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Umberto Eco LE POETICHE Di JOYCE IL PRIMO JOYCE Steeled in the school of the old Aquinas. J. Jover, The Holy Office Molti artisti hanno scritto note di poetica, descrizio- ni del loro lavoro operativo, interi saggi di estetica. Nessuno come Joyce ha fatto parlare tanto i propri per- sonaggi di poetica e di estetica. Legioni di commenta- tori hanno discusso le idee di filosofia dell’arte espresse da Stephen Dedalus in riferimento alle proposizioni tomiste sulla bellezza, e molti altri hanno tratto da queste idee personali sistemazioni e visioni generali del fatto artistico. Al di fuori delle affermazioni dei perso- naggi, poi, nell’opera di Joyce, specialmente in un ro- manzo come lo Ulysses, i problemi di struttura emer- gono cosi violentemente dal contesto da rappresentare un modello di poetica implicita che si afferma nelle nervature stesse dell’opera. Il Finnegans Wake, infine, é anzitutto un intero trattato di poetica, una continua definizione dell’universo, ¢ dell’opera in quanto Ersatz dell’universo. Cosi il lettore ¢ il commentatore sono tentati continuamente di enucleare la poetica enuncia- ta o sottintesa da Joyce per chiarire la sua opera e per definire in termini joyciani le soluzioni artistiche che Joyce pone in opera. A metterci in guardia contro un procedimento del genere basterebbe un fatto evidentissimo: possiamo an- che esporre la poetica di Valéry, di Eliot, di Strawin- 5 sky, di Rilke o di Pound senza fare riferimento all’o- pera di questi autori ¢ tantomeno alla loro biografia: con Joyce invece, per comprendere lo sviluppo della stia poetica, occorre tifarsi continuamente al suo svilup- po spirituale o meglio allo sviluppo di quel personag- gio che torna costantemente nel corso dell’immenso affresco autobiografico delle varie opere, si chiami es- so Stephen Dedalus, Bloom o H. C. Earwicker. Ci ac- corgiamo cosi che la poetica di Joyce non vale come punto di riferimento al di fuori dell’opera per com- prendere |’opera, ma fa intimamente parte dell’opera € viene chiarita e spiegata dall’opera stessa nelle varie sue fasi di sviluppo, Occorrera dunque chiedersi se tutto lopus joycia- no non possa essere visto come lo syiluppo di una poe- tica, anzi, la storia dialettica di varie poetiche opposte e complementari: ¢ se qui dunque non si trovi dispie- gata la storia delle poctiche contemporanee in un gio- co di opposizioni ¢ implicanze continue. In tal senso la ricerca di una poetica joyciana ci porterebbe a riper- correre le vicende della cultura moderna in via di fog- giarsi una concezione operativa dell’arte, ¢ in essa una metodologia epistemologica ai fini della definizione del mondo. Seguiamo le fasi principali della biografia intellet- tuale di Joyce: sin dalla fanciullezza, prima nel colle- gio di Conglowes Wood, poi al Belvedere College, egli viene educato dai padri gesuiti secondo i modi di una ascesi loyoliana e di una cultura controriformistica; nel- T'adolescenza, parte sotto limpulso dei suoi maestri, parte in seguito a personali curiosita, avvicina, attra- verso il filtro di una scolastica post-tridentina, il pen- siero di San Tommaso, del quale si fa paradossalmente una bandiera di ribellione. Nel contempo, verso i sedi- ci anni, la scoperta di Ibsen gli ha rivelato nuovi oriz- 6 zonti ¢ una nuova problematica artistica ¢ morale; ¢ qualche tempo dopo, all’University College, la sua or- todossia — da tempo minata sul piano della sensibi- lit’ — riceve un fiero colpo dalla scoperta di Giordano Bruno. Contemporanea a questa scoperta filosofica & la scoperta letteraria di D’Annunzio (in particolare de I] Fuoco), mentre gia da qualche anno il vario fermen- to della nuova fioritura letteraria ¢ drammatica i landese, se pure lo lasciava diffidente, tuttavia lo attor- niava di suggestioni. Tra i diciotto ¢ i vent’anni Joyce legge i Podtes Maudits di Verlaine, ¢ poi Huysmans, Flaubert ¢, in particolare, quel The Sym bolist Movement in Literature di Arthur Symons, che proprio in quegli anni veniva a rivelare al mondo anglosassone le poeti- che fin de sitcle, Nel 1903 a Parigi, a ventun anni, la forma mentis scolastica si riconsolida attraverso la let- tura di Aristotele (De Anima, Metafisica ¢ Poetica); ma nello stesso periodo i vari incontri parigini con la cultura contemporanea stimolano la sua curiosita ¢ la lettura di Les lauriers sont coupés di Dujardin lo intro- duce a nuove tecniche narrative. Altri sono gli incontri intellettuali del giovane Joyce (Fogazzaro, Hauptmann, la teosofia...): ma in questi anni si concretano in lui tre grandi linee d’influenza che ritroveremo in tutta la sua opera ¢ nelle sue conce- zioni dell'arte. Da un lato l’influenza filosofica di San Tommaso, messa in crisi ma non distrutta completa- mente dalle letture di Bruno; dall’altro, con Ibsen, un. richiamo a pid stretti rapporti tra arte ¢ impegno mo- rale; e infine, frammentaria ma pervasiva, respirata nel- Paria oltre che assimilata nei libri, linfluenza delle poetiche simboliste, tutte le seduzioni del decadentismo, Videale estetico di una vita votata all'arte ¢ di un’arte sostitutiva della vita, lo stimolo infine a risolvere i gran- 7 di problemi dello spirito nel laboratorio del linguag- gio’. Queste tre influenze seguiranno tutta la formazione successiva di Joyce; la mole immensa di letture ¢ inte- ressi coltivata in seguito, il suo avvicinamento ai grandi problemi della cultura contemporanea, dalla psicolo- gia del profondo alla fisica relativistica, se pure lo apri- ranno alla scoperta di nuove dimensioni dell’universo (e in tal senso entreranno in modo evidente a determi- nare la sua poetica), incideranno tuttavia pi sulla sua memoria che sulla sua forma mentis. Bagaglio nozio- nale acquisito, questo insieme di nuovi dati verra fuso Per le notizie sulla formazione di J., cfr. Ricwarp Ext- Mann, James Joyce, Oxford Un. Press, 1959 (tr. it., Feltrinelli, Milano, 1964; in seguito si rimanderA sempre alle pagg. del- Vedizione inglese). Sulle influenze ibseniane, simboliste, natu- raliste, sulla rinascenza celtica, cfr. Harry Levi, James Joyce, New Direction Books, Norfolk, Connecticut, 1941. Sulla vi- sione del mondo e la sensibilita simbolista, particolarmente acuto é Epmunp Witson, Axel’s Castle, London, Charles Scrib- ner’s Sons, 1931. Sull’ambiente francese e irlandese, con par- ticolare riguardo ad analogie di poetica, Davin Hayman, Joyce et Mallarmé, Lettres Modernes, 1956. Per la lista dei libri sicu- ramenie letti da J. negli anni di formazione, cfr. EL-Mann. E curioso rileggere lesercitazione scritta da Joyce all’Univer- sity College nel 1898-99 (aveva dunque 16 anni) ed ora pub- blicata in Critical Writings (Londra, Faber & Faber, 1959) col titolo di “The Study of Languages”. Qui troviamo conte- mute in nuce alcune idee che regoleranno lo sviluppo della poetica joyciana: 1) il discorso deve mantenere equilibrio ¢ rigore formale anche quando esprime emozioni (tcoria del- Vimpersonalita, poetica dei romanzi giovanili); 2) il massimo esponente della veriti é il linguaggio (uso espressivo-conosci- tivo delle strutture formali, tecnica come vero contenuto del- Topera, poetica dello Ulysses); 3) la storia delle parole ci fa conoscere la storia degli uomini (poetica del Finnegans Wake, equivalente linguistico della vichiana storia ideale eterna). 8 ¢ risolto alla luce di quella ereditd culturale e morale tesaurizzata nella giovinezza. ’é da chiedersi se anche la scoperta di Vico, che purtuttavia gioca un ruolo fondamentale nella forma- zione della sua ultima opera, abbia mutato a fondo Pat- teggiamento mentale claborato negli anni giovanili. Joyce affronta Vico nella maturita ec di certo legge la Scienza Nuova dopo i quarant’anni. L’'interpretazione vichiana della storia fornisce l’ossatura per il Finnegans Wake, ma di fatto la lezione storicistica non interviene a mutare l’atteggiamento culturale di Joyce. La sua vi- sione dei cicli storici si inserirA piuttosto nel quadro di una sensibilit’ panica ¢ cabalistica, pit affine alle in- fluenze rinascimentali che a quelle dello storicismo mo- derno. Esperienza culturale da utilizzare, Vico non fu in effetti un episodio interiore, come Joyce stesso ebbe a confessare: “Lei crede nella Scienza Nuova?” — gli viene chiesto in una intervista ed egli risponde: “To non credo in alcuna scienza, ma la mia immagi- nazione cresce quando leggo Vico, mentre quando leg- go Freud o Jung cid non accade’,” Cosi lo storicismo non @ per Joyce una conversione, ma semplicemente una acquisizione culturale, tra le molte, che entra a w- tarsi ¢ a comporsi con le altre. Lungo le linee delle in- fluenze privilegiate si scatena quindi nella sua opera la battaglia di tutta una cultura che cerca di fondere i ? Vedi Exumann, pag. 575. La Scienza Nuova fu comunque avvicinata attraverso Michelet (Principes de philosophie de histoire traduits de la Scienza Nuova de J. B. Vico, come deduce, dalla lettura del Wake, James S. Aruerton, The Books at the Wake, New York, The Viking Press, 1960; a questo certosino repertorio dei libri citati o allusi nel Wake, avremo spesso occasione di rifarci). * Exumann, cit, pag. 814. suoi elementi pit disparati, risolvendo su questo terre- no alcuni secoli di contrasti. Litera opera di Joyce ci si offre cost come il ter- reno di scontro e di maturazione di una serie di visio- ni dell’arte che trovano quivi la loro espressione pit esemplare ¢ provocante. Impostata in tal senso la ricerca abbisogna di un fi- lo conduttore, di una intenzione ecuristica che elida le possibilita di dispersione proponendo una linea di in- dagine, eletta a titolo di ipotesi operativa. Questa linea la vorremmo identificare nella opposizione tra una con- cezione classica della forma ¢ l’esigenza di una formu- lazione pit duttile e “aperta” dell’opera e del mondo, in una dialettica dell’ordine ¢ dell’avventura, in un con- trasto tra il mondo delle summae medievali e quello della scienza e della filosofia contemporanee. AlPuso di questa chiave dialettica ci autorizza la stessa struttura mentale di Joyce: in un certo senso il distacco joyciano dalla familiare chiarezza della forma mentis scolastica, ¢ la sua scelta di una problematica pid moderna e inquieta, si basa proprio sulla rivelazio- ne bruniana di una terrestre dialettica dei contrari sull’accettazione della coincidentia oppositorum del Cu- sano. Arte ¢ vita, simbolismo e realismo, mondo clas- sico e mondo contemporaneo, vita estetica e vita quo- tidiana, Stephen Dedalus e Leopold Bloom, Shem e¢ Shaun, ordine ¢ possibilita sono i termini continui di una tensione che in questa scoperta teoretica ha le pro- prie radici. Nell’opera di Joyce si consuma in fondo la crisi tardomedievale della scolastica e prende forma la nascita di un nuovo cosmo. Ma questa dialettica non é scandita con purezza, non ha la perfezione di quelle ideali danze triadiche di cui favoleggiano filosofie pit ottimistiche. E come se, mentre la mente di Joyce porta a termine la sua curva 10 clegante di opposizioni ¢ mediazioni, nel suo inconscio si agiti come la memoria inespressa di un trauma an- cestrale: Joyce parte dalla Summa per arrivare al Fin- negans Wake, dal cosmo ordinato della scolastica per arrivare a formare nel linguaggio immagine di un universo in espansione, ma l’eredita medievale dalla quale ha preso le mosse non lo abbandona pit per tutto il corso della sua vicenda. Al di sotto del gioco di oppo- sizioni ¢ risoluzioni in cui si compone l’urto delle sue va- rie influenze culturali, si attua in profondita lopposizio- ne pit vasta e radicale tra 'uomo medievale, nostalgico di un mondo definito in cui poteva abitare trovando chiari segnali di direzione, ¢ 'uomo contemporanco che avverte l'esigenza di fondare un nuovo habitat, ma non ne trova ancora le regole statutarie, ben pitt ambigue c difficili, ed & bruciato continuamente dalla nostalgia di una infanzia perduta. Come vorremmo mostrare, In Joyce la scelta definitiva non si compie € la sua dialetti- ca, pitt che una mediazione, ci offre lo sviluppo di una polarita continua e di una tensione mai appagata, Que- sto pud essere dedotto da tanti aspetti della sua opera: noi lo dedurremo dal suo modus operandi. L’analisi della poetica, o meglio delle poetiche di James Joyce, tenterd cost di essere l’analisi di un momento di transi- zione della cultura contemporanea. Ii cattolicesimo di Joyce “Ti voglio dire tutto quello che fard e quello che non fard. Non servird cid in cui non credo pit, si chia- mi questo la casa, la patria o la chiesas tenterd di espri- mere me stesso in qualche modo di vita o di arte, quan- to pit: potrd liberamente ¢ integralmente, adoperando per difendermi le sole armi che mi concedo di usare: il il silenzio, l’esilio e 'astuzia.” Con la confessione di Ste- phen a Cranly’, il giovane Joyce pone il proprio pro- gramma d’esilio: i presupposti della tradizione irlande- se e dell’educazione gesuitica perdono il loro valore di regola creduta ¢ osservata; il cammino che terminera al- le ultime pagine del Work in Progress continua sotto il segno di un’assoluta disponibilita spirituale. Tuttavia, abbandonata la fede, l’ossessione religiosa non abbandona Joyce. Presenze della passata ortodossia riemergono continuamente in tutta la sua opera sotto forma di una mitologia personalissima e di accanimenti blasfematori che a loro modo rivelano permanenze af- fettive. La critica ha parlato molto del “cattolicesimo” di Joyce ¢ il termine é senz’altro valido per indicare Vat- teggiamento di chi, rifiutata una sostanza dogmatica ¢ sradicatosi da una data esperienza morale, ha tuttavia conservato come abito mentale Je forme esteriori di un edificio razionale e mantiene una reattivita istintiva non di rado inconscia, al fascino di regole, riti, figura. zioni liturgiche. Si tratta evidentemente di iid reatti- vita 4 rebours, per cui parlare di cattolicesimo a propo- sito di Joyce sarebbe un poco come parlare di amor filiale a proposito del rapporto Edipo-Giocasta; tutta- via quando Henry Miller insulta Joyce come discen- dente dell’erudito medievale che ha in sé “sangue di preti” e parla della sua “morale da anacoreta, con tutto il meccanismo onanistico che tal vita comporta”, coglie con paradossale perfidia una traccia avvertibile’; quan- do Valery Larbaud nota che il Portrait & pia vicino alla casistica gesuitica che al naturalismo francese, non * A Portrait of the Artist as a Young Man, tr. italiana di Cesare Pavese (Dedalus), Torino, Frassinelli, 1951, pag. 315. ae sempre questa edizione con la sigla D. « L'universo della morte in Me i iti bic i Milano, Mondadori, 1949. Sia hee 12 mLkuEe t #39» T_T dice nulla che il lettore comune non avesse gia avvertito, ché anzi nel Portrait c’t qualcosa di pit; é la narrazione scandita sui tempi liturgici, il gusto di una oratoria sa- cra e di una introspezione morale (si pensi al sermone sull’inferno e alla confessione) che non é soltanto istin- to mimetico di narratore, ma adesione totale a un cli- ma psicologico. La pagina, nell’imitare i modi di un at- teggiamento rifiutato, non riesce tuttavia ad essere un atto di accusa: la pervade come il sapore di una adesio- ne radicale, che si manifesta appunto nel solo modo che era a Joyce possibile, nell’assumere cioé una forma men- tis attraverso le cadenze di un dato linguaggio. Non a caso Thomas Merton si converte al cattolicesimo leggen- do il Portrait, percorrendo cosi un cammino opposto a quello di Stephen: ¢ non perché le vie del Signore sia- no infinite, ma perché le vie della sensibilita joyciana sono strane e contraddittorie, ¢ il filone cattolico vi so- pravvive in quel suo modo vago ¢ abnorme. Buck Mulligan apre lo Ulysses col suo “TIntroibo ad altare Dei” ¢ la terribile Messa Nera si pone al centro dell'opera; V’estasi erotica di Bloom ¢ la sua lubrica € platonica seduzione di Gerty McDowell sono contrap- puntate dai momenti della cerimonia eucaristica cele- brata nella chiesa vicina alla spiaggia dal Reverendo Hu- gues; il latino maccheronico che chiude lo Stephen He- ro, che ritorna nel Portrait ¢ appare qua € 1a nello Ulys- ses, non riflette solo sul piano linguistico le intemperan- ze dei vagantes medievali; come a costoro, che abban- donavano una disciplina ma non un bagaglio culturale ¢ un modo di pensare, rimane a Joyce il senso della bestemmia celebrata secondo un rituale liturgico’. “Co- ® “Della sua educazione gesuitica ¢ rimasto a Joyce un certo gusto per l'ironia fredda ¢ sactilega, veramente diabo- lico,” osserva Auserro Rosst nella prefazione a Dedalus; ¢ 13 me up you, fearful jesuit!” urla Mulligan a Stephen, e pid avanti chiarisce: “Because you have the cursed je- suit strain in you, only it’s injected the wrong way’...” E Cranly osserva nel Portrait a Stephen come curiosa- mente la sua mente sia soprassatura della religione a cui dice di non credere. E lo é a tal punto che il riferi- mento alla liturgia della Messa si introduce nei modi pit inopinati al centro dei calembours di cui é intessu- to il Finnegans Wake: “Enterellbo add all taller Danis; Per omnibus secular seeka- lJarum; Meac Coolp; Meas minimas culpads!; Crystal elation! Kyrielle elation!; I belive in Dublin and the Sultan of Tur- key; Trink off this scup and be bladdy orafferteed!; Sussum- cordials; Grassy ass ago; Eat a missal lest; Bennydick hotfoots onimpudent stayers,..” In questi come in altri casi si pud individuare sia il Puro gusto dell’assonanza sia l'aperta intenzione parodi- stica; ma é sempre ¢ semplicemente il riecheggiare di memorie che riemergono dal subcosciente, E se per que- sti ¢ altri richiami il processo alle intenzioni diventa dif- ficile, pitt chiare ed esplicite appaiono le due sovrastrut- in una lettera del 7-8-1924 (cfr. Exiatann, cit., pag. 589) il fra- tello Stanislaus gli scriveva a Proposito dell’episodio di Circe nello Ulysses: “Esso ha senz’altro un carattere cattolico, Que- sto preoccuparsi del livello pit basso dei fatti naturali, questa rievocazione ed esagerazione di dettaglio per dettaglio ¢ la depressione spirituale che accompagna tutto questo, sono pro- Prio nello spirito del confessionale, Il tuo temperamento, come la moralitd cattolica, 2 prevalentemente sessuale. I] battesimo ti ha lasciato una forte inclinazione a pensar male” (cfr. anche Srantstaus Yoycr, My Brother's Keeper, London, Faber & Fa- ber, 1958). Ulysses, New York, The Modern Library, 1934, pagg. Se 10, 14 ture simboliche imposte sia allo Ulysses che al Finne- gans Wake: cosi che nel primo il triangolo Stephen- Bloom-Molly diventa figura della Trinita (€ solo se in- teso in tal senso acquista un significato nel tessuto del- Vopera), ¢ nel secondo H. C. Earwicker, il protagoni- Sta, acquista valore simbolico di capro espiatorio, che riassume in sé l'intera umanita (Here Comes Everybody) coinvolta in una caduta ¢ salvata attraverso una risurre- zione. Spogliata di ogni precisa natura teologica, com- promessa con tutti i miti e tutte le religioni, la figura simbolica di H.C. E., in cui si confondono Storia e Uma- nitd, si sostiene tuttavia in virtG del suo ambiguo rife- rirsi a un Cristo deformato e identificato al flusso stesso degli eventi’. Nel vivo di questo stesso evolversi ciclico della storia umana, l’autore si sente vittima e logos, in honour bound to the cross of your own cruelfiction. Ma le manifestazioni del cattolicesimo joyciano non si sviluppano solo secondo questo filone. Se da un lato appare questa ostentazione quasi inconscia, ¢ comunque mal tournée, ossessiva, dall’altro si rivela una sorta di at- titudine mentale valutabile sul piano dell’efficacia ope- rativa. Da un Jato una ossessione mitica, dall’altro un modo di organizzare le idee. La il deposito dei simboli e figure filtrato e portato a giocare quasi nell'ambito di un’altra fede, qui un abito mentale posto al servizio di summule eterodosse. E questo il secondo momento del cattolicesimo joyciano, ed é il momento scolastico-me- dievale. ig, TARAS Joyce attribuisce a Stephen “una genuina disposizio- ne verso ogni cosa della scolastica, tranne che non fos- * Cfr. Henry Morton Rozinson, Hardest Crux Ever, in A J. ]. Miscellany (M. Magalaner ed.), Second Series, Southern Illinois Press, Carbondale, 1959, pagg. 195-207. 15 se una premessa”’; ¢ secondo Harry Levin “una tenden- za all’astrazione ci ricorda continuamente che Joyce giunse allestetica attraverso la teologia. Egli cercherd per la sua arte, se non lo ha fatto per la sua fede, la sanzione di San Tommaso d’Aquino. In uno dei fram- menti inediti del Portrait egli confessa che la sua fede & scolastica in tutto salvo le premesse. Egli perdette la sua fede ma rimase fedele al sistema ortodosso. Ed anche nelle opere della maturita egli ci da spesso Timpressio- ne di essere rimasto un realista nel senso pit medievale della parola””. Questa struttura mentale non é soltanto del primo Joyce, pid vicino all’influsso gesuitico, perché lo stile di ragionamento continuamente vigilato da una disciplina sillogistica sopravvive anche nello Ulysses, se non altro come distintivo dello Stephen che parla in pubblico o si esprime tra s¢ ¢ sé; si pensi al monologo del terzo capi- tolo o alla discussione nella libreria. Nel Portrait, infi- ne, se é scherzando che parla in latino maccheronico, é con la massima serietd che Stephen si pone quesiti di tale fatta: ¢ valido il battesimo per mezzo dell’acqua minerale? rubando una sterlina ¢ ricavandone una for- tuna, si é poi obbligati a restituire la sterlina o l’intera fortuna? E con maggior acutezza problematica: se un uome tagliuzza in un eccesso di furia un ceppo di legno € vi scolpisce immagine di una mucca, questa immagi- ne € un’opera d'arte? ¢ se non lo &, perché? Queste do- mande sono della stessa famiglia di quelle che i dottori scolastici si ponevano disputando le quacstiones quodli- betales (una delle quali, dovuta a San Tommaso, si do- ° F . Stephen Hero, trad. italiana (Stefano Eroe) di Carlo Linati, Milano, Mondadori, pag. 95. Citeremo sempre questa traduzione con la sigla SE. ” Cfr. Harry Levin, cit., pag. 25. 16 manda se determini pit fortemente la volonta umana il vino, la donna o l’amor di Dio); ¢ di pit scoperta ori- gine scolastica, non tanto apparentata alla casuistica con- troriformistica come potrebbero apparire le precedenti, ma rigorosamente, direi filologicamente medievale, ¢ la questione che si pone infine Stephen domandandosi se il ritratto di Monna Lisa é buono per il fatto che desi- dero vederlo. C’é dunque da chiedersi quanto lo scolasticismo del primo Joyce sia sostanziale e quanto non sia che appa- rente (meno, dunque, che formale), semplicemente do- yuto al gusto malizioso della contaminazione, o ancora al tentativo di contrabbandare idee rivoluzionarie sotto la cappa del Dottore Angelico (tecnica che Stephen se- gue abbondantemente coi professori del collegio). Quel- la di pensare in forma scolastica sara dunque una sem- plice ciyetteria ¢ le definizioni di San Tommaso saran- no per lui solo dei trampolini di lancio? Alcuni inter- preti inclinano a pensare che tutta la lunga discussione estetica del quinto capitolo del Portrait non serva ad al- tro che a dimostrare la futilita dell’erudizione scolasti- ca assorbita"; e in realta non si pud negare che sotto molti punti di vista l’adesione di Stephen alla scolastica sia una adesione ai suoi aspetti pid formali; in fondo le stesse fonti medievali ¢ antiche denunciate nel Portrait sono di evidente origine controriformistica, e¢ troviamo citata una “raccolta di magre sentenze tratte dalla poeti- ca € dalla psicologia di Aristotele e una Synopsis Philo- sophiae Scholasticae ad mentem divi Thomae*” . E. cono- " Cfr. Wiuiam Powexn Jones, J. J. and the Common Reader, Norman, Un. of Oklahoma Press, 1955, pag. 34. "Nel Portrait non appaiono altri riferimenti; dalla bio- grafia di Ellmann e dalla raccolta dei Critical Writings (Lon- don, Faber & Faber, 1959) apprendiamo invece delle pid ric- che letture tomiste ¢ aristoteliche. Per altre supposizioni sulle 17 2. + Le poctiche di Joyce. sciamo abbastanza bene l’ampiezza mentale e il respiro di tali manuali, Quando Cranly gli chiede perché non si faccia protestante, Stephen gli risponde che non vede la ragione di abbandonare “una assurditd che ¢ logica ¢ coerente per abbracciarne una che é illogica ¢ incoeren- te”. Ora il Joyce cattolico ¢ in gran parte proprio qui; respinge l’assurdita, continuando ad avvertirla come os- sessione, € si innamora della coerenza. E |’opera successi- va sara in fondo dominata da questa preoccupazione del- Vorganizzazione formale. Se il mondo che Joyce costrui- sce non ha alcuna affinita col mito cattolico — che vi rientra deformato e ridotto, appunto, a mito, repertorio mitologico, bagaglio figurale — tuttavia le categorie che definiscono questo mondo sono ad mentem divi Tho- mae, Lo sono nello Stephen Hero e nel Portrait, e lo so- no, in misura pit indiretta, nello Ulysses: ¢ quando si dice categorie tomiste non si pensa solo a formule che Stephen pud impiegare con disinvoltura per travestire sotto il velo della correttezza tradizionale delle idee nuo- ve ¢ inquictanti. Si pensa a tutto un atteggiamento men- tale, a una implicita visione del mondo come Cosmo Or- dinato. Questa visione dell’universo — e per conseguen- za delle sue forme particolari, nella vita come nell’ar- te — come un tutto che pud ricevere un’unica defini- zione incontrovertibile in cui tutto trova un posto e una ragione, ha trovato la sua espressione pitt alta ¢ pid com- pleta nelle grandi summae medievali. La cultura mo- derna é sorta come reazione a questa visione gerarchiz- zata dell’universo, ma anche opponendovisi non ha mai letture tomiste di Joyce, cfr. il fondamentale libro di Wm1iam T. Noon, Joyce and Aquinas, New Haven, Yale Un. Press (London, Oxford Un. Press), 1957. Sugli appunti manoscritti tratti da letture tomiste ¢ aristoteliche cfr. J. J. Stocum e H. Canoon, 4 Bibliography of J. J., New Haven, Yale Un. Press, 1953, sez: E. 18 potuto sottrarsi interamente al suo fascino, alla maesto- sa comodita di un modulo d’Ordine in cui tutto si giu- stificasse, Diremo che la storia della cultura moderna altro non é stata che l’opposizione continua tra l’esigen- za di un ordine e il bisogno di individuare nel mondo una forma mutevole, aperta all’avventura, permeata di possibilita; ma ogni volta che si é tentato di definire questa nuova condizione dell’universo in cui ci muovia- mo, ci si ¢ ritrovati tra le mani le formule, sia pure tra- vestite, dell’ordine classico. Di questo travaglio non potremmo trovare una im- magine pit viva di quella che troviamo nell’intero svi- luppo artistico di Joyce, in cui questa dialettica traspare in modo esemplare, sia nelle esplicite affermazioni di poetica pervenuteci, che nella struttura stessa delle ope- re, In Joyce la ricerca di un’opera d’arte che si ponesse come equivalente del mondo, si mosse sempre in una sola direzione: dall’universo ordinato della Summa, che gli era stato proposto nellinfanzia ¢ nella adolescenza, alPuniverso quale si dispiega nel Finnegans Wake, un universo aperto, in continua espansione e proliferazio- ne, il quale tuttavia deve pur avere un modulo d’ordine, una regola di lettura, un’equazione che lo definisca: in- fine, una forma. I tentativi giovanili Allinizio del secolo il giovane artista ha circa diciot- tanni. La cultura scolastica, assorbita durante il liceo, sta gid entrando in crisi. E di questi anni l’incontro con Giordano Bruno che costituisce per lui quello che di fat- to la filosofia bruniana ha costituito per il pensiero mo- derno, un ponte di passaggio dal medioevo al nuovo na- turalismo. Joyce sta maturando il triplice rifiuto che lo pty isolera nell’esilio, sino alla fine. Ormai con T’eresia ha fatto i conti, la conosce, l’accetta: “Disse che Bruno era un terribile eretico. Risposi che Bruno era stato terribil- mente bruciato,”" Scrollatosi di dosso l’ortodossia, Joyce @ aperto alle nuove suggestioni che gli provengono dalle polemiche letterarie irlandesi, dai grandi problemi che agitano la letteratura mondiale: da un lato i simbolisti, i poeti del- la rinascenza celtica, Pater e Wilde, dall’altro Ibsen e il realismo di Flaubert (ma anche il suo amore della bella pagina, della parola, l’assoluta dedizione a un ideale estetico). Sono di questi anni quattro testi fondamentali, la conferenza Drama and Life tenuta nel 1900, il saggio Ibsen’s New Drama, pubblicato lo stesso anno sulla “Fortnightly Review”, il pamphlet The Day of the Rab- blement, pubblicato nel 1901 e infine, nel 1902, il saggio su James Clarence Mangan: e in questi quattro scritti si condensano tutte le contraddizioni in cui il giovane artista si dibatte™. Nei primi due saggi si assiste a una rivendicazione delle strette connessioni tra teatro e vita: il teatro deve rappresentare la vita reale, la vita che “dobbiamo accet- tare come la vediamo davanti ai nostri occhi, uomini e donne come li incontriamo nel mondo della realta, non . come li potremmo conoscere in un mondo di favola”; e tuttavia, in questa rappresentazione senza riserve, ¢s- so deve manifestare, attraverso l’azione, le grandi leggi che governano — nel profondo, nude e severe — gli eventi umani. Cosi l’arte si propone, come suo fine pri- mario, la veriti; non una veritd didascalica, ché anzi Joyce rivendica V’assoluta neutralita morale della rappre- " DP. pag. 318 (cfr. anche SE. pag. 218). "“" V. Critical Writings, pagg. 38-83. 20 sentazione artistica, ma la veritd pura ¢ semplice, la real- ti. E la bellezza? La ricerca della bellezza per se stessa ha qualcosa di spiritualmente anemico e di brutalmente animale: la bellezza non va oltre la superficie, la for- ma, e appare dunque come un esito morboso dell’arte. La grande arte tende solo al perseguimento della ve- rita”. Questo apparente impegno nel senso di un contatto vivo con la realt4 quotidiana, fa si che appaia tanto pit discordante la posizione sostenuta in The Day of the Rabblement, in cui vibra un disdegno verso la compro- missione con la moltitudine, una sorta di ascetica aspira- zione al ritiro e all’isolamento assoluto dell’artista: “Co- me diceva il Nolano, nessuno pud amare il vero ¢ il be- ne se non detesta la massa.” Questa tuttavia potrebbe an- cora essere la manifestazione di un riserbo sul piano del 1s In questo saggio si assiste a una polemica contro i sim- bolisti (il riferimento ¢ a Langueur di Verlaine): non é vero che non vi @ pit nulla da dire e che siamo arrivati troppo tardi sulla scena del mondo, perché in ogni evento della vita quotidiana vi & una misura di vasta drammaticita pronta ad essere tratta alla luce (e il richiamo @ a Ibsen). Ma accanto a questa difesa di una “sameness” dell’esistenza quotidiana capace di diventare materia poetica, si parla del dramma come di un “presentimento simbolico” della nostra natura profonda; € non a caso Quando noi morti ci destiamo, il dramma ibse- niano che J. recensisce in Jdsen’s New Drama, ha un acceso tono simbolico, ¢ la realtd alla quale i protagonisti vanno gio- iosamente incontro alla fine — ¢ lo fanno con toni di estrema esaltazione — @ la vitaliti ambigua di una bufera nel turbine della quale la vita e la morte si identificano. Cosi quella “bella ¢ miracolosa vita terrestre... imperscrutabile vita terrestre” di cui parla Ibsen nel terzo atto del dramma, si confonde, nelle intenzioni del giovane critico, con quella “morte”, come la “pid alta forma di vita”, cui accenna nel saggio su Mangan {e su cui ritornerd, rimemorando l'idea giovanile in tono iro- nico, nello Ulysses ed. cit. pag. 493). 2

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