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LA CAPPELLA DEL TESORO DI SAN GENNARO

La cappella di San Gennaro venne edificata a seguito del voto cittadino verificatosi il 13 gennaio 1527. Presso
di essa venne costituendosi un ente con propria personalità giuridica: Cappella del Tesoro di San Gennaro .
Questo ente è proprietario della cappella ( la quale è annessa al Duomo) , dei beni mobili/immobili
pertinenziali e fruttiferi. Il consiglio di amministrazione dell'ente è la Deputazione.
Le finalità dell'ente sono : custodire le insigni reliquie del patrono e favorirne la venerazione/devozione;
provvedere la gestione/conservazione/miglioramento dei beni mobili ed immobili. La Cappella ha una forte
autonomia ed identità anche rispetto alla cattedrale ( questa indipendenza , anche dalla stessa chiesa di
Napoli, è dovuta probabilmente alla specialità del Santo Gennaro, un uomo davvero simile a tutti no, prima
ancora che vescovo e santo). Fuori la cappella sono ben visibili i simboli del comune di Napoli a dimostrazione
che la vera proprietaria della Cappella è la stessa città.

I lavori di costruzione della cappella iniziarono grazie a una somma pubblica di mille ducati d'oro il primo
anno ( per la costruzione di un tabernacolo eucaristico). In seguito , furono corrisposti ulteriori diecimila
ducati in carlini nel successivo decennio ( 1000 ducati di carlini all'anno). Essendo una somma messa a
disposizione della città c'erano alcune prerogative a favore di questa : proprietà/amministrazione/governo;
libertà nella costruzione e ripartizione delle spese; diritto di presentazione/rimozione/conferma dei
cappellani. La Capella doveva essere svincolata da ogni superiore giurisdizione (anche ordinaria) e nessuno ,
al di fuori degli eletti pro tempore, doveva ingerirsi sulla dote , i beni o i frutti annessi alla Cappella.
La costruzione iniziò nel 1608 e terminò nel 1647 con una probabile spesa finale da parte della Città di 300000
ducati d'oro.
Fin da subito apparirono chiari una serie di problemi tra cui la determinazione delle competenze circa
l'organizzazione del culto verso il santo Patrono e la traslazione delle reliquie per le quali l'edificio era stato
creato. Il 2 maggio 1647 fu stipulata la Capitolazione la quale chiarì alcuni punti :
– l'amministrazione ( spirituale e temporale) della cappella spetta a soggetti laici (Deputati del tesoro)
– i Deputati amministrano non in nomine proprio , ma nell'interesse e per conto della città.
– Le reliquie del patrono furono divise tra capitolo metropolitano e cappella.
– I cappellani erano eletti dai Deputati e furono inizialmente 6 e poi 12.

La configurazione giuridica che sembra assumere l'ente cappella è quella del giuspatronato laicale per
fondazione . Un patronato è laicale non tanto perché appartiene a soggetti laici , ma a causa dell'iniziale
patrimonio profano. Inoltre si tratta di un patronato di giustizia e non di grazia : infatti non è oggetto di una
concessione graziosa di natura privilegiata. Essendo un patronato di giustizia sorgono obbligazioni reciproche
tra giuspatrono e autorità ecclesiastica. Nel documento attestante il voto del 13 gennaio 1527, l'assunzione
dell'impegno finanziario da parte della città , assume tutti i caratteri dell'obbligazione ( le somme promesse
non sono né oblazioni né elemosine)
Della Cappella , con il passare degli anni , comincerà ad interessarsi direttamente anche lo stato, tanto che
sarà posta sotto la sorveglianza prima del ministero degli esteri e poi del ministero della Presidenza.
Importante poi che la natura “reale” della Deputazione, non sfocerà mai nella qualificazione di cappella
“regia”. Il titolo regio veniva attribuito ad alcune cappelle con intento ed effetti puramente onorifici.

La legislazione eversiva di secondo ottocento e il conseguente diritto di rivendicazione /svincolo dei patroni
avrebbe potuto porre problemi circa l'apertura al culto della Cappella. Ciò non avvenne per svariati motivi:
– il motivo politico → se il comune avesse esercitato il diritto di rivendicazione , ci sarebbero state dure
reazioni
– il motivo giuridico → l'esercizio del diritto di rivendicazione trovava un limite invalicabile nella
necessità di mantenere aperte ( conservazione discrezionale) al culto le Chiese.
Le chiese che venivano tutelate erano quelle definite “monumentali” ( lo stesso statuto della Cappella del
1894 la definisce tale). La monumentalità fu il limite non solo per la devoluzione dei beni al patrimonio
pubblico-demaniale , ma anche per la rivendicazione da parte dei privati.
Nel gran moto di liquidazione del patrimonio ecclesiastico , quindi , una particolare sensibilità si manifestò
per le chiese che dovevano considerarsi monumenti patrii ( qualificazione data da regio decreto) e alle cave
dei marmi serventi per la manutenzione degli stessi edifici.
La Cappella , inoltre, era esentata dalla tassa del 30% (essendo inserita nell'elenco degli edifici dichiarati
monumenti nazionali). La tassa del 30% era l'imposta straordinaria, prevista dall'art.18 della l.3848 del 1867,
che toccava il patrimonio ecclesiastico , escluse le parrocchie. Le fabbricerie non ne erano esentate e la
cappella , quindi , se qualificata come tale, avrebbe dovuto sostenerla.

Alcuni studiosi ( Ruffini , Scaduto) hanno rilevato come il fenomeno delle fabbricerie nel meridione fosse
isolato ed eccezionale. Inoltre nel meridione tutti questi istituti erano disciplinati da statuti particolari , tanto
che “talvolta risulta difficile determinare se si tratti davvero di una fabbriceria o di un ente di altra natura. Le
fabbricerie comunque , anche nel meridione, erano collegate soprattutto alle chiese parrocchiali.
Il Consiglio di Stato nel 1880 aveva chiarito che per fabbricerie si dovevano intendere on solo quegli istituti
così denominati , ma anche tutti quelli che , con denominazione diversa, si occupassero comunque
dell'amministrazione dei beni di una chiesa parrocchiale.
Lo Statuto del 1894 non parla della cappella come di una fabbriceria, ma , oltre a citare il carattere della
monumentalità , definisce la cappella (non la deputazione) come un ente sui generis (art.7). La Deputazione
amministra i beni e nomina il personale (analogia con le funzioni della fabbriceria è apparente ed inutile).
Non essendo quindi considerata come fabbriceria, il complesso Cappella- Deputazione non fu toccato dalla
disciplina lateranense riguardante le fabbricerie ( centrale il rapporto speciale con la città di Napoli).

Il 19 maggio 1918 entrava in vigore il nuovo codex. Questo codice guardava con sfavore al giuspatronato
impedendo nuove costituzioni o concessioni per il futuro , conservando quelli sorti nel passato. Inoltre faceva
salvi i diritti quesiti , i privilegi e gli indulti fino ad allora concessi dalla santa sede, ancora in uso e non abrogati,
a condizione che non fossero espressamente revocati dai canoni del nuovo codice. Infine il codice prevedeva
che le controversie relativa al diritto di patronato fossero di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario.
Nel 1927 papa Pio undicesimo emanò una bolla con cui prese atto di questa situazione, ricordando che il
diritto di patronato alla città di Napoli derivava da una fondazione e dotazione laicale. Il Pontefice designava
la Cappella come persona morale e non ecclesiastica e la Deputazione come consiglio di amministrazione.
L'entrata in vigore dei Patti Lateranensi nel 1929 lasciò indenne sia Cappella che Deputazione ( non si sentì la
necessità di una modifica /revisione dello statuto e del regolamento in conformità alla legislazione sulle
fabbricerie).
Negli accordi di Villa Madama del 1984 non si accenna né al diritto di patronato né al diritto di elezione dei
parroci. Lo stesso era avvenuto nel codice del 1983. Il codice attuale , poi, riproponendo un canone contenuto
nel codice del 1917, ribadisce il principio di continuità nella titolarità dei diritti quesiti e dei privilegi. E, poiché
nessuna disposizione codiciale revoca espressamente i diritti quesiti esistenti , bisognerà accertare , volta per
volta ,se l'asserito diritto di patronato sia tuttora esistente oppure no.
Resta ferma , in Italia , la competenza giurisdizionale del giudice dello Stato per le controversie relative al
diritto di patronato, nonostante non sia stata riprodotta la norma , che era precedentemente contenuta nei
Patti Lateranensi, nell'accordo di Villa Madama.

La peculiarità della Cappella di San Gennaro è il forte intreccio tra le finalità di culto pubblico e
l'amministrazione civile del patrimonio a ciò destinato. Il patrimonio che inizialmente era composto
dall'edificio (cappella) e poi crebbe con le offerte/donazioni dei fedeli.
La modalità di costituzione della cappella non fu inusuale per quei tempi. Infatti , a quei tempi , solo gli ordini
religiosi , grazie alle offerte e ai lasciti dei fedeli , erano in grado nella Chiesa di affrontare le spese di
costruzione di grandi edifici di culto. Le Diocesi ( i singoli vescovi) non erano in grado di sostenere
autonomamente simili spese. Fu così che si sviluppò l'antico istituto del diritto di patronato : l'autorità
ecclesiastica riconosceva al fondatore ( patronus) una serie di privilegi e prerogative in cambio o della
dotazione conferita per l'opera (patronato laicale) o per meriti acquisiti nella propagazione della fede ( nel
caso di alcune monarchie → patronato regio). Il principale privilegio , di solito, era quello di presentare i
chierici candidati per la nomina alla titolarità dell'ufficio ecclesiastico o del beneficio da parte dell'autorità
ecclesiastica.
Questo istituto ebbe grande diffusione e influenzò anche il corso della storia ( vedi la lotta per le investiture
e il fenomeno della colonizzazione/cristianizzazione dell'America Latina).
Il legislatore canonico , pur disciplinando quest'istituto , lo vedeva con una certa diffidenza , essendo causa di
ingerenza ai danni della sua libertà .
Oggi quest'istituto è venuto meno , da un lato , per la scomparsa dello Stato confessionista, dall'altro, per
l'affermazione del principio di laicità dello Stato ( chiara differenziazione tra sfera politica e sfera religiosa).
Il carattere laicale del patronato non va comunque inteso come un'esclusione totale dell'autorità ecclesiastica.
Era pur sempre la Chiesa che concedeva dei privilegi e inoltre il diritto canonico prevedeva degli espressi limiti
ad esso.
Il codex del 1917 , pur conservando i patronati esistenti, ne proibì la formazione di nuovi. Il concordato del
1929 abrogò , salvo rare eccezioni , ogni nomina cesarea e i diritti di patronato regio. La scomparsa del
patronato proseguì gradualmente tanto che non se ne fa più menzione né nel nuovo codex del'83 né negli
Accordi di Villa Madama.

Il diritto di patronato laicale sottraeva ,quindi, al vescovo diocesano alcune prerogative. Bisogna però
ricordare , nel caso di specie napoletano , che per il resto l'amministrazione ( esercizio di culto e l'uso dei beni
ricevuti a tal fine) era sempre soggetta alla vigilanza dell'arcivescovo di Napoli ( considerato come Delegato
Apostolico).
Durante il periodo borbonico l'ultima bolla pontificia ottenne anche l'exequatur del re , il quale dava effetti
civili.
Durante il periodo napoleonico , con Murat , ci fu la soppressione degli ordini religiosi e l'espropriazione dei
relativi patrimoni. Tuttavia non ci fu la soppressione della cappella, sia per la rilevanza del culto sia per la
composizione laicale della Deputazione. Ne fu però modificata l'organizzazione interna : il numero dei membri
della Deputazione passò a 6 ( abolizione degli Antichi Sedili e applicazione della disciplina napoleonica
riguardante le fabbricerie) , designati da un organo laico ( tribunale conservatore).
Il ruolo di presidente della Deputazione fu attribuito di diritto al Sindaco e l'amministrazione passò sotto la
vigilanza del Governo.
L'obiettivo della disciplina napoleonica sulle fabbricerie era duplice: laicizzazione di tali istituzioni ; sottrazione
di tali enti al controllo delle autorità locali., introducendo l'appartenenza di diritto del Sindaco al consiglio.
Con il ritorno dei Borbone furono ripristinati gli antichi sedili e con ciò crebbe nuovamente il numero dei
membri della Deputazione ( prima 10 e poi 12). Le altre modifiche napoleoniche però rimasero.
2 metà dell'800
La Cappella non fu soppressa neppure dalla legislazione eversiva, la quale soppresse quasi tutti gli ordini
religiosi e alcuni enti ecclesiastici secolari . La soppressione fu evitata , prima , facendo perno sulla natura sui
generis, poi , con la qualificazione di edificio di culto di carattere monumentale ( come previsto dallo stesso
statuto del 1894). Importante , poi , che la regolamentazione canonica della Cappella non perse efficacia di
fronte allo Stato.
Lo statuto del 1894 , approvato con decreto reale , si limitò ad aggiornare la disciplina dell'organizzazione
interna precisando :
– in materia spirituale →riservata all'autorità ecclesiastica e , in parte , alla Deputazione e alla Corona
( presentazione e nomina dei cappellani).
– in materia temporale → ripartita tra Deputazione e Governo . Il Governo , con regio decreto,
nominava i membri della Deputazione e vigilava la stessa.
Lo statuto aveva quindi mera natura ricognitiva. Rilevante , poi , il fatto che il primo Capo dello statuto fosse
dedicato al richiamo esplicito delle varie bolle pontificie , a conferma della loro persistente rilevanza giuridica
nelle parti non modificate dalle successive disposizioni. Anche il successivo regolamento del 1926 richiamò
espressamente le bolle pontificie come fonti tuttora valide ed efficaci.
Bolla di Pio XI (1927) : emanata come lex specialis , mentre erano in corso le trattative con lo Stato italiano
per la Conciliazione , quasi a sottrarre la Cappella alle future disposizioni concordatarie. Vincolante sia per le
autorità ecclesiastiche sia per la Deputazione ( titolare del diritto di patronato concesso dal Pontefice).

Il Concordato del 1929 abrogò ogni nomina cesarea e i diritti di patronato regio. Stabilì , inoltre , che negli
enti ecclesiastici aventi un consiglio di amministrazione a composizione laicale, questo non dovesse ingerirsi
nei servizi di culto e che la nomina dei componenti dovesse farsi d'intesa con l'autorità ecclesiastica. Questa
disciplina appena richiamata valeva per le fabbricerie e per tutte le amministrazioni con diversa nomenclatura.
Il modello concordatario di fabbriceria , prevedendo il rigido divieto per la fabbriceria di ingerirsi nei servizi
di culto , era opposto rispetto al modello napoleonico , il quale consentiva all'ente di ingerirsi anche
nell'organizzazione del culto ( il consiglio di fabbrica amministrava le offerte dei fedeli).
Il codice civile , poi, ha rafforzato le prerogativa dell'autorità ecclesiastica su tutti gli edifici aperti l'esercizio
pubblico del culto cattolico, riservando alla stessa ogni decisione relativa alla destinazione al culto dell'edificio
e al suo uso. Queste prerogative sono state confermate dall'accordo di Villa Madama.

L'accordo di Villa Madama ha fatto venir meno il principio confessionista ed ha affermato la piena libertà
dell'autorità ecclesiastica nella nomina dei titolari di uffici ecclesiastici.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato , la presenza di una finalità di culto , anche se solo secondaria
nell'attività complessiva dell'ente, impone il riconoscimento del soggetto nelle forme previste dalla
legislazione pattizia sugli enti ecclesiastici o in quella della legge sui culti ammessi ( se si tratta di un ente
appartenente ad una confessione priva di intesa).
L'unico modello soggettivo che ancora ammette nel nostro ordinamento una forma di amministrazione civile
di un patrimonio destinato a soddisfare interessi di culto è quello della fabbriceria. Questo modello è legato
ad un'epoca sicuramente antecedente. La legislazione italiana , oggi , ammette solo le fabbricerie esistenti e
favorisce la soppressione delle stesse ( previa intesa tra CEI e Ministro dell'interno).
Normativa vigente :
– fabbricerie di chiese cattedrali e dichiarate di rilevante interesse storico o artistico → 7 membri , 2
nominati dal vescovo e 5 dal Ministro dell'interno (sentito il Vescovo).
– fabbricerie di interesse locale → 4 membri nominati dal prefetto d'intesa con il vescovo .
Questo modello è quindi oggi ai margini dell'ordinamento e rappresenta il limite estremo di una
sovrapposizione nel medesimo ente di finalità religiose e di culto con funzioni pubblicistiche.
Oltre questo modello non si può andare , in ossequio al principio che ispira oggi il nostro ordinamento:
separazione tra sfera religiosa e civile.

Successive vicende :
– 2004 : il Ministro dell'Interno ha attestato il riconoscimento per antico possesso di stato della
personalità giuridica della Cappella del Tesoro ai fini della sua iscrizione nel registro delle persone
giuridiche. Con tale atto la cappella è stata ricondotta nella categoria degli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti e soggetta alla l.222 del'85.
– 2011 : viene fatta una bozza di nuovo statuto da una commissione nominata dall'arcivescovo di Napoli
che qualifica la cappella come fondazione sui generis ( simile alla fondazione di culto, accostamento
che avrebbe garantito le prerogative ecclesiastiche). Pur richiamando lo schema normativo della
fondazione di culto , lo statuto della Cappella se ne distanziava su un punto fondamentale : i controlli
canonici sulle alienazioni → per le alienazioni di beni non funzionali al culto vanno rispettate le norme
civili , per le altre alienazioni le norme sui controlli canonici ( nelle fondazioni di culto lo schema dei
controlli canonici si applica su tutti gli atti di alienazione).
– 2012 : parere del Consiglio di Stato riconduce la Cappella alla categoria delle fabbricerie. Era una
chiara forzatura rispetto all'originaria natura , alle finalità e all'attività svolta dall'ente. Questa
qualificazione avrebbe comportato il trasferimento al Ministro (ed in parte al Vescovo) di designare i
membri della Deputazione.
– 22 gennaio 2016 : il ministro dell'interno fa proprio il parere del Consiglio di stato e procede al rinnovo
della composizione della Deputazione. Inoltre da alla Deputazione il termine di un anno per la stesura
di un nuovo statuto, il quale dovrà essere approvato con decreto del Ministro dell'interno sentito il
Vescovo. L'atto in questione è stato impugnato dall'ente dinanzi al TAR Campania a causa di numerosi
profili di illegittimità : mancato rispetto dell'autonomia dell'ente (imposta la nomina dei componenti
della deputazione in contrasto con lo statuto del 1894 , allora in vigore) ; l'autorità amministrativa
non poteva imporre l'adozione di un nuovo statuto (quest'ultima può intervenire solo in caso di
situazioni patologiche); inquadramento della Cappella nella figura della fabbriceria ( vari dati
normativi testimoniano che la Deputazione aveva ingerenze negli affari di culto e ciò andava contro
il divieto posto per le fabbricerie dal dpr del'87).
– Novembre 2016 : dopo pressioni dell'opinione pubblica e contestazioni della Deputazione ( la quale
definiva la Cappella come ente non ecclesiastico di fondazione e dotazione laicale sorto con beni
patrimoniali laicali) , è stato approvato con decreto del Ministro dell'interno il nuovo statuto. Il nuovo
statuto recepisce un testo inviato dalla Deputazione e condiviso con l'Arcivescovo di Napoli.
La cappella viene descritta come un soggetto di natura sostanzialmente privata : soppressione della vigilanza
ecclesiastica ; governo dell'ente spetta ad un organo di composizione laicale , di nomina ministeriale e
presieduto dal Sindaco di Napoli.
La connotazione laicale dell'ente viene ulteriormente rimarcata nell'art.24 dello statuto , il quale , prevede ,
in caso di estinzione, la devoluzione in favore del comune di Napoli dell'intero patrimonio della Cappella
( eccetto cose mobili serventi all'esercizio di culto → devolute presso l'ente ecclesiastico avente sede presso
la cattedrale di Napoli).
La crescente incertezza sulla natura giuridica dell'ente deriva dal contrasto tra i vari soggetti coinvolti :
Deputazione , Autorità ecclesiastica , Ministero.

Il nuovo statuto presente varie problematiche , tra cui quella del decreto di approvazione del Ministro Alfano.
Infatti questo decreto è stato emesso con un procedimento semplificato che non sembra corrispondere ad
alcun parametro normativo ( apparente contrasto con il principio di tipicità degli atti amministrativi). Non si
tratta del procedimento per le modifiche statutarie di un ente private , visto che oggi spetta al prefetto o al
presidente della regione. Nè si tratta del procedimento previsto per le modifiche statutarie degli enti pubblici ,
per i quali non è prevista l'iscrizione nel registro delle presone giuridiche e richiede il controllo della Corte dei
Conti ( più una forma di pubblicità legale).
La procedura seguita ( approvazione con decreto del ministro dell'interno) sembra quella prevista per i
mutamenti sostanziali e le modifiche statutarie di un ente ecclesiastico. Di ciò però non vi è alcun accenno
nel decreto stesso. Inoltre il contenuto dello statuto non è quello previsto dalla l.222 del'85 per gli statuti
degli enti ecclesiastici.
La procedura sembra infine simile anche a quella prevista per l'approvazione di uno statuto di una fabbriceria ,
ma anche in questo caso il contenuto non coincide con quello previsto per una fabbriceria.
Dal punto di vista giuridico quindi il decreto sicuramente anomalo.

Il contenuto dello Statuto presenta delle criticità. Non sembra rispettare né i principi canonistici né quelli
dell'ordinamento italiano.
– Principi canonistici :
a) riserva all'autorità ecclesiastica dell'esercizio e della promozione del culto pubblico → pur conservando le
finalità di promozione e devozione al culto, il nuovo statuto non è stato approvato dall'autorità ecclesiastica
(non nelle forme previste dal codex).
b) vigilanza dell'autorità ecclesiastica nell'esecuzione di tutte le pie volontà (offerte , donazioni lasciti
testamentari) → il nuovo statuto ha soppresso la funzione di vigilanza del Vescovo sull'amministrazione della
Cappella. Viene meno anche la vigilanza del Ministro. L'unico controllo è fatto sul bilancio consuntivo , inviato
a Vescovo e Ministro con mero scopo notiziale.
– Principio dell'ordinamento italiano :
a) distinzione degli ordini → questo principio implica la competenza esclusiva dell'autorità ecclesiastica per
tutto ciò che concerne l'esercizio del culto pubblico. Nonostante lo Statuto parli di un ente che ha come fine
religione e culto, il suo organo di governo è interamente a composizione laica ( persone cattoliche) ed è
presieduto di diritto dal Sindaco. Inoltre la Deputazione continua a scegliere i suoi membri (10 su 12, gli ultimi
2 vengono scelti per meriti sociali/umanitari/professionali) dai discendenti di alcune antiche famiglie
napoletane ( logica autoreferenziale che tutela interessi privati → contrasto con alcuni articoli della
costituzione : 7, 3 ,97 co.2).
Nel nuovo statuto il ruolo dell'autorità ecclesiastica è del tutto marginale : estromessa dall'amministrazione
del patrimonio , deve essere solo consultata per la nomina dei membri della deputazione e per le
modificazioni dello Statuto. L'abate prelato può essere invitato alle adunanze della Deputazione , ma senza
diritto di voto.
I cappellani sono nominati dall'arcivescovo su presentazione della Deputazione, ma tutto ciò non si capisce
da dove derivi , visto che il diritto di patronato è venuto meno con il nuovo statuto , non essendo questo stato
approvato dal Pontefice. Si prevede , inoltre , che l'abate prelato e i cappellani esercitino le loro funzioni in
spiritualibus , salvo quanto previsto dallo Statuto e dal regolamento intero, nonostante un simile statuto non
abbia rilevanza per il diritto canonico ( i membri del clero dovrebbero osservare quanto disposto dal diritto
canonico). Infine lo statuto ha anche disposizioni contrastanti con la Bolla pontifica del 1927 ( mai
formalmente abrogata) , con disposizioni del codex del'83 e dell'accordo di Villa Madama.
Lo stesso codice del diritto canonico precisa che gli statuti obbligano solo coloro che fanno legittimamente
parte dell'ente (associazione)o coloro che ne curano la conduzione (fondazione). Non essendo però
l'Arcivescovo membro della Deputazione , né risultando titolare di alcuna funzione su di essa , egli non risulta
vincolato da un tale statuto.
Il nuovo testo non precisa , poi , la natura giuridica dell'ente , definendolo semplicemente come sui generis ,
cosa che oggi può valere solo per gli enti sottratti al diritto comune per un'espressa disposizione di legge. In
questo caso sarà necessario, quindi , ricondurre la persona giuridica a una delle categorie previste dal
legislatore.

Possibili opzioni :
1) conservazione dello statuto del 1894 con modifica del regolamento interno ( vigilanza dell'ordinario
sulle funzioni di culto e sul bilancio dell'ente , come prevedeva la bolla del 1927).
2) qualificare la cappella come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto scegliendo la soluzione che
voleva attuare il ministro nel 2004. Sarebbe necessario adottare un nuovo statuto.
3) Trasformare l'ente in fabbriceria → bisognerebbe :riformulare le sue finalità ( sarebbero quelle di
provvedere alle spese di manutenzione/restauro della cappella e amministrare i beni patrimoniali e
le offerte a ciò destinate) alla luce del divieto di ingerirsi nei servizi di culto ; versare le rendite iscritte
al bilancio all'autorità ecclesiastica ; cessione e separazione del patrimonio ex.art.27 conc.
4) Trasformazione dell'ente in fondazione di diritto comune senza finalità di culto ma con compiti di
amministrazione/conservazione del patrimonio. Dovendo le finalità di culto pubblico essere
esercitate dalla chiesa bisognerebbe affiancare alla fondazione di diritto comune una fondazione di
culto.
5) Qualificare la cappella come ente pubblico (soluzione difficile , che si potrebbe ricavare da una serie
di indici contenuti nello statuto del 1894). Anche in questo caso sarebbe necessario ripartire il
patrimonio ex.art.27 conc. Sarebbe poi in dubbio la regola della provenienza dei membri della
deputazione dalle antiche famiglie napoletane (salvo un intervento del legislatore, non giustificabile).

La sola soluzione che garantirà una conformità ai principi del nostro ordinamento sarà una separazione più
chiara e netta degli interessi civili/patrimoniali da quelli religiosi. La soluzione si può raggiungere :
– tramite 2 soggetti distinti ed autonomi
– tramite un unico soggetto giuridico → in continuità con la grande tradizione , ma a condizione che sia
no ben salvaguardate all'interno dell'ente le prerogative dell'autorità ecclesiastica.

Nel parere del Consiglio di stato del 2012 si era arrivati a considerare la Cappella una fabbriceria in ossequio
al principio di tipicità degli enti. In verità , questo stesso principio , non si rinviene nel dettato legislativo e
appare smentito dall'art.12 del cc che si chiude con la locuzione “altre istituzioni di carattere privato”.
Con il passare del tempo il tentativo di tipizzare gli enti si è andato sbiadendo . La dottrina ha annunciato
pacificamente la fine del principio di stretta corrispondenza tra struttura ed attività svolta. Di questo
orientamento ha sicuramente risentito anche il legislatore nella riforma del 2003 ( prevede la possibilità di
trasformazione delle società di capitali in associazioni non riconosciute e fondazioni e delle associazioni
riconosciute e fondazioni in spa e srl).
E' quindi oggi improbabile l'esistenza o il perdurare di un principio di tassatività delle tipologie 8 conclusione
coerente con il dettato costituzionale , il quale dà un ruolo primario alle formazioni sociali).
L'atipicità della cappella di San Gennaro non deve far quindi meraviglia. L'ente presenta affinità con
fabbricerie , fondazioni di culto. L'appiattimento su una di queste figure tipizzate potrebbe far perdere alla
Cappella quella forza che le ha consentito di vivere e operare in modo efficacissimo da quasi 500 anni.

La particolare natura della cappella , che le aveva già permesso di superare indenne il banco di prova della
laicità dello Stato liberale ,oggi le permette di superare anche l'esame della laicità contemporanea. Con laicità
contemporanea si intende il principio di non identificazione tra apparato statuale e organizzazioni
confessionali ( evitare che lo Stato metta a disposizione del gruppo confessionale le sue stesse strutture
organizzative). Il principio di non identificazione però non può portare ad una reciproca ed assoluta
indifferenza tra ambito civile e religioso. Occorre quindi passare da una laicità intransigente (insensibile ai
valori della tradizione ) a una laicità aperta e inclusiva. Nel caso della Cappella la rilevanza della tradizione è
assorbente. La stessa partecipazione del Sindaco alla Deputazione è dimostrazione della vivacità religiosa
della città. Di fronte a questa vivacità religiosa perfino la gerarchia ecclesiastica ha fatto un passo indietro ,
riconoscendo ampie prerogative alla Deputazione. Tutte le concessioni che ha ottenuto la Cappella non sono
frutto di anacronistici privilegi , ma dell'apprezzamento , anche da parte della Chiesa , dello straordinario
ruolo svolto nel tempo da questo ente .
La Cappella rappresenta , senza dubbio , un unicum nel panorama degli enti a finalità religiosa.

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