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Michelangelo Buonarroti
Michelangelo Buonarroti
Michelangelo Buonarroti nacque il 6 marzo 1475 a Caprese, città dell’aretino, vicino Arezzo.
A Firenze, nonostante l’opposizione del padre, andò a bottega da Domenico Ghirlandaio.
Si formò copiando gli affreschi di Giotto e Masaccio. Si applicò nello studio della scultura
degli Antichi, frequentando la collezione medicea.
Nel 1496 si trasferì a Roma per far ritorno nella città toscana nel 1501. Nel 1505 papa Giulio
II lo invitò di nuovo a Roma. Morì il 18 febbraio 1564, all’età di ottantanove anni.
Michelangelo riteneva che scopo dell’arte fosse l’imitazione della natura. Inizialmente il
modello di bellezza era il perfetto corpo umano, che era per il Buonarroti quanto di più bello
ci sia nel creato.
Successivamente, divenuto profondamente religioso, sotto la spinta dei gruppi riformisti,
Michelangelo cominciò a ritenere del tutto secondaria la bellezza fisica rispetto a quella
spirituale. La prima non era altro che un mezzo per rendere evidente proprio la bellezza
interiore e condurre alla contemplazione di quella divina.
Il pittore e lo scultore doveva essere particolarmente pio: quanto più lo era, tanto più riusciva
a infondere credibilità e fede alle proprie figure.
Coinvolto nel clima controriformistico, teme che la propria arte possa averlo condotto
addirittura verso la dannazione dell’anima, meritandogli il castigo eterno.
David
1501- l’Opera del Duomo incarica l’artista di scolpire per la Cattedrale di Santa Maria del
Fiore una statua di Dàvid, mettendogli a disposizione un enorme blocco di marmo che
giaceva inutilizzato, che era stato in parte abbozzato da Agostino di Duccio.
Il giovane pastore, è colto nel momento che precede l’azione: la fronte è leggermente
aggrottata, in un atteggiamento che indica concentrazione e valutazione delle proprie forze
rispetto all’avversario. I suoi muscoli sono in tensione e le mani nervose e scattanti, pronte a
far roteare la fionda per dar luogo all’azione. Il rapporto di chiasmo è di evidente derivazione
classica. La superficie della scultura è perfettamente levigata.
Le qualità morali che questo nudo incarnava, rappresentava pienamente i princìpi di libertà e
d'indipendenza che i Fiorentini vedevano nelle proprie istituzioni repubblicane (che avevano
sostituito quelle della repubblica cupa, tormentata di Gerolamo Savonarola).
Successivamente fu deciso che la statua fosse collocata non più in Duomo, ma dinanzi a
Palazzo Vecchio.
Tomba di Giulio II
1505- A Roma, commissione ricevuta da papa Giulio II. Progettare per lui un monumento
funebre da collocare nella Basilica di San Pietro. Ne seguirono vari rinvii.
Solo dopo la morte del pontefice, 1544, si diede vita al progetto con una soluzione
ridimensionata, in confronto all'ambizioso progetto iniziale.
Prima versione- da un monumento a quattro facce, si passò a uno che ne prevedeva tre e,
infine, a un monumento a parete. Nella prima versione del progetto, vi è il fronte di una
struttura che si articola anche lateralmente.
Divisa in tre registri, di cui il più basso scandito da colonne, statue e rilievi.
L’attenzione dell'artista è concentrata sulla figura centrale del pontefice, posta tra un profeta
e una sibilla. La sovrasta la Vergine con in braccio il Bambino collocata entro una grande
nicchia.
Seconda versione- risalgono il Mosè, lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente.
Nel Mosè vi è il moto rotatorio della veste che circonda la gamba destra, mentre la barba
fluente e morbida accentua la saggezza e la vecchiezza del patriarca dallo sguardo intenso.
Nelle statue dei due schiavi, si incarna il tema dell’anima prigioniera del corpo (la pietra
informe) e libertà (la pietra scolpita).
Giudizio Universale
Tra il 1536 e il 1541- realizzato sulla parete dietro l’altare della cappella Sistina.
Commissionatogli da papa Clemente VII de’ Medici.
Gli eventi ultimi della storia dell’umanità si mostrano all’osservatore contro uno sfondo
azzurro oltremarino.
Vi è il senso tragico del destino dell’uomo. I corpi sono tozzi e pesanti. I salvati volano verso
l’alto. Faticosamente conquistano il cielo aggrappandosi alle nuvole, quasi fossero solide
rocce. I dannati (a destra) vengono a loro volta trascinati in basso da creature diaboliche.
Invano alcuni tentano l’assalto al Cielo, ma gli angeli, con forza, li respingono e così
precipitano pesantemente verso l’inferno di fuoco. Altri vengono ammassati in quel luogo di
dolore da Carónte, che li percuote con un remo. Abbiamo la figura di Minosse, il demone che
Michelangelo pone di fronte alla caverna infuocata, con le orecchie d’asino e la coda in
forma di serpente che gli morde i genitali e che gli si avvinghia attorno al busto.
All’ascesa dei salvati, e alla discesa dei dannati, seguono il gesto imperioso delle braccia di
Cristo-giudice. Posto al centro della composizione, Gesù è attorniato da una moltitudine di
santi al di sopra dei quali sono dipinti due gruppi di angeli in volo che recano gli strumenti
della Passione: la croce, la colonna della flagellazione, la corona di spine. Con fatica gli
angeli àpteri (privi di ali) trasportano la croce del supplizio e la colonna, nel tentativo di
metterle in posizione verticale. Alla Passione rinvia simbolicamente anche il braccio sinistro
di Cristo piegato e tenuto all’altezza della ferita sul costato.
Non c’è gioia nei volti dei salvati, ma solo cupo terrore fra i dannati verso i quali si volge il
Giudice divino. È il giorno della sua ira tremenda, quello in cui tutti saranno giudicati, e il
movimento vorticoso e affaticato dei corpi si somma alle grida disperate, agli urli dei
demoni, l'assordante suono delle trombe degli angeli che, in asse con il Cristo, ne
annunciano la
venuta, com’è scritto nell’ Apocalisse.
L’affresco è il riflesso del tormento dell’anima di Michelangelo, che non ha la certezza di
essere salvato.