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ALDO AVETA MATERIAL] E TECNICHE TRADIZIONALL NEL NAPOLETANO NOTE PER IL RESTAURO ARCHITETTONICO ARTE TIPOGRAFICA Gili edifici si differenziano da regione a regione per la natura dei materiali da costruzione ¢ per il modo con il quale gli womini ti hanno messi insieme per realizzarne le strutture portanti e per ren- derli confortevoli. A tali variazioni regionali si aggiungono quelle che, anche in uno stesso luogo, si sono verificate, durante it trascor- rere del tempo, a seguito dell'affinamento delle conoscenze net campo della statica ¢ det perfezionamento delle tecnologie, Caratteri- stiche fisiche, chimiche e di resistenza dei materiali, da un lato, me- todi costruttivi, dal’ altro, definiscono realisticamente gli schemi sta- tici fondamentali secondo i quali pud vitenersi che si articola la sta- ilita di un edificio, considerato nel suo complesso, entro ¢ fuori terra, comprendente i terreni di fondazione. Evidentemente, dunque, Vindividuazione degli schemi suddetti, Vanalisi tensionale e Vindividuazione dei quadri isostatici, la defini- zione delle tecnologie di consolidamento pit idonee presuppongono 4a reale possibilita di ben conoscere, nei suoi elementi costruttivi, Ve dificio preesistente, sul quale occore progettare interventi che garan- tiscano la piena efficienza strutturale. Per soddisfare tali prioritarie esigenze del restanro dei monumenti risulta necessario, ancora una volta, avvatersi dei contributi di altre discipline, dalla Geologia ¢ dalla Scienza delle costruzioni alla Storia della tecnic Partendo da queste semplici premesse, lo studio che viene svolto nelle pagine seguenti si propone di richiamare alcune noxioni tecni- che di base, riguardanti specificamente U'area napoletana, ed & rivolto’ agli studenti della Facolta di Arebitettura di Napoli, che devono af- frontare it Corso di Restauro architettonico; Coro che tende, fra Valiro, alla individuazione dei criteri e dei metodi necessari per for. mulare ta diagnosi dei dissesti statici che si presentano in un edificio monumentale, del quale, come & ovvie, occorre conoscere, prelimi narmente, le ordinarie condizioni di stabilita in assenza di dissesto, v Per Javorire tale conoscenza, appunto, vengono qui esaminati, dapprima, i materiali da costruzione (naturali e non) pitt spesso adoperati nel Napoletano, specialmente in passato, e, quindi, le malte e gli intonaci che si ottengono impiegando terreni locali. Vengono esposte, poi, alcune tra le tecniche che sono state (e, a volte, sono) adottate tradizionalmente nella costruzione delle strut- ture muvarie verticali, in fondazione ed in elevazione, delle volte e delle cupole, oltre che dei solai, dei tetti e delle scale, Ul carattere di sintesi — che, in conseguenza dello specifico obiettive didattico, si é dovuto e voluto dare alla esposizione che qui si presenta — ha comportato un notevole sforzo riduttivo per individuare le informazioni essenziali da fornive agli studenti, nella forma pitt semplice ed utile, onde consentire loro di individuare le problematiche specifiche che potranno trovare ulterior’ approfondi- menti attraverso la lettura di saggi indicati in bibliografia. Sia pure entro i limiti suddetti, Uautore riesce a soddisfare una domanda di conoscenza che lesperienza, che da anni si va com- piendo nell’insegramento del Restauro, dimostra essere formulata con chiarezza dagli studenti. Ed 2, appunto, in questo, oltre che nella sersplicita e chiarezza dell'esposizione, la validita e I'utilita del presente contribuio, Ropero Di § Materiali naturali 11 sottosuolo campano ¢, in particolare, quello dell'area napole- tana & ricco di materiali naturali che presentano eccellenti qualita per Vimpiego nel settore edilizio; i costruttori locali, fin dall'antichita, hanno imparato ad estrarli, a lavorarli ed a porli in opera sfruttan- done le caratteristiche! ed applicando tecniche e criteri fondati su an- tiche tradizioni, La conoscenza di tali fattoti processi — che hanno consentito le formazione del patrimonio architettonico, modernamente inteso — appare, pertanto, di fondamentale importanza per Varchitetto impe- gnato nell'intervento tecnico di restauro conservativo, Analizzando i materiali impiegati nelle costruzioni, il Palladio nel suo trattato premette che: «Delle pietre altre abbiamo dalla natura, altre son fatte dallindustria degli uomini: le naturali si cavano dalle petraie, ¢ sono o per far lu calee, o per fare muriv’, Tale distinzione pud essere adottata ancora oggi: vi sono, infatti, sia materiali «ns turali», i quali vengono utilizzati in edilizia nello stato in cui sono + Per il sottosuolo napoletano si rinvia agli studi delle Commission’ communal su I sottosnolo di Napoli, ivi, 1967 e 1971; per utili approfondimenti sulle earatter stiche di tale sottosuolo in rapporto agli sviluppi urbanistici della citth si segnalano i contributi tefano, Napoli sotteranea, in “Napoli nobilissima”, anno 1, fase, IM, ivi, settott, 1961; € Le cavitt © le galleic sottemenee in rapporto allo sv luppo urbanistico nel tempo, ity “Nai dell'VUIL Convegno di 1967. In tall Atti pubblicato anche un saggio molto interessante, Disest di Napoli ¢ loro cause, a cura di Autoti vari. Si rinvia, inolte, al fondamentale testo E. Penta, I materiali da cosiruzione nell Halia meridionale, Napoli, 1995, >A. PALLADIO, I Quattro Libri dell’Architettura, Venezia, 1570, libro I, eap. Ul, . 145 si consulti Pedizione « cura di L. Magagnato ¢ P. Marini, Milano, 1980. 3 cavati dal sottosuolo; sia materiali «artificiali», che sono realizzati at- traverso particolari lavorazioni di tipo industriale. ‘Tra i primi vi sono le rocce, aggregati naturali di particelle e corpi solidi di vario genere, composti da una o pitt specie di minerali’; per esse esistono vari. criteri di clasificazione: tra questi segnaliamo quello. genetico, che distingue le rocee con riferimento alla loro ori- gine, in «ignee» 0 emagmatiche», «sedimentarie> 0 «esogene» ametamorfiche»'. (granito, sienite, infin, derivano dla trasforma- zione di i eruttive © sedimentarie, che da luogo a nuovi minerali © a nuove strutture: ricordiamo il quarzo, che deriva dall'arenaria, il marmo dal caleare, l'ardesia, il gneiss. Le pietre naturali utilizzate attualmente nelle costruzioni devono M. Givira - R. ne Riso, Geologia tecnica, 1V ed., ‘Torino, 1985; mento sirinvia ai testi di geoogin e di petrografin: fra questi sicita A, Desio, Geo Ioqia applicata atta imequeria, IK edizione, Milano, 1985; per la esplorazione geolo- itica del sottosnolo si segnala il testo di M. Peiasica, Geologa applica, vol. 1°, Bologna, 1982, + Clr, AAY., Geolonia tecnica, op. cits, p. 4 possedere _sgratssuice: Seche® p-mneceankcact che soap sancite dal Regio Decreto n.. 16 novembre 1939. Rivolgiamo ora Ja nostra attenzione ai materiali naturali da co- struzione soffermandoci prima su quelli di origine eruttiva, molto dif- fusi, poi su quelli di altra natura, In tal senso, ricordiamo che l'area napoletana & costituita prevalentemente dai prodotti vuleaniei di due centri eruttivi, il Somma-Vesuvio ed i Campi Flegrei . Prodoui vulcanici del Somma-Vesuvio care ) pud essere assoluto od apparente: il primo si ottiene supponendo che non vi sano ‘avi i determinazione, polvere della roceia in esame. I peso specifica apparente si ae dendo il peso di un eampione perfettamente squadtato ¢ levigato per il suo volume. | valori del peso specifica, espressi in lyme, aumentano sensibilmente dai 900 della pomice, ai 1700 dei tufi, ai 2200 dei caer tener, ai 2400 del travertino, ai 2500 dei caleari compatti, ai 2700 cei marmi, ai 2800 del granito, ai 2900 del basalo, ¢ pid meno facilmente Pacqua in cui la pata dalla quan: Vazione di un lo sostanza che viene abrasa da an provine eubice sottopasto io, earborundem, exe.) cdi una occia ‘si individea sottoponendo il carpione, tenuto forti raffreddamenti seguiti da tepentini innalaamenti di temperatura ed osservando attentamente le eventuali tracee di syee= tolamento o di Fessur inno le reve di resistere pit) © meno forte lle pietre & quella a compressions a flessione. 4 lasciarsi segare, scolpire e lucidare, in modo da presentarsi sotto forma ¢ dimensioni determinate, La , pit ploole, ero adaperate per realizar lst basoli spugnosa, molto irregolare scabra, detta ferrugine. Con questa — priva di materie terrose, in dimensioni variabili tra i 2 6 cm. — si ottenevano di di alta \ttezna per la forte adesione tra le malte Le scorie di maggiore leggereaza, spesso insieme con materiali dalle caratteristiche analoghe (pomici ¢ lapilli), venivano utilizzate, dopo opportuna frantumazione, per la costruzione di volte leggere. Ancora oggi si adoperano per ottenere conglomerati leggeri. Prodotti vulcanici dei Campi Flegrei ¢ detle isole “Il tufo grigio|? unimportante varieta di tufo vuleanico, detto an- che tufo «campano» , che fornisce una buona pietra) molto adoperata nell’agro nocerino, nella penisola sorren- tina e nel casertano, Si ritrova in strati — che probabilmente costi- tuiscono il letto di tutta la formazione vulcanica flegrea — i qual fiorano nelle province di Avellino, Benevento ¢ Salerno, ed anche in aleune zone del casertano (Capua). - Si presenta di colore grigio (talora tendente al giallo, al ros: ed al violetto) compat i; vi sono, compatte che racchiudono, nella massa cineritica grigia, element (molto simili alle «fiamme» del piperno), consistenti in pomici cole scorie nere. Esso perd, rispetto al piperno, risulta pitt pid facile lavorabilita ¢ scalpellatura: & stato, ee © Chr, P, Nicorna-P. Luci, op. cit, p. 38. 8 sual, mesial, common smear sh cl oop al pica piani degli edifici (in tufo grigio di Nocera & la cotnice di corona mento della facciata dell’Universith centrale); poi, @ stato abbando- / nato per la scarsa durevolezza, La resistenza a compressione & minore” di quella del tufo giallo: Ia tensione di rottura a schiaceiamento varia tra i 25 © 1 60 kglemq.. Vanno aoe Fat le lave trachitiche derivanti dall'attivith del gruppo vuleanico dei Campi Flegrei, anche se sono state sfruttate li mitatamente come materiale edilizio. Quelle provenienti da Quarto, dalla Solfatara e dal monte Olibano (S. Gennaro) furono utilizzate dai Romani per selciare le strade extraurbane; anche gli Angioini — in particolare, Roberto d’Angid’ — le usarono per sistemare ¢ lastricare, tra il 1317 ed il 1318, le strade della capitale. Raramente sono state impiegate nell’edilizia monumentale; ricor- diamo che in trachite sono stati realizzati alcuni elementi costruttivi dell'anfiteatro di Pozzuoli, di Castelnuovo (le basi dell’arco trionfale ¢ le finestre della Sala dei Baroni), della chiesa di S. Francesco di Paola (il colonnato centrale), (gran parte dei pilastri ottagon: del coro delle monache)”. al di sotto Proviene dal vulcano di Soccavo, le cui cave nella collina dei Ca- maldoli, con imbocchi a Soceavo © a Pianura, risultano ogi quasi del tutto abbandonate. Del banco venivano utilizzati cinque strati, che con la maggiore profondith acquistavano maggiore consistenza: il terzo strato & stato sfruttato nel periodo medioevale, il quinto in et moderna’, © Gf. S. Castro, Restauri a Napoli nei primi decent del '900, in “Re- stauro”, 1. 68-69)/1983, p. 54. ™ Chr. G, Biteco, Onanizzazione © producione edilcia « Napoli allavvento: di 9 Quando il piperno si deteriora, la maggiore durezza delle «fiamme» fa 31 che queste sporgano dalla massa che, invece, si sfarina ¢ cade lasciando Ia pietra tutta cavernosa a porta alla costituzione di una patina super! a che protegge la roceia dagli ulterior: attacchi lezza &, dunque, maggiore rispetto a quella delle altre rocce pir che; ma la scarsa resistenza all'usura ha influito sul suo gradi ‘suso. La conoscenza dell’uso, differenziato nel tempo, di tale materiale rispetto a quello delle lave (iniziato a partire dal XVII secolo) fornisce tun utile contributo nelle datazioni storiche dei monumenti. Le particolari caratteristic state, sin dai tempi antichi, molto apprezzate dai costruttori napole- tani: il piperno @ stato per cid impiegato per formare gradini, cornici stipiti, architravi, mensole, piedritti, zoccolature, portali, cee.. Di pi perno sono, tra Paltro, pilastri eaten s. ee coe mma citentve ¢ ante ced See che HRRRGeenItnte Were dl accent Sal coroe hemcntoest turale che coae In piperno 2 il campanile di $. Lorenzo maggiore, i piedritti ¢ Vintradosso dell'arco della porta Capuana, il bugnato delle facciate di palazzo Cuomo (attuale musco Filangieri) ¢, poi, il bugnato a punta di diamante della chiesa del Gesit nuovo; lalto e robusto basamento bu- gnato di palazzo Gravina, in cui si evidenziano interventi di restauro con pietta lavica vesuviana: tra il bugnato ¢ lordine superiore & inter- posta una trabeazione costituita da un grosso toro di piperno, un alto fregio ed una cornice di marmo. Nelle facciate di S$. Caterina a For- miello ¢ di S. Maria La Nova, nel fianco della chiesa dei SS. Severino ¢ Sossio, il piperno sembra assumere rispetto all'intonaco chiaro la stessa funzione che la «pietra serena» svolge nell'architettura fiorentina, ‘A partire dalla Controriforma, i pilastri quadrati di piperno di- vennero elemento tipico dei palazzi patrizi, delle chiese ¢ dei chiostri. Nell'architettura barocca I'uso appropriato del materiale nel rive- stimento delle facciate — oltre che in innumerevoli portali di palazzi Caro di Borbone, vi, 1983, p. 37. Il Ragueci, in particolare, distingne il forte, delle cave dei Camaldoli ¢ di zone contigue, da quello adoke » proveniente dia Sorrento, i Srurano, 10 patrizi e case — offre spunti di composizioni cromatiche. Roberto Pane cita gli esempi di $. Agostino alla Zecca ¢ del Carmine nei quali le membrature di piperno contrastano pittoreseamente con i fondi di muratura di mattoni ed i fregi e gli ornati di marmo bianco” videnziano, tra altro, Impieghi ottocenteschi del piperno si nellatrio, con archi bugnati, aggiunto al eto, Cro dal Nein (1810 + 12) e nel basamento del palazzo della Borsa (1895), De 2 il prodotto di eruzioni anteriori a quelle ito uogo al tufo giallo caotico dei vulcani di Capo. Miseno, Bacoli, _Nisida, Coroglio, ‘Trentaremi; contiene una grande sus ¢ scorie, per lo pitt piccole, ¢ presenta una massa Tair ste ets la granulometria e affioramenti & stato usato raramente come materiale da costruzio I materiale da costruzione pitt noto e sli il co tico o napoletano: tra i materiali originati mo flegreo — che hanno formato le colline sulle quali & sorta ¢ si & sviluppata arses ala foniaiope tl Neat aes Ro aoe vest dal fndaione lapoli imi secolo, Esso forma grossi banchi la cui potenza di oltre 150 metri a Fuor si riduce a circa 30 metri nella estrema zona orientale dell th T banc, anche rowrappontcacpara ds ate pit 0 meno incoerenti di natura piroclastica, sono di poterza variabile. Al- cuni, di notevole spessore, affiorano nella zona di Materdei, ai piedi del monte Echia (S. Lucia) e in via Chiatamone, nella collina di Po- sillipo, e, soprattutto, nella collina di Capodimonte, attraverso i val- Joni naturali dei Vergini ¢ della Sanita: qui venne estratto per la co- struzione della murazione grec nT pave roa pap: nici, lapill) dovati alle fasi vuleaniche pit. recenti" Gli, R. Pane, Valor’ anubientali ¢ erteri di indervento, in AANY., “Il centro 1970, vol. 2%, p. 414 peciali di appalto della fine det XIX secolo rileviamo anche ke Imaggiormente adottate «in piazza» per aleuni usi tpiet del piperno: ad " caginelle> (davanzali) si adoperavano — dopo aver rustico nelle cave — elementi dello spesiore coscante di 22 em., larghi fino a 75 cm. € hu 1,50 m. fino # 2,50 m. per ‘oni (atavolonis), elementi di spessore fino a 20 cm, con le funghezza 2,12 m., larghezza 1,06 m.; hunghexza 2,40, larghezza 1 2,64, larghezea 1,52 m.; eft. f RENDINA-G. TH 11, op. cit, pp. 118-121 viduare la profondita del tetto del tuto e la natura dei terteni sovra uw 1 tfo & stato originate _iulaugcememinions i deers ag ici vari (coneri lili lapidel, pumice e scoriacei, ccc nielutiall (cone (vulcani di Mofete, Gerolomini, dicoyemnnies Guna tscello, Chiaia, Fuorigrotta, ecc.). Per le ottime ‘teggiato a ae Si @ assistito, pertanto, # un cont terminato la creazione nel sottosuolo di tutta una any eae tale pictra si presenta di consistenza e di aspetto vat: infatti, pur re: stando di aspetto terroso, ta sui massa talora & cineritica, in altri casi sabbiosa © grossolana. Molto di versi sono gli elementi in ess inclusi e, tra quest, lapilli per lo pit scoriace! o pumicel ¢ eristalli sciolti per lo pit feldspatici. A questa ‘isponde tutta una serie di nomi popola -on sottili vene), (ricea di lapilli), ece,. Esse pre- sentano differenti caravteristiche meccaniche — in particolare, la re- sistenza allo schiacciamento — mentte l'aderenza alle malte & sempre ottima, In generale, trascurando i casi nei quali il «monte» di tufo af- fiora, segnuliamo che, al di sotto del piano di campagna, tra i terreni superficiali {1 tufo di buona qualita, si rinvengono prima Al di sotto del si trovano strati tenace, che costituiscono le parti alte del giacimento. Un primo al stant nel capoluoyo campano # utile consutare ly Carta geoogio-tecnicn dellA: Tans alleges al ae ny stools di Napol!, labora ne eso deli stu del Commissione comunate de! 1987 12 0 «cima di monte», un secondo, detto «pietra arenosan, € poi, pit: in basso, un terzo, detto duray; quest ultima rag- sinnge talvolta compattezza Ttoidea e colore grigio scuro 0 grigio- = per tali ae viene abies «picts Quindi, a profondita ancora mag tufo duro si ritrova il tufo giallo git tehacita, spesso di colore giallo crem: pa giata se a grana fine e con piccole pomici incluse; il peso specifico me- dio & di 1700 kg/me., il carico di rottura varia tra 40 € 100 kg/emq.. La presenza, nel sottosuolo della citta, di banchi di tufo ha costi- tuito un grande vantaggio per i costruttori napoletani i quali se ne sono serviti in ogni genere di opere (edifici, fortificazioni, gallerie, ac- quedotti, fognature, ecc.). Hanno potuto disporre di questo bene na- turale sin dai tempi antichissi essendo il tufo presente gid nell’eta del bronzo, oltre 4500 ani Lo sviluppo delle cavita nel sottosuolo urbano & analizzato dettagliatamente negli studi di R. Di Stefano. Qui segnaliamo che le pid antiche mura della citté — come attestano i rinvenimenti — erano formate da tufo, in grossi blocchi, cavato a cielo aperto o in gallerie profonde. La collina che fu per prima attac- dest, aie roan ‘Dalla seconda met’ d a! corso dsl sepacsione: vi cereale, si avvid — oltre a quello della citata collina — anche lo sfrut- tamento delle cave c ieee uc Monte ¢ dei tonal ea , ad occidente delle antiche mura e fino alla’ pare via Toledo; per realizzare i equartieri spagnoli» fu attaccato il orientale della collina del che, per S, Carlo alle Mortelle, ca Piz LA tae iodo risale la tecnica di escavazione » nel sottosuolo stesso della zona da edificare; gli esempi sono forniti dai grossi complessi conventuali (monastero di S. Grego- tio armeno, dei Gerolamini, ece.). Con Pespansione della cittd verso occidente inizid anche lo sfrut- tamento della collina di Posillipo, Gli scavi, dunque, non venivano 1 Che, R. Dt Suuxano, Dissribucione delle cavitd rispetto al tericoria urbane, in AANV., “IL sottosuola di Napoli”, op. cit., pp. 129 e seps, 1B solo da criteri utilitaristici ed ‘economici, cos Molti sono i metodi di scavo — allo scoperto o in sotterraneo — che sono stati adottati nel corso dei secoli arrecando danni pili o meno gravi alla stabilita del sottosuolo. Scavi «in galleries, «a volta curva», «a bottiglia» o «a campana», «allo scoperto» si effettuavano nel banco tufaceo sia nei luoghi di costruzione che nelle cave". In generale, per quanto concerne Ia stabilita, dobbiamo osservare che le " Lrestrazione del tufo avveniva, allo scoperio o in sotteraneo, nei huoghi dove di cerddeva costruite © nella cave, II metodo di coltivazione in galeria era quell con quale anticamente si seavavano galerie con il cielo piano e con doe pareti vertical di forma parabolica a fuoco lontana, La larghezza del cielo raggiungeva il imite di 4° 5 ett; le paretierano alte 10% 15 metri dal piano di calpestio, oltre la fossa interrata, ‘Tale metodo & stato applicato nelle grotte dei Cristallni, in quelle lunge la via Vecchia di Capodimonte e tra questa e la via Nuova di Capodimonte, in quella « piazza Cavour, « piazza Dante, a via Ventagleti¢ nelle cave Mangone presso lx torn di Virgilio. ‘Trait 1860 e il 1870 lo scavo in galleria cade in disuso ¢ fu sostituito da un altro metodo pit rapido e, quindi, pit. economico, detto a volta curva: i eunicolo di avanzamento presem tava la corona semielittica (raramente semicircolare), le dive parcti venivano profilate «on crv parabolica di secentuata inclinazione. Le dimension delle galleria erano mag- ior i quelle precedente raggiungevano altezze sino a 22 metri, oltre quella della fossa. 11, fio avveniva con un attrez20 denominato iecone con le doe pante a lama vervcal: si otteneva una grande quantita ci maceriale di rsulta per la attorzatuea a con prosoeehé regolari di 25 em. di lato (sino al 1900 potevano formare un metro cubo 7 conci (pietre da due) o 80 conei (pietre da uno}; poi, con Vimpiego delle seghe si ridusero gli spessori (0,20 m.) e aumentaropo le hanghezze (0.40 m.. Con Fadazione del metodo a volta crew si agravd lo spoglio del « ronte» di tue: venivano realizate gallerie trasversali rspetto a quelle prineipali di sboxco, ¢ si lascia- vano intatti solo esli pilasri di sostegno. Per richieste sempre pitt pressanti di mae- riale da costruzione siriprese a estrarre tufo in galleria, abbattendo e seeprendo aleune di quelle gia esistenti, e continuando 'approfondimento indiscriminato di altre a Rocco, Miano, Chisiano, via Nuova Capodimonte, Conocehia, S. Gennaro dei poveri, Materdei, Fontanelle, corso Vittorio Emanuele (Parker, grotte Como), Mergeli Fuorigrotta, Posillipo ¢ Pianur ‘Alla crisi estcattiva verifieatas tra il 1935 ed i 1941, scgut il perio bellico du- rante il quale nel centro della citta vennero operat alti spogl nelle easita conosciute per adattarle a ricoveri antiaerei. Oltre alle gallere di recente taglio esistenti nel centro ‘urbano (Chiatamone, Mergellina), vennero attaceate anche antiche cisterne. Il caos dellimmediato dopoguerra (1944) fece riprendere indiseriminatamente le coltivazioni tufacee,scarnendo ancora le antiche cave in sotterranco, assotigliandone parct, pi siti di sostegno e, quel che & pid grave, i mass lasciati a protezione delle vole, Ricordiamo, infine, un altro metoclo di coltivarione caduto in disuso dal 1920 a Napoli, ma adottato sino al 1957 nelle zane del Nolano: quello « botigfa 0 a cam pana. Dal piano di campagna si approfondiva un pozz0, circolare © non rivesti fino a raggiungere il tufo; dopo averlo attraversato per 4*5 metri, si iniziava lo 4 cavita tufacee caratterizzate da soffitto piano € pareti lateralli pressoc- ché verticali non hanno subito nel tempo particolare degrado struttu- rale, mentre quelle a corona curva, con tenui spessori in calotta ¢ pareti accentuatamente paraboliche hanno evidenziato dissesti con scrosta- menti di placche dalle superfici a vista e distacco di prismoidi («sca pine»), schiacciamento dei pilastri di insufficiente spessore e sprofonda- menti di «cieli» (grote del Chiatamone, grotte di Mergellina, Comola, Sermoneta, Posillipo, ecc.). Molte di tali gallerie, interessate dalle frane del tufo o minacciate da crolli, sono state rafforzate con muti di soste- gno, barbacani, pilastri in murature di tufo, di mattoni ¢ Jistate, 0 in cemento armato, ricostruendo le sezioni resistenti oggetto «i tagli in- consulti, Gli interventi suddetti, pid che da motivi di interesse pub- blico, sono stati compiuti per utilizzare le caviti 0 per potervi insediare sopra fabbricati. Altre caviti, invece, non hanno subite alcun rafforza- mento ¢ sono oggetto di continua degradazione causata dagli eccessivi carichi insistent, dalle spinte irregolari ¢ dagli agenti esterni (percola- zioni, variazioni di temperatura, ecc.), scavo circolare sino a raggiungere il letto della roecia, A tale primo scavo ne sepa vvano alte allineat, © a «quadrighia»: spesso si univano le basi di quesce eampane con cunicoli di passaggio. La chiusura del pozzo veniva compiuta mediante una voltina realizaata nel «Attraverso un pazz0 verticale a sezione cireolare, not rivestito, si raggiun~ eva il banco di lapllo pomiceo sitato, in generale, a 6 10 mets di profondith dal “piano di campagna», eschudendo, ove si fossero, gli strat pit bassi, Dalla base del pon ¢ dal letto del bunco si realizzavano una serie di cunicoll a rappicea, larghi ‘Gualche metro © langhi 10-15 metri. A coltivarione avvenuta si riempiva Ia sola anna verticale; quando non vi era a disposizione molto materiale di risulta, a due ‘metri cirea dalla superficie si gettava una voltina in muratura di ypaceatelle di tufo a forma perduta ¢ sulla stessa si riversava il terreno, [La profondita dei cunicoli e la presenza di radici degli albert conscative 4 giacitura piana, di'non subire abbassamenti appreezabil 1c pareti di protezione el lapillo alinnesto dei raggi con il pozxo, rimaneva in condizioni precarie ed era ‘uscettibile di avvallamenti, L’accentuazione dl dissesto avveniva o perché nellhu mus superiore si abbattevano pli albert ad alto fusto o perché si effettuavano opere edilzie che compromettevano “op. tit p 110, da calce, massi per scogliere, sta che va da Massalubrense a Castellammare di Stabia, ed anche nei dintorni di Lettere e Gragnano numerosissime cave — di cui molte attualmente sono chiuse per i disastrosi effetti paesistici — hanno fornito pietrame calcareo e pietre da calee: il primo, in particolare, ve- niva utilizzato direttamente nella costruzione di murature, oppure et frantumato € ridotto a pietrisco ¢ sabia, Ad analogo impiego erano destinati i caleari delle cave di Maddaloni, in provincia di Caserta, © di quelle al confine tra le province di Salerno e di Avellino. Per quanto concerme le pietre ornamentali, evidenziamo che i calcari si rinvengono allo stato puro nei marmi, di notevole compat- tezna € tenacita, che possono essere segati in lastre sottili, da levigare ¢ lustrare, Dei marmi ¢ delle pietre da taglio che provengono dall’area salernitana ricordiamo il Torre Orsaia, calcare grigio, compatto; il Bi- sio di Capaccio, calcare grigio, compatto, con macchie nere; il Luma- chella di Lanzara, calcare grigio, contenente conchiglie fossilis i caleari di Eboli, di cui sono costituiti i grandi blocchi delle mura e dei templi di Paestum; quelli di Nocera ¢ di Sarno; quello, di particolare com- pattezza, del Vallo di Diano, con il quale & stata costruita la Certosa di Padul Dalla provincia di Caserta — ¢, in particolare, da Bellona, $ Angelo in Formis ¢ dalla cava di S. lorio — p travertino, di Citiamo, poi, 1 -ondoneaneneRteicnSA aa ‘ogg abban- donate — dell’omonimo centro nei pi foce del fiume Vol- © Uno degli esempi pit) noti dello del caleare quale pietra dt aglio ® quello del isc lcm di S, Chiara; basamento che giunge a scarpa sino alla grande fascia delle epigrafi incise su lastre di marmeo. ® Come nota R. Di Stefano nel segnalare l'impegno di L. Vanvitelli nella seelta ¢ nell'utilizzazione dei marmi per quest’opera monumentale «quasi tutto il materiale da costra 1¢, da rivestimento ed ornamentale che venne adoperato per il palazzo reale di Caserta fu estratto da cave nel casertano oppure da altri Iuoghi del repno borbonicos, Clr. R. Di Stveano, Luigi Vanvitelli, ingegnene ¢ restaurutore, in AANV., “Luigi Vanvitelli”, Napoli, 1973, nota 10, pp. 253 a turno, caleare compatto, dalle tinte pitx varie; quello grigio caratte- rizza, tra Paltro, quasi tutte le mostre delle porte dei vestiboli nel Pa- lazzo Reale di Caserta ¢ le colonne della chiesa di S, Francesco di Paola a Napoli; & anche diffuso nella tinta gialla. i di Benevento hanno fornito il Vitulano, calcare cristallino a grana fine, con numerose venature interne dovute a ossidi metallici ¢ ad altre sostanze, che danno luogo a molte variet’ cromatiche (dal grigio perla al rosso vivo, dal violacco all’azzurro, dal giallo al verdastro); & stato impiegato nel museo nazionale, nel palazzo della Borsa, nelle reggie di Napoli, Portici Caserta, nel palazzo Gi vina ed in altri edifici monumentali. Altri calcari provengono dalle cave di Solopaca e Amorosi, originati dall'azione delle sorgenti di Te- lese. Per la provincia di Avellino, poi, ricordiamo i cakari delle zone di Rocca $. Felice ¢ di Villa Maina, Lavorazione delle pietre ) prima di essere in re ey conoscenza dei vari trattamenti superficial, che le maestranze si tra- mandano di generazione in generazione, & importante sia nel!’analist delle stratificazioni architettoniche sia nella progettazione di elementi sostitutivi o integrativi. Va, a tale proposito, ricordato che i progressi teenologici hanno favorito, attraverso l'evoluzione delle macchine ttensili, "uso di marmi e pietre per rivestimenti sottili; tali machine forniscono prodotti adatti per le nuove costruzioni, in quanto modu lari e di dimensioni standardizzate, ma che non si prestano bene per operazioni di dettaglio di tipo conservativo. Nel cantiere di restauro — secondo le tradizioni costruttive lo- cali — le pietre da taglio di grosse dimensioni, dopo essere state estratte dalle cave ed aver subito one , «sbozzo» — tendente a r p nomico il trasporto, eliminando le spor- ¢ ae ips — subiscono una serie di operazioni forme ed alle dimensioni prestabilite; tale processo di «comy mento» viene eseguito a mano, da operai tagliapietre o scalpel quali adoperano appositi utensili di ferro, dalle forme pit var I ecupimentny const nm ri operon! he sen nano lo «: » tendono, prima, a configurare forme ¢ piani, poi, 22 i effettuano, dunque, prima la scanto- pedo sbozzato si distaccano le parti angolari i a base triango- lare, esagonale, ece. che inviluppa Ia vera figura geometrica che si in- tende assegnare al pezzo); Vintaccatuna (attraverso la quale vengono eliminate aleune porzioni angolari rientranti); EE Mercere a quale si tolgono porzioni di pietra secondo superfici di rivoluzione); “il traforo (con il quale si realizzano incavi che attraversano T'intero spessore del blocco). Per quanto riguarda, poi, le lavorazioni delle parti in vista, gli utensili e le modalita esecutive adottate dipendono dal risultato este- tico che si intende raggiungere, dalla natura delle pietre seelte e dalle consuetudini locali. - " [martelli in ferro adoperati dagli scalpellini sono di forma ¢ peso” variabili ¢ risultano provvisti di un manico di legno di essenza forte: , di piccole dimensioni, & un «martello il cui ferro ha due penna, € tiene un corto manico di legno, con esso bat- tendo sugli scarpelli, ¢ sulle subbie (puntilli) si lavorano i marmi»”, “per frantumare o sbozzare le pietre: & un «grosso martello, il cui ferro ha da una estremita la bocca piana, ¢ dall’altra & rifesso con una intaccatura incavata ad angolo»™; il «piccone» & un) martello con una testa quadrata e I'altra che termina a punta, oppure presenta due teste a punta per lavorare le pietre; la «mannajen, in- vece, ha un manico lungo, con una testa quadrata ¢ laltra a forma di seure con taglio diritto, it la «martellinatura» prendono il nome dai ri- spettivi utensili, ¢ servono a perfezionare ed a rendere pit uniformi le superfici, eliminando le altre sporgenze rimaste. La «gr 1 ciarday & un martello il. quale n ol si possono ottenere tre tipi di lavorazioni rustica», piana semplice», «a pelle piana doppia», a se- conda che la pietra sia sottoposta ad uno, due o tre cieli di lavora- zione. & Chr. F.Jaour, Vocabolarto di architetura e di ant afixi, Napoli, 1874, p. 135 % Idem, ibident, p. 134 23 ~ scalpellatura si eseguc, in particolare, negli spigo! ‘con esattezza evitando i colpi delle martelline delle gradine, che po- trebbero romperli. La successiva & determinato dal maggiore accrescimento degli anelli in una direzione. fenditure che si producono nei tronchi, soprat- tutto in corrispondenza dei raggi midollari, negli alberi vecchi ancora in piedi ed anche in quelli gia abbattuti, specialmente durante la sta- gionatura. aR provocano la degradazione del legno possono essere a (attacchi biologici, degradazione termica, idrolisi, » Per «alburno» si intendono gli anelli estremi di recente formazi rmaggiore ¢ la cieolazione della linfa. Il «cuore» o «duramen @ invece costtuito da- ivanell interni, ove la circolazione della linfa diminuisce, i vast st ispessiscono € ac- {guistano solo funzione di sostegno; il colore diventa pit! scuro e la struttura com patta: @ questa‘la parte utilizzata come legname da costruzione. 32 ossidazione catalizzata dai raggi ultravioletti) o di natura fisica (varia- zioni volumetriche). In particolare, per quanto concerne gli attacchi biologici, dobbiamo precisare che il legno contiene sostanze facil- mente attaccate da organismi viventi. Alcuni di questi non determi- nano Ia distruzione dei tessuti, ma, ad esempio, la sola alterazione del colore; altri — in presenza di legni che abbiano una umidita supe- riore al 20% +25% — possono provocare la loro completa degrada- zione®. - Il legno pud essere soggetto a degradazione termica anche senza esas & sottoposto all'effetto di una certa temperatura. Le pro- ‘prieta che vengono negativamente alterate sono la resistenza all’abra- ione ed alla flessione. » contenenti cellulosa ed emicellulosa sono sog- idrolisi, reazione acida o catalizzata da sali acidi con acqua -inillenemte pORnEHT ¢ BAS HSER Fase) fine, vari zuccheri. pet ee dall’azione della luce @ limitata alla parte iale del legno e non reca alcun danno alla resistenza mecca- nica. Per quanto concerne, poi, le degradazioni di natura fisica un tipo particolare, che interessa soprattutto i manufatti lignei antichi, & do- vuto ad una lunga permanenza del legno sott’acqua o sotto terra. © Le alterazioni che provocano Ia distruzione dei tessuti sono causate da tre tipi di organismi viventi: i batteri, i funghi e gli animal. 1 batteri attaccano sia albero vivo (parassti) che i legname abbatwuto (sapro- fit). Diversamente da questi che non risultano, comungue, pericolosi, i funghi sono fra le principali cause del decadimento del legname: il loro sviluppo, strettamente collegato alle condizioni ambientali, determina Vaumento dell'umidita sul legno. L’ambiente pit favorevole alla crescita dei funghi & quello caldo (con temperatura variabile da 22° a 26°C) ed umido, con una luce moderata ¢ sufficiente ossigeno Per la respirazione. I funghi provocano il emarciume» o «cariew: il marciame bianco & dovuto ai fanghi saprofiti, che distruggono la lignina lasciando intatta la cellulosa Il marciume rosso, invece, @ causato da varie specie di funghi che attaceano la cellulosa lasciando intatca la lignina: si verifica sopratcutto in legnemi la lungo in luoghi umi La difesa contro lattacco da funghi deve essere sopeattutto preventiva: eccorre assicurare una sufficiente ventilazione per evitare aumento dell'umidits. Questo, a sua volta, pad essere provocato da vari fattori: la non sufficiente stagionatura; ‘contatto con il terreno (pali di fondazione) con murature nuove, la sistemazione in Jocali non ancora asciutti e senza ventilazione. Per quel che riguarda, poi, gli animali, i principali pericoli sono costituiti dagli insetti xilofagi, che si nutrono del legno secco € in opera: essi appartengono agli or- 33 adoperano per i lavori da falegname oppure negli anditi di servizio 0 nelle armature di cavi, ecc.. Le tavole di forte spessore si chiamano «panconi». Le tavole di abete si trovano in commercio nella lun- ghezza di m. 3,96, larghezza da m. 0,26 a m. 0,39, dello spessore va- riabile da 6 cm. a 1 cm., con le seguenti denominazioni: «tavola da ponte» (0,06 m.); palancola (0,055); tavola ordinaria (0,03); «scu- retta» (0,02); «mezzanella» (0,015); «terzina» (0,01). Sono comuni nella provincia di Napoli le denominazioni di «barre», «bolde», «ginellen, per i grossi rami di castagno, nom scor- tecciati, di dimensioni pitt o meno lunghe: le ginelle, del diametro di 10 cm., sono state ampiamente usate per opere provvisionali. I «sostacchini» sono quei pali di abete, grossolanamente squa- drati sui quattro lati, di dimensioni medie 0,12 +0,15 m. usati nella costruzione dei «ponti di servizio»; le «pedarole», elementi analoghi, di minore lunghezza, sono adoperate a sostegno dei piani di tavole. Gli attuali capitolati per lavori edili forniscono indicazioni per i vari tipi di legname da impiegare e, quindi, sia per il tavolame che per i legnami rotondi, per quelli grossolanamente squadrati ed a spi- golo smussato, per quelli a spigolo vivo. In particolare, i legnami di qualungue essenza da utilizzare per opere stabili e provvisorie devono soddisfare le prescrizioni di cui al D.M. 30 ottobre 1912 ¢ le norme ULN.L. vigenti. Materiali metallici pei ciclementizeoeruivisecondartcanzelis HE? SEP ERISRIS ara Taian, ece,) faggio dei boschi di Gragnano, Arienzo, Persano, Sant’ Agata dei Goti e Cervinara ced altri ancora, Clr. G. FiENGo, op. cit, p. 42. i Pepsquenia, conceant:Iecetene, Yagdiegate’ par: igliscden lavendipconns Helle murature nelledilizia storica napoletana, lati ottocenteschi ne deserivono i tipi pid diffusi: «catene di ferro, di prima qualita Best o di seconda qualita inglese 0 del Belgio, di costruzione semplice, con occhi agli estremi e traverse»; oppure «ca 35 I problema della conservazione di tali reperti si presenta piutto- sto complesso, in quanto una parte dei componenti dei tessuti scom- pare, mentre rimane la sola lignina, che perd conserva all’oggetto Ia forma originale. Se simili strutture lignee vengono fatte essiccare, in condizioni normali e senza alcun trattamento, si formano contrazioni tali da rendere irriconoscibile V'oggetto. La deformazione sembra sia dovuta al vuoto che si crea all’interno delle cellule durante 'evapora- zione dell’acqua, che, avendo una alta tensione superficiale, non pud allontanarsi per la dimensione molto limitata degli orifizi, ma evapora dal menisco che si forma su di loro. Mancando al legno gran parte dei suoi component il fenomeno descritto provoca il collasso di tutta la struttura. Studiosi ed esperti hanno messo a punto complessi sistemi di es- siccamento che evitano la perdita della forma e delle dimensioni dei reperti In commercio i legnami si trovano tondi 0 squadrati. Le denomi- nazioni che essi assumono, ipendenza di tali forme che per le dimensioni della loro sezione, variano in generale da regione a re- gione. In Campania" sussistono ancora oggi i termini tradizional- mente adottati: i legnami tondi si chiamano «pali» fino a un diametro massimo di 30 cm.; le «abetelle», invece, sono pali di abete di diame- tro da m. 0,12 a 0,20, lunghi fino a m. 20. Sotto il nome generico di si comprendono, poi, tanto quei legnami tondi che quelli squadrati a sezione rettangolare (varia- bili da em. 15x25 a em. 35x45) adoperati per impalcature o per le grosse armature di tetti. sono le travi di minore sezione usate per Porditura secondaria di impalcature ¢ tetti. Per le altre sezioni quadrate si hanno dimensioni variabili da 0,11 x 0,11 m, a 0,03 x 0,03 m., rispet- tivamente con il «muralone», il «murale», il «muraletto», il «corren- tino» ed il alistello». Le «tavole», ticavate dalle sezioni longitudinali dei tronchi, aventi piccolo spessore in rapporto alla lunghezza ¢ alla larghezza, si «Travicel dini dei coleotteri, degli isotteri (termiti) e degli imenotteri (formiche e vespe) che provocano la «tarlaturay del legno. “Per quanto concerne le essenze pit diffuse nell'entroterra campano, G. Fiengo segnala che nei trattati settecenteschi —e cita, in tal senso, quello del Car letti — si fa riferimento a quelle di castagno, di pioppio, di quercia, di abete € di 34 adoperano per i lavori da falegname oppure negli anditi di servizio o nelle armature di cavi, ecc.. Le tavole di forte spessore si chiamano «panconi». Le tavole di abete si trovano in commercio nella lun- ghezza di m. 3,96, larghezza da m. 0,26 a m, 0,39, dello spessore va- riabile da 6 cm. a 1 cm., con le seguenti denominazioni: «tavola da ponte» (0,06 m.); palancola (0,055); tavola ordinaria (0,03); «scu- retta» (0,02); «mezzanella» (0,015); «terzina» (0,01). Sono comuni nella provincia di Napoli le denominazioni di «barre», sono quei pali di abete, grossolanamente squa- drati sui quattro lati, di dimensioni medie 0,12+0,15 m. usati nella costruzione dei «ponti di servizio»; le «pedarole», clement analoghi, di minore lunghezza, sono adoperate a sostegno dei piani di tavole. Gli attuali capitolati per lavori edili forniscono indicazioni per i vari tipi di legname da impiegare ¢, quindi, sia per il tavolame che per i legnami rotondi, per quelli grossolanamente squadrati ed a spi- golo smussato, per quelli a spigolo vivo. In particolare, i legnami di qualungue essenza da utilizzare per opere stabili e provvisorie devono soddisfare le prescrizioni di cui al D.M. 30 ottobre 1912 ¢ le norme ULNLL vigenti. Materiali metallic faggio dei boschi di Gragnano, Arienzo, Persano, Sant’ Agata dei Goti ¢ Cervinara ced altri ancora. Clr. G. Frexco, op. cit 5 per migliorare Ia resistenza delle murature nelledilizia storica napoletana, i capitolati ottocenteschi ne descrivono 1 tipi pit diffusi: «catene di ferro, di prima qualita Best o di seconda qualita inglese 0 del Belgio, di costruzione semplice, con ocehi agli estremi e traverse»; oppure «ca 35 meta del’Ottocento nata e si & sviluppata so- Tnghilterra, in Francia ed in Germania, tra le altre, anche tra siderurgica che, consentendo la produzione a prezzi ragio- i di grandi quaneith df ghisa e di ferro nelle forme pid vatie, r- fond arte del costruire. Essa si avvalse di una serie di innova- zioni tecnologiche € di invenzioni di grande rilievo; particolare impor- tanza hanno avuto, in tal senso, i molteplici tipi di «cubilotti», — brevettati a partire dal 1856 — forni di speciale forma cilindriea nei quali veniva raffinata la ghisa proveniente dagli altiforni” 6 [Bee pale fo «a le ‘Panalisi della sua struttura molecolare; ma fino agli ultimi decenni del XVIII secolo non si disponeva né delfatirezzavura né delle cono- ., essenziali per compiere tale ricerca, Soltanto gli svi- luppi della fisica, della chimica e gli studi sulla resistenza dei materiali fornirono un notevole contributo per Ia fabbricazione su larga scala del ferro; questo fu usato prevalentemente nelle strutture di coper- tura, in sostituzione di quelle lignee, la cui infiammabilita causava continui disastri, ed ancora nei ponti stradali ¢ ferroviari™. ‘ma_ sotto quali l'ematit la contengono normal- Seman di een licio, magnesio, calcio) Le industrie siderurgiche forniscono tre prodotti fondamentali, 0 leghe a, il fert0 dolee, Tacciaio, ced iy rsi, pet le maggiori o minori quan- tita di carbonio in essi presenti”. tene con occhio ¢ traversa in un estremo ¢ vite con scrofola nellaltro». fr. B. Ren- pina - G, Turt - C. Sits, op. cit, p. 17. + Solo nel 1735 Vinglese Darby riuscl a fondere materiale grezzo di ferro con il coke — che si ottiene dalla distillazione dei carboni fossili — ¢ ne! 1740 gli al 1a carbone di legna furono trasformati in altiforni a coke. Tl primo ponte a struttura metallica — come ® noto — fu costruito in In: ghilterra, sopea il fiume Severn, nel 1775, dopo che analoghi tentativi erano stati icon esiti negativi in Francia ‘La ghisa pud contenere dall'l,78% al 6% circa di carbonio; il ferro, una sate bets allo 004%; nell'acciaio, il contenuto di carbonio pud essere, a 10, dell'1,78%. Sul ciclo tecnologico dellindustria siderurgica si consulti Macca, Lindwata sderanjca, in A.V, "Produzione edilizia..”,op.ct., pp. 5° 76, Sulla nomenclatura e sulla classificazione normativa dei prodotti siderurgici nella seconda meta dell" Ottocento si consult il saggio di AA.VV., Il ponte di Paderno: sto- ria ¢ struttura, in “Restauro”, nn, 73-74/1984, pp. 120-127. 36 La ghisa & stata prodotta git dai primi decenni del XIX secolo, ed utilizzata per le sue particolari caratteristiche quali l'clevato peso specifico, la notevole resistenza a compressione, la resistenza a end zione molto maggiore di quella dei materiali lapidei e del legno (anche se assai minore di quella a compressione), I'elevata durevolezza ¢ I’in- combustibilita, ghisa, avendo un punto di fusione relativamente basso (1100- 1300°C), si presta bene ad essere colata in forme, potendosi model- lare nella forma voluta; tale proprieta ne ha favorito l'impiego nella realizzazione di pilastri, colonne, balaustre ed altri elementi struttu- ali e decorativi. Una limitazione allo spessore di questi era imposta dal ritiro che accompagnava il raffreddamento della colata: se la con- centrazione variava fortemente da un punto all’altro, oppure se éra contrastata dallo stampo, nascevano forti tensioni parassite, capaci di provocare rotture per trazione Soltanto intorno al 1850, nella costruzione della cupola della Ro- tonda del British Museum, costole in ghisa, da terra fino alla sommita della stessa, entrarono nella realizzazione di un grande edificio. Nel decennio successive al 1850, mentre le strutture in ghisa erano ancora molto usate, si registra una notevole diffusione di quelle in ferro dolce**, materiale git impiegato quale elemento di integra- zione delle strutture di legno o di ghisa: nella «trave composta», ad esempio, veniva inserita fra due assi di legno una lamiera metallica 0, viceversa, fra due lamiere un asse di legno; in entrambi i casi i vari strati dell’elemento composto venivano saldamente chiodati insieme. Nel 1847 F, Zorés in Francia riusci ad ottenere che i laminatoi producessero piccole travi di ferro a doj T da impiegare nei Saat" Nel 169 all Eoponsione univers Pari fare presen tate due travi di tale tipo con le ali poco sporgenti ed estremita arro- tondate. La produzione di travi con ali ed anime dalle ampie superfici piatte divenne possibile solo grazie all invenzione, avvenuta del 1835, “ Con il sistema del pudellaggio, introdotto nel XVIII secolo, il ferro dolee © malleabile si otteneva dalla ghisa di prima fusione © dai pani di ferro bruciandone il carbonio eccedente in un forno a riverbero. II processo venne migliorato da J. Hall, rivestendo i forni di pudellaggio con un ossido di ferro parzialmente fusible € rifon- dendo i pani di ghisa invece di arrostirli. II sistema consentiva di eliminare il fosforo una parte dello zolfo. © Laminati a T e a I. di piccole dimensioni erano entrati in commercio verso il 1920. 37 del laminatoio universale; ma le quantita erano limitate dal fatto che non era possibile lavorare piti di un piccolo lingotto alla volta, corri- spondente al quantitativo che un uomo poteva rimescolare nel forno ¢ rimuovere con una barra metallica. Per poter ottenere una trave lunga era necessario ricavare prima una serie di lingotti e, ‘insieme fino a SEER iti spesso, con a produzione economica di travi fiat Soserenate renzione dell'acciaio, Prima di questa, pertanto, le adotiate per la costruzione di ponti* o di elementi strut- undo insieme laminati piatti, angolari ed al- tre Ino dei primi esempi napoletani di tale tipo di struttura & stato individuato nel corso dei recent lavori di restauro del complesso conventuale di $. Pietro martire”. ‘seconda meth del XIX secolo lacciaio entrd in concorrenza con il ferro fucinato o forgiato e si sostitul ad esso con “la sua economicita e per le eccellenti proprieti di tesistenza; sacore nel 1889 p pet realizzare la torre Eiffel si utilizzd il ferro dolee © Vacciaio, impiegato, invece, nel costruendo ponte sul Forth, Prima del 1850 lacciaio veniva ottenuto fondendo barre di ferro entro cro: givoli alimentati da carbone di legno in polvere; il procedimento ti sultava costoso ¢ la produzione searsa; Pimpiego di tale materiale era i primi ponti sospesi in ferro in Europa, e, in particolare, per il ponte «Real Ferdinando» sul Garigliano (1828-1832), primo ponte sospeso in Italia si con- sulti L. Monica - A. Virats, Progetto per if restauro e il riprstino def ponte borbo- nico sul fiume Garigliano, Caserta, 5. © Cfr, R, Di Srerano, 5. Pietro Martire, Napoli, 1983, p. 24. Per quanto con- cerne, in particolare, Munione di ferri laminati e di lamiere, questa avveniva con semplice sovrapposizione degli clementi ¢ chiodatura ribattuta a caldo, Era necessa tio eseguize preventivamente i fori nepli elementi metallici a mezzo di trapani a mano, prima, e, poi, di apposite macchine; il Levi precisa che «per la chiodatura a mano si dispongono le lamiere ben racdrizaate © spianate, ed i pezzi di collega- mento, se vi sono, in modo che i fori si corrispondano perfettamente, ¢ in ciascuno {questi si introduce un chiodo risealdato al color rosso in apposite fornello porta- tile; mentre un operaio tiene fermo il chiodo dalla testa, un altro operaio lo ribadi sce, cio® ne martela rapidamente la parte sporgente del gambo, in modo da formare la secondla eapocchia, ed! a questa da forma regolare col battervi contro in alcuni colpi un apposito stampo. Se la ribaditura dei chiodi & fatta a macchina, la se: conda testa viene formata in un solo movimento. Col raffreddamento successivo il rambo del chiodo si raccorcia, ¢ serra fortemente fe lamiete». Cfr. C, Livi, Trattato teorico-prtico dt Costraziont Civili, rural, siradali ed idruntiche, Milano, 1924, vol 1°, pp. 112-118, 38 percid riservato al campo delle utensilerie, delle molle ¢ di tutti quegli oggetti di modeste dimensioni per i quali era essenziale la durezza del metallo. Soltanto dopo che Bessemer nel 1856 inventd e brevettd il suo procedimento” divenne possibile immettere sul mercato la famosa trave a doppio '; alcune societ’ che avevano lavorato il ferro dolce al ateanreiniateomameet Teen iaricare profilati di acciaio ¢ nel 1887 fu pubblicato il primo catalogo di questi. Nello stesso anno T Fletcher inventd il cannello ossidrico per la fusione ed il taglio del metallo, Ma solo nel 1904 in Inghilterra furono emanate norme per unificare sia il tipo delle sezioni, che le caratteristiche dell'acciaio. Il nuovo processo di affinazione della ghisa determina il crollo dei costi di produzione ed un incremento senza precedenti della qua tit di metallo mesa in commercio in tutto il mondo: linee ferroviarie sempre pitt estese, ponti, parchi ferroviari pit) numerosi e pesanti, pi- roscafi di tonnellaggio crescente, costruzioni metalliche ¢ macchine sempre pitt numerose sono i principali elementi che testimoniano Pav- venuta rivoluzione industriale. Nel 1860 i convertitori inclinabili di Bessemer furono brevettati ed introdotti in Francia, Germania, Austria ¢ Stati Uniti (sistema » La prima idea di H. Bessemer fu di intensificare le reazioni di ossidazione portando V'ossigeno a pid intimo contatto con la ghisa fusa, servendosi di gett d'atia € non del semplice rimescolamento in presenza di score, praticato nel pudellaggio. Le sue esperiene erano gid! mature nel 1851: egli pensd di far gorgosliare aria forte mente compressa entro la massa di ghisa fusa, in un apposito recipiente detto «con- vertitore (della ghisa in acciaio). Ma ignorava il processo chimico che si genetava: la forte quantita di slicio (contenuta nelle ghise svedesi da lui adoperate) in contatto con Varia bruciava, come il carbonio, portando la temperatura a 1600°C, e si otte- neva ferro quasi puro allo stato di fusione (acciaio). Egli, dunque, comprese — cost come W. Kelly che compiva analoghe esperienze — che l'aria attiva la combustione del carbonio contenuto nella ghiss, e che questa brucia, lasciando un ferro lavora bill, a basso contenuto di carbonio, Pacciaio. Per seeoli, invece, la ghisa era sta decarburata completamente € si era ottenuto cosi a caro prezzo il ferro fucinabile T risultati delle sue esperienze furono comunicati nel 1856; ma gli esperimenti successivi fallirono, ed egliriusel dopo mote difficalt a comprendere che tale esto riegativo era stato determinato dalle ghise da lui utilizate, diverse da quelle ingles: il suo processo si adattava solo alle ghise siliciche. Pia tardi R.F. Mushet, figlio di un fonditore, ebbe idea di aggiungere al bagno metallico una quantita di manga: nese, € questo consenti di eliminare le tracce di ossigeno, le quali a decarburazione avvenuta rimanevano legate al ferro producendo fragilita ¢ difetti di compattezza Solo allora il processo Bessemer ebbe un reale sucesso. Fu cost che ill prezzo dell’ae: ciaio subi un vero crollo € fu resa possibile la creazione di acciai speciali, agziun endo varie sostanze al metallo fuso, allorché questo usciva dal convertitore 39 Kelly). I pid rilevanti sviluppi successivi sono rappresentati dall'im- piego del forno Martin-Siemens ¢ dalla riutilizzazione sistematica dei rottami_ (1864); dal brevetto per la defosforazione della ghisa in un convertitore rivestito interamente di dolomite calcinata (Thomas-Gil- christ, 1877); dalla produzione dei primi acciai speciali al tungsteno (Mushet, 1865), al cromo (Brustlein, 1878), al manganese (Hadfield, 1882), al nichel e cromo-nichel (Marbeau, 1883), dell’acciaio rapido (Taylor, 1900), dellacciaio speciale al vanadio (1914). sto solo nel 1889, ne- li stabilimenti di P Parchitettura del ro $12 diffusa in rtardo anche perché il processo di industrializzazione si 2 affermato nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, ma si & svilup- pato pienamente solo nei primi decenni del XX secolo, Nei primi anni del regno d'Italia, infatti, la situazione dell’indu- stria estrattiva e siderurgica risultava assai precaria: notevoli quantita di minerale di ferro elbano erano esportati in Inghilterra, Francia ¢ Belgio; all’estero, invece, la produzione di ghisa d'altoforno a coke era in piena affermazione ed il proceso Bessemer stava soppiantando il pudellaggio”. Fino alla fine dell”800, la siderurgia italiana restava condizionata dalle tecniche straniere; infatti, la nostra nazione non disponeva di uno degli elementi base dell’industria siderurgica: il car- bon fossile che, trasformato in coke, aveva consentito all’Inghilterra, dopo la meta del XVIII secolo, di mettere in crisi le affermate indu- giche sredest © russe” 1 Ja nascita della soci erni, avvenuta ai isultavano ancora irrisolti alcuni i rilevanti quali «la sostanziale estraneita delle miniere elbane al process di crescita industriale, una discutibile politica di appoggio bancario che sembra rispondere pitt a criteri speculativi che a un vero ¢ proprio piano di finanziamento industriale ¢ inoltre le insufficienze tecniche...»”, > Cf. R. Jovice, L'erchitettura det ferro. L'talia 1796-1914, Roma, 1985, p24, © Gir, AA.V., Il ponte di Paderno.., op. cits, p. 24 » Cf. M. Luncontts, Le origint della grande siderurgia in Italia, in“ Rivista Finsider*, n. 1/1977, p. 6. Secondo il Lungonelli il vero salto di qualita si & verifi cato tra il 1897 ed il 1906, quando con la nascita delle societi Piombino, Iva, Falk ‘da siderurgia moderna pone finalmente salde radii nel nostro Pacsce Dungue, soltanto con inizio del XX secolo la disponibilith del materiale el 40 Gli sviluppi successivi pid significativi sono consistiti nella pro- duzione della prima ghisa al coke, avvenuta nel 1902, nello stabili- mento di Portoferraio (so a); nell’utilizzazione di un impianto a ciclo integrale attuato dalla societa Piombino nel 1905; nella re¢ zazione del complesso di Sesto San Giovanni ad opera delle Acciaie- rie ¢ Ferriere lombarde Falk. Per quanto riguarda I'area meridionale, risulta di grande impor- tanza V'inaugurazione, nel 1910, dello stabilimento napoletano di Ba- gnoli (societh Ilva), al quale fu annesso, nel 1911, la «Societa delle Fer~ riere , che rappresentava il primo impianto siderurgico della Campania, sorto a Torre Annunziata nel 1887 ¢ denominato «Ferriera del Vesuvio». Occorre ricordare che, prima di tale data, ¢, in particolare, tra il XVIII ed il XIX secolo, il ferro era disponibile in alcune province del regno borbonico e, principalmente, a Stilo in Calabria, le cui ferriere, perd, non riuscivano a soddisfare le richieste interne™. La politica fi- scale, invece di incentivare gli impianti demaniali, favoriva l’import: zione di minerale dall'isola d’Elba o di ferro lavorato da Genova, Li vorno, Venezia, Marsiglia ¢ dall’Inghilterra”. La maggiore concentrazione di stabilimenti industriali — in ge- nere, di modeste dimensioni ¢ di produzione limitata — si trovava nella provincia di Napoli: i pit: importanti crano quelli meccanici, ge- stiti sia dal Governo (borbonico prima, e sabaudo, poi) — quali la «regia fonderia» ¢ la fabbrica di armi di Torre Annunziata, le offi- cine dellarsenale marittimo, le officine ferroviarie di Pietrarsa” € dei Granili (S. Giovanni a Teduccio) fondate nel 1842 — che da privati™ bano per l"industria nazionale, Ia protezione doganale, il finanziamento industriale, la dimensione ottimale degli impianti sono presenti insieme, * Cir. G. FUNco, op. cit, pp. 41-42. » Clr. GE. Rusino, Archeologia industriale ¢ mezzopiomo, Catanzaro, 1978. ™ Cir. GE, Runino, La real febbrica d'anni di Tome Annunziata ¢ Vopera di Sa batini, Vanviteli e Fuga (1753-1773), in * Napoli Nobilissima”, 1975, XIV, pp. 101-118. » Fondata nel 1842, lofficina di Pietrarsa - come precisa R.A. Genove recente adattata a museo ferroviario delle Ferrovie dello Stato, fabbricava inizi mente strumenti ¢ macchine per la marina e P'artiglieria, rotaie per strade ferrate ed altri elementi in ferro per opere pubbliche; vi erano impiantati anche importanti minatoi che, perd, nel 1887 furono smontati. Clr. R.A. Genovese, Archeologia in ustriale in Campania alla fine det XIX secolo, in “ Restauro”, nn. 62-63-64f1982, p. 57 Si citano, tra gli altri, quelli della «lmpresa industriale italiana» a Castell mare, della Societi Guppy, De Luca, Pattison ed altri, a Napoli, ed, ancora, quelli della «Armstrong» di Pozzuoli (1886). Cir. RA. GkNovESE, op. cit, p. 57. 4L A Napoli, si ritrovano molteplici e: riale, nel corso del XIX secolo, viene impiegato in edilizia: segna- liamo, in particolare, la copertura, in ferro ¢ vetri, del passaggio rea- i del palazzo S. Giacomo per il collegamento tra il argo del Castello la via Toledo; Popera ¢ di Stefano ¢ Luigi Gasse (1825). - Nella seconda meta dell’Ottocento opera Errico Alvino; questi subi il fascino delle nuove virtualita espressive offerte dal ferro e dal vetro, ed anche T'influsso diretto di una realti cantieristica ed indu- striale di nobili tradizioni, impegnata, dopo la fondazione ad opera del Cottrau nel 1870 della «Impresa industriale italiana di costruzioni metalliche> a Castellammare di Stabia, nell’opera di trasformazione teenologica del territorio italiano, Del progetto per la villa comunale venne realizzata nel 1877, dopo la sua morte, soltanto la Cassa armo- nica, costruzione formata da una pedana circolare di base dalla quale partono i montanti in ghisa che reggono una copertura poligonale. Dal perimetro di questa escono a sbalzo pensiline di forma trapezoi- dale il cui insieme costituisce un poligono a dodici lati di pit: ampia dimensione®. ” fr. R. Dr STEFANO, vol. IX, ivi, 1972, p. 669; Svoria architettura e urbanistica, in “Storia di Napoli", rinvia, inoltte, al fondamentale volume di A. Ve: pir, Architettura neoclassica a i, 1964. Per 'analisi storica dei principal interventi_urbanis particolare, R. Dr: Fusco, Architettura e urbanistice dalla seconda meti dell’Ottocento ad oggi, it. “Storia di Napoli", vol. X, Napoli, 1971; A. Buccato, Istituzioni e trusformazioni urbane nella Napoli delOtocento, Ercolano, 1985. “@ Aldi la del disegno minuto dei particolari R. De Fusco evidenzia la conside: revole leygerezza della struttura; acl eccezione dei montanti con sezione circolare, intero sistema & affidato a elementi bidimensionali e filiformi: mensole, archetti di raccordo, fasce di irtigidimento, ece. hanno soltanto lo spessore di profilati metalici ¢ Fequilibrio della struttura & dato dallessere controventata all'interno da elementi filiformi che costituiscono una dinamica e suggestiva trama spaziale, L'Alvino, dun idotta colonne in ghisa e lascia le strutture in vista, eliminando ogni intento re- torico ed esaltando le possibilita formali del ferro. Cfr, G.Bkuno-R. Dr Fusco, Er chitetto e urbanista napoletano dett’800, ivi, 1962, p. 110. anni della sua attivita, I'Alvino aveva concentrato Ia sua attenzione sulle implicazioni formali del ferro € sui problemi inerenti il suo impiego nell’edi zia; eid trova una puntuale conferma nella relazione da lui svolea al 1° Congresso degli Architetti ed Ingegneri tenutosi a Milano nel 1872. Egli, infatti, dibattendo ‘sul tema del congresso circa la ricerca di uno stile architettonico nazionale che, ser dei nuovi materiali, potesse corrispondere alle diverse esigenze delle regioni dopo essetsi chiesto «quanta parte dello stile antico possa rivenerst nelle sottolineava la necessith di incrementare l'uso dei nuovi materiali da co- struzione, ¢ si mostrava consapevole delle difficoltd di ri 42 & utile ricordare che gli sviluppi applicativi, a livello locale € nazio- nale, sono compiuti anche per opera di divulgazione scientifica della architettura in ferro svolta dai manuali tra i quali, per esempio, ci- tiamo quelli del Curioni (1865-84), del Crugnola (1877), del Boubée (1880), del Sacchi (1881). Un altro edificio napoletano di notevole interesse costruttive & quello della Borsa, progettato da A. Guerra, le cui facciate a tre ordini sono caratterizzate da serliane accompagnate da paraste bugnate, tim- pani arcuati, cariatidi di stucco, stemmi e medaglioni, clementi tipici del repertorio umbertino, gusto al quale si ispirano le principali opere del Risanamento. Nel grande salone, che simula un cortile con portici ¢€ logge, sovraccarico di stucchi, di marmi e di affreschi, il progettista ha voluto tenere in tono minore proprio In copertura in ferro ¢ vetro, le cui capriate non sono visibili all’interno perché occultate da un con- trosoffitto in vetro dalla semplice intelaiatura metallica 11 ferro, dungue, sia prima degli sviluppi tecnologici del XIX se- colo che dopo, @ presente negli edifici del passato, oggetto dell'inter- vento di restauro, € pud svolgervi funzioni molto diverse. Per il raf- forzamento delle cupole si utilizzavano catene: citiamo, in proposito, lapposizione dei cinque cerchioni metallici nella cupola di $. Pietro, a Roma, secondo il progetto del restauro settecentesco del Poleni, che li fece aggiungere ai due preesistenti, per assorbire i prevedibili sforzi di trazione. Ritroviamo, ancora, diffusamente impiegati con compiti di concatenamento i tiranti, costituiti da ferri tondi, quadrati o piatti, da organi di ritegno («capichiavin, foggiati a paletto o a piastra, vincolata da dado ¢ controdado a vite) ¢ da eventuali giunti di connessione®. Il ferro, & servito, tra altro, a realizzare le «travi composte», le catene di capriate lignee dei tetti, ed ogni sorta di staffe di rafforza- mento degli incastri lignei; ed ancora le capriate miste; le travi princ pali dei solai, ece Cir. R. Dt Stevano, Le enpole di S. Pietro, Napoli, 1980, pp. 86 © segg.; si segnala anche originale ed efficace sistema di aggancio delle parti dei cerchioni ideato dal Vanvitelli (fig. 15 del testo suddetto) © Clr, 8. Mastromcasa, Disseti statici delle sinuture editizie, 1V ed., Milano, 1965, pp. 350 € seas, 44

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