sulle pareti dell’hotel, foto di clienti celebri. Persino Bud
Spencer. Tutto era predisposto per i dieci giorni successivi. Ci saremmo rivisti
al solito posto, col notaio e i biglietti per Stati Uniti e Canada, con partenza
immediata appena emessi. Quelli civetta per New York da annullare poco dopo.
L'unico rischio lo avrei corso all'aeroporto di Montreal, prima di prendere il
treno. Pensammo anche a questo.
Chiesi al giornalista di contattare il mio amico poliziotto speciale, quello con
cui avevamo condiviso la dipartita dell'incursore Gino. Contavo sul fatto che
il legame stretto con lui all'epoca mi avrebbe permesso di chiedergli la cosa
assurda che stavo per domandargli. E cioè di scortarmi a Montreal. Ricordavo
anche che avesse dei parenti in Canada, e quindi potesse unire l'utile al
dilettevole, e con una buona scusa.
Lo chiesi al giornalista, e approvò l'idea di contattarlo per me.
Mi abbracciò, l’amico, e mi disse anche:
-potrai avvertire tu i tuoi amici stretti, ma tutti da telefono pubblico, e tutti
prima dell’imbarco. Poi basta. Non c'è molto spazio per i sentimenti, capisci.
CANARIE
(e ritorno)
La nave che ci aveva lasciati a Las Palmas stava facendo manovra in porto, e
noi già ci muovevamo col traghetto verso Santa Cruz de Tenerife. Alle nostre
spalle c'erano le case colorate, le palmeras, e i bagliori di un deserto artificiale.
Ci avvicinavamo alla rena nera, vulcanica dell’isola che ospitava suo malgrado
il grande vulcano del Teide, senza il quale peraltro non esisterebbe. Il vulcano
si vede da ogni punto dell’isola. O almeno così mi pare. Dopo una sosta nella
capitale per far riprendere la mamma, con un pasto leggero di mare, ce ne
andammo a Puerto La Cruz, dove l’amico del giornalista ci avrebbe ospitato per
quasi una settimana. Ci stavamo rilassando, tutto sommato.
Sembrava che mia madre avesse accettato la situazione, anzi, come accadeva
sempre, quando accadeva, la crisi esaltava la sua forza e la sua capacità di
reazione. Che adesso si dice resilienza...
Mi sembrava addirittura che camminasse più spedita. Piccola e sempre curva,
anche se meno. Canuta ma spigliata. Insomma, avete capito. Le accennai alla
probabile difficolta di portarci dietro Agostino, il suo compagno.
-adesso dobbiamo pensare a te, a noi. Poi vediamo che si può fare per lui.
Tanto quello si arrangia, si è sempre arrangiato. Mica muore.
Qualcosa mi sfuggiva, a livello logico. Mentre qualcosa, dentro, mi diceva
che questo frangente aveva permesso di rinsaldarci nel legame più profondo
che esiste. E niente e nessuno lo avrebbe intaccato. Se ero quasi sicuro che
avrebbero lasciato mia madre con me, nel caso fossi stato accettato come
testimone da proteggere, lo ero altrettanto rispetto al fatto che nessuna altra
persona ci avrebbe potuti raggiungere. Dall’Italia, poi ... Naturalmente
queste erano mie fantasie, chissà la realtà.
In quei giorni girammo per il versante più atlantico dell’isola, che non aveva
proprio nulla di tropicale. C'era il vulcano, ma raggiungere la cima era una
sfacchinata, così ci limitammo a una specie di rifugio a metà altezza. A Puerto
Cruz c'era un parco fantastico, con migliaia di uccelli liberi. Camminando
piano piano, impiegavamo giornate a visitarlo. C'erano anche degli acquari e
dei delfinari con degli animali incredibili. I delfini facevano numeri acrobatici
insieme agli istruttori, una cosa di una sincronia che mi lasciava stupito, come
un bambino. La mamma dopo un po’ si annoiava. Invece i leoni marini, quelli
interpretavano una specie di pantomima che anche lei trovava irresistibile.
C'erano le banane, le migliori banane europee, anche se le Canarie sono
praticamente Africa. Si potevano visitare le coltivazioni e assaggiare ogni
genere di prodotto derivato dal frutto. Grazie a queste e altre attrazioni,
passammo dei giorni spensierati. E forse era proprio ciò di cui avevamo
bisogno. Mia madre era impenetrabile. Io pensavo che, se fosse finito tutto di
li a poco, almeno avevamo passato quei giorni insieme, da soli, a parlare.
Cose del passato, fatti di famiglia. Una riconciliazione non esplicita, non
richiesta, non necessaria. Una riconciliazione con la vita.
Da un internet point mandai una mail al cuggino da un account che usavamo
solo io e lui per organizzare delle beffe culturali. Gli raccomandai di stare
tranquillo, qualunque cosa avesse sentito, che mi sarei fatto vivo presto.
Rifacemmo il percorso a ritroso, fino all’alberghetto dell’Esterel. Il giornalista
si presentò col notaio e sbrigammo tutta una serie di menate burocratiche da
incubo. Poi io e il mio amico ci appartammo a parlare in una delle tante
salette semiaperte sul mare.
-com’e la situazione laggiù?
-dietro la storia di Pizzichini si è scatenato un inferno: la paranoia della
sicurezza. Come è stato possibile. Doveva deporre, testimoniare. E tutti si
chiedono cosa avesse da dire da farsi ammazzare. La magistratura resta
abbottonata, questa volta non si scherza. La polizia dice che si stanno
accertando le cause. Lascia aperta, col silenzio, anche l’ipotesi accidentale.
Dice che il Barack, non ancora preso e neppure identificato (pensa te)
potrebbe essere un non insolito pirata della strada.
-ho dato un’occhiata alle testate principali, ma non ci ho trovato niente di
interessante.
-i recidivi giornalastri eversori, di “sinistra”, battono sul complotto, sul
pentito messo a tacere perchè non rivelasse segreti su oscuri legami tra ...
Stato e mafia … si mormora anche a proposito di certi delitti inspiegabili. E
indovina chi ha fatto la soffiata ai giornali di Roma e Milano?
Si batte sul petto.
-fantastico! Sei il mio giornalista eroe preferito! E poi?
-poi basta. Di Elmo non si parla già più. Quanto a te, ti stanno cercando tutti.
E venuto fuori che anche tua madre è scomparsa. In mancanza di una
imbeccata, si ventila il matricidio-suicidio da parte del solito depresso estivo.
Un po’ in ritardo, nel tuo caso!
-fai il serio, stai parlando della mia reputazione!
-hanno provato a intervistare le persone vicine a te. Pippo non ha detto quasi
niente, se non che sei il più valido dei suoi collaboratori esterni, e che non avevi
ricevuto minacce. Lo psichiatra del carcere ha dichiarato che facevi uso di
psicofarmaci che lui stesso ti prescriveva. Questa non è male.
-glie l’ho fatto io, l’assist.
-un certo Fuffo, tuo collega psicologo che adesso pare sia diventato
criminologo, ha rilasciato una bella dichiarazione sul vostro mondo, sulla
vostra “vocazione”. Ti ha difeso a spada tratta, insomma.
Hanno detto che non avevi legami, a parte la madre scomparsa. E poi, pensa,
ci sono le interviste al frate e a una guardia carceraria.
Il religioso rivela che qualche giorno prima della tua scomparsa ti eri
confessato, ma che non avevi rivelato niente che giustificasse un tuo
eventuale gesto, e comunque il segreto lo costringeva ...
-che pezzo di merda!
-si, e la guardia, invece, non viene nominata, solo le iniziali. G. C. Però io
ho confrontato una foto di scarto della collega col materiale che avevo
raccolto quando mi avevi parlato di lui, e si tratta di quel Geraldo
Caccioppolo, no, Cacciapopolo. Insomma, l’uomo dei boss.
-e cosa dice, quest’altro pilastro della società?
-questo ti stupirà. Secondo me lo ha concordato coi suoi capi. Dice in sostanza
che intrattenevi rapporti un po’ troppo intimi, troppo stretti, con alcuni
detenuti, e che secondo lui potevi essere stato vittima di una ritorsione. Magari
per una richiesta mancata.
E sai a chi allude? Ai detenuti politici. Dice che eri vicino ad alcuni ... Non fa
i nomi ma lascia immaginare ampi scenari.
-hai capito? Sono indeciso se ammirarli o considerarli degli idioti totali.
-forse ammiri la loro idiozia. Comunque, non ci sono fatti, ma solo parole. Tu
puoi stare tranquillo. Domani o dopodomani al massimo, dipende dalla
stanchezza e dall’autobus Montreal-New York, sarai davanti a un ufficiale di
polizia degli Stati Uniti a fare la tua deposizione contro il boss Francesco
Stompanato. Qui c'è tutto il necessario per il viaggio. In questa valigia roba per
te e tua madre, il resto lo prendete sul posto. In questa borsa tutti i documenti.
Devi legartela alla vita, così...Ci sono mille dollari, i biglietti pagati, e una
carta di credito con altri soldi in un conto in Svizzera ...
-però . Che fantasia!
-attingi pure finchè hai bisogno, però senza esagerare, perchè mica lavoro
all’Herald Tibune. Se ti dovessero mandare indietro, scatterebbe il piano b,
che consiste in un rifugio per esiliati politici in un paese ... Ma non
parliamone adesso, che magari porta sfiga. Andrà in porto il piano a!
-il tuo amico dei servizi sarà come un'ombra, per voi. Tu non fare mostra di
conoscerlo, se lo scorgi evita lo sguardo. L'ho già ringraziato io per te.
Quando ti lascerà, davanti all'ufficio della polizia, andrà a trovare i suoi
parenti canadesi.
A proposito, lui mi ha detto di riferirti delle cose, non so bene a cosa si riferisce
ma essendo fededegno ti dico...anzitutto un certo Sakaroff ti manda un
messaggio che suona cosi: “l'uomo che assaltava le caserme dei carabinieri con
la bombola del gas è al sicuro, in scia'straa.”
-non e possibile! Sakaroff e il nickname di Milius, uno dei miei colleghi più
mitici, e il messaggio significa che Elmo e salvo! Se vuoi ti spiego tutto, se
hai tempo.
-sono libero. Ma allora finisco di dirti. Ecco un altro messaggio: “il grosso ratto
e la sua sposa ti hanno sostituito”.
-il grosso ratto e la sposa sono Max il Topone e Minnie, due squilibrati storici
della comunità...ma che vorrà dire che mi hanno sostituito?
-questo posso spiegartelo: in pratica c'era un problema, del tutto teorico ma da
non sottovalutare. Pur avendo fatto i biglietti come dipendente del giornale, ho
dovuto indicare i nomi tuo e di tua madre, non solo per i voli, ragione per cui il
nostro amico, chiamiamolo Bond, vi scorterà, ma anche quello di tua madre
per la crociera. E pur avendo chiesto e ottenuto una certa discrezione, qualcuno
con delle entrature avrebbe potuto scoprire i vostri nomi e la presenza a bordo.
Così Bond si è rivolto ai tuoi colleghi, e loro gli hanno dato una mano a
mettere in piedi una messa in scena all'imbarco. In pratica questi due
personaggi, il topo e la sposa, hanno impersonato te e tua madre, coi biglietti e
tutto, mentre voi, come ricorderai, siete stati accolti a parte da un ufficiale...et
voila!
-allora, nell'ordine: Milius è il collega con più esperienza sul campo, anche se in
realtà e più giovane di noi, però aveva iniziato a lavorare quando era ancora
minorenne. È veramente un grandissimo figlio di...beh, letteralmente, sua
madre faceva “la vita” come si dice, in via Pre, che è la strada a cui allude il
messaggio. Ora che si è ritirata da molto tempo, ha ancora una casa la, un
rifugio che potrebbe nascondere Messina con tutto il suo denaro, e neanche le
teste di cuoio lo troverebbero.
Milius (che non si offenderebbe per queste note) deve aver trovato Elmo,
oppure lui si è fatto trovare, con la sua tipica dabbenaggine, e lo hanno
spedito a Genova, al sicuro.
Il riferimento agli assalti alle caserme dei carabinieri col gas fa pensare subito a
Elmo, senza avere bisogno di nominarlo: una delle balle più grosse che ha
sparato è proprio quella di avere assalito i carabinieri armato di bombole,
insieme ad altri compagni. I quali, neanche a dirlo, hanno smentito,
tributandogli un insulto che lui considera la peggiore delle vergogne. Hanno
dichiarato che non solo lui non delinqueva, ma che quando li fermavano, lui
risultava sempre incensurato! Tanto che insisteva con gli agenti al terminale
denunciando errori nel sistema! Ma ti rendi conto? Bene, sono contento che sia
in salvo.
Milius è stato davvero grande, in questo suo gesto nobile. Pensa che più di
una volta mi ha trascinato col suo esempio in viaggi umanitari che, per
pigrizia o altro, non avrei deciso di fare.
E di Max il Topone e di Minnie, che ti devo dire? Sono due personaggi
incantevoli e perduti. Sono stati in comunità per anni e poi, raggiunto il limite
massimo, li abbiamo sistemati in alloggi protetti. Lei è sempre stata
innamorata di lui, tanto che siamo stati costretti a organizzare un matrimonio
pagano per suggellare il loro legame.
Lui è un ossessivo alla massima potenza. Ha passato la sua esistenza a
possedere cose, situazioni, persone, addirittura, fino a consumarle del tutto. Per
farti un'idea: una volta che si era invaghito degli astronauti fece un tale casino
che alla fine la Nasa gli concesse una breve conversazione con Armstrong, fui
io a comporre il numero di telefono indicato nella mail all'orario stabilito e a
passargli la chiamata; eravamo in comunità. Quanto ad Aldrin, con la sua
tecnica da varano di Komodo, Max riusci a individuare l'albergo dove
dormiva e ad attenderlo finchè non riuscì a beccarlo. E quello sai che gli disse?
Se non dici a nessuno che sono qui ti offro da bere e ti firmo quello che vuoi.
Max il topone girava sempre con una copia di lunar landing, all'epoca il suo
testo feticcio. Quanto a Collins lo liquidò perchè non era sceso sulla luna. Non
c'è da stupirsi nè del fatto che colga tutto ciò che avviene intorno a lui
(secondo me aveva persino avvertito l'aria pesante intorno a me ed Elmo) nè
che sia in grado di affrontare sfide difficilissime. E riuscito a diventare amico
di un famoso autore di fantascienza, non ti faccio il nome, e a farsi mandare gli
inediti in anteprima. Posso garantirti anche questo, perchè ero io a tradurglieli.
Lui è un genio del fai da te, ma sulla letteratura si affidava a me.
E poi, una volta mi ha mostrato un disco di un gruppo rock famoso, e tra i
crediti c'era un ringraziamento per lui, col suo cognome vero, gridandomi:
visto, che non mi credi!...anche qui non ti dico quale gruppo, non ci
crederesti...
-la tua grande passione per i matti mi affascina molto, ma sai che ho la testa
piena di ben altre storie folli, e soprattutto che devo riversarle su carta,
devo riempire un tot di pagine ogni giorno...
-si, scusa, mi sono fatto prendere la mano.
-è molto strano come ci siamo trovati immersi, sempre di più, in questa strana
storia, no? Sembra proprio un viaggio nella follia. Ma non tanto e non solo in
quella del tuo ambito lavorativo, che secondo logica dovrebbe rappresentare
la minoranza, lo “scarto”, come dice quel famoso direttore di carcere nel film,
da nascondere sotto “o' tappeto”. Lui diceva anche, se non sbaglio, che il
tappeto non basta più, che quasi quasi il mondo andrebbe ricoperto da un
tappeto. Questi sono tempi che mi pare di poter definire se non bui,
perlomeno offuscati...che ne dici?
-anch'io mi sento disorientato e credo che ci stiamo muovendo a tentoni
nell'oscurità. Ma tutti, proprio tutti. Però adesso dobbiamo pensare a noi.
Posso chiamare un po’ di persone per rassicurale e salutarle?
-si, prima di partire ti metto a disposizione un telefono e potrai chiamare, ma
capirai da te che conviene sentire solo poche persone, le più fidate e magari più
discrete, non so se mi spiego. Dì loro che potranno avere tue notizie da me, poi
troveremo il modo di triangolare in maniera sicura.
-si, hai ragione. Anche se so che odii parlare di affari, dimmi anche della
contribuzione.
-niente, il giornale si aspetta da te un memoriale, un’esclusiva, che invierai a
me e che io revisionerò. Scrivici quello che vuoi. Tanto i fatti sono quelli e io
forse li conosco perfino meglio di te. Ora pensa solo a te e alla mamma. E good
job!
-aspetta, c'è un fatto che forse non conosci. Non so nemmeno se si può parlare
di fatto, giudica tu. Ci ho pensato a lungo, e sono sicuro di avere visto
Pizzichini, l’ultima volta in galera, l’ho appena sbirciato da una fessura. Ed era
vestito con una tuta da poliziotto. Ci sono arrivato dopo, per via della differenza
con e senza la barba.
-cosa? Ma sei sicuro?
-mi cecassero! Ho visto lui in divisa, e un altro di spalle vestito in borghese,
che invece non so chi fosse. Non so cosa pensare.
-questo, se fosse vero, aprirebbe scenari nuovi. Pizzichini un infiltrato? Un
infiltrato che si veste da poliziotto mentre si trova dentro ... E poi muore … un
suicida praticamente. Che casino! Bisogna che mi ci fai lavorare.
-potremmo parlarne con quel poliziotto che conosco. Prova ad accennargliene.
-si ma tu scordati di telefonare a sbirri da qui. Equivarrebbe a un suicidio,
anche questo. Ci penserò io. E poi sai che ne ho un altro paio sottomano, di
sbirri canterini. Il bello dell’Italia, e che una mano lava l’altra ...
-lo so, e tutt’e due sciacquano le palle.
Il saluto, il possibile addio, fu lungo e sofferto. Il giornalista si fermò a
mangiare, a camminare e parlare con noi, fino al momento della partenza. Un
vero amico. Il più prezioso. Ah, ma bisogna che vi faccia sentire qualche
estratto delle mie ultime telefonate.
AMERICA
Questa è la fine della storia. L’ho scritta in forma narrativa, perchè è l’unica
che mi veniva spontanea, e non ho voglia di sforzarmi, dopo che l’ho vissuta
questa storia, di raccontarla anche.
Alla fine è il mio memoriale. Come quello di Gennarino, cioè inutile ma
terapeutico. Infatti, a chi importa di tutta la faccenda, se non a me? Il bravo
giornalista ne farà ciò che crederà. La cosa mi riguarda poco, visto che vivo in
una località degli States che non posso rivelare per non incasinare
definitivamente la mia esistenza, e un po’ anche quella delle altre persone
coinvolte. E giusto per chiudere il racconto, come l’avessi scritto a un amico,
ci butto dentro tutto.
Ora vi racconto le ultime, come sono arrivato qui e come sono andate le cose.
Il viaggio è filato liscio come l’olio, fino a Manhattan. Ho sistemato mamma in
un albergo da poco (sono cari gli alberghi, a NYC, sarebbe stato meglio cercare
un buco nel Jersey, ma visto che pagava l’Herald Tribune!) e poi sono andato
alla polizia.
Il tour poliziesco e durato tutto il giorno, ed è ripreso il giorno dopo, ma senza
“up on the wall, motherfucker!”, il simpatico benvenuto dei cops. Abbiamo
vinto la scommessa, dal momento che si sono rivelati molto interessati a
quanto avevo da dire, e soprattutto da mostrare. Le registrazioni sono state la
carta vincente, anche perchè non capendo molto quello che dicevano, potevo
infiocchettarle come volevo.
In effetti ho calcato un po’ la mano, ma la prospettiva di tornare in patria alla
scadenza del visto turistico, oppure di fare la vita del latitante, con la mamma
malata, mi avrebbe spinto persino a mentire. Tanto, che male c'è? Avevo
imparato dai pentiti che parlare, anzi cantare, è un’arte, che non importa che
fatti riferisci, l’importante è la politica.
Qui credo che il mio amico fraterno, il giornalista M. (stavo per scrivere il
nome!) censurerà un pochino.
Così ho calcato la mano con le efferatezze dei fratelli Stompanato e, già che
c'èro, con quelle dei fratelli Volturno. Affanculo pure loro. Gli americani,
intesi come polizia, erano molto interessati a incastrare il boss Stomp. Non
chiedetemi perchè ne percome, non ho intenzione, dopo aver capito come
“funziona” il sistema italiano, di cercare di capire quello americano. A me
interessava solo entrare, chiedere la protezione, ed essere al riparo da quei
bastardi di mafiosi. E non solo, forse. Anche perchè mia madre, che non
aveva voluto approfondire gli accertamenti in Italia perchè non si fidava, qui
ha accettato di farsi curare (il mito americano regge) e il quadro clinico non è
molto incoraggiante. Ma lasciamo stare.
Alla fine, dunque, l’ho spuntata. Dopo giorni di interrogatori, consulti con
FBI e polizie internazionali (compresa quella italiana) e interpreti e avvocati
d’ufficio, hanno deciso che si poteva procedere con l’imputazione del boss, e
quindi anche ad avviare la mia richiesta di protezione. E come aver fatto
tredici, credetemi. Me la cavo bene con l’inglese, ma qui ero come in una
giungla. La fortuna è che i tempi della giustizia sono molto più accettabili,
rispetto all’Italia. In Italia avrebbero fatto in tempo ad ammazzarmi due volte,
casomai fossi riuscito a resuscitare.
Adesso, che è passato del tempo, ho una sistemazione dignitosa, in un posto
molto bello, con angoli panoramici spettacolari. Non troppo freddo d’inverno e
caldo d’estate. Ma mi hanno detto di non indulgere in dettagli sul luogo. Ho una
casa, una casetta prefabbricata, come usano qua, ma bella e completa. Ho un
lavoro. E una macchina usata, tutto gentilmente offerto da Mr. P.
Il presidente, il capo della nazione. Mi piacerebbe parlarvi del mio lavoro, ma
c'è il veto anche su quello. Hanno tenuto conto della mia esperienza nel sociale,
nella riabilitazione sociale e, insomma, la sto mettendo a frutto. Vicino a dove
sto c'è un carcere. Questo posso dirlo, perchè da queste parti c'è un carcere in
ogni comune. E un po’ come il supermercato. E ce ne sono di vario tipo: statali,
privati, lavorativi, produttivi, eccetera. Un vero spasso. Per farla breve...
Vabbe’, la faccio finita. Una considerazione. Sono passato dal paese delle
famiglie a quello degli orfani, dal ricatto dell’appartenenza al racket delle
corporations. Bella frase, vero? Adesso ve la spiego, anche. L’Italia e il paese
delle famiglie. Famiglie di varia natura, mi capirete. Se non fai parte di una
famiglia, hai vita dura. E comunque non fai tanta strada, a meno che tu non sia
un genio assoluto. Se sei baciato dal genio italico, allora puoi andare lontano,
anche senza appartenere a nessuna famiglia. Però sei un’eccezione.
L’America è, invece, il paese degli individualisti. Degli orfani, così li ho
ribattezzati.
Vonnegut, un grande scrittore col quale ho intrattenuto una breve
corrispondenza molto esilarante, diceva che gli americani hanno bisogno più di
tutto di famiglie allargate, per trovare quel calore che la famiglia tradizionale,
ormai disintegrata dal sistema del capitalismo selvaggio, non può più garantire.
Perchè dico questo? Già, perchè?
Ah, si, perchè mi sono trovato a meraviglia qui, in quanto orfano. Di padre, si
capisce. E in più ci ho mamma al seguito. Questo è per dire che non sto mica
tanto male. Non state in pena per me, nel caso ve ne venisse l’impulso. E poi,
un’altra cosa. Qui comandano le corporations, le multinazionali. Che poi
comandano sul globo intero. Il loro ricatto al popolo di questo paese e, per
estensione, all’intera umanità, e diventato intollerabile. Se mai fosse stato
tollerabile.
La gente qui muore di fame. Letteralmente. Frugano nei cassonetti. Rubano.
Rapinano. Trafficano. Converrete con me, e con quel filosofo francese, che
rubare e meglio che morire di fame.
Bene. Oltre a mangiare e a non avere grossi problemi, non avendo vizi, ho la
fortuna di vivere in un osservatorio privilegiato. Saprò un attimo prima di
voi quando sarà la fine del mondo. Mica poco, converrete. Se volete, vi farò
sapere. Dovete chiedere di me a quel giornalista. Come si chiama? Non
posso dire il nome. Bisogna aspettare che pubblichi l’ambaradan. Il
memoriale. Nel frattempo, mi mancherete.
Mi mancheranno tutti. Anche quei disgraziati dietro le sbarre. Che nel silenzio
del corridoio buio gridavano una frase incomprensibile, nella speranza che
qualcuno si girasse, dicendo “eh?” E allora partiva l’implacabile replica ...
(Suca!)
[fine]
Foto di copertina dell'autore
Roberto Masuello
just an human being
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