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Confinante con l'Ircania vi era il popolo delle Amazzoni, che abitavano

le pianure vicino al fiume Termodonte. Avevano come regina Talestri,


che dominava su tntti gli abitanti tra il monte Caucaso e il fiume Fasi.
Costei, desiderando vedere il famoso Alessandro, usci dai confini del suo
regno e, quando non era molto lontana, mandò avanti dei messaggeri ad
annunciare che la regina era venuta per conoscere il re dei Macedoni.
Subito, concessa la facoltà di venire avanti, ordinò a tutti gli altri di
fermarsi, e avanzò con trecento donne. E, appena fu al cospetto del re,
senza indugio, lei saltò giù da cavallo, tenendo nella destra due lance.
Col volto intrepido e stupito Talestri osservava il re, esaminando con lo
sguardo la sua corporatura e la sua statura, nient'affatto pari alla fama
delle sue gesta: infatti per tutti i barbari il rispetto risiede nella maestà
della figura e ritengono capaci di grandi imprese solo coloro a cui la
natura ha donato uno straordinario aspetto. Quindi la regina non esitò a
dire di essere venuta solo per vedere il re; aggiunse che adesso le faceva
piacere di averlo visto.

Quel famoso Socrate, che l'oracolo di Apollo decretò il più saggio di


tutti, possiamo mostrare con molti argomenti di quanta tolleranza
d'animo sia stato. Tuttavia riteniamo essere sufficiente questo solo.
Nessuno ignorava quanto Santippe, sua moglie, fosse scontrosa e
litigiosa; essa notte e giorno abbondava di furori e pedanterie femminili,
tuttavia egli fu d'animo sereno e allegro. Poiché un giorno Alcibiade gli
aveva chiesto perché sopportasse una donna così sgradevole, disse:
«Cosa pensi - disse - sia più adatto per un uomo per la pratica della
pazienza di una moglie petulante? Mentre sopporto mia moglie in casa,
non mi esercito forse assiduamente e non mi abituo a sopportare anche
fuori l'insolenza dei miei concittadini?». Chi non vede che grande
sapienza e moderazione vi sia stata in queste parole?

Dopo che un pretore ebbe condannato alla pena capitale una donna nel
suo tribunale, la consegnò al triumviro affinché la uccidesse in carcere.
Dopo che colui che era a capo della custodia l'ebbe presa in consegna,
mosso da pietà, non la strangolò subito: autorizzò anche la figlia ad
incontrarla, ma dopo averla perquisita con cura, affinché non portasse
cibo, ritenendo che essa sarebbe stata consumata dalla fame. Passando
però parecchi giorni, chiedendosi tra sé e sé cosa mai ci fosse con cui si
sostentasse cosi a lungo, dopo aver osservato con più attenzione la figlia,
si accorse che quella, tirata fuori la mammella, placava la fame della
madre con l'aiuto del suo latte. La singolarità di uno spettacolo tanto
ammirevole fu riferita dallo stesso (carceriere) al triumviro, dal triumviro
al pretore, dal pretore al collegio dei giudici e ottenne la remissione della
pena per la donna. Dove non giunge o cosa non escogita l'amore filiale?
Cosa infatti è tanto strano, tanto inaudito quanto una madre nutrita dalle
mammelle della figlia?

Dagli antichi non è passato sotto silenzio un grave fatto. Dopo la


battaglia di Canne, Annibale, convocati i soldati Romani che aveva
preso, annunciò che concedeva loro la possibilità di riscattarsi. Decise
pertanto di inviare dieci di loro a Roma al senato, dopo che ebbero
giurato che sarebbero ritornati, se il riscatto dei catturati non fosse stato
accolto; infatti tale era la forza del giuramento che non esigette da loro
nessun altro pegno di fiducia.
Essendo usciti dall'accampamento, uno di loro, senza dubbio uomo di
ben poco carattere romano, per liberarsi del giuramento, rientrato di
nascosto nell'accampamento, prima di notte raggiunse i compagni.
Avendo il senato decretato che i catturati non dovevano essere riscattati,
perché i soldati valorosi dovevano andare incontro alla morte senza
esitare, quel militare andò a casa affermando che lui, essendo già tornato
all'accampamento, non era vincolaro dal giuramento. Ma il senato
comandò che il militare fraudolento fosse riportato in catene da
Annibale. In seguito tutti i prigionieri o morirono con vari supplizi o
furono venduti all asta.

A Filippo successe il figlio Alessandro, il quale superò il padre sia nella


virtù che nei vizi. Entrambi ebbero anche una tattica di vittoria diversa.
Questo conduceva le guerre apertamente, quello con le astuzie. Quello
era contento quando raggirava i nemici, questo quando li sbaragliava
apertamente. Quello fu più assennato nel giudizio, questo più d'animo
più grande. Il padre dissimulava l'ira, il più delle volte la vinceva anche;
una volta che questo si era infiammato, non c'era né ritardo né
moderazione nella vendetta. Entrambi eccessivamente avidi di vino, ma
diverse le conseguenze negative dell'ubriachezza. Alcuni dicono che
Alessandro infieriva non solo contro il nemico, ma anche contro i suoi.
Per questo spesso le battaglie restituivano Filippo ferito; questo spesso
usci dal banchetto come uccisore di amici. Quello non voleva
comportarsi da re con gli amici, questo esercitava il potere contro gli
amici. Entrambi ebbero per la letteratura un amore paragonabile. Il padre
fu di maggior astuzia, questo di maggior lealtà. II padre era più incline
alla semplicità, il figlio alla dissolutezza.
Durante la prima guerra Punica, il console romano Attilio Regolo,
mandato dal senato in Africa contro i Cartaginesi, fu sconfitto e
fatto prigioniero dai nemici, i quali gli chiesero di tornare a Roma e
ottenere la pace dai Romani e fare lo scambio dei prigionieri.
Regolo giurò che sarebbe tornato a Cartagine, se non avesse
ottenuto niente. Egli, giunto a Roma, in senato disse che, dal giorno
in cui era caduto nelle mani degli Africani, aveva cessato di essere
un cittadino romano: e così, sia rifiutò l'abbraccio della moglie, sia
convinse il senato che non facesse nessuna la pace con i Punici né
restituisse i prigionieri. Disse infatti che i Cartaginesi non avevano
ormai alcuna speranza di vincere e che egli non valeva tanto che
tante migliaia di prigionieri che erano stati catturati dai Romani
venissero restituiti. E così ottenne queste cose. Egli stessi ritornò a
Cartagine, e ai Romani che proponevano di trattenerlo a Roma,
disse che non sarebbe rimasto in quella città, perché, dopo essere
stato schiavo degli Africani, non poteva avere dignità di onesto
cittadino. Tornato quindi in Africa, fu ucciso con ogni forma di
tortura.

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