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«Tutti i maggiori responsabili dei genocidi africani sono rimasti impuniti, quando non hanno ottenuto altri onori anche dall'Italia repubblicana e democratica... Mussolini, al quale vanno attribuite le massime responsabilité per aver fatto di una guerra coloniale una guerra di sterminio, é stato giustiziato, ma non per i suoi cri- irr iW Avie Ce Be 427167 | i 0 il 9 I on « Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla te- sta delle truppe vittoriose, sono en- trato in Addis Abeba. » Con queste parole il Maresciallo Pietro Bado- glio telegrafava a Mussolini la fine ufficiale delle ostilita in Etiopia, co- state 4350 morti, 9000 feriti e 40 mi- liardi di lire. Ma la guerra era tut- taltro che finita. Meno di un quar- to del territorio etiopico era stato occupato. Almeno centomila solda- ti dell’esercito di Hailé Selassié re- stavano in armi. Da quel giorno co- mincid una guerra segreta, senza comunicati, nascosta dalla censura, nel corso della quale restarono uc- cisi dieci volte pit soldati che nella guerra ufficiale. Angelo Del Boca é stato il primo storico a dare una let- tura molto critica del colonialismo italiano, del quale ha denunciato i crimini (uso massiccio di armi chi- miche, creazione di veri e propri campi di concentramento, deporta- zioni e uccisioni di massa). In que- sto volume ricostruisce in modo dettagliato le varie fasi della cam- pagna d’Etiopia, che fu il preludio alla pomposa proclamazione del- l’Impero. Ma quel conclamato trionfo, che segno il culmine del fa- vore (e fervore) popolare verso Mussolini, segnd anche l’inizio di una guerra di resistenza locale che tenne impegnate le truppe italiane fino al 1941, anno in cui gli inglesi attaccarono la colonia e misero fine al sogno imperiale fascista. Un so- gno breve e, nonostante le atrocita, oggi ben note dopo I’apertura degli archivi di Stato e la pubblicazione di montagne di documenti, persino «innocente». Afferma in proposito In copertina: foto © Corbis GRAFICA RUMORE BIANCO _ woe lautore: Graziani fu «processato e condannato, ma non per le stragi in Etiopia e in Libia, ed oggi la sua tomba e il suo museo a Filettino so- no meta di pellegrinaggi. Badoglio, poi, @ morto di vecchiaia nel suo letto, carico di onori». ANGELO DEL BOCA (Novara, 1925), partigiano, scrittore e storico, é uno dei maggiori studiosi del coloniali- smo italiano (Libia, Eritrea, Etio- pia, Somalia), cui ha dedicato gran parte delle proprie ricerche. Della sua composita bibliografia ricordia- mo gli ultimi titoli: /taliani, brava gente? (Neri Pozza, 2005), La scelta (Neri Pozza, 2006), A un passo dal- la forca (Baldini Castoldi Dalai, 2007), 11 mio Novecento (Neri Poz- za, 2008), La Storia negata (Interli- nea, 2009). € 18,00 (ii) wwwlonganesiit Realizzato da Democrito di Abdera colui che il mondo a caso pone La collana 2 diretta da Sergio Romano LA GUERRA D’ETIOPIA L'ULTIMA IMPRESA DEL COLONIALISMO di ANGELO DEL BOCA [E] LONGANESI PROPRIETA LETTERARIA RISERVATA Longanesi & C. © 2010 - Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.longanesi.it ISBN 978-88-304-2716-7 LA GUERRA D’ETIOPIA ACS: ASMAI: ASMAE: AUSSME: DDI: DBFP: AO/AOI: DEPA: FO: MPA: MVSN: PNF: Archivi e raccolte di documenti Archivio Centrale dello Stato, Roma Archivio Storico del Ministero dell’ Africa Italiana, Roma Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, Roma Archivio Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Eser- cito, Roma Documenti Diplomatici Italiani Documents on British Foreign Policy Abbreviazioni e acronimi Africa Orientale Italiana Documenti sull’Etiopia presso l’Autore Foreign Office Massima Precedenza Assoluta Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale Partito Nazionale Fascista Societa delle Nazioni, Journal Officiel allegato busta cartone documento fascicolo posizione sottofascicolo Testimonianza all’Autore telegramma 8 La guerra d’Etiopia Cariche e funzioni della Chiesa copta etiopica abba: sacerdote ecceghié: capo disciplinare dei monaci Cariche e titoli militari e civili di origine feudale in uso in Etiopia sino alla rivoluzione del 1974 blatta o blattengheta: consigliere privato del sovrano balambaras: comandante del forte, grado militare corrispondente a tenente colonnello bituodded: consigliere di Stato cagnasmac. comandante dell’ala destra dell’esercito cantiba: prefetto di provincia degiac o degiasmac: generale, governatore di una provincia Jitaurari: comandante dell’avanguardia grasmac. comandante dell’ala sinistra dell’esercito Ligg: titolo di principe negus: re negus neghesti: re dei re, imperatore ras: capo di un esercito, massima autori tore sottoposta solo all’impera- LA MARCIA SU ADDIS ABEBA 1. «A un tratto, alla svolta di una curva, alla sommita di un colle — ricorda il generale Quirino Armellini — era apparsa lon- tana, una conca racchiusa per due lati da una cerchia di alture, coperta da un bosco di eucalipti fittissimo, nel quale spiccava- no macchie di case bianche o scintillavano tetti di lamiera sotto il sole luminoso del primo pomeriggio. Addis Abeba! «Il nostro cuore — prosegue Armellini — aveva battuto pit forte e una leggera delusione era entrata nel nostro animo. Questa capitale appariva modesta, timida, quasi timorosa, sen- za una torre, un campanile, un fabbricato pit alto che, emer- gendo da quel mare di verzura che sembrava sommergerla, Pannunciasse a chi giungeva da cosi lontano. »' Un altro testimone dell’ingresso delle truppe italiane in Ad- dis Abeba, il governatore di Roma Giuseppe Bottai, rammenta a sua volta: « Siamo giunti in vista di Addis Abeba, sulle colline di Entotto, alle due e un quarto [...]. Ombre e luci davano al- Paltopiano una aria di favolosa trasfigurazione. Di fantasia e di leggenda; come se il fatto reale, da noi preparato in sette mesi di battaglie, di marce, di digiuni e di rinunzie, avesse a com- piersi in un mondo cosi nuovo ai nostri occhi da parere irreale. Quando la citta si par dinanzi a noi, distesa nella piana, na- scosta nella foresta, trepida nei fumi argentei del pomeriggio, e muovemmo ad entrarci, le nostre mani tremavano. Toccava- mo, dopo tanto soffrire, la meta ».” «Sono le tre del pomeriggio — riferisce il giornalista Giovan- ni Artieri. — Ore storiche, sugli orologi degli italiani. Fra ses- santa © settanta minuti avra termine il regno di Salomone; il Leone della Tribi di Giuda ha perduto, e non ha saputo mo- 10 La guerra a’ Etiopia rire in battaglia. Tutti dovremmo essere qui pallidi, un groppo alla gola, dinanzi alla Citta sepolta negli alberi neri. S’odono fitte fucilerie, guadi sempre piti difficili. Mentre cade I’Impero etiopico si va al pil vicino torrente a rinfrescarci la faccia e le mani incrostate di fango [...]. Addis é al sacco. Salgono colonne di fumo al di la delle chiome pit alte; lingueggia qualche fiam- ma per i giardini e le capanne. »° Si scende adagio dal passo Sella nella conca di Addis Abeba. Sullo sfondo appaiono, imponenti, i monti Mangascia, Uocia- cia e Furi. Poi, finalmente, si entra nella fitta foresta di eucalip- ti che avvolge e nasconde la capitale. Sono le 16 del 5 maggio 1936. L’infinita colonna di autocarri si arresta. I! Maresciallo Pietro Badoglio scende dalla sua Ardita, chiama i colonnelli Tracchia e Broglia e impartisce loro gli ordini per l’ occupazio- ne dei punti pit: importanti della citta. Poi verga rapidamente, su un taccuino di carta a quadretti, il piti conciso comunicato dell’intera campagna d’ Africa: « Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba ».* Badoglio mostra il dispaccio al sottosegretario alle Colonie Lessona e gli dice: «Ormai ad Addis Abeba ci siamo. Non cre- do che all’ingresso in citta accadra nulla di grave. Anticipare di un paio d’ore Pannuncio a Roma significa togliere dall’ansia il nostro governo ¢ le capitali estere, che trepidano per i loro sud- diti ».> Lessona é d’accordo. II dispaccio indirizzato a Mussolini é consegnato per l’inoltro alla radio da campo. Si rimonta in macchina. E mentre gli ascari della II Brigata Eritrea penetrano nella citta e raggiungono rapidamente il ghebi imperiale senza incontrare resistenza,° Badoglio giunge al posto di blocco di Cabana, dove « una squadra di doganieri etiopici saluta l’ingresso del Capo vittorioso con un presentat’arm im- peccabile, benché fatto con fucili nessuno dei quali ¢ uguale al- Valtro. Un po’ pid avanti un reparto di nostri granatieri rende gli onori. Tutti i tucul hanno issato un drappo bianco ».” Intanto il sole ¢ scomparso e si é messo a piovere e, forse per questo motivo, Badoglio rinuncia ad entrare in citta sul suo ca- La marcia su Addis Abeba el vallo bianco. Preceduta e fiancheggiata da motociclisti armati di fucili mitragliatori, la sua Ardita attraversa il quartiere di Ca- band, passa davanti alle legazioni inglese, belga e tedesca, sfiora P’ Ospedale Menelik II, poi piega a destra e sale a Villa Italia at- traverso un bosco di alti eucalipti rasentando siepi di rose, iridi e ginestre. Alle 17.45, mentre nel cielo della capitale alcuni cac- cia Ro.37 compiono festose acrobazie, il tricolore viene issato sul frontone di quella che, per quarant’anni, é stata la sede della rappresentanza diplomatica italiana alla corte del Negus. «La Casa dell’Italia é stata riaperta con le chiavi custodite dal Ministro di Francia Albert Bodard — annota Giovanni Ar- tieri. — L’edificio di granito bigio, basso, tozzo, pit scuro sotto Pacqua torrenziale. Tutti ci laviamo, inzuppiamo nella pioggia. [...] Quattro attenti. Voce di Badoglio. Un silenzio enorme, al- lagato dalla pioggia. Rigagnoli sulle mani, sui volti, sulle canne dei moschetti, sulle foglie, sui fiori, sulle lame delle baionette. Tre volte salutiamo il Re, tre volte Mussolini. Pioggia o lacri- me, il generale aviatore Magliocco ha il volto inondato. Anche Badoglio. Si abbracciano, cosi all’improwviso. I] Maresciallo di- ce, come parlando tra sé dopo una partita di bocce: ’Ce l’abbia- mo fatta’. Addio guerra, bella guerra. II giornalista seduto sulla nuda terra, un cuscino di fango molle, batte sulla macchina portatile il suo ultimo telegramma. »* «Ci prendono dei brividi fitti — scrive Bottai nel suo diario africano — cosi comodi per truccare questi altri brividi d’orgo- glio, di fierezza, di pianto, che ci scuotono, a pensare che tutto é finito, che tra poco, messa su la radio, lasst, in Italia, sapran- no che abbiamo finito, che i conti sono stati regolati [...]. Cin- que di maggio: vorremmo fissarlo nella nostra carne, questo giorno, fatto di storia, di spazio, d’infinito. »” Conclusa la cerimonia dell’alzabandiera, Badoglio fa chia- mare i giornalisti. Vuole fare una dichiarazione. Cosi, alla buo- na, come sempre. La giornalista francese Marie-Edith de Bon- neuil, che gli sta accanto, osserva che é pallido, commosso e che stringe le mascelle. Dice il Maresciallo: « Il Negus, dopo tutte le 12 La guerra d'Etiopia vittorie che ha riportato, é stato costretto a fuggire, e noi, dopo tutte le nostre sconfitte, eccoci arrivati ad Addis Abeba. Avete potuto notare, durante questa marcia fra Quéram e Addis Abe- ba, di quali sforzi é capace il soldato italiano. L’avete visto la- vorare sotto il sole e sotto la pioggia. Siete stati testimoni di tut- ti i suoi sacrifici. Sono fiero di aver avuto l’onore di comandare soldati di questo stampo ».'° Il vecchio Maresciallo stringe le mani ai giornalisti, li ringra- zia per l’eccellente lavoro che hanno svolto, spesso in condizioni proibitive, poi si ritira nella palazzina della legazione. Stremato dalla fatica e dall’emozione, dormira quattordici ore di seguito, dopo aver bevuto una tazza di brodo caldo che il suo vecchio amico, il generale Santini, ha conservato per lui in un ther- mos.'' Badoglio sa di aver raggiunto il miglior risultato possibi- le, come precisera, fra qualche mese, nelle conclusioni del suo de bello aethiopico: « Questa grande impresa non ha precedenti nel- la storia militare coloniale [...]. E stata una guerra dalle cui espe- rienze potranno essere tratti grandi ammaestramenti per la con- dotta delle guerre future, siano esse coloniali o no.[...] La guerra é stata vinta rapidamente, per la nostra immensa superiorita morale, spirituale e culturale, per la schiacciante superiorita de- gli armamenti e di ogni altro mezzo ».'* Mentre il Maresciallo riposa e gia pregusta il prossimo rien- tro in patria, per incassare titoli nobiliari, prebende ed onori, Bottai non disarma. Anche se é gia buio e parte di Addis Abeba é ancora in mano agli scifia e ai gendarmi etiopici che cercano di mettere in salvo il maggior numero di armi per poter conti- nuare la lotta, egli prende una macchina e scende nella citta di cui domani, per un paio di settimane, assumera il governo ci- vile. Ecco cié che vede, alla luce dei fari: « Qua, la, pit lontano, pit vicino, crepitii di fucilate, brevi e stracchi, come d’incendio che si spenga. I fanali mi girano dinanzi un film di case distrut- te, di vie sconvolte, di cadaveri rovesciati nel fango, di carogne gonfie di pioggia. Ombre bianche entrano, escono dalle case sbrecciate. Sono i predoni che eseguono l’ultimo ordine del La marcia su Addis Abeba 13 Negus in fuga: devastare e rubare. Domani, in nome dell’Italia e di Roma, metteremo dell’ordine in questa citta sconvolta ».'° Qualche giorno dopo, mentre Bottai cerca di ripulire la citta e di riportarvi la quiete, i figli del duce, Bruno e Vittorio Mus- solini, i quali per alcuni mesi si sono divertiti un mondo ad esercitare, dall’alto dei Caproni, «una caccia isolata all’uo- mo>»,'4 giungono in visita ad Addis Abeba e subito hanno la sensazione che «di li non saremmo andati mai via, tutto quello che toccavamo era nostro, era quello per il quale erano caduti i nostri compagni ».'° E poiché, sostengono, « in ogni legionario c’é Panimo del collezionista »,'® giunti nel ghebi del Negus si impossessano, «per ricordo», di alcuni libri della biblioteca privata dell’Imperatore e di alcuni sciaboloni ricurvi che « por- tano inciso sul ferro ’emblema del leone di Giuda ».'7 In breve, cid che é sfuggito ai predoni, finisce dunque nelle mani dei «collezionisti » italiani. La conquista di Addis Abeba, che per alcuni significa anche la fine della guerra, € motivo, come abbiamo visto, di emozioni vivissime, di brividi d’orgoglio, di arditi consuntivi, come quel- lo che formula, con la sua prosa rozza, Vittorio Mussolini: «Cosi con la guerra, io finivo quel che si chiama la giovinezza spensierata studentesca. Anche tutti gli altri, quelli che come me non avevano fatto né guerra né rivoluzione, hanno acqui- stato sulle Ambe la laurea per essere uomini. La guerra certo educa e tempra ¢ io la consiglio a tutti, anche perché credo che sia proprio dovere di un uomo farne almeno una».'* Poi, col tempo, la conquista di Addis Abeba avrebbe fornito il destro a legioni di poeti di esaltare l impresa. Uno dei pit sol- leciti sarebbe stato Giovanni Maria Vassallo, che cosi chiudeva La canzone di Addis Abeba: Ed or che il sommo del ghebi s'accende dei tre colori, e la barbarie giace, dal sauro alfine il Condottier discende. Non pit catene tu vedrai! non face 14 La guerra d Etiopia dincendi! non arbitrio! non orrore! ma la feconda, la romana pace, 0 Nuovo Fiore, 0 nuovo italo fiore!” Che la conquista di Addis Abeba potesse provocare esaltazioni poetiche, piti o meno bislacche, si tratta di un fenomeno abba- stanza prevedibile. Sorprende, invece, che un uomo di cultura come Martino Mario Moreno, futuro vice-governatore di colo- nia, individuasse nella capitale del Negus degli aspetti comici: «In Etiopia la nostra marcia su Addis Abeba, preceduta dalla fuga ingloriosa del Negus, travolse, naturalmente, al centro, ol- tre che la Corte, quei Ministeri da caricatura, quella Camera dei Deputati da circo e quel Senato da rivista umoristica, che erano stati creati soltanto perché ci rispecchiasse il Lago Lema- no, velando nell’immagine, con le increspature delle sue acque, i wratti comici degli originali ».2° La temeraria corsa verso Addis Abeba e la fine della guerra (quella dei « sete mesi », sia chiaro, perché l’altra, quella contro i partigiani etiopici durera ancora per sei anni), hanno provo- cato, come abbiamo visto, una commozione intensa, incontrol- labile, sconfinata. Dal Maresciallo Badoglio all’ultimo soldato, alP ultimo autista civile, tutti avvertono il groppo alla gola, sono percorsi da brividi d’orgoglio, che neppure la pioggia battente riesce a smorzare. Abbiamo cercato con cura, nella sterminata produzione di memorie, un’annotazione meno euforica, meno delirante, sul- Poccupazione di Addis Abeba. Ma invano. Come invano ab- biamo cercato una parola di pieta per i 275mila etiopici, mili- tari e civili, uccisi a partire dal 3 ottobre 1935, quando, senza dichiarare guerra, Mussolini ordinava alle sue armate di passare il Mareb. Non una parola, non un vago accenno, neppure un’allusione. Eppure l’esercito che ha attraversato !’Etiopia ed ora ne occupa la capitale, é un esercito di cristiani, che é par- tito dall’Italia per regolare vecchi conti, ma anche, a sentire la La marcia su Addis Abeba 15 propaganda del regime, con la nobilissima missione di portare la civilta in un paese semibarbaro. Ma noi sappiamo che non é andata cosi. Non é stato per vendicare Adua che Mussolini ha organizzato la pil grande e costosa impresa coloniale di tutti i tempi. E neppure per rin- tuzzare l’affronto di Ual Ual. Ma per scatenare una guerra di sterminio con il preciso proposito di creare larghi vuoti nel paese da riempire con milioni di italiani affamati di terre. 2. Lasciamo ora i conquistatori di Addis Abeba al loro orgoglio e alla loro commozione e facciamo un passo indietro, al 22 aprile, quando Badoglio lascia Quéram, raggiunge Dessié e de- cide di puntare rapidamente sulla capitale. Ad uno dei suoi biografi che, a guerra finita, gli chiede come mai si sia deciso ad affrontare le incognite della marcia su Addis Abeba, il Ma- resciallo risponde: « Ecco, vedete, in guerra bisogna a un certo momento saper arrischiare, naturalmente a ragion veduta. Io avevo molte e¢ sicure informazioni sulla situazione awversaria; sapevo su quale somma di forze materiali e morali potevo con- tare; le incognite, nel mio spirito, venivano cosi riducendosi a zero. Ritenni che si potesse osare ».*! In verita, la marcia sulla capitale etiopica non comporta per Badoglio alcun rischio immediato. II Maresciallo ha sbaragliato in cinque grandi e risolutive battaglie campali le armate di Hai- lé Selassié e anche se, al momento, sono ancora in armi, nelle varie regioni dell’impero, almeno 100mila soldati regolari etio- pici, nessun reparto di una certa consistenza é pero attivo nel tratto Dessié-Addis Abeba. Secondo il notiziario giornaliero dell’ Ufficio Informazioni del Comando Superiore, il Negus di- spone, per difendere la capitale, di forze insignificanti: alcune centinaia di cadetti della Scuola militare di Olétta e 2-3mila soldati del degiac Igazu Behabté.”” Ma anche queste milizie, co- me vedremo, non opporranno alcuna resistenza scomparendo addirittura dalla scena. 16 La guerra d Etiopia Se nell’immediato la marcia su Addis Abeba non comporta rischi, a pil lunga scadenza, invece, ne implica di gravissimi. Per la semplice ragione che i 20mila uomini previsti da Bado- glio per marciare sulla capitale non saranno in seguito suffi- cienti per presidiare l’immensa citta verde, la regione circostan- te e le vie di comunicazione, che saranno subito interrotte dai partigiani etiopici, sicché Addis Abeba restera completamente isolata per alcune settimane. Ma il 24 aprile, quando i primi reparti eritrei a piedi, al co- mando del colonnello De Meo, iniziano la marcia, Badoglio é troppo sicuro di sé, troppo euforico, per pensare alle conse- guenze della sua incauta decisione. Cid che gli preme é di chiu- dere al piti presto la partita. E quando Mussolini, che si picca di essere lui il vero stratega della campagna africana, gli invia questo telegramma, invitandolo alla prudenza: «Per essere completamente al sicuro alle spalle e ai fianchi, troverei oppor- tuno far avanzare tutte le colonne che sono rimaste ferme dopo la vittoria dell’Ascianghi. Avanzare di poco, ma avanzare. Nel- Vattesa delle strade, rifornire con gli aerei»,”* Badoglio, senza nascondere l’irritazione, rozzamente replica: « Prego Vostra Ec- cellenza di lasciare a me queste cose che risolverd bene come per il passato ».”4 Mussolini incassa, ma poco dopo fa un nuovo intervento: « Per ragioni owvie bisogna riservare alle truppe nazionali la pre- cedenza nella occupazione di Addis Abeba ».” E sempre nella giornata del 23 aprile, ricordandosi che Badoglio non é il solo generale che sta compiendo miracoli in Etiopia, telegrafa a Gra- ziani, che sta occupando a marce forzate l’Ogaden nel tentativo di giungere prima di Badoglio ad Addis Abeba: « Caro Graziani, compia uno sforzo per portare in linea tutti i reparti, magari a turno, per evitare che i volontari tornino in patria colla grande amarezza di non aver combattuto ».”° Tre giorni dopo gli invia un nuovo telegramma: « Conquistata Harar, Vostra Eccellenza vi trovera il bastone di Maresciallo d'Italia ».”” Badoglio, dal canto suo, non ha bisogno di essere stimolato. La marcia su Addis Abeba 17 E talmente sicuro dei suoi calcoli e delle sue capacita da stabi- lire persino la data precisa del suo ingresso nella capitale etio- pica. « Sard ad Addis Abeba al pit tardi il 2 maggio »,”* telegra- fa a Mussolini. Alla spedizione invita i pit bei nomi del suo seguito, quasi fosse una gran festa e non un’operazione militare dagli esiti incerti. Tra gli invitati ci sono il sottosegretario alle Colonie Lessona, i due comandanti di corpo d’armata Santini e Pirzio Biroli, nove generali di rango inferiore, il governatore di Roma Bottai, gia designato ad assumere anche il governo di Addis Abeba, senatori, deputati, gerarchi del PNF e ventiquat- tro giornalisti fra italiani e stranieri. Con il suo ordine del giorno n. 572, Badoglio organizza la marcia su tre colonne. Due di esse, quella autocarrata, agli or- dini del generale Gariboldi, e una composta di battaglioni eri- trei, al comando del colonnello De Meo, debbono percorrere la strada imperiale Dessié-Macfiid-Debra Berhan della lunghezza di circa 400 chilometri. La terza colonna, comandata dal gene- rale Gallina e che comprende quattro battaglioni della 1° divi- sione eritrea, deve invece seguire l’itinerario Dessié-Uorra Ila- Doba-Embertera di 310 chilometri. La forza complessiva delle tre colonne é di 20mila uomini, cosi suddivisi: 10mila nazionali e 10mila indigeni, con undici batterie di cannoni, uno squadrone di carri veloci L-3 e 1785 automezzi di ogni tipo: Fiat, Lancia, Spa, Ford, Chevrolet, Cei- rano, Bedford, Studebaker, Diamond. Per quella che poi chia- mera «la marcia della ferrea volonta», Badoglio non fa econo- mie, suscitando lo stupore e il disappunto del generale Ema- nuele Beraudo di Pralormo, che nei suoi Diari annota: « Du- rante I’avanzata della Colonna Badoglio su Addis Abeba gli autocarri civili, che costituivano nella massima parte la colon- na, erano pagati 2000 lire al giorno; arrivati in Addis Abeba so- no rimasti fermi in media due o tre mesi e hanno continuato ad essere pagati lo stesso prezzo. Gli autisti civili percepivano, e credo percepiscono ancora, 5000 lire al mese ».” Il 26 aprile, all’alba, 12.495 soldati, ufficiali, funzionari e 18 La guerra d'Etiopia gerarchi prendono posto sulla pit lunga e potente autocolonna che abbia mai percorso una strada del continente afticano. Su- gli automezzi sono stati caricati anche 193 quadrupedi, per consentire al Maresciallo e ai suoi ufficiali, una volta giunti alle porte della capitale etiopica, di abbandonare le macchine e di fare il loro ingresso trionfale a cavallo. Uno spettacolo che, co- me abbiamo visto, verra sospeso per la pioggia battente. «Non si trattava di un’impresa facile — commenta lo storico militare Giorgio Rochat. — Per affrontare centinaia di chilome- tri in un territorio ostile e poco conosciuto, su una camionabile abissina e con automezzi di prestazioni limitate, sapendo di non poter contare su rinforzi in caso di imprevisti, ci volevano molta energia, una lucida visione del quadro politico, molta fi- ducia nel buon funzionamento degli organi tecnici. Badoglio raccoglieva i frutti dell’accurata preparazione che aveva voluto, anche se fu avaro nel riconoscere i meriti <2 | generale Dall’Ora responsabile dell’ organizzazione logistica. »” » Ma anche Fidenzio Dall’Ora non pué fare miracoli. E siriu- scito a mettere insieme in pochi giorni migliaia di autocarri e pud anche rifornirli di pezzi di ricambio facendoli paracadutare dall’aviazione, ma non pud far nulla per migliorare la strada. «I soldati si aspettavano almeno una modesta carrareccia in buone condizioni — riferisce Mario Appelius, uno dei tanti giornalisti famosi al seguito. — All’atto pratico la ’strada imperiale’ é una semplice pista africana, un po’ pit larga delle piste abituali, senza massicciate, senza ponti, con pendenze da capre e curve a strettissimo raggio. Lunga 400 chilometri, scavalca cosi bar- baricamente valichi e montagne, riga grandi valli, guada fiumi, attraversa paludi, sale al Colle di Termabér a 3200 metri di al- tezza. [...] Nei passi pid duri i soldati a gruppi di cinquanta, con turni continui, diurni e notturni, debbono aiutare gli auto- carri ad andare innanzi. »°! Strada infernale, dunque, e soggetta a possibili attacchi. Per evitare di esporre l’autocolonna a combattimenti, che non po- trebbe sostenere per le sue stesse caratteristiche, Badoglio, come La marcia su Addis Abeba 19 si ricordera, da qualche giorno ha spedito avanti gli ascari eri- trei, in due colonne di quattromila uomini ciascuna. Ma sara una precauzione quasi superflua, perché la piccola armata di Badoglio non incontrera che il vuoto, la pioggia, il fango, raffiche di vento e qualche interruzione provocata dagli etiopi- ci. Secondo la relazione del generale Gariboldi,’? armati del Negus compiono soltanto due tentativi per disturbare la mar- cia. Il primo, il 29 aprile, al passaggio del fiume Robi, a pochi chilometri dal villaggio di Mafid: alcune fucilate che costano agli italiani un morto e un ferito. Il secondo tentativo, pit se- rio, al passo del Termabér, trentacinque chilometri a sud di Debra Sina. Qui, come riferisce George Steer, l’inviato del « Times » che segue le operazioni dalla parte di Hailé Selassié, gli etiopici hanno deciso di contrastare |’avanzata italiana sia facendo sal- tare la pista in uno dei tornanti pili stretti della ripidissima sa- lita, sia ammassando le ultime forze ancora disponibili nello Scioa, a cominciare dai 148 cadetti dell’ Ecole de guerre Hailé Selassié I. Al Termabér dovrebbero poi essere posti in batteria, per la prima volta, anche i nuovissimi cannoni anticarro che Hitler ha ceduto all’Etiopia per vendicarsi di Mussolini che si atteggia a difensore dell’indipendenza dell’Austria. II tedesco Herbert Masser ha provveduto, da mesi, ad insegnarne l’uso ai cadetti di Olétta. Se il piano predisposto dagli etiopici fosse stato realizzato nella sua interezza, l’avventura di Badoglio si sarebbe clamoro- samente interrotta ai piedi del Termabér. II piano, invece, fal- lisce miserevolmente. Il capitano svedese Viking Tamm, al quale é stato affidato l’incarico di dirigere l’intera operazione, coadiuvato dai giovanissimi cadetti Kiflé Nasiba e Negga Hailé Selassié, attende invano i potenti cannoni di Hitler e i sei bat- taglioni di rinforzo al comando dei tenenti svedesi Nils Bou- veng e Arne Thorburn.*? Dopo alcuni giorni di spasmodica at- tesa dei rinforzi e dopo aver constatato che nelle retrovie il caos é totale, il capitano Tamm si limita a far brillare le mine, che 20 La guerra d'Eviopia causano un’interruzione della strada lunga trentacinque metri e profonda trenta. II seguito lo sappiamo da un telegramma di Badoglio a Roma: « L’unico incidente durante la marcia é stato causato da un nucleo di 15 armati etiopici lasciati in una grotta a guardia della nota interruzione del Termabér; contro di esso, impiegata una compagnia di alpini, che ha distrutto il nucleo stesso; un alpino é morto ».* Lo scontro armato é in realta di poco conto. Ma il danno causato dalle mine é gravissimo. La frana ha asportato un mi- gliaio di metri cubi di materiale creando un salto pauroso, ap- parentemente invalicabile. Per trenta ore, sotto una pioggia di- luviale, reparti del genio e truppe nazionali ed indigene lavora- no febbrilmente per costruire un muraglione di sostegno e riempire la profonda cavita. E intanto l’autocolonna é bloccata e Badoglio freme perché ormai non puo pitt sperare di essere ad Addis Abeba il 2 maggio. Se il Maresciallo é in ansia e scruta il cielo sperando che cessi il diluvio, anche altri personaggi del suo seguito sono turbati, al limite della sopportazione. « Un’inquietudine velenosa si impa- dronisce di tutti — confida al suo Diario Giuseppe Bottai men- tre osserva la lunga colonna di autocarri che si arrampica con difficolta sul Termabér. — E ormai chiaro che, mentre la colon- na innanzi si trova di fronte a difficolta impreviste, proprie di questa guerra a vasto movimento, lo scaglione del Comando Superiore, mal condotto, subisce alla cieca gli eventi. Stato Maggiore e Gabinetto si accusano a vicenda di impreviggenza e incapacita organizzativa. Mario Badoglio” acuisce i risenti- menti col suo contegno arrogante e irrispettoso, egoistico. Co- minciano i litigi intorno ai piccoli comodi. Si guata con sospet- to ogni boccone della parca cena di scatolette, consumata al lu- me del vespro. Tutta la grandezza dell’impresa inacidisce. Sen- to una malinconia mortale circolare nel mio sangue. »*° Mentre l’epica marcia subisce una forzata sosta di quasi tre giorni, scatenando malumori ed inquietudini, Badoglio riceve alcune notizie, in gran parte buone, che valgono a lenire la sua La marcia su Addis Abeba 21 amarezza. Il 28 aprile Achille Starace, segretario del PNF, ha occupato Debra Tabor, il capoluogo del Beghemeder. II sulta- no dell’Aussa, Mohamed Jahio, alleato del Negus, si é sotto- messo il 26 aprile a Sardé. Il generale Graziani, dopo aver pie- gato coi gas i soldati del degiac Nasibi Zamanuel, é entrato a Dagahbur il 30 e punta su Giggiga. Ma la notizia pit sensazio- nale gli arriva nel pomeriggio del 2 maggio: l’imperatore Hailé Selassié, con un gruppo di ministri e dignitari, ha abbandonato Addis Abeba e ha preso l’ultimo treno per Gibuti, scegliendo la via dell’esilio. A mezzogiorno del 3 maggio, riparata l’interruzione sul Ter- mabér, i 1785 automezzi si rimettono in movimento, pur an- simando sul valico. « Passano. Mi pare di spingerli innanzi col fiato », confida Badoglio a Bottai, il quale, a sua volta, com- menta: « Dietro quella voce c’é un cuore di vecchio che soffre. La guerra ha di questi istanti terribili, in cui il dominatore é dominato. Istanti di totale abbandono al destino. Cerco la ma- no del Maresciallo; la stringo: ’Passeranno tutti — rispondo. — II 7 saremo ad Addis Abeba’. Nel chiarore lunare vedo i suoi oc- chi azzurri umidi. Tace a lungo. Poi, mi dice: ’Diamoci del tu, Bottai. Siamo tanto vicini, questa sera. Non lo dimentichere- mo mai’ ».*” Ma ci vorranno due giorni per far superare il valico all’intero convoglio. Nel tratto danneggiato e provvisoriamente riparato i mezzi debbono essere tirati su a forza di braccia. «Se non ve- dessimo con i nostri occhi ~ riferisce l’inviato del Secolo Sera, Varo Varanini — non crederemmo che di qui riescono a passare autocarri grandi come case, quali i Ro.34. Eppure di qui pas- seranno 1785 vetture, e ogni autista potra dire di aver giocato per ore e ore con la morte. Vediamo, in alcuni tratti, quelli pit pericolosi, che fra l’impronta delle ruote e il margine esterno della strada, ¢’é, si e no, un palmo. »* Valicato il Termabér, l’autocolonna prende a solcare una del- le regioni pitt belle e ricche dell’Etiopia. Il vasto altopiano fra il Mofer e l’Auasc si estende per decine di chilometri, a perdita 22 La guerra d Etiopia docchio. Nei pascoli costellati di grandi margherite e gigli s’in- contrano mandrie di bovini zebii e pastori ai quali non é forse ancora giunta l’eco della guerra. «I soldati erano sbalorditi — racconta uno degli inviati speciali del "Corriere della Sera’, Ce- sco Tomaselli. — Essi passavano di meraviglia in meraviglia. Se- duti col fucile tra le ginocchia sugli automezzi aperti, il volto impastato di polvere come attori del teatro classico giapponese, li sorprendevo a guardare il paese con una fissita avida, quella che produce la vista di un tesoro incustodito. Tutta questa di- venta roba nostra’, pareva dicessero i loro occhi pieni di stupore; e quelli che s’intendevano di campi ragionavano di colture e di allevamenti con un linguaggio da milionari. »” Adesso che la guerra sembra volgere alla fine, i soldati, che in gtan parte sono contadini, vengono ripresi da quella speranza che ha reso facile, quasi piacevole il distacco dall’Italia, e che ha mitigato le sofferenze ¢ le amarezze dei sette mesi di guerra. La speranza di gettare il fucile per impugnare la vanga. La speranza di poter presto sfruttare questa terra nera, feconda, che non ha mai conosciuto che l’aratro di legno. Con la speranza, torna Vallegria. Si riprende a cantare. C’é chi intona Faccetta nera, chi Adua é liberata. E chi sceglie un motivo nel vasto repertorio del canzoniere fascista. Il 4 maggio la colonna autocarrata supera l’importante cen- tro di Debra Berhan, antica capitale dell’impero etiopico. Si procede sempre lentissimamente perché la pioggia ha trasfor- mato la pista in un viottolo fangoso. Ma i soldati sono ugual- mente felici, eccitati all’idea che fra qualche ora entreranno in Addis Abeba. Nessuno, fra di essi, neppure lontanamente, so- spetta che, invece di finire, la guerra in Etiopia continuera an- cora per altri sei anni. E che il tempo della vanga e dei favolosi raccolti non verra mai. Soltanto Badoglio pué farsi un’idea di cid che accadra nel futuro dell’Etiopia. Soprattutto dopo aver ricevuto, nel pome- riggio del 3 maggio, un telegramma di Mussolini, che dice: « Occupata Addis Abeba, V.E. dara ordini perché: 1) siano fu- La marcia su Addis Abeba 23 cilati sommariamente tutti coloro che in citta o dintorni siano sorpresi colle armi alla mano; 2) siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani etiopici, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi; 3) siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi, incendi; 4) siano sommaria- mente fucilati quanti, trascorse 24 ore, non abbiano consegna- to armi da fuoco e munizioni. Attendo una parola che confer- mi che questi ordini saranno — come sempre — eseguiti».‘” Con queste durissime misure, Mussolini intende fare qual- cosa di piti che punire quanti stanno saccheggiando Addis Abe- ba. Con queste misure, che apriranno un solco incolmabile fra vincitori e vinti, Mussolini gia annuncia la propria filosofia per Vimpero, l’assetto che ha deciso di dargli. E stupisce che questo telegramma, crudele persino nella scelta delle parole, nella ripe- titivita delle condanne, sia sfuggito all’attenzione di Renzo De Felice, il quale, del resto, in tutta la sua opera tende ad ignorare gli aspetti criminali dell’attivita politica del duce. A Badoglio, invece, non sfugge |’estrema severita del telegramma e, anche se si affretta ad assicurare Mussolini che i suoi ordini saranno ese- guiti, medita di lasciare al pitt presto |’Etiopia. Come acutamente osserva Renato Mori, « Mussolini rifiuta- va tanto il sistema dell’assimilazione che quello dell’associazio- ne dei popoli assoggettati ¢ intendeva instaurare sull’Etiopia, come di fatto volle realizzare, un’amministrazione diretta, rigi- da, con chiare intonazioni razziste; tanto quanto voleva dire un’amministrazione destinata a incontrare molto pit il risenti- mento e I’avversione degli indigeni che la loro devozione ».“' La guerriglia anti-italiana si accende infatti subito saldandosi con le operazioni di guerra. E non si spegnera sintantoché un trico- lore sventolera in qualche localita dell’impero. Anche se é al corrente delle difficolta che Badoglio ha incon- trato al passo del Termabér, a partire dal 2 maggio Mussolini spinge il Maresciallo ad accelerare la marcia. Lui stesso é stato pregato dal governo di Parigi di occupare al pit: presto Addis Abeba, dove le legazioni europee sono di continuo attaccate da 24 La guerra d'Etiopia bande armate abissine. Mussolini invita percid Badoglio, che il 3 maggio é ancora fermo a Debra Sina a causa dell’interruzione al Termabér, di far « volare nostri aerei su Addis Abeba per rin- cuorare gli europei raccolti nelle legazioni e intimidire sbandati e saccheggiatori abissini con l’ordine di mitragliare questi ulti- mi ove sia possibile identificarli e raggiungerli. Veda anche se & possibile prendere contatto con Bodard».*? L’indomani, 4 maggio, Mussolini invia al Maresciallo un nuovo dispaccio: «Prego V.E. di disporre per ripetere i voli domattina fin dalla prima ora e per lasciar cadere tre o quattro fucili mitragliatori, con relativo munizionamento, entro il recinto della Legazione di Francia». « Per salvare la colonia europea di Addis Abeba, minacciata dalle truppe sbandate del Negus e rifugiata alla Legazione di Francia, che sostenne un vero assedio — confessera nelle sue me- morie il presidente del Consiglio francese Pierre-Etienne Flan- din — patii l’'umiliazione di sollecitare Mussolini di far avanzare le sue truppe il pitt rapidamente possibile. »** A Mussolini non pare vero di essere spronato ad occupare Addis Abeba da uno dei governi che gli hanno imposto le sanzioni economiche e che lo hanno duramente condannato per la sua avventura afri- cana. Per cui ostenta premura e apprensione per gli europei as- sediati nella capitale etiopica e cerca, come abbiamo visto, an- che di metterli in condizioni di difendersi meglio. Ma in realta egli agisce nel modo pit cinico. Se veramente gli stesse a cuore la loro sorte, gia nella notte del 3 maggio potrebbe far occupare la citta, che é stata raggiunta dagli ascari del generale Sebastia- no Gallina.” Ma noi sappiamo che fin dal 23 aprile Mussolini ha perentoriamente ordinato a Badoglio di « riservare alle trup- pe nazionali» la precedenza nell’occupazione di Addis Abeba. E Badoglio si attiene agli ordini. L’ingresso delle truppe italiane nella capitale viene cosi ritar- dato di due giorni e in questo spazio di tempo muoiono nei disordini di Addis Abeba 14 europei e circa 500 civili etiopici. Ma anche questa strage fa il gioco di Mussolini. L’episodio, in- La marcia su Addis Abeba 25 fatti, ¢ subito sfruttato dalla propaganda fascista per ribadire ancora una volta che l’Etiopia ¢ barbara, capace soltanto di ge- nerare caos. Lo stesso Mussolini, ricevendo il 6 maggio l’amba- sciatore francese Louis-Charles Pineton conte de Chambrun, gli comunica: « L’Italia é obbligata ad impadronirsi del potere. La prova é acquisita che l’Etiopia non é mai stata una nazione. Io non ho cercato un tale epilogo, poiché ero sempre disposto a trattare col Negus e a lasciarlo sul trono ».*° Trascorsa la notte del 4 maggio nella piana fredda di Tullo- fa, sferzata dal vento e dalla pioggia, all’alba del 5 l’autocolonna riprende la marcia. Non mancano ormai che settanta chilome- tri alla meta, ma la pista, macinata dai cingoli dei carri armati e da migliaia di ruote, é ridotta ad un torrente di fango vischioso ed @ quasi impraticabile. Mentre passano lentissime le ore del mattino, Badoglio apprende, dagli ultimi dispacci, che Addis Abeba «é in preda al saccheggio e alle fiamme »;*” che Graziani, occupata Giggiga, punta su Harar e Dire Daua; che Starace é giunto a Bahar Dar, sul Lago Tana, e ha come obiettivo Debra Marcés. Per finire, Mussolini gli telegrafa: «Il monumento a Menelik deve saltare ».“* Cosi anche Adua sara vendicata. Poi, prima di mezzogiorno, le nubi si squarciano e riappare il sole. Il terreno si rassoda e l’autocolonna pué procedere pit rapidamente. Si attraversano ancora due torrenti, il Doba e il Dadi, si supera il passo Sella e, all’improvviso, appare l’'ampia conca di Addis Abeba. « Nelle prime ore del pomeriggio — scri- ve il Maresciallo Badoglio — raggiungevo la testa dell’avanguar- dia della colonna auto-carrata.[...] Alle ore 16 entravo in citta. La marcia, che é stata definita della ferrea volonta, era durata dieci giorni, dieci giorni di passione e di sforzi inauditi. [...] Addis Abeba presentava un ben triste spettacolo; quasi tutte le abitazioni e i negozi, specialmente europei, erano stati sac- cheggiati ed incendiati; gli edifici pubblici distrutti; gli stessi ghebi imperiali devastati; persino i leoni, simboleggianti l’or- mai caduto impero, erano stati uccisi. Una ventata di selvaggia furia devastatrice era passata sulla citta, che appariva ancora nel 26 La guerra d Etiopia massimo disordine, senza servizio alcuno, ingombra di cadave- ri, di carogne, di mobili e di suppellettili sparsi qua e 1a; armati della guardia imperiale in uniforme la percorrevano, impotenti o complici, mentre numerosi colpi di fucile echeggianti per le vie indicavano il persistere del disordine e della violenza. »” Come si ricordera, dopo aver inviato a Mussolini il fatidico telegramma che annuncia il suo ingresso in Addis Abeba, «alla testa delle truppe vittoriose », Badoglio sale a Villa Italia e par- tecipa, sotto la pioggia battente, all’alzabandiera, che vede pioggia e lacrime mescolarsi nel tripudio pit patriottardo della campagna. Poi il vecchio Maresciallo si ritira nell’edificio della Legazione, prende per cena un brodo caldo e va subito a ripo- sare. Quando si sveglia, dopo quattordici ore filate di sonno, tro- va ad attenderlo un fascio di telegrammi. Uno é di Mussolini e dice: « Occupata Addis Abeba occorre: 1) emanare il proclama alla popolazione il cui testo é gia stato telegrafato; 2) cercare di provocare subito una riunione di quei capi religiosi che sara possibile radunare sul posto, e fare ad essi emettere soltanto il voto unanime della popolazione di tutta l’Etiopia di sotto- porsi alla sovranita di S.M. il Re d'Italia. Converra pure, ai fini internazionali, documentare al pitt presto, nel modo che le sara possibile, che nessun potere organizzato era stato lasciato sul posto dal Negus fuggiasco e dal suo governo, e che la capitale é stata trovata da V.E. in stato di completa anarchia ».”° Lindomani, nuovi telegrammi del duce, nuove direttive. Uno recita: «Sabato prossimo 9, in seduta straordinaria del Gran Consiglio, verra approvata la legge per il passaggio dell’E- tiopia sotto la piena sovranita dell’Italia. Sara costituito il vice- reame e Vostra Eccellenza sara il primo vice-Re dell’ Etiopia ita- liana ».°' Mussolini brucia i tempi. Soffre di una premura spa- smodica di offrire della sua conquista, contestata da 52 paesi della Societa delle Nazioni, una parvenza di legalita. Il 9 maggio, mentre prepara la grande manifestazione du- rante la quale annuncera all’Italia e al mondo «la riapparizione La marcia su Addis Abeba 27 dell’Impero sui colli fatali di Roma», Mussolini invia questo nuovo telegramma a Badoglio: « Ringrazio V.E. per aver accet- tato la nomina di governatore generale dell’Etiopia, col titolo di vice-Re. Cid facilita l’avviamento e lo sviluppo del nostro la- voro. Quanto alla licenza e alla venuta a Roma le saré preciso dopo l’arrivo di Lessona ».** Sempre con l’intento di perfezionare la sua conquista, anche dal punto di vista della definizione del titolo da attribuire alla massima autorita dell’impero, I’11 maggio Mussolini invia a Badoglio questo telegramma dopo aver consultato alcuni esperti di araldica: «II titolo di Negus Neghesti, del capo del cessato impero etiopico, non é evidentemente tale da poter es- sere attribuito a S.M. il Re, neppure nelle lingue indigene. V.E. disporra che negli atti ufficiali il titolo di imperatore assunto da S.M. sia tradotto in etiopico: QESAR-ZA-ITIOPIA, ripren- dendo cioé il titolo QESAR dato dagli etiopici agli imperatori di Roma. Analogamente, in arabo, il titolo: QAISA AL-HA- SCIAK ».** Macisono problemi ancora pit contingenti di quelli che in- vestono l’araldica. Sempre nella giornata dell’11 maggio Mus- solini telegrafa a Badoglio: « Per parare sin dall’inizio i terribili enon lontani effetti del meticismo (sic) disponga che nessun italiano, militare o civile, pud restare pit di sei mesi nel vice- reame senza moglie. Autorizzo V.E. a prendere anche altre mi- sure all’uopo. Le segnalazioni avute, anche da parte straniera, rendono urgenti i provvedimenti indicati ».°° Il Maresciallo legge due, tre volte il telegramma e non crede ai propri occhi. Con tutti i problemi che lEtiopia impone, a cominciare dalla stessa sicurezza di Addis Abeba, il cui perime- tro di 39 chilometri @ assolutamente indifendibile con i 20mila uomini giunti nella capitale, Mussolini pensa alla difesa della razza. Badoglio sorride. Il problema del meticciato, comunque, non lo riguarda pit. Mussolini gli ha dato il benestare per il suo rientro in patria. Al neo-Maresciallo Graziani, che é giunto in volo ad Addis Abeba il 21 maggio, dice: « Parto, per ora sot- 28 La guerra d’Etiopia to l’etichetta d’una breve licenza, ma la verita é che non torne- rd. Questa altitudine mi soffoca e non posso respirarci. Volete sapere che cosa ho telegrafato al Capo del Governo? ’Vi ho da- to tutto me stesso, fino all’usura, ma ora liberatemi, perché non ne posso pit’ ». Quindi soggiunge: « Vi proporré al Capo del Governo per le funzioni di Viceré, di Governatore generale e di Comandante superiore delle truppe ».°° L’indomani Badoglio parte in volo per Asmara e il 26 mag- gio lascia definitivamente I’Africa a bordo dell’Arborea. E stato viceré d’Etiopia soltanto per quindici giorni. Secondo una sua vecchia abitudine, intende presentare subito il conto a Musso- lini e strappare, nel momento di maggior popolarita, il mag- gior numero di onori e di ricompense. Tra i primi, il titolo no- biliare di duca di Addis Abeba, con il motto « come falco giun- se».°” Tra le seconde, la sontuosa villa romana di via Bruxelles, del costo di tre milioni di lire. Come hanno giustamente scritto Piero Pieri e Giorgio Rochat, «al suo rientro in Italia, Badoglio condusse lo sfruttamento della grande popolarita di cui godeva con la stessa capacita e sistematicita con cui aveva sviluppato i successi sui campi di battaglia etiopici ».°* 3. Abbiamo assistito al trionfale ingresso del Maresciallo Pietro Badoglio in Addis Abeba ¢ alla sua fulminea partenza per Ro- ma, richiamato dal suo spiccato senso degli affari. Facciamo ora un passo indietro per seguire gli avvenimenti che si succe- dono fra i] 30 aprile 1936, giorno del rientro di Hailé Selassié in Addis Abeba, e il pomeriggio del 5 maggio, quando Bado- glio entra nella capitale. Vediamo ora di fermare la nostra at- tenzione sui primi due giorni, che vedono ancora una volta l'imperatore come protagonista, ma un protagonista esausto, dilaniato dal dilemma pit atroce che un capo di Stato possa porsi: resistere ad oltranza entro i confini dell’Etiopia oppure scegliere l’amara via dell’esilio. «L’Imperatore non voleva abbandonare la capitale. Furono La marcia su Addis Abeba 29 gli altri a spingerlo a farlo — ricorda il colonnello Kosrof Bo- ghossian. — Ancora nella mattinata del 1° maggio aveva fatto tullare i negarit e aveva ordinato a noi della Guardia Imperiale e ai volontari di accamparci a Chola, alle porte della citta, e di attendere li gli ordini per la battaglia. »* Durante la lunga e di- sastrosa ritirata da Mai Ceu, dove il 31 marzo si era combattuta la pil sanguinosa battaglia dell’intera campagna, Hailé Selassié ha infatti maturato alcuni progetti, che non prevedono affatto Pabbandono della lotta. E vero che é ancora scosso dalla bru- ciante sconfitta, che é costata al suo esercito, secondo le stime di Badoglio, pid di ottomila morti,”’ ma ha ancora con sé al- cune migliaia di uomini con i quali confida di bloccare l’inva- sore a Dessié, dove sono state accumulate forti scorte di armi e di viveri e dove il principe ereditario, Asfa Uossen, dispone di altre migliaia di uomini non ancora provati dai combattimenti. Ma a Dessié arriva prima Badoglio, con il corpo d’armata eritreo, che ha percorso in sette giorni 250 chilometri. L’impe- ratore, allora, pensa di fermare gli italiani a Uorra Il, dove é possibile, grazie ad un’altura che domina l’altopiano, opporre almeno una simbolica resistenza. Ma «i capi si rifiutano» di portare al combattimento un’armata composta pit da feriti che da uomini validi.®' La rapidita con la quale le colonne ita- liane avanzano non consente dunque agli etiopici di organizza- re, nei luoghi piti adatti, un minimo di resistenza. E infatti, do- po Uorra Ili, ogni proposito di rivincita viene abbandonato. Il 29 aprile Hailé Selassié raggiunge Ficcé e li si conclude, almeno per lui e il suo seguito, la travagliata ritirata, che si é svolta su un percorso di ben 550 chilometri. Nella stessa notte il Negus prende posto su un’auto e alle 9 del 30 aprile raggiun- ge Addis Abeba, che intende difendere con le forze che gli sono rimaste. In alternativa medita di trasferire il governo a Gore, nella regione dell’Ili Babor, a trecentoventi chilometri dalla ca- pitale. A Gore, dove potrebbero confluire i 100mila uomini ancora in armi, sotto la guida di eccellenti comandanti, quali i ras Im- 30 La guerra d’Etiopia miri e Desté Damtéu e i degiac Nasibti Zamanuel e Bejené Merid, il governo etiopico potrebbe avere, grazie anche all’in- combente stagione delle piogge che non pué che paralizzare le operazioni militari italiane, almeno sei mesi di tempo per pre- parare, indisturbato, una nuova controffensiva. A Gore, infine, gli etiopici potrebbero ricevere dal vicino Sudan, via Gambela, forti quantitativi di armi. Fermamente deciso ad attuare questi progetti — difesa della capitale o trasferimento del governo a Gore — nel pomeriggio del 30 aprile ’'imperatore convoca al vecchio ghebi il Consi- glio supremo, al quale partecipano ventiquattro fra ministri, al- ti dignitari e funzionari del governo. Riconvocato l’indomani, 1° maggio, il Consiglio esamina le due proposte del Negus e, per cominciare, boccia il progetto della difesa ad oltranza di Addis Abeba. Non tanto, come sostiene Hailé Selassié nelle sue memorie, perché si teme che I’aviazione fascista possa ster- minare i 150mila abitanti della capitale con le bombe e con i gas,” ma perché i suoi capi militari, ai quali é affidata la difesa della citta, si rifiutano di combattere accampando ogni sorta di pretesto.°* Tutti, invece, approvano la proposta di trasferire il governo a Gore, e gia nel pomeriggio del 1° maggio l’autocolonna con gli archivi é pronta e non attende che un segnale per partire. Ma poi, all’improvwviso, tutto si complica e si blocca. Nel corso delle discussioni emerge una terza ipotesi, sostenuta da ras Cas- sa Hailt, cugino dell’imperatore e massima autorita in Etiopia dopo il Negus. Egli propone che Hailé Selassié, anziché recarsi a Gore a dirigere la resistenza, si trasferisca subito in Europa, a Ginevra, per rivolgere di persona, dalla tribuna della SDN, un accorato e pressante appello al mondo, in difesa di un paese ag- gredito, martirizzato, avvelenato dai gas. La proposta di ras Cassa Hailt viene approvata a larghissima maggioranza: ventun voti su ventiquattro. Appresa la decisione del Consiglio supremo, Hailé Selassié la respinge sdegnosa- mente. Nessun imperatore d’Etiopia, per quanto perseguitato

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