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uo a Hoe ae oe ee a . Bo es : a oe ee ee a iG oe ‘ a ae . . ce a See oe | - - Os : 8 ne a -) _ PL: pee o on eg ala ae ; FO any 7 sig a ae a Ce ae L Vee by ho ie vay ees - oe ee _ a ee eas PO eat oe ae -——r—_EB ay oo a ad ele ae ISBN 88-15-09478-4 Copyright © 2003 by Societa editrice il Mulino, Bologna. Tutti i dititti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione pud essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo ~ elettronico, meccanico, reprogra- fico, digitale — se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.nulino.it/edizioni/fotocopie Indice 4. Conclusioni Introduzione, di Giuseppe Mantovani e Anna Spagnolli 9 I metodi qualitativi in psicologia. Strumenti per una ricerca situata, di Giuseppe Mantovani 15 1. Metodi e metodologie: regole e teorie sono interconnesse 15 2. Globalizzazione: la necessita di una ricerca culturalmente situata 19 3. Etnografia: le posizioni scientista, interpretativa, postmoderna 23 4, I «realismo critico» e Pidentificazione dei criteri di validita 27 5. Letnometodologia ¢ l’analisi conversazionale 32 6. Lanalisi del discorso e l’analisi delle narrazioni 37 7. La Grounded Theory e la Computer-Assisted Analysis 41 8. Conclusioni 43 Il. Contesti di vita quotidiana, interazione e discorso, di Cristina Zucchermaglio 47 1. I sistemi di attivita quotidiana 47 2, Etnografia delle pratiche quotidiane 51 3. Identificare i ESTRATTO 3.1. 1. Luc, [...]> >devo parla di me?< (non lo so) 2 niente: .(2.0) ero un ragazzo tranquillo, giocavo a pallone: 3. mi piaceva giocare a pallone, 4. (2.0) e: ploi: 5. Ter [che ruolo, 6. Luc mediano cioé ero un jolly cioé giocavo: dapertutto 1 non @ che c’ho un ruolo fisso. 8. G) 9. Ter mhmh, 10. Luc in po:rta=no? cioé a tutti i ruoli mi adatto bene 11. e poi: mi so’ perso in un bicchier d’acqua. 12. (0.5) 13. Ter °cioe? 14. luc niente ho cominciato. (.) a fumare. a farmi: (.) 15. le canne >tutte queste cose qua< e:: dalle canne poi: 16. ho cominciato a pia l’eroina. (0.5) 47. @ nemmeno sapevo che era eroina= 18. ame m’hanno fatto crede che era: coca bianca=chiste . cose qua. In questa storia, che compare nel terzo colloquio della stessa seduta®, troviamo la condensazione della parte che riguarda la prima giovinezza at- traverso il richiamo a un’attivita che rappresenta la normalita («giocavo a pallone») e il repentino passaggio alla condizione di tossicodipendenza de- scritto attraverso una formula idiomatica, una frase fata («mi so’ perso LloRGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO_ 77 in un bicchier d‘acqua») che allude ad una mancanza di consapevolez- za e di intenzionalita del comportamento a cui fa riferimento (perdersi é il contrario di un comportamento orientato). In seguito alla richiesta del tera- peuta (riga 13) di «spacchettare» la formula [Jefferson 1985], Luca descrive un iter tipico di escalation nel consumo di droga e chiama in causa soggetti esterni che lo hanno ingannato. La descrizione di un comportamento in for- ma «tipica» & un procedimento classico della negazione di responsabilita [Sacks 1992; Edwards 1994] e qui viene sottolineato anche dalla ripetizione diestensori («tutte queste cose qua») [Overstreet 1999] che classifica- no un fatto come appartenente ad una categoria piti ampia di fatti noti e lar- gamente prevedibili dall’interlocutore. Possiamo dunque definire il genere di questa storia rispetto alle tre cate- gorie citate sopra proposte da Bachtin: l’ambito tematico (chi si era da gio- vani e come si é cominciato con la droga), la composizione (la giustapposi- zione tra i due momenti visti come antitetici e scollegati) e lo stile (uso di immagini ed espressioni convenzionali, usate in modo allegorico per rappre- sentare con la qualita dell’ owvio e del banale alcuni eventi della propria vita). Per quanto riguarda le convenzioni di genere, possiamo risalire indie- tro fino alla tragedia greca per quanto riguarda la causalita narrativa, di tipo fatalistico e impersonale [Frye 1957]. Con uno zoom molto veloce possiamo poi arrivare sino alla cosiddetta «triste storia», un genere diffuso presso tutte le categorie sociali che si trovano ad assumere una identita de- gtadata (detenuti, residenti psichiatrici); nella triste storia, proprio come viene fatto da Luca, sono tipicamente occultate le responsabilita personali rispetto alla propria condizione mentre viene enfatizzato il ruolo della cat- tiva sorte o di malevoli personaggi esterni [Goffman 1961a, 176-177]. Re- stringendo ancora di pit la visuale, possiamo riconoscere infine il partico- lare adattamento contestuale, cioé il racconto all’interno della condizione di cura, identificabile nella descrizione della vita precedente alla fase tossi- codipendente in termini tali da rendere l’immagine di uno stato di sanita che attraverso la psicoterapia possa essere recuperato [Fasulo 1994]. In al- tre parole, una condizione originaria di normalita (qui addirittura abbia- mo la capacita di adattarsi a diversi ruoli) & vista come necessaria perché il lavoro terapeutico abbia speranza di successo e viene percid introdotta come punto di partenza della storia. 78 Carrow 3 Per Pidentificazione dell’atto linguistico che caratterizza questa partico- lare versione della triste storia e che ci permette di distinguerla da altre nar- razioni reperibili nel contesto, possiamo affidarci a diversi indici. Tema, composizione e stile ci hanno gia fornito elementi per ipotizzare una funzio- ne pragmatica (0 retorica, cioé relativa alla persuasione [cfr. Billig 1987]). Ci sembra cioé di poter leggere un orientamento alla giustificazione rispetto alla scelta tossicodipendente. Per verificare questa interpretazione abbiamo a disposizione in primo luogo la cornice pit ampia dell’evento linguistico, che pud fornirci una guida in merito al raggio di operazioni desiderabili 0 appropriate nel contesto dato; abbiamo inoltre, e questo é il fattore decisivo, Pinterpretazione che viene data dagli interlocutori all’intenzione comunica- tiva del parlante, e che possiamo rintracciare nei loro enunciati successivi. In questo caso, l’intento giustificativo viene esplicitato dal terapeuta, che subi- to dopo ultimo turno riportato nell’estratto 3.1 dice a Luca: 19. Ter quindi sei stato: frega:to. 20. Luc si fregato:(°un [po’ fre-) 21. Ter [cio€ hai iniziato per (per) una fregatura In questo modo, il terapeuta formula la sua interpretazione del racconto di Luca ¢ lo invita a sottoscriverla in modo esplicito. Come si capisce gia dal self-repair nel turno 20, dove Vinterpretazione del terapeuta viene prima ac- cettata e poi ripetuta in forma attenuata («un po’»), Luca non sottoscrivera la dichiarazione secondo la quale tutto @ iniziato per colpa di altri, ma torne- ra sul suo racconto per una seconda «stesura». Lesempio ci aiuta a distinguere fra un atto linguistico espresso in modo diretto ¢ un atto linguistico realizzato allinterno di un genere. Particolar- mente nel caso della narrazione, l’azione comunicativa é portata a termine in modo coordinato dalle varie parti del discorso, che possono precedere l’in- tenzione stessa del parlante o prescinderne completamente’, Inoltre, P’inter- pretazione del discorso non @ univoca e il filo tirato dall’interlocutore pud essere solo uno fra tanti. Qui appunto Luca sembra colto alla sprovvista e, qualunque sia stata la sua intenzione nel raccontare la propria storia, non & disposto a ticonoscerla nella versione condensata che il terapeuta gli ripre- senta. Come si pud dedurre da questo esempio, i generi nel parlato sono co- LIORGANIZZAZIONE DEL DIscoRSO_ 79 stituiti intersoggettivamente e questo ci rimanda al problema della parteci- pazione che affronteremo nel paragrafo 3. Proviamo ora perd ad applicare a un altro esempio il metodo dell’analisi del genere come atto linguistico. Tn un noto saggio, Goffman [1981] analiza le caratteristiche di quel particolare incontro sociale che é la «conferenza». Nella conclusione, trovia- mo le considerazioni che ci servono per riconoscerne l’atto linguistico costi- tutivo: Conferenziere e pubblico si riuniscono per affermare un’ unica pro- posizione. Quella che il parlare organizzato, il fare conferenze, pud riflet- tere, esprimere, delineare (se non venirvi alle prese) il mondo reale e, quindi, che esiste un mondo strutturato, reale e in qualche modo unitario da cogliere (& in questo, dopotutto, che le conferenze si distinguono da altre attivita che si svolgono sul podio e che sono pensate apertamente come intrattenimento) [ibidem, 259]. Questo & dunque il presupposto che determina il compito del conferen- ziere e le attese del suo pubblico, cio’ che chi parla sia impegnato nell’esporre conoscenze che sono relative a qualche aspetto di come vanno le cose nel mondo 1a fuori. Tale nucleo pragmatico ha delle conseguenze sul piano dell’ organizzazione sociale della conferenza come «incontro» e sullo stile del discorso. In primo luogo, il conferenziere deve fat si che nel suo discorso pos- sa emergere la propria autorita di esperto, cio di qualcuno che conosce le cose di cui parla meglio del suo uditorio. II pubblico, dal canto suo, deve svolgere il suo ruolo «in maniera tale da non tradire apertamente l’intesa che la cosa da cui si lascia prendere é il testo della conferenza» [ibidem, 224]. Owve- 10, l'accordo intersoggettivo sulla situazione fa si che le persone sedute in sala, sia che pensino ai fatti propri o che guardino il conferenziere pensando a come é vestito, agiscano un ruolo congruente alla loro presenza nel contesto, ufficialmente motivata dall’interesse al tema della conferenza. La definizione pragmatica dell’evento ¢ le identita in gioco dei presenti sono direttamente in relazione con la forma che assume il discorso che pro- viene dal palco: Lo stile & tipicamente serio ¢ leggermente impersonale, poiché l'in- tento principale é quello di produrre una comprensione tranquillamente 80 Carrroio3 meditata, piuttosto che un semplice divertimento, un impatto emotivo 0 un’azione immediata [ibident, 222]. In altre parole, il requisito di autorevolezza del parlante e lo scopo spe- cifico del genere che é P’allargamento della conoscenza dell’uditorio sono ribaditi nella forma particolare con cui vengono esposti i temi della confe- renza. Passiamo allora ad occuparci pit: approfonditamente della questione stilistica, 2. STILE, REGISTRO, CHIAVE 2.1, Stile Si parla di stile, come abbiamo fatto nel patagrafo precedente, quando si vuole indicare il particolare insieme di scelte che caratterizza un testo, la sua «fisionomia formale» [Marchese 1995, 307]. In ambito letterario, il concetto di stile pud essere applicato a molt livelli, sia al singolo autore che ad interi periodi o correnti (stile romantico) oppure a tipi di testi (ad esempio, testi ca- ratterizzati dallo stile indiretto libero). Anche per gli studiosi del parlato, lo stile «implica una scelta tra alternative in riferimento ad uno scopo 0 quadro comune, ed in tal modo puéd venir applicato a qualsiasi livello di analisi» [Hy- mes 1974a; trad. it. 1980, 50]. Llivelli possono corrispondere a quelli di u tera comunita, di una categoria sociale (ad esempio donne e uomini, burocrati ocontadini) o di un singolo parlante o di domini di attivita. Secondo Bachtin [1952] lo stile & dipendente dal genere, nel senso che le opzioni stilistiche si possono considerare tali solo all’interno di un quadro di riferimento legato all’attivita discorsiva. Tuttavia, ’interdipendenza tra genere e stile fa si che uso di uno stile sia in grado di invocare il genere cor- tispondente, con effetti di ibridazione che possono risultare di volta in volta autorevoli, comici ecc., come ad esempio nel caso in cui lo stile burocratico- formale, marcatore di un contesto istituzionale e di distanza interpersonale, appaia all’interno di una conversazione amichevole, venendo interpretato come parodia ¢ realizzando cosi, come atto linguistico, lo «scherzo». Anche il significato delle singole parole, che é sempre stratificato, deve al genere la LORGANIZZAZIONE DEL DISCORSO 81 propria «aura stilistica», cioé quella sfumatura del significato che @ inerente al dominio d’uso (ricordiamo che il genere per Bachtin equivale all’evento linguistico). Nella concezione dell’etnografia della comunicazione, lo stile viene diret- tamente associato all’aspetto sociale della comunicazione: «le funzioni che una lingua assolve, e che ne giustificano elementie relazioni, sono sociali, ovve- ro stilistiche, oltre che referenziali» [Hymes 1974a; trad. it. 1980, 130]. Piti precisamente, il fattore stilistico risponde ai criteri di accettabilita sociale, o appropriatezza, dell’enunciato stesso. L’adozione di un certo stile non é peré una scelta obbligata rispetto a un contesto dato ovvero a norme comunicative prestabilite rispetto a un criterio univoco di accettabilita. Chiarisce ancora Hymes: La corrispondenza tra mezzi e contesti non é in linea di principio biu- nivoca, [...] E al contrario precisamente la rilevanza oppositiva delle varie- ta all’interno della stessa situazione, la possibilita di alternanza e di sele- zione all’interno della medesima situazione, che definisce la rilevanza del- le regole di co-occorrenza che valgono fra esse ¢ che rende conto del loro significato sociale [ibidem, 130]. In altre parole, il parlante pud produrre certi effetti sociali grazie al fatto che le proprie scelte (non necessariamente intenzionali) si configurano come varianti all interno di un dominio pid ampio di possibilita, e che alcuni para- metri si presentano associati (co-occorrenza). Proprio in virtit del fatto che pitt scelte sono possibili nella stessa situazione, in quelle che sono state effet- tivamente adottate gli ascoltatori possono rinvenire a seconda dei casi le qualita del parlante, i suoi scopi comunicativi, la sua lettura della situazione, ed apprezzare, se c’é, l’innovazione legata all’uso di certe espressioni in un contesto che non é loro abituale [Giles e Powesland 1975]. Un aspetto centrale sia dello stile che della vita quotidiana, che infatti si ritrova in tutte le lingue, é quello della distanza sociale, che si articola nelle dimensioni di «informalita-formalita, intimita-rispetto, parita-autorita, pri- vato-pubblico» [Hymes 1974a] ¢ in dimensioni che in qualche modo si in- crociano con queste quali la «temperatura emotiva» [Caffi 2001] o la «spon- taneita-pianificazione» [Ochs 1979al. Le risorse stilistiche che permettono 82 Carrro10 3 di situare un enunciato rispetto alle dimensioni citate attingono al livello les- sicale, cio della scelta dei termini all’interno di repertori di genere, ad aspetti paralinguistici, quali intonazione e ritmo, a livello retorico, come Puso di figure del discorso, idiomi e modi di costruire l’argomentazione, al registro ¢ alla chiave (cfr. paragrafi seguenti), all’enunciazione, cio’ ai modi con cui il parlante e I’interlocutore sono rappresentati nel discorso, ¢ infine a risorse semiotiche extralinguistiche quali i modi di gestire il corpo (gesti, espressioni del viso, postura, movimenti, acconciature e abbigliamento) e all’allestimento degli ambienti [Mendoza-Denton 2001]. Per fare un esempio dello stile espresso tramite risorse corporee, Goffman [1967] osserva che, nell’ospedale psichiatrico da lui studiato, le tiunioni dello staff medico e paramedico erano improntate alla massima democraticita, tanto che spesso l’unico aspetto che permetteva di distin- guere i medici dai paramedici era la maggiore informalita dei primi riscon- trabile nel modo rilassato di stare seduti o nella relativa trasandatezza de- gli abiti (come il camice sbottonato). La maggiore autorita cioé si esprime- va localmente attraverso uno stile pid trascurato che i paramedici non si permettevano. Tuttavia, l’associazione tra gestione dell’autorita e stile in- formale é per Goffman non solo un fatto espressivo ma anche una compo- nente intrinseca al buon funzionamento delle istituzioni. Infatti, il tratta- mento amichevole e scherzoso dei subordinati pud essere un facilitatore relazionale che consente una collaborazione pit efficace ed inoltre espan- de l’area del Sé che viene rappresentata [cfr. il concetto di distanza dal ruo- Jo, Goffman 1961b]. Per quanto riguarda la dimensione vicinanza/lontananza emotiva, Caffi [2001] propone un modello di psicostilistica dell’interazione rivolto alla rilevazione del grado di «identificazione del patlante col proprio dire», come «concetto chiave che integra quello morale di responsabilita, quello cognitivo di impegno epistemico® e quello pragmatico di sinceriti». Analizzando interazioni medico-paziente, l’autrice nota che la dimensione generale della «cautela» tipica di questi scambi [messa in luce da Drew e Heritage 1992b] é realizzata attraverso una gamma molto vasta di disposi- tivi di mitigazione. Ad esempio, l’enunciato riportato sotto (cfr. estratto 3.2) attua la mitigazione tramite aspetti sintattici, con Y'abbandono della prima costruzione («quello perd»), l’enunciazione impersonale («biso- LIORGANIZZAZIONE DEL DIScoRSO 83. gnerebbe») e il condizionale dello stesso verbo, l’intonazione che presenta effetti di sospensione tramite il prolungamento delle vocali e il marcatore di indugio («ehm»), l’aggettivo con diminutivo («un pochino»), il marca- tore di eventualizzazione («magari»), e infine la richiesta di accordo finale («eh?») [Caffi 2001, 266]. > ESTRATTO3.2. Medico: quello perd bisognerebb ehm: intensificare un pochino- gli esami magari sull’intestino eh? Simili dispositivi sono in azione frequentemente quando il medico propone linee di intervento, che possono essere come in questo caso esami a cui sottoporsi, o terapie da intraprendere, o cambiamenti nelle abitudini del paziente. Limitandoci ad ampliare il solo aspetto dell’ enunciazione, qui il medico indebolisce un’azione che potrebbe essere vista come l’eser- cizio di un’autorita personale e Jo fa, da un lato, tramite la formulazione impersonale che riconduce la proposta a un’entita pid generale, quasi che Vintera classe medica fosse dietro di lui, e dall’altro, attraverso la richiesta di accordo al paziente che viene quindi reintegrato nell’équipe che prende Je decisioni. Passando ora alla dimensione spontaneo-pianificato illustrata da Ochs [1979a], si fa riferimento, come suggerisce il termine, al grado di prepara- zione del discorso prima che venga messo in atto, preparazione che si rivela in costruzioni pit articolate e con un livello pitt basso di indessicalita, cioé di dipendenza dal contesto [cfr. cap. 4] rispetto al parlato spontaneo o non pianificato”. Nelle situazioni concrete di interazione si danno diverse grada- zioni di questa dimensione anche nel corso dello stesso evento linguistico. Ad esempio, in una trasmissione radiofonica di stampo umoristico in cui ascoltatori e ascoltatrici sono invitati a raccontare in diretta un episodio del- la propria vita inerente al tema del giorno, la prima parte del discotso di chi telefona rivela regolarmente aspetti di pianificazione, in quanto egli/ella ha avuto il tempo di strutturare la forma del proprio racconto. La parte succes- siva che segue ai commenti e alle domande dei conduttori ha invece i tratti del discorso spontaneo: 84 CapiroL0 3 > ESTRATTO 3.3. 1. Cond allora Marco che colpo di scena 2. Asc colpo di scena nel paese in cui -h eh é difficile (.) 3. eh far valere i propri diritti, 4. =m‘hanno rubato la ma:cchina,= 5. Cond =eh 6. Asc ebbene si.= 7. Cond =si, 8. Asc & stato un momento difficili:ssimo, ere 9. Asc tutti i risparmi di una breve vita, 10. Cond" [mh 11. Cond? [si 12. Asc rubati e: (.) sfumati in un seco:ndo,= 13. Cond! =si. 14. Asc ma il colpo di scena @ che- 15. sempre in questo paese dei balocchi,= 16. Cond =si. 17. Asc . 18. Cond' no! 19. Asc [si 20. Cond? [questo & un colpo di scena Fin qui l’ascoltatore porta a termine il proprio racconto in modo coeso e consequenziale, scavalcando in qualche modo gli interventi dei conduttori. Laspetto di pianificazione si rivela appunto nella coesione (cfr. ad esempio Pinizio con «ma» della riga 14, che collega Penunciato a quelli precedenti), nella presenza di proposizioni subordinate («nel paese in cui» ecc.) ¢ nella disposizione ricercata delle parole («breve vita»). A seguire, i conduttori continuano a interagire con l’ascoltatore che ora deve parlare fuori copione. [fin qui si é ricostruito che la polizia ha arrestato i ladri] 27. Cond? [...] e loro ((i ladri, n.d.r.)) hanno de:tto:= 28. “scusa:te, @ stato un momento di-"- no. 29. Asc >*é stato un momento di defailla [nce.» no.<=poverin: 30. Cond? [°di defaillance® 31. Asc =fra 1‘altro hanno anche:: ho anche proc- ho un- ho:: LORGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO 85 32. come dire ho sviluppato una sorta di 33. come del rapito col rapitore, 34. Cona siz, 35. Asc per cui mi fanno anche un po’ pena=perché eh: 36. li hanno anche processati per direttissima= 37. =altro colpo di scena, [...] sind(h)rome:: he Nella seconda parte della conversazione, l’ascoltatore deve improwvisa- re il racconto delle conseguenze dell’episodio. Le tracce di questo processo di creazione momento per momento si notano all’inizio, quando l’ascoltato- re si riallaccia a una parte del turno del conduttore («& stato un momento di»), pista che viene abbandonata a favore di un altro tema, nei self-repairs (riga 31), nell’uso di qualificazioni del referente che introducono vaghezza («come dire, una sorta di»), tutti aspetti assenti nella prima parte, nella costruzione per incrementi successivi invece che ben ordinata come nella parte precedente. Limportanza dell’aspetto di pianificazione é legata alla diversa rilevanza attribuita a coloro che sono presenti nella situazione rispetto al contesto di origine dell’enunciato: tanto pid il discorso contiene marche di pianificazio- ne, tanto pid si restringono il ruolo e lo spazio di manovra dei presenti, men- tre viene ribadita l’autorita del parlante o della tradizione testuale a cui si tichiama [Bloch 1975; Duranti 1997; trad. it. 2000, 260-261]. Nell’esempio appena visto i conduttori, proseguendo lo scambio oltre la presentazione del brano pianificato, ristabiliscono il modo dell’improvvisazione e mettono alla prova le capacita dell’ascoltatore in questo senso, rispecchiando il man- dato della trasmissione relativo alla spontaneiti e all’invenzione continua di gage giochi di parole, Possiamo provare ad applicare la categoria analitica della pianificazione all’interazione scolastica. Secondo una tradizione molto radicata, il modo di esprimersi degli/le insegnanti e quello richiesto agli/le alunni/e tendono ver- s0 il discorso pianificato, il lessico ricercato e le formulazioni complesse. In questo modo, sono sottratti alla situazione di interazione tra i partecipanti i caratteri di spontaneita, immediatezza e coinvolgimento personale a favore di un richiamo all’autorita del testo scritto e a produttori di conoscenza esterni alla classe [Fasulo e Girardet 2002; cfr. anche la nozione di «codice elaborato» e «codice ristretto» di Bernstein 1971]. 86 CariroLo 3 Va tenuto presente che i diversi mezzi dell’espressione stilistica non compaiono isolatamente, ma si trovano associati in configurazioni di tratti attinenti ai diversi livelli (cfr. Ervin-Tripp 1972; Gumperz 1982; Ochs 1992]. Nella scuola, ad esempio, oltre alla tendenza alla pianificazione, tro- viamo il controllo sulla postura, sul tono di voce e sull’abbigliamento, una particolare intonazione a cantilena che assomiglia alla dettatura, l’'uso del cognome come appellativo (almeno a partire dalle scuole medie) e il riferi- mento a codici normativi quali voti, note, regolamenti. Insieme ai generi di attivita, queste pratiche contribuiscono a socializzare gli/le alunni/e ad una identita istituzionale che li/e travalica in quanto individui singoli, rendendo- li/e consapevoli della traducibilita dei loro comportamenti all’interno di quadri di riferimento pit ampi rispetto al contesto della classe. In conclusione, abbiamo visto come lo stile possa caratterizzare singoli individui o permeare interi contesti, come possa manifestarsi attraverso molteplici canali di comunicazione sia verbali che non verbali, e come esso intrecci complessi rapporti con esigenze funzionali del contesto, identita si- tuate e stato della relazione tra i partecipanti. 2.2. Registro I significato di registro si sovrappone in larga parte a quello di stile, Puso del primo essendo diffuso soprattutto tra gli autori britannici. Tuttavia, tispetto allo stile, il registro ha un’accezione pit ristretta, riferendosi ad aspetti pit: propriamente linguistici; inoltre, é legato a classi di attivita o ti- pologie sociali piti definite, quali ambiti professionali, classi sociali, reperto- ri tematici e tradizioni testuali. Non sarebbe dunque pertinente parlare di registro riferendosi allo stile individuale di una persona, o ai modi linguistici riconducibili a un’intera epoca. Tl registro é fortemente legato agli aspetti di appropriatezza, e il signifi- cato in ambito linguistico é una traslazione delle accezioni originarie del ter- mine che riguardano, da un lato, la compilazione di atti amministrativi o giu- ridici, e soprattutto «la messa a punto di un meccanismo» (ad esempio «re- gistrare i freni» dell’automobile [Cortelazzo e Zolli 1999]). Si tratta dunque LIORGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO 87 di una calibratura della «voce» che riflette la consapevolezza dei requisiti formali di un certo ato comunicativo. Il legame con gli ambiti di attivita mette strettamente in corrispondenza il registro con i processi di socializzazione: l’uso competente dei registri ri- vela chi é «esperto» di un determinato settore, o chi ha ricevuto un certo tipo di educazione. Ad esempio, in una descrizione del letterato Francesco Orlando [1996], troviamo i tratti dell’educazione aristocratica osservati nel modo di esprimersi del raffinato e colto principe Tomasi di Lampedusa, educazione che si rivelava «nel modo chiaro e concreto di conversare, nella lucidita semplificatrice, nell’arte di lusingare deliziosamente quando voleva o di pungere altrettanto espertamente, nell’attitudine a divertire gli/le inter- locutori, nella facilita a risolvere i piccoli imbarazzi che punteggiano ogni rapporto umano non confidenziale» [ibidem, 14]. Secondo Orlando queste qualita erano attribuite dallo stesso Tomasi «a una specialissima educazione; talmente speciale che poteva anche passare inavwvertita davanti ad occhi ordinari mentre doveva rivelarsi senza fallo a chi Lavesse ricevuta identica, quasi come all’adepto di una stessa setta segreta» [ibidem, 55]. La distribuzione dei registri nella societa non é dunque omogenea e se Puso di un registro é almeno in un certo grado leggibile anche da chi non lo condivide, diventa un codice comune molto efficace, capace di escludere gli altri, tra coloro che lo padroneggiano meglio. All'interno di una stessa interazione, l’uso ¢ la variazione dei registri posso- ho rappresentare mezzi per invocare aspetti particolari dell’attivita in corso. Ad esempio, durante una riunione di lavoro, si apre un conflitto tra il direttore di una societa e il suo cliente in merito all’inserimento di una funzione «demo» (di- mostrativa del funzionamento del programma) nel software che il primo stava realizzando per il secondo. Durante questo episodio abbiamo osservato [Fasulo e Zucchermaglio 20021 il passaggio ad un registro «contrattuale» come strategia per riportare la discussione su un piano normativo anziché personale: D> ESTRATTO 3.4. 1. Cli non é=non @ una: un giochettino [a mio parere. nae {No:, io ti sto dicendo: : 88 Cartrolo3 3. Cli se la demo serve a far capire meglio un concetto: 4. {io direi che vale. 5. Dir (sl: ma per- si. 6. ma un conto @ la demo ip un conto @ la finalizzazione del prodotto. 8. (.) 9. cosi come @ stato pensato, cosi come 1’abbiamo- defini:to, 10. cosi come l’abbiamo- pianifica:to in termini di sviluppo, 8 il >bottoncino demo<- n:on ci sta. 12. poi se vuoi- >a livello di pronto di consegna.< 13. poi se vuoi, alla fine lo decidia:mo e s- 14. >t'ho detto< io posso anche fa:rlo. Il cliente sottopone al direttore della societa una sua valutazione del- Putilita della demo come criterio per decidere sul suo inserimento (righe 3- 4), mentre il direttore della societa rifiuta questa impostazione argomentati- va richiamandosi a decisioni negoziate in precedenza. Inizialmente siamo in- dotti a porre attenzione a questo passaggio per via della ripetizione della cornice enunciativa «io ti sto dicendo»; questa espressione non rappre- sentava evidentemente una parte accessoria o trascurabile del contributo del direttore, perché veniva ripetuta anche quando il turno era stato gia conqui- stato'®, Considerando l’insieme del contributo, osserviamo che, richiaman- do Pattenzione dell’interlocutore sul proprio dire, il parlante introduce un certo grado di formalita in quanto esplicita il desiderio che quanto verra pronunciato sia considerato in tutte le sue parti, come si farebbe con una dichiarazione formale. E questo il senso della definizione di «registro con- trattuale» che abbiamo proposto per la parte contenuta nelle righe 8-11. La nostra ricostruzione si sostanzia con altri quattro aspetti. Il primo é il livello del contenuto, cioé il richiamo alle tre parti fondamentali dell’ evoluzione di un progetto quali la progettazione, la definizione e la pianificazione; il se- condo é il livello formale, cioé il parallelismo delle tre proposizioni («cosi come» ecc.), che é una modalita tipica dei contratti redatti secondo punti o clausole; il terzo é il livello paralinguistico, qui caratterizzato dal modo scan- dito e rallentato con cui questo passaggio viene pronunciato, quasi il parlan- te stesse leggendo un testo ad alta voce. Infine, abbiamo il confronto con la parte restante del turno, nella quale la conclusione perentoria della parte LIORGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO 89 contrattuale («il bottoncino demo non ci sta») contrasta con il tono possibilista rispetto a un’eventuale riapertura della questione su basi perso- nali («se vuoi, 1o decidiamo, posso anche farlo»). Questa parte viene anche pronunciata in modo pit rapido e con tono pit «casuale». Gli aspetti descritti sono indici che da soli, presi isolatamente, non avrebbero la forza di imporre un registro, ma che nella loro co-occorrenza richiamano con sufficiente evidenza la scrittura documentaria che in questo caso regola ufficialmente i rapporti fra i partecipanti [cfr. anche’Kleifgen 2001; Zupnik 1994]. Con queste operazioni di registro, il direttore ha cam- biato Ia logica della discussione ¢ inquadrato l’eventuale lavoro aggiuntivo come una concessione, un favore. Operazioni del genere hanno effetti che vanno oltre il singolo problema affrontato, ma scoloriscono sia sulla relazio- ne tra i partecipanti sia sulla definizione pitt generale dell’interazione. In questo caso, l’implicaziong é che le riunioni sullo stato di avanzamento del progetto non devono essere interpretate come luoghi per ritornare su fasi del progetto gia superate, modificando cosi gli accordi gia presi e la pianifi- cazione esistente. - 2.3. Chiave La chiave, termine mutuato dal lessico musicale, é l’aspetto del discorso legato all’interpretazione, o esecuzione, degli enunciati, come appunto nel caso di un’interpretazione pianistica di un pezzo classico. Nell’ambito del parlato, la chiave suggerisce agli ascoltatori i parametri interpretativi che essi devono adottare, se cioé devono considerare la comunicazione come se- tia, ironica, finzionale (come nel gioco del far finta o nella parodia), cerimo- niale ecc.1!, ed @ una caratteristica importante perché prevale sul livello del contenuto determinando il significato ultimo di un enunciato [Hymes 1974a]. I mezzi espressivi della chiave sono eminentemente paralinguistici, cio’ riguardano la mimica, il tono ¢ le trasformazioni della qualita della voce che possono richiamare lo stile di parlanti particolari (come nell’imita- zione); pitt raramente, la chiave viene esplicitata a livello verbale, con frasi introduttive come «facciamo che» o «tanto per dire» ecc. Spesso queste 90 CaritoLo 3 esplicitazioni si trovano dopo l’enunciato, con funzione riparativa, quando Tinterlocutore sembra non aver afferrato la chiave; il parlante pud allora chiarire dicendo ad esempio «non sto scherzando» o «era solo un esempion. Sebbene la chiave sia in qualche modo un’alterazione del livello base del significato, pud a tal punto caratterizzare certi scambi sociali da diventare non marcata, cioé far parte abitualmente dei criteri di produzione e inter- pretazione dei partecipanti [Goffman 1974]. La chiave ironica, ad esempio, sembra un tratto caratteristico della conversazione tra molti gruppi di giova- ni occidentali di sesso maschile, tanto che é possibile elencarla tra le cause della scarsa competenza nella comunicazione affettiva e intima regolarmen- te riscontrata negli studi sullo stile di genere [Tannen 1990]. 3. STRUTTURA DI PARTECIPAZIONE La partecipazione é una delle componenti dell’evento linguistico tra le pid studiate, percid cercheremo in quanto segue di riassumerne gli aspetti principali in relazione alle nozioni illustrate finora e ai principali strumenti di analisi con cui possiamo rinvenirne i tratti nei nostri dati. La moderna accezione di partecipazione deriva dalla ricerca sul campo, che ha messo in luce come l’organizzazione sociale, cio? il grado di coinvol- gimento e responsabilita dei presenti rispetto alla comunicazione, sia strut- turata momento per momento attraverso gli atti comunicativi stessi ¢ non, ad esempio, dalla mera presenza fisica delle persone in un contesto o da ruo- li sociali definibili a priori. Il problema della partecipazione é strettamente connesso alla questione delle identita situate, o identita discorsive. Eventi linguistici, generi, stili, re- gistri e chiavi invocano particolari strutture di partecipazione, cioé specifi- cano in che veste il parlante si sta presentando e quali status sono disponibili peri riceventi della comunicazione. In primo luogo, eventi linguistici e generi influenzano il sistema della presa di turno (cfr. cap. 4). Ad esempio, un evento linguistico come la messa cattolica prevede spazi prestabiliti, definiti dai suoi generi interni, nei quali é prevista una partecipazione dei fedeli in forma corale (come nella recitazio- ne di alcune preghiere), mentre la maggior parte della liturgia é officiata dal LORGANIZZAZIONE DEL DISCORSO 91 sacerdote; diversamente, in alcune celebrazioni di culto protestante la presa di turno é libera tra tutti i partecipanti e non segue una sequenza prefissata (Borker 1986]. Tra i generi, i saluti prevedono per quanto riguarda la presa di turno una reciprocita immediata, le narrazioni sospendono il principio dell’alternanza fino alla loro conclusione (cfr. cap. 5), mentre nelle interro- gazioni il turno é riconsegnato all’interrogante dopo ogni risposta dell’inter- rogato [Sinclair e Coulthard 1975]. Anche soltanto prendendo in considera- zione il passaggio di turno per grandi linee come abbiamo appena fatto, si possono intravedere alcune conseguenze rispetto alle caratteristiche della si- tuazione e alle identita dei partecipanti, inerenti la spartizione di quel bene fondamentale che é lo spazio pubblico dell’interazione [Orletti 2000]. Ma conviene affrontare la questione in modo pit ordinato. E merito di Levinson [1988] aver tipteso e sistematizzato da un punto di vista linguistico il ricco ma come sempre tumultuoso e talora disorganico contributo di Goffman [1981] al problema della partecipazione e aver sud- diviso il campo analitico in formato di produzione e formato di ricezione. Possiamo distinguere nell’area della produzione i tre ruoli fondamentali di mittente o mandante (in inglese principal), autore e animatore. L’anima- tore é colui che parla in un momento dato, l’autore colui che é responsabile della forma con cui un enunciato si manifesta e il mandante la persona o Pentita responsabile della posizione espressa dall’enunciato. Chiariamo con alcuni esempi. Quando qualcuno riporta fedelmente le dichiarazioni di una terza persona, cita i versi di una poesia, o enuncia un proverbio, sta svolgen- do soltanto la funzione di animatore mentre quelle del mandante e dell’auto- re coincideranno rispettivamente con la persona che ha rilasciato la dichia- razione, il poeta o la tradizione popolare da cui il proverbio é tratto. Se inve- ce una dichiarazione viene riformulata con parole proprie, un testo viene riassunto, una prescrizione terapeutica enunciata in forma impersonale come nel caso del medico dell’estratto 3.2, il mandante sara di nuovo chi ha tilasciato la dichiarazione, chi ha scritto il testo, o il sapere professionale da cui si fa discendere la prescrizione. Autore e animatore invece in questo caso coincideranno nella stessa persona del parlante, che & anche responsabile della forma data al contenuto di partenza. Questa stessa struttura di parteci- pazione si ha nell’enunciazione impersonale delle regole di buona educazio- ne che i genitori impartiscono a figli e figlie, che risponde alla logica di tra- 92 Capimo10 3 scendere la responsabilita individuale del genitore per richiamare un corpus normativo pit difficile da sfidare, oppure nel caso dell’operatore telefonico diun call center si richiama al regolamento interno dell’azienda quando dice «not non possiamo aiutarla». Le tre posizioni infine coincidono nella stessa persona tutte le volte in cui il parlante si assume per intero la responsabilita di quanto dice e della forma con cui lo dice. Come capita in ogni classificazione del comportamen- to, le forme e le varieta intermedie sono numerose e sicuramente in gran par- te ancora da scoprire [per una rassegna cfr. Hill e Irvine 1992]. La situazione di distanziamento dalle proprie parole non é rara né ecce- zionale: nel contesto terapeutico di cui ho riferito, pur considerando soltan- to le forme di discorso riportato diretto, ho riscontrato che queste affiorava- no quasi in ogni turno. Tra gli altri tipi, ho trovato brani di dialogo riportati all interno di narrazioni, esempi del proprio stesso pensiero da cui il parlan- te si distanziava, parodie degli altri, e anche dialoghi immaginari collocati nel futuro e animazione di entita psichiche come «il bambino che é dentro di noi» [Fasulo 1997]. Nell’esempio che segue, troviamo ancora Luca che stavolta racconta dei suoi progressi: > ESTRATTO 3.5. Ter eh. e poi’ ch’é cambiato=che:- Luc @ cambiato che: me so’ fatto un resoconto dico: (0.3) vedevo che: gli altri che layoravano no? dico “io mica posso sta: cosi senza fa’ niente. loro non possono lavorare e io no perché: l’aggia fa’.” e penso che ‘sto fatto cca pure t’aiuta a crescere=t’aiuta: t’aiutera penso. (1.0) Aan RENE Attraverso la forma del discorso riportato diretto, Luca anima il proprio sé passato, rappresentato nell’atto di rivolgere a se stesso l’esortazione a dar- sida fare al pari degli altri residenti della comunita. In questo caso, mandan- te e autore corrispondono formalmente al protagonista di quell’episodio. II fatto che il protagonista ¢ il parlante attuale siano la stessa persona anagrafi- ca non annulla la distinzione tra i ruoli di partecipazione, perché anzi tale espediente enunciativo scava una distanza tra i due Luca dei due momenti LIORGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO_ 93 temporali situando il secondo, quello di oggi, in una fase piti avanzata del suo percorso terapeutico. Troviamo nello stesso turno anche un’altra moda- lita di enunciazione, quella del «tu impersonale» («t‘aiuta a crescere»), con la quale Luca generalizza il significato di quella comunicazione interiore presentandola come sostegno di un processo di maturazione. Nell’analisi del formato di partecipazione possiamo allora vedere affac- ciarsi identita attuali e potenziali, e riconoscere come il discorso individuale si snoda attraverso il posizionamento — per adesione o per opposizione — nei confronti di molti altri discorsi di parlanti vicini e lontani. Oltre alla dimensione della responsabilita, la partecipazione sul versan- te della produzione pud essere modulata anche rispetto all’indicazione del- Videntita particolare che il parlante vuole riconosciuta all’interno della gam- ma di identita virtualmente presenti nello stesso momento. Nell’estratto 3.4 che abbiamo analizzato qualche pagina indietro, l’uso del registro contrat- tuale selezionava l’identita del parlante nella sua veste ufficiale di direttore della societa che aveva firmato un contratto, separandola dalle altre poten- ziali (e infatti attivate in altre fasi dello stesso incontro) quali quelle di affe- zionato conoscente, consulente, appassionato di informatica ecc. Sintetizzando, per riconoscere il formato di produzione possiamo osser- vare in primo luogo i dispositivi di enunciazione, cioé di inscrizione del par- lante nel testo, attraverso l’uso dei pronomio di forme impersonali, il richia- mo implicito o esplicito a fonti esterne di discorso, e gli aspetti stilistici che gia conosciamo e attraverso i quali si modula i grado di coinvolgimento nel- la situazione. Per quanto riguarda invece il formato di ticezione, la prima distinzione suddivide i riceventi in ratificati e non ratificati. Goffman, che era partico- larmente interessato ai comportamenti nei luoghi pubblici, dedica molte pa- gine delle sue opere alla descrizione di come le persone ripartiscono lo spa- zio di interazione alla presenza di estranei. Un partecipante ratificato per Yappunto qualcuno legittimamente coinvolto in un’interazione focalizzata, come una conversazione o uno scambio tra cameriere e avventore, mentre uno non ratificato é chi, pur se in grado di ascoltare, non é incluso nella sfera dell’interazione. L'aspetto di interesse riguarda le strategie che i riceventi non ratificati mettono in atto per rendere manifesta la propria assenza di coinvolgimento, come ad esempio evitare di guardare verso chi parla, non 94 CaPiolo 3 reagire a cid che sentono dire (ad esempio, non ridere a una battuta), mo- strarsi impegnati a fare qualche altra cosa ecc. I confini delle situazioni co- municative quindi non sono fisici, come la divisione dello spazio materiale o la lontananza delle persone, ma sono realizzati tramite azioni convenzionali che, di fatto, comunicano uno stato di non-comunicazione. Naturalmente i riceventi non ratificati hanno i loro diritti, e possono infrangere i confini, ad esempio girandosi a guardare un parlante che usa un tono di voce molto alto, magari come strategia per segnalare l’infrazione delle buone maniere o semplicemente che il proprio ruolo di non-ascoltatore si sta facendo difficile da sostenere. Per quanto riguarda i riceventi ratificati, possiamo ulteriormente suddi- viderli tra destinatari e pubblico (audience). I primi sono il bersaglio prima- tio della comunicazione, mentre il pubblico corrisponde a tutti coloro che fanno parte a pieno titolo dell’interazione in corso ma ai quali la comunica- zione non é espressamente diretta. La distinzione é analiticamente rilevante perché i riceventi nei diversi ruo- li assumono atteggiamenti diversi rispetto a cid che viene detto. Nell’analisi di interviste giornalistiche per la radio o la Tv, Heritage [1985] ha notato che i giornalisti non rispondono alle affermazioni dell’intervistatore con le modalita tipiche di chi ha ricevuto un’informazione nuova (ad esempio con il segnale di ricezione ah, oppure con un proprio commento), perché il bersaglio primario della comunicazione sono gli/le ascoltatori/rici, ai quali infatti spesso i giorna- listi facilitano il compito ripetendo o riformulando quanto detto dal personag- gio di turno. Levinson si riferisce a ruoli come quello dei giornalisti col termi- ne di «intermediari», valido per tutte quelle figure (il moderatore di un dibat- tito, la spalla di un comico, l’avvocato della ex moglie durante un’udienza) che ricevono atti comunicativi diretti a una terza parte. Le ultime considerazioni sembrerebbero riportare la questione della partecipazione alle caratteristiche generali dei ruoli, e questo é corretto nella misura in cui i ruoli sono pensabili come configurazioni di azioni tipiche. Tuttavia, é un problema del nostro linguaggio quello di esprimere i ruoli con sostantivi che identificano persone piuttosto che azioni, fatto che confonde i livelli e oscura la complessita interattiva di ogni scambio verbale. Nella real- ta delle interazioni concrete, infatti, il versante della produzione e quello della ricezione agiscono simultaneamente e determinano momento per mo- LIORGANIZZAZIONE DEL DISCoRSO. 95 mento lo sviluppo della struttura di partecipazione [Duranti e Brenneis 1986]. Dal punto di vista fenomenologico, cioé della percezione soggettiva, Lorizzonte di chi parla é costituito dal comportamento dei destinatari che viene scrupolosamente monitorato. E merito degli analisti della conversa- zione e della loro attenzione alle componenti pitt minimali dello scambio aver rivelato la ricchezza dell’azione dei destinatari e l'influenza che questa ha nello sviluppo del discorso dell’altro. Per citare solo alcune osservazioni: anche quando il genere di discorso assegna al parlante il turno per un perio- do consistente di tempo, come nel caso prima citato delle narrazioni (ma vale anche per una lezione, o una spiegazione tecnica), i riceventi fornisco- no, alle giunzioni del discorso, brevi contributi che rappresentano una sorta di reiterato «via libera» alla continuazione del discorso; se invece il viso del ricevente esprime perplessita, il parlante é indotto a riformulare quanto ap- pena detto o a correggere il tiro di un’affermazione azzardata; espressioni di accordo del ricevente si possono sovrapporre al turno del parlante senza mi- nacciarne il possesso, ma realizzando un effetto di sostegno [Goodwin e Goodwin 1992]. Ancora, comportamenti del ricevente che dimostrano un abbassamento di attenzione (come il guardare altrove o assentire meccani- camente) o che manifestano l’intenzione di parlare (come un cambiamento di postura in avanti o uno sguardo pii fisso sul parlante) possono agire sul turno in corso inducendo, nel primo caso, brevi interruzioni che fanno si che l’ascoltatore torni sul parlante [Goodwin 1981], e nel secondo, l’abbre- viazione del turno e laccelerazione del ritmo in modo da poter giungere a conclusione pitt rapidamente. Dunque, se i generi del discorso rendono prevedibile un certo assetto sequenziale, l’osservazione dettagliata dell’interazione mostra che l’assetto non sempre viene mantenuto, e che anche quando lo é, cid viene realizzato tramite un processo continuo di messa alla prova e conferma della tenuta dell’assetto stesso. In effetti, talvolta la collaborazione tra parlante e ricevente si estende al punto che non é pitt possibile distinguere questi due ruoli, e si creano unita di partecipazione pitt ampie, come nel caso in cui il parlante esiti prima di pronunciare una parola e sia i ricevente a completare la frase [Goodwin 1987], oppure quando il parlante suggerisce al destinatario cosa dire in an’occasione futura [Fasulo 1997; Fasulo e Pontecorvo 1999]. Nel primo 96 CaritoLo 3 caso, c’é sicuramente un cambio di animatore nel corso dell’enunciato, men- tre le funzioni dell’autore e del mandante sono distribuite su entrambi; nel secondo caso, abbiamo un singolare atto comunicativo fondato sull’assun- zione della possibilita di assumere il punto di vista altrui [Mead 1934]. 4, CONCLUSIONI Nel corso di questo capitolo sono stati presentati alcuni mezzi linguistici € comunicativi per la coordinazione della condotta e la specificazione del contesto di riferimento. Vorrei ricordare qui un assunto generale che é an- che un’indicazione di metodo. La medesima ricchezza dei mezzi espressivi che favorisce un’analisi corretta perché permette di verificare un’ipotesi su diversi livelli & anche fonte di ambiguita in quanto offre molteplici piste in- terpretative molte delle quali dovranno essere tralasciate dagli analisti, e non é detto che quelle intraprese siano le stesse su cui si sono avventurati i parte- cipanti. L'analisi della conversazione é una buona lente che permette di an- corare a livello microstrutturale le partizioni pitt macroscopiche che traccia- mo sulla superficie del discorso, ma fanno la loro parte nella generazione di ipotesi anche assonanze e analogie colte dalle nostre orecchie esperte nel brusio della lingua. Lanalisi del discorso secondo generi e stili, in particolare, dovrebbe al- lora idealmente tenere conto dei livelli dell’evento linguistico e dei suoi componenti verificandoli a ogni enunciato, e raccogliere conferme interpre- tative intratestuali — all’interno della sequenza considerata, includendo an- che le reazioni dei partecipanti — ¢ intertestuali, cio nel confronto/opposi- zione con altre forme linguistiche o altri esempi della stessa forma nella co- munita di discorso considerata. LIORGANIZZAZIONE DEL DIScoRSO 97 Lge ee A Nell’ambito degli studi etnolinguistici sul genere (genre), si segnalano tra i pid interessanti i lavori di Bauman [1986; 1992]. In prospettiva psicolinguistica, Feldman [1991] esplora il genere come modello di pensiero. Per capire i proble- mi dell’intertestualita e approfondire le tematiche bachtiniane il riferimento ob- bligato @ Lotman [1985]. Per chi abbia interessi riflessivi, in Clifford e Marcus [1986] diversi saggi a cura degli autori di punta dell’antropologia rivelano l'in- fluenza del genere nel lavoro etnografico. Una raccolta di contributi classici sullo stile da un punto di vista linguistico si trova in Sebeok [1960]. Per una buona col- lezione di contributi sociolinguistic si pud consultare Slobin, Gethardt, Kyratzis e Guo [1996], mentre Giles e Powesland [1975] offrono una panoramica delle prospettive psicologico-sociali sullo stesso problema. La descrizione piti esau- riente sulla chiave si trova in Goffman [1974]. Goffman [1974; 1981] tratta la struttura di partecipazione; Goodwin [1990a] approfondisce il problema con grande rigore metodologico e finezza di analisi. Duranti e Brenneis [1986] raccol- gono una serie di contributi sul ruolo di partecipazione dalla parte del ricevente, mentre Orletti [2000] descrive organizzazione del parlato in casi di asimmetria di competenze e di stat VR 1 Tl testo originario in cui si stabiliscono le convenzioni di genere é la Poetica di Aristotele, che distingue fra epica, lirica e dramma. 2 Paul ten Have [1989] adotta una terminologia ancora diversa, definendo «generi»

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