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Corso integrato di
Urologia e Nefrologia
Clinica Urologica di Cagliari
Prof. Antonello De Lisa

I capitoli seguenti, realizzati dal Prof. Antonello


De Lisa e dai Medici Specializzandi della
Scuola di Urologia, vogliono essere un ausilio
per la conoscenza delle principali patologie di
interesse urologico e costituiscono una base su
cui iniziare lo studio della parte urologica
relativa al Corso Integrato di Urologia e
Nefrologia.
Ulteriori approfondimenti potrebbero essere
necessari per quanto non presente in questa
trattazione ed essere reperiti nei principali testi
di Urologia
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TUMORI DEL PARENCHIMA RENALE


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DEFINIZIONE:
Per tumore renale parenchimale si intende un tumore che origina dalle cellule
che costituiscono il parenchima renale vero e proprio per distinguerli da quelli
che invece originano dalla via escretrice urinaria (calici e pelvi) e che invece
verranno trattati nel capitolo dei tumori della via escretrice (calici, pelvi,
uretere, vescica e uretra).

Le neoplasie renali possono essere suddivise in benigne e maligne. Le forme


più comuni, appartenenti al primo gruppo, sono il tumore iuxtaglomerulare,
l'angiomiolipoma (o amartoma renale) e l'oncocitoma e l’adenoma renale.
Nel secondo gruppo si annoverano l'adenocarcinoma renale (o tumore di
Grawitz o ipernefroma), il nefroblastoma (o tumore di Wilms) e le forme
sarcomatose che prendono nomi differenti a seconda delle diverse componenti
istologiche prevalenti. Tra questi ultimi i più comuni (2-3% di tutte i tumori
renali) sono il leiomiosarcoma ed il liposarcoma (Tab. 1).

Tabella 1 : Tumori dei parenchima renale

Neoplasie benigne Neoplasie maligne


Epiteliali Epiteliali
Tumore a cellule ìuxta-glomerulari Adenocarcinoma
Oncocitoma Nefroblastoma
Adenoma
Connettivali Connettivali
Lipoma Liposarcoma
Misti Leiomiosarcoma
Angiomiolipoma

TUMORI BENIGNI

L'importanza delle neoplasie renali benigne è data dall'estrema difficoltà,


anche con l'ausilio delle tecnologie diagnostiche moderne, di definirne la
natura benigna preoperatoriamente. Solo alcune di esse presentano
caratteristiche sintomatologiche o morfologiche tali da renderne possibile la
distinzione dall'adenocarcinoma. La diagnosi di natura, quindi, è affidata
all'intervento chirurgico nel corso del quale un eventuale esame istologico
intraoperatorio (estemporaneo) permetterà di arrivare all’accertamento
diagnostico definitivo.

TUMORI DELL'APPARATO IUXTAGLOMERULARE

Sono molto rari e vengono diagnosticati solo in soggetti di età inferiore ai 40


anni. Si tratta di tumori di piccole dimensioni, colorito grigiastro, solitamente
capsulati e ben circoscritti, derivanti dalle cellule epitelioidi dell'apparato
iuxtaglomerulare.
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Il sintomo d'esordio è rappresentato da una grave ipertensione sisto-diastolica


secondaria alla increzione di renina, associata ad iperaldosteronismo
secondario. Nel sangue periferico si rileva iperkaliemia ed iper-reninemia.
Nelle urine si riscontra iperaldosteronuria con ridotti livelli di Na+ ed alti
livelli di K+. Il prelievo di campioni ematici direttamente dalle vene renali
mette in evidenza una maggiore quantità di renina nel campione prelevato dal
lato della neoplasia.
L'ecografia renale mette in evidenza una lesione solida di piccole dimensioni.
Una angiografia può mettere in evidenza il tipico aspetto ipovascolare di
questa neoplasia. La TAC e la RMN generalmente non aggiungono ulteriori
dati utili per chiarire le caratteristiche della neoplasia.
La diagnosi viene posta in base alla associazione dell'iperaldosteronismo iper-
reninemico con la lesione renale.
L'ablazione chirurgica della neoplasia, effettuata solitamente con il risparmio
dell'orano (enucleoresezione) porta alla scomparsa della sintomatologia.

ANGIOMIOLIPOMA

Si tratta di una neoplasia la cui frequenza reale non è definibile data la scarsa
possibilità che essa diventi sintomatica nel corso della vita. Le forme a
localizzazione multipla e/o bilaterale sono descritte prevalentemente in
associazione con la sclerosi tuberosa (80% dei casi). I pazienti presenteranno
lesioni cutanee, oculari e cerebrali associate con le neoformazioni renali.
L'angiomiolipoma è composto da un miscuglio di tre componenti: vascolare,
muscolare liscia ed adiposa, in proporzioni variabili. La neoplasia ha una
crescita lenta.
La comparsa di emorragie intrarenali o retroperitoneali può essere il sintomo
di esordio di questa neoplasia. Una macroematuria può comparire in caso di
crescita del tumore verso le cavità pieliche ma, nella maggioranza dei casi,
l'angiomiolipoma resta asintomatico ed è diagnosticato in corso di screening
eseguito per altra ragione.
La RMN è l'unico esame in grado di distinguere le diverse densità delle tre
componenti istologiche e, di conseguenza, far porre diagnosi di natura.
Talora, soprattutto per angiomiolipomi di piccole dimensioni, non e
possibile distinguere queste lesioni da un adenocarcinoma renale. In tali casi è
consigliabile ricorrere all’esplorazione chirurgica piuttosto che all’agobiopsia
percutanea, guidata ecograficamente, per evitare da un lato il rischio di
emorragia nel caso si tratti di un angiomiolipoma e dall’altro una possibile
disseminazione di cellule neoplastiche lungo il tramite dell'ago in caso si tratti
di un adenocarcinoma.
La neoplasia va rimossa in ogni caso risparmiando, quando possibile, il
parenchima renale.
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TUMORI MALIGNI

ADENOCARCINOMA RENALE (Renal Cell Carcinoma RCC)

Epidemiologia
Attualmente non è possibile conoscere la reale incidenza del carcinoma renale
in Italia. Essa, comunque, è passata dall'1-2 % di tutte le neoplasie in era pre-
ecografica, al 6 % attuale, con 5000 nuovi casi diagnosticati per anno. Negli
Stati Uniti sono diagnosticati 18000 nuovi casi l'anno con circa 7000
decessi/anno attribuibili al carcinoma renale. Anche negli USA dal 1975 al
1994 si è riscontrato un aumento della frequenza di questa neoplasia,
valutabile intorno al 2% annuo. Anche se non vi sono dati tali da permettere
un reale confronto per valutare la prevalenza del carcinoma renale nei diversi
gruppi etnici e razziali, non sembrano esservi differenze significative tra
caucasici, popolazioni latino-americane e di colore. Ad ogni modo, l'incidenza
varia notevolmente nelle diverse nazioni. La più alta incidenza è riscontrata
nei Paesi Scandinavi, mentre appare notevolmente bassa nei paesi asiatici quali
India e Giappone. L'incidenza è più alta, inoltre, nelle zone urbane rispetto alle
zone rurali e non sembra essere connessa allo stato socio-economico.
Il carcinoma renale si presenta più frequentemente nei soggetti di sesso
maschile con un rapporto di 2-3/1. L'età più colpita è tra la V e la VII decade di
vita, anche se è stato riscontrato in tutte le fasce di età.Va ricordato che questa
neoplasia può manifestarsi, seppur raramente, in forma familiare. Inoltre, il
35% dei soggetti affetti da Sindrome di Von Hippel-Lindau, sviluppa, durante
il decorso clinico, un carcinoma renale. In entrambi i casi la neoplasia appare in
età più precoce e spesso in forma bilaterale. Un aumento della frequenza del
carcinoma renale è stato inoltre riscontrato nei soggetti affetti da rene
policistico nonché negli emodíalizzati che, dopo un lungo periodo di
trattamento emodialitico, presentano, in una percentuale tra il 35 e 47%, una
malattia cistica acquisita. Di questi pazienti, circa il 6% svilupperà un
carcinoma renale. Il trapianto renale sembra proteggere questi pazienti sia
dalla malattia multicistica acquisita che dall’insorgenza della neoplasia.

Eziologia
Attualmente l'eziologia dell'adenocarcinoma renale è ignota. Tumori con
caratteristiche simili al carcinoma renale sono stati indotti sperimentalmente in
numerosi modelli animali per mezzo di diversi agenti chimici, antibiotici e
sostanze naturali tra cui le aflatossine. Il fumo di sigaretta ed una dieta ricca di
grassi animali rappresentano i fattori di rischio più probabili. Infatti nei forti
fumatori viene riscontrato con una frequenza 5 volte maggiore rispetto ai non
fumatori. Per quanto riguarda la dieta, una correlazione sembra esistere tra la
morte per carcinoma renale ed il consumo di grassi animali, come oli saturi,
latte e zucchero. Ciò sembra confermato dal fatto che negli immigrati
provenienti da zone a bassa incidenza di carcinoma renale è stata osservata
una frequenza analoga a quella dei Paesi ospitanti. E possibile, quindi, che il
fumo e la dieta agiscano da cofattori.
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La relazione tra il carcinoma renale e gli ormoni è stata di particolare interesse


sia per la diversa incidenza riscontrata nei due sessi, sia per un'eventuale
terapia. Risalgono al 1947 i primi studi sull'induzione di tumori renali in criceti
maschi mediante la somministrazione prolungata di estrogeni.
Successivamente si riuscì ad indurre tumori anche in animali di sesso
femminile, purché trattati nella fase di bassa attività progestinica. D'altro
canto, l'uso dell'associazione tra cortisone e medrossiprogesterone acetato
apparve inibire la crescita di questi tumori indotti sperimentalmente. Sulla
scorta di questi risultati, l'uso di questa associazione terapeutica fu introdotta
nella pratica clinica, purtroppo senza ottenere soddisfacenti risposte
terapeutiche.
Un aumento della frequenza del carcinoma renale è stato osservato in
relazione all'abuso di fenacetina, soprattutto nei pazienti che avevano
sviluppato una nefropatia. Per quanto riguarda i fattori occupazionali, un
aumento della frequenza è stato riscontrato tra i lavoratori del pellame, negli
addetti alla produzione di amianto e nei soggetti esposti al cadmio, in
particolare se fumatori.
Nei pazienti sottoposti, negli anni '20, ad urografia endovenosa utilizzando
come mezzo di contrasto il thorotrast, si è avuto un incremento della frequenza
di carcinoma renale. Il diossido di torio è un elemento radioattivo che emette
particelle α,β e ^í ed è questa, probabilmente, la ragione della comparsa della
neoplasia.

Anatomia patologica e Storia naturale


L'adenocarcinoma renale è stato descritto per la prima volta da Grawitz nel
1883. Inizialmente, si riteneva che derivasse da cellule surrenali migrate in
sede renale od ectopiche; di qui la denominazione "ipernefroma" per lungo
tempo adottata per definire questa neoplasia. Studi di microscopia elettronica
hanno, invece, definitivamente provato che le cellule neoplastiche derivano da
quelle del tubulo contorto prossimale del nefrone. I tubuli contorti prossimali,
sono maggiormente rappresentati a livello corticale. All’esordio la neoplasia
origina per trasformazione neoplastica di una cellula o di un piccolo gruppo di
cellule situate a livello corticale, all’interno del tubulo contorto prossimale. Lo
sviluppo della neoplasia porta ad una crescita sregolata e fuori misura delle
cellule neoplastiche che non osservano più i meccanismi di controllo dello
sviluppo (conseguenza di una alterazione genomica), si sovrappongono e si
ammassano le une sulle altre, portando alla manifestazione della lesione
neoplastica, che passa quindi dalla fase microscopica, dove non sono ancora
osservabili (ad occhio nudo) segni della neoplasia, alla fase macroscopica dove
comincia a dare segno di se diventando evidente ad occhio nudo. Nelle fasi
macroscopiche iniziali la neoplasia appare come una massa rotondeggiante,
munita di una pseudocapsula, che altro non è che il tessuto renale sano,
circostante la neoplasia, ammassato e compresso dalla crescita del tumore.
Ovviamente, la neoplasia, durante il suo sviluppo, tenderà a crescere
maggiormente verso le aree che offrono minore resistenza. Avremo cosi la
possibilità che si sviluppi maggiormente verso la periferia, dove la loggia
adiposa renale, offre minore resistenza. Darà quindi segno di se, per la
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deformazione del profilo renale. Sviluppandosi verso la via escretrice,


potrebbe comprimerla, inizialmente, e quindi infiltrarla dando così origine a
sbaffi neoplastici all’interno di essa, che potrebbero essere responsabili di
ematuria. Nella stessa maniera, la compressione prima e l’infiltrazione poi, si
verifica anche a carico dei vasi linfatici e venosi che la neoplasia incontra
durante la sua crescita all’interno del parenchima. L’infiltrazione di queste
strutture sarà poi responsabile della metastatizzazione linfatica ed ematogena.
Soprattutto all’interno dei vasi venosi, dove la corrente ematica è molto lenta,
la neoplasia ha possibilità di crescere e dare origine ai trombi neoplastici, che
cresceranno nel senso della corrente ematica quindi dalle vene renali
intraparenchimali verso l’ilo renale, la vena renale principale poi la cava
inferiore e quindi l’atrio destro del cuore.
La neoplasia, al taglio, in fase di medio avanzamento si presenta con
colorazione variegata, giallo arancio alternata ad aree necrotiche (grigie) od
emorragiche (rosso-marrone); questo è dovuto alla crescita tumultuosa che
porta il tessuto neoplastico a infiltrare i vasi, come abbiamo detto e quindi a
romperne la parete e determinare aree di emorragia o di necrosi per la
ipoperfusione del tessuto a valle.
All'esame istologico vengono identificate diverse varianti: a cellule chiare,
scure, granulari o miste. Queste, a seconda del grado di differenziazione
cellulare e della morfologia nucleare (Tab 2), vengono classificate in 3 o in 4
gradi che presentano un comportamento progressivamente più aggressivo. Il
sistema di stadiazione più largamente utilizzato è il TNM (Tab. 3).

Tab 2: CLASSIFICAZIONE DEL RCC sec FUHRMAN


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Tab 3: CLASSIFICAZIONE TNM 1997


T Tumore primario
Tx Tumore primario non valutabile
T0 Assenza di tumore evidente
T1 Tumore di diam. < 7 cm, limitato al rene
T2 Tumore di diam. >7 cm, limitato al rene
T3 Tumore coinvolgente vena renale o cava o surrene o grasso
perinefrico, senza superare la fascia di Gerota
T3a Tumore coinvolgente surrene o grasso perinefrico, senza
superare la fascia di Gerota
T3b Tumore coinvolgente vena renale o cava al di sotto del
diaframma
T3c Tumore coinvolgente grossolanamente la cava oltre il diaframma
T4 Tumore coinvolgente la fascia di Gerota
N Linfonodi regionali (ilari, paraaortici e paracavali addominali)
Nx Linfonodi regionali non valutabili
N0 Assenza di metastasi nei linfonodi regionali
N1 Metastasi in un singolo linfonodo regionale
N2 Metastasi in più di un linfonodo regionale
M Metastasi a distanza
Mx Metastasi a distanza non valutabili
M0 Assenza di metastasi a distanza
M1 Metastasi a distanza

Da quanto detto, appare chiaro come, le caratteristiche anatomo-patologiche


del tumore, siano strettamente legate al momento di sviluppo in cui noi lo
andiamo ad osservare. Analoga considerazione potremo fare per il quadro
sintomatologico e quindi per gli esami diagnostici da mettere in campo e per
quello che potremmo aspettarci di trovare nel momento in cui lo osserviamo.

Sintomatologia
Pur tenendo presente che negli ultimi anni, per il sempre maggiore impiego
dell’ecografia (incidentalomi), le neoplasie renali vengono diagnosticate più
precocemente, quando ancora asintomatiche (fasi precoci della loro storia
naturale), è opportuno accennare ai sintomi più comuni che compaiono negli
stadi più avanzati.
Il paziente può presentare all'osservazione la classica triade (10%) costituita da
macroematuria , massa palpabile e dolore lombare. Il dolore, generalmente in
forma di dolenzia, rappresenta ancora il sintomo più frequente, come abbiamo
visto dalla storia naturale, questo è legato alla crescita della neoplasia verso la
capsula renale che venendo stirata determina il dolore. Nel caso in cui sia
associata una macroematuria, legata all’infiltrazione della via escretrice, con
formazione di coaguli il dolore può assumere i caratteri della colica renale con
la classica irradiazione al testicolo od alle grandi labbra. In questi casi è
possibile osservare anche una anemia normocromica normocitica.
E’ possibile, inoltre, la comparsa delle cosi dette sindromi paraneoplastiche,
cioè dei quadri sintomatologici, legati alla produzione, da parte delle cellule
neoplastiche di sostanze, simil-ormonali, che mimano l’effetto di altre sostanze
normalmente prodotte dal nostro organismo. Potremo avere così ipertensione
arteriosa, secondaria ad incremento della produzione di renina o alla presenza,
all'interno della neoplasia, di shunts artero-venosi; o policitemia per
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l’incremento di sostanze eritropoietina-simili; o ipercalcemia per la produzione


di sostanze con effetto paratormone-simile; o ancora quadri tipo morbo di
Addison o di Cushing per incremento o diminuzione di sostanze con effetto
ACTH simile; o ancora iperprolattinemia per incremento di sostanze con
effetto prolattino-simile; o quadri legati alla comparsa di alterazioni della
funzionalità epatica, epato-spleno-megalia ed aumento del tempo di
protrombina, come accade nella "sindrome di Stauffer". Queste
manifestazioni, legate ad un'epatite aspecifica reattiva, regrediscono in seguito
alla rimozione della neoplasia renale (Tab 4).

Tab 4: sindromi paraneoplastiche del tumore renale

• Ipertensione arteriosa
• Anemia o policitemia
• Ipercalcemia
• Iperprolattinemia
• Sindrome di Cushing
• Morbo di Addison
• Sindrome di Stauffer

Purtroppo ancora oggi, nonostante le migliori possibilità diagnostiche, circa il


30% dei pazienti presenta metastasi al momento della diagnosi. In quest'ultimo
caso saranno le lesioni secondarie a manifestarsi con sintomi e segni legati ai
vari sistemi (polmonare, osseo, cerebrale ecc.) interessati.

Metastatizzazione
Anche la diffusione metastatica, come la sintomatologia, sarà differente
secondo il momento di osservazione della neoplasia. Abbiamo visto come
durante il suo sviluppo, la neoplasia, comprima e poi infiltri i vasi linfatici
prima e sanguigni poi (prima le vene con parete più sottile, poi le arterie con
parete decisamente più spessa e pressione interna molto maggiore)
determinando in prima battuta una diffusione linfatica del tumore. Le prime
stazioni linfatiche, ad essere interessate, sono quelle dei linfonodi ilari seguiti
dai paraaortici e dai linfonodi paracavali secondo un ordine legato alla
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direzione del flusso linfatico (55%). La diffusione linfatica ed ematica porta


quindi all’interessamento di organi a distanza come i polmoni (55 %) e il fegato
(33%), che costituiscono i primi filtri naturali al sangue proveniente dai reni e
che quindi trasporta le metastasi. Le metastasi ossee (32%), sono in genere a
carico del rachide, a causa del drenaggio venoso attraverso il plesso
paravertebrale di Batson, che è tributario dei vasi renali, dove per l’aumento di
pressione legato allo sviluppo tumorale si può avere un inversione del flusso
ematico che anziché andare dall’osso verso la vena renale, torna indietro
trasportando cellule neoplastiche. In misura inferiore, possono essere colpiti i
surreni (19%) per lo stesso motivo dell’osso, essendo la vena surrenalica,
spesso tributaria della vena renale, del cervello (6%) e del rene controlaterale
(11%). In quest'ultimo caso, la definizione di metastasi appare incerta in
quanto si potrebbe trattare di una seconda neoplasia primitiva localizzata
controlateralmente.

DIAGNOSI

Esami di laboratorio
Esame completo delle urine: il segno più importante è la macro e/o
microematuria che può indirizzare verso ulteriori indagini.
Esami ematochimici: la più comune anomalia riscontrabile, in caso di neoplasia
avanzata, è l'anemia, generalmente normocromica normocitica. Un incremento
della produzione di eritropoietina può essere responsabile di una policitemia
(5%). Una VES elevata è comune ma, come di solito, aspecifica poiché presente
in tutte le condizioni di neoplasia. In una bassa percentuale di pazienti con
malattia avanzata è possibile osservare una ipercalcemia, talora tanto grave da
porre in pericolo la vita, attribuibile alla produzione da parte della neoplasia di
una sostanza PTH simile.
Al momento non esiste un marker tumorale che possa essere utile nella
diagnosi di neoplasia o nella sorveglianza post-operatoria (follow-up) del
paziente.

Esami strumentali
• Ecografia renale: come riportato in precedenza è a questo esame che si deve il
notevole aumento di frequenza del carcinoma renale. Il reperto accidentale in
corso di screening eseguito per altra causa ha, inoltre, reso la prognosi più
benigna per lo stadio più precoce in cui molti di questi "incidentalomi" sono
diagnosticati. All'ecografia la neoplasia appare come una lesione occupante
spazio, iperecogena, ad ecostruttura disomogenea, solida. La distinzione nei
confronti della cisti renali è agevole dato l'aspetto ipoecogeno, per via del
contenuto acquoso, di queste ultime. Molto più difficile risulta invece la
diagnosi differenziale con altre neoformazioni solide del parenchima renale
come l’angiomiolipoma o gli adenomi, diagnosi che spesso è solo
anatomopatologica (Tab 6).
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• TAC: costituisce un irrinunciabile mezzo diagnostico e di stadiazione nello


studio delle masse renali. Oltre a distinguere una lesione cistica da una
neoplasia, in base alla capacità di quest'ultima di assumere il mezzo di
contrasto usato come "enhancement", fornisce, utilissime informazioni circa la
stadiazione del tumore, cioè i rapporti che questo assume con l’organo dove si
sviluppa e con le strutture e gli organi circostanti ed, eventualmente,
sull'esistenza di localizzazioni secondarie metastatiche linfonodali e/o
d'organo ovunque localizzate, sia nell'addome che nel torace o nel cranio.
• RMN:. essa evidenzia, con i diversi tipi di immagine, il flusso sanguigno ed
identifica con estrema accuratezza la presenza di trombi endovasali, in alcuni
casi rende evidente un'infiltrazione della parete degli stessi, cosa che può
risultare molto utile specie nella scelta dell’approccio terapeutico; non è di uso
routinario.
• Scintigrafia ossea total body: può essere utile, per la stadiazione, del tumore,
nell'evidenziare lesioni ossee metastatiche. Garantisce grande sensibilità ma
scarsa specificità poiché non è in grado di distinguere lesioni artrosiche o
traumatiche da ripetizioni tumorali. Sulle aree identificate dalla scintigrafia
ossea come sospette bisogna quindi approfondire l’indagine con esami
radiologici o TC.
Altri esami, non specificatamente dedicati alla diagnostica del tumore renale,
possono fornire dati suggestivi per la diagnosi, anche se non patognomonici.
Questi esami non vengono impiegati di routine nella diagnostica.
• Rx diretta dell'addome: a questo semplice esame il profilo dell'ombra renale
può apparire distorto, oppure si può osservare uno spostamento dell'asse
dell'organo. Nel 10% circa dei casi sono presenti alcune calcificazioni
all'interno del tumore ma questo segno non e, ovviamente, patognomonico di
neoplasia.
• Urografia endovenosa: una distorsione del profilo renale e/o del sistema
collettore all'urografia rappresentano il segno più caratteristico delle lesioni
occupanti spazio a carico del rene. Una stratigrafia può definire meglio la
lesione nel tentativo di differenziarla da una cisti renale.
• Arteriografia: questo esame altamente invasivo è stato, in era pre-TAC, l'unico
in grado di identificare con certezza un carcinoma renale rendendone evidente
l'abnorme ipervascolarizzazione. Attualmente l'uso dell'arteriografia è
limitato, anche se alcuni autori ne rivendicano la superiorità
nell'identificazione di piccole lesioni metastatiche (sino a 5 mm di diametro),
caratterizzate dal tipico quadro ipervascolare. Essa attualmente viene
utilizzata per valutare l'anatomia vascolare del rene qualora si tema la
presenza di trombi neoplastici o si ritenga necessario eseguire una resezione
parziale o un'enucleazione. Quest'evenienza si può verificare in pazienti
monorene oppure in pazienti affetti da sindrome di Von Hippei-Lindau, nel
quali si può prevedere ragionevolmente una recidiva controlaterale della
neoplasia.

Diagnosi differenziale
Va fatta, nel caso in cui la neoplasia si presenti in modo anomalo per
produzione di sostanze ormonosimili, con le varie patologie di volta in volta
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sospettate. Nei restanti casi la diagnosi differenziale si pone con le altre masse
renali, tumori benigni e cisti. Si ricorda, ad esempio, la possibilità di eseguire
una RMN, che può risultare diagnostica, nel caso in cui si sospetti un
angiomiolipoma per la presenza di sintomi riferibili ad una sclerosi tuberosa.

Prognosi
E’ fortemente influenzata dallo stadio in cui la neoplasia viene diagnosticata.
Nello stadio TI il 90-100% dei pazienti sopravvive a 5 anni dalla diagnosi.
Nello stadio T2 il 70-80%, nel T3 il 65%, nel T4 il 40% dei pazienti raggiunge il
quinto anno. Nei casi con metastasi linfonodali la sopravvivenza scende al
25-30% a 5 anni. In presenza di trombi endovasali la sopravvivenza si aggira
sul 40-50% a 5 anni. La prognosi è infausta nei casi che presentino metastasi
all'atto della diagnosi; in questi casi nessun paziente raggiunge ì 5 anni
dall'intervento, mentre il 15-20% è ancora vivo dopo due anni.

Terapia
La terapia, si basa sui dati ottenuti dalle indagini diagnostiche e di stadiazione,
dalle quali dipenderà l’indirizzo terapeutico da attuare.
L’atto terapeutico comunemente accettato nel trattamento del carcinoma renale
è la nefrectomia radicale che consiste nell'asportazione del rene, surrene e
grasso perirenale, eseguita senza aprire la fascia renale e ponendo cura a
chiudere l'arteria e la vena renale come primo atto dell'intervento. I linfonodi
compresi tra il diaframma e la biforcazione aortica vengono comunemente
asportati, anche se esistono ancora dubbi sul fatto che la linfadenectomia
rappresenti una misura curativa o di semplice stadiazione.
In caso di metastasi queste, se uniche, possono venire rimosse
chirurgicamente. La chemioterapia e la radioterapia danno risultati deludenti.
Da una decina d’anni, alcune speranze si stanno ponendo nella immunoterapia
con varie sostanze (interferoni, interleuchine, fattore di necrosi tumorale o
TNF).
Nuovi agenti antineoplastici sono in via di sperimentazione ma ancora
nessuno di questi fornisce risultati migliori del 20-30%.
Attualmente, col raffinarsi delle indagini diagnostiche e di stadiazione e con
l’aumento di diagnosi precoce, si tende a praticare, quando possibile, terapie
chirurgiche conservative, come la tumorectomia, asportazione della massa
tumorale risparmiando il rene, o eminefrectomie, cioè asportazione del polo
renale dove è localizzata la neoformazione.

NEFROBLASTOMA O TUMORE DI WILMS

Epidemiologia
Il tumore di Wilms, definito anche nefroblastoma, è la più comune neoplasia
del tratto urogenitale in età pediatrica. La diagnosi di questo tumore è posta,
generalmente, in pazienti tra 1 e 5 anni di vita. Raramente la neoplasia si
riscontra nell'adolescenza e in età adulta. Si presenta in forma bilaterale nel 5%
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dei casi. Nel 9-15% dei casi la neoplasia si associa ad anomalie congenite sia
dell'apparato urogenitale che al di fuori di esso quali l'aniridia e
l'emiipertrofia. Non sono rilevabili differenze di frequenza fra i due sessi e nei
diversi gruppi razziali.

Eziologia
La descrizione di forme familiari, seppur rare, ha fatto sospettare l'esistenza di
un'eziologia ereditaria. La forma ereditaria, a trasmissione autosomica con
penetranza incompleta, sarebbe confermata dalla presenza di alterazioni
cromosomiche a carico del cromosoma 11. L'eziologia della forma spontanea è
ignota.

Anatomia patologica
La neoplasia si presenta come una massa lobulata, di colore grigiastro al
taglio, composta di materiale dall'aspetto mucinoso. Istologicamente si
distinguono tre componenti: epiteliale, stromale e blastematosa (cellule
mesenchimali). L'aspetto istologico rappresenta uno dei parametri più
importanti ai fini prognostici. Infatti, in presenza di anaplasia cellulare o di
aspetti sarcomatoidi l'istologia viene definita come "sfavorevole" in relazione
alla prognosi.
Il tumore di Wilms metastatizza per via linfatica nei linfonodi retroperitoneali,
per via ematica (generalmente nei polmoni, nel fegato, nel diaframma) e per
invasione diretta. Anche il nefroblastoma, come l'adenocarcinoma renale,
presenta una spiccata tendenza all'invasione vasale. Circa il 10% dei pazienti
presenta, gia al momento della diagnosi, metastasi a distanza (Tabella 7).

Tab 7: Stadiazione dei tumore di Wilms. NWTSG (National Wilms' Tumor Study Group), 1982

Stadio Caratteristiche
I Limitato al rene e completamente rimosso chirurgicamente
II Tumore oltre la capsula renale ma completamente rimosso
chirurgicamente
III Tumore residuo confinato all'addome
IV Metastasi ematogene (polmoni, fegato)
V Coinvolgimento renale bilaterale alla diagnosi

Sintomatologia
Il più comune sintomo di esordio è rappresentato dalla comparsa di una massa
palpabile addominale (83% dei casi) scoperta, generalmente, dai genitori. Può
associarsi dolore addominale, nonché sintomi generali quali astenia, febbre,
perdita dipeso, presenti in circa la metà dei pazienti. Inoltre, circa un quarto
dei pazienti presenta micro e/o macroematuria. La comparsa di ipertensione
sisto-diatolica, di comune riscontro, viene generalmente risolta dall'ablazione
della neoplasia.

Diagnosi
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Esami di laboratorio: l'esame emocromocitometrico mette in evidenza,


generalmente, un'anemia normocromica normocitica. L'esame dell'urina
mostra frequentemente micro e/o macroematuria.
Esami strumentali:
• Ecotomografia addominale: mette in evidenza una lesione occupante spazio a
contenuto solido, disomogenea, facilmente differenziabile dall'idronefrosi e
dalle lesioni di tipo cistico.
• Rx diretta dell'addome: è generalmente evidente un enorme aumento delle
dimensioni dell'ombra renale unitamente allo spostamento dell'asse renale. E’,
inoltre, possibile osservare alcune calcificazioni puntiformi o ad anello nel
contesto della massa neoplastica.
• Urografia endovenosa: mette in evidenza il profilo distorto del rene interessato
con le vie escretrici deviate, in genere, medialmente.
• TAC e RMN: entrambi questi esami mettono in evidenza i limiti della
neoplasia e l'eventuale interessamento di altri organi e/o di linfonodi.

Diagnosi differenziale
Una massa palpabile addominale in età pedìatrica deve, innanzitutto, essere
differenziata da un’idronefrosi, che è la causa più comune. Una ecografia
risolve, quasi costantemente, il dubbio diagnostico. Anche l'eventuale presenza
di cisti renali viene messa in evidenza con un'ecografia. Bisogna, però,
ricordare che è possibile osservare cisti anche all'interno dei nefroblastomi. La
malattia policistica viene distinta con l'ausilio di un'urografia effettuata dopo
l'esame ecografico.
Problemi di diagnosi differenziale insorgono nei confronti dell’amartoma
renale, neoplasia benigna, che è generalmente indistinguibile da un
nefroblastoma. Solo un esame istologico al congelatore, effettuato
intraoperatoriamente può chiarire la diagnosi.

Prognosi
E’ in relazione allo stadio ed al tipo istologico. La sopravvivenza a 4 anni è del
96% per lo stadio I, 92% per lo stadio II, 81 % per lo stadio III, 82% per lo stadio
IV quando si associa una istologia "favorevole", priva, come ricordato in
precedenza, di caratteri anaplastici o sarcomatoidi.
In caso di istologia "sfavorevole" la sopravvivenza scende rispettivamente al
75-68% per gli stadi I-III, ed al 55% per lo stadio IV.
La prognosi dello stadio V è, ancora oggi, grave. L'estensione della neoplasia
non permette, in genere, la rimozione totale del tumore e favorisce le recidive.
Malgrado l'associazione della chemioterapìa e della radioterapia la
sopravvivenza di questi pazienti è limitata al 40% dopo 4 anni dalla diagnosi.

Terapia
La terapia del tumore di Wilms rappresenta uno dei casi più tipici di successo
dell'integrazione terapeutica tra chirurgia, chemioterapia e radioterapia. L'uso
preoperatorio di farmaci antiblastici altamente efficaci nei confronti del
nefroblastoma ha permesso, da un lato, di ridurre la massa neoplastica,
facilitando il compito del chirurgo, e, dall'altro, di ridurre la comparsa di
15

recidive post-operatorie, di gran lunga più frequenti in passato. L'uso della


radioterapia, che presenta effetti collaterali marcati, soprattutto a carico
dell'apparato gastroenterico (fistole entero-enteriche, proctiti attiniche), è
andato di conseguenza scemando. Attualmente la radioterapia è considerata
un trattamento dì "seconda linea", utilizzato nelle recidive della malattia.
16
17

LE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE


18

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) stanno assumendo sempre maggiore


rilievo essenzialmente per due ragioni: la prima è di ordine puramente
epidemiologico (ogni anno in Italia vengono diagnosticati quasi due milioni di
casi di IVU); esse sono seconde solo a quelle dell'apparato respiratorio e
rappresentano il tipo di infezione più frequentemente acquisita in ambito
ospedaliero.
La seconda è invece di interesse strettamente clinico e prognostico e riguarda la
frequenza con cui tali forme morbose, lungi dall'essere entità nosologiche a sé
stanti ad evoluzione quasi sempre favorevole, costituiscono piuttosto la
manifestazione unica o quanto meno la più appariscente di gravi alterazioni
anatomo-funzionali dell'apparato urinario, quali ad esempio stenosi del giunto
pielo ureterale, stenosi del collo vescicale, iperplasia prostatica, calcolosi infetta.
Le infezioni urinarie incidono con diversa frequenza nei due sessi e nelle
diverse età della vita, costituiscono da sole il 25% della patologia dei primi due
anni di vita ed il 16% di tutta la patologia pediatrica.
Tale rapporto relativo decresce nell'età adulta e diventa inferiore al 6-7% per il
prevalere nell'età anziana delle malattie cardiovascolari, neoplastiche,
dismetaboliche e cronico-degenerative.
Si definisce infezione delle vie urinarie il reperto di una batteriuria significativa
accompagnata o meno da una sintomatologia clinica. Una batteriuria è
significativa quando la conta dei microrganismi è superiore o uguale a 10 alla
quinta colonie per ml di urine.
Questo valore limite fu proposto da Kuss nel 1959 e successivamente accettato
da tutti.
Tuttavia, con il moltiplicarsi dei farmaci ad azione antibiotica, il loro impiego
nelle varie situazioni morbose è divenuto tanto frequente e così massiccio da
interferire con la flora batterica sia patogena sia residente nei vari distretti
dell'organismo.
È cosi che il valore stabilito da Kuss è stato oggi rivisto e per lo più si considera
significativa una conta di 10.000 germi per ml di urina.

ETIOLOGIA
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schizomiceti comuni nella


quasi totalità dei casi.
Altri microrganismi sono stati
isolati dalle urine ma non
sembrano essere patogeni per
l'apparato urinario.
Tra gli schizomiceti comuni
quelli che più frequentemente
vengono isolati (80-90%) sono
Pseudomonas aeruginosa batterio
Gram-negativi. Fino ad oggi
ambientale
l'Escherichia Coli è stata la
specie batterica più
frequentemente isolata dalle
Gli agenti etiologici delle urine
infezioni urinarie sono
infette, in particolare con i sierotipi 0, l, 2, 4 , 7 e 75.
Negli ultimi anni si sta assistendo, nelle infezioni complicate, ad una variazione
del panorama etiologico. In particolare si assiste ad un aumento delle infezioni
sostenute da germi opportunisti (Pseudomonas, Proteus, Serratia) e da germi
Gram-positivi. Tali microrganismi sono presenti nell'ambiente in genere e in
particolare nella cute; la loro ubiquità fa sì che essi incidano significativamente
nelle infezioni acquisite in ambiente ospedaliero, favorite spesso da manovre
strumentali.
Nelle infezioni ad andamento cronico infine non è raro ritrovare una flora
batterica mista; ciò è dovuto soprattutto alla frequenza con cui questo tipo di
infezioni viene trattata, cioè con prolungati e ripetuti cicli di terapia antibiotica
nel tentativo di una loro definitiva eradicazione.

PATOGENESI
Perché l'infezione si dell'organismo attraverso la via ematica (rene,
determini, una flora prostata e testicoli), la via linfatica per un circolo
batterica deve: enterourinario (dall’intestino e dalla cervice verso
1)poter raggiungere la vescica e il rene), la via ascendente (dalla vescica
l'apparato urinario; al rene o dall’uretra alla prostata e alla vescica), per
2)essere capace di contiguità (estensione diretta intestinale alla
moltiplicarsi vescica).
nell'ambiente;
3)essere in grado di
competere con i
meccanismi di difesa
presenti.
Le urine sono
abitualmente sterili.
Cariche batteriche
possono giungere
nell'apparato urinario
da varie sedi
20

In condizioni di normale dinamica urinaria, la permanenza di questi


microrganismi nella via escretrice è così breve da essere eliminati con il flusso
di urina prima che, moltiplicandosi, possano raggiungere una carica
significativa da divenire patogeni.

Questo può avvenire solo:


1)quando a livello dell'apparato urinario esistono condizioni particolarmente
favorevoli al rapido accrescimento batterico legati a rallentato deflusso
dell’urina dal rene alla vescica e quindi all’esterno;
2)quando per situazioni patologiche diverse si verifica una riduzione dei poteri
di difesa locali e/o sistemici;
3)quando la carica batterica che raggiunge l'apparato urinario è di tale entità da
essere di per sé primitivamente patogena.

I fattori predisponenti l'insorgere di IVU si distinguono in:


a)fisiologici;
b)patologici;
c)iatrogeni.
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Fattori fisiologici
Nel sesso femminile la brevità dell'uretra e la sua collocazione sono
indubbiamente all'origine di una maggiore predisposizione alle infezioni
urinarie. In tale situazione anatomica, infatti, l'ingresso in vescica di
microrganismi residenti nell'introitus vaginale costituisce una evenienza facile
a realizzarsi spontaneamente, e ancor di più in corso di rapporto sessuale
(cistite da “Luna di miele”). In gravidanza un ulteriore fattore favorente è
rappresentato dalla reversibile stasi ureterale legata alla riduzione della
normale peristalsi ureterale ormonalmente indotta (progesterone) e dalla
compressione meccanica dell'uretere da parte dell'utero negli ultimi mesi di
gravidanza.
Con l'avanzare dell'età si riduce progressivamente la capacità di sorveglianza
del sistema immune sugli agenti infettivi, mentre aumenta l'incidenza di
malattie metaboliche e di ipertensione a loro volta responsabili di
immunodeficienza relativa. Inoltre, con l'invecchiamento compaiono con
estrema frequenza turbe minzionali dovute nel maschio a patologia prostatica,
e nella donna pluripara a cistocele. Infine ricordiamo come le particolari
caratteristiche biochimiche della midollare (scarso flusso ematico, elevato pH,
iperosmolarità) neutralizzando alcuni fattori del complemento e inibendo la
chemiotassi leucocitaria, riducono la risposta immunitaria, favorendo cosi la
persistenza e la cronicizzazione dell'infezione in tale sede.

Fattori patologici
Un'attiva peristalsi della via escretrice ed un suo svuotamento periodico e
completo costituiscono il più efficace mezzo di difesa dell'apparato urinario
alle infezioni.
Qualsiasi fattore patologico intrinseco od anche estrinseco a detto apparato che
causi ostruzione e di conseguenza ostacolo al deflusso e ristagno di urina
favorisce l'insorgenza di infezione.

Fattori patologici estrinseci nell’uomo: anche nell’uomo la principale via di


diffusione dell’IVU è quella ascendente attraverso l’uretra. Contrariamente alla
situazione femminile, il meato uretrale esterno non è né vicino all’orifizio anale,
ne è adiacente ad una superficie mucosa (vagina) che può essere colonizzata
dai batteri. Inoltre la prostata secerne una potente sostanza antibatterica che
probabilmente rappresenta un meccanismo di difesa naturale contro le IVU
ascendenti. Questa sostanza è lo zinco. Negli uomini con prostatite batterica è
assente o in ridotta quantità. L’ infezione cronica batterica della prostata
sembra essere la causa principale di IVU ricorrente nell’uomo.

Fattori patologici intrinseci nell’uomo: numerosi fattori intrinseci alla vescica


influenzano la suscettibilità sia degli uomini che delle donne alle IVU. Batteri
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introdotti nelle vesciche di volontari sono stati prontamente eliminati dopo la


minzione, senza nessun trattamento. Perciò, uno svuotamento vescicale
efficiente può da solo rappresentare un meccanismo di difesa contro l’infezione
vescicale. Le disfunzioni vescicali su base neurologica, il residuo urinario e la
presenza di corpi estranei aumentano la suscettibilità all’infezione.

Fattori ureterali e renali: oltre ai fattori legati alla suscettibilità dell’ospite,


esistono numerosi fattori che ne condizionano la diffusione per via ascendente
dalla vescica alla via escretrice alta, fino al rene: la presenza o meno di reflusso
vescica-ureterale, la qualità della peristalsi ureterale e la relativa suscettibilità
della midollare renale all’infezione. Una uropatia ostruttiva, una diminuzione
del flusso ematico al rene, una malattia primitiva renale ed i corpi estranei
renali o ureterali possono aumentare la suscettibilità alle IVU

In tali condizioni infatti una carica batterica, comunque


giunta nella via escretrice, anche se di scarsa entità,
crescendo in modo esponenziale, in breve tempo raggiunge
valori francamente infettanti tali cioè da superare i
meccanismi di difesa.
La calcolosi urinaria è indubbiamente la patologia che più
frequentemente è causa di IVU, associando all'ostruzione il
trauma sull'urotelio; inoltre, tutta la patologia malformativa
sia della via escretrice superiore che del tratto urinario
inferiore, nonché tutta la patologia acquisita neoplastica e
non, responsabili di una alterata urodinamica con ristagno di
urine, costituiscono eventi patologici per i quali la
complicanza
infettiva è la regola.
Da ciò ne deriva che in presenza di infezione urinaria recidivante o ad
andamento cronico, e in particolare in età pediatrica, è necessario accertare in
tutti i casi l'integrità anatomica e/o funzionale dell'apparato urinario.

Fattori iatrogeni
La valutazione anatomica o funzionale dell'apparato urinario frequentemente
obbliga ad esplorazioni endoscopiche talvolta semplici e agevoli, quali la
uretrocistoscopia, talvolta più complesse, quali la uretero-pieloscopia. Per
quanto delicatamente tali manovre vengano effettuate, e la strumentazione
impiegata venga accuratamente sterilizzata, l'endoscopia dell'apparato urinario
è non raramente complicata da IVU.
I microtraumi, le piccole erosioni dell'epitelio, l'inevitabile trasporto della flora
batterica abitualmente presente nel tratto distale dell'uretra, all'interno della via
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escretrice, l'irrigazione a pressione non fisiologica con la rimozione dei


glicosaminoglicani di superficie, costituiscono importanti fattori di rischio per il
realizzarsi di fenomeni infettivi secondari.
Il problema diviene ancora più grave in corso di manovre endoscopiche
ottenute a scopo terapeutico, in quanto i fattori di rischio sopra menzionati
divengono inevitabili, e, il più delle volte, di tale entità, che l'infezione
secondaria diviene la regola. Appare evidente da quanto detto l'importanza di
attuare sempre in occasione di manovre endoscopiche, in particolare se
effettuate a scopo terapeutico, tutte le precauzioni possibili idonee a prevenire
questo tipo di complicanze, che oltre alla completa sterilità della
strumentazione preveda un’adeguata copertura antibiotica profilattica e post
operatoria.

Diagnosi
In caso di cistite, l’eliminazione dell’urina all’esterno può provocare dolore o bruciore
minzionale. Può esserci urgenza minzionale, seguita da eliminazione di poca urina e
sensazione di non avere svuotato completamente la vescica (tenesmo vescicale). In
alcuni casi sono possibili alterazioni cromatiche o dell’odore delle urine con
ematuria. E’ infine possibile una dolenzia continua alla parte bassa dell’addome,
mentre è raro che ci sia febbre.
In caso di pielonefrite c’è invece febbre alta, anche con brividi; si può avere inoltre
nausea, vomito e dolore al fianco, alla schiena o nella zona inguinale. E’ infine
possibile notare urine purulente o sangue nelle urine, mentre di solito non ci sono i
disturbi a urinare caratteristici della cistite..

La sintomatologia clinica non sempre è sufficiente per una diagnosi di


infezione urinaria, per cui è spesso necessario ricorrere ad indagini di
laboratorio e strumentali al fine non solo di accertare la presenza di IVU, ma di
ricercare i fattori favorenti, definirne la forma clinica e valutarne il rischio di
complicanze. Tali indagini sono:

Esame delle urine.


L'esame del sedimento urinario evidenzia una leucocituria al di sopra dei
valori fisiologici (200.000/h o 5 per campo): ciò è indice generico di
infiammazione delle vie urinarie, ma non sempre di infezione. La presenza di
una cilindruria leucocitaria, rappresentando il cilindro lo stampo più o meno
esteso del tubulo renale, è indice di una flogosi che non interessa solo la via
escretrice ma anche il parenchima renale. Al contrario la sola presenza di
cellule di sfaldamento delle basse e/o alte vie è indice di un interessamento
esclusivo o prevalente della via escretrice.
La presenza di batteri senza segni evidenti di flogosi non è costantemente
segno di infezione, potendo essere l'esito di una cattiva conservazione del
campione, fin dall'inizio raccolto in contenitore igienicamente inidoneo.
Invece la proteinuria e la microematuria, seppur quasi sempre presenti in corso
di infezione, non sono indicative se non quando si ritrovino associate ai reperti
sopra menzionati.
24

La presenza di nitriti invece è un segno estremamente indicativo, essendo


questi un prodotto del metabolismo di quei germi che più frequentemente sono
responsabili di infezione.

Urinocoltura.
La diagnosi di infezione urinaria è basata sulla dimostrazione certa di un
numero significativo di microrganismi nell'urina vescicale. La urinocoltura
consente una determinazione accurata del numero totale dei microrganismi per
ml di urina, e permette l'identificazione della specie batterica. Il campione in
esame, perché l'urinocoltura risulti attendibile, deve essere raccolto in
contenitore idoneo per sterilità e caratteristiche e il prelievo effettuato secondo
modalità che garantiscono la non contaminazione da parte dei batteri
comunemente presenti nell'uretra, sui genitali esterni e sul perineo.
Le urine sono prelevate dal soggetto con:
1)mitto intermedio (nella quasi totalità dei casi);
2)puntura sovrapubica (in casi selezionati, in particolare in età pediatrica);
3)catetere (nei soggetti immunodepressi e/o portatori di catetere).

La batteriuria è significativa quando:


a)la conta è > 100.000 col/ml, per urine prelevate con mitto intermedio o per
cateterismo, considerando però valori inferiori fortemente sospetti;
b)la conta è > 10 col/ml per urine prelevate con puntura sovrapubica.
L'esame colturale deve essere eseguito non oltre 30' dalla raccolta dei campioni,
per non avere risultati alterati. La conta delle colonie perde ogni significato se il
paziente assume farmaci antibatterici.

Localizzazione della infezione (diagnosi di sede delle IVU).


Stabilire se il paziente è affetto da infezione delle vie urinarie alte o basse, e se è
presente interessamento parenchimale o meno, è di estrema importanza per le
implicazioni cliniche, prognostiche e terapeutiche che ciò comporta.
Tale distinzione non sempre è possibile sulla base dei soli elementi clinici,
anche se la presenza di febbre elevata e di dolore lombare faranno propendere
per la diagnosi di pielonefrite acuta.
Per evidenziare la sede dell'infezione sono stati proposti sia metodi diretti,
invasivi e con possibili effetti collaterali, sia metodi indiretti.
Tra i primi ricordiamo l'esame colturale su urina raccolta con cateterismo degli
ureteri (test di Stamey) o dopo lavaggio vescicale con soluzioni disinfettanti
(test di Farley).
Tra i metodi indiretti i più attendibili sono la ricerca di enzimuria (LDH,
lisozima, NAG, Beta2 microglobulina) indice di danno o necrosi tubulare, la
ricerca di anticorpi sierici specifici e la ricerca nel sedimento urinario di batteri
rivestiti da anticorpi (Antibody Coated Bacteria test o test di Thomas).
In particolare questo ultimo test ha dimostrato una accuratezza dell'80% nella
diagnosi di infezione renale, ma può essere positivo in tutte quelle situazioni in
cui i microrganismi superano l'urotelio venendo a contatto con il circolo
linfatico (cistite ulcerosa, prostatiti ecc.).
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Diagnostica per immagini


La radiologia può essere inclusa tra i metodi indiretti in quanto, rilevando
alterazioni morfofunzionali di uno dei distretti dell'apparato urinario, può far
propendere verso una infezione di quella sede, od anche, mostrando l'assoluta
integrità anatomofunzionale dell'apparato urinario superiore, orientare verso la
sede bassa di essa.
Le indagini radiologiche sono necessarie nei pazienti con fattori di rischio che
possano necessitare di intervento oltre che del trattamento antibatterico.
Un’infezione urinaria associata a possibile ostruzione dell’apparato urinario
richiede un approfondimento. Questi sono i pazienti con calcoli, tumori
ureterali, stenosi ureterali, ostruzioni congenite o pregressi interventi
sull’apparato genito urinario, come il reimpianto ureterale o gli interventi di
derivazione urinaria, che possono aver provocato ostruzione. Ecco alcune
tecniche di diagnostica per immagini utili nelle infezioni urinarie:
a) Radiografia reno vescicale (Rx diretta reno vescicale): è utile per la
rapida diagnosi di calcoli radiopachi a carico di rene o uretere. Non è
specifica come indagine.
b) Ecografia renale: rappresenta un’importantissima tecnica di diagnostica
per immagini grazie alla sua non invasività, alla sua facilità di
esecuzione e perché non sottopone il paziente a rischio di radiazioni o a
mezzo di contrasto. È particolarmente utile per individuare l’idronefrosi
associata ad un’infezione dell’apparato urinario, pionefrosi ed ascessi
perirenali.
c) Urografia: l’urografia è un esame di routine per lo studio di pazienti con
problemi infettivi complicati. Utilizzando un mezzo di contrasto delinea
l’albero urinario mostrando immagini di minus o di plus. È utile per
definire l‘esatta posizione e l’estensione di un’ostruzione dell’apparato
urinario.
d) Tomografia assiale computerizzata: è in grado di esaminare in modo
preciso i dettagli anatomici, ma ai fini della diagnostica per immagini
non risulta essere una prima scelta nelle IVU, ma secondaria per uno
studio successivo che valuti alterazioni anatomiche predisponenti
un’infezione. E comunque ciò può esser già studiato con ecografia e
urografia. Altresì il suo elevato costo ne impedisce l’inserimento nelle
procedure di studio più comuni.
e) Scintigrafia renale sequenziale: si utilizza per lo studio della eventuali
alterazioni della funzionalità renale e riduzioni della perfusione renale
in corso di infezioni renali acute. Successivamente alla guarigione è
importante per valutare il ripristino della perfusione, escrezione e
secrezione, nel ripristino dello status quo ante, o nella valutazione della
filtrazione residua.
Classificazione e sintomatologia

Di una infezione urinaria bisogna indicare la sede (parenchimale, alte vie


escretrici, basse vie escretrici, prostata), il decorso (acuto, cronico, ricorrente) e se
si tratta di forma semplice o complicata, intendendo come tali tutti quei casi in cui
la presenza di concomitante patologia a carico dell'apparato urinario renda
26

difficile se non impossibile la risoluzione dell'IVU.


Il quadro clinico con cui una infezione urinaria si manifesta è quanto mai vario e può
andare dalla assenza completa di sintomatologia (batteriuria asintomatica), alla
presenza di soli sintomi locali (disuria, pollachiuria, stimolo imperioso, stranguria)
che tuttavia non sono specifici di IVU, alla presenza di sintomi di tipo generale
(febbre, dolore) che sono caratteristici di interessamento parenchimale. A seconda
della sede in cui primitivamente si instaura il processo infettivo, l'evoluzione del
quadro clinico assume importanza e caratteristiche diverse soprattutto in relazione
all'interessamento successivo dei vari segmenti dell'apparato urinario.
Se la vescica, luogo fisiologico di relativa stasi, costituisce il punto della via escretrice
in cui con maggiore frequenza si realizzano le condizioni ideali per l'instaurarsi di un
processo infettivo, non è certamente infrequente che ciò si determini anche lungo i
vari segmenti della via escretrice alta, in relazione a condizioni patologiche
responsabili di un ostacolo al fisiologico deflusso delle urine. Un processo infettivo
che interessi primitivamente la vescica rimane abitualmente localizzato ad essa. La
giunzione uretero-vescicale, in assenza di alterazioni patologiche e malformative che
ne modificano le caratteristiche anatomo-strutturali, è capace di mantenere una
perfetta continenza anche alle più alte pressioni endovescicali opponendosi al
reflusso vescicoureterale ed al propagarsi del processo infettivo.
L'infezione, interessando direttamente tale struttura, può determinare una
temporanea modificazione delle sue peculiari caratteristiche funzionali e quindi
essere essa stessa causa di reflusso, ma ciò si verifica raramente, in situazioni di
relativa immaturità della giunzione ureterovescicale o in presenza di situazioni
malformative che da sole sarebbero comunque insufficienti ad alterare i meccanismi
antireflusso.
Il contrario si verifica quando l'infezione interessa primitivamente la via escretrice
alta: a qualsiasi livello essa si determini, infatti, si propaga rapidamente a tutto
l'apparato urinario e il continuo e costante defluire di urina ad alto contenuto
batterico costituisce il presupposto all'insorgenza di un vero e proprio processo
infettivo cronico della vescica, in particolare in presenza di un residuo anche di lieve
entità.
L'infezione della via escretrice superiore inoltre si diffonde altrettanto rapidamente al
parenchima renale con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di prognosi e
di terapia.
Già si è detto come l'infezione si instauri abitualmente dopo che una ostruzione
anatomica o funzionale delle vie escretrici abbia condotto ad una stasi urinaria. Nel
tratto a monte dell'ostacolo le alte pressioni esistenti favoriscono veri e propri reflussi
di urina infetta dalle vie escretrici verso il parenchima. Si giunge così alla formazione
di focolai batterici parenchimali ed alla pielonefrite conclamata.
In presenza di infezione, quindi, non si potrà in alcun caso prescindere da uno studio,
il più accurato possibile e complesso, dello stato anatomico e funzionale dell'apparato
urinario, al fine di non incorrere nel rischio di misconoscere quelle situazioni
patologiche sulle quali l'IVU si instaura e le cui complicanze, più o meno lontane, non
raramente possono essere non solo definitive ma anche tanto gravi da compromettere
la vita futura del paziente.

Storia naturale delle infezioni


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L’uso di alcuni termini quali “cronica” o “persistente” però può dar luogo ad
inesattezze ed incomprensioni. Stamey nel 1980 ha suggerito una nuova
classificazione utile soprattutto per tracciare la storia naturale dell’infezione in ogni
paziente e per seguirne l’evoluzione clinica:
1. Prima infezione: rappresentata dal primo episodio documentato di IVU
2. Batteriuria non risulta: quei casi di IVU nei quali l’infezione non si risolve
durante la terapia per una mancata eradicazione. Le cause sono dovute a:
a. resistenza batterica sviluppata durante la terapia;
b. ridotta risposta del paziente alla terapia;
c. rapido sviluppo di resistenza batterica nonostante l’iniziale sensibilità;
d. infezioni miste;
e. rapida reinfezione per un nuovo agente resistente;
f. insufficienza renale (iperazotemia);
g. calcolosi renale infetta (a stampo)
3. Persistenza batterica: quando si sterilizzano le urine durante la terapia ma
persiste il pabulum ossia :
a. calcolosi infetta;
b. prostatite cronica batterica;
c. fistole vescicovaginali e vescicoenteriche,
d. nefropatia ostruttiva;
e. rene midollare a spugna infetto
4. Reinfezione: quei casi di IVU nei quali si verifica una nuova infezione, con nuovi
agenti patogeni, dopo la risoluzione di un precedente episodio infettivo.

Complicanze
Se in prima istanza è giusto considerare l'infezione un sintomo di altre affezioni
dell'apparato urinario è pur vero che essa costituisce anche, di per sé, un evento
patologico responsabile di sintomatologia fastidiosa ed invalidante e, se localizzata
alle alte vie escretrici, di possibili danni irreversibili sul parenchima renale.
La pielonefrite cronica con evoluzione verso la sclerosi e l'esclusione funzionale del
rene è la complicanza più temibile. Si tratta di un processo lento ma che viene
accelerato nella sua progressione dalla presenza di fenomeni ostruttivi non risolti
tempestivamente. Ciò è particolarmente importante in età pediatrica dove l'infezione
è quasi sempre il primo segno di un'uropatia malformativa più o meno importante.
È dimostrato come in soggetti con IVU secondaria a malformazioni, le alterazioni
funzionali renali sono reversibili se l'intervento chirurgico correttore viene effettuato
entro il 1° anno di vita, permangono invariate se questo viene realizzato tra il 1° ed il
3° anno e sono invece destinate inevitabilmente a peggiorare se la diagnosi e la
successiva correzione chirurgica vengono ritardate oltre questo periodo.
La pielonefrite cronica bilaterale è seconda solo alle glomerulonefriti come causa di
insufficienza renale cronica (IRC); nel 19,1% dei pazienti oggi in trattamento dialitico
il primum movens è stato un'infezione urinaria ostruita o non.
Anche se solo monolaterale la pielonefrite cronica costituisce un evento patologico
estremamente grave: essa può determinare una ipertensione arteriosa, che se non
trattata in tempo ed adeguatamente è causa di una compromissione vascolare del
rene controlaterale e quindi di IRC.
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La presenza di infezione costituisce una delle tante condizioni che, modificando le


caratteristiche fisico-chimiche delle urine, favoriscono la precipitazione dei sali
disciolti e quindi la produzione di calcoli.
L'IVU agisce fondamentalmente attraverso due meccanismi:
1)modificando il pH urinario verso l'alcalinità (liberazione di ammoniaca per idrolisi
dell'urea da parte della ureasi di derivazione batterica) contribuisce alla realizzazione
di quelle condizioni che rendono meno solubili i fosfati e quindi favorisce una più
facile precipitazione di essi sotto forma di cristalli;
2)producendo residui organici in quantità considerevoli fornisce i nuclei di attrazione
sui quali i cristalli si accumulano e si aggregano in formazioni litiasiche sempre più
voluminose, fino alla realizzazione di quelle calcolosi racemiche che tanta parte
hanno nella distruzione funzionale del rene.
Infine si ricorda il grave pericolo che le IVU in gravidanza costituiscono sia per la
gestante sia per il feto.
Batteriurie anche asintomatiche che si verificano nel 10-13% delle gravide,
misconosciute, possono essere responsabili di pielonefriti croniche complicate o meno
con calcolosi, di parto pretermine o peggio di gestosi con aumento della mortalità
perinatale.
In gravidanza ogni donna dovrebbe essere sottoposta ad esame colturale delle urine
dopo il III mese di gestazione ed essere adeguatamente trattata al primo esame
positivo.

Principi terapeutici
Considerando quanto finora detto appare evidente quanto sia importante in presenza
di infezione stabilire un programma terapeutico che dia le più ampie garanzie per
una definitiva guarigione di essa. Il trattamento della infezione urinaria costituisce
tuttavia uno dei più gravi problemi di ordine medico che si incontrano in terapia
urologica in relazione ai numerosi fattori che si oppongono ad esso.
Tre ordini di fattori ostacolano il trattamento delle infezioni urinarie:
1)dipendenti dall'apparato urinario;
2)dipendenti dalla flora batterica.
3)dipendenti dall'organismo.

FATTORI DIPENDENTI DALL'APPARATO URINARIO

Per quanto riguarda i primi, anzitutto ricordiamo la stasi urinaria a qualsiasi livello
della via escretrice essa si determini, anche quando dovesse interessare un solo calice.
Abbiamo già visto il ruolo che essa assume nel determinismo della infezione, non
meno importante è quello che essa riveste nell'ostacolarne il trattamento.
I meccanismi attraverso i quali la stasi rende difficile la terapia dell'infezione possono
essere molteplici, ma il principale è l'ostacolo che viene a realizzarsi al rapido
ricambio del contenuto in quel determinato settore della via escretrice, vanificando
così uno dei più validi mezzi con cui l'apparato urinario si difende dalla infezione.
29

La presenza di una calcolosi costituisce un ostacolo quasi insormontabile al


trattamento dell'infezione e ciò perché anzitutto essa è quasi costantemente causa di
stasi, perché costituisce un fattore meccanico di flogosi ed inoltre perché nel contesto
della formazione litiasica è molto spesso presente una flora batterica.
Altro fattore di ostacolo al trattamento dipendente dall'apparato urinario è la
frequenza con cui si stabiliscono focolai batterici parenchimali, in particolare a livello
della porzione midollare del rene. In questa sede è presente una iperosmolarità
fisiologica, l'ambiente è ricco di ammoniaca e quindi a pH decisamente alcalino, esiste
uno scarso flusso ematico e una bassa pressione di filtrazione.
Tutto ciò si oppone all'eliminazione dei focolai batterici attraverso vari meccanismi:
anzitutto la iperosmolarità facilita la formazione delle forme L o protoplasti, vale a
dire la forma disidratata dei germi, e ne permette la sopravvivenza in quanto in
ambiente iperosmolare si determina un ostacolo se non l'arresto dei movimenti
ameboidi e quindi anche della fagocitosi.
L'ambiente alcalino poi porta alla distruzione di alcuni componenti del complemento
(il IV in particolare), inattivandolo e quindi opponendosi in modo determinante al
meccanismo della immunità umorale.
Infine lo scarso flusso ematico e la bassa pressione di filtrazione presente a livello
della midollare del rene sono responsabili di una insufficiente concentrazione di
farmaci ad azione antibatterica in questa sede, tanto che solo antibiotici estremamente
attivi possono presumibilmente raggiungere la midollare in concentrazioni superiori
alle minime inibenti la flora batterica presente. Tale situazione, a sua volta, oltre a non
garantire la sterilizzazione dei focolai batterici, facilita anche la formazione delle
forme L, quando il meccanismo di azione degli antibiotici usati sia del tipo capsulare
(agiscono alterando la capsula batterica).
I protoplasti o forme L possono, con meccanismi e per ragioni non ancora del tutto
noti, riacquistare la loro forma batterica originaria e quindi essere responsabili del
mantenimento o quanto meno della recidiva dell'infezione dell'apparato urinario.

FATTORI DIPENDENTI DALLA FLORA BATTERICA

Tra i fattori che ostacolano il trattamento della infezione, più direttamente dipendenti
dalle caratteristiche della flora batterica abitualmente responsabile, dobbiamo
ricordare anzitutto l'ampia varietà dei possibili agenti batterici.
Praticamente tutta la flora Gram negativa e i germi più significativi di quella Gram
positiva possono essere di normale reperto nella infezione delle urine. In particolare
nelle infezioni ad andamento cronico, la frequenza del polimicrobismo rende
estremamente complesse la scelta del farmaco e la condotta terapeutica.
Inoltre la insorgenza della resistenza a livello dell'apparato urinario è notevolmente
più frequente che in altri settori dell'organismo. Questa può essere di tipo
cromosomico, vale a dire la selezione di mutanti resistenti, fenomeno che può
verificarsi in corso di un trattamento antibiotico, con la totale scomparsa dei cloni
sensibili e così lo sviluppo di quelli naturalmente resistenti, finché questi si
sostituiranno completamente ai primi dando origine ad una popolazione batterica
resistente alla terapia in corso.
Altri meccanismi di resistenza particolarmente frequenti a livello dell'apparato
urinario sono quelli conosciuti come fenomeni di combinazione genetica quali la
trasduzione, la coniugazione e la trasformazione.
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Il trasferimento di molecole di DNA sia che esso avvenga mediante fagi, od anche
mediante ponti protoplasmatici, può essere responsabile del trasferimento dei
caratteri di resistenza da una specie all'altra.
È ovvio che questo meccanismo si realizza con particolare frequenza dove esistono
infezioni polimicrobiche e cioè in particolare a livello dell'intestino e dell'apparato
urinario.
Un altro meccanismo di resistenza enormemente importante per l'apparato urinario
consiste nella proprietà della maggior parte dei germi di produrre, sotto lo stimolo
antibiotico, enzimi quali amidasi, lattamasi, esterasi, adeniltransferasi, fosfotrasferasi,
neutralizzanti l'antibiotico stesso attraverso una modificazione della sua struttura
chimica. Questo meccanismo ha grande importanza pratica in quanto attraverso esso
batteri sia Gram positivi sia Gram negativi, a seguito della terapia antibiotica
praticata, possono divenire resistenti ad un gran numero di farmaci (penicillina,
cefalosporine, cloramfenicolo, aminoglucosidi).
Ultime recenti acquisizioni in tema di biologia batterica riguardano la esistenza del
glicocalice, struttura questa che può ostacolare il trattamento di una infezione
urinaria.
Il glicocalice di superficie è una formazione di origine batterica, contenente
polisaccaridi, che per prima interagisce con il microambiente del germe e concorre
alla virulenza batterica.
Il glicocalice concorre nel determinare la sede dell'infezione, le recidive delle IVU e
favorisce le IVU iatrogene. Esso infatti conferisce al germe una spiccata adesione alle
superfici in genere, ma soprattutto a quelle esogene come protesi e cateteri, si oppone
all'azione dei polimorfonucleati, degli anticorpi e di alcuni antibiotici ed infine
protegge il germe dall'azione di enzimi litici extracellulari.

FATTORI DIPENDENTI DALL'ORGANISMO

Ulteriori fattori di ostacolo al trattamento della infezione urinaria sono le alterazioni


delle condizioni generali del paziente, quali quelle che si possono verificare per altra
patologia concomitante od anche semplicemente in modo fisiologico in età avanzata.
Di particolare valore sono da questo punto di vista una riduzione dei meccanismi di
difesa, una più o meno marcata alterazione della funzionalità epatica e renale od
anche un difettoso assorbimento gastroenterico che riduce l'efficacia di un
trattamento effettuato per somministrazione orale.
Da quanto finora detto appare evidente come risulti impegnativo lo stabilire un
programma terapeutico che possa dare sufficienti garanzie per il conseguimento di
una sterilizzazione permanente delle urine.
Come primo atto si dovrà provvedere alla rimozione chirurgica di tutte le formazioni
litiasiche nonché delle cause di stasi eventualmente presenti.
Successivamente è indispensabile instaurare una terapia chemio-antibiotica idonea,
comunque tale che dia la massima garanzia di successo. In particolare nella scelta del
farmaco da impiegare sarà necessario considerare tutta una serie di parametri legati
alle caratteristiche farmacodinamiche e tossiche dei vari farmaci, ai dati di
funzionalità renale ed epatica del paziente, ed infine alle caratteristiche di sensibilità
della flora batterica isolata.
31

La scelta del farmaco da impiegare costituisce senza dubbio il momento più


importante della condotta terapeutica. Essa è intimamente connessa alla esatta
valutazione del quadro batteriologico e quindi alla urinocoltura e all'antibiogramma.
L'urinocoltura mediante l'identificazione e la valutazione quantitativa del o dei germi
presenti fornisce esatte informazioni sul tipo e sulla gravità della infezione.
L'antibiogramma poi, indicando la gamma degli antibiotici attivi, permette di attuare
una terapia mirata, nonché la possibilità di scegliere nei casi più complessi
l'associazione più adatta al dominio dell'infezione.

Non meno importante, accanto alla scelta del farmaco ad azione antibatterica più
idoneo, è la terapia coadiuvante rappresentata fondamentalmente dalla iperdiuresi
dalla somministrazione di sostanze antiureasiche, di sostanze acidificanti o
alcalinizzanti le urine. La iperdiuresi, oltre a determinare una considerevole
diminuzione della concentrazione batterica per ml di urine, comporta un più
frequente ricambio del contenuto della via escretrice. Inoltre essa può indurre un
abbassamento della iperosmolarità fisiologica della midollare renale, contribuendo
così a realizzare in questa sede le migliori condizioni per la sterilizzazione dei focolai
batterici parenchimali.
La modificazione del pH infine costituisce un provvedimento indispensabile
soprattutto in relazione al tipo di farmaco impiegato. È infatti noto come l'azione
antibatterica dei vari antibiotici possa subire notevoli variazioni in relazione al pH
dell'ambiente in cui i detti farmaci svolgono la loro azione.
INFEZIONI SPECIFICHE DEL TRATTO
UROGENITALE

LA TUBERCOLOSI URINARIA e
Genitale maschile

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Epidemiologia
Nell’ultimo secolo la mortalità per tubercolosi è drasticamente diminuita soprattutto per
effetto della terapia chemioantibiotica, ma anche per il miglioramento dello stato
nutrizionale e delle condizioni igienico-sanitarie della popolazione.
La morbilità, per contro, ha subito un decremento di entità più lieve: l’incidenza della
malattia è infatti compresa tra 10 e 400 casi/100.000 abitanti. Pertanto la rilevanza sociale
della tubercolosi è ancora notevole, specialmente nell’Africa settentrionale, nei Paesi asiatici,
nell’America centrale e meridionale. Negli USA e nel Regno Unito, l’incidenza è di 13
casi/100.000 abitanti. L’Italia si colloca tra i Paesi europei a media incidenza. In Sardegna si
registrano un buon numero di casi anche in rapporto alla popolazione; evidentemente
siamo in una zona endemica che non è stata del tutto bonificata. Ad esempio nel 1983 sono
stati registrati 159 casi di TBC polmonare e 57 di TBC extra-polmonare; 9 di questi
riguardavano il tratto uro-genitale. I maschi sono affetti più delle donne, con un rapporto di
2:1. L’età più colpita appare essere quella tra i 20 e 40 anni.

Eziologia
Il principale agente eziologico di tbc uro-genitale, è il Mycobacterium tuberculosis,
chiamato comunemente bacillo di Koch dal nome del suo scopritore. Si tratta di un
bastoncello Gram-positivo, aerobio obbligato, alcool-acido resistente a causa della ricchezza
in lipidi della parete batterica. Le forme da M. bovis e M. avium sono meno frequenti. In
una piccola percentuale delle infezioni da micobatteri possono essere isolati micobatteri
atipici, specialmente nei soggetti immunodepressi.

Patogenesi
La tubercolosi urinaria rappresenta sempre la manifestazione secondaria di un’infezione
localizzata primitivamente a livello pleuro-polmonare, più raramente a livello
gastrointestinale, eccezionalmente a livello cutaneo. La tbc urinaria rappresenta, quindi, una
patologia deuteropatica.
La via di diffusione all’apparato urinario è quasi sempre quella ematogena; dal focolaio
primario, che può anche essere clinicamente muto, il bacillo passa nel circolo sistemico e
raggiunge il rene. Normalmente il M. si stabilizza a livello della corticale renale cioè nella
parte più vascolarizzata dove maggiore è il numero dei glomeruli. A questo livello il
microrganismo innesca una reazione infiammatoria (reazione di tipo IV o di ipersensibilità
ritardata) che porta alla formazione del tipico granuloma. Tale reazione può evolvere verso
la fibrosi con tendenza alla circoscrizione e, quindi, alla guarigione. Nel caso in cui la
risposta flogistica non sia sufficiente, a causa della ridotta capacità difensiva dell’individuo
oppure dell’elevata virulenza del germe, la lesione tende alla progressione. Questa è
favorita da tutte quelle cause di riduzione delle difese immunitarie, quali malattie

33
debilitanti, terapie corticosteroidee immunosoppressive, deficit nutrizionali, gravidanza,
diabete. Si verifica, pertanto, la necrosi caseosa seguita dalla colliquazione e dalla
disseminazione intraparenchimale dei bacilli. Essi possono colonizzare le restanti porzioni
della apparato urinario attraverso le vie canalicolare discendente e linfatica. Il processo,
quindi, esordisce con l’interessamento della corticale mantenendosi generalmente silente
dal punto di vista clinico; solo quando, con la diffusione endocanalicolare, guadagna la
midollare e la via escretrice, si rende clinicamente manifesto. Dalla corticale, l’infezione si
estende a livello midollare, seguendo tutto il decorso del nefrone. L’interessamento
riguarda, quindi i dotti collettori che sboccano all’apice delle piramidi del Malpighi. Il
coinvolgimento della papilla renale è detto papillite. Le lesioni prodotte in questa sede
evolvono verso un’intensa essudazione, seguita dall’ulcerazione del fornice papillo-
caliceale. In questo stadio la malattia non è più suscettibile di guarigione spontanea e tende
alla diffusione attraverso la via canalicolare discendente (eliminazione del microrganismo
con le urine) e attraverso la via linfatica (più rara ma possibile; la vasta rete linfatica che
collega il rene all’uretere, al testicolo, all’ovaio etc., rende ragione di alcune localizzazioni ad
organi contigui all’apparato urinario e di alcune localizzazioni apparentemente isolate come
la rara tbc del testicolo). La via canalicolare discendente, con l’eliminazione attraverso le
urine dei bacilli, determina l’interessamento dell’uretere, vescica, uretra, prostata; da
quest’ultima, per via ascendente, può essere coinvolto l’epididimo e il didimo. La tbc
urinaria rappresenta, pertanto, una patologia di sistema e di apparato e non d’organo.

Anatomia patologica
L’aspetto macroscopico del rene è variabile a seconda dello stadio in cui l’affezione è
valutata per il concorrere, in varia misura, delle diverse forme di lesione che si repertano nei
processi tubercolari, e cioè: l’infiltrato, il tubercolo e l’ulcerazione. L’infiltrato è una zona
d’infiammazione localizzata, costituita da linfociti, macrofagi e plasmacellule. Il tubercolo
appare come un granulo di dimensioni variabili da una capocchia di spillo ad un pisello o
più. Può essere singolo o presente in maniera disseminata nel parenchima. Man mano che
questo si accresce si determina una sofferenza da un punto di vista vascolare che porta alla
formazione di aree di necrosi. Se il processo si apre nella via escretrice, il materiale necrotico
viene eliminato con essa e nel rene rimane una cavità, detta caverna tubercolare.
I diversi aspetti morfologici di presentazione sono: la tbc miliare, la tbc infartoide, la tbc
nodosa, la tbc ulcero-caseosa.
Nella tbc miliare, il rene appare disseminato da tanti piccoli tubercoli; questo è il risultato di
una risposta immunitaria poco efficace che non è riuscita localizzare la lesione. Il rene è
aumentato di volume, congesto; i tubercoli appaiono già alla superficie dell’organo, meglio
visibili dopo averlo scapsulato. I tubercoli, isolati, radi o in gruppi di numerosi elementi
sporgono sulla superficie dell’organo e sono grigiastri o grigio-giallastri con aree
iperemiche circostanti. Al taglio i tubercoli si rinvengono quasi unicamente a livello
corticale anche se spesso si osserva un aspetto striato a raggi dalla corticale all’apice delle
piramidi. Se la forma miliare non è acuta, ma subacuta o cronica, i tubercoli, di colorito
giallo, tendono a confluire e danno aree di colliquazione caseosa.
La tbc infartoide è una forma vascolare di tbc urinaria legata all’occlusione trombotica di un
vaso arterioso in preda ad arterite tubercolare. È tipica la disposizione a cuneo della lesione
(la lesione infiammatoria si estende come un infarto nell’area di parenchima renale
interessato).

34
La tbc nodosa è caratterizzata dalla presenza di noduli solitari le cui dimensioni variano da
quelle di una nocciola fino a quelle di una noce o di un mandarino (5 cm di diametro); i
noduli sono costituiti da tubercoli in fase produttiva con addensamento dei focolai; sono
presenti linfociti, macrofagi, cellule epitelioidi e cellule giganti tipo Langhans. La zona
centrale dei noduli va spesso incontro a necrosi caseosa.
La tbc ulcero-caseosa costituisce la manifestazione anatomo-clinica più frequente della tbc
renale. Benché sia quasi sempre bilaterale, si caratterizza per la netta prevalenza delle
lesioni da un lato. Il quadro anatomopatologico di questa forma è caratterizzato
dall’evoluzione florida e progressiva dei tubercoli verso la necrosi caseosa. La lesione
iniziale è a livello dell’apice delle piramidi e consiste in una erosione papillare da parte dei
focolai caseosi midollari: si tratta di piccole cavità a bordi irregolari, corrispondenti
all’aspetto tarlato della papilla all’urografia. Queste piccole cavità, che non tendono mai alla
guarigione spontanea, si accrescono progressivamente coinvolgendo il parenchima
sovrastante.
Quando i focolai caseosi si ulcerano e si svuotano nella via escretrice, danno origine a cavità
di dimensioni variabili, dette caverne tubercolari. Macroscopicamente, il rene si presenta
deformato e bozzuto. Al taglio, si apprezza la riduzione dello spessore della corticale; il
reperto tipico è rappresentato dalle caverne, a cavità singola o con diverse concamerazioni.
Quando le caverne occupano tutto il rene fino a trasformarlo in una sacca concamerata
ripiena di materiale caseoso e purulento, si parla di pionefrosi tubercolare. Tale quadro si
realizza quando la via escretrice viene esclusa per fenomeni di sclerosi tubercolare (l’uretere
è rigido, a pareti spesse e con lume stenotico).
Quando si verifica un’occlusione completa dell’alta via escretrice, in fase di avanzata
caseosi, si può configurare il quadro anatomoclinico di rene mastice: l’organo, trasformato
in un insieme di sacche, è ripieno di materiale pastoso, giallastro che ricorda come
consistenza il mastice dei vetrai. Il rene mastice rappresenta uno degli stadi evolutivi finali
della tbc renale che porta alla cosiddetta autonefrectomia.
Mentre le lesioni a livello renale assumono un carattere prevalentemente essudativo e
colliquativo, a livello della via escretrice (pelvi, uretere, etc) si ha una prima fase di edema
ed iperemia della mucosa con ispessimento delle pareti. Successivamente compaiono gli
infiltrati sottomucosi e poi i tubercoli. Le lesioni progrediscono fino alla riduzione di calibro
e di elasticità della parete (sclerosi e stenosi).

Sintomatologia
Il quadro clinico della tubercolosi urinaria è aspecifico e non esiste un parallelismo tra
l’entità dei sintomi e la severità delle lesioni anatomopatologiche. I pazienti possono essere
asintomatici anche per molti anni dall’iniziale localizzazione del M. tuberculosis a livello
dell’apparato urinario. Questa costituisce la fase preclinica della malattia.
Possono essere presenti sintomi generali non caratteristici, rappresentati da astenia,
malessere generale, sudorazione notturna, perdita di peso, febbricola persistente serotina
(37-37.5 °C). In genere, il quadro è dominato da turbe di tipo irritativo della minzione
dovute all’interessamento vescicale, mentre la localizzazione renale è del tutto silente sul
piano clinico. I sintomi più frequenti sono quelli di una cistite (cistite tubercolare):
pollachiuria diurna e notturna, stranguria, minzione imperiosa; talvolta è presente ematuria
macroscopica totale saltuaria. La cistite tubercolare presenta alcune caratteristiche: cistite

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ribelle, perché può non rispondere alle comuni terapie antibiotiche; cistite recidivante,
perché la sintomatologia si attenua durante il trattamento antibiotico aspecifico, per
ricomparire subito dopo la sospensione della cura (infezioni recidivanti aspecifiche
sovrapposte che nascondono l’infezione da bacillo di Koch). Il quadro clinico della cistite
tubercolare è più frequente nella donna. Nel maschio spesso l’esordio clinico della malattia
è un’epididimite. Tale localizzazione non presenta un’evidente sintomatologia soggettiva.
Più raro è il quadro di una orchiepididimite acuta non dissimile da un’infezione da germi
comuni. All’epididimite si accompagna l’interessamento dei deferenti, ispessiti e deformati
da multipli noduli assumendo un aspetto a corona di rosario. Il coinvolgimento della
prostata e/o delle vescicole seminali può essere responsabile di un sintomatologia locale
caratterizzata da disturbi minzionali irritativi, dolore perineale, tenesmo rettale,
emospermia, disturbi della sfera sessuale.
Il dolore lombare è raro, generalmente di tipo gravativo, più raramente colico, conseguente
all’invasione della via escretrice da parte di caseum, concrezioni e coaguli; la pelvi,
sovradistesa, determina il dolore. Un’altra possibile manifestazione clinica della tbc urinaria
è rappresentata dall’ipertensione arteriosa dovuta alla compromissione a livello renale delle
strutture deputate al controllo della pressione arteriosa.

Diagnosi
La diagnosi è sempre il risultato di una elaborazione di dati che ci provengono da:

Anamnesi (socio-ambientale e familiare): ambiente di lavoro ed eventuali familiari affetti;


personale: abitudini di vita ecc.; patologica remota e prossima: pregressi episodi di
infezione tbc polmonare o pleurica ecc., sintomatologia

Esame Obiettivo: poco significativo nelle fasi iniziale della malattia può invece essere
indicativo di sofferenza renale, vescicale e dell’apparato genitale nelle fasi più avanzate.

Diagnostica di laboratorio.
L’esame delle urine. L’urina presenta di regola un aspetto torbido e un pH acido (piuria
acida). La piuria è spesso sterile ma in una certa percentuale dei casi può essere associata a
batteriuria aspecifica rappresentata, in genere, da E. coli.
La ricerca del bacillo di Koch nelle urine. Tale dimostrazione non è sempre facile a causa
dell’intermittente eliminazione del micobatterio (caverne escluse o a chiusura
intermittente). Per tale motivo si effettua la raccolta delle urine delle 24 ore per tre giorni
consecutivi (presso la nostra clinica universitaria viene fatta la raccolta delle urine prodotte
durante la notte). Dalla raccolta vengono allestiti dei campioni per:
 la ricerca batterioscopica dei bacilli alcool-acido resistenti (BAAR), utilizzando vetrini
con la colorazione di Ziehl-Nielsen; tale esame è aspecifico perché non consente di
differenziare dal M. tuberculosis, altri micobatteri non patogeni come il M.
smegmatis.
 l’esame colturale che permetta l’isolamento del micobatterio in causa, la sua
caratterizzazione e l’allestimento di un antibiogramma (sono necessari circa 60 giorni
per la risposta).

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 l’identificazione del micobatterio attraverso l’amplificazione genica (PCR); metodica
sensibile per la ricerca su broncoaspirato o espettorato; non altrettanto a livello
urinario per la frequente presenza di altri microrganismi che producono sostanze che
alterano la ricerca del M. tuberculosis.
L’intradermoreazione secondo Mantoux, se positiva, è indicativa di avvenuta
sensibilizzazione nei confronti del bacillo di Koch.

Diagnostica per immagini.


L’urografia. È un’indagine fondamentale, essendo l’unico esame che permette
lo studio simultaneo dell’intero albero urinario. Al fine di una più precisa
caratterizzazione delle lesioni parenchimali e della via escretrice è opportuno
ricorrere alla stratigrafia.

Già all’esame diretto possono essere evidenziate lesioni tubercolari extrarenali come la
malattia di Pott, calcificazioni lungo il decorso del muscolo psoas, calcificazioni a livello dei
linfonodi paravertebrali.
Alterazioni del volume e morfologia delle ombre renali. Queste possono apparire di
dimensioni varabili: aumentate in caso di idronefrosi, idropionefrosi, tubercolosi; ridotte in
caso di rene grinzo tubercolare.
Presenza di calcificazioni a livello renale, pieloureterale, prostatico, delle vescicole seminali,
dei deferenti.
I radiogrammi successivi con mezzo di contrasto permettono di evidenziare lesioni di
diverso tipo, quali il semplice “colpo d’unghia”, cioè l’erosione minima di un calice o
l’ulcerazione di una papilla o una caverna o l’esclusione funzionale di un intero rene o di un
gruppo di calici. Le immagini urografiche più tipiche comprendono le alterazioni stenosanti
a livello della via escretrice e le caverne tubercolari. Nelle forme idronefrotiche o
pielonefritiche si potrà osservare una stenosi a livello della giunzione pieloureterale, ma
restringimenti, anche multipli possono essere rilevati a tutti i livelli dell’uretere. Se alla
stenosi si aggiunge una certa rigidità parietale si può osservare il quadro radiologico
dell’uretere completamente iniettato e visibile: è l’uretere cosidetto“troppo bello”. La
stenosi a coda di topo dell’uretere terminale è un’immagine frequente. La via escretrice a
monte si presenta dilatata e atonica. A livello vescicale le lesioni più spesso osservabili sono
le immagini asimmetriche di rigidità, appiattimento e retrazione della parete (segno di
Constantinesco dovuto alla retrazione per sclerosi della parete vescicale e dell’uretere). Di
più raro riscontro, è il quadro di una vescica distesa o dentellata per ipertrofia del detrusore
conseguente a sclerosi del collo. La piccola vescica tubercolare dovuta a sclerosi totale
dell’organo è espressione di forme più avanzate.
L’ureteropielografia ascendente trova indicazione in casi selezionati: rene urograficamente
escluso, al fine di documentare le condizioni della via escretrice; in presenza di stenosi
ureterale, al fine di definire l’estensione del tratto stenotico e l’entità della dilatazione a
monte.
L’ecografia non fornisce immagini patognomoniche. Può solo mostrare una dilatazione
caliceale.
La TC permette una buona valutazione spaziale delle lesioni cavitarie presenti, ma
l’attendibilità della metodica ai fini della tipizzazione delle lesioni è scarsa.
La scintigrafia renale sequenziale fornisce indicazioni sulla funzionalità renale.
37
Terapia: precisi protocolli di terapia antibiotica sono stati definiti per la cura della tbc
urogenitale. In genere sono preferite le associazioni chemioterapici specifici fra cui:
Rifampicina, Etambutolo, Pirazinamide, Isoniazide ed altri.

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I TRAUMI DELL’APPARATO
UROGENITALE

39
Nel campo della traumatologia si considerano diversi tipi di lesioni

dell’apparato genito-urinario che vengono classificati come:

 TRAUMI CHIUSI ( lesione senza contatto diretto con


l’esterno

 TRAUMI APERTI ( O PENETRANTI ) ( con


contatto diretto con l’esterno )

ma anche come

 TRAUMI DIRETTI ( in questo caso il trauma


comprime la parete addominale e gli organi che stanno
davanti al rene; questo schiacciamento fa si che si
formino delle linee di rottura nel parenchima )

 TRAUMI INDIRETTI ( per es. quando un soggetto


cade per terra e batte il fianco su uno scalino o cade in
piedi ). Possono essere dovuti anche a “ colpo-
contracolpo”: ciò comporta la migrazione del rene al
momento dell’arresto del soggetto sul pavimento, uno
stiramento del peduncolo vascolare e quindi l’eventuale
rottura del vaso.

Le lesioni più frequenti sono quelle chiuse, cioè traumi dove l’energia esterna

agisce in modo non perforante. Quelle penetranti sono dovute a lama, arma da

fuoco o impalamento.

L’azione della forza può avvenire come:


COLPO
URTO
COMPRESSIONE

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I traumi possono coinvolgere:
 RENI
 URETERE
 VESCICA
 URETRA
 GENITALI ESTERNI

Rispetto a tutti i traumi quelli dell’apparato urinario sono l’1%. Al primo posto

quelli renali ( 50 – 60 % ) ( in genere è più colpito il sinistro e soprattutto con

frequenza di 4 ♂:1 ♀ in una età che và soprattutto da 11 a 40 anni.); seguita da

quelli a carico della vescica, dell’uretra maschile e dei genitali maschili. I danni

ureterali sono rari, circa

3 – 5 % rispetto a tutti gli altri danni urologici.

41
TRAUMI RENALI:

Le CAUSE più frequenti sono gli incidenti automobilistici, di lotta, da caduta

o da sport da contatto. Nel caso di collisione di veicoli ad alta velocità si

possono avere traumi renali da decelerazione rapida, causa di gravi danni

vascolari.

I traumi renali possono essere classificati in diversi modi:

La classificazione più frequentemente usata è quella di Mc Aninch 1995:

 STADIO I: lieve contusione renale: ematoma sottocapsulare, capsula


renale intatta

 STADIO II: lieve lacerazione del parenchima renale ( < 1 cm di


profondità; lesione della corteccia con buona circolazione collaterale );
rottura della capsula, nessuna lesione del sistema caliceale del bacinetto
renale.

 STADIO III: profonda lacerazione del parenchima renale ( > 1 cm di


profondità; lesione della midollare con interruzione dei vasi interlobari )
con o senza frammenti devitalizzati, nessuno stravaso di urina

 STADIO IV: lacerazione del parenchima con lesione segmentale dei vasi
e rottura del sistema caliceale del bacinetto renale, oppure lesione isolata
dei vasi ( urinoma, deficit segmentale della funzionalità )

 STADIO V: strappo dell’ilo oppure rene pluriframmentato,


spappolamento, lacerazione del peduncolo vascolare, trombizzazione
delle arterie renali, devascolarizzazione totale, rene completamente
maciullato.

42
43
Altra classificazione importante è quella ANATOMO PATOLOGICA:

 TRAUMI RENALI MINORI: ( 85 % dei casi ); sono


caratterizzati solitamente da CONTUSIONE: con un ematoma
sottocapsulare o lacerazione della corticale superficiale.

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 TRAUMI RENALI MAGGIORI: ( 15% dei casi ): profonde
lacerazioni cortico midollari possono estendersi nel sistema
caliceale causando uno stravaso urinario nello spazio perirenale e
formazione di grandi ematomi retroperitoneali e perirenali

 TRAUMI VASCOLARI: ( 1% di tutti i casi di traumi chiusi ): le


lesioni vascolari del peduncolo renale si possono avere nei traumi
chiusi. L’arteria o la vena possono avere una avulsione parziale o
totale oppure uno stiramento della arteria renale principale che può
causare una trombosi dell’arteria stessa. Tali lesioni vascolari sono
difficili da diagnosticare e portano ad una distruzione totale del
rene se non si interviene precocemente.

CLINICA:

Nella ricerca di lesioni che pongono il sospetto di lesioni renali è fondamentale

valutare i SEGNI e i SINTOMI.

I SEGNI E I SINTOMI del trauma addominale sono rappresentati da:

- DOLORE localizzato al fianco o diffuso a tutto l’addome (le lesioni di


altri organi addominali possono dare addome acuto e mascherare una
lesione renale)

- EMATURIA: può essere micro o macroscopica.

- SEGNI DI ABBONDANTE SANGUINAMENTO retroperitoneale:


. ecchimosi al fianco o ai quadranti superiori dell’addome
. dolore addominale diffuso o “ addome acuto”
. massa palpabile da grosso ematoma o da stravaso urinario.
- DOLORE LOCALE ALLA PRESSIONE
- ATONIA INTESTINALE
- NAUSEA
- VOMITO
- PERITONITE
- SHOCK EMORRAGICO O SETTICO

DIAGNOSI:

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Se il paziente è cosciente deve essere effettuata l’ANAMNESI che ci fornisce

dati sull’evento lesivo.

Immediatamente dopo l’esame obiettivo è FONDAMENTALE : è necessario

cercare eventuali contusioni delle regioni lombare o del fianco e l’eventuale

presenza di frattura delle ultime coste, la presenza di ferite penetranti in

prossimità del rene. Un segno importante è comunque l’EMATURIA perché la

presenza di sangue nelle urine è legato ad uno stiramento o una lacerazione dei

vasi della via escretrice urinaria oppure in seguito ad una rottura di parenchima

e via escretrice o direttamente dal parenchima renale.

Per instaurare una terapia è fondamentale stabilire lo stadio di malattia o lo

stadio di lesione, visto che la diagnosi è già stata effettuata per cui è necessario

praticare alcuni accertamenti strumentali tra cui:

 ECOGRAFIA ( permette di evidenziare eventuali versamenti perirenali )

 ECOCOLORDOPPLER ( fornisce notizie sulle caratteristiche temporo


spaziali del flusso sanguigno. Potrebbe evidenziare la rottura del peduncolo
con chiusura dell’arteria e quindi rene devascolarizzato )

 Rx BACINO e COSTE: importante per eventuale frattura che può causare


lesione renale o di altre parti dell’apparato urinario

 UROGRAFIA : ci permette di vedere la via escretrice e l’uretere . Permette


di evidenziare lesioni ed eventuali stravasi come ad esempio un urinoma ( è
fondamentale; se il rene non si visualizza, ad es. per avulsione totale del
peduncolo, per trombosi arteriosa, per spasmo vascolare)

 TC ( ci dà dati morfologici e funzionali oltre che informazioni su tutti gli


altri organi addominali )

 ARTERIOGRAFIA ( utile nei casi in cui si sospetta lesione a carico dei


vasi renali ); talvolta può anche essere usata per embolizzare dei vasi)

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 URETROGRAFIA ( da eseguire se si sospetta che la lesione abbia
coinvolto anche l’uretra )

 CISTOGRAFIA ( da eseguire se il trauma ha coinvolto altre zone


dell’addome come ad esempio l’ipograstrio che potrebbe aver causato anche
una lesione vescicale )

Se i traumi non vengono trattati precocemente si possono avere delle

complicanze importanti che possono essere divise in:

► PRECOCI: la più importante è l’emorragia; può essere così grave


da portare velocemente allo shock emorragico. E’ necessario
monitorizzare la pressione arteriosa e l’ematocrito. Molto frequente
anche lo stravaso urinario che può presentarsi come una “massa” in
espansione nel retroperitoneo.

► TARDIVE: alcune lesioni +/- profonde non riparate possono dare


lesioni caratterizzate dalla comparsa di:

- URINOMA: conseguente ad uno stravaso urinario


persistente con formazione di una grande massa
perirenale.

- IDRONEFROSI: può essere secondaria a


coinvolgimento del giunto pielo ureterale da grossi
ematomi o fibrosi retroperitoneale cicatriziale
reattiva.

- FISTOLA ARTERO- VENOSA: sono frequenti


nei traumi aperti.

- IPERTENSIONE RENO-VASCOLARE: il flusso


ematico del tessuto reso non vitale dalla lesione è
alterato: ciò porta ad ipertensione reno vascolare
nell’1% dei casi.

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VESCICA:

Anche la vescica può essere coinvolta dai traumi e anche in questo caso
possono essere:

- APERTI

- CHIUSI ( di solito si tratta di un colpo in regione ipogastrica che


arriva diretto sulla vescica. E’ necessario tener conto del fatto che
per avere una rottura è necessario che la vescica sia distesa in modo
da avere un elevato aumento della pressione intravescicale. )

La sua rottura è spesso associata a fratture pelviche ( 15% delle fratture

pelviche sono associate a rottura vescicale o per diastasi ), o a cause iatrogene

( interventi chirurgici ).

La vescica è protetta dalle ossa pelviche ma quando queste si fratturano

possono facilmente lesionarla producendo una rottura extraperitoneale. Se

l’urina è infetta si possono formare degli ascessi pelvici e grave infiammazione

pelvica, quindi immediato peritonismo.

Le lesioni da trauma diretto su vescica piena causano invece lacerazione

intraperitoneale dato che la riflessione del peritoneo pelvico ricopre la cupola

vescicale.

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DIAGNOSI:

L’Anamnesi è fondamentale per capire la metodica del trauma e conoscere gli

eventuali sintomi che il paziente può riferire.

Talvolta i pazienti non sono in grado di urinare e quando lo fanno spesso si ha

ematuria macroscopica. Se è presente un addome acuto è segno di rottura

intraperitoneale della vescica. Se il paziente non riesce a mingere può essere

necessario cateterizzare il paziente con trauma pelvico a meno che non sia

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presente uretrorragia segno di lesione uretrale per cui non si deve praticare

cateterismo.

Quindi si procede con l’esecuzione di esami radiologici che ci permettono di

stabilire lo stadio di lesione o smentire la lesione stessa.

1. Rx per ricerca fratture pelviche

2. UROGRAFIA per escludere lesioni delle via escretrice

3. CISTOGRAFIA per confermare lesioni vescicali

URETERI:

Sono lesioni rare. Le cause sono solitamente:

- Iatrogene ( lesioni durante interventi chirurgici; Può essere


inavvertitamente legato e tagliato durante un delicato intervento di
chirurgia pelvica. La sua mancata ricanalizzazione,in caso di taglio,
causerà stravaso urinario e formazione di un urinoma ( raccolta di
urine ). Può avvenire anche uno stravaso intraperitoneale di urina
con il verificarsi di una peritonite; in caso di legatura darà anuria
post operatoria. )

- Penetranti ( da arma da fuoco o bianche )

- Incidenti
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I SINTOMI saranno differenti a seconda se la lesione è stata di tipo
iatrogeno o in seguito a trauma:

Se l’uretere è stato legato il paziente lamenterà:

► Dolore al fianco e ai quadranti bassi


► Talvolta lamentano ileo paralitico con nausea e vomito.

Se la lesione è bilaterale si avrà anuria post-operatoria.

SEGNI:
- IDRONEFROSI ( può essere acuta da legatura di entrambi gli
ureteri,e si avrà: grave dolore al fianco e all’addome con nausea e
vomito).

DIAGNOSI:

- ECOGRAFIA: permette di evidenziare eventuali dilatazioni della


via escretrice ed eventuale raccolta ruinosa perirenale.

- UROGRAFIA: permette di evidenziare eventuali lesioni ureterali in


quanto il passaggio del mdc sarà interrotto in caso di legatura con
comparsa di idronefrosi a monte oppure potremo vedere stravaso
periureterale nella sede della lesione a causa di lesione parziale o
totale.

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Ultimi ma non meno importanti le lesioni dei genitali esterni.

PENE:

Una rottura della tunica albuginea del pene ( frattura peniena ) può aversi

durante il rapporto sessuale, o per caduta da bici o equestre o lesioni penetranti

( amputazione, scorticamento ) o anche per autoerotismo ( uso di aspirapolvere,

o legatura con anelli metallici ).

Il paziente riferisce:

- Dolore penieno
- Ematoma

E’ facile evidenziare:

1. Ematoma ( che dai rivestimenti penieni può estendersi nella


regione perineale, nello scroto, o all’addome inferiore )

2. Incurvamento dell’asta peniena

3. Edema

4. Gangrena ( segno tardivo )

E’ necessario verificare l’assenza di lesioni uretrali associate con l’esecuzione

di una uretrografia retrograda nonché eseguire palpazione ed ecografia.

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La Diagnostica fondamentale è basata sull’ECOCOLORDOPPLER E

CAVERNOSOGRAFIA

( permettono di evidenziare le lesioni dei corpi cavernosi )

SCROTO ( tegumenti ):

Le cause più frequenti sono gli incidenti con macchinari.

Un trauma chiuso può causare ematoma locale ed ecchimosi. Le lesioni

superficiali possono essere medicate eliminando i tessuti devitalizzati.

Bisogna essere certi che si tratti esclusivamente di lesione dei tegumenti e non

siano presenti lesioni dei testicoli.

TESTICOLI:

Sono lesioni rare condizionate dalla mobilità, dalla contrazione del cremastere e

da una tunica albuginea resistente.

I più frequenti sono traumi contusivi diretti con schiacciamento contro la sinfisi

( es. calcio ).

Possono essere:
 APERTI

 CHIUSI

I traumi chiusi dei testicoli causano:

- un grave dolore ( da distensione della tunica albuginea ) spesso


associato a nausea e vomito.

- Ematocele: tumefazione scrotale estesa, molle, tesoelastica.


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I traumi aperti sono caratterizzati da diretto contatto dei didimi con l’esterno.

In questi casi è fondamentale praticare immediatamente una ecografia che

permette di valutare l’entità del danno testicolare e programmare eventuali

terapie.

URETRA:

Queste lesioni sono più frequenti nell’uomo a causa della lunghezza dell’uretra.

Anche in questo caso si parla di:

► Traumi APERTI

► Traumi CHIUSI

E’ facile, in caso di schiacciamento, per esempio nello scavalcare un ostacolo,

avere la compressione tra l’ostacolo e il pube. La parte più colpita è quella in

corrispondenza della sinfisi mentre è più difficile la lesione dell’uretra pendula

perché il pene si muove e quindi più difficile comprimerla fra 2 corpi duri.

Potremmo avere lesioni dell’uretra Posteriore ( o membranosa ) o dell’uretra

Anteriore ( o bulbare ).
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La più frequente è quella dell’uretra posteriore ; è la parte che attraversa il

diaframma urogenitale che contiene buona parte dello sfintere uretrale esterno

volontario. E’ attaccato ai rami pubici inferiormente e in caso di traumi chiusi

viene disinserita dall’apice prostatico.

Le lesioni dell’uretra Posteriore o membranosa si hanno soprattutto in

occasione di fratture pelviche. Viene lesa solitamente prossimalmente al

diaframma urogenitale e la prostata viene spiazzata in alto a seguito della

formazione di un ematoma nello spazio peri prostatico e perivescicale , se i

legamenti pubo prostatici vengono spezzati.

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La rottura può essere:

 COMPLETA ( sezione netta a 360°)

 INCOMPLETA ( sezione non a 360° )

All’Anamnesi i pazienti riferiscono solitamente la modalità del trauma, il

DOLORE nella regione ipogastrica e non sono in grado di urinare. Un segno

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fondamentale è l’URETRORRAGIA ed è importante tenerne conto ed evitare

un tentativo di cateterismo che potrebbe essere causa di una infezione nella

sede dell’ematoma periprostatico e perivescicale o trasformare una lacerazione

da incompleta a completa.

E’ necessario eseguire:

 Esplorazione rettale che può far apprezzare la


presenza di un ematoma pelvico di grandi
dimensioni

 Rx bacino ( per evidenziare le eventuali lesioni


ossee)

 L’uretrografia ( che permette di evidenziare


l’entità della lesione uretrale e la sede dello
stravaso a carico della giunzione prostato
membranosa. )

 Urografia: viene eseguita nei casi in cui si tema di


aggravare la situazione eseguendo una uretrografia
che può favorire le infezioni ed ulteriori danni
uretrali.

Le complicanze più frequenti sono:

► Stenosi

► Impotenza

► Incontinenza
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L’uretra anteriore ( o bulbare ) è quella situata distalmente al diaframma

urogenitale e la sua rottura può essere dovuta a caduta a cavalcioni ma anche

per cause iatrogene ( autocateterismi o le manovre strumentali ).

La lesione dell’Uretra anteriore o bulbare in caso di caduta a cavalcioni può

essere responsabile o di una lacerazione dell’uretra o di una contusione ( segno

di danno traumatico senza sezione uretrale ).

Una lacerazione può coinvolgere una parte della parete uretrale causando uno

stravaso urinario. Se non si interviene immediatamente questo può estendersi e

raggiungere lo scroto, lungo la fascia peniena ed in alto verso la parete

addominale.

La DIAGNOSI è basata sull’Anamnesi che porta solitamente il sunto della

caduta, sulla presenza di uretrorragia, sempre presente e la presenza del dolore

localizzato lungo il decorso dell’uretra.

Se la minzione è possibile, ed è presente uno spandimento urinario, viene

notata una tumefazione improvvisa nell’area interessata.

Il perineo appare molto teso ed è presente una massa palpabile. Il paziente

riferisce lo stimolo minzionale, ma la minzione dovrebbe essere evitata finchè

non si ha a disposizione una completa valutazione dell’uretra.

La diagnosi deve essere accertata con l’esecuzione di una uretrografia. Se con

questo esame non si visualizza la fuoriuscita del mezzo di contrasto, si può

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eseguire un cateterismo uretrale, ma la presenza dello spandimento sconsiglia il

cateterismo.

Se non si interviene precocemente è possibile avere delle complicanze tra cui:

 Sepsi

 Infezione

 Stenosi della zona lesionata

CASI CLINICI:

1°) Fra due amici:

Ciao ieri mentre giocavo a pallone ho ricevuto un calcio sul fianco. Ho sentito

un dolore violento dentro la pancia, ma poi è andato tutto bene. Stanotte mi

sono alzato per fare pipì ed è uscita tutta rossa. Pensi sia grave?

ITER DIAGNOSTICO:

1. ANAMNESI: (conferma la metodica del trauma e permette di


evidenziare i sintomi fondamentali per la diagnosi)

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2. ES. OBIETTIVO: ( ricerca di eventuali contusioni delle regioni lombari
o del fianco e l’eventuale presenza di frattura delle ultime coste )

3. VISIONE DELLE URINE: ( la presenza di sangue nelle urine è legato a


lacerazione di vasi della via escretrice o del parenchima ).

4. ECOGRAFIA ( permette di evidenziare eventuali versamenti perirenali

5. ECOCOLORDOPPLER ( fornisce notizie sul flusso sanguigno )

6. Rx COSTE ( per ricerca eventuali fratture costali )

7. UROGRAFIA ( permette di evidenziare la via escretrice e l’uretere ed


eventuali stravasi )

8. TC ( ci fornisce dati morfologici dei reni e degli altri organi addominali )

2°) Sai l’operaio che lavorava sulla scala per dipingere il soffitto? È caduto

fortunatamente in piedi. Stava bene ma poi all’improvviso è crollato a terra e

l’abbiamo portato al Pronto Soccorso:

ITER DIAGNOSTICO:

1. ANAMNESI se il paziente è vigile

2. ESAME OBIETTIVO: presenza di eventuali ematomi lombari

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3. ECOGRAFIA RENALE: permette di evidenziare eventuali versamenti
perirenali

4. ECOCOLORDOPPLER: permette di evidenziare lesioni vascolari


piuttosto frequenti nei traumi per “ contraccolpo” dove si può avere la
migrazione del rene al momento dell’arresto del soggetto sul pavimento
con stiramento del peduncolo vascolare e quindi l’eventuale rottura del
vaso.
5. TC ADDOME: permette di evidenziare l’estensione dell’ematoma
6. ARTERIOGRAFIA: permette di evidenziare le lesioni a carico dei vasi
renali.

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