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Civile Sent. Sez. 5 Num.

7951 Anno 2019


Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA MARIA GIULIA
Data pubblicazione: 21/03/2019

SENTENZA Corte di Cassazione - copia non ufficiale


Sul ricorso iscritto al numero 29120 del ruolo generale dell'anno
2011, proposto

da

Vincenzo Boccia, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in


calce al ricorso, dall'avv.to Sandro Lattanzi e dall'avv.to Francesco
Giuliani, elettivamente domiciliato presso lo loro studio in Roma, Via
Sicilia n. 66;
-ricorrente -

Contro

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore,


domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura
Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


-controricorrente -

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria


regionale del Piemonte n. 74/28/10, depositata in data 14 ottobre
2010, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13


novembre 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati
Viscido di Nocera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.


Stefano Visonà che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
uditi per il contribuente l'avv.to Giulio Chiarizia, per delega dell'avv.to
Francesco Giuliani, e per l'Agenzia delle entrate l'avv.to dello Stato P.
Pucciariello.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 74/28/10 del 14 ottobre 2010 la Commissione


tributaria regionale del Piemonte, previa riunione dei ricorsi
RG577/10; 578/10;579/10 e 580/10, accoglieva gli appelli proposti
dall'Agenzia delle dogane nei confronti di Boccia Vincenzo avverso le
sentenze n. 131/1/09, 132/1/09; 133/1/09 e 134/1/09 della
Commissione tributaria provinciale di Torino depositate il 4/12/09 che
avevano accolto i separati ricorsi proposti dal contribuente avverso
due avvisi di accertamento n. 17673 e n. 17850 e due atti di
contestazione di sanzioni n. 17677 e 17852 con i quali l'Agenzia delle
dogane aveva recuperato, l'Iva evasa, per l'anno 1992, su
importazioni effettuate in sospensione di imposta, in assenza dei
presupposti di cui agli artt. 8 e 68 del d.P.R. n. 633 del 1972, e
irrogato le relative sanzioni amministrative ex art. 7, comma 4, del
D.Lgs. n. 471 del 1997.

L'accertamento impugnato muove da una complessa indagine

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condotta nel 1993 dal Comando Nucleo regionale Polizia tributaria
della Guardia di Finanza di Roma a seguito della quale era emerso un
meccanismo fraudatorio per cui, tra le altre, le società del gruppo
Boccia (Bo Carni s.r.I., Boccia Carni s.r.I., Nord Carni s.r.l. e l'Azienda
Agricola Belforte) - delle quali Vincenzo Boccia era (oltre che socio di
alcune di esse) anche dominus e gestore di fatto - figuravano quali
acquirenti ultime di carni e animali vivi fittiziamente importate, in
sospensione di imposta, da due società di comodo (International
Carni s.r.l. e Union Trading s.r.I.), tramite false dichiarazioni di
intento e falsi modelli Iva 99; con ciò beneficiando, in assenza dei
presupposti di legge, del mancato pagamento dell'Iva all'importazione
- che solo apparentemente risultava versata alle fittizie società
importatrici- nonché della successiva indebita detrazione dell'imposta.
Negli atti impositivi sopra richiamati si faceva riferimento anche alle
risultanze della sentenza passata in giudicato del Tribunale di Roma,
sezione VI penale del 20 gennaio 2006 dalla quale risultava che
Vincenzo Boccia si "associava con altri consentendo a soggetti che
dovevano pagare l'Iva all'importazione e le imposte doganali per le
merci che provenivano dall'estero di evadere le corrispondenti
imposte grazie all'intermediazione commerciale delle ditte
International Carni s.r.l. e Union Trading s.r.l.".

La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:


1) quanto al ricorso RG 577/08: a) era da rigettare l'eccezione di
carenza di motivazione dell'atto impositivo in quanto il richiamo alla

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sentenza penale - peraltro conosciuta dal contribuente per avere
preso parte al relativo giudizio - costituiva una valida motivazione per
relationem, senza che l'Ufficio fosse obbligato a svolgere
considerazioni proprie in ordine alla sentenza; b) avuto riguardo alla
successione delle norme sanzionatorie nel tempo, alla fattispecie non
era applicabile l'art. 2, comma 4 del d.l. n. 746 del 1983, convertito
dalla legge n. 17 del 1984, ma bensì, ex art. 3, comma 3, del d.lgs.

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n. 472 del 1997, ratione favoris, l'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 471
del 1997, in base al quale il medesimo fatto era configurato come
mero illecito tributario e non come delitto; c) il Boccia era
responsabile solidalmente per le sanzioni tributarie relative alle
violazioni commesse dalle società International Carni e Union Trading,
non potendosi fare applicazione retroattiva del principio della
responsabilità esclusiva e oggettiva delle società ex art. 7, comma 1,
del d.l. n. 269/03, stante l'avvenuta contestazione delle violazioni nei
confronti del Boccia già in sede penale, con decreto del GIP in data 5
maggio 1994; d)in base ai dati fattuali emersi dalla sentenza penale
passata in giudicato del Tribunale di Roma, sezione VI penale del 20
gennaio 2006, sussistevano tutti gli elementi costituitivi dell'illecito
tributario contestato, anche ai fini sanzionatori ex art. 7, comma 4,
del d.lgs. n. 471 del 1997, applicabile ratione favoris, avendo le
società del gruppo Boccia, delle quali Vincenzo Boccia era risultato
dominus e gestore, fruito della interposizione fittizia delle due società
International Carni s.r.l. e Union Trading s.r.l. per non versare l'Iva
all'importazione - che risultava solo apparentemente corrisposta alle
fittizie società importatrici - portandola, peraltro, a credito verso
l'erario e dunque lucrando due volte l'imposta evasa; e) il
contribuente non aveva fornito la prova dell'effettivo versamento
dell'Iva alle società fittiziamente interposte; 2)quanto al ricorso RG
578/10: a) valevano le medesime considerazioni quanto alle eccezioni
preliminari di merito svolte per il giudizio RG 577/10; b) "il Boccia

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operando direttamente, utilizzando le proprie società come schermi
giuridici e beneficiarie dell'attività di importazione in evasione dell'Iva
all'importazione e ricorrendo all'interposizione fittizia della Union
Trading la quale non realizzava alcuna effettiva attività economica
autonoma", concorreva nel contrabbando ed era tenuto in solido con
la società contrabbandiera al pagamento dell'Iva evasa; c) in ogni
caso, le operazioni poste in essere erano manifestamente abusive, dal

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momento che il Boccia o vendeva e riacquistava merce propria o
importava merci per riacquistarle su "importazione" dell'Union
Trading, per cui l'unico scopo dell'intera movimentazione era quello di
creare un credito Iva tale da raddoppiare il profitto derivante
dall'acquisto delle merci in evasione dell'imposta; 3) quanto ai ricorsi
RG n. 579/10 e n. 580/10 valevano le medesime considerazioni
svolte per i giudizi RG. n. 577/10 e RG n. 578/10.

2.Avverso la sentenza della CTR, ha proposto ricorso per cassazione


Vincenzo Boccia, affidato a dodici motivi, variamente sub articolati,
cui ha replicato, con controricorso l'Agenzia delle dogane.

3.11 contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. con


documenti allegati nonché certificato di morte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sulle questioni pregiudiziali:

1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza


impugnata stante la sopravvenienza alla decisione dell'il ottobre
2010, depositata il 14 ottobre 2010, di giudicati favorevoli ad altri
coobbligati-coimputati nel processo penale (sentenze n. 4/5/10 e
5/5/10 della CTP di Torino depositate il 14 gennaio 2010, passate in
giudicato il 10 marzo 2011 nei confronti di Raffaele Siani e sentenze
n. 80/5/09 e n. 81/5/09 della CTP di Torino depositate 1'11 luglio
2009 e passate in giudicato il 12 ottobre 2010 nei confronti di
Vincenzo Panacci, entrambi coimputati nel giudizio di cui alla
sentenza passata in giudicato del Tribunale di Roma del 20 gennaio
2006 e debitori solidali del ricorrente quanto alle imposte evase e
relative sanzioni), con conseguente opponibilità di queste ultime
all'Agenzia delle dogane ex art. 1306, comma 2, c.c. non essendo la
accertata carenza di legittimazione passiva dei suddetti coobbligati

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fondata su motivi personali degli stessi.

2.Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360,


comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell'art.
14 del d.lgs. n. 546 del 1992, non avendo la CTR rilevato d'ufficio la
sussistenza di un'ipotesi di litisconsorzio necessario, con conseguente
ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri
coobbligati coimputati nel processo penale di cui alla sentenza
passata in giudicato del Tribunale di Roma del 20 gennaio 2006 o,
quantomeno, nei confronti degli altri fratelli Boccia, tutti soci e gestori
delle società del gruppo Boccia e destinatari della istanza dell'Ufficio
di pagamento integrale della imposta evasa dalle società International
Carni e Union Trading nonché delle correlate sanzioni. Ad avviso del
ricorrente, la CTR, nel decidere gli appelli dell'Agenzia delle dogane
avverso le quattro sentenze della CTP concernenti il medesimo
contribuente, aveva "stralciato" la posizione di quest'ultimo rispetto,
quantomeno, a quella dei suoi fratelli considerati condebitori - al pari
degli altri coimputati nel processo penale - della International Carni e
della Union Trading per l'Iva all'importazione evasa e relative
sanzioni.

3.Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,


comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e
7 della legge n. 212 del 2000, 3 della legge n. 241 del 1990, 56 del
d.P.R. n. 633 del 1972, 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e 16 del d.lgs.
n. 472 del 1997, per avere la CTR erroneamente disatteso l'eccezione
di carenza di motivazione degli atti impositivi in questione sul
presupposto del legittimo richiamo (relatio) alla sentenza penale -
peraltro conosciuta dal contribuente, avendo egli preso parte al
relativo giudizio - e della mancata necessità da parte dell'Agenzia di
svolgere considerazioni proprie in ordine ai fatti risultanti dalla detta
sentenza; ciò senza considerare che l'ente impositore è tenuto a

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motivare non solo in ordine ai presupposti di fatto della pretesa
tributaria ma anche in ordine alle ragioni giuridiche della stessa, non
potendo limitarsi al mero richiamo di norme, peraltro, neanche
decisive ai fini del giudizio.

3.1. Con il sub motivo 3.1., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 5 c.p.c., la omessa (apparente) motivazione della
sentenza impugnata, per avere la CTR apoditticamente affermato la
legittima motivazione degli atti impositivi impugnati mediante il
richiamo per relationem alla sentenza del Tribunale di Roma del 20
gennaio 2006; ciò senza considerare che dalla richiamata sentenza
penale - tranne i presupposti fattuali delle vicende- non erano
evincibili né le ragioni giuridiche della pretesa impositiva - poi
illustrate dal giudice di appello, facendo riferimento a istituti giuridici
(quali la successione nel tempo delle norme sanzionatorie
amministrative tributarie; la sanzionabilità della persona fisica per le
violazioni relative al rapporto fiscale di società di capitali ex art. 7 del
d.l. n. 269/2003; la sussistenza di un'ipotesi di contrabbando ex art.
292 del d.P.R. n. 47/93; l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 338 del
d.P.R. n. 47/1973) mai indicati né nella motivazione degli atti
impositivi né nella richiamata sentenza penale - né i criteri per
l'analitica quantificazione dell'Iva evasa dalla International Carni e
dalla Union Trading.

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3.2. Con il sub motivo 3.2., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.
360, comma 1, n. 5 c.p.c. l'insufficiente motivazione della sentenza
impugnata per avere la CTR, con un criterio logico deficitario, ritenuto
legittima la motivazione per relationem degli atti impositivi-
sanzionatori, nonostante avesse dovuto esaminare istituti giuridici
non menzionati nella motivazione degli stessi né nella richiamata
sentenza penale.

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3.3.Con il sub motivo 3.3., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.
360, comma 1, n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione
dell'art. 112 c.p.c., essendo la CTR incorsa nel vizio di extrapetizione,
ampliando illegittimamente la causa petendi ovvero la motivazione
dell'originaria pretesa tributaria, sulla base di istituti giuridici non
dedotti dall'Ufficio nella motivazione degli stessi atti impositivi -
sanzionatori né menzionati nella sentenza penale richiamata.

3.4.Con il sub motivo 3.4., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli
artt. 18, 19,23,24,54 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 7
della legge n. 212 del 2000, dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990,
dell'art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, 11 del d.lgs. n. 374 del 1990,
16 del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell'art. 111 Cost., per avere la CTR,
ampliando illegittimamente il thema decidendum (determinato dalla
motivazione degli atti impugnati), ritenuta legittima l'applicazione
della sanzione di cui all'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997
nonché il recupero dell'Iva evasa facendo riferimento ad istituti
giuridici (della successione delle norme sanzionatorie nel tempo,
nonché della configurazione del delitto di contrabbando) non
contenuti né nella motivazione degli atti impositivi né nella richiamata
sentenza penale.

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4.Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,
comma 1, n. 5 c.p.c. la contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per
avere la CTR, in modo del tutto illogico e contraddittorio, affermato,
dapprima che - recependo i fatti acclarati dal Tribunale di Roma con
la sentenza del 20 gennaio 2006- le cessionarie della merce trattata
dalla International Carni e dalla Union Trading erano varie società, tra

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cui quelle del Gruppo Boccia, e poi, incidentalmente, sebbene in
modo incisivo sulla decisione, che il Boccia Vincenzo aveva operato
"personalmente" e "direttamente".

4.1.Con il sub motivo 4.1., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omessa motivazione circa un fatto
decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR
apoditticamente affermato -incidentalmente- che il Boccia Vincenzo
aveva "operato direttamente utilizzando le proprie società come meri
schermi giuridici", senza che ciò emergesse né dal contenuto della
sentenza penale del Tribunale di Roma né dai documenti di causa, dai
quali invece risultava che erano le società del gruppo Boccia ad
essere cessionarie in Italia della merce trattata dalla International
Carni e dalla Union Trading.

4.2.Con il sub motivo 4.2., il ricorrente riproduce sostanzialmente la


censura sub 4.1. sotto il profilo della assunta insufficiente
motivazione della sentenza impugnata.

5.Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,


comma 1, n. 5 c.p.c. la contraddittoria motivazione circa un fatto
decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR, affermato la
responsabilità del Boccia per l'Iva all'importazione evasa dalla Union
Trading, nonostante fosse emerso, in punto di fatto - come recepito
dalla sentenza penale - che tale società era subentrata alla
International Carni a partire dal 1993 (allorquando era stata
introdotta la nuova disciplina dell'Iva intracomunitaria, con
assolvimento in modo cartolare, mediante autofattura), con
conseguente evasione dell'Iva interna.

Sulle sanzioni

6. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,

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comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del
d.l. n. 269/03, convertito dalla legge n. 326/03 e degli artt. 16 e 17
del d.lgs. n. 472/97, per avere la CTR affermato la responsabilità
solidale del Boccia per le sanzioni tributarie relative alle violazioni
commesse dalle società International Carni e Union Trading,
escludendo erroneamente l'applicazione retroattiva del principio della
responsabilità esclusiva e oggettiva delle società ex art. 7, comma 1,
del d.l. n. 269/03 sulla base dell'irrilevante circostanza che nei
confronti del Boccia fosse già stata effettuata una contestazione in
sede penale, con decreto del GIP in data 5 maggio 1994, mentre gli
atti di contestazione di violazione e irrogazione di sanzioni ex art. 16
del d.lgs. n. 472/97 erano stati notificati al Boccia solo in data 16
giugno 2008.

7.Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli
artt. 2 del d.l. n. 746/1983, convertito dalla legge n. 17 del 1984, 7
del d.lgs. n. 471/1197, 3 del d.lgs. n. 472/1997 e 2 c.p., per avere la
CTR ritenuto erroneamente applicabile, in forza del principio del favor
rei ex art. 3, comma 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, la sanzione
tributaria amministrativa di cui all'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 741
del 1997 alle violazioni commesse dalla International Carni e dalla
Union Trading fino al 1993, ancorché, nella specie, non ricorresse una
successione nel tempo di norme sanzionatorie tributarie ma, bensì,

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una aboliti° criminis (essendo stato il delitto di cui all'art. 2, comma
4, del d.l. n. 746 del 1983 abrogato dall'art. 25 del d.lgs. n. 74 del
2000) e una sanzione amministrativa entrata in vigore
successivamente ai fatti in questione e, dunque, non applicabile alla
fattispecie per il principio di legalità ex art. 3, comma 1, del d.lgs. n.
472/97.

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7.1.Con il motivo sub 7.1., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.
360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 3
del d.lgs. n. 472 del 1997 e 7 del d.l. n. 269 del 2003, convertito
dalla legge n. 326 del 2003, per avere la CTR applicato erroneamente
il principio del favor rei, ancorché l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472
del 1997 faccia salva "diversa disposizione di legge", qual è l'art. 7
del d.l. n. 269 del 2003 e risulti incompatibile con il diverso e opposto
principio della responsabilità oggettiva diretta e esclusiva della
persona giuridica ex art. 7, comma 1, cit.

Sulla responsabilità solidale per l'Iva

8.Con l'ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,


comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 8
della legge n. 213 del 2000, 1 e 2 del d.l. n. 746 del 1983, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 17 del 1984, 8 del d.P.R. n. 633 del
1972, 7 del d.lgs. n. 471 del 1997, 292 e 338 del d.P.R. n. 43 del
1973 e 2472 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto che il
Boccia- mero socio di alcune delle società cessionarie- fosse obbligato
ex art. 338 del d.P.R. n. 43 del 1973 a corrispondere l'Iva evasa dalle
due società di comodo International Carni e Union Trading, quale
concorrente nel delitto di contrabbando, ancorché - lungi dal ricorrere
un'ipotesi di contrabbando ex art. 292 del d.P.R. n. 43/1973- ai sensi
dell'art. 2, comma 1, del d.l. n. 746 del 1983 e dell'art. 8, comma 3,
della legge n. 213 del 2000, dell'omesso pagamento dell'Iva, a fronte

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della presentazione in dogana di dichiarazione di intento infedele
rispondevano i cessionari, i committenti e gli importatori che avevano
rilasciato o sottoscritto la dichiarazione medesima e, non già, come
nella specie, il mero socio di alcune delle società cessionarie delle
merci trattate dalla International Carni e dalla Union Trading; ciò
varrebbe, ad avviso del ricorrente, anche nell'ipotesi in cui si
configurassero come importatrici sostanzialmente le società

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cessionarie, tra cui quelle del gruppo Boccia, stante la qualifica in
capo al Boccia di mero socio di alcune di esse.

9.Con il nono motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,


comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 338
del d.P.R. n. 43/73, 157 c.p., 129, comma 2, 531 c.p.p. e 20 del
d.lgs. n. 74 del 2000, per aver la CTR ritenuto erroneamente
sussistente l'obbligo del Boccia- mero socio di talune società
cessionarie della merce trattata dalla International Carni e dalla Union
Trading - a corrispondere l'Iva evasa da queste ultime ai sensi
dell'art. 338 cit., ancorché difettasse il relativo presupposto costituito
dalla sussistenza di una sentenza penale di condanna per il reato di
contrabbando.

10.Con il decimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli
artt. 2 della sesta Direttiva del 17 maggio 1977, n. 77/388, 1 e 70 del
d.P.R. n. 633/72 e 34 e 338 del d.P.R. n. 43/1973, per avere la CTR
erroneamente ritenuto il Boccia Vincenzo - mero socio di alcune
società del gruppo Boccia- solidalmente responsabile dell'evasione
dell'Iva all'importazione da parte delle società International Carni e
Union Trading ex art. 338 cit. in quanto concorrente nel reato di
contrabbando ex art. 292 del d.P.R. n. 43 del 1973; ciò senza
considerare che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia,

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l'Iva all'importazione non costituisce un tributo distinto e autonomo
rispetto all'Iva interna e non concreta un "diritto doganale".

10.1. Con il motivo sub 10.1., il ricorrente denuncia, in relazione


all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione
degli artt. 5 e 90 (già 95) del trattato istitutivo della Comunità
europea, 35, par.3 del trattato di Maastricht e art. 4 della direttiva

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del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, per avere la CTR ritenuto
erroneamente responsabile in solido il Boccia- quale mero socio delle
società del gruppo Boccia cessionarie della International Carni e della
Union Trading - per l'evasione dell'Iva all'importazione (mentre per
l'evasione dell'Iva interna non era prevista alcuna responsabilità
solidale del cessionario - committente per l'Iva evasa dal cedente-
prestatore, essendo stato l'art. 60bis del d.P.R. n. 633 del 1972
introdotto dall'art. 1, comma 386 della legge n. 311 del 2004), con
violazione del principio della libertà di circolazione delle merci
all'interno della Comunità ex art. 90 cit., senza che tale affermata
responsabilità potesse essere considerata, peraltro, coerente con il
principio di proporzionalità.

11.Con l'undicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art.


360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli
artt. 8 e 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, 8 della legge n. 213 del 2000,
1 e 2 del d.l. n. 746 del 1983, come convertito, 7 del d.lgs. n. 471 del
1997 e 292 e 338 del d.P.R. n. 43 del 1973, per avere la CTR
erroneamente affermato la responsabilità in solido del Boccia per il
recupero dell'Iva evasa dalle società International Carni e dalla Union
Trading ai sensi dell'art. 338 del d.P.R. n. 43/73, ancorché i fatti
accertati non integrassero reato di contrabbando, difettando lo
specifico evento costituito dalla "sottrazione di merci" al pagamento
dei diritti di confine.
Sul richiamo, in subordine, all'abuso del diritto.

12.Con il dodicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione


all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione
dell'art. 60bis del d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 2, 4,5, 6, 13B, 17
e 21 della sesta direttiva n. 77/388/CEE e dei principi in materia di
abuso del diritto, per avere la CTR erroneamente ritenuto che- anche

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a volere considerare assoggettate ad Iva interna le cessioni di carni e
animali da macello introdotti in Italia - si trattava, comunque, di
operazioni abusive, con corresponsabilità del Boccia; ciò senza
considerare che la responsabilità solidale di terzi per il versamento
dell'Iva interna è, in base alla normativa comunitaria, una mera
possibilità/facoltà, che i comportamenti abusivi determinano
l'indetraibilità dell'Iva per il cessionario non anche l'estensione
solidale all'acquirente del debito Iva del venditore e che, nella specie,
non era configurabile alcun vantaggio fiscale indebito.

13. Vanno preliminarmente esaminati, tenuto conto del principio della


ragione più liquida, il sesto e il decimo motivo che sono fondati con
conseguente assorbimento di tutte le altre doglianze.

14. Quanto al sesto motivo, va osservato che il D.L. 30 settembre


2003, n. 269, conv. dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 7,
comma 1, pone a carico, in via esclusiva, di società o enti con
personalità giuridica le sanzioni relative al rapporto fiscale,
prevedendo espressamente, al comma 3, che alle situazioni previste
dalla norma non sono più applicabili le regole del D.Lgs. 472 del
1997, ed in particolare non è più applicabile la responsabilità solidale
prevista dall'art. 11 di detto decreto. La disposizione di diritto
transitorio di cui all'art. 7, comma 2, del menzionato decreto ha poi
statuito che la nuova disciplina non ha efficacia retroattiva e si applica
qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate

14
posteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003,
come convertito (Cass. 9122/2014; n. 12007 del 2015; n. 25472 del
2015; n. 8733 del 2013 n. 26507 del 2011). Orbene, nel caso di
specie, risulta che gli avvisi di accertamento e gli atti di contestazione
siano stati notificati al contribuente nel giugno del 2008 e, dunque, in
data successiva all'entrata in vigore della L. n. 269 del 2003. Alcun
rilievo assume, sotto tale profilo, la "contestazione" dei fatti

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effettuata dal GIP con decreto penale del 5.5.94.

Va, quindi, esclusa in forza della L. n. 269 del 2003, art. 7, commi 1
e 3, la responsabilità solidale del contribuente per le sanzioni
amministrative tributarie e, segnatamente, per le sanzioni irrogate
dall'Ufficio quale dominus e gestore di fatto delle società del gruppo
Boccia, beneficiarie dell'attività di importazione in evasione dell'Iva
all'importazione tramite l'interposizione fittizia delle due società di
comodo International Carni e dalla Union Trading.

15.Quanto al decimo motivo, esso aggredisce l'affermazione della


CTR secondo cui il Boccia Vincenzo era da ritenersi responsabile in
solido, ex art. 338 del d.P.R. n. 43 del 1973, per il versamento
dell'Iva all'importazione evasa dalle società International Carni e
Union Trading, quale concorrente nel reato di contrabbando delle
società importatrici.

Quanto alla natura del tributo, giova rimarcare che la materia


doganale, giusta l'art. 3 del TFUE, è di competenza esclusiva dell'UE,
le cui prescrizioni si applicano direttamente negli Stati membri.

In base alla normativa comunitaria, l'art. 4, paragrafo 9, del codice


doganale comunitario (reg. 2913/92) definisce l'obbligazione
doganale all'importazione come «l'obbligo di una persona di
corrispondere l'importo dei dazi» ed il successivo paragrafo 10
identifica i dazi all'importazione con «i dazi doganali e le tasse di
effetto equivalente dovuti all'importazione delle merci»: ne deriva che
l'obbligazione doganale non comprende l'iva all'importazione, la quale
ne resta per conseguenza estranea. La stessa Corte di giustizia ne ha
dato atto espressamente: «i dazi all'importazione non includono l'iva
da riscuotere per l'importazione di beni» (Corte giust. 29 luglio 2010,
causa C-248/09, Pakora Pluss SIA, punto 47; conf., 2 giugno 2016,
causa C-266 e 228/14, Eurogate Distribution Gmbh, punto 81,

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relativa ad un'ipotesi in cui, pur essendo insorta l'obbligazione
doganale, non era configurabile quella di pagare l'iva
all'importazione).

Il riconoscimento della posizione doganale di merce comunitaria,


ossia di merce che può circolare liberamente all'interno dell'Unione
europea, è ancorato all'immissione in libera pratica, la quale, a norma
dell'art. 79 del codice doganale comunitario, «implica l'applicazione
delle misure di politica commerciale, l'espletamento delle altre
formalità previste per l'importazione di una merce, nonché
l'applicazione dei dazi legalmente dovuti».

Tanto non basta, tuttavia, per l'inserimento della merce nel circuito
commerciale, per il quale occorre la sua immissione in consumo; e
l'art. 36, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 al
riguardo prescrive che «si intendono destinate al consumo entro il
territorio doganale le merci estere dichiarate per l'importazione
definitiva». Merci che, soltanto in esito all'«osservanza delle
condizioni e formalità prescritte per l'importazione definitiva»,
divengono «nazionalizzate», in quanto tali equiparate, salvo che non
sia espressamente disposto diversamente, a quelle nazionali (art. 134
del d.P.R. 43/73).(Cass. n. 16783 del 2016). Il punto è che, ai fini
dell'importazione definitiva, occorre adempiere non soltanto i dazi,
ma anche gli altri diritti di confine, tra i quali si annovera l'iva
all'importazione (art. 34 del d.P.R. 43/73). L'iva all'importazione

16
condivide, peraltro, con i dazi la caratteristica di trarre origine dal
fatto dell'importazione nell'Unione e della susseguente introduzione
nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio
2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la
conseguenza che fatto generatore ed esigibilità dell'Iva
all'importazione sono collegati a quelli dei dazi, pur rimanendo da
questi distinti (Cass. n. 16463 del 2016).

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Il sistema dell'Iva alle importazioni è, peraltro, per sua natura
incardinato in quello generale dell'iva: «l'iva all'importazione è intesa,
al fine di garantire la neutralità del sistema comune rispetto
all'origine dei beni, a porre i prodotti importati nella stessa situazione
dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali
gravanti sulle due categorie di merci» (Corte giust. 25 febbraio 1988,
causa C-299/86, Rainer Drexl, pronunciata su pregiudiziale italiana,
punto 9).

Il che ne evidenzia la natura di tributo interno, essendo il sistema


dell'Iva alle importazioni per sua natura incardinato in quello generale
dell'Iva: questa Corte (da ultimo, Cass. n. 16463 del 2016; Cass.
24446 del 2018; 25438 del 2018; 8473 del 2018) ha già chiarito che,
l'Iva all'importazione non colpisce esclusivamente il prodotto
importato in quanto tale, ma s'inserisce nel sistema fiscale uniforme
dell'Iva, che colpisce, sistematicamente e secondo criteri obiettivi, sia
le operazioni degli Stati membri, sia quelle all'importazione (Corte
giust. 17 luglio 2014, causa C-272/13, Equoland; 25 febbraio 1988,
causa C-299/86, Rainer Drexl, punto 9; 5 maggio 1982, causa C-
15/81, Schul, punto 21).

Ne consegue che l'Iva all'importazione e l'Iva intracomunitaria


costituiscono la medesima imposta, soltanto che l'Iva all'importazione

17
è segnata da specificità procedimentali e sanzionatorie, correlate al
meccanismo dell'importazione:

1) sul piano procedimentale, l'Iva alle importazioni va versata per


effetto ed in occasione di ciascuna importazione (giusta l'art. 70 del
d.P.R. n. 633/72), al momento dell'accettazione della dichiarazione in
dogana ed il relativo obbligo incombe sul dichiarante, oltre che, in

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caso di rappresentanza indiretta, sulla persona per conto della quale
è presentata la dichiarazione in dogana (art. 201 del reg. n.
2913/92); l'Iva "intracomunitaria" relativa alle merci introdotte nel
deposito fiscale va assolta al momento dell'estrazione mediante il
meccanismo dell'inversione contabile ed a cura del cessionario o
committente;
2) su quello sanzionatorio, l'applicabilità, in caso di violazioni
concernenti l'Iva all'importazione, delle sanzioni contemplate dalle
leggi doganali relative ai diritti di confine (art. 70, 1° comma,
secondo nucleo normativo) è giustificata dalla diversità degli elementi
costitutivi dell'infrazione (l'iva è riscossa all'atto dell'ingresso fisico del
bene nel territorio dello Stato membro interessato,
indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà
a scoprirla (Corte giust. in causa C-299/86, punto 22);
Da tali premesse, avuto riguardo alla natura di tributo interno
dell'Iva all'importazione, ne deriva l'inapplicabilità della violazione
contenuta nel d.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, operando il rinvio, dal
d.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 alle leggi doganali solo quoad poenam
(Cass. n. 18171 del 2015; Cass. pen., sez. 3 0 , n. 34256 del 2012).

Nella specie, la CTR non ha fatto buon governo dei principi di cui
sopra, affermando che il Boccia Vincenzo era solidalmente
responsabile dell'Iva all'importazione evasa dalle società International
Carni e Union Trading, ai sensi dell'art. 338 del d.P.R. n. 43 del 1973,
in quanto concorrente nel reato di contrabbando ex art. 292 del
TULD.

16.In conclusione, vanno accolti il sesto e il decimo motivo, assorbiti i


restanti; con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384, comma 2, c.p.c.,
con accoglimento dei ricorsi introduttivi RG 578/10 e RG 580/10

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proposti dal contribuente avverso gli avvisi di accertamento nonché
dei ricorsi introduttivi RG 577/10 e RG 579/10 proposti dal
contribuente avverso gli atti di contestazione e irrogazione delle
sanzioni. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
e vengono liquidate come in dispositivo; sussistono giusti motivi per
compensare interamente tra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte

accoglie il sesto e il decimo motivo, assorbiti i restanti motivi; cassa


la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi
introduttivi RG 578/10 e RG 580/10 proposti dal contribuente avverso
gli avvisi di accertamento nonché i ricorsi introduttivi RG 577/10 e
RG 579/10 proposti dal contribuente avverso gli atti di contestazione
e irrogazione delle sanzioni; condanna l'Agenzia delle dogane, in
persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore di
Vincenzo Boccia delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura
del 1 5 % e agli altri oneri di legge; compensa interamente tra le parti
le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma il 13 novembre 2018.

Il Consigliere estensore Il Presidente


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