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Erbil 7 ottobre 2011 Ieri sera siamo arrivati, abbiamo viaggiato in macchina da Baghdad ad Erbil.

Una macchina di lusso Checkpoint, sole, uscire da Bagdad (e tante persone che mi dicono che pericoloso viaggiare cos). Prima dalla partenza il saluto caloroso di Hana (Edwards di Al Amal), so che ho trovato unamica per la vita, nel suo ufficio durante i saluti ci siamo incontrati con alcuni giornalisti, e Hanah gli ha raccontato del nostro lavoro. Devo contattarli al mio ritorno in Italia. Un viaggio lungo 5 ore. Per me un riposo, non sono su internet, non posso fare niente, perfino telefonare difficile con tanti check point, dove vietato avere il telefono in mano. A ogni check point guardo in gi, i miei capelli biondi nascosti sotto il velo, e nessuno nella prima parte del viaggio chiede chi sono. Una colonna militare chiamata dirty squad che viene utilizzato per intervenire in casi speciali di terrorismo o non so cosa, entra nellautostrada, ci taglia la strada e siamo obbligati ad aspettare che passino tutti, ci tiene a velocit bassa perch non possiamo passare. Vicino ad Erbil passiamo allufficio visti, controlli Aspetto gli altri. Il mio passaporto olandese anche qua fa miracoli, tutti hanno potuto passare, mentre prima di sapere la mia nazionalit avevano detto che si doveva aspettare unora Mentre aspetto gli altri vicino alla macchina insieme allautista, vediamo passare una colonna infinita di carri armati americani, camion, e altri tipi di carro armato che non avevo mai visto prima. Ma cosa ci stanno a fare qua vanno a Qandil? Ci entra il fatto dei bombardamenti da parte della Turchia, Iran, dove anche solo un mese fa ci sono stati diversi morti, tanti rifugiati da alcuni villaggi in Kurdistan iracheno. Una situazione che va avanti da alcuni anni. Si aspettano altri attacchi? In diversi dopo mi diranno che gli americani sono qua ( un segreto saputo, si dice). Ma rimarranno anche dopo il ritiro americano, nascosti nel Kurdistan? Arriviamo allalbergo pensavo di andare dalla famiglia ma per diverse ragioni alla fine non ci vado Mi fanno entrare nel piccolo appartamento Mi coccolano, Ali, Fuad, Yasser, Mustafa, mi danno una stanza da sola e Ali dorme sul divano volevo io dormire l nel salottino, ma accetto il dono Stamattina presto: alzarsi per la maratona il pulmino gi partito, andremo con un taxi Alla maratona, penso subilto a Shaho, vittima delle bombe di Saddam Hussein, a gaz e no, ad Halabja. Ha perso le gambe e ha fatto delle maratone a Londra, prima in sedie a rotelle e poi con le protesi. Non c? No. Ma quante persone ci saranno da Suleimania, da Koya, da Dukan, e da altre parti del Kurdistan? Siamo nella trappola del Kurdistan di Barzani, di Erbil, dove in questo momento le persone provenienti dalla Suleimanya non sono sempre le ben venute. Anzi, ho sentito diverse storie di persone rimandate a casa quando hanno fatto lo sbaglio di dire che venivano da Suleimanya. Mentre sto nellatmosfera festosa della maratona, parlo con diverse persone. Sono contenta vedere tanti ragazzi, giovani, e persone dellONG li per strada, vicino al Parco Gawre. Ho tante domande dentro di me, un uomo con gli occhiali scuri, gira in modo strano intorno a me quando parlo con qualcuno. X. mi fa dei segni. Ma parlo e dico: anche se mi stesse registrando, non mi interessa. Sono cos arrabbiata con questa farsa di libert che stata permessa da Barzani per fare lo show per gli stranieri: qua in Kurdistan siamo un vera democrazia, e intanto neanche un mezzo anno fa ha chiuso luniversit della sua citt per pi di un mese per prevenire agli studenti di unirsi e di seguire le dimostrazioni iniziate in Suleimanya. Penso ai giornalisti picchiati, ai ragazzi e le persone morte durante le dimostrazioni, il primo di 15 anni, dai cecchini che stavano sul tetto del palazzo del partito di Barzani. (Tutto da ritrovare su diversi filmati).

Sono contenta per i ragazzi i giovani di qua, le persone delle ONG irachene, questi incontri sono un momento importante per loro, una possibilit di stare insieme a persone di altre citt e paesi del mondo. Mi siedo con B. e i suoi amici giovani di Erbil, che mi confermano tutti che cos: qui non c libert. Immischiata in mezzo a tanti giovani, abbiamo parlato dei problemi, della estrema povert che esiste ancora in Kurdistan, una povert nascosta per chi viene da fuori, della non libert, della divisione tra Erbil e Suleimanya, del popolo curdo diviso. Istanbul 9 ottobre 2011 Arrivata alle 6 di mattina ad Istanbul. Non so dove iniziare, le ultime due giornate sono state un vortice di lavoro, di incontri, di emozioni di stare con il mio gruppo di Baghdad, condividendo vita, lavoro Quanta stanchezza e mi sento sporca, ieri seduta per terra nella casa di Male Ehsan della mia famiglia curda, mentre sua moglie preparava e portava da mangiare (e naturalmente non era il momento per me per mangiare, qualche ore prima dello spettacolo), vedevo che i miei piedi non erano molto puliti Tutte quelle prove sui pavimenti, la polvere di Baghdad, di Erbil, di tutto si sono impregnati Non so dove iniziare a raccontare Lo spettacolo Voci da Bagdad: quanto stato bello lavorare con Ali (senza il suo sostegno continuo, per mio visto per Bagdad, per ogni cosa necessaria da fare, per i loro visti per venire in Italia), per le spese, per trovare gli attori), con Fouad, Ali, Yasser, Mustafa. Lo spettacolo sono loro, le loro storie, il loro vissuto da bambini, di oggi, frammentato. E stato emozionante condividerlo con il pubblico, e dopo, essere abbracciati da tante persone, piangendo, ridendo, stata una vera condivisione. Aeroporto di Istanbul ore 11.25. Ieri sono crollata, non riuscivo a scrivere. Oggi a questora io sono qua e loro, Ali, Mustafa, Fuad, Yasser, sono su un taxi, stanno arrivando a Baghdad. Non so cosa lascia questa citt, Baghdad, nelle mie vene. Credo accanto alle difficolt, questo desiderio di tanti per qualcosa di migliore, un desiderio tante volte nascosto da fatalismo, da vite vissute in mezzo a tanti morti, tanta crudelt, ma sotto c sempre Desiderio di vita normale senza paure, senza bombe, senza generatori per lelettricit, senza muri di cemento dappertutto che dividono, che devono proteggere universit, case, uffici, un vita senza checkpoint, senza il rumore degli elicotteri, senza dover finire in fretta e furia il ballo di un matrimonio, senza dover aspettare lo scoppio di una bomba annunciata, senza il caldo, 45 gradi, senza elettricit, in un appartamento al quinto piano al centro di una afosa citt, Gi scrivere di queste cose in un aeroporto pieno di luce, di fast food con persone che sono libere di viaggiare (o ce lhanno fatta ad avere un visto, cosa impossibile per gran parte dei cittadini del mondo), scrivere di tutto ci cos lontano. Ma questo desiderio lo porto con me, la forza delle persone che malgrado rischi, malgrado aver vissuto gi tutte queste guerre, malgrado il disinteresse, in generale, del mondo nel destino del loro paese, cercano di andare avanti, di cambiare qualcosa, di fare dimostrazioni delle quali nessuno parla, di lavorare con e per le donne rinchiuse nelle loro case, donne senza difesa, senza protezione, di lavorare con i bambini orfani, con persone di religioni diverse, provando ad unirli. Sono seduta dove quasi tre settimane fa ho aspettato a lungo laereo per il Kurdistan. Dove la mia famiglia mi aspettava, per coccolarmi: Draxshan, Mohsen, Deiki Dana, Koshad, Rzgar, Payman, Beyan, Shebang, Shanu, Heleen, Belar, Nareen, Perry, Adnan, Kak Male Ehsan, Murat, Hewa e tanti altri, tanti nomi una famiglia grande dalla quale in 14 anni ho visto crescere bambini appena nati, adesso grandi, uomini e donne, dove sono di casa, e spero presto che anche loro saranno di casa a casa mia, quando potranno venire in Italia. Senza la loro protezione, senza il loro amore, il loro aiuto, regalandomi di stare come se fossi a casa mia (annet eme mallixot ), vivendo la vita

normale di ogni giorno nella loro cultura, vivendo insieme alle donne, nella citt, nei villaggi, per terra, mangiando, dormendo, parlando, discutendo, vedendo la tv curda la mia base in un paese dove non avrei neanche potuto sognare di andare un 15 anni fa Kurdistan iracheno, con tutte le sue contradizioni Una relativa pace, ma nello stesso momento violenza nascosta, e le bombe che cadono dalla parte iraniana e turca sui villaggi alla frontiera iraniana, per attaccare i curdi del PKK, dicono, ma mi chiedo Suleimanya e Erbil con tutte quelle case nuove, strade, parchi, e con le dimostrazioni represse dallarmata, dieci mila soldati. Kurdistan dove sono obbligata a fare lo spettacolo con una grande foto di Barzani sulla scena, perch intoccabile. Dove devo sentire come la societ civile dellincontro per la societ civile, sia la societ civile irachena, sia gli NGO stranieri, nellincontro alle dimostarzioni, e le plenarie del primo giorno, per la maggior parte evitano di parlare dei problemi del Kurdistan, dove ci sono tanti problemi rispetto alla libert di stampa, di espressione, di opinione, pur di poter fare lincontro in questa parte dellIraq dove non ci sono bombe, ma la violenza contro chi osa parlare di corruzione, di violenza esiste. A Erbil, a febbraio/marzo di questanno, luniversit stata chiusa per un mese per non dare la possibilit di fare incontri, o far nascere delle dimostrazioni da parte degli studenti. Studenti, intellettuali, giornalisti in quel periodo sono stati picchiati, presi in ostaggi, uccisi meno di sei mesi fa, non in quantit come a Basra, Najaf, Bagdad, ma sufficientemente per creare quella paura, quella reazione che sia meglio non dire e fare niente. Questa paura a momenti la sento sulla pelle. La sento quando le persone che prima erano amiche si allontano da me per le cose che faccio e dico (e perfino per scrivere questo diario). Poi la paura si trasforma in rabbia, e mi fa scrivere quello che non viene detto dellincontro ad Erbil. Mentre le scrivo, un uomo della civilt civile irachena seduto vicino a me, sente di cosa parlo, anche la mia rabbia e che sto pensando di dire questa poesia di rabbia. Dice: Quello che sento mi fa paura, me ne vado. E cos ha fatto e non si pi avvicinato. Quante volte ho vissuto questanno lesperienza di persone che prendono distanza da me, che stanno vivendo loppressione. Persone che hanno paura di essere visti o fotografati insieme a me (dallIran, dal Kurdistan), di essere amici su facebook Ho appena scritto un sms ad Ali, chiedendo se andato a casa, o se ancora a Baghdad, dicendo che vado via con un dolore nellanima. Sono cos addolorata per la loro vita. Per la vita del passato che portano nel corpo, nelle loro facce, nei loro canti, ricordi Sono sullaereo per Zurigo, il volo meno caro per il Kurdistan era Swissair Viaggio cosi tante volte: la notte, su voli non diretti Con laiuto di Tavolo per la Pace, delle persone di Volterra che vengono alle cene, o allasta Tra poco sar a casa a Volterra Un altro mondo Ciao Annet Henneman

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