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Mastering Arcgis 7Th Edition Price Solutions Manual Full Chapter PDF
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Per questo fatto fu arrestato per provocazione, condannato dal
tribunale di semplice polizia ad un’ammenda, e dovette promettere,
previa cauzione, di starsene quieto. Era una cosa così ridicola che
egli stesso non potè fare a meno di riderne. Ma che scandalo nella
stampa regionale! Vi si parlava con gravità del bacillo della violenza
che infestava tutti coloro che abbracciavano il socialismo, e papà,
nonostante la sua lunga vita pacifica, era citato come un esempio
dello sviluppo di quel microbo della violenza. Più di un giornale
insinuava che la mente di lui era indebolita per i troppi studî
scientifici, e lasciava capire che si sarebbe dovuto chiuderlo in una
casa di salute. E non erano parole vane: annunciavano un pericolo
imminente. Fortunatamente, il babbo fu abbastanza intelligente per
accorgersene. L’esperienza del vescovo Morehouse era stata una
buona lezione, ed egli l’aveva ben capita. Non si mosse sotto quel
diluvio di ingiustizie: e credo che la sua pazienza sorprendesse gli
stessi nemici.
In seguito, fu la volta della nostra casa, la nostra vecchia abitazione.
Fecero apparire una grossa ipoteca, e dovemmo abbandonare la
nostra dimora. Naturalmente non c’era la minima ipoteca, e non
c’era mai stata: tutto il terreno di costruzione era stato comperato e
la casa pagata appena costruita, e casa e terreno erano sempre stati
liberi da ogni vincolo. Ciononostante, fu creata un’ipoteca falsa,
redatta e firmata regolarmente e legalmente, con le ricevute degli
interessi versati durante un certo numero di anni. Il babbo non
protestò. Come gli avevano rubato il danaro, gli rubavano ora la
casa: così che non era possibile far ricorso. Il meccanismo della
Società era nelle mani di coloro che avevano giurato di rovinare mio
padre. Ma siccome, in fondo, era un filosofo, il babbo, ormai, non
s’indignava più.
— Sono condannato ad essere schiacciato — mi diceva. — Ma non
è questa una buona ragione perchè io non cerchi di essere
fracassato il meno possibile. Le mie vecchie ossa sono fragili, e la
lezione è stata per me un buon insegnamento. Lo sa Iddio se tengo
a passare gli ultimi giorni in un manicomio.
Questo mi fa ricordare che non ho ancora raccontato la storia del
vescovo. Ma prima devo dire del mio matrimonio. Siccome la sua
importanza è pari a quella di tanti altri avvenimenti simili, così ne dirò
solo due parole.
— Ora diventeremo veri proletarî — disse il babbo, quando fummo
scacciati dalla vecchia casa. — Ho spesso invidiato al tuo futuro
marito la perfetta conoscenza del proletariato; ma ora potrò
osservare e rendermene conto direttamente.
Il babbo doveva avere nel sangue il desiderio dell’avventura, perchè
considerava sotto questo aspetto la nostra catastrofe. Nè collera, nè
amarezza potevano su di lui: era troppo filosofo e troppo semplice
per essere vendicativo; e viveva troppo nel mondo dello spirito, per
rimpiangere gli agi materiali che avevamo dovuto abbandonare.
Quando andammo a stabilirci a San Francisco, in quattro miserabili
camere del quartiere basso, al sud di Market Street, egli seguì la
nuova via con la gioia e l’entusiasmo di un bimbo, però secondo la
visione chiara e la vasta comprensione d’una mente di prim’ordine.
Sfuggiva così a ogni cristallizzazione mentale e a ogni falso
apprezzamento dei valori, giacchè quelli dichiarati tali dall’usanza o
dalla convenzione, non avevano senso alcuno per lui; i soli che
riconoscesse erano i fatti matematici e scientifici. Mio padre ero un
essere eccezionale; aveva una mente ed un’anima come solo hanno
i grandi uomini. In certi punti era perfino superiore a Ernesto, che era
pertanto il più grande che io avessi mai conosciuto.
Io pure provai qualche conforto in quel cambiamento di vita, e cioè la
gioia di sfuggire all’ostracismo metodico e progressivo al quale
eravamo sottoposti nella nostra città universitaria, coll’inimicizia della
nascente oligarchia. A me pure quella vita nuova sembrò
un’avventura, e la più grande di tutte, perchè era un’avventura
d’amore. La nostra crisi finanziaria aveva affrettato il nostro
matrimonio; cosicchè andai ad abitare come sposa il piccolo
appartamento di Pell Street, nel quartiere basso di San Francisco.
Ma di tutto ciò ecco quanto rimane: ho fatto felice Ernesto. Sono
entrata nella sua vita agitata, non come un elemento di disordine,
ma come un coefficiente di pace e di riposo. Gli ho portato la calma:
fu il mio dono d’amore per lui, e per me il sogno infallibile divenuto
realtà. E per dimenticare miserie, o suscitar la luce della gioia in quei
poveri occhi stanchi: ecco la mia gioia. E poteva essermi riservata
una maggiore?
Quei cari occhi stanchi! Egli li prodigò sempre come pochi uomini
hanno fatto, e spese tutta la sua vita per gli altri. Tale fu la misura
della sua virilità. Era un umanitario, una creatura di amore. Con la
sua mente battagliera, il suo corpo di gladiatore, e il suo genio
d’aquila, era dolce e tenero con me, come un poeta, ma un poeta
che viveva i suoi canti nell’azione. Fino alla morte cantò la canzone
umana, la cantò per puro amore di questa umanità per la quale
diede la sua vita e fu crocifisso.
E tutto questo, senza la minima speranza d’un premio futuro. Nella
sua concezione del mondo, non c’era possibilità di vita futura. Egli,
che fiammeggiava d’immortalità, la negava a se stesso; e quest’era il
più gran paradosso della natura. Quello spirito ardente era dominato
dalla filosofia nera e fredda del monismo materialista. Quando
tentavo di confutare le sue idee, dicendogli che vedevo la sua
immortalità nel volo della sua anima, e che mi occorrevano secoli,
per conoscerla a fondo, egli rideva, e le sue braccia si stendevano a
me, e mi chiamava la sua dolce metafisica, e ogni stanchezza
spariva dai suoi occhi; io intravedevo in essi quella fiamma d’amore
che, da sola, era una nuova e sufficiente affermazione della sua
immortalità.
Altre volte mi chiamava la sua cara dualista e mi spiegava il modo
come Kant, per mezzo della ragione pura, aveva abolito la ragione
per adorare Dio. Stabiliva un parallelo, e mi accusava di seguire lo
stesso procedimento. E quando, colpevole, difendevo quella
maniera di pensare perchè profondamente razionale, egli mi
stringeva solo più forte e rideva come solamente potrebbe farlo un
amante eletto da Dio.
Rifiutavo di ammettere che la sua originalità e il suo genio fossero
spiegabili secondo l’eredità e l’ambiente, o che gli aridi tentativi della
scienza riuscissero ad afferrare, analizzare e classificare la
fuggevole essenza che si nasconde nella formazione stessa della
vita. Sostenevo che lo spazio è un’apparenza obbiettiva di Dio, e
l’anima una proiezione della sua natura soggettiva.
E quando Ernesto mi chiamava la sua dolce metafisica, io lo
chiamavo il mio immortale materialista; e ci amavamo ed eravamo
pienamente felici. Io gli perdonavo il suo materialismo in grazia
dell’opera immensa compiuta nel mondo senza darsi pensiero del
progresso personale; in grazia anche di quell’eccessiva modestia
spirituale che gli impediva di insuperbire e perfino di avere coscienza
del suo animo veramente eccezionale.
Pertanto aveva una sua particolare fierezza. Come potrebbe non
averla un’aquila? «Sentirsi divino», diceva, «sarebbe bello in un dio,
senza dubbio; ma non è ancora meglio nell’uomo, molecola infima e
destinata a perire?». In questo modo esaltava se stesso e
proclamava la sua mortalità. Si compiaceva di declamare alcuni
brani di un poema che non aveva letto per intero, e del quale non
aveva mai potuto sapere l’autore.
Trascrivo questo brano, non solo perchè egli lo prediligeva, ma
perchè è una prova del temperamento paradossale di lui. L’uomo
che recitava, fremendo d’entusiasmo, i versi seguenti, poteva essere
solo un po’ di fango inconsistente, un’energia fuggitiva e una forma
effimera?
Ernesto si occupò troppo, tutta la sua vita. Era sostenuto solo dalla
robusta costituzione che, però, non cancellava la stanchezza dello
sguardo. I suoi cari occhi stanchi! Non dormiva più di quattro ore e
mezza per notte, e nonostante questo, non trovava mai il tempo di
fare tutto quello che avrebbe dovuto. Neppure un istante interruppe
la sua opera di propaganda: ed era sempre impegnato in anticipo,
per le conferenze da tenere alle organizzazioni operaie. Poi venne la
campagna elettorale alla quale si dedicò quanto è umanamente
possibile. La soppressione delle case editrici socialiste lo privò del
frutto dei suoi diritti di autore, e lo affaticò molto per trovare da
vivere: perchè, oltre tutti gli altri lavori, doveva darsi da fare per
guadagnarsi la vita. Traduceva molto per delle riviste scientifiche e
filosofiche; rincasava tardi la notte, già stanco per la lotta elettorale,
e si dedicava a quella occupazione fino alle prime ore del mattino. E
sopratutto coltivava i suoi studi! Li continuò fino alla morte; e
studiava pazzamente.
Nonostante questo, trovava il tempo di amarmi e farmi felice. Io
fondevo tutta la mia vita con la sua. Imparai la stenografia e la
dattilografia e diventai la sua segretaria. Mi diceva spesso che ero
riuscita ad alleggerirlo di metà del lavoro; e io mi misi di nuovo ad
imparare per capire bene le sue opere. Ci interessavamo l’uno
all’altro, lavoravamo insieme e giocavamo insieme.
E poi avevamo i minuti di tenerezza rubati al lavoro; una semplice
parola, una rapida carezza, uno sguardo d’amore; e questi minuti
erano tanto più dolci, quanto più furtivi. Vivevamo sulle cime, dove
l’aria è viva e frizzante, dove l’opera si compie per umanità, dove
non potrebbe respirare il sordido egoismo. Amavamo l’amore, che
per noi si coloriva delle tinte più belle. È certo, insomma che non ho
fallito il mio scopo. Ho dato un po’ di riposo a quella creatura che si
affaticava tanto per gli altri, ho dato la gioia al mio caro mortale dagli
occhi stanchi!
CAPITOLO XII.
IL VESCOVO.
Ernesto venne eletto alla fine del 1912. Era naturale, in seguito alla
enorme attrattiva verso il socialismo, determinata, in gran parte dalla
soppressione di Hearst. [77] L’eliminazione di questo colosso dai
piedi di argilla, era stata un gioco da bimbi, per la plutocrazia. Hearst
spendeva diciotto milioni di dollari l’anno per sostenere i suoi
innumerevoli giornali; ma questa somma gli era rimborsata, e più
che rimborsata, in forma di piccola pubblicità, dalla classe media.
Tutta la sua forza finanziaria era alimentata da quest’unica sorgente,
perchè i trusts non avevano niente a che fare con la réclame. [78]
Per abbattere Hearst, bastava, dunque, togliergli la pubblicità.
La classe media non era ancora totalmente sterminata: conservava
un’ossatura massiccia, ma inerte. I piccoli industriali e gli uomini di
affari che si ostinavano a sopravvivere, privi di potere, di anima
economica o politica, erano in balìa della plutocrazia. Appena l’alta
finanza fece loro cenno, essi tolsero la pubblicità alla stampa di
Hearst. Costui si dibattè valorosamente: fece stampare i suoi giornali
in pura perdita, rimettendoci di tasca sua un milione e mezzo di
dollari al mese; e continuò a pubblicare annunzî che non gli erano
pagati. Allora, per nuovo ordine della plutocrazia, la sua meschina
clientela lo soffocò di avvertimenti ingiungendogli di smettere la
pubblicità gratuita. Hearst si ostinò. Gli fecero delle intimazioni, e
siccome persisteva nel suo rifiuto di obbedienza, fu castigato con sei
mesi di prigione, per offesa verso la Corte, mentre veniva spinto al
fallimento da un diluvio di azioni per danni e interessi. Non aveva
nessuna speranza di salvezza. L’alta Banca lo aveva condannato;
ed essa aveva in mano sua i tribunali che dovevano confermare la
sentenza. Con lui, crollò il partito democratico che egli aveva da
poco irretito.
Questa doppia disfatta pose davanti ai suoi aderenti solo due vie:
l’una che metteva capo al Partito Socialista, l’altra al Partito
Repubblicano. Perciò noi raccogliemmo i frutti della propaganda,
così detta socialista, di Hearst; giacchè la grande maggioranza dei
suoi fedeli venne ad ingrossare le nostre file.
L’espropriazione dei fittavoli, che ebbe luogo in quel tempo, ci
avrebbe procurato un altro serio rinforzo, senza la breve e futile vita
del Partito delle Fattorie. Ernesto e i capi socialisti fecero sforzi
disperati per conciliare i fittavoli; ma la distruzione dei giornali e delle
case editrici socialiste costituiva un ostacolo formidabile, e la
propaganda orale non era ancora sufficientemente organizzata.
Avvenne dunque che politicanti del genere del signor Calvin, che
non erano altro che fittavoli, da lungo tempo espropriati, sì
impadronissero dei contadini, sciupandone la forza politica, in una
campagna assolutamente vana.
— Poveri fittavoli! — esclamava Ernesto, con un riso sardonico. — I
trusts li comandano, all’entrata e all’uscita.
Queste parole dipingevano bene quello stato di cose. I sette
consorzî, agendo insieme, avevano fusi i loro enormi avanzi, e
costituito un partito delle Fattorie. Le ferrovie, padrone delle tariffe e
dei trasporti, i banchieri e gli speculatori di Borsa, padroni dei prezzi,
avevano da tempo dissanguato i fittavoli costringendoli a indebitarsi
fino al collo. Dall’altra parte, i banchieri, e gli stessi trusts, avevano
prestato grosse somme ai campagnoli; perciò questi erano nella
rete. Non rimaneva altro che gettarli a mare; e la Lega delle Fattorie
vi si preparò.
La crisi del 1912 aveva già prodotto un terribile crollo di prezzi nel
mercato dei prodotti agricoli, prezzi che furono ancora
deliberatamente ridotti a prezzi di fallimento, mentre le ferrovie, con