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Cassazione Civile Sent. Sez. 5 Num. 7951 Anno 2019
Cassazione Civile Sent. Sez. 5 Num. 7951 Anno 2019
da
Contro
FATTI DI CAUSA
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sentenza penale - peraltro conosciuta dal contribuente per avere
preso parte al relativo giudizio - costituiva una valida motivazione per
relationem, senza che l'Ufficio fosse obbligato a svolgere
considerazioni proprie in ordine alla sentenza; b) avuto riguardo alla
successione delle norme sanzionatorie nel tempo, alla fattispecie non
era applicabile l'art. 2, comma 4 del d.l. n. 746 del 1983, convertito
dalla legge n. 17 del 1984, ma bensì, ex art. 3, comma 3, del d.lgs.
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operando direttamente, utilizzando le proprie società come schermi
giuridici e beneficiarie dell'attività di importazione in evasione dell'Iva
all'importazione e ricorrendo all'interposizione fittizia della Union
Trading la quale non realizzava alcuna effettiva attività economica
autonoma", concorreva nel contrabbando ed era tenuto in solido con
la società contrabbandiera al pagamento dell'Iva evasa; c) in ogni
caso, le operazioni poste in essere erano manifestamente abusive, dal
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3.2. Con il sub motivo 3.2., il ricorrente denuncia, in relazione all'art.
360, comma 1, n. 5 c.p.c. l'insufficiente motivazione della sentenza
impugnata per avere la CTR, con un criterio logico deficitario, ritenuto
legittima la motivazione per relationem degli atti impositivi-
sanzionatori, nonostante avesse dovuto esaminare istituti giuridici
non menzionati nella motivazione degli stessi né nella richiamata
sentenza penale.
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4.Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360,
comma 1, n. 5 c.p.c. la contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per
avere la CTR, in modo del tutto illogico e contraddittorio, affermato,
dapprima che - recependo i fatti acclarati dal Tribunale di Roma con
la sentenza del 20 gennaio 2006- le cessionarie della merce trattata
dalla International Carni e dalla Union Trading erano varie società, tra
Sulle sanzioni
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una aboliti° criminis (essendo stato il delitto di cui all'art. 2, comma
4, del d.l. n. 746 del 1983 abrogato dall'art. 25 del d.lgs. n. 74 del
2000) e una sanzione amministrativa entrata in vigore
successivamente ai fatti in questione e, dunque, non applicabile alla
fattispecie per il principio di legalità ex art. 3, comma 1, del d.lgs. n.
472/97.
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della presentazione in dogana di dichiarazione di intento infedele
rispondevano i cessionari, i committenti e gli importatori che avevano
rilasciato o sottoscritto la dichiarazione medesima e, non già, come
nella specie, il mero socio di alcune delle società cessionarie delle
merci trattate dalla International Carni e dalla Union Trading; ciò
varrebbe, ad avviso del ricorrente, anche nell'ipotesi in cui si
configurassero come importatrici sostanzialmente le società
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l'Iva all'importazione non costituisce un tributo distinto e autonomo
rispetto all'Iva interna e non concreta un "diritto doganale".
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posteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003,
come convertito (Cass. 9122/2014; n. 12007 del 2015; n. 25472 del
2015; n. 8733 del 2013 n. 26507 del 2011). Orbene, nel caso di
specie, risulta che gli avvisi di accertamento e gli atti di contestazione
siano stati notificati al contribuente nel giugno del 2008 e, dunque, in
data successiva all'entrata in vigore della L. n. 269 del 2003. Alcun
rilievo assume, sotto tale profilo, la "contestazione" dei fatti
Va, quindi, esclusa in forza della L. n. 269 del 2003, art. 7, commi 1
e 3, la responsabilità solidale del contribuente per le sanzioni
amministrative tributarie e, segnatamente, per le sanzioni irrogate
dall'Ufficio quale dominus e gestore di fatto delle società del gruppo
Boccia, beneficiarie dell'attività di importazione in evasione dell'Iva
all'importazione tramite l'interposizione fittizia delle due società di
comodo International Carni e dalla Union Trading.
Tanto non basta, tuttavia, per l'inserimento della merce nel circuito
commerciale, per il quale occorre la sua immissione in consumo; e
l'art. 36, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 al
riguardo prescrive che «si intendono destinate al consumo entro il
territorio doganale le merci estere dichiarate per l'importazione
definitiva». Merci che, soltanto in esito all'«osservanza delle
condizioni e formalità prescritte per l'importazione definitiva»,
divengono «nazionalizzate», in quanto tali equiparate, salvo che non
sia espressamente disposto diversamente, a quelle nazionali (art. 134
del d.P.R. 43/73).(Cass. n. 16783 del 2016). Il punto è che, ai fini
dell'importazione definitiva, occorre adempiere non soltanto i dazi,
ma anche gli altri diritti di confine, tra i quali si annovera l'iva
all'importazione (art. 34 del d.P.R. 43/73). L'iva all'importazione
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condivide, peraltro, con i dazi la caratteristica di trarre origine dal
fatto dell'importazione nell'Unione e della susseguente introduzione
nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio
2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la
conseguenza che fatto generatore ed esigibilità dell'Iva
all'importazione sono collegati a quelli dei dazi, pur rimanendo da
questi distinti (Cass. n. 16463 del 2016).
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è segnata da specificità procedimentali e sanzionatorie, correlate al
meccanismo dell'importazione:
Nella specie, la CTR non ha fatto buon governo dei principi di cui
sopra, affermando che il Boccia Vincenzo era solidalmente
responsabile dell'Iva all'importazione evasa dalle società International
Carni e Union Trading, ai sensi dell'art. 338 del d.P.R. n. 43 del 1973,
in quanto concorrente nel reato di contrabbando ex art. 292 del
TULD.
P.Q.M.
La Corte
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale