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IL TEATRO E IL SUO DOPPIO DI ARTAUD

Prefazione di Jacques Derrida: “la danza, e di conseguenza il teatro, non hanno ancora cominciato ad
esistere” sono le parole che si possono leggere in uno degli ultimi scritti di Artaud. Il teatro della crudeltà
non è una rappresentazione, è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile: la vita è l’origine non
rappresentabile della rappresentazione. Vita che porta l’uomo ma che non è in primo luogo la vita
dell’uomo; l’uomo non è che una rappresentazione della vita e tale è il limite del teatro classico: “il teatro
deve farsi uguale alla vita, non alla vita individuale, a quell’aspetto individuale della vita in cui trionfano i
caratteri, ma a una sorta di vita liberata, che spazza via l’individualità umana e in cui l’uomo non è più che
un riflesso.” Come Nietzsche, Artaud vuole rompere con la concezione imitativa dell’arte: “l’arte non è
l’imitazione della vita, ma la vita è l’imitazione di un principio trascendente col quale l’arte ci rimette in
comunicazione.” L’arte teatrale deve essere il luogo primordiale e privilegiato di questa distruzione
dell’imitazione perché più delle altre arti porta il segno di questo sforzo di rappresentazione totale.
Il teatro della crudeltà espelle Dio dalla scena, non mette in scena un discorso ateo o filosofico sulla morte
di Dio, ma produce uno spazio non teologico: la scena è teologica finché resta dominata dalla parola e
finché la sua struttura comporta un autore-creatore di cui la rappresentazione rappresenti le idee ed i
pensieri attraverso dei rappresentanti, come registi e attori; infine, un pubblico passivo e seduto che assiste
ad uno spettacolo privo di volume e profondità autentici. Questa struttura generale non è mai stata
modificata e tutte le rivoluzioni l’hanno lasciata intatta, hanno anzi quasi sempre mirato a proteggerla o a
restaurarla. Per quanto rilievo possano assumere, tutte le forme pittoriche, musicali e gestuali introdotte
nel teatro occidentale non fanno altro, nel migliore dei casi, che illustrare, accompagnare o abbellire un
testo. Agli occhi di Artaud, il teatro classico non è solo l’assenza, la negazione o l’oblio del teatro, non è un
non-teatro ma piuttosto una corruzione, una seduzione o lo scarto di un’aberrazione; è di perversione che
parla Artaud, non di oblio. Artaud afferma che con il termine “crudeltà” non bisogna intendere
necessariamente “sadismo” o “orrore”, ma soprattutto “rigore”, “determinazione” e “sottomissione alla
necessità” (alcuni spettacoli di Artaud sono molto sanguinosi ma non per questo sono crudeli). Nel teatro
della crudeltà la parola non sparirà, sarà presente ma cesserà di dominare la scena, avrà una funzione
specifica e delimitata. L’assenza dell’autore e del suo testo non lascia la scena abbandonata perché tutto
verrà studiato in partenza; il regista e l’attore non riceveranno più un dettato perciò è la fine anche della
dizione che faceva del teatro un esercizio di lettura. La parola e la scrittura ridiventeranno gesti e bisognerà
ritrovare “la Parola che è prima delle parole”. Artaud parla di una materializzazione visuale e plastica della
parola e di servirsi della parola in un senso concreto e spaziale, di manipolarla come un oggetto solido e che
smuove le cose. Con il termine “linguaggio” non si deve intendere soltanto l’espressione del pensiero in
parole, ma anche il linguaggio gestuale e qualsiasi altra specie di espressione dell’attività psichica, come la
scrittura. Artaud descrive il gioco della parola e della scrittura nella scena della crudeltà negli stessi termini
di Freud nella sua interpretazione dei sogni, ma prende le distanze dalla psicoanalisi e dallo psicanalista
perché il teatro della crudeltà è sì un teatro del sogno, ma di un sogno crudele. Senza dubbio è estraneo al
teatro della crudeltà di Artaud: qualsiasi teatro non sacrale; qualsiasi teatro astratto che escluda qualche
cosa dalla totalità dell’arte come musica, danza, volume, profondità, ecc. Un teatro astratto è un teatro in
cui non si manifestala totalità del senso e dei sensi, ma non basta accumulare tutte le arti per creare un
teatro totale che si rivolga all’uomo totale; qualsiasi teatro che dia un primato alla parola o al verbo;
qualsiasi teatro della distanziazione, ossia la non partecipazione degli spettatori, dei registi e degli attori
all’atto creatore (nel teatro della crudeltà lo spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda). Non
c’è più spettatore né spettacolo, c’è una festa e tutte le frontiere che attraversano la teatralità classica
(rappresentato/rappresentante, significato/significante, autore/regista/attori/spettatori, scena/sala,
testo/interpretazione, ecc.) erano sintomi della paura di fronte al pericolo della festa. La festa della crudeltà
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toglie ribalte e ripari e Artaud dice che gli occorrono attori che siano prima di tutto esseri umani, cioè che
sulla scena non abbiano paura della sensazione vera di una coltellata, per loro assolutamente reale;
qualsiasi teatro non politico, infatti la festa deve essere un atto politico e non la trasmissione pedagogica di
un concetto o una visione politico-morale del mondo; qualsiasi teatro ideologico, di cultura, di
comunicazione e di interpretazione che cerchi di trasmettere un contenuto, di infondere un messaggio
(quale che ne sia la natura, politica, religiosa, psicologica, ecc.). Il teatro della crudeltà, oltre ad essere uno
spettacolo senza spettatori, è anche una parola senza uditorio. La ripetizione era il male secondo Artaud e
quindi la dissolve in generale; questa potenza della ripetizione ha vari nomi: Dio, l’Essere, la Dialettica.
Artaud decide di chiamare il suo libro Il teatro e il suo doppio perché se la vita doppia il teatro, il teatro
doppia la vera vita. Per Artaud la festa della crudeltà non dovrebbe avere luogo che una volta. Questi erano
tutti i temi dell’infedeltà verso Artaud e da essi si capisce che la fedeltà è impossibile, infatti non c’è oggi un
teatro nel mondo che risponda al desiderio di Artaud.

Nota bio-bibliografica: per quanto riguarda la vita di Artaud non si sa molto, un po' perché avvolti
dall’oscurità della natura stessa delle sue vicende (viaggi, periodi di internamento in clinica) e un po'
perché, nelle sue lettere, fonte principale delle informazioni sulla sua biografia, non si capisce quali siano le
parti del mito o dell’invenzione; sulle testimonianze dirette di amici e collaboratori pesa il fascino esercitato
dal pensiero di Artaud e dalla sua personalità. La situazione è analoga dal punto di vista bibliografico.
Antonin Artaud nasce a Marsiglia il 4 settembre 1896 da una famiglia di commercianti. Della sua infanzia
pare non gli piacesse parlare infatti non si sa molto. Intorno al 1915 fu colto dai primi dolori di origine
nervosa così passò del tempo in alcuni luoghi di cura e le sue condizioni migliorarono, così, sotto consiglio
dei medici, si trasferì a Parigi dove collaborò a lungo con la Nouvelle Revue Francaise e recitò alla Comedie
des Champs-Elysees sotto la direzione di Hebertot. Tra il 1922 e il 1923 lavorò con Dullin per il Theatre de
l’Atelier e successivamente aderì al movimento surrealista, dal quale poi venne espulso. Nel 1927 ebbero
inizio le prove del Theatre Alfred Jarry con Vitrac e in quegli anni, Artaud si dedicò anche al cinema ma
ricominciarono anche i dolori fisici e psichici accompagnati dall’assunzione di oppio. Nel 1931 poté assistere
ad una rappresentazione del Teatro Balinese e ne trasse la rivelazione di una dimensione completamente
nuova e diversa del teatro. Per tentare una sperimentazione delle sue idee sul teatro Artaud si decise a
scrivere un testo drammatico completo: I Cenci, tragedia in quattro atti che andò in scena per la prima
volta nel 1935 con Artaud come regista e protagonista, ma che fu un insuccesso. L’anno successivo si
imbarcò alla volta del Messico alla ricerca di un’esperienza decisiva. Una volta rimpatriato, si orientò verso
l’astrologia, i tarocchi e le conoscenze esoteriche e tutto questo lo portò a compiere un viaggio in Irlanda
(credeva che il suo bastone fosse appartenuto a San Patrizio, patrono irlandese), al ritorno dal quale fu
rinchiuso in manicomio per nove anni. Nel 1946 fu rilasciato e continuò a scrivere e a disegnare. Morì il 4
marzo 1948 a Ivry.

Il Teatro Alfred Jarry: 1926. Il teatro è un’arte interamente fondata su un potere d’illusione e il teatro ideale
è qual luogo da cui gli spettatori escono scossi e sconvolti dal dinamismo interno dello spettacolo, l’illusione
non si fonderà più sulla verosimiglianza o l’inverosimiglianza dell’azione, ma sulla forza comunicativa e la
realtà di quest’azione. Primo anno – Stagione 1926-27. Uno spettacolo che si ripete ogni sera sempre
uguale non ottiene più il consenso del pubblico, bisogna che esso creda a ciò che vede, che lo spettacolo sia
unico e sembri irripetibile come qualunque atto nella vita vera. Bisogna che lo spettatore abbia la
sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza. Il teatro è qualcosa di
imponderabile che non si adatta al progresso. Stagione 1928. Il Teatro Alfred Jarry si rivolge a tutti coloro
che nel teatro non vedono uno scopo ma un mezzo, infatti il teatro non sarà più quella cosa chiusa, limitata
entro lo spazio ristretto del palcoscenico, ma tenderà ad essere veramente un atto: un lavoro o una

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messinscena saranno sempre riveduti in modo che gli spettatori, tornando dopo alcune sere, non avranno
mai lo stesso spettacolo sotto gli occhi. Il Teatro Jarry romperà quindi col teatro e saranno abolite le basi di
questo e una messa in scena sarà avvincente come un gioco a cui partecipano anche gli spettatori. Il Teatro
Jarry cercherà di tradurre ciò che la vita dimentica, dissimula o che è incapace di esprimere. Tutto ciò che
non è rappresentabile così com’è sarà escluso dal palcoscenico e ciò che invece apparirà sulla scena sarà
sempre considerato in modo letterale, niente assumerà mai apparenza di scenario. Il Teatro Jarry non
illustra la vita, ma tende a continuarla. 1929. Il Teatro Alfred Jarry è stato fondato nella primavera del 1927
in reazione al teatro e per restituire a quest’ultimo quella libertà totale che esiste nella musica, nella
poesia, nella pittura, ecc. e come primo spettacolo ha dato Les Mysteres de l’Amour di Roger Vitrac. Non
tutti conoscono le difficoltà che aveva il Teatro Jarry e che di fatto erano il non avere una compagnia né un
locale. Non si ricercavano l’arte e la bellezza, ma l’emozione interessata. 1930. Il Teatro Alfred Jarry,
consapevole della sconfitta del teatro di fronte lo sviluppo dilagante della tecnica, si propone con mezzi
specificatamente teatrali di contribuire alla distruzione del teatro, coinvolgendo in tale distruzione tutte le
idee letterarie o artistiche, tutte le convenzioni psicologiche, ecc., su cui questo teatro è fondato. Dal 1927
al 1930 il Teatro Jarry ha dato quattro spettacoli superando le massime difficoltà, soprattutto l’ostilità
pubblica e cioè la ricerca di capitali, la scelta della sede, la difficoltà della collaborazione (gli attori sono
introvabili perché in maggioranza sono impegnati in spettacoli regolari), la censura, la polizia, il sabotaggio
sistematico, la concorrenza, il pubblico e la critica. Gli spettacoli, dato che sono rivolti ad un pubblico
francese, saranno chiari e misurati evitando lungaggini filosofiche, lirismo, sottointesi, ecc. ma ci saranno
anzi dialoghi brevi, personaggi tipici, movimenti rapidi, atteggiamenti stereotipati, canzonette, ecc. I temi
sono l’attualità, lo humour in tutte le sue forme (ironia) e il riso assoluto fino alle lacrime. Oltre a emozioni
come gioia, paura, amore, patriottismo, piacere del delitto, ecc., il Teatro Jarry si specializzerà sul
sentimento della vergogna, l’ultimo e più temibile ostacolo alla libertà, e rinuncerà a tutti i mezzi che hanno
a che fare con le superstizioni come sentimenti religiosi, patriottici, occulti, poetici, ecc. inoltre, rinuncia ad
elencare tutte le influenze frammentarie che ha subito come il teatro elisabettiano, Cechov, ecc. per
soffermarsi soltanto sugli esempi indiscutibili forniti dai teatri cinese, negro-americano e sovietico. Come in
passato, le scene e gli accessori saranno reali e concreti, formati da oggetti e elementi preso da ciò che li
circonda, mentre i personaggi saranno indirizzati verso un tipo teatrale e gli attori si faranno sempre una
maschera. Il Teatro Jarry vorrebbe riportare nel teatro il senso, non della vita, ma di una certa verità che
giace nel più profondo dello spirito. Si è perduto il senso della realtà vera del teatro, dai cervelli umani è
scomparsa la nozione di teatro, essa esiste solo a metà strada tra realtà e sogno. Il teatro attuale
rappresenta la vita, cerca con scene più o meno realistiche di restituirci la verità corrente della vita, oppure
coltiva l’illusione. Il teatro è una realtà falsa.

L’Atelier di Charles Dullin (1921): con la creazione dell’Atelier, Dullin affronta i gravi problemi del
risanamento morale ed intellettuale del teatro francese, in quel momento infatti non c’era quasi niente che
potesse essere chiamato teatro. I nuovi metodi inventati da Dullin hanno lo scopo di costituire un piccolo
nucleo di attori perfettamente disciplinati, che fossero al corrente delle esigenze del loro mestiere e
soprattutto coscienti. Di questi metodi, il principale è l’improvvisazione che costringe l’attore a pensare gli
impulsi dell’anima invece che rappresentarli. Prima di tutto, Dullin chiede ai suoi allievi il rispetto della
propria arte perché l’Atelier non è un’impresa, è un laboratorio di ricerche.

Il Teatro dell’Atelier (1922): esistono due teatri, un falso teatro facile e fittizio, il teatro dei borghesi, dei
militari, dei benestanti, dei commercianti e mercanti, ecc. che ha sede ai Boulevards e alla Comedie-
Francaise, ed un altro teatro che è concepito come il compimento dei più puri desideri umani. L’Atelier di

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Dullin è la più ardente concezione di piccole compagnie di giovani attori che si raccolgono un po' ovunque e
si sforzano di far rivivere Moliere, Shakespeare, ecc. L’Atelier non pretende di inventare nulla, vuole
soltanto sforzarsi di servire il teatro e tenderà a ritrovare tutto il teatro passato e il teatro avvenire.
L’Atelier ha metodi di lavoro che gli sono propri perché la compagnia lavora di continuo anche fuori dalle
prove e ogni attore ridiventa alunno sotto la guida di Dullin: sentire, vivere, pensare realmente, questo
dev’essere lo scopo del vero attore. Gli artisti dell’Atelier sono esercitati nel rappresentare certi
atteggiamenti, caratteri, manie, oppure sentimenti astratti, elementi come il vento o il fuoco, o addirittura
vegetali, sogni, ecc. e tutto all’improvviso, senza testo, con poche parole, senza indicazioni e soprattutto
senza preparazione, improvvisando tutto.

Artaud 1934: sta preparando lo spettacolo Atreo e Tieste che reciterà in un ambiente extra-teatrale così il
vecchio dramma riacquisterà il suo significato e la sua attualità, egli vuole tentare di restituire il teatro alla
sua autentica destinazione attraverso una tragedia mitica. In questo modo il teatro smette di essere un
gioco, lo svago di una serata effimera, per diventare un atto utile e far ritrovare al pubblico il gusto di
vivere. Artaud vuole dunque rifare del teatro una specie di suggestione collettiva capace di ricondurre ad
una pace esterna da cui trarranno giovamento tutti quanti.

Il teatro e la cultura: ogni vera cultura si fonda sui mezzi barbari e primitivi del totemismo, la cui vita
selvaggia e spontanea è quella che Artaud vuole esaltare. Ciò che ha fatto perdere il senso della cultura è
l’idea occidentale dell’arte: arte e cultura non possono andare d’accordo, contrariamente a quanto in
genere si pretende. Ai moderni concetti estetici e disinteressati, una cultura autentica contrappone una
nozione magica ed interessata; come ogni cultura magica, anche il vero teatro ha le sue ombre e fra tutti i
linguaggi e tutte le arti è il solo le cui ombre abbiano superato i loro limiti. Il teatro, che non consiste in
nulla, ma che si serve di tutti i linguaggi (gesti, suoni, parole, luci, grida) nasce proprio nel momento in cui lo
spirito per manifestarsi ha bisogno di un linguaggio; ma fissarsi su un tipo di linguaggio porta alla
limitazione perciò per il teatro, come per la cultura, ciò che conta è dare un nome alle ombre e guidarle,
distruggendo quelle false.

Il teatro e la peste: l’azione del teatro, come la peste, può essere considerata un’autentica epidemia. Il
teatro è come la peste non solo perché agisce su importanti collettività e le sconvolge, ma anche perché in
esso, come nella peste, c’è qualcosa di vittorioso ed insieme vendicatore. Essi prendono dei gesti estremi e
li spingono fino al limite, una vera opera teatrale scuote il riposo dei sensi, libera l’inconscio. Come la peste,
il teatro è dunque un formidabile appello a forze che riportano lo spirito alla fonte dei suoi conflitti; il teatro
essenziale è come la peste non perché è contagioso, ma perché come la peste è la rivelazione, è il
momento del male, il trionfo delle forze oscure (es. Peccato che sia una sgualdrina di Ford). Il teatro, come
la peste, libera possibilità e sprigiona forze, e se queste sono nere la colpa non è del teatro o della peste,
ma della vita. Il teatro, come la peste, è una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione e se la peste
è una malattia, anche il teatro lo è, però l’azione del teatro, come quella della peste, è da una parte
benefica perché fa cadere la maschera e mette a nudo la menzogna e l’ipocrisia.

La messa in scena e la metafisica: Artaud afferma che il quadro di Luca di Leida, Le figlie di Lot, che si trova
al Louvre, è ciò che dovrebbe essere il teatro. Il dialogo non appartiene specificatamente alla scena, ma al
libro e, secondo Artaud, la scena è un luogo fisico e concreto, destinato ai sensi e indipendente dalla parola,
perciò, per esprimersi, ha bisogno di un linguaggio fisico, concreto e materiale che consiste in tutto ciò che
occupa la scena o che può manifestarsi ed esprimersi materialmente su una scena, rivolgendosi anzitutto ai
sensi. Alla poesia del linguaggio si può sostituire una poesia dello spazio, capace di creare immagini
materiali equivalenti alle immagini delle parole. Questa poesia assume parecchi aspetti, anzitutto quelli di
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tutti i mezzi di espressione utilizzabili su un palcoscenico, come la musica, la danza, la plastica, la
pantomima, la mimica, la gesticolazione, le intonazioni, l’architettura, l’illuminazione e la scenografia. Una
forma di questa poesia spaziale è propria del linguaggio dei segni e dei gesti, tipico delle pantomime non
pervertite, ossia la pantomima diretta, in cui i gesti, invece di rappresentare parole o frasi, rappresentano
idee ed atteggiamenti in modo concreto ed effettivo. Nel teatro contemporaneo ad Artaud, questo
linguaggio di segni e di mimica, questa pantomima silenziosa, questi atteggiamenti, questi gesti, queste
intonazioni, tutto questo è ciò che egli considera teatrale nel teatro. Artaud dice che un teatro che
subordini regia e spettacolo, ossia tutto ciò che in esso c’è di teatrale, al testo, è un teatro di pazzi, o meglio
di occidentali, infatti è la regia a costituire teatro molto più che il testo scritto e parlato. Egli sa
perfettamente che gesti, atteggiamenti, musica e danza sono meno efficaci per illustrare il carattere di un
personaggio, raccontare i pensieri ed esporre gli stati d’animo rispetto al linguaggio verbale, ma il teatro
non è fatto solo per illustrare la psicologia dei personaggi. Il teatro contemporaneo è in decadenza perché
ha perduto da una parte il senso del serio, dall’altra quello del comico e dell’autentico umorismo. Il teatro
occidentale è di tipo psicologico, mentre quello orientale è di tipo metafisico; fare la metafisica del
linguaggio, dei gesti, della scenografia, della musica dal punto di vista teatrale significa considerarli in
rapporto a tutti i modi in cui possono entrare in contatto col tempo e con il movimento; fare la metafisica
del linguaggio articolato (dialogo) significa indurlo ad esprimere ciò che di solito non esprime, significa
servirsene in modo nuovo, eccezionale, significa ribellarsi al linguaggio.

Il teatro alchimistico: sia l’alchimia, sia il teatro sono arti virtuali, tali da non contenere in sé stesse né il loro
obiettivo né la loro realtà. Tutti i veri alchimisti sanno che il simbolo alchimico è un miraggio come lo è il
teatro. Se si pone la questione delle origini del teatro, troviamo da un lato, quello metafisico,
l’esteriorizzazione di una sorta di dramma essenziale che contiene i principi essenziali di ogni dramma.

Sul teatro Balinese: lo spettacolo del teatro Balinese, fatto di danza, di canto, di pantomima, e pochissimo
di psicologia, riporta il teatro ad un piano di creazione autonoma e di sgomento. I Balinesi realizzano con
estremo rigore l’idea di teatro puro, in cui tutto vale ed esiste esclusivamente nella misura in cui si
oggettiva la scena e mostrano anche l’assoluta preponderanza del regista, la cui capacità creativa elimina le
parole. I temi sono vaghi, astratti, estremamente generici. Il linguaggio utilizzato non è la lingua parlata ma
il linguaggio teatrale composto da musica, gesti, movimenti e anche parole, inoltre non esiste transizione
tra gesto, suono e grido, tutto si fonde insieme. I gesti rituali obbediscono ad indicazioni musicali ben
precise. È un teatro che elimina l’attore a profitto del regista e negli spettacoli del teatro Balinese c’è
qualcosa che supera il divertimento, cioè quel carattere di passatempo inutile ed artificioso tipico del teatro
occidentale; lo spazio scenico è utilizzato in tutte le sue dimensioni e su tutti i piani possibili; il suono è la
rappresentazione di un’altra cosa.

Teatro orientale e teatro occidentale: la novità del teatro Balinese è stata quella di rivelare un’idea fisica e
non verbale del teatro, secondo la quale quest’ultimo sta entro i limiti di tutto ciò che può avvenire sul
palcoscenico indipendentemente dal testo scritto. Per gli occidentali la parola a teatro è tutto e non esiste
possibilità d’espressione all’infuori di essa; il teatro è un ramo della letteratura, una sorta di applicazione
sonora del linguaggio. L’idea della supremazia della parola nel teatro è talmente radicata che esso di appare
un semplice riflesso materiale del testo e tutto ciò che a teatro va oltre il testo, che non rimane entro i suoi
limiti e non ne è condizionato, sembra appartenere al campo della regia, considerata come qualcosa di
inferiore rispetto al testo. Data questa soggezione del teatro alla parola, ci si chiede se il teatro non
possegga un linguaggio proprio e, ammesso che esso esista, si identificherà con lo spettacolo inteso come
materializzazione visuale e plastica della parola e come il linguaggio di tutto ciò che si può dire e
rappresentare su un palcoscenico indipendentemente dalla parola, di tutto ciò che trova espressione nello
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spazio o che può venirne influenzato o disgregato. Considerando questo linguaggio dello spettacolo il
linguaggio teatrale puro, bisogna capire se può aspirare allo stesso obiettivo della parola e del linguaggio
articolato, ossia se è in grado di far pensare. Il teatro deve rompere con l’attualità, il suo scopo non è di
risolvere conflitti sociali o psicologici (come nel teatro occidentale), ma di esprimere obiettivamente verità
segrete. Non si tratta di sopprimere a teatro la parola, ma di modificarne la funzione e soprattutto di
ridurne l’importanza.

Basta con i capolavori: bisogna farla finita con questa idea dei capolavori riservati ad una presunta élite e
incomprensibili alla folla; i capolavori del passato vanno bene per il passato, ma non per il presente. È
stupido rimproverare alle masse di non avere il senso del sublime, infatti se la folla contemporanea non
capisce più Edipo re, Artaud dice che è di Edipo re la colpa e non della folla, Sofocle dice forse cose sublimi,
ma in un modo che non è del tempo di Artaud. Bisogna riconoscere che ciò che è stato detto non è più da
dire perché appartenente ad epoche estinte e destinate a non tornare mai più; un’espressione non vale
due volte e ogni parola pronunciata è morta, un po' come nel teatro che è il solo luogo al mondo dove un
gesto fatto non si ricomincia due volte. Se la folla non accorre ai capolavori letterari è perché essi, essendo
letterari, sono congelati nel tempo e in forme che non corrispondono più al tempo presente. Se la folla si è
disabituata ad andare a teatro, se tutti sono arrivati a considerare il teatro un’arte inferiore, un mezzo
volgare di distrazione e di sfogo, ciò accade perché è stato troppo spesso ripetuto che era teatro, ossia
menzogna ed illusione, e perché ci si è ingegnati a far vivere sulla scena degli esseri plausibili ma distaccati,
con lo spettacolo da una parte ed il pubblico dall’altra (lo stesso Shakespeare è responsabile di questa
decadenza del teatro). Per questo Artaud propone un teatro della crudeltà, che non va inteso come
“sangue”, ma piuttosto come un teatro difficile e crudele prima di tutto per l’autore stesso e in cui lo
spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda; fondamentali sono i suoni e le luci e il teatro è ben
lontano dal voler copiare la vita.

Il teatro e la crudeltà: un’idea di teatro si è perduto ed è normale che l’élite lo abbandoni e che le masse
vadano a cercare nel cinema, nella rivista e nel circo soddisfazioni capaci di non deludere. La lunga
abitudine agli spettacoli di evasione ha fatto dimenticare al pubblico l’idea di un teatro serio. Nel primo
manifesto del Teatro della Crudeltà, si afferma di voler ricorrere allo spettacolo di massa, facendo del
teatro una realtà alla quale si possa credere, uno spettacolo totale, in cui il teatro riprenda il cinema, il
music-hall, il circo e la vita stessa. Il teatro, perché esige l’espressione nello spazio, permette all’arte e alle
parole di agire nella loro totalità, perciò non si potrà tornare al teatro precedente se prima non gli verrà
reso il suo linguaggio: invece di tornare a testi ritenuti sacri bisogna spezzare la soggezione del teatro al
testo per ritrovare la nozione di un linguaggio a metà tra gesto e pensiero. Il teatro deve ricercare con tutti i
mezzi una riaffermazione non soltanto di tutti gli aspetti del mondo oggettivo e descrittivo esterno, ma
anche del mondo interiore. Intorno alla regia, intesa non come semplice specchio di un testo sulla scena,
ma come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale, si costituirà il linguaggio tipico del teatro. Solo
nell’impiego di questo linguaggio scomparirà l’antico dualismo tra autore e regista, sostituiti da una sorta di
creatore unico a cui spetterà la doppia responsabilità dello spettacolo e dell’azione. Il linguaggio cifrato e la
trascrizione musicale saranno preziosi come mezzi per trascrivere le voci e le intonazioni devono costituire
una sorta di armonioso equilibrio; i gesti simbolici, le maschere, gli atteggiamenti, i movimenti individuali o
d’insieme i cui significati costituiscono una parte importante del linguaggio concreto del teatro saranno
raddoppiati. Gli strumenti musicali saranno usati come oggetti e come elementi scenografici. La scena e la
sala vengono soppresse in favore di una sorta di luogo unico senza divisioni e non ci sarà scenografia,
basteranno a tal fine i personaggi, i costumi, gli strumenti e gli oggetti di scena. L’attore è un elemento di
primaria importanza perché dall’efficacia della sua interpretazione dipende il buon esito dello spettacolo.

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Senza un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo, non esiste teatro. Il teatro, arte autonoma ed
indipendente, per risorgere, o anche soltanto per vivere, deve sottolineare ciò che lo differenzia dal testo,
dalla parola pura, dalla letteratura e da ogni altro mezzo scritto. Nel teatro orientale non esiste un
linguaggio della parola, ma un linguaggio dei gesti, degli atteggiamenti, dei segni e ha lo stesso valore
comunicativo dell’altro. Nel secondo manifesto, viene ribadito che il Teatro della Crudeltà è nato per
restituire al teatro un’appassionata concezione di vita, esso sceglierà temi e soggetti cosmici ed universali
che corrispondano all’agitazione e all’inquietudine tipiche dell’epoca e saranno portati direttamente in
scena e materializzati in gesti, movimenti ed espressioni, prima di essere filtrati in parole; il teatro si
rivolgerà all’uomo totale, non all’uomo sociale sottomesso alle leggi. Le immagini ed i movimenti non
saranno usati soltanto per il piacere esteriore degli occhi o delle orecchie, ma anche e soprattutto per
quello più segreto dello spirito e silenzi, grida e ritmi condurranno alla creazione di un autentico linguaggio
fisico fondato sui segni e non sulle parole. Il primo spettacolo del Teatro della Crudeltà avrà per titolo La
Conquete du Mexique e metterà in scena avvenimenti, non persone; questo argomento è stato scelto per
la sua attualità e per tutte le possibili allusioni a problemi di vitale importanza per l’Europa e per il mondo
perché, da un punto di vista storico, questo spettacolo pone il problema della colonizzazione e pone anche,
implicitamente, il problema della superiorità di certe razze su altre, inoltre, di fronte al disordine della
monarchia europea del tempo, pone in luce la monarchia azteca basata su principi spirituali: ci sono
anzitutto le lotte interiori di Montezuma, il tormentato re di cui non si sa molto accanto al quale c’è la folla,
i diversi strati sociali, la rivolta del popolo.

Un’atletica affettiva: l’attore è simile ad un vero e proprio atleta fisico, ma all’organismo atletico
corrisponde in lui un organismo affettivo, parallelo all’altro e quasi il suo doppio: l’attore è un atleta del
cuore perché è con esso che pensa. Quando l’atleta si appoggia per correre, l’attore si appoggia per urlare
una battuta, quindi la sua corsa è proiettata verso l’interno. Il corpo dell’attore è sostenuto dal respiro, il
respiro del lottatore o dell’atleta si sostiene sul corpo; più la recitazione è sobria e contenuta, più il respiro
è ampio e denso, viceversa a una recitazione impetuosa corrisponde una respirazione ad ansiti brevi; è
certo che ad ogni sentimento, ad ogni movimento dello spirito, corrisponde un respiro che gli è proprio. Il
respiro ha sempre tre tempi ed è accompagnato dallo sforzo e può essere maschio o femmina (più
raramente androgino).
Il Teatro di Seraphin era un teatro di ombre cinesi introdotto a Parigi nel 1781 e attivo fino al 1870.

Artaud espresse la sua ammirazione verso le forme orientali di teatro, in particolare quello balinese.
L'ammirazione ispiratagli dalla fisicità ritualizzata e codificata della danza balinese gli ispirò le teorie esposte
nei due manifesti del Teatro della Crudeltà. Per crudeltà non intendeva sadismo, o causare dolore, ma
intesa come pura catarsi. Per poter giungerla, si deve ricorrere a tutto ciò che possa disturbare la sensibilità
dello spettatore, provocando in lui una sensazione acuta di disagio interiore per cui vivesse con agitazione
tutta la rappresentazione proposta. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l'esercitare una tirannia
sullo spettacolo, ed in sua vece spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso
piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola. "Il teatro è prima di tutto
rituale e magico", scriveva Artaud, "non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di
irrappresentabile".

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SCRITTI TEATRALI DI BERTOLT BRECHT

Esprimere il mondo d’oggi per mezzo del teatro: pochi si rendono conto della sempre maggiore difficoltà di
esprimere il mondo moderno nel teatro e Brecht afferma che il mondo moderno può essere espresso anche
per mezzo del teatro, purché sia visto come un mondo trasformabile.

Il teatro moderno è il teatro epico: forma drammatica del teatro = attiva, involge lo spettatore (passivo) in
un’azione scenica, egli partecipa, ne esaurisce l’attività, gli consente di provare sentimenti, emozioni e
suggestioni, le sensazioni vengono conservate, l’uomo si presuppone noto e immutabile, un dato fisso, una
scena serve l’altra, c’è tensione riguardo l’esito, il corso degli accadimenti è lineare, si ha il determinismo
evoluzionistico, il pensiero determina l’esistenza; forma epica del teatro = narrativa, fa dello spettatore un
osservatore che sta di fronte e studia, però ne stimola l’attività, lo costringe a prendere decisioni e ad una
visione generale, le sensazioni vengono spinte fino alla consapevolezza, l’uomo è oggetto di indagine, è
mutabile e modificatore ed è frutto di un processo, ogni scena sta per sé, il corso degli accadimenti è a
curve, si hanno dei salti, l’esistenza determina il pensiero e al sentimento si sostituisce la ratio. La musica
nell’opera drammatica = serve, esalta ed afferma il testo, illustra, dipinge la situazione psichica; la musica
nell’opera epica = è mediatrice, interpreta e presuppone il testo, prende partito, indica il comportamento.
Era da tempo che si tentava di rinnovare l’opera senza stravolgerla: dal divertimento si doveva trarre
qualcosa di istruttivo, ma il testo non doveva essere sentimentale o moraleggiante, bensì mostrare la
sentimentalità e la morale; l’esposizione di immagini autonome in una rappresentazione teatrale era una
novità. Senza dubbio, certi desideri del pubblico che la vecchia opera soddisfaceva in pieno, nella nuova
opera non vengono tenuti in considerazione.

Letterarizzazione del teatro: L’opera da tre soldi mette in questione le concezioni borghesi non solo come
contenuto dell’opera, ma anche per il modo in cui le rappresenta, è ciò che lo spettatore vuole che il teatro
gli mostri della vita, però egli vede anche alcune cose che non vorrebbe vedere, come i suoi desideri
realizzati e criticati, perciò è in grado di assegnare al teatro una nuova funzione.
L’attore quando canta compie un mutamento di funzioni e i tre piani, discorso corrente, discorso elevato e
canto, devono sempre essere distinti l’uno dall’altro; per quanto riguarda la melodia, egli non dovrà
seguirla ciecamente, infatti esiste un modo di parlare contro la musica che è indipendente dal ritmo.
I cartelli sui quali vengono proiettati i titoli delle scene sono un primitivo avvio alla letterarizzazione del
teatro, ossia sostituire al figurato il formulato, e rendono possibile un nuovo stile da parte dell’autore, lo
stile epico.

Efficacia mediata dal teatro epico: nella prima rappresentazione della Madre, la scena non doveva produrre
l’illusione di un luogo reale, essa prendeva posizione in base a ciò che accadeva e si limitava ad indicare
oggetti che avevano una parte nell’azione. A New York, su un grande schermo nello sfondo si proiettavano
testi ed immagini che restavano visibili per tutta la scena, di modo che questo schermo avesse anche
carattere di quinta. Il teatro epico raggruppa le persone sulla scena nel modo più semplice, più atto a
rendere chiaramente visibile il senso degli avvenimenti. Si possono collocare in sala dei piccoli cori che
mostrino allo spettatore il modo giusto di comportarsi, lo incitino a formarsi un’opinione e ad avvalersi
della propria esperienza. Questo tipo di opera drammatica non-aristotelica, che si serve dei principi
interpretativi di un teatro di nuovo genere, e precisamente del genere epico, utilizza da una parte la tecnica
del teatro borghese all’apice del suo sviluppo, dall’altra quella di piccole compagnie drammatiche
proletarie. Una questione importante è quella della semplificazione: per poter mostrare il comportamento
dei personaggi del dramma in modo chiaro, sono necessarie alcune semplificazioni, ma semplicità non
significa primitività. Poiché l’attenzione dello spettatore viene diretta principalmente al comportamento dei
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personaggi, ogni singolo gesto dell’attore deve essere tipico e significativo. Per questo è necessario che agli
avvenimenti e alle frasi sia dato un rilievo capace da imprimerli nella memoria.

Il teatro epico: quando si parlava di teatro moderno, si faceva riferimento ai teatri di Mosca, New York e
Berlino (più raramente a quelli di Parigi e Londra) che si differenziavano nettamente tra loro, ma avevano in
comune un carattere: quello di essere moderni, ossia di applicare innovazioni tecniche ed artistiche. In
tempi più recenti, il teatro berlinese parve tuttavia svolgere una funzione di guida su tutti gli altri paesi
perché in esso, ciò che è comune al teatro moderno, riuscì ad esprimersi più forte; questa fase del teatro
berlinese, nonché l’ultima, corrisponde al teatro epico: tutto quello che prese i nomi di dramma
contemporaneo, stile scenico di Piscator o dramma didattico, appartiene al teatro epico. Il termine “teatro
epico” apparve a molti contradditorio, in quanto, secondo l’insegnamento di Aristotele, la forma epica e
quella drammatica venivano considerate come assolutamente diverse. La differenza non era tanto che una
fosse rappresentata da esseri viventi, mentre l’altra si valeva del libro, infatti opere epiche come i poemi
omerici erano anche rappresentati teatralmente, e drammi come il Faust di Goethe erano molto efficaci
come libri. La differenza stava nelle tecniche che dipendevano dal diverso modo in cui le opere venivano
presentate al pubblico, una mediante la scena, l’altra mediante il libro. Nonostante questo, era possibile
che opere epiche contenessero elementi drammatici e viceversa. La scena cominciò a raccontare, non era
più un semplice sfondo che stava dietro agli avvenimenti della ribalta. Anche gli attori cominciarono a
cambiare e a mantenere un distacco dal personaggio interpretato fino a produrne una critica. La
rappresentazione non doveva consentire allo spettatore di abbandonarsi mediante la semplice
immedesimazione ad emozioni incontrollate e, inoltre, sottoponeva le vicende ad un processo di
straniamento necessario alla comprensione. Lo spettatore del teatro drammatico, quindi, vive le stesse
emozioni dell’eroe, per lui è tutto evidente, mentre lo spettatore del teatro epico si stupisce, per lui niente
è ovvio e tutto è sorprendente.

Il teatro didattico: la scena incominciò ad avere l’efficacia di un insegnamento; il petrolio, l’inflazione, la


guerra, le lotte sociali, la famiglia, la religione, ecc. diventarono oggetto di rappresentazione teatrale. Ci si
cominciò però a chiedere che fine avrebbe fatto il divertimento, dato che imparare è sempre stato visto
come qualcosa di utile ma anche spiacevole e noioso, in realtà però esistono persone con un grande
entusiasmo per lo studio che perciò hanno la possibilità di studiare e di imparare divertendosi. Il teatro
rimane teatro, anche se è teatro d’insegnamento, e, se è un buon teatro, è anche divertente.

Teatro e scienza: un forte luogo comune è quello di credere che arte e scienza siano due cose
completamente diverse e Brecht non dice il contrario, ma afferma che egli non riesce a lavorare come
artista senza servirsi di un certo bagaglio scientifico, ad esempio un campo importante per gli autori di
teatro è la psicologia, ma molti credono che non ci sia bisogno per gli scrittori di studiare questo campo,
basta guardare dentro di sé ed usare un po' di fantasia. Il contenuto scientifico che può essere contenuto in
un’opera poetica, deve essere completamente risolto in poesia.

Il teatro epico come istituzione morale: secondo Schiller, il teatro deve essere un’istituzione morale e a quel
tempo il pubblico non aveva nulla da obiettare contro un teatro moralistico; solo dopo, Nietzsche disse che
occuparsi di morale era deprimente e non ne voleva sentir parlare. Molti accusarono il teatro epico di esser
troppo moralistico, nonostante in esso le considerazioni morali fossero solo secondarie e ci si dedicasse più
che altro allo studio e alla ricerca.

Sorgere del teatro epico: da un punto di vista stilistico, il teatro epico non è nulla di nuovo, anzi riprende
molto dall’antico teatro asiatico e anche il teatro classico spagnolo e quello gesuita presentano tendenze

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didattiche come quello epico. Questi teatri erano legati a tendenze delle loro epoche e decaddero col
passare di esse, perciò il teatro epico moderno, che anch’esso ha le sue particolari tendenze, non può
sorgere dappertutto: solo in pochi luoghi e per poco tempo sono esistite condizioni favorevoli alla nascita
del teatro epico con fini pedagogici perché le grandi città come Londra, Berlino, Parigi, Roma, Tokio, ecc.
non tendono a discutere i loro problemi sulla scena teatrale, hanno tutt’altri scopi.

Effetti di straniamento nell’arte scenica cinese: si tendeva a far recitare gli attori in maniera da rendere
impossibile allo spettatore immedesimarsi sentimentalmente con i personaggi del dramma. Lo sforzo di
creare un distacco tra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si poteva già iniziare a riscontrare nelle
recite teatrali delle vecchie fiere popolari (es. il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere
dei baracconi da fiera provocavano un’azione di straniamento). L’effetto di straniamento sulla scena cinese
si ottiene grazie all’ uso di una grande quantità di simboli (es. certi gesti delle mani indicano lo spalancarsi
di una porta), perché l’attore cinese non recita come se esistesse una quarta parete, anzi sottolinea la sua
consapevolezza di esser visto, inoltre l’artista si guarda, guarda le sue braccia e le sue gambe, misura lo
spazio di cui dispone per la sua esibizione, separa la mimica dalla gestica e il comportamento del corpo di
rispecchia nell’espressività del viso che è come un foglio bianco sul quale l’attore può scrivere il gesto del
corpo. L’attore si sforza di sembrare strano e sorprendente allo spettatore e ci riesce considerando da
estraneo sé stesso e la sua esibizione. L’attore contempla sé stesso, compie un atto di auto straniamento,
che impedisce allo spettatore l’immedesimazione totale, essa avviene sotto un’altra forma: l’osservatore si
immedesima nell’attore in quanto essere che osserva. Agli occidentali, la tecnica teatrale cinese può
sembrare fredda, ma in realtà l’artista cinese rappresenta vicende sentimentali e passionali che però si
guarda bene di imporre al pubblico. L’attore occidentale fa di tutto per avvicinare, e quindi far
immedesimare, il più possibile lo spettatore alle vicende e ai personaggi da rappresentare. Questa azione ti
totale metamorfosi è però molto faticosa e, col tempo, si riduce ad una semplice imitazione esteriore di
atteggiamenti, con conseguente indebolimento dell’effetto sul pubblico, perciò Stanislawskij crea un
sistema per cui ogni volta l’attore deve essere in grado di ricostruire da capo il suo personaggio. L’artista
cinese, invece, non conosce simili difficoltà, egli rinuncia alla metamorfosi totale e si limita a citare il
proprio personaggio. Il far riemergere ogni sera determinate emozioni o stati d’animo, costituisce per
l’artista un grave sforzo, mentre è molto più semplice eseguire i segni esteriori che accompagnano tali
emozioni; con ciò ovviamente, non si trasferiscono queste emozioni allo spettatore, anche perché
attraverso i segni esteriori l’attore non crea davvero dentro di sé l’emozione da rappresentare, ma agevola
dentro di sé il sentimento. L’effetto di straniamento non si basa su una recitazione artificiosa, anzi al
contrario dipende proprio dalla fluidità e naturalezza sulla scena. L’artista cinese non si trova in stato di
trance, come gli artisti occidentali, ed in ogni momento può essere interrotto senza perdere il filo, infatti
dopo l’interruzione riprenderà a recitare dal punto dove si era interrotto, questo perché non lo si è
interrotto nel momento in cui plasmava il suo personaggio (come capiterebbe se si interrompesse un attore
occidentale), questo era già nato quando egli si era presentato alla ribalta. Nel teatro tedesco, la tecnica
dello straniamento è stata sviluppata in modo indipendente rispetto all’arte scenica asiatica: esso veniva
provocato, nel teatro epico tedesco, non solo per mezzo degli attori, ma anche della musica e della
scenografia (cartelli, proiezioni, ecc.). Un teatro nuovo dovrà perciò avvalersi dell’effetto di straniamento.

La scena di strada: dopo la guerra mondiale, alcuni teatri tedeschi sperimentarono un tipo di recitazione
relativamente nuova che si chiamò epica. L’attore si distanziava dal personaggio raffigurato e presentava le
situazioni drammatiche in una prospettiva tale che lo spettatore veniva portato a considerarle in modo
cristico. I partigiani di questo teatro epico sostenevano che così la comprensione dei nuovi temi, come
quello dei processi delle lotte di classe, sarebbe stata facilitata. Brecht fa un esempio molto semplice di

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teatro epico elementare: un testimone oculare di un incidente stradale mostra ad un gruppo di persone
come è andata la vicenda e, sia che rappresenti il comportamento dell’autista, sia del pedone investito o
addirittura di entrambi, deve farlo in modo che gli altri si facciano un’opinione sull’incidente. Non che il
relatore imiti per intero il comportamento dei suoi personaggi, ma solo quel tanto che permette agli astanti
di farsi un’immagine del fatto. Si deve riconoscere però che all’imitazione ci sono dei limiti, essa infatti è un
riassunto, o meglio uno scorcio. In teatro, l’attore deve restare dimostratore, ossia deve rendere il
personaggio rappresentato come una persona a lui estranea, non deve trasformarsi completamente nella
persona che dimostra; non dimentica mai, e non permette allo spettatore di dimenticare, che egli non è la
persona rappresentata, ma colui che la rappresenta: semplicemente le opinioni e le reazioni di colui che
rappresenta e di colui che viene rappresentato sono fatte coincidere. Nella scena di strada, che è una
dimostrazione, manca l’illusione, ha carattere di ripetizione, infatti il dimostratore ripete ciò che è accaduto
e lo fa in modo naturale. Uno degli elementi fondamentali del teatro epico, che è utile anche nell’esempio
della scenetta in strada, è l’effetto di straniamento, che ha lo scopo di permettere allo spettatore una
critica efficace dal punto di vista sociale. Il teatro epico ha il suo modello all’angolo di una strada, nel senso
che si riferisce agli elementi più semplici del teatro naturale, e questo modello non ha bisogno si motivare
l’arte drammatica, questo non vuol dire però che il teatro non si interessi dell’arte. In realtà, il teatro epico
è qualcosa di altamente artistico e riesce difficile immaginarlo senza artisti e senza arte, persino la
dimostrazione in strada comprende elementi artistici ed ogni uomo possiede capacità artistiche, anche se
in piccola misura. Simpatia, umorismo, fantasia sono cose, fra le tante, di cui non si può far a meno,
specialmente il teatro, perciò non c’è differenza tra il teatro epico naturale ed il teatro epico artistico: il
teatro epico è teatro altamente artistico, i suoi soggetti sono complicati e le sue finalità sociali sono vaste.

Nuova tecnica dell’arte drammatica: la condizione essenziale perché si potesse usare l’effetto di
straniamento allo scopo di far assumere allo spettatore un atteggiamento d’indagine e di critica nei
confronti della vicenda esposta, era che il pubblico non fosse “ipnotizzato” o “stregato” dalla recitazione,
che quindi non cadesse in trance. Per fare ciò viene abolita la quarta parete e gli attori possono anche
rivolgersi al pubblico. Di solito, il contatto tra il pubblico e la scena avviene per mezzo
dell’immedesimazione, tecnica completamente opposta a quella di straniamento, che l’attore non deve
abolire del tutto, infatti può servirsene come qualunque persona priva di ambizioni drammatiche per
riprodurre il comportamento di un’altra persona (questo avviene quotidianamente senza la minima
intenzione, da parte di chi imita, di creare nei propri spettatori un’illusione di verità). Tutto ciò che l’attore
sulla scena non fa, dovrà essere racchiuso in ciò che fa, così ogni gesto o battuta sarà una decisione: questo
procedimento è detto del “non così, ma così” ed è molto simile a ciò che Mejerchol’d chiamava “rifiuto”,
ossia che per fare un passo a destra bisognava prima farne uno a sinistra. L’attore sulla scena non dà luogo
alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, egli non è il personaggio, ma mostra il
personaggio e cerca di riprodurre il suo modo di comportarsi, ma non tenta di convincere sé e gli altri di
essere incarnato nel personaggio. L’attore recita il suo testo non come colui che improvvisa, ma come chi fa
una citazione e lo stesso vale per i gesti. Per realizzare al meglio lo straniamento, esiste una grammatica: la
trasposizione alla terza persona, la trasposizione al tempo passato ed il pronunciare ad alta voce didascalie
e commenti. Queste “tecniche” servono all’attore per tenersi a distanza, così viene straniata la recitazione
stessa. Per quanto riguarda invece lo straniamento del testo, basta ricorrere ad una dizione precisa e
trasformare la poesia, e quindi i versi, in prosa o, nel caso della prosa, tradurre il testo nel dialetto
dell’attore. Il sentimento deve essere esteriorizzato, venire alla luce, essere perciò sviluppato nel gesto: da
un gesto di particolare eleganza e forza scaturisce poi lo straniamento. L’attore deve proporre allo
spettatore la vicenda nel modo in cui egli pensa possa essersi svolta o potrebbe svolgersi nella realtà, non
nasconde di averla appresa studiando, come un acrobata non nasconde di essersi esercitato, anzi sottolinea
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che quella è la sua opinione in merito alla vicenda. Un espediente tecnico decisivo è la storicizzazione, ossia
l’attore deve recitare la vicenda come una vicenda storica, cioè come un fatto che si verifica una sola volta,
connesso con una determinata epoca. L’attore deve riuscire a compiere una presa di distanza verso gli
avvenimenti del presente (come lo storico fa con gli avvenimenti del passato), deve cioè straniare quei fatti
e quelle persone. Fatti e persone della vita di ogni giorno hanno qualcosa di naturale, perciò vengono
straniati per renderli inusuali.

Note sul teatro popolare: generalmente il teatro popolare è teatro grezzo e senza troppe pretese, un po'
come certi regimi desiderano che sia il popolo: grezzo e senza pretese. Questo tipo di teatro è
caratterizzato da burle grossolane e facile sentimentalità, di moralità rozza e sensualità a buon mercato; i
cattivi sono puniti, mentre i buoni si sposano e la tecnica utilizzata è internazionale e pressoché invariabile.
Sembra vano voler far rivivere il vecchio teatro popolare, in quanto esso si è completamente impantanato
ed oltretutto non ha mai conosciuto una vera e propria fioritura. Intorno al 1930 venne creata una rivista
teatrale letteraria che propone un nuovo tipo di teatro popolare: meno ingenuità, si evitano le situazioni
convenzionali e si prediligono quelle grottesche, la trama quasi non esiste perché viene sostituita da
siparietti vagamente collegati fra loro, viene ripresa l’allegoria. Si deve trovare uno stile di recitazione
artistico e naturale perché due erano gli stili che si incontravano e coesistevano nel teatro del tempo: lo
stile elevato, elaborato per grandi opere poetiche e drammi; e lo stile naturalistico che si può dire abbia
integrato quello elevato. Il livello culturale di un teatro si misura dal grado in cui quel teatro riesce a
superare il contrasto tra la recitazione “nobile” ed elevata ma anti realistica, e quella realistica ma spesso
volgare: un teatro di vera cultura non acquista il realismo rinunciando alla bellezza artistica.

Effetto intimidatorio dei classici: la freschezza originaria delle opere classiche viene perduta insieme a
quello che un tempo era il loro aspetto nuovo e sorprendente che ne costituiva una caratteristica
essenziale. Un’altra conseguenza che ne deriva, solitamente estranea ai classici, è una grande noia che
viene spesso combattuta con effetti nuovi e sensazionali mai visti che però sono di natura formalistica,
vengono cioè sovrapposti ed imposti all’opera e al suo contenuto (come quando si vuole insaporire della
carne vecchia con delle spezie). Quando si vuole mettere in scena un classico, bisogna vedere l’opera come
nuova e non attenersi a come si è sempre vista, però non bisogna neanche sforzarsi di trovare innovazioni
formali ed estetiche estranee all’opera stessa. L’effetto intimidatorio dei classici è provocato da una
concezione errata della classicità di un’opera: la grandezza dei testi classici risiede nella grandezza umana.
La tradizione scenica del teatro ha sostituito all’autentico pathos un “finto” pathos, all’ideale
l’idealizzazione, insomma ci fu un enorme svuotamento.

Breviario di estetica teatrale:


1. Teatro, vecchio o moderno che sia, consiste nel produrre rappresentazioni vive di fatti umani tramandati
o inventati al fine di ricreare.
2. Vi si potrebbero includere anche gli avvenimenti tra uomini e dei, ma anche accettando questa
estensione, la funzione più nobile e generale del teatro resterebbe il divertimento.
3. Compito del teatro, come di tutte le alte arti, è di ricreare la gente; non lo si nobiliterebbe facendolo
diventare il mercato della morale e non bisogna neanche imporgli l’obbligo di insegnare, il teatro deve
poter rimanere una cosa superflua, un divertimento.
4. Quando si dice che il teatro ha la sua origine nel culto, si dice che divenne un teatro per selezione; anche
la purificazione attraverso l’orrore e la pietà, di cui parlava Aristotele, avveniva allo scopo di divertire;
esigere di più dal teatro significa disprezzare il suo vero fine.
5. Anche quando si distingue un genere elevato da uno volgare di divertimenti, l’arte vuol essere lasciata in
pace mentre fa divertire la gente.
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6. Ci sono dei divertimenti deboli, o semplici, e dei divertimenti forti, o composti, che il teatro può
ricercare; questi ultimi sono quelli della grande arte drammatica, sono più complessi, più suggestivi, più
contraddittori e ricchi di conseguenze.
7. I divertimenti delle diverse epoche furono ovviamente diversi a seconda del modo di convivenza degli
uomini.
8. A seconda delle diverse epoche e dei diversi luoghi, i personaggi mutavano e le situazioni venivano
inquadrate in altre prospettive.
9. Le raffigurazioni avevano poco di verosimigliante a ciò che veniva raffigurato, però l’inesattezza
disturbava poco purché l’inesatto avesse una certa consistenza ed il verosimile fosse coerente; bastava che
si creasse, attraverso qualunque procedimento poetico o teatrale, l’illusione che quella data vicenda non
poteva essersi svolta altrimenti.
10. Tra i tanti modi di rappresentare importanti vicende umane è sorprendente la quantità di quelli che,
malgrado le inesattezze, hanno divertito e divertono ancora oggi.
11. Se si pensa che oggi si apprezzano molto rappresentazioni di epoche così diverse, mentre coloro che
vivevano in quelle epoche non avevano questa capacità di apprezzamento, ci si chiede se forse si debbano
ancora scoprire tutti i peculiari divertimenti di quest’epoca.
12. L’apprezzamento che procura oggi il teatro deve essersi indebolito in confronto a quello degli antichi e
questo perché adesso ci si appropria delle vecchie opere tramite il procedimento dell’immedesimazione,
cui esse non si prestano troppo quindi il divertimento è alimentato da diverse fonti rispetto a quelle degli
antichi, ci si attiene alla bellezza della lingua, all’eleganza con cui si svolge la vicenda e agli artifizi poetici e
teatrali; i teatri non hanno più la capacità di raccontare in modo chiaro le vicende.
13. Sono le incongruenze nelle rappresentazioni di fatti umani che diminuiscono l’apprezzamento del teatro
e questo perché, di fronte ai fatti rappresentati, l’atteggiamento di oggi è diverso rispetto a quello degli
antichi.
14. Nella ricerca di un divertimento immediato, il piacere pieno e completo che il teatro potrebbe
procurare col rappresentare la convivenza sociale, bisogna pensare a sé stessi come ai figli di un’era
scientifica; le scienze determinano la convivenza sociale, ossia la vita.
15. Qualche centinaio d’anni fa, alcune persone in luoghi diversi tentarono degli esperimenti coi quali
speravano di strappare alla natura i suoi segreti e trasmisero le loro invenzioni ad altre persone, così ben
presto l’umanità utilizzò energie che prima di allora non si immaginava neanche.
16. Diversi elementi della terra, come l’acqua, il petrolio e il carbone si trasformarono in tesori; l’ambiente
andava trasformandosi quasi di giorno in giorno.
17. Le nuove scienze hanno reso possibile ma mutabilità dell’ambiente, ma lo spirito scientifico non anima
tutti in modo decisivo; il nuovo modo di pensare non ha penetrato le grandi masse e questo perché la
borghesia ha impedito alle scienze di trovare applicazione in un altro campo, quello nei rapporti reciproci
degli uomini nella sottomissione e nello sfruttamento della natura.
18. In realtà, oggi i rapporti degli uomini fra di loro sono più impenetrabili che mai e solo alcuni traggono
qualcosa di utile dallo sfruttamento della natura, ma questo sfruttando altri uomini; quello che potrebbe
essere il progresso di tutti diventa vantaggio di pochi.
19. La nuova scienza ha per oggetto lo studio della società e sorse dalla lotta degli oppressi contro i loro
oppressori (la borghesia si ribella all’aristocrazia).
20. Lo scopo della scienza e dell’arte è di entrambe di agevolare la vita degli uomini, l’una curandosi del loro
mantenimento, l’altra della loro ricreazione; l’arte potrebbe cominciare ad attingere il divertimento proprio
dalla scienza, la quale potrebbe divenire essa stessa il diletto più grande.
21. Si cerca di capire quale dovrebbe essere l’atteggiamento nei confronti della natura e della società se si
ci si volesse dedicare alla passione del produrre.
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22. Sarà un atteggiamento critico attraverso cui si invita ad andare a teatro senza dimenticare i propri
interessi e con lo scopo di affidare il mondo ai cuori e ai cervelli di chi va, cosicché lo trasformino.
23. Il teatro potrà assumere un atteggiamento libero solo se saprà adeguarsi alle tendenze della società,
infatti basta il desiderio di sviluppare l’arte in accordo coi tempi in cui si vive per spingere il teatro dell’era
scientifica dai centri alle periferie, metterlo a disposizione delle grandi masse cosicché si distraggano dai
loro problemi; il teatro deve impegnarsi nella realtà per poi produrre immagini efficaci di essa.
24. Questo facilita al teatro l’accostamento allo studio e all’insegnamento che sono un divertimento perché
è in grado di influenzare la società attraverso un vero e proprio gioco.
25. A quel punto, il teatro potrà far godere ai suoi spettatori la particolare moralità della loro epoca, quella
che deriva dalla produttività.
26. Gli spettatori in una sala hanno i muscoli tesi, quasi non comunicano fra loro, hanno gli occhi aperti ma
non guardano, fissano la scena come ammaliati.
27. Il mondo che viene raffigurato a teatro è messo in scena con elementi così scarsi, tanto che è
ammirevole come i teatranti, servendosi di così poco, riescano a commuovere i loro uditori ben più
violentemente di quando non riesca a commuoverli il mondo stesso.
28. La scusa utilizzata dalla gente di teatro è che il divertimento che essa vende in cambio di gloria e
denaro, non potrebbe produrlo con immagini del mondo più esatte; i personaggi principali devono
rimanere generici affinché lo spettatore possa più facilmente identificarsi in essi; la sola cosa importante
per gli spettatori è di poter scambiare un mondo contraddittorio con un mondo armonioso.
29. Questo teatro è stato in grado di trasformare i figli dell’era scientifica, in una massa ammaliata.
30. Ci sono state rappresentazioni della convivenza umana un po' più fedeli e personaggi che si sono
ribellati contro certi abusi della società e contro la struttura sociale.
31. I teatri continuavano a rimanere luoghi di svago per una classe che si limitava al campo scientifico e non
a quello dei rapporti umani.
32. Ci si comincia ad accorgere che non si ha accesso a tutto, molte cose sono tenute dietro un sipario.
33. Il teatro mostra la struttura della società (quella riprodotta sulla scena) come non influenzabile dalla
società (quella seduta nella sala).
34. La società in quanto ambiente appare più problematica, però non si può ottenere più di quello che ci dà
l’ambiente stesso.
35. Serve un teatro che non consenta soltanto le sensazioni, le intuizioni e gli impulsi propri a quel limitato
campo storico dei rapporti umani in cui si svolge l’azione, bensì applichi e produca quei pensieri e quei
sentimenti che hanno una funzione loro propria.
36. Questo campo deve poter essere caratterizzato nella sua relatività storica, ossia smetterla di spogliare
le varie strutture sociali di epoche passate delle loro diversità per renderle tutte simili alla propria, la quale
prende così l’aspetto di una cosa sempre esistita, cioè eterna; bisogna mantenere la loro diversità ed il loro
carattere transitorio.
37. Se si fanno agire i personaggi sulla scena come mossi da forze sociali diverse secondo le diverse epoche,
si ostacola lo spettatore ad abbandonarsi all’ambiente scenico e quando si rappresentano in luce storica
lavori ispirati al proprio tempo, anche le condizioni che determinano le sue proprie azioni potranno
apparirgli nel loro carattere particolare e questo è l’inizio della critica.
38. Queste condizioni storiche non si devono però immaginare o realizzare come forze oscure, perché sono
solo gli uomini a crearle e a mantenerle e saranno gli uomini a trasformarle, esse nascono proprio grazie a
quello che avviene sulla scena.
39. La figurazione storica avrà in sé tracce di altri movimenti e di altri tratti.
40. Figurazioni simili richiedono una recitazione che consenta libertà e mobilità allo spirito dello spettatore.
41. Lo spettatore dovrebbe poter vedere sulla scena i fatti che avvengono incorniciati da accenni ed echi.
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42. L’effetto di straniamento è la raffigurazione che lascia riconoscere l’oggetto, ma al tempo stesso lo fa
apparire estraneo; il teatro antico e quello medioevale straniavano i loro personaggi per mezzo di maschere
umane e animali, mentre quello asiatico usa ancora oggi effetti di straniamento musicali e mimici che
ostacolano l’immedesimazione.
43. I vecchi effetti di straniamento sottraggono in modo assoluto la cosa raffigurata alla presa dello
spettatore, la presentano come fatalità; quelli nuovi non hanno niente di bizzarro.
44. Per far sì che fatti naturali appaiano come fatti problematici si deve riuscire a far sviluppare in sé un
occhio estraneo; questo sguardo del teatro deve meravigliare il suo pubblico e a tanto può giungere
mediante una tecnica che stranii ciò che è famigliare.
45. Una tecnica che consenta al teatro di sfruttare, nelle sue rappresentazioni, il metodo della nuova
scienza sociale, la dialettica materialistica, ossia quel metodo che, per concepire la società nel suo moto,
considera le condizioni sociali come processi ed osserva tali processi nella loro contraddittorietà; ciò vale
anche per i sentimenti, le opinioni e i comportamenti degli uomini nei quali si esprime sempre il particolare
modo della loro convivenza sociale.
46. È una caratteristica peculiare dell’era moderna quella di concepire ogni cosa in modo da poterla
trasformare, ad esempio l’uomo non deve restare così com’è, bisogna vederlo come potrebbe essere, ecco
perché il teatro deve straniare ciò che mostra.
47. Per produrre effetti di straniamento, l’attore deve lasciare da parte tutto quello che ha imparato al fine
di ottenere che il pubblico si immedesimi nel suo personaggio, non deve recitare con i muscoli tesi e la
dizione deve essere priva di cantilene che fanno perdere il senso delle parole, tutto questo perché non deve
ipnotizzare il pubblico, ma neanche sé stesso.
48. L’attore non deve mai, neanche per un attimo, trasformarsi nel suo personaggio, egli deve limitarsi a
mostrarlo; ciò non significa che se deve rappresentare un personaggio passionale, egli debba restare
impassibile, ma i suoi sentimenti non dovrebbero comunque essere quelli del suo personaggio, altrimenti
anche lo spettatore identificherà i propri sentimenti con quelli del personaggio.
49. Per rendere il processo più “profano”, l’attore sul palcoscenico deve riuscire a rendere artistico anche
l’atto del mostrare, ad esempio accompagnando questo atto con un gesto.
50. Un altro modo per rendere il processo profano è modificare il modo in cui l’attore comunica ciò che
rappresenta, ad esempio come non si deve indurre il pubblico a credere che sulla scena non agisca l’attore,
ma il personaggio inventato, così non gli si deve far supporre che quanto succede sulla scena non sia stato
elaborato, ma stia succedendo per la prima ed ultima (unica) volta; l’attore racconta, rappresentandole, le
vicende del suo personaggio e ne sa più di lui.
51. Straniare un personaggio così da farne “proprio quel personaggio” e “proprio quel personaggio in quel
dato momento” sarà possibile solo qualora si eviti di creare l’illusione che l’attore si identifichi col
personaggio e la rappresentazione con l’avvenimento.
52. “io agisco così” si è mutato in “io ho agito così” e, di conseguenza, “egli ha agito così” diventa “egli ha
agito così e non altrimenti”.
53. Durante le prove, l’attore potrà anche servirsi dell’immedesimazione, ma solo come uno dei tanti
metodi di osservazione, anche perché sulla scena è da evitare dato che è estremamente primitiva; nelle
prove però, essa è utile dato che ha portato il teatro contemporaneo ad un alto grado di interpretazione
dei caratteri; l’unità del personaggio si forma dal modo in cui le singole caratteristiche si contraddicono.
54. L’osservazione è un elemento fondamentale dell’arte drammatica, l’attore osserva gli altri uomini con
tutti i muscoli e tutti i nervi, in un atto di imitazione che è al tempo stesso un processo mentale, ossia se si
limita ad imitare, al massimo riproduce la cosa osservata e questo non basta; per giungere dalla copia alla
figurazione, l’attore guarda le persone come se gli raccomandassero di riflettere su quello che fanno.
55. Senza opinioni e intenzioni non si può raffigurare e senza conoscere non si può mostrare nulla, quindi se
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l’attore non vuole essere un pappagallo o una scimmia, deve appropriarsi delle nozioni del suo tempo circa
la convivenza umana, col partecipare alla lotta di classe.
56. Un altro elemento fondamentale dell’arte drammatica è la scelta della posizione e bisogna sceglierla al
di fuori del teatro; al pari di quella della natura, la trasformazione della società è un atto di liberazione ed è
la gioia che nasce da tale liberazione ciò che il teatro di un’era scientifica dovrebbe comunicare.
57. Assumendo la posizione, l’attore deve leggere la sua parte non troppo in fretta anche se trova subito il
tono più naturale, questo perché il personaggio non deve tanto convincere il pubblico quanto sorprenderlo.
58. L’attore studierà insieme agli altri attori, costruirà il suo personaggio insieme agli altri personaggi poiché
la più piccola unità sociale non è un uomo, ma due uomini, infatti anche nella vita ci costruiamo a vicenda.
59. Per giovare alla verosimiglianza della vicenda, gli attori dovrebbero ogni tanto scambiarsi le parti
durante le prove, cosicché i personaggi ricevano gli uni dagli altri ciò di cui hanno bisogno.
60. L’attore impara molto di più su sé stesso dal modo di agire che gli altri personaggi gli consentono.
61. Gli atteggiamenti che i personaggi prendono gli uni dagli altri rientrano nell’ambito “gestuale”,
l’atteggiarsi del corpo, il tono della voce, l’espressione del viso, ecc. sono determinati da un gesto sociale,
ossia fatto da uomini verso altri uomini.
62. L’attore si impadronisce del suo personaggio seguendone criticamente le molteplici reazioni, come pure
quelle dei suoi antagonisti e di tutti gli altri personaggi del dramma.
63. Un’opera moderna dove si mostra bene il contenuto gestuale è Vita di Galileo dello stesso Brecht.
64. Attraverso il materiale gestuale, l’attore si impadronisce del personaggio nello stesso tempo in cui si
impadronisce della vicenda.
65. Tutto dipende dalla vicenda, essa è il cuore della manifestazione teatrale, dato che proprio da quello
che succede tra gli uomini, essi stessi conoscono tutto ciò che può essere discutibile, criticabile e mutabile;
la grande impresa del teatro è la vicenda, la composizione complessiva di tutti i processi gestuali.
66. Ogni singolo avvenimento ha un proprio gesto fondamentale; la bellezza della rappresentazione, cioè
della disposizione e dei movimenti dei personaggi sulla scena, deriverà innanzitutto dall’eleganza con cui il
materiale gestuale sarà presentato e sottoposto al giudizio del pubblico.
67. I singoli avvenimenti devono essere collegati in modo che i nodi dell’azione diano nell’occhio, non
devono susseguirsi inavvertitamente, bisogna invece che lo spettatore possa intervenire col suo giudizio tra
uno e l’altro; le parti della trama si devono dunque accuratamente contrapporre tra loro, dando a ciascuna
la sua propria struttura di piccolo dramma nel dramma; a straniare il tutto basta il fatto che lo spettatore si
domandi se e in quale misura è desiderabile che un dato processo diventi un’usanza.
68. Che cosa e come si debba straniare dipende dall’interpretazione che si vuol dare alla vicenda e nel far
questo, il teatro potrà difendere gli interessi della sua epoca.
69. Ogni progresso con cui si emancipa la produzione della natura, portando ad una modificazione della
società allo scopo di migliorare la propria sorte, procura sempre un senso di trionfo e di fiducia, oltre che
quel piacere che sta nel riconoscere la mutabilità di tutte le cose.
70. Compito del teatro è di interpretare la vicenda e comunicarla al pubblico attraverso appropriati
straniamenti e non è l’attore che deve far tutto, anche se nulla deve essere fatto senza riferirsi a lui, la
vicenda viene interpretata, prodotta ed esposta dal teatro nel suo insieme, dagli attori, agli scenografi, dai
truccatori e costumisti, ai musicisti e coreografi.
71. Negli intermezzi musicali rivolti al pubblico, il gesto generale del mostrare viene accentuato dalle
canzoni, perciò gli attori dovrebbero evitare di sconfinare dalla recitazione al canto.
72. Il musicista ritrova la sua libertà quando non è più costretto a creare atmosfere che consentano al
pubblico di abbandonarsi agli avvenimenti scenici, mentre lo scenografo ritrova la libertà quando né
costruire il luogo dell’azione, è esentato dal produrre l’illusione di una stanza o di un paesaggio.
73. Anche la coreografia ritrova compiti di carattere realistico; un trae tutto dal gesto non può fare a meno
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della coreografia; l’eleganza di un movimento, la grazia di una disposizione scenica, ecc. conseguono un
effetto di straniamento e l’invenzione pantomimica è di grande utilità per la vicenda.
74. Tutte le arti dell’arte drammatica si uniscono non per creare un’opera d’insieme in cui tutte si annullino
o si disperdano, ma perché ognuna di esse, insieme all’arte drammatica, dia a suo modo impulso e sviluppo
all’opera comune e il loro rapporto reciproco sarà proprio quello di straniarsi a vicenda.
75. Ricreare i figli dell’era scientifica è compito delle arti drammatiche.
76. Si deve consegnare al pubblico ciò che si è costruito durante le prove mostrando che la figurazione è
una cosa finita e con piena coscienza affinché, in piena coscienza, possa essere ascoltata.
77. Le rappresentazioni dovranno cedere il passo alla cosa rappresentata e nel suo teatro lo spettatore può
divertirsi grazie al lavoro che gli procura da vivere e conservare la sua produttività nel modo più lieve,
poiché, dei vari modi d’esistenza, il più lieve è l’arte.

La dialettica nel teatro: la Weigel doveva interpretare il giovane Horder in Battaglia invernale, un dramma
in cui lei non riusciva a trovare il tono giusto, soprattutto in una determinata scena, così che tutto ciò che
veniva dopo era stravolto. L’espressione “trovare il tono giusto”, però, rivela un modo non giusto di
recitare; per lei il tono giusto non è il tono di voce naturale. Ella non dovrebbe fissare dei toni, bensì il
comportamento del suo personaggio, indipendentemente dai toni, anche se a volte può esistere un nesso
con essi; più importante di tutto è il suo atteggiamento rispetto al personaggio che interpreta, perché è
esso che determina il comportamento del personaggio medesimo.
Di fronte all’interpretazione usuale, che tende a creare l’effetto dell’immedesimazione nel personaggio, lo
spettatore è portato al godimento di un piacere tutto particolare, ossia quello del trionfo
dell’indistruttibilità di un personaggio ricco di forza vitale e perseguitato dalla calamità della guerra.
All’attiva partecipazione di Madre Coraggio alla guerra non viene data grande importanza, per lei è una
fonte di guadagno, forse anche l’unica. Madre Coraggio è vista soprattutto come madre che non riesce a
proteggere i suoi figli dalla fatalità della guerra; nonostante la guerra è qualcosa di assolutamente negativo,
Madre Coraggio le sopravvive. La Weigel, interpretava Madre Coraggio come se la guerra fosse la sua
naturale fonte di lucro, come se fosse il tempo ideale per i commerci, come un’enorme contraddizione.

Sul teatro di ogni giorno: gli artisti che fanno teatro in grandi edifici, con luci artificiali, di fronte alla folla
silenziosa, dovrebbero ricercare ogni tanto anche il teatro che si svolge in strada, il teatro d’ogni giorno,
quello dai mille aspetti, senza gloria, ma anche vivace, terrestre, il teatro che si alimenta dalla convivenza
degli uomini. Non bisogna imitare come fanno la scimmia o il pappagallo, ossia soltanto a scopo imitativo,
indifferenti all’oggetto che imitano e solo per mostrare che sanno imitare a dovere; non bisogna
trasformarsi mai nella persona che si imita, non si condividono sentimenti ed opinioni.

Come valersi non servilmente di un modello di regia:


1. Il completo sfacelo materiale e spirituale ha prodotto una generica sete di novità; anche l’arte viene da
più parti spronata verso nuove vie, però, dato che sussiste la paura del ritorno del vecchio che si unisce a
quella dell’instaurazione del nuovo, gli artisti non devono fidarsi ciecamente dell’affermazione che ogni
novità sia da accogliere positivamente. La rapida decadenza della tecnica teatrale sotto il nazismo si verificò
quasi del tutto inavvertitamente; le distruzioni subite dai teatri sono molto più evidenti di quelle avvenute
nel campo della recitazione, perché le prime hanno coinciso con il crollo del nazismo, mentre le seconde
con la sua ascesa.
2. La drammaturgia ellenica cerca di riservare, grazie a determinati straniamenti, soprattutto attraverso i
cori, una certa zona libera alla speculazione, ma non si trattava di evocare lo spirito degli antichi.
3. Un modello deve essere un misto di tipo e archetipo, di imitabile e di inimitabile; attenersi
semplicemente ad un modello significa non ammettere altro che l’unico, l’originale. L’attore non deve per
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forza attenersi fedelmente al modello, anzi può escogitare delle varianti, purché siano più simili al vero e
artisticamente più soddisfacenti, è in quel momento che l’allievo si fa maestro ed il modello si trasforma.
4. Nella messa in scena dell’Antigone, gli attori siedono a vista sulla scena e solo quando entrano nel campo
di recitazione (che è molto illuminato) assumono gli atteggiamenti prescritti per i loro personaggi, così che il
pubblico non possa credersi trasportato sul luogo dell’azione, ma si senta invitato ad assistere alla
presentazione di un’antica tragedia, pur se in parte restaurata e modernizzata.
5. Per ciò che riguarda lo stile dell’esecuzione, è giusto ciò che dice Aristotele, ossia che il cuore della
tragedia è la vicenda; i movimenti dei personaggi devono servire a narrare la vicenda: questo è il compito
dell’attore. Il teatro non è l’ancella dell’autore, ma della verità.
6. L’attore era un dimostratore che doveva evitare la totale immedesimazione con il personaggio; anche le
maschere dovevano narrare qualcosa per questo erano molto colorate. Il ritmo era molto veloce.
7. Lo studio del modello è intralciato dal fatto che contiene in sé molto di casuale e provvisorio, facendo
riferimento in particolare a tutto il settore della mimica, nel quale gli attori, tranne la Weigel, dovevano fare
i conti con i più diversi stili possibili, senza averne uno proprio.

Fare uso dei modelli di regia: il direttore del Teatro di Wuppertal, E. A. Winds, chiede a Brecht se, per lo
spettacolo che sta allestendo, Madre Coraggio, far uso dei modelli di regia da lui riportati sia di ostacolo alla
libertà artistica e Brecht gli risponde che lo spettacolo può anche essere rappresentato nella maniera
tradizionale, ma si vanificherebbe così la sua funzione sociale. Brecht dice che prima di fare un modello
proprio, bisogna averne copiato uno, perciò Winds chiede se adottando un modello di regia vada perduta
una certa libertà artistica e Brecht risponde che questo è inevitabile nell’epoca in cui vivono. A questo
punto, Winds pone un’altra domanda, ossia si chiede se utilizzando un modello non si finisca ad avere una
tendenza verso forme stereotipate e che quindi ogni nuovo allestimento non sia altro che una copia, ma
Brecht risponde prontamente affermando che bisogna smetterla di disprezzare le copie, perché copiare
non equivale al minimo sforzo, come molti credono, è un’arte, o meglio, bisogna farne un’arte così si
eviterà di cadere nello stereotipo; lo stesso Brecht afferma di aver copiato testi giapponesi, greci,
elisabettiani, ecc. nella sua vita. In fin dei conti, ciò che si porta a teatro sono copie di comportamenti
umani, inoltre un modello per poter essere imitato, deve essere imitabile e le variazioni al modello
dovrebbero sempre rendere più precisa, più attraente e più ricca di fantasia la raffigurazione della realtà.
Alla richiesta di chiarimenti di Winds per quanto riguarda il teatro epico, Brecht dice che non lo si può
riassumere in breve perché provocherebbe malintesi ed anche perché è ancora in fase di sviluppo, anzi si
trova ancora in una fase iniziale. Winds chiede poi se la recitazione epica può essere applicata solo a Madre
Coraggio oppure anche a tutta l’attività teatrale a loro contemporanea e a quella classico-romantica
dell’Otto-Novecento e Brecht risponde che non può essere presa in considerazione per tutta la
drammaturgia classica, appare quasi più semplice applicarla in opere come quelle di Shakespeare.

La musica nel teatro epico: si trattava solitamente di musiche consuete come canzoni o marce e i vari pezzi
inseriti avevano quasi sempre una giustificazione naturalistica. L’uso della musica costituì una rottura con le
convenzioni drammatiche di quell’epoca: le messinscene nei teatri acquisivano un carattere più
spettacolare. La musica rendeva nuovamente possibile qualcosa che già da tempo era ovvia e naturale, cioè
un teatro poetico; essa aveva carattere d’arte, ossia aveva un valore autonomo. La messinscena dell’Opera
da tre soldi (1928) fu il più fortunato esempio di teatro epico, in essa le musiche di scena (composte da
Weill) vennero usate per la prima volta secondo una prospettiva moderna. L’innovazione più vistosa fu il
fatto che le parti musicali erano nettamente distinte dalle altre e ciò veniva sottolineato anche dalla
collocazione dell’orchestrina, posta visibilmente sul palcoscenico. Per le parti cantate (songs) era previsto
un cambiamento di luci, l’orchestra veniva illuminata e sullo schermo posto sulla parete di fondo

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apparivano i titoli dei singoli numeri, inoltre gli attori facevano un cambio di posizioni. Vi erano duetti,
terzetti, quartetti, assoli e cori che avevano lo scopo di svelare le ideologie borghesi; la musica era
sollevatrice di provocazioni e denunce. Spesso i canti erano accompagnati da pianoforte o dai dischi suonati
dall’orchestra e di solito si cantavano i pezzi di successo delle operette. Il song di questo tipo, quindi con
l’applicazione della musica moderna, nacque per la Settimana musicale di Baden-Baden nel 1927. Il teatro
epico si interessa principalmente del comportamento reciproco degli uomini, in ciò che esso ha di
socialmente e storicamente significativo, ossia tipico, quindi l’interesse del teatro epico è di natura pratica:
il contegno umano è presentato come soggetto ai cambiamenti. Insomma, allo spettatore è dato uno
spunto per una critica sociale nei confronti del comportamento umano e, dal punto di vista estetico, ciò
significa che il gesto sociale degli attori riveste una particolare importanza. Questi songs costituiscono un
inizio del teatro della nuova epoca: questa musica gestuale è una musica che consente all’attore di eseguire
determinati gesti fondamentali (la musica leggera, come quella del cabaret, era già di quel tipo; la musica
seria, invece, si mantiene ancora fedele al lirismo). L’effetto di questa musica dipende molto dal modo in
cui è eseguita, se gli attori per primi non capiscono il suo gesto, sarà davvero difficile che lo capiscano gli
spettatori, per questo c’è bisogno di un’educazione tanto degli attori quanto degli spettatori. La musica si
presenta come il destino in sé, il destino complicato ed imprevedibile in cui l’uomo è soggetto al più atroce
sfruttamento da parte dell’uomo.

Sulla musica gestuale: per gesto non si deve intendere la gesticolazione, non si tratta di movimenti delle
mani intesi a sottolineare o a chiarire qualcosa, bensì di un atteggiamento d’insieme. Gestuale è un
linguaggio che si basa sul gesto e che dimostra determinati atteggiamenti che colui che lo usa assume di
fronte agli altri. Per il musicista si tratta innanzitutto di una regola artistica e quindi non di particolare
interesse, però può aiutarlo a conferire ai suoi testi maggiore vivacità e comprensibilità. Non tutti i gesti
sono sociali (es. cacciare una mosca non lo è) però quello di difendersi da un cane, per esempio, potrebbe
esserlo se in esso si esprime la lotta che un uomo miseramente vestito deve condurre contro dei cani da
guardia; il gesto del lavoro, invece, è senz’altro un gesto sociale. Il gesto sociale è il gesto rilevante per la
società, il gesto che permette di trarre illazioni circa le condizioni sociali. Tutti gli artisti sanno che ogni
materia ha qualcosa di semplice ed autosufficiente, solo il gesto sociale inserisce l’elemento umano.

La scenografia del teatro epico: viene spesso utilizzata la scena bipartita che comprende una camera sul
davanti in posizione sopraelevata, e un altro ambiente sul dietro, proiettato o dipinto, che cambia ad ogni
scena o resta fisso, può essere anche materiale documentario, un quadro o un arazzo. La scena è molto
illuminata e si dà visibilità alle sorgenti di luce proprio per non creare un’illusione (nel vecchio teatro,
invece, si tendeva a nasconderle).

La distribuzione: l’attore deve possedere l’arte dell’osservazione, poiché non ha importanza come egli
appare, ma quello che ha visto e che mostra, ciò che sa, conosce, merita di essere conosciuto da tutti. Le
persone osserveranno il grado di perfezione con cui egli ha osservato. La prima preparazione dell’attore
deve cominciare in mezzo agli uomini vivi, la prima scuola è il lavoro, la casa, il quartiere, la strada, la
metropolitana, il negozio. L’attore è al tempo stesso anche operaio.

Bertolt Brecht: nacque nel 1898 e morì nel 1956. È stato un drammaturgo, poeta, regista teatrale e saggista
tedesco naturalizzato austriaco. Brecht dice che il suo teatro è un teatro filosofico, intendendo questo
termine nel suo significato più semplice, ossia un teatro che si interessa degli uomini e delle loro idee. Il suo
intento era quello di applicare al teatro il principio che ciò che conta non è solo interpretare il mondo, ma
trasformarlo tramite innovazioni.

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L'opera doveva essere portata al livello tecnico del teatro moderno. Schema di spostamenti dal teatro
drammatico a quello epico:

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AMLETO - SHAKESPEARE

Amleto è un dramma assolutamente unico, sia nel canone shakespeariano che nell’intera produzione
drammaturgica di quel tempo. La ragione della sua unicità e dell’enorme successo teatrale e critico è
principalmente la singolarità del protagonista, Amleto infatti è diventato un mito, il mito dell’uomo
moderno, e nessun dramma è stato tanto studiato, riscritto, tradotto e rappresentato. È un dramma
acentrico perché l’azione di Amleto dovrebbe svilupparsi secondo lo schema canonico della tragedia di
vendetta (da quella greca, a quella di Seneca ed elisabettiana), schema secondo il quale il protagonista
viene spinto, dal fantasma solitamente di un parente morto, a eseguire la vendetta e quindi ad uccidere
l’assassino, ma di fatto Amleto elude questo schema perché sospende per gran parte del dramma il suo
compito, per interrogarsi sul senso più profondo della vita e della morte (monologo sull’”essere o non
essere”). La storia di Amleto risulta raccontata per la prima volta nella Vita Amlethi, parte delle Historiae
Danicae Libri o Gesta Danorum, in 16 libri, di Saxo Gramaticus, storia leggendaria sulle vicende danesi dalle
origini, pubblicata nel 1514 e di cui i libri III e IV sono dedicati al leggendario Amlethus o Amlodhi. La storia
narra del re Rorik di Danimarca che affida il governo della provincia dello Jutland a due fratelli, Horwendil (o
Orvendel) e Feng. Horwendil sconfigge il re Koll della Norvegia e sposa la figlia di Rorik, Gerutha, con cui
avrà il figlio Amlethus. Suo fratello Feng però, geloso, lo assassina e sposa Gerutha. Il fatto è palese perciò
Amlethus, sentendosi in pericolo, si finge pazzo ma viene messo alla prova per vedere se lo è veramente:
durante una cavalcata, gli fanno incontrare una bella donna (pallido accenno alla figura di Ofelia) che dovrà
cercare di sedurlo e, se ci riuscirà, mostrerà che non è pazzo. Amlethus ha un aiutante (poi diventerà
Orazio) il quale lo consiglia di non cadere nella trappola, quindi Amlethus ingannerà tutti con giochi
linguistici che sembrano senza senso ma non lo sono (come poi noterà Polonio). Intanto, un amico di Feng
(poi diventerà Polonio) escogita un incontro tra Amlethus e sua madre Gerutha e lo origlia di nascosto, ma
Amlethus, temendo di essere spiato, prima si comporta da folle e poi uccide la spia e fa a pezzi il corpo
buttandolo in una fogna. A questo punto, Feng lo spedisce in Britannia chiedendo al re di metterlo a morte,
ma Amlethus cambia il nome nella lettera e aggiunge che il re gli dia in sposa sua figlia, perciò, credendo
che la lettera fosse stata scritta da Feng, Amlethus ottiene la mano della principessa. Un anno dopo, torna
in Danimarca e arriva proprio durante un banchetto funebre per la sua supposta morte, tutti si ubriacano e
lui dà fuoco al palazzo, poi si reca nella camera di Feng e lo uccide. Alla fine, diventerà re e avrà molte altre
avventure prima di morire in battaglia. Quasi sicuramente, Shakespeare non si basò direttamente sulla
narrazione di Saxo, ma su una traduzione, o meglio una versione rielaborata in francese da Francois de
Belleforest nelle sue Histoires Tragiques del 1570. La traduzione in inglese di quella storia apparve solo nel
1608 con il titolo The Hystorie of Hamblet e fu pubblicata per sfruttare il successo che aveva riscosso il
dramma shakespeariano. Un’altra fonte minore, che suggerì a Shakespeare le modalità dell’assassinio del
padre di Amleto, fu in qualche resoconto dell’epoca che non ci è pervenuto, ma si pensa riprenda
l’assassinio di Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino, che era stato probabilmente ucciso da un
veleno versatogli nelle orecchie da un sicario (era un tipico evento da corte italiana del Rinascimento).
L’altra fonte presumibile della tragedia shakespeariana, e forse la principale, è il misterioso Ur-Hamlet, un
dramma andato perduto, ma di cui ci restano alcuni documenti e che molti ritengono essere un’opera
giovanile dello stesso Shakespeare. Vi allude per la prima volta Thomas Nashe nella Epistle (1589), dove
parla di “interi Amleti” (“whole Hamlets”). Nel 1594, il famoso impresario Philip Henslowe (lavorava nella
troupe che stava nel sobborgo opposto a quello in cui si trovava Shakespeare) scriveva sul suo Diario di aver
visto la rappresentazione di un Hamlet, ma non la descriveva come una novità, quindi fa pensare ad un
dramma che aveva avuto già successo in passato. Nel 1596, infine, Thomas Lodge, in un pamphlet, allude
ad uno spettro che gridava a teatro “Hamlet, Revenge!”. È quindi indubbio che un dramma su Amleto era
stato rappresentato più volte tra il 1580 ed il 1600 circa e molti credono che forse era di Thomas Kyd,
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l’autore della Spanish Tragedy, una tragedia storica e di vendetta, con struttura senechiana e dramma nel
dramma. La stesura completa del dramma shakespeariano è datata intorno al 1601, ma c’è un documento
su cui gli studiosi hanno dibattuto molto e che potrebbe collocare a prima stesura dell’Amleto ancora più
indietro, si tratta di una nota manoscritta su una copia delle opere di Geoffrey Chaucer scritta da Gabriel
Harvey, nella quale esprime dei giudizi su vari artisti del tempo, tra cui Shakespeare del quale osserva che
“la sua tragedia di Amleto, il principe di Danimarca, contiene ciò che può piacere ai più saggi”. Il libro su cui
è stata scritta questa nota riporta la data 1598, ma alcuni studiosi hanno affermato che Harvey potrebbe
aver annotato queste sue riflessioni qualche anno dopo la data riportata sul libro; un altro elemento, però,
dimostra il contrario, infatti Harvey aveva anche annotato che “il conte di Essex onora l’Inghilterra” e ne
parla al presente, come persona vivente anche se egli fu giustiziato nel 1601, quindi tutto ciò fa pensare che
l’opera sia precedente al 1601. Si suppone, perciò, che l’opera citata da Harvey sia l’Ur-Hamlet, anche
perché nel 1579, quando Shakespeare era ancora un ragazzino, una certa Katherine Hamlett annegò nel
fiume Avon a Stratford e da ciò si deduce che il giovane poeta abbia tratto da questo fatto la vicenda della
morte di Ofelia che manca nelle sue fonti. Nel 1585, Shakespeare chiamò Hamnet (variante di Hamlet) il
figlio maschio, gemello della figlia Judith, in onore del suo più caro amico di Stratford, Hamlet (o Hamnet)
Sadler. Nel 1602, il dramma Amleto fu iscritto nello Stationers’ Register (il registro della corporazione dei
cartolibrai dove dovevano essere iscritte tutte le opere di cui si voleva la pubblicazione) e l’anno successivo
fu pubblicato il primo in quarto (Q1). Due anni dopo la pubblicazione di Q1, venne pubblicato il secondo in
quarto (Q2) e si pensa che il Q1 fosse un testo non autorizzato e non completo, in quanto sul frontespizio
del Q2 c’è scritto “nuovamente stampata e allargata fino a quasi il doppio di quanto era la copia
precedente”. L’Amleto è il testo più lungo tra tutte le opere di Shakespeare, ma l’opera poi fu riproposta
con varianti e cambi (omissioni e aggiunte) nelle edizioni in folio (F). Gli studiosi hanno cercato a lungo di
stabilire quale tra Q2 ed F fosse preferibile adottare come testo base, ma alla fine le edizioni moderne sono
un compromesso tra i due, ad esempio aggiungendo le parti di F che mancavano in Q2. Oggi, molti
sostengono che Shakespeare non rivedeva i suoi testi e che quindi non furono mai stabiliti, ma sottoposti a
revisioni, continue modifiche e manipolazioni non autoriali. Tutto sommato, si sa molto poco della vita di
Shakespeare, nonostante la sua indubbia fama nella Londra tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 dove egli
conobbe molti poeti ed artisti. William Shakespeare fu battezzato a Stratford-on-Avon il 26 aprile 1564,
quindi era nato probabilmente uno o due giorni prima. Il giovane Shakespeare frequentò la Grammar
School, una scuola basata su studi classici e in particolare sulla grammatica latina e, dopo gli studi, nel 1582
si sposò con Anne Hathaway (lui aveva diciotto anni, lei circa ventiquattro) ed ebbero tre figli. Il periodo tra
il 1585 ed il 1592 è quello dei cosiddetti “anni scomparsi” perché non si hanno notizie certe sulla sua
biografia, probabilmente fu in quegli anni che si trasferì a Londra ed iniziò la sua carriera, prima come
attore e poi come drammaturgo. Nel 1592, scoppiò la peste ed i teatri vennero chiusi perciò Shakespeare si
dedicò ad opere non teatrali, come i due poemetti di ispirazione ovidiana, Venere e Adone (1593) e Il ratto
di Lucrezia (1594), ma già nel 1954 riaprirono e le compagnie si riorganizzarono. Shakespeare diventò
azionista della compagnia del Lord Ciambellano e vi recitò anche, ma soprattutto ne produsse le opere e,
nel 1599, fondarono un proprio grande teatro, il Globe. Negli anni tra il 1609 ed il 1611, Shakespeare tornò
a Stratford dove morì il 23 aprile 1616. Nel 1623 uscirono le sue opere complete (36 in totale).

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SCHINO, L'ETÀ DEI MAESTRI

(SOLO STANISLAVSKIJ E MEJERCHOL'D)

STUDI: TEATRO STUDIO, STANISLAVSKU E MEIERCHOL'D

Nel 1905 nascono gli Studi. La loro funzione è complementare e opposta a quella delle riviste. Le riviste
creano una rete che percorre in tutto il mondo una rete orizzontale di legami. Gli Studi sono il momento
della ricerca di gruppi ristretti di persone, vanno in profondità.

Quasi tutti i maestri hanno fondato scuole o coltivato attività di Studi o laboratori, Il primo di essi, il Teatro
Studio di Stanislavskij e di Mejerchol'd, è dello stesso anno. Mejerchol'd aveva fondato nel 1898 il Teatro d’
arte di Mosca di Nemirovič-Dančenko e di Stanislavskij: data simbolica da cui far iniziare il teatro del
Novecento. Mejerchol'd proclamava "il teatro deve essere un eremo, e l'attore per sempre un dissidente".
Stanislavskij aveva accolto questa esplosione di idee con l'entusiasmo di un uomo che sta morendo di sete.
Sentiva Mejerchol'd come un artista simile a lui. Nell'aprile del 1905, Mejerchol'd inviò a Stanislavskij lo
schema di un "Teatro-Studio", legato al Teatro d'Arte, ma indipendente. Uno del lavori di questo nuovo
Teatro-Studio doveva essere la messinscena di un dramma simbolista, la morte di Tintagiles, di Maeterlinck,
una grande novità al Teatro d'Arte. Il Teatro-Studio avrebbe dovuto aprire ad ottobre, ma erano giorni di
rivolta, tutti i teatri furono chiusi. Nel Teatro d'Arte fu attrezzato perfino un piccolo ospedale da campo,
dove lavoravano come infermiere le allieve della scuola del teatro e le attrici del Teatro-Studio.
L'inaugurazione non ci fu e non venne mai aperto; ma il tentativo lasciò il segno. Il Teatro d'Arte di Mosca,
non era mai stato un piccolo teatro sperimentale; era nato consapevole di sé, un punto di riferimento.
Stanislavskij cominciò a lottare per difenderlo da nemici esterni e interni, dai problemi economici che
decretavano la brevità dell'esistenza delle sperimentazioni d'arte a inizio Novecento come dalla censura
sovietica dopo la rivoluzione.

L'immagine chiave per Stanislavskij era la fenice :un teatro che doveva continuamente rinascere sempre
nuovo da se stesso. Nel 1911 Stanislavskij fondò il Primo Studio. Gli studi spesso idealmente in opposizione
rispetto all'attività più istituzionale dei corpi centrali del teatri dei maestri, nacquero soprattutto come una
forma di contrapposizione interna del teatro, e non come una possibile via alternativa.

Nel 1916 venne fondato un secondo Studio. Nel 1918 un'Opera Studio. Nel 1920 un Terzo Studio. Nel 1921
il Quarto Studio. Gli Studi drenavano molte forze al Teatro d'Arte. Nell'autunno del 1913, anche
Mejerchol'd aveva aperto un suo spazio di ricerca: l'austero Studio di via Borodinskaja; era un laboratorio
scenico destinato a verificare matematicamente tutto il passato teatrale e a preparare il materiale che il
maestro di scena utilizzerà in futuro. Lo Studio rimase attivo fino al 1917. Si lavorava sulla voce e sul corpo
dell'attore. Ci fu una profonda ricerca sull'improvvisazione; attori come creatori indipendenti della loro
arte.

1910 MEJERCHOL'D, DOM JUAN

Il Dom Juan di Mejerchol'd fu messo in scena in uno dei teatri imperiali di Pietroburgo, il teatro
Aleksandrinskii ricco, sfarzoso, centrale. Mejerchol'd era stato nominato direttore dei teatri imperiali due
anni prima. Era un uomo colto e forse arrogante. Era rimasto affascinato da Isadora Duncan nel 1905. Per
quanto amato dal pubblico, il Dom Juan subi attacchi ed ebbe recensioni negative. Mejerchol'd, col suo
spettacolo difficile da capire, sembrava proporre l'ambiguità come un valore. Veniva invece messo al
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centco dello spattacolo proprio quel che aveva sempre suscitato la maggiore diffidenza nel teatro: Il corpo
degli attori, plasmato dal direttore con infinita cura, ma di per se organico, incapace di una ripetizione
sempre identica, teatro d'attore era sempre stato accusato di non saper riflettere a fondo sui testi.

LO SPETTACOLO

Il Dom Juan di Mejerchol'd si presentò al pubblico il 9 novembre 1910. Il pubblico rispose con entusiasmo.
È stato il primo successo vasto e indiscutibile di Mejerchol'd. Ig spettatore, vedeva immediatamente queste
non-scenografie in tondo al palco, perché il sipario era stato eliminato. Non voleva sipario, voleva mettere
gli spettatori in immediato contatto con il profumo, il colore, la sontuosità del diciassettesimo secolo.
Voleva ricreare il sapore di un'epoca, e al tempo stesso non voleva una ricostruzione storica: aggiunse
l'elettricità alle candele.

Dal proscenio, gli attori guardavano il pubblico, illuminato anch'esso. Mejerchol'd riempi la scena di
movimento; i kurombo sono servi di scena del teatro classico giapponese, muti, vestiti di nero,
perfettamente visibili, invisibili solo per convenzione, Lo spazio si riempiva di micro-relazioni continue, di
micro storie e micro eventi. In mezzo a tutto questo stavano i due protagonisti, Don Giovanni e Sganarello.

Mejerchol'd aveva studiato a fondo il rapporto tra l'azione degli attori e le dimensioni dello spazio. Il
"grottesco" era stata la sua acquisizione di quegli anni.

VSEVOLOD MEJERCHOL'D

Parlò del grottesco, che aveva sperimentato in questi spettacoli: l’arte di passare velocemente da un tono,
un genere, un sapore, a un altro facendo perdere per un attimo l'equilibrio alle convinzioni degli spettatori;
l'arte della scossa. Il teatro si va rivelando in questi anni la più misteriosa, la più segreta e forte, capace di
riflettere al tempo stesso sui principi della natura e su quelli dell'arte, e di avvalersi di artisti anche
spiritualmente nuovi; e in più della potenza della tecnica. Mejerchol'd era nato nel 1874. Aveva studiato per
diventare attore nella scuola di Vladimir Nemirovič-Dančenko. Mejerchol'd aveva ricevuto la proposta del
1908 di entrare a far parte del complesso dei Teatri Imperiali. Iniziò quello che fu da lui chiamato il suo
periodo doppio: direttore di spettacoli ai teatri imperiali da una parte e contemporaneamente in spazi
alternativi. Il Mejerchol'd imperiale e quello sperimentale operarono all'unisono, anche se su dimensioni
differenti.

LA BIOMECCANICA

La biomeccanica, incastra insieme ritmo, sincronia e precisione. La biomeccanica era un nuovo metodo per
l'attore inventato da Mejerchol'd. Doveva essere un allenamento basato su un complesso di regole e
principi scientifici.

Doveva permettere all'attore di imparare a governare il proprio corpo come un artista domina il suo
strumento, perché l'attore rispetto agli artisti ha un doppio io: è il macchinista che riceve e dà ordini in vista
della realizzazione del suo personaggio, ed è la macchina che li esegue. Tradizionalmente la biomeccanica è
lo studio del movimento animale, ma Mejerchol'd rese teatrale questo nome biologico.

Nelle sue lezioni, spiegava l'importanza-par gli attori di rifarsi al movimento animale Lo ripeteva in
continuazione, e lo riaffermò anche il suo allievo Ejzenštejn, la biomeccanica non è un modo per tenere in

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forma le diverse parti del corpo, non è ginnastica ; è un tipo di movimento in cui ogni gesto coinvolge il
corpo intero. Per i suoi attori, Mejerchol'd invento anche esercizi, études, microstrutture complesse perché
potessero esercitarsi al di là del lavoro per gli spettacoli. Sono corpi costretti a riscoprire dentro di sé regole
nuove, sono corpi che pensano. I brevi études, danno l’impressione di piccole storie volutamente
contraddittorie, imprevedibili, esercizi per la mente, oltre che per il corpo.

FINE DI MEJERCHOL'D

Per festeggiare il ventennale della rivoluzione nel 1936, Mejerchol'd comincia a preparare uno spettacolo
nuovo, Una sola vita.

17 dicembre del 1937 la “Pravda” pubblica un lungo articolo sul teatro di Mejerchol'd; di tutti i settecento
teatri professionali dell'Unione Sovietica, uno solo on ha celebrato il ventesimo anniversario della
rivoluzione: quello di Mejerchol'd. É completamente isolato, é un teatro "straniero" in patria. L'8 gennaio
1938, il teatro di Mejerchol'd viene chiuso. Stanislavskij incontra Mejerchol'd, gli offre lavoro come regista
d'Opera: la designa come suo erede, Stanislavskij muore il 7 Agosto 1938) Dopo la sua morte per
Mejerchol'd si bruciano i tempi. Nel marzo 1939 mette in scena il Rigoletto, completando il lavoro di
Stanislavskij.

Il 20 giugno Mejerchol'd viene arrestato: venne catturato in quanto intellettuale e artista di teatro e quindi
uomo pubblico; la sua morte violenta è l'esempio più doloroso, ma anche più lampante del trionfo del
cambiamento del teatro del Novecento.

Il 1 febbraio 1940 comincia il processo a Mejerchol'd, dura venti minuti, e si conclude con una condanna
alla fucilazione; aveva 60 anni. Il più grande spettacolo di Mejerchol'd ful revisore, messo in scena nel 1926.
Ebbe una fortissima influenza sui giovani registi del teatro d'Arte. Era uno spettacolo pieno di musica, gli
permetteva di lavorare sull'orchestrazione dei dettagli e sulle variazioni di ritmo.

Il lavoro più macroscopico di Mejerchol'd per il Revisore riguardò la composizione dinamica: il movimento
degli attori e il movimento di parti della scenografia, frequente e ritmato con precisione. Tre ampie porte
sul fondo, apparivano larghe piattaforme su ruote, ed erano montate scenografie raffiguranti parti di una
stanza.

Mejerchol'd lavorò sulla composizione in modo da dar vita all'intera macchina simile a quella di un corpo
unico il lavoro di Mejerchol'd su questo spettacolo mostra cosa potesse significare scomporre il singolo
attore in segmenti e comporte l'intera compagnia come un solo "corpo". Aveva ambientato lo spettacolo in
una scenografia dai colori intensissimi, con un forte predominio del rosso mogano. Una tipica scenografia
autosufficiente, che avrebbe potuto mettere in sottordine il lavoro dell'attore Invece, aveva curato la
presenza degli attori fino al parossismo: aveva moltiplicato le persone in scena. Mejerchol'd aveva studiato
in dettaglio anche il movimento complessivo dei frammenti: le mani dei funzionari, guantate di bianco, le
loro dita divaricate o riunite si muovevano tutte insieme per aria e sulla ringhiera della balaustra, con il
movimento intrecciato, complesso e sincrono della lunga fila di zampe di un millepiedi. Il revisore era uno
spettacolo realistico.

Il lavoro più grande era stata l'orchestrazione di contrasti: la scena dell'apparizione e del corteggiamento di
gruppo degli ufficialetti nella stanza della moglie del Podestà era pervasa al tempo stesso da una sensualità
greve e carnale. L'ombra di tutto questo gioco di occhi la si può ancora intravedere nei pochi istanti dello

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spettacolo che sono stati filmati, Tutto molto contenuto; ma l'effetto era cosi pesante e percepibile che
l'erotismo dello spettacolo fu una dei suoi motivi di scandalo.

1934 HAMLET

Mejerchol'd aveva l'ossessione di Hamlet e non lo mise mai in scena, vi girò solo intorno, specie sul finire
della vita. Mejerchol'd raccontò solo l'inizio di un possibile Hamlet, l'incontro tra padre (Stanislavskij) e
figlio (Mejerchol'd). Forse l'unico dilemma nel teatro è riconoscere la propria identità e l'unico modo per
esorcizzarlo è specchiarsi nell'altro, nel proprio doppio, vivo o morto che sia, nello scambiarsi i pani, sentire
amore e necessità a tal punto da farlo emergere dal mare e creare confusione di identità in chi osserva.

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CRUCIANI

Il punto di vista

Lo spazio del teatro è un insieme complesso che non si può ridurre alla somma di scenografia e di
architettura teatrale. E’ la proiezione fisica e figurativa, materiale e illusionistica dello spazio in cui si colloca
la finzione dell’azione drammatica e il luogo concreto e metaforico dei personaggi. In seconda definizione
come lo spazio degli attori, non è inerente agli spettatori (la ribalta ne è un simbolo). È compreso tra i modi
espressivi della visione ( figurazione e quelli del volume) ambiente. Il teatro del XX secolo, sperimenta assai
diversi “spazi di teatro” come luogo immaginario e come spazio dell'agire. Elementi materiali che
comportano mutamenti in profondità: l'abolizione del sipario modifica il rapporto platea - scena.

Lo spazio è il luogo in cui l'evento accade ed e qualificato dagli oggetti che sono simboli e agiscono come
l'attore o le parole o la decorazione. Il “luogo” del teatro (chiesa, nella piazza, nel cerchio degli spettatori,
nel palco) é la figurazione della scena utilizzabile come nelle pitture, in modo narrativo. L'edificio teatrale è
dal Cinquecento al Novecento un monumento della città. Lo spazio rappresenta l'insieme della “festa”,
prima che la commedia sia recitata. Il teatro è il luogo del passaggio dal quotidiano all'extra-quotidiano, tra
il presente e l'ideale. L'arco scenico e il sipario sono li a segnare la divisione dei due mondi; lo spazio del
teatro diventa una forma mentis (ragionamento) (l'edificio e la sala) e lo spazio scenico dove prende forma
e concretezza l’illusione.

La scenografia, il fondale e le quinte, diventa la rappresentazione dello spazio in cui accade l'azione degli
attori, in cui la finzione si realizza e la vita si irrealizza. Anche la scenografia diventa una specializzazione del
fare teatro; ha una sua storia, un modificarsi, diventando un linguaggio del teatro e dove sviluppa la propria
specificità. Parliamo ora di uno spazio più “borghese” e del “realismo” della scenografia nel teatro
romantico. Con il Novecento si pone il problema della “necessità” del teatro, dei bisogni sociali e individuali
che sarebbe chiamato a soddisfare.

Il teatro esce dai teatri e ne crea nuovi, si modificano le sale per cambiare il rapporto attore - spettatore.
Servizio per lo spettatore: la scena non è più rappresentazione di finzione, ma realtà di rappresentazione.

• Il teatro all'italiana, cioè il teatro

Il teatro all'italiana è un’ idea di teatro al di là degli spettacoli, un insieme organico di tipologie
architettoniche, funzioni sociali, forme della sala e della scena, palcoscenico attrezzato di quinte con
soffitta praticabile, sipario e arcoscenico. Rifiuta le pareti che delimitano la spazio e la forma rettangolare,
dalla pianta a semiellisse a quella a ferro di cavallo a quella a campana. La sala è morfologicamente un
cilindro chiuso dall'arcoscenico e dal sipario che continuano nei palchi. I vuoti attivi dei palchi, non sono
superfici di delimitazione ma sono luoghi di confine tra ambienti privati comuni.

I palchi non sono funzionali nel vedere la scena ma si guardano reciprocamente ( se tracciassimo le linee di
tensione degli sguardi possibili che traversano il volume della sala, da ogni palco agli altri palchi,
riempiremmo tutto il volume della sala). Lo spazio volumetrico del teatro all'italiana è dinamico e attivo. Il
teatro all'italiana si riempie e si costituisce di relazioni: un luogo per guardare ed essere guardati.

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Lo spazio del teatro all'italiana è assoluto: lo spettacolo e l'evento vi si integrano. Il grande lampadario
centrale, come il sipario, sono oggetti estetici molto apprezzati e sono usati per segnare l'inizio della
rappresentazione. Nell’ottocento al sipario dipinto si sostituirà quello rosso a frange d'oro per richiamare
l'attenzione sulla scena. Nel Nord Europa lo si chiuderà a ogni atto ma nei ricchi teatri italiani e francesi lo
si lascerà cadere solo all'inizio e alla fine. A differenza del teatro all'inglese che codifica l’uso delle botole sul
palco, nel teatro all'italiana prevale la macchineria dall'alto, mentre gli attori faranno il loro ingresso
successivamente. L'effetto “meraviglioso” della scena, di cui parlano Ariosto e Tasso, si prolunga nella
scenografia barocca cioè una macchina più mitografica che mitopoietica.

• Le origini in Italia

Il teatro all’italiana ha le sue origini nel Rinascimento italiano e opera con culture diverse.

Roma nel primo Cinquecento, “inventa” la commedia regolare ed erudita, la scenografia a prospettiva
urbana determina un luogo separato e speciale. Il “teatro” diventa il luogo espressivo. Un modello “forte” è
dal mondo greco-romano, un’idea dell’edificio per spettacoli e per la scena.

L’idea del teatro assume in se un’altra tradizione dell’immaginario: la rappresentazione in prospettiva dello
spazio urbano. Gli studi di Vitruvio cercano di il teatro del passato nel presente.

1513 – Nella piazza del Campidoglio si costruisce un teatro ligneo rettangolare. Nel 1518 Raffaello inserisce
un teatro semicircolare all’aperto in Villa Madama. Prospettiva urbana già nella tradizione rinascimentale.
Lo spazio del teatro come immagine culturale della città. La storia del Rinascimento: il passaggio dal “luogo
degli spettacoli” al teatro, dagli spazi per le rappresentazioni allo spazio del teatro. L’edificio teatrale è un
luogo della cultura. La scena non è lo spazio in cui agiscono i personaggi.

• Cinquecento e Settecento in Europa

I singoli teatri, come individui, sono tutti diversi, hanno una loro storia e loro ragioni e gli spettacoli si fanno
ovunque.

Tra il Cinquecento e il Settecento in Europa, gli spettacoli venivano fatti, oltre che nel luogo delle
rappresentazioni, nei teatri delle accademie, nei teatri di corte o dei nobili e poi nei teatri pubblici (a
pagamento). Le tradizioni più consistenti sono la tradizione scenotecnica Toscana: allestimento di spazi per
la corte dei Medici, al chiuso o all’aperto, strutturati sull’idea forma dell’anfiteatro, separazione della scena
come luogo della meraviglia e dell’illusione. Il primo teatro pubblico a Venezia nel 1637.

Teatro barocco: platea a forma di U o comunque allungata, un’area profonda e attrezzata. Intorno al 1640 il
teatro all’italiana era definito. Teatro pubblico elisabettiano era “a forma di anfiteatro romano”. Il teatro
pubblico elisabettiano si presenta in realtà come due edifici architettonici autonomi, l’anfiteatro era
coperto per gli spettatori.

• Teorie dello spazio teatrale e pratiche degli scenografi

La costruzione di un edificio teatrale non si identifica con la progettazione di un artista ma si realizza


attraverso esecutori.

All’inizio del teatro all’italiana, gli architetti erano comparse e scenografi: il legame restò a lungo.

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Il termine “architetto teatrale“ indica il Settecento, poi il “costruttore delle scene“ e solo alla fine del
Settecento si trova la definizione “inventore delle scene” e a metà Ottocento “scenografo.

Lo spazio scenico richiede architetti, inventori e grande mobilità. Lo spostarsi frequente doveva essere
supportato dal trovare ovunque strutture e infrastrutture teatrali. Così architetti, scenografi , attori
costituiscono la forma “teatro all’italiana“ con varie dinastie: dei Mauro, i Bibbiena e i Galliari( Sono tutti
nomi degli scenografi).

L’architetto ha una attività più complessa del teatro per cui è famoso.

Morelli interviene nel teatro di Macerata. Architetti e pittori, fin dal Cinquecento, raccoglievano libri di
disegni e progetti che costituivano la ricchezza delle “botteghe”. Sulla stampa delle scene, però, costruì la
sua fama il Torelli nel primo Seicento; E così fece Giuseppe Bibbiena (nel Settecento) pubblicando una
raccolta di architetture e prospettive. Nell’ Ottocento si moltiplicano le pubblicazioni di scene. Sala
cinquecentesca, impianto a U e gradinate della sala. Prospettiva e mutazione di scena. Il Bernini con il suo
“teatro nel teatro“, può ricordarci la complessità e fantasia rappresentativa che il secolo pone in atto. La
scenografia (non ho tanto una funzione di supporto al dramma) costruisce una sua vera e propria
drammaturgia.

• Norma e trionfo del modello

Gli edifici teatrali, sono costruzioni che si fondano sul passato per esistere nel futuro. Nell’ottavo e nono
secolo la domanda è: quanti teatri sono stati distrutti del tutto o in parte per essere rifatti? Gli incendi sono
la causa. Le domande nella costruzione dei teatri si fanno più tecniche e più ideologiche: si privilegiano
l’acustica in un teatro in cui lo spettacolo cede il passo alle passioni degli attori. La storiografia riconosce un
prototipo nel Teatro Tordiona di Roma, elaborato da Carlo Fontana nel 1671 circa, a pianta ovoidale (forma
a uovo). In Francia, alla metà del Settecento, Voltaire dà impulso al movimento di riforma delle sale teatrali
sul modello di quelle italiane. Anche in Inghilterra, dopo la chiusura tra il 1642-1660, si costruiscono teatri
di tipo continentale, con forte influenza francese.

• La grande tradizione

La sala teatrale barocca e settecentesca non esprime più, nell’ottocento, il modello di teatro ma la sua
tradizione ripetuta e accettata, di grande successo e gratificante per il grande pubblico. Il teatro
dell’ottocento e il monumento della borghesia, fondato sull’impresariato e organizzato come luogo sociale
della città. Dalla fine del Settecento si instaura l’uso di chiudere il sipario tra un atto e l’altro e decadono le
pratiche della mutazione a vista. La scena tecnica diventa il punto di forza dello spazio scenico. Nuove
tecniche di illuminazione e nella seconda metà dell’Ottocento si diffonde la luce elettrica. Cambia il modo di
creare lo spazio sulla scena e nel cambiamento di luce, scena e sala si ridefiniscono. Lo spazio del teatro si
conserva come spazio sociale.
Si focalizza sulle funzioni della scena come spazio di relazione. Ci sono teatri “visivi“ e gli spazi “suggestivi“
delle grandi esposizioni; lo spazio teatrale nel Nono secolo non è più solo teatro all’italiana, ma un luogo
mentale della cultura europea, con cui il teatro creativo può confrontarsi con il proprio passato.

Lo spazio delle rappresentazioni

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Lo spazio delle rappresentazioni ha una sua forte consistenza nel periodo storico che precede il definirsi del
teatro all’italiana. Lo spazio delle rappresentazioni è un principio, un punto di vista, un concetto (e non una
forma come il teatro all’italiana).

• Il teatro medioevale

Medioevo in Europa. I diversi spettacoli e le tradizioni di spettacolo non configurano uno spazio del teatro
medievale: non ci sono edifici teatrali, non c’è un concetto unificato ed omogeneo di palcoscenico; l’uso di
spazi presi stenti e modalità funzionali di base. Spettacolo itinerante (su carri) e spettacolo a sede fissa.
Anche per lo spazio scenico converrà assumere criteri di diversità e discontinuità piuttosto che di
omogeneità o evoluzione. Non esiste, nei teatri del medioevo, una “forma” dello spazio del teatro e della
scena e che non si tratta di teatri, ma di rappresentazioni. L’elemento base è il luogo del “deputato”. il
luogo del deputato non è lo spazio dell’azione, ma l’oggetto simbolico con cui l’azione rappresentativa
entra in relazione; tenda o edicola costruita, un “monte“, uno spazio segnato: il “locus“. La presenza di più
“luoghi deputati” è connessa alla narrazione: la successione delle unità spaziali ha bisogno del collocarsi nel
tempo. Prima di essere circolare o lineare, lo spazio scenico medievale è uno spazio che si costruisce nel
tempo: lo spettatore lo ricompone mentalmente e vi si sente avvolto.

L’intrattenitore crea il suo spazio di riferimento. Nel dodicesimo e tredicesimo secolo è assai larga la
tipologia di rappresentazioni in latino e in volgare. L’organizzazione è ancora costituita dai luoghi scenici. La
struttura si magnifica nei cortei processionali e cerimoniali. Nel quindicesimo e sedicesimo secolo, lo spazio
scenico, si pone in presenza di una idea del teatro che richiama all’antico.

Il nuovo teatro non nasce, dal punto di vista dello spazio, solo con la scenografia.

• Lo spazio dei professionisti

Il teatro elisabettiano è in sé molteplice e complesso. È un teatro di professionisti. Il teatro londinese della


fine del Cinquecento non era solo teatro di corte o di accademia, si sviluppa complesso e molteplice come i
suoi punti di riferimento. Il teatro, di forma circolare poligonale o rettangolare, all’aperto o al chiuso, era
costituito da tre ordini di gallerie (coperte anche nei teatri all’aperto, nei quali restava scoperto il cortile
centrale). Seconda metà Cinquecento inizio Seicento in Italia: i comici dell’arte, Saltimbanchi, e palchi eretti
nelle piazze.

Il magazzino del nuovo

Il mito del teatro greco si sostanzi a della tragedia era ligneo. L’elemento generatore è l’orchestra, lo spazio
circolare in cui avviene l’azione; gli spettatori vi si raccolgono intorno, spesso su un inclinazione del piano
scenico che si accentua col crescere della distanza della ribalta naturale. E lo spazio primitivo, originario,
essenzial,. La prima struttura generata dall’orchestrae gli spettatori in piedi e poi seduti su panche di legno
costituiscono una forma a gradonate ad emiciclo. Il teatro romano lo si vede come uno sviluppo del teatro
greco. Dopo i teatri provvisori in legno si costruiscono anche nella civiltà romana teatri in pietra. La novità
fondamentale non è nel privilegiare un declivio naturale o artificiale, ma in una autonoma costruzione
architettonica.

• Teatri d’Oriente

“Teatri asiatici” e “teatri orientali”. Per teatri asiatici si intende indicare le numerose e diverse forme
teatrali e spettacolari dei paesi asiatici; con teatri orientali si indica la storia lunga e non omogenea dei
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rapporti tra la cultura occidentale e le culture asiatiche, dei modi in cui queste ultime sono state inserite
nella storia (che categoria occidentale). C’è di base la fisicità dell’attore: la codificazione dei movimenti
scenici, l’apprendimento lungo e costante dei modi rappresentativi, il ruolo fondamentale della musica, il
legame con la religione, l’uso del colore e dei costumi come base della scenografia. E una tradizione che
non è immobilità di conservazione ma dinamica di variazione. Lo spazio, nei teatri dell’Asia, e
strutturalmente l’attore che si muove in uno spazio deputato, i suoi costumi e il suo trucco, i valori simbolici
degli oggetti. Il teatro storico di tradizione ha comunque un punto di riferimento in un trattato: il Natya-
Sastra.

“Natya” è quel che noi chiamiamo “teatro”, una forma d’arte composta di elementi dalla danza, musica,
pantomima, epica, recitazione di ballate, arti figurative, rituali. Il secondo capitolo e sull’architettura
teatrale. Luoghi per spettacoli costruiti fissi vicino a grandi templi o provvisori per occasioni rituali; e anche
di sale usate per gli spettacoli. Forme di costruzione del teatro (quadrata, rettangolare, triangolare) e di tre
misure: grande, media, piccola. Il teatro tipo è rettangolare medio diviso in due parti; il palcoscenico è
diviso in due parti uguali (la zona di dietro e lo spogliatoio), e la parte anteriore del palcoscenico ancora in
due parti di cui quella più avanzata e il luogo dell’azione. Si dedica attenzione alla scelta del terreno su cui
costruire il teatro: ripulito da impurità e duro. Il pubblico deve essere in una galleria rialzata, ad un livello
più alto del palcoscenico. La divisione del palcoscenico in tre parti consente il cambiamento di scena. Lo
spogliatoio a due porte di accesso al palco. I musicisti sono sulla scena di lato; il sipario viene portato in
scena e dietro si svolgono azioni preliminari. L’azione del costruire il luogo è più importante della
costruzione.

• Il teatro cinese

L’antica e molteplici e tradizione dello spettacolo nella cultura cinese si fonda, per quanto riguarda lo
spazio, sull’arte dell’attore danzatore, sui costumi e sugli accessori: non c’è una definizione significante
dello spazio scenico come architettura teatrale. Non c’è scenografie a nel teatro classico cinese: sala e palco
sono decorati al più possibile per essere “belli” E sul palco l’attore crea lo spazio con i suoi movimenti, con i
costumi e le maschere, raffinati per stoffe e colori, di immediata rilevanza simbolica. E’ simbolico l’uso degli
oggetti, la presenza del tetto sulla zona della scena (il tetto è il segno di una unità spaziale) e nelle sale
chiuse. Ha valore strutturale e semantico.

• I teatri di strada

Sono attori e pubblico ad adattarsi ad una struttura destinata ad altri scopi. Teatro di piazza (sede fissa
teatrale) si manifesta: all’aperto, nei mercati, nelle manifestazioni religiose. Sono forme rappresentative. La
figura dell’attore deve misurarsi con un ambiente destinato a noi spettatori: difficoltà che permette
all’attore di entrare in relazione con gli spettatori. Comici nomadi, professionismo all’aperto (collegamento
film: “la strada“ di Fellini), da cui dipende la vita/sopravvivenza. Conquista di un’identità. Obiettivo: attrarre
gli spettatori, vivere di questo mestiere.

i possibili spazi del teatro

È il luogo dell’attore nelle diverse rappresentazioni, è il luogo della relazione attore-spettatore, è il luogo
dell’evento; come il teatro, anche lo spazio del teatro nasce solo dal teatro. Nuove tecnologie (l’uso del
cemento armato, del ferro e del vetro, dell’elettricità) hanno dilatato lo spazio. Il crollo delle forme
architettoniche chiuse.

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• I luoghi del teatro e dello spettacolo nell’ Ottocento

La rivoluzione del teatro romantico è essenzialmente nel rifiuto di un teatro fatto per gli abitanti del teatro
stesso. Nuova mentalità e nuove tecnologie cambiano lo spazio teatrale del “teatro all’italiana“. Diverse
tipologie spaziali per i diversi spettacoli. In Inghilterra agli edifici di tradizione si affiancano le sale per il
Music-hall e i grandi circhi e l’esposizione dei “teatri minori“. Nel nord Europa i palchetti sono sostituiti da
gallerie e proliferano auditori e sale per musica. In Italia l’unica situazione spaziale diversa è costituita
dall’architettura dei teatri diurni, ad anfiteatro. Nuove tecniche come l’illuminazione a gas cambiano la
scena perché la luce può essere variata di intensità e controllata. Gli spettacoli Dell’esperienza visiva, il
circo, la pantomima, il Music-hall… Sono una realtà unitaria del secolo. A Parigi la messa in scena è la base
del nuovo teatro.

• La ricerca dello spazio funzionale

La “grande riforma“ è il teatro di Wagner, sentito e celebrato come la definitiva rottura con il teatro
all’italiana. Questi architetti cercano di risolvere il problema del proscenio e dell’arco scenico, di distinguere
la sala per la Musica da quella per la parola, di usare forme curve ma evitare il cerchio. Semper definisce I
problemi che troveranno soluzioni nel teatro wagneriano di Bayreuth (1876). La prima differenza è che si
tratta di uno spazio pensato per l’esecuzione delle sue opere, uno spazio cioè funzionale a un teatro.
Sopprime, Wagner, la buca del suggeritore, neutralizza la ribalta, elimina le logge di proscenio e anzi
realizza un proscenio triplo; l’arco scenico ha meno rilievo perché prosegue le forme della sala, il sipario si
apre al centro verso gli angoli in alto a rivelare il mondo magico della scena. L’orchestra è nascosta nella
fossa che slitta in gran parte nel sottopalco. Suono indiretto, Che toglie le alte frequenze ottenendo un
suono misterioso e distante. E la fossa dell’orchestra aumenta anche la distanza fra scena e sala. Il buio in
sala, imposto da Wagner, modifica anche esso la psicologia del pubblico, costringendo l’attenzione verso
l’illusione scenica.

La vera innovazione è quella di vedere e udire, la sala è ad anfiteatro con i posti a sedere collocati a
ventaglio, su segmenti di cerchio sempre minori verso la scena. Ma è alternativa al teatro all’italiana perché
ne distrugge l’ambiente. Nel teatro di Wagner non c’è altra relazione che quella tra sala e scena. Il teatro
del novecento ereditierà non solo la razionalizzazione dell’anfiteatro per la visione e per l’acustica, ma un
cambiamento di mentalità. Littman dichiara che a un determinato spazio scenico corrisponde un
determinato spazio per il pubblico: lamenta che all’architetto sia delegato lo spazio del pubblico e
all’ingegnere la scena, laddove il problema dello spazio teatrale e unitario e non si risolve con riforme
tecnologiche ma con un reale progetto artistico.

• Naturalismo e Simbolismo

Il naturalismo non è riduttivamente la tecnica illusiva della riproduzione della realtà sulla scena, la “quarta
parete“: questo già esisteva. Il naturalismo è un nuovo senso del teatro e nuovi valori dello spazio scenico.
È una novità sostanziale: lo spazio scenico è un linguaggio della drammaturgia. Così si ottengono anche
nuovi principi, come li enuncia a Paul Lindau e lo stesso Giorgio II. evitare la simmetria e il parallelismo, il
centro dell’immagine non deve coincidere con il centro della scena, è importante costruire il movimento
sulla scena e avere spazi scenici praticabili multipli. Luce elettrica e le possibilità che offre per usare
drammaturgicamente l’illuminazione. Stanislavskij riprenderà queste posizioni ma portandole fino in fondo
e dilantandole. Lo spazio scenico è variabile in dimensioni a seconda dei luoghi drammatici, è il luogo del
personaggio, perciò gli attori non debbono usare la relazione con il pubblico; la sala è al buio. La scena è
tridimensionale, non uno sfondo ma un contenitore qualificato dagli oggetti reali e che determina i
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movimenti degli attori; la luce e i suoni diventano elementi linguistici. Problema centrale: lo spazio scenico
come luogo assoluto e pertanto reale.

• Ricerca di senso: Fuchs, Appia e Craig

Fuchs: Lo spazio del teatro deve consentire la visita dell’opera d’arte drammatica che “non esiste né sulla
scena né tantomeno nel libro“ ma nell’esperienza dello spettatore che la vive come “forma in movimento
condizionata nel tempo e nello spazio“.

Appia e Craig: La scena è un elemento in cui da un lato c’è la pratica incentrata sulle messinscene
wagneriane, dall’altro una volontà di coerenza sistematica.

Appia: la sua scena è fondata sul volume e sulla luce attivati dalla “resistenza“ dell’attore. Il movimento
dell’attore crea lo spazio scenico e la sala non deve esserne separata ma è una parte del luogo che è il
teatro. Su questa coerente e rigorosa impostazione della realtà del teatro, si sviluppa il suo pensiero e la
sua opera. La scena deve essere “spazio vivente”. I volumi geometrici e praticabili sono lo strumento per il
corpo tridimensionale dell’attore: per questo i volumi sono ad angoli netti, rigidi, e pesanti, affinché nel
contrasto si visualizzi drammaticamente il movimento ritmico del corpo umano. Radicale ribaltamento
rispetto al Wagner i Bayreuth Che aveva separato sala e scena riformulando l’ambiente sala. C’è un luogo
unico: uno spazio unitario con gradini per gli spettatori da un lato e spazi volumetrici e praticabili per
l’azione drammatica dall’altro. Ci sarà un grande influenza di Appia sulla scena del Novecento, per l’uso
della luce e per la scena architettonica.

Ma la rivoluzione è profonda: lo spazio del teatro è uno spazio attivo, creazione dell’artista, non
predeterminato. E la scena architettonica arriva all’espressione rigorosamente tridimensionale e astratta
degli “spazi ritmici”, progetti di scene di per se significanti.

Craig: la scena come luogo, movimento come essenza del teatro. Non si preoccupa della frontalità sala-
scena o del luogo degli spettacoli. La sua scena non è descrittiva ma suggestiva e sintetica, con l’uso di
piante azioni architettoniche e di luce attiva; lo “strumento” architettonico e semplice della scena diventa
atmosfera e dramma; fino agli screens (filtrare), i paraventi mobili che fanno sì da poter attuare una scena
che “agisci“, che si muove. La scena è “cosa viva come l’attore“: non preesiste alla rappresentazione, è essa
stessa azione drammatica. visualizzare il dramma e restituire dignità alla scena: la lunga seconda presenza
di Craig percorre il teatro del Novecento attraverso le sue visioni di scene e le sue relazioni artistiche.

Nel teatro del Novecento il problema dello spazio non è più un problema di edifici o di spazi attrezzati, ma
quello dei valori.

• Ricerca di valori: Stanislavskij

Il percorso dei suoi spettacoli e il percorso della sua ricerca sul lavoro dell'attore implicano scelte sullo
spazio del teatro e sullo spazio scenico.

Il teatro degli uomini di teatro

Nel XX secolo, al mercato del teatro: sale per ospitare spettacoli più che luoghi dell'arte del teatro. Nel
Novecento, gli uomini di teatro vogliono creare il loro spazio. Dalla riforma dello spazio teatrale di Wagner
allo spazio scenico tutto il Novecento ha avuto qualità creativa.

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• Mejerchol'd

Il suo lavoro copre i primi quattro decenni del secolo, in Russia, all'interno di grandi sconvolgimenti sociali.
Invita gli architetti a non variare l'edificio esistente ma a tener conto dello spettatore. Dichiara che si deve
lottare contro la staticità dell'edificio teatrale per un dinamismo organico. Parla della “cineficazione” del
teatro, dell'uso cioè del cinema e soprattutto dei suoi principi tecnici e linguistici; insiste sulla necessità
dell'anfiteatro e sul rifiuto del “palcoscenico – scatola”. Per la profondità della scena non serve la relazione
"attore - spettatore": il palcoscenico, dal punto di vista dello spettatore, dovrebbe essere triangolare, con il
proscenio non rialzato. I camerini saranno intorno al palcoscenico, affinché gli attori possano sentire e
vedere.

Il “proscenio” è l'area d'azione che s'avanza nel pubblico, illuminato dalla scena e dalla sala, uno spazio
aperto in cui l'attore deve fare appello a grande professionalità. Qui la discontinuità e la dissonanza, la
frammentazione e il montaggio, il movimento, creano il tempo - spazio del teatro.

Nei grandi spettacoli dal 1924 – 1928, il team Mejerchol'd sviluppa la complessità del suo spazio teatrale.
Organizzando una ristrutturazione Dopo la crisi politica del 1928 (fu una grave crisi economica e finanziaria
che sconvolse l'economia mondiale alla fine degli anni venti, con forti ripercussioni durante i primi anni del
decennio successivo), la chiusura prima per "lavori" e poi ufficiale del suo teatro (1938), è accolto da
Stanislavskij al Teatro d'Opera, dove finisce nel 1939 il Rigoletto preparato dal maestro. Nel 1939 fu
arrestato come spia e fucilato l'anno seguente. Il repertorio di classici e di contemporanei sarà solido
legame con la cultura. 1943: con lui si impone indiscussa la figura del regista creatore, che i suoi
Regiebucher, i libri di regia, eleveranno a mito. Il suo eclettismo è in sostanza il cercare per ogni dramma
uno stile specifico, in spettacoli impressionisti e sensuali, ricchi di fantasia barocca.

• Jacques Copeau

Reinhardt è per Copeau l'odiato esempio della “regia d'arte”, troppo facile nell'inventare “modernità”
intorno al dramma. Per Copeau ogni tecnicismo è più o meno vano. Non lo scenografo, ma l'architetto e il
poeta è il centro. Copeau è un intellettuale che impara il teatro facendolo con rigorosa coerenza verso le
proprie personali motivazioni. Crea le basi di un rifiuto del teatro esistente che lo porterà nel 1913 a
fondare il Vieux Colombier.

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GROTOWSKI

TEATRO POVERO (1965-69), L'ATTORE DENUDATO

L’attore è un uomo che lavora con il proprio corpo e lo fa in pubblico. L'attore, compie in pubblico un atto
di provocazione nei confronti degli altri per far scattare qualcosa. Esiste il mito per cui l'attore che disponga
di un bagaglio di esperienze, conquista il “corredo di tecniche", grazie a cui può raggiungere un alto grado
di espressione e suscitare l'applauso.

L'attore deve in qualche modo Decifrare il proprio organismo e scoprirvi i potenziali punti di sostegno per
un lavoro di questo genere. L'attore medio sa parlare solo in maschera", cioè sa utilizzare il risonatore
cranico che non solo potenzia la voce, ma la "nobilita, la rende più gradevole all'orecchio. Questo attore
scopre che in scena non è sufficiente praticare la respirazione con il diaframma; scopre che la dizione che
ha imparato alla scuola teatrale molto spesso provoca la chiusura della laringe; deve imparare ad aprire la
laringe, a controllare dall'esterno se è aperta o chiusa. Il corpo deve liberarsi da ogni resistenza, dovrebbe
smettere di esistere.

L'attore deve utilizzare il personaggio scenico come un bisturi per anatomizzare la propria personalità. Si
tratta di utilizzare il personaggio immaginario come trampolino, uno strumento che permetta di penetrare
in profondità in quello che si nasconde dietro la nostra maschera quotidiana, per farne dono. Tutte le
nostre azioni nella vita servono di solito a nascondere la verità non solo agli altri, ma anche a noi stessi. Il
compimento dell'atto di denudamento, richiede la mobilitazione di tutte le forze fisiche e spirituali da parte
dell'attore che raggiunge uno stato di disponibilità passiva. È come se l'attore che compie l'atto
intraprendesse un viaggio che si articola in segni vocali e gestuali; in tal modo lo spettatore riceve un invito
alla compartecipazione. C'è un solo valore che né il cinema né la tv potranno mai sottrarre al teatro: il
legame diretto che nasce tra esseri vivi. Quel legame fa si che ogni atto di provocazione da parte dell'attore,
ogni manifestazione della sua magia diventi qualcosa di grande e straordinario.

PER UN TEATRO POVERO

Grotowskij voleva conoscere gli orientamenti della formazione dell'attore in Europa e fuori. Il metodo di
formazione dell'attore nel nostro teatro mira a eliminare gli ostacoli che l'organismo può opporgli nel
processo spirituale. Tra il processo interiore e la forma viene a crearsi un rapporto di tensione reciproca che
potenzia entrambi questi fattori; la forma é come il morso mentre il processo spirituale è come l'animale
che si dimena per liberarsi dal morso e tanto più intensamente cerca di gettarsi nelle reazioni spontanee. La
teoria del teatro come sintesi porta in realtà a rafforzare il teatro dominante ma lo rafforza proprio nelle
sue debolezze.

IL DISCORSO DI SKARA

Rendete le vostre azioni concrete collegandole a qualche ricordo. Non si possono produrre impulsi a
reazioni senza un contatto. Contatto non vuol dire fissare lo sguardo, ma vedere. Il punto essenziale non è
ascoltare e poi domandarsi che tipo d'intonazione sia, ma ascoltare e poi rispondere. Tutto il nostro corpo è
un sistema di risonatori e le varie posizioni di una mano cambiano la risonanza della voce. Bisogna
esercitare un controllo minimo sui punti di vibrazione. Dovete soltanto rivolgervi con la voce nelle diverse
direzioni. Non cercate mai di ascoltare la vostra voce dentro di voi. Quando cercate di ascoltarvi, bloccate la
laringe e il processo della risonanza. Non concentratevi su problemi che sono del regista e non dell'attore.
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In un certo tipo di teatro che non vuole superare le barriere, questi sono già problemi dell'attore. Non
cercare mai nello spettacolo la spontaneità senza la partitura. I segni sono una reazione umana, purificata
da qualsiasi altro dettaglio che non sia di importanza essenziale. Le azioni degli attori per noi sono segni.
Bisogna evitare sempre i cliché, non cercare le associazioni più facili. Si deve essere consapevoli dell'azione
che sta dietro alle parole. Le parole per noi sono solo un pretesto, non devono mai essere illustrate. Essere
annoiati, vuol dire cercare di trovate qualcosa che-possa tenere occupata una persona l’esempio di
Stanislavskij. Evitare le banalità, non illustrare le parole e le didascalie dell'autore. Fica Vuol dire dare
espressione nel lavoro a tutta la sincerità; è quello che crea quanto vi è di grande nell'arte. Un'opera di
valore sarà impossibile se il vostro riferimento è il pubblico. I veri attori non hanno vita facile; è più facile
per la spettatore ritrovare nello spettacolo ciò che già sa. A questo punto si può dire che si è conquistata la
fama.

CONTRIBUTO AL SONDAGGIO "IN CERCA DI UNA PROSPETTIVA”

Nell'ultimo decennio c'è stato uno sviluppo evidente dei mezzi di comunicazione di massa per cui il teatro si
è trovato in una situazione nuova. Il punto non è la rivalità con il cinema o con la televisione, ma la
necessità di capire in che senso il teatro possa e debba essere un'arte di massa oggi. Capacità professionali
supplementari degli attori che dovevano stare davanti alla macchina da presa e soprattutto davanti alla
telecamera. Prestazioni extra dei teatranti, motivate tra l'altro da stipendi insufficienti. Il teatro è l'incontro
di esseri umani, l'atto irripetibile che nasce nel contatto dell'attore e dello spettatore. L'attore è l'artefice
che modella l'opera nel proprio organismo. Quando è in scena l'attore spesso difende sé stesso in quanto
individuo privato, "personalità privata". Bisogna avere personalità; ma dicendo personalità non pensano
all'interezza dell'essere umano, alla pienezza dei motivi che l'artista rivela nella sua azione creativa. Parlano
piuttosto della maschera che assume l'uomo adeguato dall'ambiente. IL senso di responsabilità che
osserviamo nei teatri, lascia malto a desiderare. Un tempo gli attori avevano un debutto ogni settimana. E
la grande conquista di Stanislavskij è stata di ottenere per loro la possibilità di prepararsi scrupolosamente
per molti mesi all'atto creativo. L'attore deve ritrovare e riscoprire i segni per mezzo dei quali dà ordine ai
processi spontanei della sua sincerità ed entra in comunicazione con lo spettatore. L'atmosfera dei teatri
invoglia a "recitare col talento", ovvero a ingannare sé stessi e gli spettatori, invoglia all'incompletezza
creativa. Cerchiamo di migliorare e di ammodernare il teatro in quanto disciplina creativa. Nel confronto
con la tv e il cinema, l'immediatezza palpabile e sensuale di quello che fa l'attore, l'indecenza della sua
sincerità derivante dal fatto che è vicino allo spettatore ea quello che fa, lo fa per davvero davanti ai suoi
occhi ; sono questi i fattori decisivi della particolarità del teatro. Il carattere di massa del teatro dovrebbe
essere determinato dalla sua varietà che dà a ogni spettatore la possibilità di scelta individuale e quindi di
un confronto intimo tra sé e l'attore, cioè tra sincerità e L'autocoscienza dell'attore e la sincerità e
l'autocoscienza dello spettatore.

Bisogna riflettere sul teatro come elemento di terapia sociale. Vogliamo essere “scientifici", ovvero
rigorosamente logici e razionali, poiché i pregiudizi dominanti nella nostra civiltà ci impongono questa
attitudine. I teatro crea l'occasione per La rimozione delle maschere, rivelare i contenuti reali, impegno
assoluto, totalità delle reazioni fisiche e spirituali assunta in modo disciplinato. L'atto dell'attore è una
proposta per lo spettatore.

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NON ERA INTERAMENTE SE STESSO

Il teatro della crudeltà, e canonizzato. Il paradosso di Artaud sta nell'impossibilità di imitarlo o di


teatralizzare le sue proposte, Artaud ha parlato della magia del teatro. Forse non la comprendiamo, ma
sappiamo che egli cercava un teatro che trascendesse il campo del discorso logico e della psicologia intesa
come motivazione corrente delle azioni umane. Artaud parla di "trance cosmica che deve condurre al
"teatro magico". Il punto di riferimento sono gli altri. La persona è il punto di riferimento L'idea del teatro
autonomo ci è arrivata dalla Russia, da Mejerchol'd. Artaud vuole cancellare la separazione tra scena e
platea. Egli interpretava come segni cosmici" e "gesti che evocano potenze soprannaturali" elementi dello
spettacolo che funzionavano secondo un principio del tutto diverso. Quello che per Artaud era "misterioso"
e "cosmico", nel teatro balinese significa semplicemente un'espressione concreta, una concreta parola
teatrale nell'alfabeto dei segni la cui chiave è evidente e universalmente conosciuta ai balinesi. Artaud ha
intuito che il mito é il centro dello spettacolo teatrale. Egli è stato un profeta. I suoi testi contengono un
intreccio di previsioni, allusioni, visioni e metafore cosi suggestive che in una prospettiva di lungo termine
coglieranno nel segno, perché tutto questo deve avverarsi. Le sue suddivisioni della respirazione in
maschile, femminile e neutra derivano da una comprensione errata dei testi orientali e nella pratica sono
cosi nebulose da non poter essere verificate. L'attore non dovrebbe illustrare l'"atto dell'anima" con il suo
organismo, ma compierlo con il suo organismo. La sfortuna di Artaud è stata che la sua malattia (la
paranoia) non era la malattia del secolo. Artaud esprime il problema della spontaneità e della disciplina.

LE TECNICHE DELL'ATTORE (DENIS BABLET)

In che modo Grotowskij è arrivato a elaborare la sua tecnica dell'attore e a definire gli obiettivi e gli
strumenti? Brecht ha spiegato diverse cose sulle possibilità di un modo di recitare che ipotizzasse il
controllo razionale delle azioni da parte dell'attore, l'effetto straniamento. Era qualcosa che aveva a che
fare con una concezione nell'ambito dell'estetica dell'arte dell'attore. Brecht ha studiato l'arte dell'attore
nei minimi dettagli, ma sempre dal punto di vista del regista che affianca l'attore. Artaud fornisce uno
stimolo alle ricerche sulle possibilità dell'arte dell'attore, ma quello che propone sono visioni, una sorta di
poema sull'arte dell'attore e dalle sue spiegazioni non si può trarre nessuna conclusione pratica. Artaud
aveva osservato che esiste un parallelismo reale tra lo sforzo di un uomo che fa un'azione fisica e i suoi
processi psichici. Stanislavskij ha posto le domande fondamentali e ha dato le proprie risposte. Non ha
proposto all'attore ricette, ma strumenti per ritrovare sé stesso. Anche Charles Dullin ha elaborato
numerosi esercizi utili, improvvisazioni, studi con le maschere o esercizi a tema. La formazione dell'attore
deve essere adattata a ogni singolo caso. Uno dei grandi pericoli che limitano l'attore è la mancanza di
disciplina, il caos.

Mejerchol'd ha fondato il suo lavoro sulla disciplina, sull'articolazione esteriore; Stanislavskij invece sulla
spontaneità della vita quotidiana. Durante lo spettacolo non si deve pensare allo spettatore. L'attore non
dovrebbe considerare il pubblico come punto di orientamento, ma non dovrebbe nemmeno sottovalutare il
fatto stesso dell'esistenza degli spettatori. L'attore non deve recitare per gli spettatori, deve recitare al
cospetto degli spettatori, in presenza degli spettatori.

LA RICERCA DEL MONDO

Il teatro e in particolare la tecnica dell'attore, come ha sottolineato Stanislavskij non può basarsi
semplicemente sull'ispirazione su fattori difficili da prevedere, come l’irrompere del talento un’ espansione
improvvisa e sorprendente delle possibilità creative. Perché non può? AI contrario delle altre discipline
artistiche, l'attore crea a comando, ovvero in un tempo determinato e persino a una determinata ora.
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L'attore non può aspettare l'onda del talento né il momento dell'ispirazione. Le principali questioni dell'arte
dell'attore che dovrebbero essere indagate con metodo sono le seguenti:

• Stimolare il processo di autorivelazione dell'attore fino a comprendere gli stati dell'inconscio.


Reazione voluta.

• Essere capaci di articolare il proprio processo creativo, di disciplinarlo e trasformarlo in segni.


Reazione di risposta

• Come eliminare le resistenze e gli ostacoli che il suo stesso organismo fisico e spirituale.

La possibilità sta nel tentativo di definire individualmente non quello che bisogna imparare, ma quello che
bisogna disimparare. Togliamo all'attore quello che lo isola, ma non gli insegniamo come creare, cosa sia il
gesto tragico, come si recita una scena farsesca, perché questo "come" contiene l'embrione del cliché,
l'antitesi della creatività. Nel mio interesse per l'attore c'è l'interesse per l'uomo; due punti fondamentali di
attenzione. Il primo: quando incontro qualcuno, cerco di vederlo e accettarlo cosi com'è, superiamo la
barriera della nostra solitudine. Secondo: tentativo di capire sé stessi aprendosi all'altro, vale a dire scoprire
sé stessi in lui. Non faccio uno spettacolo per insegnare agli altri qualcosa che già sapevo e di cui parlo
adesso. È dopo lo spettacolo che ne so di più e non prima. Non è un buon metodo quello che non sua esso
stesso conoscenza in processo. Essenza stessa della vocazione dell'attore: è come se in una sola reazione
l'attore potesse aprire uno dopo l'altro i diversi strati della sua personalità: da quello biologico-istintivo,
attraverso il pensiero e la consapevolezza, fino a un vertice difficilmente definibile dove tutto converge in
uno; sta in questo l'atto totale di scoprirsi; ATTO TOTALE. Sul piano del metodo è efficace, perché dà
all'attore la massima suggestività. Quando parlo del metodo, parlo del superamento di sé stessi.

IL TEATRO È UN INCONTRO, INTERVISTA DI NAIM KATTAN

Il testo è una realtà artistica che esiste oggettivamente. Tutto il valore di un testo è già presente nel
momento in cui è stato scritto. I capolavori sono sempre basati sul superamento delle regole. L'essenza del
teatro è l'incontro, Colui che compie un atto di autorivelazione, stabilisce un contatto con sé stesso, Il mio
incontro on il testo è simile al mio incontro con l'attore e al suo incontro con me. Il teatro è un atto
generato dalle reazioni e dagli impulsi umani, dai contatti tra le persone.

È un atto biologico e spirituale al tempo stesso, L'incontro scaturisce dall'attrazione. Esso Implica una lotta
ma anche qualcosa di cosi simile in profondità che esiste un'identità tra coloro che partecipano all'incontro.

ESPOSIZIONE DEI PRINCIPI

Il teatro attraverso la tecnica dell'attore, crea l'occasione per qualcosa che si può chiamare: integrazione,
rimozione delle maschere, rivelazione di contenuti reali, totalità delle reazioni fisiche e spirituali. L'atto
dell'attore è una proposta per lo spettatore. Questo atto tra due esseri umani, lo chiamiamo atto totale;
esso costituisce l'essenza più profonda della vocazione dell'attore. L'arte non è uno stato dell'animo né uno
stato dell'uomo; è maturazione, evoluzione, risollevarsi che ci permettono di emergere dall'oscurità al
bagliore della luce. Lottiamo per ritrovare chi siamo per davvero; vorremmo strappare le maschere che
portiamo nella vita quotidiana, Vediamo il teatro come il luogo della provocazione, della sfida che l'attore
lancia a sé stesso e anche agli altri, Il teatro ha senso se ci permette di superare gli stereotipi del nostro
modo di vivere . L'attore è di per sé non solo artista, ma opera e modello.

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Può guidare e ispirare l'attore chi è impegnato totalmente nella propria azione creativa. Il regista, guidando
e ispirando l'attore, deve lasciarsi guidare e ispirare da lui. L'atto creativo in questa disciplina è compiuto in
gruppo. L'attore non ha il diritto di plasmare il partner a suo piacimento in modo da creare maggiori
possibilità per la sua interpretazione; e non ha il diritto di correggere il partner. Non dobbiamo sfruttare in
privato niente che si associ all'atto creativo: un luogo, un costume, un Oggetto di scena, un elemento della
partitura dell'attore, un motivo, un tema. Armonia, sollecitudine e ordine nel lavoro di ogni attore sono le
condizioni necessarie senza le quali l'atto creativo non può venire alla luce. Quelli che sembrano dettagli
minimi sono il campo in cui si decidono questioni fondamentali. L'attore deve essere pronto ad affrontare
l'atto creativo quando il gruppo decide sia il momento. L'atto creativo in questa disciplina si sviluppa
quando è alimentato dall'organismo vivo, L'atto creativo è l'arte della sincerità estrema, disciplinata, cioè
articolata in segni. La materia non può costituire un ostacolo per l'artista, ma se la materia non esistesse
per l'attore, cioè come se non opponesse alcuna resistenza. Il primo dovere dell'attore è capire che qui
nessuno ha intenzione di dargli qualcosa, si cerca piuttosto di togliergli molto. Affinché nell'attore venga
alla luce l'atto totale, devono verificarsi certe condizioni e alcune di esse sono di natura talmente sottile che
in realtà non si possano definire a parole. Diventano tangibili quando le sperimentano nella pratica. Questo
atto non può venire alla luce se l'attore si cura più del suo charme, del successo personale, degli applausi,
della fama e dei soldi che dell'opera, intesa secondo criteri ideali.

INTERVISTA CON GROTOWSKIJ

Quando un'attrice recita, le parole che dice diventano sue, e non più dell'autore; il fatto che non le ha
scritte lei non ha rilevanza. L'obiettivo è trovare un punto d'incontra tra il testo e l’attore. L'attore lavora di
fonte ad altre persone deve confessare i suoi motivi più personali, deve rivelare cose che tiene sempre
nascoste, Deve farlo consapevolmente. Ciò che lo blocca maggiormente sono i suoi colleghi attori e il
regista. Se ascolta le reazioni degli altri si chiuderà. Cercavamo reazioni collettive che sono possibili soltanto
se le persone condividono i medesimi riferimenti di fede, se "conoscono la liturgia", Oggi ci sono molte
mezze fedi, cosi e impossibile trovare questo tipo di rituale.

Si possono stimolare fenomeni esterni e far cantare assieme agli attori il pubblico ma non è una
partecipazione profonda, autentica. E solo la partecipazione della maschera comune. Gli spettatori stanno
comunque recitando il ruolo di spettatori, sono osservatori. L'unità di luogo, tempo e azione non era
realizzata, Abbiamo risolto questo problema quando abbiamo fatto il Faust di Marlowe. Gli spettatori erano
trattati come ospiti invitati da Faust; persone delle qual Faust è alla ricerca per poter analizzare la sua vita.
Faust non aspettava mai risposte dagli spettatori, ma osservava i loro occhi e potevamo vedere in essi
sintomi fisici dell'impatto e anche sentire il loro respiro; accadeva qualcosa di reale. Prima di Faust,
avevamo nesso in scena Akropolis di Wyspiański, in cui eravamo arrivati alla stessa cosa, ma non del tutto
consapevolmente. E un'opera classica ambientata in un santuario polacco, il Palazzo Reale di Cracovia.
Durante la notte della Resurrezione, le figure degli arazzi reali prendono vita e recitano episodi dell'antica
Grecia e della storia ebraica.

Alla fine c'è la resurrezione di Cristo (che è anche Apollo)e si forma una processione trionfale. Ma il Palazzo
Reale non è più un santuario; non è più ciò che era per Wyspiański nel XIX secolo: il cimitero della nostra
civiltà, Qual è il cimitero della nostra civiltà? E’ Auschwitz. Ma ad Auschwitz il Salvatore non è mai arrivato
per coloro che furono uccisi. Ogni sogno era infranto. Che cos'e Auschwitz? E’ un mondo che funziona
dentro di noi. I prigionieri lavoravano di continuo. All'inizio la sala era vuota, fatta eccezione per la catasta
di tubi gli spettatori erano disseminati in tutto lo spazio. La costruzione era fata di tubi di stufa, Non
illustravano un forno crematorio ma davano agli spettatori l’associazione con il fuoco. A scegliere questi
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elementi è stato il famoso scenografo en Szajina. Gli elementi scenici di Akropolis non erano astratti, ma
neanche realistici. Erano oggetti concreti, ma tutti totalmente "non teatrali". Gli attori non interpretavano i
prigionieri, ma ciò che stavano facendo. Ogni attore manteneva una particolare espressione facciale, un tic
difensivo, senza trucco. Era personale, specifico per ognuno, ma in gruppo era un'immagine straziante.

Gli spettatori funzionavano sia come spettatori che nel contesto dell'opera. l Principe costante: l'intero
spettacolo era basato sui motivi del Principe, era un tentativo di realizzare attraverso Ryszard Cieślak (il
Principe), qualcosa di impossibile: un apice psicofisico, raggiunto e mantenuto coscientemente. La sala era
costruita in modo che il pubblico fosse quasi nascosto dietro un muro; non c'era alcuna relazione tra gli
attorie gli spettatori. La cosa importante è che la relazione tra attori e spettatori nello spazio sia
significativa. Un montaggio iniziale è fatto prima che comincino le prove. Ma durante le prove si procede a
un montaggio ulteriore. Il principio è il seguente: si chiede all'attore che interpreta Amleto di ricreare il suo
Amleto, di fare la stessa cosa che ha fatto Shakespeare con l'Amleto tradizionale. È piuttosto semplice
prendere un mito e costruirci attorno il proprio lavoro. Ciò che preferisco sono lavori nuovi che siano
eterni, potrei addirittura non sapere a quali soggetti si riferiscono. L'Ulisse non è un'illustrazione né una
parodia, ma allo stesso tempo esiste nel libro qualcosa di arcaico e in questo senso è eterno.

L'attore non deve illustrare Amleto, deve incontrare Amleto. Deve creare nel contesto della propria vita e
del proprio essete Non ha messo in scena l'Akropolis, l'ho incontrata, lo stesso per Auschwitz Si Stouttura
Lmaatagsio casi che guasto conhonto possa Avere luoROun incontro In che cosa consiste kunita di azione in
una spettacolo ? Unita di aZione non e l'unita -aione delropera scritte l pubblico sa che non sta vedendo il
vero Amleto di Danimarca. S deve sempre cercare la verità letterale. La creatività in teatro non este se
nonce una partitura, una linea di elementi fissi, Senza di essa c'e solo dilettantismo, La ricerca della
disciplina e della struttura e tanto inevitabile quanto la ricerca della spontaneità. Cercare la spontaneità
senza ordine porta sempre al caos

INTRODUZIONE AD ALLENAMENTO DELL'ATTORE (1959-1962)

L'attore deve scoprire le resistenze e gli ostacoli che lo intralciano nel suo compito creativo. Cosi gli esercizi
diventano un mezzo per superare questi impedimenti personali.

TEATRO E RITUALE

Ognuno rimane prigioniero di un tipo definito di convenzione, di materia di pensare. di idee relative al
teatro. Si deve andare a teatro, perché fa chic: a teatro si fanno spettacoli si creano personaggi, si fanno
allestimenti, ma alla fine è solo un altro meccanismo che funziona di per sé, come l'obbligo di tenere
conferenze. La via verso un teatro vivo può essere la spontaneità teatrale originaria.

Dal momento che proprio i riti originari hanno dato vita al teatro, attraverso il ritorno al rituale si potrebbe
ritrovare quel cerimoniale della partecipazione diretta, viva, una sorta di reciprocità, la reazione immediata.
Lo spettatore, allontanato nello spazio, messo nella situazione di colui che in quanto osservatore non è
neppure accettato, che rimane unicamente nella posizione di osservatore, è capace di una reale
compartecipazione emotiva, poiché può ritrovare in sé l'originaria vocazione dello spettatore. la vocazione
dello spettatore è essere osservatore, ma anche essere testimone.

Se vogliamo immergere lo spettatore nello spettacolo, bisogna mischiarli con gli attori. É la situazione di
Akropolis. Nel caso del Principe costante avevamo una compartecipazione diretta. Nel caso di Akropolis gli
spettatori sono frammischiati agli attori; il risultato è che si crea un abisso. In Akropolis sono realmente due

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mondi, poiché gli attori sono come brandelli umani, gente di Auschwitz, i morti; gli spettatori invece sono
vivi, sono venuti a teatro per prendere parte a un rituale culturale. Se volevamo evitare il rituale religioso e
costruire un rituale laico era piuttosto per confrontarci con le esperienze delle generazioni passate, col
mito. I risultato è: gli spettacoli erano sempre ironici, quell'ironia che aveva un lato tragico, tuttavia gli
spettatori erano solidali con il protagonista. Bisognava abbandonare questa concezione del teatro rituale,
poiché oggi esso non è possibile, a causa della mancanza di credenza professate universalmente. Sotto la
superficie di queste ricerche rivolte contro lo spettatore, stava un proposito nascosto: l'aspirazione a
scoprire un sistema di segni adatti al nostro teatro, alla nostra civiltà. Lo spettacolo era costruito con piccoli
segni gestuali e vocali. Ognuno di questi gesti costituiva ciò che Stanisiavskij chiamava "cliché gestuali".

Ma non era questa la via. Quello che l'attore fa dovrebbe rimanere in relazione con il mondo circostante, in
connessione con il contesto culturale: per evitare il pericolo degli stereotipi, bisogna cercare tutto ciò in
modo diverso. Abbiamo avviato la ricerca nell'ambito delle relazioni umane organiche, per poi arrivare a
strutturarle. L'attore è in grado di imitare la vita: si tratta del teatro realistico o naturalistico dove si imita il
comportamento quotidiano( attraverso tutta la storia del teatro ho seguito il allo fra le due possibilità
quella più vicina al fantastico, l'illusione, e l'altra, l’imitazione piuttosto realistica della vita. L'attore qui non
dovrebbe recitare, ma penetrare i territori della propria esperienza, come se li analizzasse con il corpo e la
sua voce. Dovrebbe ritrovare gli impulsi che fluiscono dal profondo del suo corpo e con piena chiarezza
guidarli verso un certo punto che è indispensabile nello spettacolo. Se si vuole tracciare una linea del
comportamento umano che possa servire all'attore come una specie di pista di decollo, bisogna possedere i
morfemi di vesta partitura, nello stesso modo in cui le note sono i morfemi di una partitura musicale.
Consideriamo morfemi gli impulsi che montano dall'interno del corpo per incontrare l'esterno. Si tratta di
una sfera che comprende anche tutte le motivazioni dell'interno del corpo, dell'interno dell'anima. Esiste
l'impulso che va verso l'esterno, mentre il gesto è solo il suo compimento. Abbiamo abbandonata l'idea del
teatro rituale con il risultato di rinnovare il rituale, il rituale teatrale: attraverso l'atto, non attraverso la
fede.

HO DETTO SI AL PASSATO (Margaret Croyden)

Il teatro povero è un teatro che si concentra soltanto sulle azioni di esseri umani e sulla relazione tra gli
attori e il pubblico. Rinuncia a tutti gli effetti convenzionali perché non sono essenziali. Gli elementi
materiali impediscono il nostro confronto reale con l'arte. L'attore è il creatore perché fa vivere la
letteratura del teatro. Deve essere come un mago che incanta il pubblico. Confrontarsi con il testo vuol dire
metterlo alla prova, lottare con esso, misurarsi con quello che significa facendo riferimento alle nostre
esperienze contemporanee e poi dare la nostra risposta. L'atto totale è auto- rivelazione totale in un
momento di estrema onestà. A questo punto le parole sono inevitabili.

RISPOSTA A STANISLAVSKIJ

Secondo Gratowskij il metodo Stanislavskij è stato uno del più grandi stimoli per teatro europeo, in
particolare nella formazione dell'attore; nello stesso tempo si sente lontano dalla sua estatica. L'estetica di
Stanislavskij era il prodotto dei suoi tempi, del suo paese e della sua persona. In senso professionale, G. si è
formato sul sistema di S, Quando ha cominciato il suo lavoro, il punto di partenza era la sua tecnica. Un
vero allievo di S. era Mejerchol'd. Non applicava il "sistema" scolasticamente, ma dava la sua risposta,
Nutre per S. un grande rispetto fondato su due cardini:

1. per la sua autoriforma permanente, il continuo mettere in questione nel lavoro le tappe precedenti,
dubitava delle novità;
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2. per il suo sforzo di pensare sulla base di quello che è pratico e concreto, voleva trovare delle vie
concrete verso processi segreti.

I sentimenti non dipendono dalla nostra volontà. Cercava la famosa "memoria emotiva". Nella vita si può
appurare che i sentimenti sono indipendenti dalla volontà. Non vogliamo amare qualcuno, ma lo amiamo.
Per questo Stanislavskii nell'ultimo periodo dell'attività preferiva porre l'accento su ciò che è soggetto alla
nostra volontà. Nella concezione di Stanislavskij le azioni fisiche erano elementi del comportamento, erano
azioni elementari davvero fisiche, ma legate al fatto di reagire agli altri. Stanislavskij credeva che un
allenamento positivo dovesse comporsi di tipi di esercizi distinti legati unicamente dal fine comune.

Tutti gli esercizi da noi mantenuti erano indirizzati senza eccezione ad annientare le resistenze, i blocchi, gli
stereotipi individuali e professionali, Per superare gli esercizi, bisogna scoprire il proprio blocco. Tutti questi
esercizi avevano un carattere negativo, servivano a scoprire che cosa non si dovrebbe fare Questi esercizi
sono personali, dunque sono notevolmente più difficili per noi che per gli altri. Negli esercizi si richiedeva
all'attore la padronanza dei dettagli fino al punto in cui si manifestava la reazione personale.

Quando l'attore è già sulla via verso l'atto ma non sa cosa deve fare, Stanislavskij esigeva che l'attore avesse
una linea d'azione preparata che lo liberasse da questo problema. Quando Grotowskij lavorava con l'attore,
non stava a riflettere né sul "sé" né sulle "circostanze date". Si rivolge alle esperienze che sono state per lui
davvero importanti e a quelle che aspettiamo.

Stanislavskij credeva che il teatro fosse la realizzazione del dramma; il teatro era per lui il fine.

Si dice spesso che l'attore dovrebbe agire in prima persona: "io" e non la "parte". Spesso se l'attore pensa
"io", pensa al proprio autoritratto, all'immagine che vorrebbe imporre agli altri.

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