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Elaine Pagels

SATANA E
ISUOI
ANGELI
La demonizzazione
di ebrei, pagani ed eretici
nei primi secoli
del cristianesimo
Elaine Pagels

SATANA
E I SUOI ANGELI
La demonizzazione di ebrei, pagani ed eretici
nei primi secoli del cristianesimo

MONDADORI
Dello stesso autore
Nella Collezione Saggi
I vangeli gnostici
Adamo, Eva e il serpente

Traduzione di Lydia Salerno

ISBN 88-04-38811-0

Copyijght © 1995 by Elaine Pagels


© 1996 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Titolo dell'opera originale: The Origin of Satan
I edizione settembre 1996
Indice

3 Introduzione

13 I Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica

49 II La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli

81 m La campagna di Matteo contro i farisei:


lo schieramento del diavolo

109 IV Luca e Giovanni reclamano l'eredità di Israele:


la spaccatura si allarga

136 V Il regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani

176 VI Il nemico all'interno: la demonizzazione degli eretici

210 Conclusioni

217 Note

237 Ringraziamenti

239 Indice dei nomi


Satana e i suoi angeli

A Sarah e David
con amore
Introduzione

Nel 1988, quando l'uomo con cui ero sposata da vent'anni


mori in un incidente di montagna, ebbi, come spesso acca·
de a chi soffre, la netta sensazione di vivere alla presenza
di un essere invisibile. Negli anni successivi cominciai a
meditare sui modi in cui le diverse tradizioni religiose
rappresentano il mondo invisibile, e sul rapporto tra le
immagini, forgiate dalla nostra fantasia, di ciò che è invi­
sibile e la nostra maniera di confrontarci con le persone
che ci circondano, con gli avvenimenti e con la natura. Ri­
flettei inoltre sulle differenti modalità con cui gli uomini
di tradizione greca, ebraica e cristiana affrontano disgra­
zie e perdite. Gli autori greci, da Omero a Sofocle, attri­
buiscono simili eventi a dèi e dee, destino e fato, elementi
volubili e indifferenti al benessere umano in quanto «for­
ze della natura» (che è il termine con cui noi li definiamo).
Nell'Antichità, età di cui mi occupo come storica, molti­
forse i più-credevano che l'universo fosse popolato da es­
seri invisibili che venivano a interferire nel mondo visibile
e tra i suoi abitanti umani. Le religioni egizia, greca e roma­
na annoveravano dèi, dee ed esseri spirituali di svariati ge­
neri, mentre alcuni ebrei e cristiani, apparentemente mono­
teisti, con il passare del tempo parlarono sempre più di
angeli, messaggeri celesti di Dio, e, in determinati casi, di
angeli caduti e di demoni. Tutto ciò avvenne specialmente a
partire dal I secolo dopo Cristo.
Convertirsi dal paganesimo all'ebraismo o al cristianesi­
mo, compresi, significava anzitutto trasformare la propria
4 Satana e i suoi angeli

concezione del mondo invisibile. Ancora oggi, il battesimo


cristiano impone «di rinunciare solennemente al diavolo e a
tutte le sue opere» e di accettare l'esorcismo. Il pagano con­
vertito veniva battezzato soltanto dopo che aveva ammesso
che tutti gli esseri spirituali, che prima aveva venerato-e te­
muto - in quanto divini, erano in realtà semplici «demoni»,
spiriti ostili che lottavano contro l'Unico Dio di bontà e giu­
stizia e le sue schiere di angeli. Il passaggio ali' ebraismo o al
cristianesimo, dunque, polarizzava e moralizzava la conce­
zione dell'universo dei pagani. Secondo il teologo ebreo
Martin Buber la moralizzazione dell'universo fu una delle
grandi conquiste della tradizione ebraica, più tardi trasmes­
sa, come suo retaggio, ai cristiani e ai mussulmani.I Il libro
del Genesi, per esempio, sottolinea che i vulcani non avreb­
bero distrutto le città di Sodoma e Gomorra, se tutti i loro
abitanti- tutti gli abitanti che interessavano all'autore, cioè i
maschi adulti- non fossero stati malvagi, «giovani e anzia­
ni, la popolazione intera venuta da ogni lato» (Gen 19,4).
Quando iniziai a studiare per questo libro, pensavo che
le rappresentazioni ebraica e cristiana degli esseri invisibili
rispondessero a due esigenze, in primo luogo a moralizzare
l'universo naturale, come sosteneva Buber, e di conseguen­
za a indurre la gente a interpretare eventi che andavano
dalle malattie alle catastrofi naturali come espressioni della
«volontà divina» o come il giudizio di Dio sui peccati uma­
ni. La ricerca mi ha spinto, invece, in direzioni che non ave­
vo previsto e mi ha svelato un quadro assai più complesso.
Il martire cristiano Giustino (100-167 ca.), uno dei Padri
della chiesa, attribuisce la sofferenza, non alla volontà di
Dio, ma alla malevolenza di Satana; il suo allievo Taziano
ammette invece che esista il caso in natura e che a esso si
debbano anche le catastrofi, a fronte delle quali, dice, Dio
offre conforto, ma di rado interviene miracolosamente.
Procedendo nello studio delle attestazioni ebraiche e cri­
stiane di angeli e angeli caduti, ho scoperto, comunque, che
questi esseri si occupavano, più che del mondo fisico in ge­
nerale, della sfera particolare dei rapporti umani.
Introduzione 5

Rileggendo descrizioni di angeli, bibliche e non, ho no­


tato anzitutto quello che già molti studiosi hanno messo
in rilievo: mentre gli angeli compaiono spesso nella Bib­
bia, Satana, insieme ad altri angeli caduti o esseri demo­
niaci, ne è pressoché assente. In alcune comunità ebraiche
del I secolo, tra cui bisogna ricordare fondamentalmente
gli esseni (che si consideravano alleati con gli angeli) e i
seguaci di Gesù, la figura chiamata a seconda dei casi Sa­
tana, Beelzebub o Belial cominciò ad acquisire un ruolo
importante. Se nel Vangelo di Marco, per esempio, gli an­
geli sono citati soltanto nel quadro iniziale (dr. Mc 1,13) e
nei versetti finali del manoscritto originale (dr. Mc 16,5-7),
riguardo al «diavolo» questo evangelista si discosta dalla
principale tradizione ebraica introducendolo nella crucia­
le scena di apertura, per poi proseguire con la descrizione
della missione di Gesù come una lotta incessante tra lo
spirito di Dio e i demoni, che appartengono, chiaramente,
al «regno» di Satana (dr. Mc 3,23-27). Tali immagini sono
state assimilate dalla tradizione cristiana e sono servite ai
cristiani, fra l'altro, a confermare la loro identificazione
con Dio e a demonizzare i loro oppositori, che furono in
un primo tempo gli altri ebrei, poi i pagani e, più tardi, i
cristiani dissidenti, i cosiddetti eretici. Questo processo è
l'argomento di Satana e i suoi angeli.
Porre in luce tale elemento dei Vangeli neotestamenta­
ri, non significa, ovviamente, affermare che esso sia il lo­
ro tema principale. «I Vangeli non trattano dell'amore?»
esclamò un mio amico mentre parlavamo di questo libro.
Certo, trattano dell'amore; ma, poiché la storia che devo­
no raccontare comprende tradimenti e assassinii, presen­
tano anche motivi di ostilità che evocano immagini de­
moniache. E a ciò sono dedicate le pagine che seguono.
Quello che ci affascina di Satana è il modo in cui egli
esprime qualità che vanno al di là di ciò che normalmen­
te consideriamo umano. Satana fa pensare a qualcosa di
più dell'avidità, dell'invidia, della lussuria e dell'ira, che
noi riconosciamo quali nostri peggiori istinti, e a qualcosa
6 Satana e i suoi angeli

di più di ciò che chiamiamo brutalità, che fa somigliare


gli esseri umani alle bestie («bruti»). Per migliaia di anni
invece la tradizione lo ha caratterizzato come uno spirito:
in origine era uno degli angeli di Dio, ma a un certo mo­
mento è caduto. Ora è in aperta ribellione contro Dio, e
nella sua vana furia rispecchia alcuni aspetti del nostro
rapporto con gli altri. Molti asseriscono di averlo visto, in
determinate occasioni, incarnato in individui e gruppi
che sembrano posseduti da una sorta di intensa passione
spirituale, animata magari dalle nostre migliori qualità,
come la forza, l'intelligenza e la devozione, che egli però,
provando piacere nell'infliggere dolore, volge alla distru­
zione. Nelle sue manifestazioni estreme, il male, dunque,
sembra essere legato al soprannaturale: è quello che noi
identifichiamo, con tremore, con la descrizione del diavo­
lo di Martin Buber come inverso di Dio, come «completa­
mente altro». Né Satana né i suoi diabolici colleghi, per
esempio Belial e Mastema (che in ebraico significa
«odio»), storicamente parlando, si sono mai materializza­
ti. Tuttavia, come vedremo, figure simili si sono profilate
nello scompiglio della Palestina del I secolo, periodo in
cui cominciò a svilupparsi il movimento cristiano.
In questa sede non intendo ripetere quello che hanno
già scritto altri: Neil Forsyth, nella sua recente ed eccellen­
te opera The Old Enemy, ha analizzato gran parte delle
espressioni letterarie e culturali in cui si riconoscono le
origini della figura di Satana;2 Walter Wink e lo psicoana­
lista Cari Gustav Jung e alcuni suoi seguaci ne hanno esa­
minato le implicazioni teologiche e psicologiche.3 Jeffrey
Burton Russell e altri colleghi hanno tentato di delineare
dei paralleli culturali tra la figura di Satana e quelle del
dio egizio Set o della forza del male zoroastriana Ahrima­
ne.4 Ciò che a me interessa, invece, sono specificatamente
le implicazioni sociali della figura di Satana: in che modo
si fa ricorso a essa nelle nostre tradizioni religiose per de­
scrivere i conflitti umani e per caratterizzare nemici in
carnee ossa.
Tntroduzione 7

In questo libro, dunque, vi invito a considerare Satana


come un riflesso della maniera in cui percepiamo noi stessi
in relazione a quelli che chiamiamo gli «altri». Dopo tutto,
Satana ha fatto una specie di professione di essere I'«altro»;
e perciò, in negativo, determina quello che noi reputiamo
umano. La pratica sociale e culturale di definire alcune
persone come gli «altri» in relazione al proprio gruppo è,
ovviamente, vecchia come il mondo. L'antropologo Robert
Redfield ha osservato che la visione dell'universo di molte
persone è permeata essenzialmente da due coppie di op­
posizioni binarie: umano/non umano e noi/loro.s Queste
due coppie sono spesso correlate, come nota Jonathan Z.
Smith, tanto che possiamo anche dire noi=umano e
loro=non umano.6 La distinzione tra «noi» e «loro» si pre­
senta già nei primi documenti storici, nelle tavole degli an­
tichi sumeri e degli accadi, semplicemente perché esiste
nel linguaggio e nella cultura dei popoli di tutto il mondo.
Simili contrapposizioni connotano talvolta attrazione, ma
forse più spesso repulsione, o entrambi i fattori allo stesso
tempo. Il termine che nella lingua dell'antico Egitto signifi­
ca «egizio» ha anche il senso di «umano»; la parola greca
che indica i non greci, (30pj3apot, è un'imitazione del suono
aspro della parlata degli stranieri: siccome non si esprimo­
no in un idioma per loro comprensibile, i greci li chiamano
papj3apot.
Tuttavia, questa pratica di fatto universale di considera­
re umana la propria gente e di «disumanizzare» gli altri
non indica necessariamente che le persone in realtà dubi­
tino o neghino l'umanità altrui. La maggior parte delle
volte, come rileva William Green, quelli che cosi etichetta­
no loro stessi e gli altri stanno tracciando una specie di ca­
ricatura che li aiuta a definire e a rafforzare la loro identità
di gruppo: «Una società non scopre semplicemente gli altri
rispetto a sé, se li costruisce, scegliendo, isolando ed enfa­
tizzando un aspetto della vita di un altro popolo, e facen­
dolo assurgere a simbolo della loro differenza»?
Il conflitto tra gruppi diversi non è, naturalmente, una
8 Satana e i suoi angeli

novità. Quello che può essere nuovo nella tradizione cri­


stiana occidentale, come vedremo, è che, facendo ricorso a
Satana per rappresentare i propri nemici, si dà del conflit­
to una particolare interpretazione morale e religiosa, in
cui «noi» siamo il popolo di Dio e «loro» sono i nemici di
Dio, e per ciò stesso i nostri. Coloro che fanno propria
questa concezione sono indotti a credere, come Gesù am­
moniva i suoi discepoli, che «chiunqu e vi ucciderà cre­
derà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). Tale interpretazio­
ne morale del conflitto si è dimostrata straordinariamente
efficace per tutto il corso della storia occidentale nel con­
solidare l'identità delle comunità cristiane; la medesima
storia mostra che p uò giustificare l'odio, addirittura lo
sterminio di massa.
Le ricerche che ho svolto per Satana e i suoi angeli mi
hanno rivelato aspetti della cristianità che trovo inquie­
tanti. Negli ultimi anni, rileggendo i Vangeli sono rimasta
colpita dal modo in cui la loro concezione della lotta so­
prannaturale esprima il conflitto reale e, al tempo stesso,
lo elevi a una dimensione cosmica. Queste ricerche, inol­
tre, mostrano alcune fratture nella tradizione, risalenti a
circa duemila anni fa, alle origini del movimento, che
hanno permesso la demonizzazione degli altri per tutta la
storia cristiana. Mentre lavoravo a Satana e i suoi angeli,
spesso ho ricordato un detto di SOren Kierkegaard : «Una
relazione inconscia è più forte di una conscia».
Per circa duemila anni, per esempio, molti cristiani
hanno dato per certo che gli ebrei avessero assassinato
Gesù, usando i romani quali riluttanti esecutori; e che
questa colpa ricadesse non soltanto su chi aveva diretta­
mente perpetrato l'atto, ma (come sottolinea Matteo) su
tutta la loro progenie.s Nel corso dei secoli, gli innumere­
voli cristiani che ascoltarono la lettura dei Vangeli recepi­
rono - insieme alle parole di Gesù in senso pressoché con­
trario - 1' associazione tra le forze del male e i nemici ebrei
di Cristo. Coloro che seguivano la narrazione o vedevano
nelle chiese la rappresentazione pittorica degli episodi
Introduzione 9

evangelici - fossero analfabeti o persone di cultura - in


genere ritenevano tali vicende storicamente attendibili e
valide sotto il profilo religioso.
Soprattutto a partire dal XIX secolo, comunque, un nu­
mero crescente di studiosi cominciò a svolgere sui Vangeli
un'analisi letteraria e storica. Tale esegesi mostrò che gli
autori dei Vangeli di Matteo e di Luca usarono il testo di
Marco come fonte da cui sviluppare le loro versioni più
lunghe. Numerosi studiosi sostenevano che il Vangelo di
Marco fosse storicamente più affidabile degli altri perché
era il più semplice nello stile ed era stato composto in un
periodo più vicino nel tempo alla vita di Gesù. Tuttavia, la
precisione storica forse non era la prima preoccupazione
degli autori evangelici. Un'ulteriore analisi dimostrò co­
me nel testo dei Vangeli trasparissero alcuni passi degli
scritti dei profeti e dei salmi della Bibbia ebraica. Bama­
bas Lindars e altri affermarono che gli autori cristiani
spesso ampliavano dei brani biblici trasformandoli in in­
teri episodi che «provavano», per la soddisfazione di mol­
ti fedeli, che eventi preannunciati dai profeti trovavano il
·

loro compimento nella venuta di Gesù.9


Gli studiosi che condividevano quest'analisi erano con­
vinti che il Vangelo di Marco, come mostra James Robin­
son, «non è nulla se non una mera cronaca»; mentre in
realtà è un trattato teologico sotto forma di biografia stori­
ca.10 Riconoscendo che gli autori di Matteo e di Luca die­
dero ognuno una propria lettura di Marco, essi tentarono
di distinguere tra le fonti che ciascuno dei due evangelisti
recepì dalla tradizione precedente - detti, aneddoti e pa­
rabole - e quello che aggiunse di proprio per rielaborare
questo materiale. Alcuni di loro speravano di comprende­
re a fondo i diversi resoconti e di svelare il «Gesù storico»,
recuperando le sue effettive parole e azioni. Altri si oppo­
sero invece a quella che Albert Schweitzer definì «l'in­
chiesta sul Gesù storico» ,11 sottolineando che il primo
Vangelo fu scritto più di una generazione dopo la morte
di Cristo, e gli altri quasi due più tardi, e che isolare del
10 Satana e i suoi angeli

materiale «autentico» nei Vangeli era del tutto impossibile


in assenza di elementi dimostrativi autonomi.
Nel frattempo, molti altri studiosi apportarono prove di
carattere storico sia dal Mishnah, un'antica raccolta di tra­
dizione ebraica, e da altre fonti ebraiche, sia dalla storia di
Roma, nonché dal suo diritto e dalle sue procedure ammi­
ni strative . 12 Uno dei più importanti interrogativi che
emersero da qu esti studi critici fu: «Quale fondamento
storico c'è - sempre che ce ne sia uno - all'affermazione
dei Vangeli che i giudei furono responsabili della morte di
Gesù?». Quello che conferisce a tale domanda un interes­
se più che accademico è l'asserzione dei Vangeli che que­
st'atto fu ispirato dallo stesso Satana. Alcuni studiosi mi­
sero in luce le discrepanze tra la procedura del Sinedrio
descritta nel Mishnah e quella che si profila nei resoconti
evangelici del «Giudizio davanti al Sinedrio» di Gesù, e
contestarono l'accuratezza delle versioni di Marco e di
Matteo. Nel 1910 Simon Bernfield dichiarò che «l'intero
giudizio davanti al Sinedrio non è altro che un'invenzione
tarda»,13 una tesi che ha trovato di recente sostenitori tra
gli esegeti di testi cristiani.14 Notando che l'accusa contro
Gesù e il genere di esecuzione erano tipicamente romani,
molti studiosi, compreso Paul Winter nel suo autorevole
libro On the Trial of ]esus, pubblicato nel 1961, asserirono
che furono i romani a giustiziare Gesù, per motivi politici,
non religiosi.15 Altri, fra cui, negli ultimi anni, lo storico
dell'età romana Fergus Millar, hanno giudicato maggior­
mente credibili i resoconti di Luca o di Giovanni, che mo­
strano che il Sinedrio per Gesù svolse una semplice
udienza, non un vero e proprio processo.16
Di recente, comunque, un gruppo di studiosi ha riaperto
il dibattito per mostrare che, con le parole di Josef Blinzler,
«chiunque tenti di accertare che il processo di Gesù fu un
fatto storico e fu condotto secondo le norme di legge, rico­
struendolo dalle descrizioni evangeliche, deve giungere alla
stessa conclusione dei primi predicatori cristiani, e cioè che
la maggior responsabilità fu di parte ebraica» (corsivo
Introduzione 11

mio).17 Altri studiosi più scettici sull'affidabilità storica di


questi testi mettono invece in rilievo la responsabilità ro­
mana nella condanna a morte di Gesù, che, essi affermano,
gli autori dei Vangeli tentarono di dissimulare per non pro­
vocare i romani proprio nel periodo immediatamente suc­
cessivo alla loro sconfitta nella guerra giudaica.1s
Come ipotesi di lavoro, condivido la tesi che la condan­
na a morte di Gesù fu probabilmente comminata dai ro­
mani per attività che ritenevano sediziose, forse perché
Cristo suscitava pubbliche dimostrazioni e perché, a
quanto pare, secondo loro pretendeva di essere il «re dei
giudei » . Tra la sua gente, comunque, Gesù appariva come
una figura di profeta radicale i cui pubblici insegnamenti,
sebbene popolari tra la folla, preoccupavano e allarmava­
no alcuni potenti ebraici, soprattutto le autorità del Tem­
pio che forse favorirono la sua cattura e il suo arresto.
Questo libro non ha tuttavia come principale scopo quel­
lo di scoprire «ciò che realmente accadde» -e tanto meno di
convincere il lettore di una o dell'altra versione di «ciò che
accadde» -, dal momento che, a prescindere dalla succinta
ricostruzione fa tta prima, ritengo che le fonti siano troppo
frammentarie e suscettibili di diverse interpretazioni per
consentire di risolvere definitivamente la questione. Io ten­
to invece di mostrare come i Vangeli riflettano l'emergere
del movimento ispirato a Gesù dagli scontri fra fazioni po­
stbelliche del tardo I secolo. Ogni autore dà un taglio alla
propria narrazione in modo da corrispondere alle circo­
stanze con cui si confronta, e utilizza la storia di Cristo per
«riflettere alla luce di essa» sulla propria situazione, identi­
ficando se stesso e i propri seguaci con Gesù e i suoi disce­
poli, e relegando quelli che considera i propri nemici nel
ruolo di oppositori di Gesù. Per mostrare ciò, attingo a un
gran numero di opere recenti di storici ed esegeti, molti dei
quali discutono- spesso trovandosi in disaccordo- sull' in­
terrogativo di quando, e come, i seguaci di Cristo si distac­
carono dal resto della comunità ebraica.
In questo libro aggiungo al dibattito qualcosa che non
12 Satana e i suoi angeli

ho trovato altrove, ossia quella che chiamo la «storia so­


ciale di Satana»; in altre parole mostro come gli eventi rac­
contati nei Vangeli su Gesù, i suoi sostenitori e i suoi ne­
mici, siano correlati al dramma soprannaturale che gli
autori utilizzano per interpretare quella storia: la lotta tra
lo spirito di Dio e Satana. E siccome nella lettura dei Van­
geli i cristiani in genere si sono identificati con i discepoli,
per circa duemila anni hanno identificato i loro oppositori
- ebrei, pagani o eretici - con le forze del male e dunque
con Satana.
I

Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica

Nel 66 d.C., tra gli ebrei di Palestina scoppiò un'insurre­


zione contro Roma. I soldati giudei, all'inizio reclutati nel­
le campagne dai capi dei ribelli, utilizzavano qualsiasi ar­
ma riuscissero a procurarsi. Tuttavia, quando la rivolta si
estese a paesi e città, la popolazione ebraica si divise. Al­
cuni si rifiutarono di combattere: a Gerusalemme il parti­
to dei sacerdoti e i suoi sostenitori cittadini tentarono di
mantenere la pace con Roma. Tra coloro che invece si uni­
rono agli insorti - tutti erano fortemente decisi a liberare
la propria terra dalla dominazione straniera -, molti erano
convinti che Dio fosse dalla loro parte. Dopo tre anni di
guerra, il futuro imperatore Vespasiano e suo figlio, il fu­
turo imperatore Tito, avanzavano contro Gerusalemme
con non meno di sessantamila fanti e cavalieri, ben adde­
strati e perfettamente equipaggiati, e mettevano sotto as­
sedio la città.
Circa vent'anni più tardi, lo storico ebreo Joseph ben
Matthias, più noto con il nome latinizzato di Flavio Giu­
seppe, che era stato governatore di Galilea prima di af­
fiancarsi agli insorti contro Roma, scrisse un resoconto di
quella che egli definisce «la più grande [guerra] non sol­
tanto dei nostri tempi, ma forse di tutte quelle fra città o
fra nazioni di cui ci sia giunta notizia».! Su questi avveni­
menti, la sua testimonianza è l'unica che ci sia pervenuta,
perché del conflitto non sono state tramandate altre cro­
nache. Flavio Giuseppe è uno storico efficace, ma anche di
parte. Nato in una famiglia sacerdotale benestante, di di-
14 Satana e i suoi angeli

scendenza regale, quando aveva ventisei anni - due pri­


ma dello scoppio della guerra - si era recato a Roma per
intercedere presso l'imperatore Nerone per alcuni sacer­
doti ebrei arrestati. La ricchezza e la potenza militare della
capitale dell'Impero impressionarono questo giovane uo­
mo, che riusci a incontrare uno degli attori favoriti da Ne­
rone - un ebreo, per caso - e, attraverso di lui, Poppea, la
moglie dell'imperatore. Poppea accettò di aiutarlo nella
sua missione, e Flavio Giuseppe ritornò in Palestina. Là,
narra nella autobiografia,

... trovai i primi rivolgimenti politici, e molti orgogliosi della loro


idea di un'insurrezione contro i romani. Tentai perciò di placare i
ribelli ... prospettando contro chi avrebbero dovuto combattere eri­
cordando loro che erano inferiori ai romani, non solamente per
esperienza mi lita re, ma anche per buona sorte .. . Con queste parole
insistevo con forza per dissuaderli, poi c hé prevedevo che l'esito
della guerra sarebbe stato assolutamente catastrofico per noi. Tut­
tavia, non riuscii a convincerli; infatti la follia di quegli sconsidera­
ti prevalse.2

Ovunque si recasse, racconta Flavio Giuseppe, trovava


la Giudea - il nome ebraico della regione da altri chiamata
Palestina - in tumulto. I capi della guerriglia come Gio­
vanni di Giscala e i suoi seguaci mettevano a repentaglio
la loro vita per combattere per la libertà nel nome di Dio.
Nella primavera del 67, i soldati di Giovanni, dopo aver
messo in fuga i romani da Giscala, loro capoluogo di pro­
vincia, irruppero in Gerusalemme: Il, incitando la gente a
unirsi all'insurrezione, ne attiravano decine di migliaia,
afferma lo storico, e «la maggior parte degli uomini giova­
ni si lasciava sedurre e si infiammava alla guerra».3 Men­
tre altri, che Giuseppe descrive come più anziani e più as­
sennati, si opponevano duramente alla rivolta, Giovanni e
diversi rivoluzionari convenuti dalle campagne aggrava­
rono il conflitto catturando «Uno fra i più potenti della
città», il capo ebraico Antipa -il tesoriere pubblico - e al­
tri due uomini, come Antipa legati anch'essi alla dinastia
regale. Accusando i t re prigionieri di essersi incontrati
n Vangelo di Marm e la guerra giudaica 15

con i nemici per concertare la consegna di Gerusalemme


ai romani, i ribelli li definirono «traditori della comune li­
bertà» e tagliarono loro la gola. 4
Flavio Giuseppe racconta di essere stato egli stesso,
all'età di trent' anni, governatore di Galilea, prima di esse­
re trascinato a partecipare alla guerra contro Roma dai
suoi concittadini. Egli non spiega perché venne meno ai
propri principi, ma dice di aver finto in un primo tempo
di essere d'accordo con gli insorti allo scopo di non susci­
tare i loro sospetti. Descrive inoltre le proprie gesta contro
i romani, nel corso delle quali miracolosamente non perse
la vita in un massacro compiuto dall'esercito imperiale al­
la caduta della città di Giotapata. Più tardi, dopo essere
riuscito inizialmente a nascondersi e poi a sopravvivere a
un patto di suicidio collettivo stipulato con i suoi compa­
gni profughi, Flavio Giuseppe fu catturato dai romani.
Portato davanti a Vespasiano, il comandante romano, gli
annunciò di aver ricevuto la rivelazione da Dio che egli
sarebbe diventato imperatore di Roma. Senza lasciarsi im­
pressionare, questi pensò che si trattasse di un trucco or­
dito dal prigioniero per salvarsi la vita: invece, dopo che
Nerone fu assassinato e altri tre imperatori si furono avvi­
cendati nel giro di pochi mesi, la predizione si avverò.
Uno dei primi decreti di Vespasiano fu perci ò quello di or­
dinare ai soldati di liberare dal carcere Flavio Giuseppe il
quale, da quel momento in poi, andò al suo seguito in ve­
ste di interprete e portavoce. Lo storico fece ritorno a Ge­
rusalemme con il figlio di Vespasiano, Tito, quando il gio­
vane generale sostitul il padre nel comando della guerra
al fine di puntare contro la città santa.
A quell'epoca, narra Flavio Giuseppe, la città era divisa
in tre fazioni: c'erano il partito sacerdotale che tentava di
ristabilire la pace, a cui si opponevano i rivoluzionari del­
le campagne, e, in conflitto con entrambi, un secondo par­
tito antiromano guidato dai maggiorenti di Gerusalemme,
«uomini di enorme potere» che, secondo l'autore della
Guerra giudaica, erano intenzionati a mantenere comun-
16 Satana e i suoi angeli

que il predominio sui radicali delle zone circostanti. An­


che prima che sopraggiungesse l'esercito romano, egli af­
ferma, queste «tre fazioni sediziose» si stavano combat­
tendo tra loro, mentre «il popolo ... era come un gran
corpo che stava in mezzo e ne rimaneva dilaniato».s Fla­
vio Giuseppe stesso, che prestava servizio agli ordini del
comandante romano durante l'assedio, si trovava tra due
fuochi: odiato ferocemente come traditore da molti dei
suoi concittadini, era sospettato di «doppio gioco» anche
dai romani ogni volta che si verificava un imprevisto.
Flavio Giuseppe descrive nei minimi particolari l'asse­
dio di Gerusalemme, senza trascurare gli orrori della care­
stia provocata dall'accerchiamento romano, durante il
quale, racconta, «i figli strappavano il pane di bocca ai pa­
dri e, cosa fra tutte la più dolorosa, le madri ai bambini».b
Anche le persone anziane e i più piccoli venivano sotto­
posti a tortura se rubavano del cibo. Alla fine, quando i
soldati ebraici non riuscirono più a resistere, i romani en­
trarono in città e sciamarono verso il Tempio. Tito e il suo
stato maggiore, evidentemente curiosi, fecero ingresso nel
sancta sanctorum, la camera sacra dove era conservata
l'Arca dell'Alleanza. I mi litari imperiali saccheggiarono il
tesoro, impossessandosi dei suoi inestimabili arredi d'oro,
delle trombe d'oro, e del candelabro massiccio a sette
bracci; poi diedero fuoco al Tempio e si godettero lo spet­
tacolo dell'incendio.
Quella stessa notte, più tardi, acclamarono la vittoria di
Tito e, nel trionfo, profanarono la zona del Tempio, sacrifi­
cando ai loro dèi. Dopo aver massacrato l'esercito ebraico,
stuprarono, depredarono e uccisero migliaia di abitanti di
Gerusalemme, e rasero al suolo la città. Flavio Giuseppe,
che scrisse La guerra giudaica dieci o quindici anni più tar­
di nella sua casa di villeggiatura romana, indubbiamente
sperava non soltanto di esprimere la sua angoscia, ma an­
che di sfatare il sospetto che avesse collaborato con coloro
che avevano distrutto Gerusalemme, quando affermava:
«O sventuratissima città, quale sciagura così grande come
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaica 17

quella che patisti dai romani, quando vennero per purifi­


care con il fuoco le nefandezze del tuo popolo».7 Quali
che fossero gli intenti dello storico, la sua opera trasmette
una chiara immagine delle fazioni che spaccavano Geru­
salemme e della terrificante devastazione che gli abitanti
della città subirono.
Ciò che rende questi eventi importanti ai miei fini è il
fatto che il primo Vangelo cristiano risale molto probabil­
mente all'ultimo anno del conflitto o a quello in cui la
guerra si concluse s Dove tale Vangelo sia stato scritto e da
chi, non ci è noto; 1' opera 'è anonima, sebbene la tradizio­
ne la attribuisca a Marco, un giovane «collega» dell'apo­
stolo Pietro. Ciò che sappiamo è che l'autore del Vangelo
di Marco era certamente a conoscenza della guerra, e anzi
prese posizione nelle ostilità che essa provocò, sia tra
gruppi ebraici sia tra giudei e romani.
Dopo tutto, Marco scriveva a proposito di un carismati­
co maestro ebreo, Gesù di Nazaret, che trentacinque anni
prima era stato giustiziato da Ponzio Pilato, il governato­
re romano della Giudea, apparentemente sotto laccusa di
sedizione contro Roma. Di tale condanna, tempo dopo, i
seguaci di Cristo chiedevano insistentemente di sapere di
più: laccusa e la crocifissione sono dunque i primi fatti di
cui abbiamo notizia sia dai sostenitori sia dagli oppositori
di Gesù. Benché molti raccontino, di prima o di seconda
mano, storie su Cristo e riferiscano le sue parole e parabo­
le, nessuno dei documenti su di lui a noi pervenuti è con­
temporaneo alla sua vita. Su Gesù furono stese dozzine -
forse addirittura centinaia - di resoconti, compresi quelli
tenuti a lungo nascosti e ritrovati tra i Vangeli scoperti a
Nag Hammadi nell'Alto Egitto nel 1945.9 Di questi nume­
rosi testi solamente quattro Vangeli sono inclusi nel Nuo­
vo Testamento. Coloro che parlarono e scrissero su Gesù,
nella grande maggioranza, lo fecero come suoi devoti am­
miratori, alcuni anche come fedeli. Ma gli altri, compresi
lo stesso Flavio Giuseppe e anche il senatore romano Taci­
to, che visse a cavallo tra il I e il II secolo d.C., lo citano
18 Satana e i suoi angeli

con ostilità o disprezzo.lo Comunque, quasi tutti costoro,


parimenti difensori e oppositori, collocarono Gesù di Na­
zaret e il movimento da lui ispirato nel contesto dei «re­
centi disordini in Giudea».
Secondo Marco, Gesù si lamentò di essere stato arresta­
to «come un brigante» (cfr. Mc 14,48). Nel Vangelo di Lu­
ca, scritto dieci o vent'anni più tardi, si evince che Cristo
fu accusato, come quelli che furono crocifissi insieme a
lui, di essere un ladrone (dr.Le 23).11 Il termine greco
Aucmiç, tradotto letteralmente con «ladrone» o «brigante»,
all'inizio del I secolo aveva il signifi cato polivalente di in­
dividuo indesiderato, sovversivo o criminale. Flavio Giu­
seppe, che scrisse dopo la guerra giudaica contro Roma,
comunque, lo utilizzò molto di frequente per indicare
quegli ebrei che incitavano o partecipavano ad attività an­
tiromane o allo stesso conflitto contro l'lmpero.12 Come
numerosi altri studiosi, sono convinta che è improbabile
che Gesù sia stato in realtà un rivoluzionario,13 sebbene
tutti i Vangeli indichino che le autorità ebraiche, che lo
condussero davanti a Pilato, lo accusavano di pretendere
di essere «il re dei giudei». Secondo Marco, i soldati di Pi­
lato, essendo a conoscenza dell'imputazione, lo scherniro­
no e lo oltraggiarono come sedicente «re dei giudei» (cfr.
Mc 15,16-20); sembra che la stessa accusa gli sia stata scol­
pita sulla croce come avvertimento ad altri: Roma avrebbe
mandato a morte in maniera simile chiunque fosse stato
condannato per sedizione.
I testi a noi noti come Vangeli neotestamentari furono
scritti da seguaci di Gesù che vissero durante la guerra e
che sapevano che molti loro correligionari ebrei li consi­
deravano una minoranza sospetta. Questi autori diedero
la loro versione di alcuni gravi avvenimenti legati alla
guerra e della parte che Gesù ebbe negli eventi che la pre­
cedettero, nella speranza di convincere altri della loro in­
terpretazione. Non si possono comprendere a fondo i
Vangeli neotestamentari se non li si inquadrano, in questo
senso, come «letteratura del tempo di guerra». Come ab-
Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica 19

biamo ricordato prima, quello che chiamiamo di Marco


(sebbene non si sappia storicamente chi fu l'autore di nes­
suno dei Vang eli, io mi rifaccio alle tradizionali attribuzio­
ni) fu composto o durante la guerra stessa, forse nel corso
di una tregua temporanea nell'assedio di Gerusalemme, o
immediatamente dopo la caduta della città, nel 70 d.C.14
Matteo e Luca scrissero dai dieci ai vent'anni più tardi,
usando entramb i Marco come base, e ampliand o la sua
narrazione con ulteriori detti ed episodi. Secondo la mag­
gior parte degli studiosi, Giovanni redasse invece il suo
Vangelo, forse ad Alessandria, circa una generazione do­
po la guerra, più o meno nel 90-95 d.c. 1s
Soltanto uno degli apostoli di Gesù, le cui opere furono
più tardi inserite nel Nuovo Testamento, Paolo di Tarso,
scrisse prima della guerra, e quindi certamente non poté
dire nulla sul rapporto che il Messia ebbe con essa. Paolo
fornisce pochi dettagli sulla vita di Cristo, riferendo sol­
tanto alcune «parol e del Signore» (Atti 20,35).16 Della mor­
te di Gesù non lo affascinava tanto la crocifissione come
fatto reale, ma quello che egli considerava il suo profo ndo
significato religioso, ossia il fatto che «Cristo morì per i
nostri peccati» (1Cor 15,3) e che il suo è diventato un sacri­
ficio di redenzione, che, Paolo crede, ha cambiato il rap­
porto tra il Dio di Israele e l'intera razza umana. Se Paolo
conosceva le accuse mosse contro Gesù - che era uno dei
molti galileani che Flavio Giuseppe giudica sovversivi17
perch é fomentavano la ribellione contro Roma -, sembra
che le considerasse cosl evidentemente false o così irrile­
vanti da non meritare neppure una confutazione. L'apo­
stolo morì intorno al 65 a Roma, giustiziato, come Gesù,
per ordine dei magistrati romani.
I terribili avvenimenti tra il 66 e il 70 trasformarono de­
finitivamente la vita degli ebrei, non soltanto a Gerusa­
lemme, dove le macerie carbonizzate invasero la splendi­
da zona del Tempio, ma anche in tutto il mondo da loro
conosciuto. Persino coloro che non avevano mai visto Ge­
rusalemme sapevano che la loro capitale era stata distrut-
20 Satana e i suoi angeli

ta. Le privazioni e le umiliazioni della sconfitta esacerba­


rono i reparti di stanza da lungo tempo presso le varie co­
munità ebraiche sparse qua e là, alcune delle quali si
erano insediate nel Mediterraneo orientale da duecento
anni, dall'epoca in cui il generale Giuda Maccabeo aveva
cacciato le dinastie siriane Il stabilite da Alessandro
Magno e aveva restaurato lo stato ebraico. Fra il 65 e il 70,
questi reparti avevano ovviamente assunto una posizione
intermedia fra coloro che avevano appoggiato la guerra
contro Roma e il partito sacerdotale che aveva operato
per preservare la fragile pace. In seguito al conflitto con­
tro Roma, i rapporti di potere tra i diversi gruppi nelle
comunità ebraiche disseminate nel mondo da Alessan­
dria e Antiochia a Roma cambiarono a fronte della situa­
zione in mutamento. Nella stessa Gerusalemme, con il
Tempio abbattuto, e migliaia di persone uccise o fuggite,
la classe sacerdotale perse molta della sua influenza,
mentre gli altri partiti si davano da fare per guadagnare
terreno.
La guerra e le sue conseguenze divisero anche i seguaci
di Gesù dalle altre comunità ebraiche. I fedeli di Cristo si
erano rifiutati di prendere le armi nella guerra contro i ro­
mani, non perché ritenessero, come Giuseppe e altri, che i
romani fossero invincibili, o perché sperassero da loro van­
taggi politici o finanziari. Essi credevano che non avesse al­
cun senso combattere i romani perché i catastrofici eventi
che avevano seguito la crocifissione erano i segni della fi­
ne, segni che indicavano che tutto il mondo doveva essere
distrutto e trasformato (dr. Mc 1 3,4-29). Alcuni inoltre as­
serivano che quello che loro avevano visto- gli orrori della
guerra - in realtà convalidava l'appello di Gesù: «Il regno
di Dio è vicino, convertitevi» (Mc 1,15). Marco condivide la
convinzione, diffusa tra i seguaci di Gesù, che Cristo stesso
avesse previsto tali eventi che sconvolsero il mondo, la di­
struzione del Tempio e la sua profanazione, esattamente
come poi si sarebbero verificati:
Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica 21

Mentre usciva dal Tempio, un discepolo gli disse: «Maestro,


guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi que­
ste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia
distrutta» ... Quando ved rete l'abominio della desolazione stare là do­
ve non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si trovano nella
Giudea fuggano ai monti (Mc 13,1-2e14).

Altri credevano - e alcuni si azzardavano a dire - che


queste catastrofi erano in realtà punizioni di Dio, adirato
con il suo popolo per il crimine di aver rifiutato il Messia,
inviato divino.
In ogni caso, Marco sottolinea che i seguaci di Gesù non
erano in polemica con i romani, ma con le autorità ebrai­
che - il consiglio degli anziani, il Sinedrio, oltre agli scribi
e ai sacerdoti di Gerusalemme - che avevano respinto il
Messia di Dio. L'evangelista afferma che tali autorità ora
hanno respinto lui stesso e i suoi compagni di fede, chia­
mandoli folli o invasati dal demonio, le medesime accuse
che avevano mosso a Cristo.
D'altra parte, Marco prende un atteggiamento conci­
liante con i romani, sebbene fosse risaputo che il loro go­
vernatore, Ponzio Pilato, aveva condannato a morte Gesù.
Le due scene di processo contenute nel suo Vangelo in
realtà incolpano i capi giudaici per la morte di Cristo,
mentre ne scagionano in qualche modo i romani. Marco
inventa un nuovo Pilato, un uomo debole di carattere, ben
intenzionato, preoccupato della giustizia, ma, come egli lo
dipinge, a tal punto intimidito dai sacerdoti più impor­
tanti, presenti all'interno della sua camera di consiglio, e
dalla folla, che grida all'esterno, da far giustiziare un uo­
mo che sospetta essere innocente.
Altri autori del I secolo, ebrei e romani, lo descrivono
come una figura molto diversa. Persino Flavio Giuseppe,
malgrado le sue simpatie romane, caratterizza il governa­
tore come un uomo che dimostrava chiaro disprezzo per i
suoi sudditi ebraici, che si appropriò illegalmente di beni
dal tesoro del Tempio e che soppresse con brutalità raduni
irregolari.18 Un altro testimone contemporaneo, Filone, un
22 Satana e i suoi angeli

membro autorevole e influente della comunità ebraica di


Alessandria, definisce Pilato un uomo di «attitudine spie­
tata, caparbia e crudele», famoso, fra le altre cose, per la
tendenza a ordinare «frequenti esecuzioni capitali senza
processo».19
L'atteggiamento di Marco verso Pilato non è di sempli­
ce interpretazione. Nella misura in cui egli indirizza il suo
racconto a non cristiani, sembra che voglia dissipare i so­
spetti dei romani mostrando che i seguaci di Gesù rimasti
non minacciano l'ordinamento statale, non più di quanto
Cristo stesso abbia fatto. Ma può anche aver voluto con­
vertire i lettori gentili. Tuttavia egli è interessato anzitutto
ai conflitti all'interno della comunità ebraica, specialmente
ai conflitti tra il suo gruppo e quelli che negano le sue as­
serzioni su Gesù.
Malgrado l'ostilità e il sospetto che Cristo e il suo movi­
mento suscitavano tra ebrei e gentili, e quindi ovviamente
anche tra romani, Marco scrive di proclamare il «vangelo
di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). Tuttavia egli sa
che, per fare simili affermazioni su Gesù, deve rispondere
ad alcune chiare obiezioni. Se Cristo era stato mandato
quale re unto del Signore, come aveva potuto fallire cosi
miseramente il movimento cui aveva dato inizio? Come
avevano potuto i suoi discepoli abbandonarlo e nascon­
dersi, quando i soldati lo catturarono come un criminale
comune? Perché pressoché tutta la sua gente negava
quanto si affermava su di lui, non solamente i suoi conter­
ranei di Galilea, ma anche le folle che egli aveva radunato
durante i viaggi per la Giudea e a Gerusalemme? E dopo
tutto, ripensandoci a posteriori, Gesù, un sedizioso lui stes­
so, non era forse stato compromesso anch'egli nella guer­
ra perduta, essendo stato arrestato e crocifisso come sov­
versivo? Nel tentativo di rispondere a tali domande,
Marco inserisce gli avvenimenti legati a Cristo non sem­
plicemente nel contesto del conflitto contro Roma, ma in
quello della lotta tra il bene e il male nel cosmo. Gli eventi
fondamentali della sua vita e della sua morte non possono
ll Vangelo di Manu e la guerra giudaica 23

essere compres i, afferma, se non si considera lo scontro


tra forze soprannaturali che egli vede svol gersi sulla terra
durante la sua esistenza. Marco vuole raccontare l a storia
di Gesù rivelandone le dinamiche nascoste, più profonde,
raccontarla, per così dire, dal punto di vista di Dio.
Quello che accadde, dice Marco, è quanto segue: Gesù di
Nazaret, dopo il battesimo, stava uscendo dalle acque del
Giordano quando «vide ap ri rsi i cieli e lo Spirito d isce nde­
re su di lui come una colomba» (Mc 1 ,10). 11 potere di Dio lo
unse perché egli sfidasse le forze del male che ora domina­
no il mondo, e lo spinse in diretto conflitto contro di esse.20
L' evangelista inquadra il proprio racconto, sia all' inizio sia
al suo acme, tra episodi che raffigurano S atana e le sue for­
ze demoniache me ntre si ritorcono contro Dio operando
per la distruzione di Gesù. Egli apre il Vangelo con la de­
scrizione di come lo Spirito di Dio discese su Cristo al mo­
mento del battesimo e «Subito dopo lo Spirito lo sospinse
nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana;
stava con le fiere e g li ange li lo servivano» (Mc 1, 12-13). Da
quel momento in poi, sostiene Marco, anche dopo che Ge­
sù aveva lasciato il deserto ed era tornato nella comunità
degli uomini, le forze del male lo sfidarono e lo aggrediro­
no in ogni occasione, ed egli le riattaccò, e vinse. Matteo e
Luca, che, come già visto, scrissero da dieci a vent'anni più
tardi, adottarono e rielaborarono questo quad ro di apertu­
ra. Entrambi lo trasformano in una situazione drammatica
che si articola in tre tentazioni, ossia in tre incontri di inten­
sità crescente tra Satana e lo Spirito di Dio che agisce trami­
te Gesù. Luca mostra che il diavolo, sconfitto in que sti pri­
mi tentativi di soggiogare Cristo, si ritira «per ritornare al
tempo fissato» (Le 4,1 3). Egli, poi, dice quello che Marco e
Matteo lasciano s ottinteso, cioè che il diavolo si ripresentò
nella persona di Giuda Iscariota per uccidere Gesù, dando
inizio al tradimento che po rtò al suo arresto e alla sua ese­
cuzione (cfr. Le 22,3). Tutti i Vange li del Nuovo Testamento,
con sensibili differenze, rappresentano la crocifissione co­
me il momento culminante della lotta tra il bene e il male,
24 Satana e i suoi angeli

tra Dio e Satana, che era incominciata con il battesimo di


Cristo.
Satana, sebbene raramente compaia «in scena» in questi
brani evangelici, nondimeno gioca un ruolo centrale nel
dramma divino. Gli autori dei Vangeli capiscono infatti
che la storia che devono narrare non avrebbe molto senso
senza Satana. Dopo tutto, come si potrebbe pretendere che
un uomo, tradito da un suo discepolo e brutalmente giu­
stiziato sotto l'accusa di tradimento contro Roma, non so­
lamente fosse ma ancora sia il Messia indicato da Dio, se la
sua cattura e la sua morte fossero una sconfitta definitiva e
non invece, come sottolineano i Vangeli, solo una prelimi­
nare scaramuccia nell'ambito di un vasto conflitto cosmi­
co che ora si svolge in tutto l'universo? La battaglia finale
non è ancora stata combattuta, né tanto meno vinta; ma è
imminente. Come Gesù medesimo avverte l'inquisitore al
suo processo, presto egli sarà vendicato quando il «figlio
dell'uomo»· tornerà con le nuvole del cielo (dr. Mc 14,62);
qui Marco fa richiamare a Gesù una delle visioni del pro­
feta Daniele, in cui «uno simile a un figlio d'uomo» (cioè
un essere umano) viene «con le nuvole del cielo» ed è il
sovrano del regno di Dio (Dan 7,13-14). Molti contempo­
ranei di Marco avranno letto la profezia di Daniele come
l'annuncio della venuta di un conquistatore che avrebbe
sconfitto i dominatori stranieri di Israele.
Nonostante a prima vista possa sembrarlo, il Vangelo
di Marco non è una semplice biografia storica, poiché egli,
diversamente da Flavio Giuseppe, non ha, nello scrivere,
il fine primario di convincere la gente della veridicità del
proprio resoconto sui recenti avvenimenti e di renderli
comprensibili a un livello umano. Marco vuole invece
mostrare il significato di questi eventi per il futuro del
mondo o, in termini scolastici, il loro senso escatologico.
Lui e i suoi colleghi uniscono lo schema biografico ai temi
del conflitto soprannaturale tratti dalla letteratura apoca­
littica ebraica per dare origine a un nuovo genere lettera­
rio. Questi Vangeli comunicano la profonda convinzione
ll Vangelo di Marco e la guem. giudaica 25

dei loro autori che l'esecuzione di Gesù, che era sembrata


simboleggiare il trionfo delle forze del male, in realtà an­
nuncia la loro distruzione finale e conferma la vittoria de­
finitiva di Dio.21
Molti cristiani, poco propensi a credere alle forze oscu­
re, hanno preferito ignorare la presenza di angeli e demo­
ni nei Vangeli. Marco invece la utilizza per impostare l'an­
goscioso interrogativo che i fatti dei precedenti decenni
hanno sollevato: come ha potuto Dio permettere tanta
morte e tanta distruzione? Per l'evangelista e i suoi com­
pagni la questione della giustizia divina comprende, do­
po tutto, quella della violenza umana. Gli autori dei Van­
geli vogliono individuare e identificare i modi specifici in
cui le forze del male agiscono tramite determinate persone
per provocare violente stragi, soprattutto, con le parole di
Matteo, «il sangue innocente versato sopra la terra, dal
sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio
di Barachia» (Mt 23,35), violenze simboleggiate dalla con­
danna a morte di Gesù, che Matteo vede come il culmine
di tutti i mali. Il tema della guerra cosmica serve anzitutto
a interpretare i rapporti umani - in maniera particolare il
conflitto esclusivamente umano - in chiave soprannatura­
le. La figura di Satana diventa, fra le altre cose, un modo
per caratterizzare i propri nemici reali come personifica­
zione di forze trascendenti. Per molti lettori dei Vangeli,
già dal I secolo, il motivo dell'opposizione tra lo Spirito di
Dio e Satana ha permesso di difendere i seguaci di Gesù e
di demonizzare i loro nemici.
Ma come viene visto il nemico nella figura di Satana?
Che cos'è Satana e come compare sulla terra? I Vangeli
del Nuovo Testamento non lo identificano quasi mai con
i romani, ma lo associano regolarmente ai nemici ebrei di
Gesù, da Giuda Iscariota ai più importanti sacerdoti e
scribi. Collocando la storia di Cristo nel contesto della
guerra cosmica, gli autori dei Vangeli esprimono, in ma­
niere diverse, la loro identificazione con una minoranza
schierata di ebrei che credevano in Gesù, preoccupati per
26 Satana e i suoi angeli

quello che essi interpretavano come il tradimento della


maggioranza dei loro correligionari, sia ali' epoca di Cri­
sto sia nella loro. Come vedremo, i seguaci di Gesù non
inventarono la pratica di demonizzare i nemici nell'ambito
del proprio gruppo, benché con il tempo (come, più tardi,
i mussulmani) abbiano portato quest'uso oltre quello che
i loro predecessori ebrei avevano fatto, e con notevoli
conseguenze.
Ma chi erano in realtà i nemici di Gesù? Le notizie stori­
che a nostra disposizione indicano che erano il governato­
re romano e i suoi soldati; l'accusa mossa a Cristo e la sua
esecuzione furono tipicamente romane. Le autorità impe­
riali, sempre guardinghe verso qualsiasi accenno di sedi­
zione, non avevano riguardi nel soffocarlo. La storica
Mary Smallwood nota che attirare in un unico luogo e uc­
cidere i sovversivi, specialmente quelli che provocavano
pubbliche dimostrazioni, era una misura di routine delle
forze romane di stanza in Giudea.22 Nel corso del I secolo
i romani arrestarono e crocifissero migliaia di ebrei accu­
sati di sedizione, spesso, afferma Filone, senza processo.
Tuttavia, come mostrano i Vangeli, Gesù aveva nemici an­
che tra gli ebrei, soprattutto tra i sacerdoti di Gerusalem­
me e i loro influenti sostenitori che si sentivano minacciati
dalle sue attività.
Il nodo fondamentale è: se i seg u a c i di Gesù si fossero
identificati con la maggioranza degli ebrei, anziché con una ri­
stretta minoranza, avrebbero potuto raccontare la storia di Cri­
sto in un modo molto diverso e con una credibilità storica consi­
derevolmente più alta . Avrebbero potuto raccontarla, per
esempio, in tradizionale stile patriottico, come la vicenda
di un santo ebreo ispirato, martirizz ato dai tradizionali
nemici di Israele, oppressori stranieri di un tipo o di un al­
tro: nel libro biblico di Daniele, per esempio, si riferisce la
storia dell'omonimo profeta il quale, benché minacciato
di una morte orribile - essere sbranato dai leoni -, sfida il
re di Babilonia nel nome di Dio e del popolo di Israele
(Da n 6,1-28); analogamente il primo libro dei Maccabei
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaiai 'Z7

narra la storia del sacerdote Mattatia che sfida i soldati si­


riani quando questi gli ordinano di venerare degli idoli
(Mattatia preferisce morire piuttosto che venire meno alla
sua devozione a Dio).23
Ma, diversamente dagli autori di Daniele e del primo li­
bro dei Maccabei, quelli dei Vangeli scelgono di dissociarsi
dalla maggioranza ebraica, e di concentrarsi sui conflitti
tra ebrei, soprattutto sui contrasti che loro stessi avevano
con coloro che negavano che Gesù fosse il Messia. Nei
Vangeli, come vedremo, la figura di Satana è d ire tta a
esprimere la grave ostilità delle «nazioni» - ha goyim in
ebraico - verso i membri del movimento ispirato a Gesù.
Le d ifferenze tra i singoli Vangeli nel delineare l'opposi­
zione demoniaca - cioè di quelli che vengono percepiti co­
me nemici - sono il segno, io credo, di una varietà di rap­
porti, spesso profondamente ambivalenti, tra i diversi
gruppi di seguaci di Gesù e le particolari comunità ebrai­
che che ogni autore reputa le sue principali nemiche. Non
voglio dare un'interpretazione semplicistica. Tuttavia si
può probabilmente dire che, in ogni caso, la scelta di col­
locare la storia di Gesù nel contesto della lotta di Dio con­
tro Satana tende a sminuire il ruolo dei romani e ad accre­
scere invece le accuse contro i nemici ebrei di Gesù.
Ciò non significa che gli autori dei Vangeli intendessero
scagionare i romani. Marco certamente sapeva che nel suo
tempo, e per una trentina d'anni dopo la guerra, le milizie
imperiali sorvegliarono che non insorgessero nuove ribel­
lioni. Siccome chi apparteneva a un gruppo fedele a un
sovversivo condannato era comunque in una situazione a
rischio, egli probabilmente sperava di convincere le per­
sone esterne al movimento, che avrebbero letto il suo re­
soconto, che né Gesù né i suoi seguaci costitu iva no una
minaccia per l'ordine romano. Tuttavia nel suo Vangelo, i
romani, persino quelli ritratti con una certa simpatia, ri­
mangono sostanzialmente estranei. Marco inserisce la sto­
ria di Gesù nel contesto che più gli sta a cuore: nella co­
munità ebraica. E qui, come nella ma ggiora nza delle
28 Satana e i suoi angeli

situazioni umane, il conflitto, in quanto intestino, diventa


più intenso e aspro.
Marco apre la sua narrazione con la descrizione di
Gesù che viene battezzato da Giovanni e riferisce che, du­
rante il sacramento, lo Spirito di Dio discese su Gesù, e
«si sentì una voce dal cielo: ''Tu sei il Figlio mio predilet­
to"» (Mc 1,11). Da quel punto in poi, tutti gli esseri umani
scompaiono dal racconto di Marco e, come abbiamo
visto, lo Spirito di Dio conduce Gesù nel deserto perché
incontri Satana, fiere e angeli. Riportando l'episodio,
come osserva James Robinson, l'evangelista non mette da
parte gli avvenimenti nel mondo umano, storico, ma di­
mostra di volerli ricollegare alla lotta tra il bene e il male
nell'universo.24 Il resoconto di Marco, poi, passa diretta­
mente dalla lotta solitaria di Gesù contro Satana nel de­
serto alla sua prima apparizione pubblica nella sinagoga
di Cafamao, dove, «entrato proprio di sabato nella sina­
goga, Gesù si mise a insegnare. Ed erano stupiti del suo
insegnamento, perché insegnava come uno che ha auto­
rità e non come gli scribi» (Mc 1,21-22). Qui Cristo incon­
tra un uomo posseduto da uno spirito maligno che, av­
vertendo il suo potere divino, lo sfida: «Che c'entri con
noi, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci?» (Mc 1 ,24).
Secondo Marco, Cristo è venuto per salvare il mondo e
recuperarlo a Dio; a tale fine, egli deve sconfiggere le
forze del male che hanno usurpato il dominio su di esso,
e che ora opprimono gli esseri umani. Di conseguenza,
afferma l'evangelista,
Gesù Io sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo!». E Io spirito immon­
do, straziandolo e gri dando forte, usci da lui. Tutti furono presi da
timore tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una
dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiri­
ti immondi e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse dovunque
nei dintorni della Galilea (Mc 1,25-28).

Anche in questo primo episodio, la gente stupita capi­


sce che Gesù ha un'autorità particolare, una specie di ac­
cesso diretto al potere di Dio. La superiorità di Cristo si
fl Vangelo di Marco e la guerra giudaica 29

esprime soprattutto negli atti, dato che Marco, qui, non ri­
corda il suo insegnamento. Analogamente, nella prima
pubblica sfida alle forze del male, l'evangelista mostra co­
me il potere di Gesù lo metta in contrasto - e presto in
aperto conflitto - con gli scribi, di solito rispettati come
autorità religiose. Il fine di Marco è dimostrare che, come
egli stesso dice, Cristo «insegnava come uno che ha auto­
rità e non come gli scribi» (Mc 1 ,22).
Per tutto questo capitolo iniziale, Marco sottolinea che
Gesù guarl «molti che erano afflitti da varie malattie» e
«scacciò molti demoni» (Mc 1,34). Viaggiò per tutta la Ga­
lilea «predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i de­
moni» (Mc 1 ,39), perché, come spiega a Simone, Andrea,
Giacomo e Giovanni, che si erano riuniti attorno a lui,
«per questo infatti io sono venuto» (Mc 1,38).
Durante la sua successiva apparizione pubblica, rac­
conta Marco, gli scribi subito si adirarono per quella che
consideravano un'usurpazione della d ivina autorità. In
questo episodio Gesù parla a una folla così accalcata che
quando arrivarono quattro uomini che accompagnavano
unparalitico

... non potendo però portarglielo innanzi a causa della folla, sco­
perchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, dopo aver fatta
un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. E Ge­
sù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i
tuoi peccati» (Mc 2,4-5).

Per il fatto stesso di perdonare, Gesù reclama il diritto


di parlare a nome di Dio, pretesa che, afferma l'evangeli­
sta, manda in collera gli scribi: «Perché costui parla così?
Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?»
(Mc 2,7).
Secondo Marco, dopo aver assistito alla reazione degli
scribi, Cristo compie una guarigione per provare la propria
autorità ai suoi detrattori:

Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che cosl pen­
savano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? ...
30 Satana e i suoi angeli

Ora, perché sappiate che U Figlio dell'uamo ha il potere sulla terra di ri­
mettere i peccati, io ti ordino» disse al paralitico «alzati, prendi il tuo
lettuccio e va' a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne
andò in presenza di tutti e tutti si meravigliavano e lodavano Dio
dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,8-12; cor­
sivi miei).

Quando Gesù comparve per la prima volta, procla­


mando: «Pentiti: il regno di Dio è qui», a molti suoi con­
temporanei sembrò forse un esseno, un membro della
setta che si ritirava nel deserto per protestare contro le
consuetudini di vita degli altri ebrei. Dalle grotte in cui
abitavano in isolamento monastico, gli esseni denuncia­
vano tutti coloro che erano legati alle aristocratiche auto­
rità sacerdotali in carica al Tempio di Gerusalemme - uo­
mini come Flavio Giuseppe e come quelli che egli ammi­
rava - perché, essendosi abituati ai modi dei gentili e col­
laborando con i conquistatori romani, erano ormai irri­
mediabilmente corrotti. Gli esseni predicavano il penti­
mento e l'arrivo del giudizio di Dio, nella convinzione
che gli ebrei dovessero purificarsi da simili influenze im­
monde e volgersi nuovamente alla stretta osservanza
della legge divina, soprattutto delle norme relative al sa­
bato e all'alimentazione kasher che li distinguevano dai
gentili come popolo sacro a Dio.25
Tuttavia, se Gesù sembrava un esseno, il suo comporta­
mento violava i criteri di purezza che questa setta consi­
derava sacri. Oltre a non tenersi a distanza dalle persone
che si insozzavano «camminando nelle stesse strade dei
gentili» (Libro dei Giubilei, 1,9), Cristo scelse come suo di­
scepolo un pubblicano, una categoria che altri ebrei dete­
sta vano perché aveva convenienza a collaborare con gli
odiati romani. Anzi, afferma Marco, «erano molti [i pub­
blicani] che lo seguivano» (Mc 2, 1 5). Inoltre, invece di di­
giunare come gli altri ebrei devoti, Gesù mangiava e beve­
va liberamente. E, anziché attenersi scrupolosamente alle
leggi del sabato, perdonava i suoi discepoli quando le vio­
lavano:
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaica 31

In un giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i di­


'K:ep<>li, camminando, cominciarono a strappare le spighe. I farisei
gli dissero: «Vedi, perché fanno quel che di sabato non è permes­
so?». Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davi­
de, quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compa­
gni? Come entrò nella casa di Dio . e mangiò i pani dell'offerta ... e
..

ne diede anche ai suoi compagni?» (Mc 2,23-26).

Qui Gesù osa appellarsi, come precedente per l'atto ap­


parentemente casuale dei suoi discepoli, al fatto che il re
Davide stesso poté compierlo, venendo meno, con i suoi
uomini, alle leggi sacre sul cibo per un'emergenza in tem­
po di guerra!
Rifacendosi ad autorità divine e regali per giustificare
la sua mancata osservanza delle leggi della purezza, Ge­
sù, all'inizio della attività pubblica, offende pressoché tut­
te le comunità a lui contemporanee, dai discepoli di Gio­
vanni Battista agli scribi, ai farisei.
La volta successiva che entrò in una sinagoga di sabato,
racconta Marco,

...c'era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano


per vedere se lo guariva in un giorno di sabato, per poi accusarlo.
Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mez­
zo!». Poi domandò loro: «È lecito in un giorno di sabato fare il bene
o fare il male, salvare una vita o toglierla?». Ma essi tacevano. E
guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durez­
za dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e
la sua mano fu risanata (Mc 3,1-5).

Invece di rimandare la guarigione di un giorno, Gesù


aveva scelto deliberatamente di sfidare i suoi oppositori
compiendola di sabato. Vedendo ciò, l'evangelista dice: «I
farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio
contro di lui per farlo morire» (Mc 3,6).
Per Marco il significato riposto di questo scontro è chia­
ro. Coloro che si sentono offesi e oltraggiati dagli atti di
Gesù non sanno che egli è spinto dallo Spirito di Dio a lot­
tare contro le forze del male, in qualunque forma esse si
manifestino, sia nelle invisibili presenze demoniache che
32 Satana e i suoi angeli

corrompono e possiedono le persone, sia nei suoi reali ne­


mici in carne e ossa. Quando farisei ed erodiani cospirano
per ucciderlo, loro stessi, induce a pensare l'evangelista,
operano come agenti del male. In base a questa versione
delle vicende, non appena Gesù ingaggia battaglia contro
il potere di Satana, i suoi oppositori tengono «consiglio
contro di lui per farlo morire» (Mc 3,6).
Secondo Marco, Gesù medesimo si rende conto che le
autorità sue nemiche ricevono energia da forze nascoste.
Di conseguenza, subito dopo che si è formata questa po­
tente alleanza contro di lui, istituisce un nuovo gruppo
«dirigente», «i dodici», presumibilmente assegnando un
capo a ciascuna delle dodici tribù originarie di Israele.
Egli ordina loro di predicare e dà loro «il potere di scaccia­
re i demoni» (Mc 3,15).
Questo crescendo di conflitto spirituale scatena subito
un crescendo di opposizione; opposizione che comincia a
casa, nell'ambito della famiglia stessa di Cristo. Infatti,
Marco racconta, quando Gesù «entrò in una casa . i suoi ..

... uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: "È


fuori di sé [o: è folle]"» (Mc 3,20-21).26 Poi, «gli scribi, che
erano discesi da Gerusalemme» affermano che Gesù stes­
so «è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mez­
zo del principe dei demoni» (Mc 3,22). Gesù ribatte:
Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se
stesso, quel regno non può reggersi. Alla stessa maniera, se una ca­
sa è divic;a in parti contrarie, quella casa non potrà reggere. E se Sa­
tana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta
per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire
le sue cose, se prima non avrà legato quell'uomo forte; allora ne
saccheggerà la casa (Mc 3,23-27).

Secondo Marco è evidentemente la «casa di Israele» che


Gesù vede come una casa divisa, un regno diviso. Egli
combatte a viso aperto contro Satana, a suo avviso usur­
patore della dimora di Dio, che lui è venuto per purificare
e per rivendicare: Cristo vuole «legare questo nemico» e
«saccheggiare la sua casa».
Il Va11gelo di Marco e la guerra giudaica 33

Contro gli scribi che gli avevano imputato di essere


posseduto dal «principe dei demoni», Gesù scaglia la me­
desima accusa, e li avverte che, con le loro parole, hanno
peccato cosi gravemente da sancire la propria dannazione
(cfr. Mc 3,28-30). Infatti, egli afferma, chiunque attribuisce
l'opera dello Spirito di Dio a Satana commette un imper­
donabile peccato:

«In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli


uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà be­
stemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà
reo di colpa eterna. » Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito
immondo» (Mc 3,28-30).

Marco colloca deliberatamente queste scene del conflit­


to con gli scribi tra i due episodi in cui viene descritto lo
scontro di Gesù con la sua famiglia. Infatti, subito dopo,
nel testo greco dell'evangelista si legge che i membri della
famiglia, che prima lo avevano dichiarato folle e avevano
tentato di prenderlo e portarlo con sé (cfr. Mc 3,21), ora si
recano in una casa dove egli ha radunato una grande folla
e chiedono di vederlo. Ma Gesù li respinge:

Giunsero sua mad re e i suoi fratelli e stando fuori, lo mandarono


a chiamare. Tutto attorno è SE..>duta la folla, e gli dissero: «Ecco tua
madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano» .. . Gi­
rando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse:
«Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, co­
stui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,31 -35).

Avendo costituito una nuova famiglia e indicato dodici


nuovi capi di Israele che sostituissero i precedenti, Gesù
ha, sostiene Marco, «ri-formato il popolo di Dio». Da que­
sto momento in poi egli distingue nettamente tra quelli
che ha scelto, il circolo ristretto, e «coloro che ne sono fuo­
ri». Cristo attira ancora grandi folle ma, nel rivolgersi a es­
se, presenta parabole enigmatiche, tenendo volutamente
nascosto il loro profondo significato a tutti tranne che ai
suoi intimi:
34 Satana e i suoi angeli

Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunl attorno a


lui una folla enorme . . . Insegnava loro molte cose in parabole . . .
Quando poi fu solo, quelli che erano intorno a lui, insieme ai Dodi­
ci lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: «A voi è stato
confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto
viene esposto in forma di parabole, perché:
guardino, ma non vedano,
ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato» (Mc 4,1 -2 e 10-12).

Sebbene critichi spesso i suoi discepoli - al versetto 8,33


addirittura accusa Pietro di impersonare Satana -, Gesù
condivide con loro i segreti che non svela invece a quelli
che non appartengono alla sua cerchia che, dice, citando
Isaia, soffrono di un'assoluta cecità spirituale.27
Contestato dai farisei e dagli scribi di Gerusalemme
perché non vive «secondo le tradizioni degli antenati» -
dato che, come i suoi discepoli, mangia senza essersi lava­
to le mani -, Gesù, anziché giustificare il proprio compor­
tamento, attacca i suoi oppositori come «ipocriti» e li ac­
cusa di dare importanza alle tradizioni e, al medesimo
tempo, di violare i comandamenti di Dio. In seguito, met­
te pubblicamente in discussione le stesse leggi kasher per
poi spiegare il significato di tale messaggio, ancora una
volta, soltanto ai discepoli:
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e in­
tendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui,
possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a
contaminarlo». Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i di­
scepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. Ed egli
disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite come
tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo,
perché non gli entra nel cuore ma nel ventre, e va a finire nella fo­
gna? ... Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di
dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cat­
tive: fornicazioni, furti, omicidi ... invidia, superbia, stoltezza ...
Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro» (Mc 7,14-23).

Qui Marco vuole mostrare che Gesù, sebbene non ri­


spetti le tradizionali leggi kasher («della purezza»), invoca
Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica 35

però la purificazione del «cuore», cioè dagli istinti, dalle


bramosie e dai fantasmi dell'immaginazione.
Dopo essersi alienato non solamente gli scribi, i farisei
e gli erodiani, ma anche i parenti e molti concittadini, Cri­
sto viaggia con il suo piccolo gruppo di discepoli e predi­
ca alle folle. Malgrado preveda ciò che lo aspetta a Geru­
salemme, dove sfiderà in casa il partito sacerdotale,
ugualmente vi conduce risoluto i propri seguaci, cammi­
nando davanti a loro, che «erano stupiti; coloro che veni­
vano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Strada fa­
cendo Gesù indica ai dodici con esattezza chi dovranno
incolpare della sua morte imminente: «i sommi sacerdoti
e gli scribi . . . condanneranno [il Figlio dell'uomo] a
morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli
sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno»
(cfr. Mc 1 0,33-34).
L'ostilità a Gesù si acuisce dopo il suo arrivo a Gerusa­
lemme. Poiché organizza una vera e propria processione
per fare ingresso in città, viene apertamente acclamato, a
dispetto dei romani, come l'uomo che viene a restaurare
l'antico impero di Israele: «Benedetto è il regno di nostro
padre David che verrà!». Poi, con i suoi seguaci, entra nel
Tempio grande e vi fa una sconvolgente dimostrazione
pubblica: « . entrato nel Tempio, si mise a scacciare quelli
..

che vendevano e compravano nel Tempio; rovesciò i tavo­


li dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e
non permetteva che si portassero cose attraverso il Tem­
pio» (Mc 11,15-16). Subito dopo fa ricorso alle parole dei
profeti Isaia e Geremia per dimostrare che parla a nome di
Dio stesso contro coloro che consentono che avvengano
transazioni finanziarie nella zona sacra:
Ed insegnava loro dicendo: «Non sta scritto:
La mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutte le genti?
Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri».
L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di
farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era
ammira to dal suo insegnamento (Mc 11,17- 1 8).
36 Satana e i suoi angeli

Quando i sommi sacerdoti e gli scribi, insieme ad alcuni


membri del consiglio giudaico, chiedono di sapere in base
a quale autorità egli agisca, Gesù si rifiuta di rispondere.
Ripete invece la parabola di Isaia dell'ira di Dio contro
Israele (dr. Mc 12,1-2) in maniera così chiara che perfino i
sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani capiscono che la
sta esponendo «contro di loro» (Mc 12,12). Le scene se­
guenti mostrano Cristo mentre si scontra prima con i fari­
sei e gli erodiani, che tentano invano di fargli fare delle af­
fermazioni contro i romani (dr. Mc 12,13-17), e in seguito
con gli scribi (Mc 1 2,28-34). Infine egli ammonisce una
gran folla:
Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lu nghe vesti,
ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe, e i
primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostenta ­

no di fare lu nghe preghiere; essi riceveranno una condanna più


grave (Mc 12,38-40).

Poi, come esce dal Tempio, afferma Marco, risponde


all'osservazione di un discepolo, ammirato da quanto ha
visto, predicendo la distruzione dell'edificio sacro: «Non
rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta» (Mc
13,2). Quando Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, in se­
parata sede, gli domandano che cosa intenda con quelle
parole, Gesù si siede con loro sul monte degli olivi di
fronte al Tempio e lo spiega. Egli prevede una serie di ter­
ribili sciagure (in questi avvenimenti i contemporanei di
Marco avranno riconosciuto i loro tempi, specialmente il
periodo della guerra, tra il 66 e il 70): «guerra e voci di
guerra», carestie, pubblico entusiasmo per falsi messia.
Cristo li avverte in forma velata che quando vedranno
«1' abominio della desolazione là dove non conviene» - la
profanazione del Tempio da parte dei pagani -, dovranno
fuggire nelle montagne (dr. Mc 13,7-14).
L'intento di Marco è confortare i seguaci di Gesù, che
vivono in tempi terribili, mostrando loro che lo stesso
Messia aveva previsto che avrebbero subito, a causa della
Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica 37

fedeltà a lui («a causa mia»), ostracismo e rappresaglie,


odio e tradimenti, addirittura - e forse soprattutto - dai
loro familiari:
Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete
percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a
causa mia ... il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il fi­
glio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte.
Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome (Mc 1 3,9 e 1 2-1 3).

Che cosa deve fare il credente di fronte al tradimento,


all'isolamento e al pericolo di morte? Marco afferma che
Gesù ingiungeva ai suoi seguaci di «resistere sino alla fi­
ne» . Di conseguenza, egli deve raccontare come Cristo
stesso «resistette sino alla fine», attraverso l'arresto, i pro­
cessi nel tribunale ebraico e in quello romano, la tortura e
l'esecuzione, offrendo cosi ai suoi seguaci esposti al peri­
colo un esempio di come resistere. Due giorni prima della
Pasqua ebraica, narra l'evangelista, dal momento che la
gente era dalla parte di Gesù, «i sommi sacerdoti e gli scri­
bi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno
per ucciderlo. Dicevano infatti: "Non durante la festa,
perché non succeda un tumulto di popolo".» (Mc 14,1-2).
Poco più tardi, Giuda Iscariota, che naturalmente era a co­
noscenza dell'ostilità di cui era diventato vittima il suo
maestro tra i personaggi influenti, «si recò dai sommi sa­
cerdoti, per consegnare loro Gesù. Quelli all'udirlo si ral­
legrarono e promisero di dargli denaro» (Mc 14,10-11).
Di notte, afferma Marco, Giuda guidò «una folla con
spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi
e dagli anziani» (Mc 14,43) al Getsemani, un giardino sul
monte degli olivi, per andare a catturare Gesù. Un fedele
di Cristo, sguainata la spada, colpì il servo del sommo sa­
cerdote; e Gesù protestò perché veniva trattato «come un
brigante» (lo stesso termine che Flavio Giuseppe e altri
usano abitualmente per indicare gli insorti). Tutti gli altri
seguaci di Gesù, invece, lo abbandonarono e fuggirono: il
Messia fu catturato. Gli uomini armati «condussero Gesù
38 Satana e i suoi angeli

dal sommo sacerdote». Benché il Sinedrio per tradizione


non potesse radunarsi dopo il tramonto, Marco ci raccon­
ta che la notte dell'arresto di Cristo, «si riunirono tutti i
capi dei sacerdoti, gli anzia n i e gl i scribi» (Mc 14,53)
nell'abitazione del sommo sacerdote per sottoporre il caso
a un regolare processo.
Ora Marco presenta la prima delle due scene di tribuna­
le: il «processo davanti al Sinedrio», cui egli fa seguire il
«processo davanti a Pilato». Anche se questi avvenimenti
effettivamente si verificarono, la maggior parte degli stu­
diosi dà per certo che i seguaci di Gesù non possono aver
testimoniato a quello che accadde sia alla sua comparsa
davanti al consiglio ebraico sia alla chiamata in giud iz io
da parte dei romani.28 Marco, tuttavia, non è molto inte­
ressato al resoconto storico. Introducendo tali scene, egli
vuole mostrare soprattutto che la ben nota accusa contro
Cristo - quella di sedizione - non soltanto era infondata,
ma era sta ta provocata dai nemici ebrei di Gesù; inoltre, il
governatore romano stesso lo capì e tentò invano di salva­
re Cristo! Secondo Marco, però, il Sinedrio aveva già deci­
so a priori la sentenza: il processo fu solamente una farsa
per poi «metterlo a morte » (Mc 14,55). Dopo aver ascolta­
to una serie di accuse pretestuose e di testimoni mendaci
- alcuni dei quali sostenevano che avesse minacciato di
distruggere il Tempio -, il sommo sacerdote lo interroga
chiedendogli di rispondere alle imputazioni avanzate
contro di lui. Cristo, però, rimane in silenzio. Infine il
sommo sacerdote gli domanda: «Sei tu Cristo, il Figlio di
Dio benedetto?» (Mc 14,61). Qui, per la prim a volta nel
Vangelo di Marco, Gesù ammette la sua identità divina ad
altri, oltre che ai discepoli, e continua avvertendo i suoi
accusatori che presto assisteranno alla vendetta: «lo lo so­
no. E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Poten­
za e venire con le nubi del cielo» (Mc 14,62). Poi, prosegue
l'evangelista, il sommo sacerdote, strappandosi le vesti,
afferma: «"Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?"
Tutti sentenziarono che era reo di morte» (Mc 14,64).
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaica 39

Secondo molti studiosi questo resoconto non è storica­


mente plausibile.29 Il Sinedrio celebrò forse un processo
contravvenendo alla sua prassi legale sull'esame delle te­
stimonianze, sulle autoaccuse, sulla condotta in aula e
sull'emissione della sentenza? Per quanto poco sappiamo
sulle procedure del Sinedrio al tempo di Gesù,JO possiamo
davvero affermare che tale consiglio si riunl di notte, con­
trariamente a quelli che sembrano essere i suoi preceden­
ti? Se così fu, perché Marco aggiunge in seguito una secon­
da versione della seduta del consiglio per discutere il caso,
una seduta che ha luogo la mattina successiva, come se
nulla fosse accaduto la notte antecedente? Al termine del
primo resoconto più elaborato, egli introduce inoltre quel­
la che a quel punto diventa una ridondanza: «Al mattino
...i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi, dopo aver
tenuto consiglio, misero in catene e legarono Gesù, lo con­
dussero e lo consegnarono a Pilato» (Mc 15,1 ).
Ovviamente, noi non possiamo sapere che cosa avvenne
in realtà, ma la seconda versione di Marco, che è coerente
con quella di Luca, cioè che il consiglio si riunl al mattino
-

e decise che il prigioniero doveva essere tenuto sotto il con­


trollo delle guardie e affidato a Pilato perché ne affrontasse
le accuse - sembra più probabile.31 Il Vangelo di Giovanni,
che fa riferimento a una fonte indipendente da Marco, pre­
senta un'altra ricostruzione che permette un'interpretazio­
ne verosimile di questi avvenimenti.32 Secondo Giovanni, i
sommi sacerdoti, preoccupati dalla capacità di Gesù di at­
tirare folle, temevano che la sua presenza a Gerusalemme
durante la Pasqua ebraica potesse scatenare pubbliche di­
mostrazioni, e che «verranno i romani e distruggeranno il
nostro luogo santo e la nostra nazione» (Gv 11 ,48). Come
Giovanni e i suoi contemporanei sapevano bene, durante il
periodo di forti tensioni cui aveva fatto seguito la guerra
giudaica, in situazioni simili si era più volte dimostrata
fondata la preoccupazione per possibili rappresaglie ro­
mane.
Molti esegeti del Nuovo Testamento che hanno esami-
40 Satana e i suoi angeli

nato il brano in cui Gesù compare davanti al Sinedrio con­


cordano che Marco (o i suoi predecessori) probabilmente
scrisse la prima versione per enfatizzare il punto a suo av­
viso fondamentale; ossia che Pilato si limitò a ratificare un
p receden te verdetto ebraico, ed emise una sentenza di
morte che lui stesso non ordinò né approvò, ma che veni­
va pronunciata unanimemente dall in tera dirigenza giu­
'

daica.33
Questo non significa comunque, che Marco sia motiva­
,

to da astio verso le autorità giud aiche. Benché la tendenza


ad accusare i capi ebraici si fosse già profilata prima della
sua epoca e avesse influito sulla sua narrazione, egli in
realtà si ferma molto prima rispetto a Matteo, Luca e Gio­
vanni, che li incolperanno della crocifissione. Nondime­
no, Marco e i cristiani suoi seguaci come discepoli di un
,

cri mi n a le condannato, s apeva n o che un simile legame


avrebbe potuto suscitare sospetto e invita re alla rappresa­
glia. I magistrati romani aveva no già arrestato e mandato
a morte svariati membri di spicco del movimento, com­
presi Pietro e Paolo. Non bisogna meravigliarsi dunque, ,

che, come asserisce uno storico, Marco volesse


enfatizzare la colpevolezza della nazione ebraica per Ja morte di
Gesù, soprattutto dei suoi capi ... Ja tendenza Idi Marco] era di dife­
sa piuttosto che di attacco. Egli si preoccupava di evitare di fare
cenno a qualsiasi cosa avrebbe provocato J' opposizione, o anche il
sospetto, dei romani verso gli ideali che egli rappresentava ...
L'evangelista perciò riuscì a tenere segreto che Gesù era stato con�
dannato e ucciso sotto l'accusa di sedizione.34

Da que sto resoconto emerge anche un importan te in­


tento di Marco in positivo. E gli utilizza il «processo da­
vanti al Sinedrio» per rispecchia re il precario rapporto che
dallo scoppio della guerra lui e i suoi compag ni di fede
hanno con i capi delle comunità ebraiche.35 Nel brano in
cui spicca il coraggio di Gesù davanti ai giu dici, Marco of­
fre ai seguaci di Cristo un modello da imitare quand o an­
che loro saranno messi sotto processo.
In questo passo Marco inserisce una storia di contrap-
Il Vangelo di Marco e la guerra giudaica 41

punto: la vicenda del più importante discepolo di Gesù,


Pietro, che, nel terrore, lo rinnegò, un esempio di come
non agire quando si è sotto processo. Infatti, mentre Cristo
si oppone al Sinedrio e confessa la sua missione divina, ri­
schiando audacemente e accettando - la sentenza di
-

morte, Pietro afferma di non averlo mai conosciuto. Dopo


aver seguito di nascosto Gesù fino alla scena del processo,
riferisce Marco, Pietro se ne stava a riscaldarsi le mani da­
vanti al fuoco quando una domestica gli disse: «Anche tu
eri con il Nazareno, con Gesù» (Mc 14,67). Ma Pietro lo ne­
ga - «non capisco quello che vuoi dire . . . Non conosco
quell'uomo» (Mc 14,68 e 71 ) - tre volte con sempre mag­
gior veemenza, imprecando e giurando, e alla fine fugge.
Ma quando capisce che cosa ha fa tto, Pietro «scoppiò in
pianto» (Mc 14,72).
Marco sa che coloro che pubblicamente confessano la
loro convinzione che Gesù sia «il Cristo, il Figlio di Dio
benedetto» (Mc 14,61) possono rischiare di essere insulta­
ti, messi in ridicolo, persino uccisi. I termini «Messia» e
«Figlio di Dio» saranno stati probabilmente anacronistici
al tempo di Gesù; ma molti contemporanei d i Marco de­
vono averli associati al modo in cui i cristiani del loro
tempo professavano la fede. In questa scena drammatica,
poi, Marco sottopone di nuovo l'uditorio all'interrogativo
che pervade tutta la sua narrazione: chi riconosce lo spiri­
to che è in Gesù come divino, e chi non lo riconosce? Chi
sta dalla parte di Dio, e chi da quella di Satana? Contrap­
ponendo la coraggiosa confessione di Gesù al tradimento
di Pietro, egli fa rilevare la drammaticità della scelta che i
seguaci di Gesù si trovano a compiere : essi devono schie­
rarsi in una guerra in cui non è ammessa la neutralità.
Dopo aver tentato di mostrare che l'intera storia d i Cri­
sto era essenzialmente un conflitto intestino tra ebrei che
sfuggì di mano, Marco presenta ora la sua versione del
«processo a Gesù davanti a Pilato» . Molti studiosi sosten­
gono che tutto quello che egli effettivamente sapeva era
che Gesù era stato crocifisso come sedicente «re dei giu -
42 Sata111l e i suoi angeli

dei» mentre Pilato era governatore della Giudea. Presa


nota di questo dato indiscutibile, Marco tenta però di smi­
nuirne l'importanza.
Vediamo dunque come l'evangelista espone i fatti. Pila­
to, appreso che il prigioniero era accusato di insurrezione
per motivi politici, prova a interrogarlo. «Non rispondi
nulla? Vedi di quante cose ti accusano!» (Mc 15,4). Marco
riferisce che quando Gesù si rifiutò di rispondere alle do­
mande, Pilato, anziché dimostrare collera o anche impa­
zienza, «restò meravigliato» (Mc 15,5). Poi l'evangelista
va oltre: pretendendo di conoscere il personale giudizio
del governatore sul caso, afferma che Pilato «sapeva che
glielo avevano consegnato per invidia» (Mc 15,10). Ma,
anziché decidere o dare ordini, il governatore non prende
alcuna iniziativa. Poi, sentendo le grida della folla riunita
fuori, esce per parlare e domanda che cosa voglia: «Volete
che vi rilasci il re dei giudei?» (Mc 15,9). Ma la gente chie­
de invece la liberazione di Barabba che Marco descrive
come uno degli insorti imprigionati, che «nel tumulto
avevano commesso un omicidio» (Mc 15,7). Pilato sembra
incerto, preferirebbe negarlo, ma andare contro le richie­
ste della folla lo spaventa. Come disperato, nuovamente
domanda alla gente che cosa deve fare: «Che farò dunque
dell'uomo che chiamate il re dei giudei?» (Mc 15,12).
Quando la folla invoca a gran voce la crocifissione di Ge­
sù, Pilato in verità implora giustizia ai suoi sudditi: «Che
male ha fatto?» (Mc 15,14). Ma le grida continuano, ed
egli, «volendo dar soddisfazione alla moltitudine» (Mc
15,15), rilascia Barabba e, dopo aver ordinato di flagellare
Gesù, acconsente alla loro richiesta di crocifissione. Tutta­
via, per Marco, il governatore non pronuncia mai la sen­
tenza e in realtà non ordina mai l'esecuzione: secondo ta­
le versione, anche nella sua stanza ci sono i sommi
sacerdoti; sono loro che muovono accuse e sono loro che
aizzano la folla la cui veemenza lo costringe, pur riluttan­
te, a far giustiziare Gesù.
Il Pilato che traspare dai Vangeli, come abbiamo osser-
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaica 43

vato, è molto differente da quello storico, ossia dall'uomo


che conosciamo da altre fonti cronachistiche e politiche
del I secolo, ebraiche e romane, come un crudele gover­
natore. Tranne che nella tradizione cristiana, nota Ray­
mond Brown nel suo accurato studio sulle descrizioni
della passione, i ritratti di Pilato vanno dal fortemente
ostile al negativo.36 Filone, un membro dotto e influente
della comunità ebraica di Alessandria, capitale dell'Egit­
to, era contemporaneo di Pilato. In una delle sue opere, la
Legatio ad Gaium, riferisce le proprie esperienze come rap­
presentante in una delegazione ufficiale mandata a Roma
per sostenere gli interessi della comunità ebraica alessan­
drina presso l'imperatore romano, Caio Caligola. Nella
sua cronaca, facendo riferimento alla situazione degli
ebrei in Giudea, definisce il governatore Pilato un uomo
«di attitudine spietata, caparbia e crudele» ed elenca,
quali caratteristiche tipiche della sua amministrazione,
«cupidigia, violenza, razzie, assalti, comportamenti illeci­
ti, frequenti esecuzioni capitali senza processo e infinita
selvaggia ferocia».37 Filone scrive per persuadere i legisla­
tori romani a mantenere i privilegi delle comunità ebrai­
che, come aveva fatto, afferma, l'imperatore Tiberio. In
questa lettera, egli scorge in Pilato l'emblema di tutti i
possibili aspetti negativi dell'amministrazione romana
delle province abitate da ebrei.
La testimonianza di Filone è in parte corroborata dalla
storia coeva di Flavio Giuseppe, che, abbiamo visto, era
anch'egli un uomo di notevole esperienza politica; quale
ex governatore ebraico della Galilea per conto dell'impe­
ratore, egli, godendo della protezione dei romani, scrive
la sua storia in un tono favorevole ai loro interessi. Tutta­
via, rievoca svariati episodi che dimostrano il disprezzo
di Pilato per la sensibilità religiosa ebraica. I suoi prede­
cessori, per esempio, sapendo che gli ebrei consideravano
idolatre le effigi dell'imperatore, avevano adottato l' abitu­
dine di scegliere per la guarnigione romana a Gerusalem­
me un'unità militare i cui stendardi non recassero tali im-
44 Satana e i suoi angeli

ma gin i . Quando fu nominato governatore, Pilato bandl


deliberatamente quest'uso preesistente. Per prima cosa
ordinò che la guarni gione presente in città se ne andasse;
poi condusse a Gerusalemme u n' unità sostitutiva sui cui
stendardi comparivano effigi dell'imperatore, calibrando
il momento del suo arrivo in modo che coincidesse con le
massime festività re ligi ose ebraiche, il Giorno della Re­
denzione e la Festa dei Tabernacoli. Sembra che egli fosse
cosciente di compiere un sacrilegio agli occhi dei sudditi,
perché si preoccupò di arrivare in città di notte e di far co­
prire gli stendardi con teli durante il viaggio.
Quando la popolazione di Gerusalemme senti che Pilato
e le sue truppe avevano introdotto nella città sacra immagi­
ni considerate idolatre, si radunò nelle strade per prote sta­
re. Una grande folla segui il nuovo governatore, che tornò a
Cesarea, e, raduna tasi davanti al suo palazzo, lo implorò di
ritirarle. Dal momento che ogni unità militare era sempre
accompagnata dagli stessi stendardi, tale richiesta equiva­
leva a quella di ritirare la guarnigione. Poiché Pilato non ac­
consentì, la gente continuò a protestare. Dopo cinque gior­
ni, il g ove rnat ore, esasperato ma fermo, decise di porre fine
con la forza a tutto ciò. Con il pretesto di offrire ai dimo­
stranti la possibilità d i un colloquio ufficiale, li invitò a pre­
sentarsi davanti a lui nello stadio. Riuniti qui i suoi soldati,
ordinò loro di circondare i manifestanti e minacciò di mas­
sacrarli, qualora non si fossero arresi. Per sua sorpresa, gli
ebrei dichiararono che avrebbero preferito morire piut tosto
che vedere la loro legge violata. Fu così che Pilato capitolò e
ritirò l'unità. Come commenta Mary Smallwood,
Gli ebrei avevano ottenuto una vittoria decisiva nel primo in­
contro con il governatore, ma ora sapevano a quale genere di uomo
si trovavano di fronte, e da quel momento in poi qualsiasi cosa egli
avesse fatto sarebbe stata sospetta ... Ma molto doveva ancora se­
guire . 38
Le autorità romane rispettavano
la sensibilità ebraica ri­
guardo alle immagini, anche evitando di imprimere im-
li Vangelo di Marco e la guerra giudaica 45

magini considerate idolatre sulle monete coniate in Giu­


dea. Soltanto durante il governo di Pilato questa pratica
fu disattesa: sono state trovate, infatti, monete che recano
simboli di culto pagani datate tra il 29 e il 31 d.C. Egli or­
dinò forse un simile cambiamento, come crede lo studioso
tedesco Stauffer, «per obbligare i [suoi] sudditi a maneg­
giare immagini di culto pagano» ?39 Raymond Brown af­
ferma, invece, che semplicemente «sottovalutava la sensi­
bilità ebraica» in tali questioni. 40
Più tardi Pilato decise di costruire un acquedotto a Ge­
rusalemme. Per sovvenzionare il progetto, però, si impos­
sessò di denaro dal tesoro del Tempio, compiendo un atto
sacrilego anche dal punto di vista dell'etica romana, giac­
ché i fondi del Tempio erano considerati, per legge, sacro­
santi .4t Questo attacco diretto al Tempio e al suo tesoro su­
scitò una violenta reazione. In seguito il governatore,
quando si recò in visita a Gerusalemme, fu accolto dalle
più gravi manifestazioni di piazza che avesse mai dovuto
affrontare: le folle, in passato adirate, diventarono ingiu­
riose e minacciose. Tuttavia, poiché aveva previsto dei di­
sordini, aveva dato istruzioni ai soldati di indossare abiti
dimessi, nascondere le armi e mescolarsi tra la gente.
Quando l'assembramento di folla si rifiutò di sciogliersi,
egli fece segno ai militari di disperderlo con la forza. Mol­
ti furono uccisi, e altri calpestati a morte nel fuggi-fuggi
che seguì. 42 Anche il Vangelo di Luca, che nel passo del
processo presenta un ritratto di Pilato sorprendentemente
benevolo, altrove fa cenno a come molte persone parlaro­
no a Gesù di certi galileani «il cui sangue Pilato aveva me­
scolato con quello dei loro sacrifici» (Le 13,1).
Nelle ultime fasi del suo governo, nuove provocazioni
indussero le autorità ebraiche a rivolgersi all'imperatore TI­
berio per protestare contro i suoi attacchi alla loro religione.
Nel 31 d.C. Pilato mandò infatti in collera i suoi sudditi con­
sacrando alcuni scudi d'oro nel palazzo di Erode a Gerusa­
lemme. Non possiamo sapere con certezza che cosa scatenò
la protesta: lo studioso B.C. McGinny sostiene che gli scudi
46 Satana e i suoi angeli

furono dedicati al «divino» imperatore, atto che poteva irri­


tare molti ebrei.43 Di nuovo Pilato affrontò le contestazioni
popolari: si radunò una folla, guidata da quattro principi
erodiani. Quando egli si rifiutò di ritirare gli scudi, forse as­
serendo che stava agendo soltanto per rispetto all'impera­
tore, gli replicarono, riporta Flavio Giuseppe: «Non pren­
dere [l'imperatore] Tiberio come pretesto per oltraggiare la
nazione; egli desidera che non sia sovvertito nessuno dei
nostri costumi».« Poiché egli si dimostrava inamovibile, i
principi ebrei si appellarono all'imperatore che gli ordinò
di ritirare gli scudi da Gerusalemme. Un recente commen­
tatore fa notare che «le angherie verso Pilato da parte dei
suoi avversari giudei nella circostanza degli scudi ricorda­
no molto le angherie verso di lui nel passo [del Vangelo] di
Giovanni sulla passione, anche per la minaccia di appellar­
si all'imperatore».45
Tuttavia, la definizione di queste proteste come «anghe­
rie» sembra strana; di quali forze disponeva un popolo
sottomesso per contestare la decisione del governatore,
eccetto quella di scavalcarlo appellandosi a un'autorità
più alta? Cinque anni più tardi, quando un capo samarita­
no riunì una grande folla, tra cui alcuni armati, per atten­
dere un segno da Dio, Pilato inviò immediatamente delle
truppe per controllare la situazione. I soldati accerchiaro­
no l'assembramento, fecero un po' di vittime e alcuni pri­
gionieri, mentre gli altri si davano alla fuga. Il governato­
re ordinò che i loro capi fossero giustiziati.46
Il mandato di Pilato fu revocato all'improvviso, quando
il legato della Siria reagì alle ripetute proteste privandolo
dell'incarico e inviando un uomo di sua fiducia che lo sosti­
tuisse. L'ex governatore ricevette subito l'ordine di tornare
a Roma per rispondere alle accuse mosse contro di lui, e
scomparve dalla memoria storica. La testimonianza di Filo­
ne coincide con quella di Marco su un punto: che Pilato,
conscio dell'astio di cui era oggetto, era preoccupato che i
sommi sacerdoti si lamentassero di lui con l'imperatore.
Tuttavia Marco, come abbiamo visto, presenta un Pilato,
ll Vangelo di Marco e la guerra giudaica 47

non solamente troppo debole per resistere alle grida della


folla, ma anche ansioso di garantire la giustizia per un pri­
gioniero ebreo che le autorità ebraiche vogliono mandare a
morte.
Il ritratto benevolo di Pilato nel Vangelo di Marco accre­
sce la responsabilità dei capi ebraici, e supporta l'opinione
dell'evangelista che gli ebrei, non i romani, furono gli agen­
ti principali della crocifissione di Gesù. Nei decenni succes­
sivi, mentre la tensione tra la maggioranza ebraica e i se­
guaci di Gesù si acuiva, i Vangeli ritrassero Pilato in una
luce sempre più positiva. Come nota Paul Winter, «il frutto
"Pilato" matura di Vangelo in Vangelo [da Marco a Matteo,
da Matteo e Luca a Giovanni] Più ci si allontana dalla sto­
...

ria, più la sua figura suscita simpatia».47


Nelle figure dei nemici ebraici di Gesù avviene il mede­
simo processo, ma all'inverso. Matteo, che scrive circa
dieci anni più tardi, delinea un antagonismo maggiore tra
Cristo e i farisei di quanto non lasci intendere Marco. E,
mentre questi afferma che le autorità ebraiche tratteneva­
no la loro animosità perché la folla sosteneva Gesù, il re­
soconto di Matteo termina con autorità e folla che unani­
memente chiedono a gran voce la sua condanna a morte.
Inoltre, quello che Marco semplicemente insinua - che gli
oppositori di Gesù ricevono energia da Satana -, Luca e
Giovanni lo affermano esplicitamente. Matteo e Luca, che
scrissero entrambi tra dieci e vent'anni dopo Marco, mo­
dificarono il primo Vangelo e lo reinterpretarono in diver­
si modi, aggiornandolo in maniera che riflettesse la situa­
zione dei seguaci di Gesù loro contemporanei.
I cristiani non inventarono la pratica di demonizzare i
nemici presenti all'interno della loro comunità. Sotto que­
sto aspetto, come sotto molti altri che vedremo, essi rece­
pirono delle tradizioni che condividevano con altre sette
ebraiche del I secolo. Gli esseni, per esempio, avevano for­
mulato ed elaborato immagini di una forza del male che
chiamavano con molti nomi - Satana, Belial, Beelzebub,
Matsema («odio») - per indicare in particolare la loro lotta
48 Satana e i suoi angeli

contro la maggioranza degli ebrei che essi, per ragioni dif­


ferenti rispetto ai seguaci di Gesù, denunciavano come
apostata.
Gli esseni non ammisero mai i gentili nel loro movi­
mento. I cristiani, invece, li accolsero, sebbene all'inizio
con cautela e sub condicione, e anche contro la volontà di
alcuni membri. Nel II secolo e più tardi, però, mentre nel
movimento cristiano entravano sempre più gentili, Satana
cominciò a essere associato ai nemici ebrei di Gesù; e fu
tale identificazione che, portata avanti nella tradizione
cristiana per secoli, avrebbe alimentato i fuochi dell'anti­
semitismo.
Comunque, specialmente durante il I secolo, il rapporto
tra i seguaci di Gesù e il resto della comunità ebraica è
tutt'altro che semplice. Marco stesso, come gli esseni, vede­
va i contrasti in atto essenzialmente come un conflitto
all'interno di una «casa» (secondo la mia interpretazione,
della casa di Israele). Questi riformatori religiosi riteneva­
no di dover lottare non tanto contro gli stranieri - benché il
potere romano infaustamente brilli sullo sfondo - quanto
contro gli altri ebrei che si definivano il «popolo di Dio».48
Eppure, se Marco scorge nelle autorità ebraiche coloro che
collaborano con Satana nel tentativo di uccidere Gesù, la
sua cronaca non è affatto antiebraica e, tanto meno, antise­
mita. Dopo tutto, pressoché la totalità dei personaggi che
compaiono nella narrazione sono ebrei, compreso, natural­
mente, il Messia. Marco non si considera un estraneo ri­
spetto a Israele, ma dipinge i seguaci di Gesù come, con
un'espressione di Isaia, «un resto» di Israele (ls 10,22). An­
che le immagini che l'evangelista utilizza per descrivere la
maggioranza - immagini di Satana, Beelzebub e del diavo­
lo - paradossalmente esprimono l'intimità del rapporto di
Marco con la comunità ebraica nel suo complesso. D'altra
parte, come vedremo, la figura di Satana, che emerse nel
corso dei secoli nella tradizione ebraica, non è una potenza
ostile che assale Israele dal di fuori, ma la fonte e la rappre­
sentazione del conflitto ali' interno della comunità.
II

La storia sociale di Satana:


dalla Bibbia ebraica ai Vangeli

Il conflitto tra i seguaci di Gesù e i loro correligionari ebrei


non è, ovviamente, il primo contrasto tra sette a dividere
il mondo ebraico, mondo di cui conosciamo la storia anti­
ca anzitutto dalla Bibbia, una raccolta di leggi autoritarie,
scritti di profeti, salmi e altre opere, compilata secoli pri­
ma che i quattro Vangeli e altri testi cristiani fossero riuni­
ti nel Nuovo Testamento. Non ci è noto chi compose tale
raccolta, ma possiamo dedurre dai suoi contenuti che fu
concepita per fondare la storia religiosa del popolo ebrai­
co e, quindi, per costituire la base di una società unitaria.1
Gli scritti dei settari erano stati esclusi dalla Bibbia evi­
dentemente perché tali autori tendevano a identificarsi
con una fazione in contrapposizione a un'altra, piuttosto
che con Israele nel complesso. Più tardi i cristiani defini­
rono le opere di questi dissidenti à7t6Kpucl>a (letteralmente
«cose nascoste») e lJIEOOE7tiypacl>a («scritti falsi»).2
Nei testi che compongono la Bibbia ebraica viene soste­
nuta invece l'identificazione con Israele stesso. Secondo la
storia della fondazione riferita in Genesi 12, Israele ricevet­
te per la prima volta la propria identità per elezione, quan­
do «il Signore» improvvisamente si rivelò ad Abramo, or­
dinandogli di abbandonare il suo paese, la famiglia e le
divinità ataviche, e promettendogli, in cambio di un' asso­
luta devozione, una nuova nazione, con una nuova iden­
tità: «Farò di te un grande popolo I ... I renderò grande il
tuo nome I .. I Benedirò coloro che ti benediranno I e co­
.

loro che ti malediranno maledirò» (Gen 12,2-3). Perciò,


50 Satana e i suoi angeli

quando Dio promette ad Abramo di fare di lui il padre di


una nuova, grande nazione benedetta, allo stesso tempo
egli distingue e determina i suoi nemici in quanto inferiori
e potenzialmente maledetti.
Fin dal principio, dunque, la tradizione israelita defini­
sce «noi», in termini a un tempo etnici, politici e religiosi,
come «il popolo di Israele» o «il popolo di Dio», in con­
trapposizione a «loro», le (altre) nazioni (in ebraico ha
goyim), i nemici esterni di Israele, spesso descritti come in­
feriori, moralmente depravati, persino potenzialmente
maledetti. In Genesi 16,12 un angelo predice che Ismaele,
progenitore del popolo arabo, sebbene sia figlio di Abra­
mo, «sarà come un onagro; I la sua mano sarà contro tut­
ti, I e la mano di tutti contro di lui, I e abiterà di fronte a
tutti i suoi fratelli». Il passo sottointende che anche i suoi
successori saranno ostili, feroci come bestie. In Genesi
19,37-38 si aggiunge che le nazioni dei moabiti e degli am­
moniti discendono dalle figlie di Lot e che perciò sono la
progenie illegittima di un'unione incestuosa avvenuta in
preda all'ubriachezza. Della popolazione di Sodoma, ben­
ché siano alleati di Abramo, non suoi nemici, si dice che
sono dei criminali depravati, «giovani e vecchi, tutto il
popolo al completo» (Gen 19,4), collettivamente colpevoli
di aver tentato di compiere uno stupro omosessuale su
due angeli, da loro scambiati per indifesi viaggiatori
ebrei. Tali descrizioni non offrono un'immagine idealizza­
ta di Abramo né della sua progenie; l'autore di questo
passo biblico riferisce inoltre come per due volte Abramo
e Isacco, mentendo per proprio interesse, abbiamo messo
in pericolo i loro alleati (cfr. Gen 20,1-18; 26,6-10). Ciò no­
nostante, Dio garantisce che tutto andrà bene per gli israe­
liti e male per i loro nemici.
La seconda grande storia relativa alla fondazione è
quella di Mosè e dell'Esodo, nella quale «noi» (cioè Israe­
le) si contrappone ancora a «loro» (cioè alle nazioni), al­
lorché Mosè fa pressione sul Faraone perché lasci che gli
ebrei abbandonino l'Egitto. Tuttavia il narratore sottolinea
lJl storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 51

che fu Dio stesso a indurire sempre più il cuore del Farao­


ne, per timore che si placasse e alleviasse le sofferenze di
Mosè e della sua gente: ma perché? Dio, attraverso le pa­
role di Mosè, minaccia il Faraone di una terribile strage, e
conclude dichiarando: «Ma contro tutti gli israeliti neppu­
re un cane punterà la lingua, né contro uomini né contro
bestie, perché sappiate che il Signore fa distinzione tra l'Egitto
e Israele» (Es 11,7; corsivo mio).
Molti antropologi hanno osservato che la visione del
mondo della maggior parte dei popoli consiste essenzial­
mente in due coppie di opposizioni binarie: umano/non
umano e noi /loro.'.\ Oltre che dall'antropologia, anche
dall'esperienza sappiamo come la gente disumanizzi i ne­
mici, soprattutto in tempo di guerra.
Che le tradizioni di Israele deprechino le nazioni, dun­
que, non sorprende affatto. Più curioso è che ci siano delle
eccezioni. Talvolta la tradizione ebraica rivela un carattere
di universalismo dove meno ce lo si aspetterebbe. Persino
l'elezione di Abramo e della sua progenie da parte di Dio
porta con sé la promessa di una benedizione da estendere,
tramite loro, a tutte le genti, dato che quel famoso passo si
conclude con le parole «in te si diranno benedette I tutte
le famiglie della terra » (Gen 12,3). Inoltre, quando un fore­
stiero si presenta da solo, gli israeliti in genere gli conce­
dono protezione, proprio perché essi si riconoscono nello
straniero solitario e indifeso. La legge bibl ica , infatti, li
identifica con lui: «Non molesterai il forestiero né lo op­
primerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egit­
to» (Es 22,20). Una delle prime professioni di fede di Israe­
le ricorda come Abramo stesso, obbedendo a un ordine di
Dio, divenne uno straniero solitario: «Mio padre [Abra­
mo] era un arameo errante» (Deut 26,5). Anche Mosè rap­
presenta la quintessenza dello straniero , perché da neona­
to fu adottato dalla figlia del Faraone . Malgrado fosse
ebreo, fu educato come un egiziano; tanto che, la prima
volta che lo vide, la famiglia della sua futura moglie pen­
sò che lo fosse. Egli inoltre chiamò il suo primo figlio Ger-
52 Satana e i suoi angeli

shom (ossia «un vagabondo là»), perché affermava: «Sono


un emigrato in terra straniera» (dr. Es 2,16-22).
Ciò nonostante, spesso gli israeliti sono fortemente osti­
li alle nazioni. Il profeta Isaia, che scrive in tempo di guer­
ra, predice che il Signore caccerà le nazioni come «caval­
lette» davanti agli eserciti di Israele (dr. ls 14,22). Questa
inimicizia per gli stranieri sembra avere dominato quasi
incontrastata durante tutta l'espansione del regno di
Israele e nel periodo in cui gli israeliti erano vittoriosi sul­
le nazioni. I salmi 18 e 41, attribuiti al re Davide, sotto cui
il regno di Israele raggiunse la massima estensione, di­
chiarano: «Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami I che io
li possa ripagare. I Da questo saprò che tu mi ami, I se
non trionfa su di me il mio nemico» (Sai 18, 47 e 41,10-11).
Tuttavia, in alcuni momenti della storia di Israele, in
particolare nei periodi di crisi, guerra e pericolo, una mi­
noranza - che però faceva grande clamore - denunciò
apertamente come responsabili delle cattive sorti, non le
tribù straniere e gli eserciti di altre nazioni schierati contro
Israele, ma alcuni suoi stessi compatrioti. Tali accusatori,
che ora incolpavano il paese nel complesso, ora determi­
nati sovrani, sostenevano che era stata la disobbedienza
di Israele a Dio a trascinargli addosso la punizione divina.
Il partito, che richiedeva la fedeltà «al Signore solo» e
annoverava tra i suoi membri profeti come Amos (circa
750 a.C.), Isaia (circa 730 a.C.) e Geremia (circa 600 a.C.),
accusava soprattutto quegli israeliti che avevano recepito
costumi forestieri e, in particolare, che veneravano divi­
nità straniere.• Tali profeti, insieme ai loro sostenitori, con­
sideravano Israele un popolo del tutto a sé, «sacro al Si­
gnore». I più radicali tra loro denunciavano gli israeliti
propensi ad assimilarsi agli altri popoli, abbassandosi allo
stesso infimo piano delle nazioni; soltanto pochissimi, as­
serivano, erano rimasti fedeli a Dio.
Alcuni di questi profeti, inoltre, avevano creato i mostri
della mitologia di Canaan per simboleggiare i nemici di
Israele.s A un periodo successivo (VI secolo a.C.) risale del
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 53

materiale, ora accorpato nella prima parte del libro del


profeta Isaia, che rivela che «il Signore esce dalla sua di­
mora I per punire le offese fatte a lui dagli abitanti della terra;
I la terra ributterà fuori il sangue assorbito e più non co­
prirà i suoi cadaveri» (Is 26,21 ; corsivo mio). Lo stesso au­
tore prosegue, con un'immagine evidentemente parallela,
avvertendo che «In quel giorno p u n irà I con la spada pe­
sante, grande e potente il Leviatan, I serpente guizzante, il
Leviatan, serpente tortuoso, I e ucciderà il drago che sta n el
mare» (ls 27,1; corsivo mio). L'autore della seconda parte
del libro di Isaia, poi, celebra il trionfo di Dio sulle tradi­
zionali figure mitologiche - su Raab, «il drago» e «il ma­
re» -, per annunciare l'imminente vittoria di Dio sui ne­
mici di Israele. L'esegeta biblico Jon Levenson osserva a
questo proposito: «I nemici cessano di essere forze mera­
mente terrestri ... e diventano, in vece o in più, forze co­
smiche di estrema malvagità».6
Alcuni autori del VI secolo a.e. fecero un audace passo
avanti. Utilizzarono immagini mitologiche per descrivere
la loro lotta contro alcuni correligionari israeliti. Quando
volevano colpirli tramite queste metafore, le immagini
che sceglievano non erano in genere quelle di animali o di
mostri, che di solito applicavano ai nemici esterni. Anzi­
ché con Raab, il Leviatano o «il drago», molto spesso essi
identificavano i nemici ebrei con un membro di grado ele­
vato, anche se traditore, della corte degli dèi, che chiama­
vano il satana. Il satana non è un animale o un mostro, ma
uno degli angeli di Dio, un essere di intelligenza e rango
superiori; evidentemente gli israeliti vedevano i nemici
interni non come bestie e mostri, ma come esseri sovrau­
ma n i, le cui qualità superiori e la cui vicinanza potevano
renderli più pericolosi dei nemici esterni.
Nella Bibbia ebraica, come fino a oggi nel giudaismo tra­
dizionale, Satana non si presenta mai nelle forme in cui lo
ha conosciuto la cristianità occidentale, ossia come il so­
vrano di un «impero del male», capo di un esercito di spiri­
ti ostili che combattono, al tempo stesso, Dio e il genere
54 Satana e i suoi angeli

umano.7 Quando compare per la prima volta nella Bibbia


ebraica, non è una figura necessariamente maligna, né tan­
to meno contrapposta a Dio. Al contrario, nei libri dei Nu­
meri e di Giobbe, è delineato come uno dei fedeli servitori
di Dio, un messaggero o angelo, fryyeA.oç, corrispondente
greco della parola ebraica mal akh. In ebraico gli angeli era­
'

no spesso chiamati «figli di Dio» (bené 'elohlm), ed erano


rappresentati come gli alti gradi gerarchici di un grande
esercito o come i membri di una corte reale.
Nelle fonti bibliche il termine ebraico satana allude a un
avversario in genere, non è il nome di un personaggio in
particolare.s Già nel VI secolo a.e., i narratori ebraici di
tanto in tanto introducevano un personaggio soprannatu­
rale che chiamavano il satana, ma lo interpretavano come
uno degli angeli mandati da Dio al fine particolare di
ostacolare o impedire un'attività umana. La radice stn in­
dica «uno che contrasta, impedisce o agisce da antagoni­
sta». (Il termine greco ouiPoA.rn;, più tardi tradotto con
«diavolo», significa letteralmente «persona che lancia
qualche cosa in mezzo al sentiero di un'altra».)
La presenza di satana in una storia poteva aiutare a giu­
stificare difficoltà inaspettate o rovesci di fortuna. Benché
spesso i narratori ebrei attribuiscano le disgrazie al pecca­
to umano, alcuni di loro fanno comunque ricorso anche a
questo personaggio soprannaturale, il satana, che, per or­
dine o per concessione di Dio, ostacola o contrasta proget­
ti e desideri degli uomini. Tuttavia tale messaggero non è
necessariamente malefico: Dio lo manda, come l'angelo
della morte, per compiere una missione specifica, che può
anche non essere gradita agli esseri umani; ma, come Neil
Forsyth nota a tale proposito, «Se il sentiero è cattivo, un
ostacolo è cosa buona».9 Perciò il satana può essere stato
inviato dal Signore semplicemente per proteggere una
persona da un male peggiore. Nella storia di Balaam del
libro biblico dei Numeri, per esempio, si racconta di un
uomo che decise di recarsi in un posto in cui Dio gli aveva
ordinato di non andare. Balaam sellò la sua asina e parti,
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 55

«ma l'ira di Dio si accese perché era andato; l'angelo del


Signore si pose sulla strada per ostacolarlo [come suo sata­
na) (le-Sàfiin-lo)» (Num 22,22), cioè come suo oppositore,
come qualcuno che gli pone un ostacolo. Questo messag­
gero soprannaturale rimase invisibile agli occhi di Ba­
laam, ma l'asina lo vide e si fermò:

L'asina, vedendo l'angelo del Signore che stava sulla strada con
la sua spada sguainata in mano, deviò dalla strada e cominciò ad
andare per i campi. Balaam percosse l'asina per rimetterla in stra­
da. Allora l'angelo del Signore si fermò in un sentiero infossato tra
le vigne, che aveva un muro di qua e un muro di là. L'asina vide
l'angelo del Signore, si serrò al muro e strinse il piede di Balaam
contro il muro e Balaam la percosse di nuovo (Num 22,23-25).

La terza volta che l'asina vide l'angelo che bloccava il


passaggio, si fermò e si accovacciò ai piedi di Balaam, e
«Balaam si accese di ira e percosse l'asina con il bastone»
(Num 22,27). Poi la storia prosegue:
Allora il Signore apri la bocca ali' asina, che disse a Balaam: «Che
ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta?». Balaam ri­
spose all'asina: «Perché ti sei beffa ta di me! Se avessi una spada in
mano, ti ammazzerei subito». L'asina disse a Balaam: «Non sono io
l'asina sulla quale hai sempre cavalcato fino a oggi? Sono forse abi­
tuata ad agire cosi?». Ed egli rispose: «No». (Num 22, 28-30).
Allora «il Signore apri gli occhi a Balaam ed egli vide
l'angelo del Signore che stava sulla strada con la spada
sguainata. Balaam si inginocchiò e si prostrò con la faccia
a terra » (Num 22,31). Poi il satana rimprovera Balaam e
parla a nome del suo superiore, Dio:

Perché hai percosso la tua asina già tre volte? Ecco, io sono usci­
toa ostacolarti il cammino, perché il cammino davanti a me va in
precipizio. 'Ife volte l'asina mi ha visto ... se non fosse uscita di stra­
da davanti a me, certo io avrei già ucciso te e lasciato in vita lei
(Num 22,32-33).

Colpito da questa visione terrificante, Balaam accetta di


fare quello che Dio, esprimendosi tramite il suo satana, gli
ordina.
56 Satana e i suoi angeli

Anche il libro di Giobbe descrive il satana come un mes­


saggero soprannaturale, un membro della corte reale di
Dio.10 Ma, mentre il satana di Balaam lo protegge da un
male peggiore, quello di Giobbe acquisisce più un ruolo
da antagonista. In questo libro, infatti, il Signore stesso
ammette che il satana lo aveva incitato ad agire con tro
Giobbe (cfr. fob 2,3). La storia comincia quando il satana
compare nelle sembianze di un angelo, un «figlio di Dio»
(ben 'elOhfm), un termine che, in ebraico, spesso significa
«uno degli esseri divini». Qui, quest'angelo, il satana, vie­
ne insieme agli altri ospiti celesti nel giorno prefissato per
loro per «presentarsi davanti al Signore» (fob 1,6). Quando
Dio gli domanda da dove venga, risponde: «Da un giro
sulla terra che ho percorso» (fob 1,7). Qui l'autore sfrutta il
gioco di parole basato sull'assonanza tra satan e shut, il
termine ebraico con il significato di «percorrere», sottin­
tendendo che nella corte celeste il satana è una specie di
spia itinerante, come quelle che molti ebrei dell'epoca
avranno conosciuto - e odiato - che appartenevano alla
complessa organizzazione della polizia segreta e dei fun­
zionari addetti allo spionaggio per il re di Persia. Noti co­
me «l'occhio del re» o «l'orecchio del re», questi agenti at­
traversavano l'impero alla ricerca di indizi di infedeltà tra
la gente.Il
Dio si vanta con il satana di uno dei suoi sudditi più fe­
deli: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno
è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è
alieno dal male» (fob 1,8). Allora il satana sfida il Signore a
mettere alla prova Giobbe: «Forse che Giobbe teme Dio
per nulla? . . . Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il
suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la
mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in fac­
cia! » (fob 1,10-11).
Il Signore accetta di metterlo alla prova, autorizzando il
satana a colpirlo con sciagure devastanti, ma definendo
precisamente il limite entro il quale si dovrà attenere: «Ec­
co, quanto possiede è in tuo potere; ma non stender la ma-
lA storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 57

no su di lui» (/ob 1,12). Giobbe supera il primo attacco mor­


tale, la perdita improvvisa dei figli e delle figlie in un unico
incidente, il massacro degli armenti, delle greggi e dei cam­
melli, e la perdita di tutte le sue ricchezze e proprietà.
Quando il satana si ripresenta tra i figli di Dio nel giorno
prefissato, il Signore osserva che Giobbe «è ancora saldo
nella sua integrità, tu mi hai spinto contro di lui senza ra­
gione, per rovinarlo» (/ob 2,3). Allora Satana chiede di au­
mentare la pressione: «"Pelle per pelle; tutto quanto ha
l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco
la mano e toccalo nell'ossa e nella carne e vedrai come ti be­
nedirà in faccia!". E il Signore disse a Satana: "Eccolo nelle
tue mani! Soltanto risparmia la sua vita",» (/ob 2,4-6).
Secondo la tradizione, Giobbe supera la prova, il satana
si ritira, e «Dio ristabill Giobbe nello stato di prima ... ac­
crebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto»
(]ob 42,10). Qui il satana terrorizza e colpisce una persona,
ma, come langelo della morte, rimane un angel o, un mem­
bro della corte celeste, un obbediente servitore di Dio.
Nell'epoca in cui fu scritto il libro di Giobbe (c. 550
a.C.), comunque, altri autori biblici fecero appello al sata­
na per giustificare la spaccatura all'interno di Israele.12
Uno storico di corte lo inserisce in una cronaca rigu ardan­
te il primo censimento, che il re Davide effettuò in Israele
circa nel 1000 a.C al fine di istituire un sistema fiscale.
L'introduzione delle tasse da parte di Davide suscitò una
veemente e immediata opposizione, che partì proprio dai
comandanti dell'esercito che avevano l'ordine di imporla .
loab, supremo capo militare, si dichiarò contrario e am­
moni il re che quello che stava proponendo di fare era un
male. Gli altri comandanti, in un primo tempo, si rifiuta­
rono di obbedire, giungendo quasi alla rivolta; ma, sicco­
me trovarono il re fermissimo, alla fine si adeguarono agli
ordini e «censirono la popolazione » .
Perché Davide aveva commesso qu el lo che un cronista
che riferisce l'episodio considera un male, un atto di ag­
gressione «contro Israele»? Non pote ndo negare che l' or-
58 Satana e i suoi angeli

dine di compiere tale «torto» venisse dal re stesso, ma es­


sendo deciso a condannare l'iniziativa senza colpire di­
rettamente il sovrano, l'autore di 1 Cronache sostiene che
un nemico soprannaturale appartenente alla corte divina
era riuscito a infiltrarsi nel palazzo reale e a trascinare il
re nel peccato: «Satana insorse contro Israele. Egli spinse
Davide a censire gli israeliti» (1 Cron 21,1 ). Ma, sebbene
sia stata una forza angelica a indurre Davide a compiere
quest'atto altrimenti inspiegabile, il cronista sottolinea
che il sovrano è nondimeno personalmente responsabile
e, quindi, colpevole. «Il fatto dispiacque agli occhi di Dio,
che perciò colpì Israele» (1 Cron 21,7). Anche dopo che
Davide si fu umiliato ed ebbe confessato il proprio pecca­
to, il Signore, adirato, lo punì mandandogli un angelo
vendicatore che uccise settantamila israeliti con una pe­
stilenza; e a stento si trattenne dal distruggere persino la
città di Gerusalemme!
Qui si fa ricorso al satana per spiegare la discordia e la
devastazione provocate dal provvedimento del re Davide
all'interno di Israele.n Non molto tempo prima della ste­
sura di questa cronaca, il profeta Zaccaria aveva illustrato
come tale figura tentasse di favorire il formarsi di fazioni.
Il testo di Zaccaria riflette i conflitti che sorsero nell'ambi­
to di Israele quando migliaia di ebrei - molti dei quali in­
fluenti e colti -, che i babilonesi avevano catturato in
guerra (c. 687 a.C.) e condotto in esilio nella loro capitale,
ritornarono in Palestina. Infatti, poco dopo aver conqui­
stato Babilonia, Ciro, re di Persia, non solamente aveva
permesso a questi esuli ebrei di tornare in patria, ma si era
proposto di farsene degli alleati. Perciò aveva offerto loro
dei fondi per ricostruire le mura di difesa della città e per
riedificare il grande Tempio che i babilonesi avevano di­
strutto. Coloro che ritornavano erano quindi impazienti
di restaurare il culto dell' «unico Signore» nel loro paese; e
naturalmente si aspettavano di andare a governare in pri­
ma persona il loro popolo.
Tuttavia non trovarono una calorosa accoglienza da
Ui storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 59

parte di coloro che erano rimasti in patria. Molti di essi


vedevano infatti negli ex esuli non solamente degli agenti
del re di Persia, ma degli individui determinati a impos­
sessarsi di nuovo del potere e della terra che erano stati
costretti ad abbandonare al momento della deportazione.
Parecchi mal tolleravano il progetto dei reduci di andare a
ricoprire le cariche sacerdotali e di «purificare» il culto del
Signore.
Come osserva lo studioso biblico Paul Hanson, in pas­
sato la linea di demarcazione tra il popolo e i suoi nemici
separava gli israeliti dagli stranieri. Adesso distingue in­
vece due gruppi all'in terno di Israele: «Ora, pensavano
quelli che erano rimasti, la loro amata terra era controllata
dal nemico e, sebbene quel nemico di fatto fosse costituito
da correligionari israeliti, tuttavia essi consideravano que­
sti fratelli non diversi dai canaaniti».14 In tale violento con­
flitto il profeta Zaccaria si schiera con gli esuli rientrati in
patria e riferisce di una visione in cui il satana parla a no­
me degli abitanti delle campagne che accusano il sommo
sacerdote - reduce da Babilonia - di essere indegno della
carica: «Poi il Signore mi fece vedere il sommo sacerdote
Giosuè, ritto davanti ali' angelo del Signore, e Satana era
alla sua destra per accusarlo. L'angelo del Signore disse a
Satana: "TI rimprovera il Signore, o Satana! Ti rimprovera
il Signore che si è eletto Gerusalemme" .» (Zac 3,1-2). Qui
il satana parla a nome di un partito di opposizione - per­
dente - contro un altro di correligionari ebrei. Nell'esame
che Zaccaria fa delle fazioni all'interno di Israele, il satana
assume un carattere di malvagità, come era successo
nell'episodio del censimento di Davide, e comincia a mo­
dificare il suo ruolo da agente di Dio a suo antagonista.
Sebbene queste storie bibliche riflettano delle spaccature
nell'ambito di Israele, non sono tuttavia di ispirazione set­
taria, perché i loro autori si identificano ancora con Israele
nel suo complesso.
Circa quattro secoli più tardi, nel 1 68 a.C., quando gli
ebrei riconquistarono l'indipendenza dai dominatori se-
60 Satana e i suoi angeli

Ieucidi, successori di Alessandro Magno, i conflitti intesti­


ni si acutizzarono ulteriormente.15 Per secoli, le nazioni
straniere che, una dopo l'altra, avevano governato la Pale­
stina - i babilonesi, i persiani e, dal 323 a.C., la dinastia el­
lenistica fondata da Alessandro - avevano sottoposto gli
ebrei a pressioni affinché si conformassero ai loro costu­
mi. Come è narrato nel primo libro dei Maccabei, tali
pressioni portarono a un punto di rottura nel 1 68 a.C.,
quando il sovrano seleucide, il re siriano Antioco IV Epi­
fane, sospettando che ci fosse dell'opposizione al suo go­
verno, decise di eliminare qualsiasi traccia della cultura
peculiarmente ebraica e «barbarica». Anzitutto dichiarò
illegale la circoncisione, insieme allo studio e all' osservan­
za della Torah. Poi prese d'assalto il Tempio di Gerusa­
lemme e lo profanò ridedicandolo al dio greco Zeus Olim­
pio. Per rafforzare l'imposizione del suo nuovo regime,
costruì una nuova imponente fortezza che guardava sul
Tempio stesso di Gerusalemme e la dotò di una guarni­
gione.
L'insofferenza ebraica per questi duri decreti esplose
presto in un'ampia rivolta, che ebbe inizio, secondo la tra­
dizione, quando una compagnia di soldati del re piombò
nel villaggio di Modein per costringere gli abitanti a pro­
strarsi davanti a divinità straniere . Il vecchio sacerdote
del villaggio, Mattatia, si ribellò e uccise un ebreo che era
sul punto di obbedire all'ordine del sovrano siriano. Poi
ammazzò l'inviato del re e fuggì con i figli sui monti,
compiendo così un atto di sfida che fece scoppiare la ri­
volta capeggiata da suo figlio Giuda Maccabeo . 16
Come riporta il primo libro dei Maccabei, questa famo­
sa storia mostra che gli israeliti, decisi a resistere ai decre­
ti del re straniero e a mantenere le tradizioni ataviche,
combatterono allo stesso tempo su due fronti: non sola­
mente contro gli invasori, ma anche contro gli ebrei pro­
pensi ad accordarsi con i forestieri e ad assimilarsi con
essi. Di recente lo storico Victor Tcherikover e altri hanno
formulato un'interpretazione più complessa di questa vi-
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 61

cenda. Secondo Tcherikover, molti ebrei, soprattutto tra le


classi elevate, effettivamente appoggiavano la «riforma»
di Antioco e volevano godere anch'essi dei privilegi della
società ellenistica, fino ad allora appannaggio dei soli cit­
tadini greci.17 Rinunciando ai loro antichi costumi e facen­
do acquisire a Gerusalemme il carattere di città greca,
avrebbero ottenuto il diritto a governarla loro stessi, a
battere moneta propria e quindi a potenziare i commerci
inserendosi in una rete internazionale di altri centri greci.
Avrebbero potuto inoltre prendere parte a iniziative cul­
turali, come i giochi olimpici con le città alleate, e trarre
vantaggi dai trattati di mutua difesa. Molti auspicavano
che i loro figli ricevessero un'educazione ellenistica: oltre
a leggere testi letterari greci, dall'Iliade e dall'Odissea a
Sofocle, Platone e Aristotele, e a partecipare a pubbliche
competizioni atletiche, avrebbero potuto infatti migliora­
re la loro condizione introducendosi nel più ampio
mondo cosmopolita.
Ma numerosi altri ebrei, forse la maggioranza della po­
polazione di Gerusalemme e dei dintorni - commercianti,
artigiani, operai e contadini -, odiavano questi «ebrei elle­
nizzanti» perché erano, a un tempo, traditori di Dio e di
Israele. La rivolta scatenata dal vecchio Mattatia spinse la
gente ad opporsi agli ordini di Antioco, anche a rischio
della vita, e a cacciare i dominatori stranieri. Dopo intensi
combattimenti, i soldati ebraici finalmente conseguirono
una vittoria decisiva, che celebrarono purificando il Tem­
pio e ridedicandolo in una cerimonia da allora commemo­
rata nell'annuale festività di Hanukkah.
Gli ebrei riconquistarono il Tempio e rientrarono nelle
cariche sacerdotali e nel governo; ma, anche dopo che gli
stranieri si furono ritirati, i conflitti intestini permasero,
soprattutto per il controllo di queste istituzioni. Anzi, i
contrasti si approfondirono quando il partito più radical­
mente separatista dominato dai Maccabei si contrappose
a quello ellenizzante. Il primo, che aveva vinto la guerra,
ebbe la meglio.
62 Satana e i suoi ll1lgeli

Tra dieci e vent'anni dopo l'inizio della rivolta, l'in­


fluente famiglia degli asmonei, discendenti dei Maccabei,
si impossessò delle alte cariche sacerdotali in quello che
era in sostanza uno stato teocratico. Sebbene in origine si
identificassero con i progenitori, gli asmonei abbandona­
rono le loro austere abitudini. Due generazioni dopo la
vittoria dei Maccabei, il partito dei farisei, che auspicava
un maggior rigore religioso, sfidò quindi gli asmonei. Se­
condo l'analisi di Tcherikover, i farisei, appoggiati dai
commercianti e dai contadini, disprezzavano gli asmonei
perché erano diventati governatori essenzialmente secola­
ri che avevano messo da parte i costumi atavici di Israele.
I farisei chiedevano che gli asmonei lasciassero le alte ca­
riche sacerdotali a chi ne era degno: persone come loro
che si sforzavano di vivere secondo la legge religiosa . 1s
Nel corso dei decenni successivi, altri gruppi di dissi­
denti, più radicali, si unirono ai farisei nel denunciare la
grande famiglia dei sommi sacerdoti e i suoi sostenitori.
Si trattava di raggruppamenti tutt'altro che omogenei:
erano spaccati e composti da elementi molto diversi, e,
con il passare del tempo, tra essi si cominciarono ad anno­
verare svariati gruppi esseni, la comunità monastica di
Kirbet QUmran insieme ai suoi seguaci cittadini, e i fedeli
di Gesù di Nazaret. Ciò che accomunava questi gruppi
era l'opposizione ai sommi sacerdoti, a chi li appoggiava
e al Tempio che era sotto il loro controllo.
La maggior parte degli ebrei, compresi i farisei, si defi­
niva ancora, in termini tradizionali, «Israele contro "le na­
zioni" » . Coloro che facevano parte di gruppi minori o
estremisti come gli esseni, che intendevano liberare radi­
calmente Israele dall'influenza straniera, giunsero a consi­
derare quella antica identificazione come una questione
di secondaria importanza. Ciò che anzitutto loro importa­
va nel giudicare i concittadini, asserivano tali rigoristi,
non era se fossero ebrei - questo lo davano per scontato -
ma piuttosto «Chi di noi [ebrei] è realmente dalla parte di
Dio» e chi aveva «seguito i costumi delle nazioni», cioè
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 63

aveva adottato costumi e abitudini commerciali stranieri.


I separatisti trovavano argomenti in favore delle loro tesi
in alcuni passi biblici, che invocano terribili maledizioni
contro coloro che violano l'alleanza con Dio, e in certi bra­
ni dei profeti che avvertono che soltanto uno «scampolo
virtuoso» in Israele resterà fedele a Dio.
Più radicali dei loro predecessori, questi dissidenti co­
minciarono a utilizzare sempre più il satana per descrivere
i loro avversari ebrei; in tale processo essi trasformarono
l'angelo «alquanto fastidioso» in una figura assai più
completa e malefica. Non più fedele servitore di Dio, il sa­
tana inizia a diventare quello che sarà per Marco e per la
successiva cristianità: l'antagonista di Dio, il suo nemico,
addirittura il suo rivale.19 I membri di tali sette, che com­
battevano più contro gli altri ebrei che contro «le nazioni»,
denunciavano i loro oppositori quali apostati e li accusa­
vano di essersi lasciati sedurre dalle forze del male, che
loro chiamavano con molti nomi: Satana, Beelzebub, Se­
mihazah, Azazel, Belial, Principe delle Tenebre. Inoltre es­
si ripresero alcune storie, e ne scrissero di proprie, in cui
riferivano che simili potenze angeliche, gonfie di bramo­
sia o arroganza, caddero dal cielo nel peccato. Coloro che
per primi elaborarono tali racconti, come vedremo, molto
spesso li usarono per spiegare che ciò che condannavano
era la «caduta nel peccato» degli esseri umani, che in ge­
nere riguardava la maggioranza predominante dei loro
contemporanei ebrei.
Mentre Satana diventava una figura sempre più impor­
tante e personificata, proliferavano le storie sulle sue ori­
gini. In una serie di queste si narra che uno degli angeli, di
alto grado nelle gerarchie celesti, si ribellò al suo capo as­
soluto, e così fu cacciato dai cieli, degradato e fatto cadere
in disgrazia: in ciò si sente un'eco del racconto di Isaia
della caduta di un grande principe:
Come mai sei caduto dal cielo I Lucifero, figlio dell'aurora? I
Come mai sei stato steso a terra, I Signore d ei popoli? Eppure tu
pensavi: I <<Salirò in cielo, I sulle stelle di Dio; I innalzerò il trono
64 Satana e i suoi angeli

I dimorerò sul monte dell'assemblea I . I Salirò sulle regioni su­


..

periori delle nubi I . . I E invece sei stato precipitato negli inferi


.

[sheol], I nelle profondità dell'abisso! (ls 14,12-15).


Circa duemilacinquecento anni dopo che Isaia scrisse
queste parole, la luminosa stella cadente, il cui nome fu
tradotto in latino con Lucifero («portatore di luce»), fu tra­
sformata da Milton nel protagonista del Paradiso perduto.
Una maggiore influenza negli ambienti ebraici e cristia­
ni del I secolo, comunque, la esercitò una seconda serie di
storie apocrife e pseudoepigrafiche in cui si narra che la
concupiscenza fece precipitare a terra gli angelici «figli di
Dio». Tali storie si basano sull'affermazione criptica
ali'inizio di Genesi 6: «Quando gli uomini cominciarono a
moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio
videro che le figlie degli uomini erano belle . . Alcuni di
. ».

questi angeli, violando i limiti che Dio aveva stabilito tra


cielo e terra, si unirono a donne umane e generarono figli
che erano metà angeli, metà uomini. Secondo il Genesi,
tali ibridi divennero «i giganti ... sono questi gli eroi
dell'antichità, uomini famosi» (Gen 6,4). Altri narratori,
probabilmente più tardi,20 come vedremo, affermano che
da tale progenie mostruosa derivarono i demoni che scon­
volsero la terra e la deturparono.
Infine, una versione apocrifa della vita di Adamo ed
Eva fornisce una terza descrizione della ribellione angeli­
ca. In principio, Dio, dopo aver creato Adamo, chiamò gli
angeli a raccolta perché ammirassero la sua opera, e or­
dinò loro di prostrarsi davanti al giovane fratello umano.
Michele obbedì, mentre Satana si rifiutò di farlo, dicendo:
«Perché mi costringi? Non adorerò uno inferiore a me,
perché vengo prima di ogni creatura e prima eh' egli fosse
creato io ero già stato creato; è lui che deve adorare me, e
non viceversa!».21 Dunque il problema del male comincia
con una rivalità tra fratelli.
A prima vista può sembrare che queste storie su Satana
abbiano poco in comune. Tuttavia collimano su un fatto:
che il nemico peggiore e più pericoloso, in origine, non è,
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 65

come ci si potrebbe aspettare, un estraneo, un forestiero,


uno straniero. Satana non è il nemico distante, ma quello
vicino: il collega fidato di ciascuno, il socio, il fratello. È il
genere di persona dalla cui lealtà e buona volontà dipen­
de il benessere della famiglia e della società, ma che di­
venta all'improvviso gelosa e ostile. Qualsiasi versione si
scelga sulla sua genesi - e ce ne sono molte - si scopre
sempre che Satana è un nemico vicino, attributo in virtù
del quale esso riesce a esprimere assai bene il conflitto tra
fazioni ebraiche. Quelli che domandavano: «Come po­
trebbe un angelo di Dio diventare suo nemico?», chiede­
vano in realtà: «Come potrebbe uno di noi diventare uno
di loro?». Storie di Satana e di altri angeli caduti prolifera­
rono in questi tempi turbolenti, soprattutto all'interno di
quei gruppi radicali che si erano volti contro il resto della
comunità ebraica e, di conseguenza, concludevano che gli
altri si erano posti contro di loro, o (come essi interpreta­
vano) contro Dio.
Ali'epoca della guerra dei Maccabei, un autore anoni­
mo, sconvolto dai conflitti intestini tra gruppi ebraici, rac­
colse e rielaborò alcune storie sugli angeli caduti. Nel Li­
bro dei Vigilanti, uno dei testi apocrifi destinati a diventare
famosi e a esercitare grande influenza, soprattutto tra i
cristiani, perché introduceva l'idea di una divisione nei
cieli, egli adombrava la divisione in fazioni che si era avu­
ta nella sua realtà storica. Il Libro dei Vigilanti, un'antolo­
gia di storie visionarie, inserito, a sua volta, in una più
ampia raccolta intitolata Libro di Enoch, racconta come gli
angeli custodi, «vigilanti», che Dio prepose a sorvegliare
l'universo, caddero dai cieli. Prendendo spunto dall'epi­
sodio di Genesi 6, in cui i «figli di Dio» erano attratti dalle
donne umane, questo autore fonde due differenti versioni
sul modo in cui i vigilanti persero la gloria celeste.22 In ba­
se alla prima, Semeyaza, capo dei vigilanti, costrinse altri
duecento angeli a stringere con lui un patto per violare
l'ordine divino, unendosi a donne umane. Questi cattivi
matrimoni produssero «una razza di bastardi, i giganti,
66 Satana e i suoi angeli

conosciuti come i nefili [«i caduti»] da cui dovevano di­


scendere spiriti demoniaci», che portarono violenza sulla
terra e uccisero degli uomini. Intrecciata con questa storia,
c'è una versione alternativa, secondo la quale l'arcangelo
Azazel peccò svelando agli esseri umani i segreti della
metallurgia, una dannosa rivelazione che spinse gli uomi­
ni a fabbricare armi e le donne a ornarsi con oro, argento e
cosmetici: così gli angeli caduti e i demoni, loro progenie,
stimolarono in entrambi i sessi violenza, cupidigia e con­
cupiscenza.
Siccome queste vicende sottointendono una satira so­
ciopolitica legata alle polemiche religiose, di recente alcu­
ni storici si sono domandati a quali specifiche circostanze
storiche si riferiscano. Sono dunque gli ebrei a colorire
l'episodio degli angeli che si unirono a esseri umani met­
tendo velatamente in ridicolo le pretese dei loro domina­
tori ellenistici? George Nickelsburg precisa che a partire
dall'epoca di Alessandro Magno i sovrani greci avevano
affermato di discendere da divinità e da donne umane; e i
greci chiamavano «eroi» questi esseri ibridi. Con la favola
ironica di Semeyaza, i loro sudditi ebrei possono quindi
aver utilizzato simili asserzioni sulla loro ascendenza di­
vina contro gli usurpatori stranieri. Nel Libro dei Vigilanti
si dice esplicitamente che questi avidi mostri «mangiava­
no tutto il frutto della fatica degli uomini fino a non poter­
li, gli uomini, più sostentare»; allora essi si volsero diretta­
mente a «mangiare gli uomini».2.'3
Oppure la storia esprime il disprezzo di un popolo pio
verso un particolare gruppo di nemici ebrei, ad esempio
verso determinati membri della classe sacerdotale di Ge­
rusalemme? David Suter sostiene invece che è mirata a
certi sacerdoti che, come i «figli di Dio» nella favola, tradi­
scono la condizione e le responsabilità che hanno ricevuto
dal Signore poiché consentono che la concupiscenza li tra­
scini nell'impurità, in particolare sposando donne estra­
nee al loro mondo, gentili.24
Entrambe le interpretazioni sono possibili. Come rileva
Ùl storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 67

John Collins, l'autore del Libro dei Vigilanti, scegliendo di


raccontare la storia degli angeli anziché quella degli effet­
tivi dominatori greci o dei sacerdoti corrotti, offre «un
esempio che non è limitato a un'unica circostanza storica,
ma può essere utilizzato ogni volta che si presenta una si­
tuazione analoga».25 La medesima cosa vale per tutta la
letteratura apocalittica e giustifica in larga misura la sua
suggestione. Ancora oggi molti lettori si stupiscono da­
vanti a libri che basano la propria autorità sulla rivelazio­
ne angelica, dal biblico Daniele agli stessi Vangeli del
Nuovo Testamento, perché trovano nelle circostanze che
essi stessi vivono nuove applicazioni per questi testi evo­
cativi ed enigmatici.
Il principale interrogativo apocalittico è: qual è il popo­
lo di Dio?26 Per la maggior parte dei lettori del Libro dei Vi­
gilanti la risposta sarà stata ovvia: Israele. Ma l'autore del
Libro dei Vigilanti, senza tralasciare l'identità etnica, insiste
su quella etica. Non è sufficiente essere ebrei. Si deve an­
che essere ebrei che agiscono moralmente. Qui si profila
con chiarezza una svolta storica, svolta che i cristiani se­
guiranno e porteranno ancora più avanti e che, da allora
in poi, li distinguerà dagli altri gruppi ebraici.
L'autore del Libro dei Vigilanti non intendeva prendere
una posizione radicale come quella assunta dai seguaci di
Gesù quando abbandonarono Israele per formare la loro
tradizione religiosa. Egli dà per scontata la superiorità di
Israele sul resto delle nazioni, poiché cita sempre Israele
per primo. Tuttavia compie un passo decisivo, distin­
guendo l'identità etnica da quella morale e affermando
che tra esse sussiste un contrasto. Questo autore prende
spunto dai capitoli iniziali del Genesi, ma sceglie come
proprio portavoce l'uomo santo Enoch, che visse molto
prima di Abramo e dell'elezione di Israele e che, secondo
il primo libro della Bibbia, non appartiene a Israele ma al­
la storia primordiale della razza umana. Egli non fa alcun
accenno alla legge consegnata a Mosè sul Sinai, ma loda
quella universale che Dio scrisse al momento della crea-
68 Satana e i suoi angeU

zione dell'universo e diede a tutto il genere umano senza


differenze: la legge che governa i mari, la terra e le stelle.
Rivolgendo il suo messaggio «agli eletti e ai giusti» in tut­
to il genere umano, dimostra non solamente, come osser­
va George Nickelsburg, «un'insolita apertura ai gentili»,
ma anche una visione singolarmente negativa di Israele o,
con maggior precisione, di molta - forse della maggioran­
za - della gente di lsraele.27
Il Libro dei Vigilanti presenta la storia di Semeyaza e
Azazel quale avvertimento morale: se persino gli arcange­
li, «figli del cielo», sono soggetti a peccare e possono esse­
re fatti cadere, quanto più di loro sono suscettibili di pec­
cato e di dannazione i semplici esseri umani, anche quelli
che appartengono al popolo eletto da Dio! Nel Libro dei Vi­
gilanti, quando Enoch, mosso a compassione per i vigilan­
ti caduti, tenta di intercedere per loro presso Dio, uno de­
gli angeli gli ordina invece di riferire loro il giudizio del
Signore: «Voi stavate in cielo, spiriti dotati di vita eterna;
ma ora vi siete macchiati».28 Simili brani inducono a pen­
sare che il Libro dei Vigilanti esprima l'opinione che deter­
minati ebrei avevano di altri, e in particolare di alcuni che
occupavano posizioni che in genere conferiscono grande
autorità.
Nel 1 60 a.C., dopo la vittoria dei Maccabei, un gruppo
che si considerava moderato riconquistò le cariche sacer­
dotali al Tempio e, temporaneamente, cacciò il partito dei
Maccabei. Richiamandosi a tale avvenimento, uno dei
Maccabei aggiunge alla raccolta intitolata Libro di Enoch
un'altra versione della storia dei vigilanti, rivolta contro
coloro che avevano usurpato il controllo del Tempio. Egli
afferma che, cadendo come stelle dal cielo, i vigilanti ge­
nerarono i nemici stranieri di Israele - qui descritti nelle
sembianze di predatori feroci, leoni, leopardi, lupi e ser­
penti -, determinati a distruggere Israele, rappresentato
invece come un gregge di pecore. Ma, continua, la nazio­
ne eletta da Dio è divisa; alcuni sono « pecore cieche»,
mentre altri hanno gli occhi aperti. Quando arriverà il
lA storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 69

giorno del giudizio, egli avverte, Dio sterminerà gli ebrei


che sono in errore, queste «pecore cieche», insieme ai tra­
dizionali antagonisti di Israele. Inoltre, il Signore alla fine
radunerà nella sua dimora eterna non solamente i giusti
di Israele, ma anche quelli delle altre nazioni (tuttavia co­
storo rimarranno sempre inferiori rispetto al popolo pre­
diletto).
Un terzo autore anonimo, la cui opera è compresa nel
Libro di Enoch, è talmente preoccupato dai conflitti intesti­
ni che praticamente ignora i nemici esterni di Israele. Egli
fa profetizzare a Enoch l'ascesa di «una generazione per­
versa» e avverte che «tutte le sue azioni saranno perver­
sità».29 Accusando molti - forse la maggior parte - dei
suoi contemporanei, come sottolinea George Nickelsburg,
analogamente a numerosi profeti biblici, egli parla a no­
me dei poveri, denuncia i ricchi e i potenti e predice la lo­
ro distruzione.30 Inoltre sostiene che la schiavitù, insieme
ad altre iniquità sociali ed economiche, non è decretata da
Dio, come affermano alcuni, ma «nasce dall'oppressione»,
cioè dal peccato umano.Jt
La storia dei vigilanti, poi, in alcune delle sue molte
versioni, rivelava uno spostamento del tradizionale discri­
men che distingueva gli ebrei dai gentili. L'ultima parte
del Libro di Enoch, composta circa all'epoca di Gesù, con­
trappone nettamente coloro che sono giusti, che stanno
dalla parte degli angeli, a quelli, sia ebrei sia gentili, che
vengono sedotti dai satana. Testi come questo avrebbero
aperto la strada ai cristiani nel processo di abbandono
dell'identità etnica e di ridefinizione, invece, della comu­
nità umana in termini di qualità morale, o di appartenen­
za alla comunità degli eletti, di ciascun individuo.
Un altro patriota devoto, che operò intorno al 160 a.C. e
si schierò con il primo partito dei Maccabei, scrisse uno
strano libro apocrifo intitolato Libro dei Giubilei per esorta­
re la sua gente a mantenersi lontana dai luoghi frequenta­
ti dai gentili. Ciò che preoccupa questo autore è: come è
possibile che tanti israeliti, popolo di Dio, siano diventati
70 Satana e i suoi angeli

apostati? Come possono tanti ebrei «andare appresso ai


gentili?».32 Se pure egli dà per scontata la tradizionale
contrapposizione tra gli israeliti e i «loro nemici, i gentili»,
anche qui tale conflitto ha un'importanza solo marginale.
L'autore del Libro dei Giubilei è interessato invece ai con­
flitti per l'assimilazione che spaccano internamente le co­
munità ebraiche, e li attribuisce al più intimo dei nemici,
che chiama con molti nomi, ma più frequentemente Ma­
stema («odio»), Satana o Belial.
La storia della caduta degli angeli nel Libro dei Giubilei,
come quella nel Libro di Enoch, esprime un avvertimento
morale: se persino gli angeli, quando peccano, si trascina­
no addosso la collera e la devastante punizione di Dio, co­
me possono i semplici esseri umani aspettarsi di venire ri­
sparmiati? Nel Libro dei Giubilei viene sottolineato che
tutte le creature, sia angeli sia uomini, sia israeliti sia gen­
tili, saranno giudicate in base alle loro azioni, cioè in base
a un criterio etico.
Secondo il Libro dei Giubilei, la caduta degli angeli ge­
nerò i giganti, che seminano violenza e male, e gli spiriti
maligni che «sono malvagi, e sono stati creati per corrom­
pere».33 Da allora, la loro presenza ha dominato il nostro
mondo come un'ombra scura ed esprime l'ambivalenza
morale e la vulnerabilità di ogni essere umano. Come al­
cuni profeti, l'autore di questo libro ammonisce che l'ele­
zione non porta con sé la salvezza e certamente non l'im­
munità; il destino di Israele non dipende soltanto dal fatto
di essere stato eletto, ma dalla sua condotta morale o, in
mancanza di essa, dal pentimento e dal perdono divino.
Tuttavia, ebrei e gentili non affrontano la malevolenza
demoniaca ad armi pari. Secondo il Libro dei Giubilei Dio
assegnò a ciascuna nazione un angelo o uno spirito guida
così che «Egli dette agli spiriti il potere di farli errare da
dietro a lui»;34 è per questo motivo che le nazioni venera­
no i demoni (che il Libro dei Giubilei identifica con le divi­
nità straniere).35 Ma su Israele predomina Dio stesso con
lA storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 71

una falange di angeli e di spiriti deputati a sorvegliarlo e a


benedirlo.
Che cosa significa, allora, che Dio ha scelto il suo popo­
lo? L'autore del Libro dei Giubilei, echeggiando gli ammo­
nimenti di Isaia e di altri profeti, sostiene che l' apparte­
nenza al popolo di Israele non garantisce la liberazione
dal male. Trasmette in eredità un impegno di lotta morale,
lotta in cui però assicura l'aiuto divino .

Nel Libro dei Giubilei viene descritto Mastema, mentre


sottopone Abramo alla prova estrema. Infatti, secondo
questo autore revisionista, è Mastema - non il Signore -
che ordina ad Abramo di uccidere il figlio Isacco. Più tardi
Abramo manifesta la sua inquietudine per il timore di es­
sere fatto schiavo da gl i spiriti maligni «che dominano i
pensieri dei cuori umani»; e implora Dio: «Salvami dalle
mani degli spiriti malvagi che dominano nel pensiero del­
la mente dell'uomo e che essi non mi facciano errare da
dietro a Te».36 Anche Mosè sa che lui stesso e il suo popo­
lo sono vulnerabili. Quando prega che Dio liberi Israele
dai nemici esterni, «i gentili», nel contempo prega anche
che lo liberi dal nemico interno che minaccia di prenderne
il controllo dal suo stesso seno e di sterminarlo: «Non ab­
bia lo spirito di Beliar su di esso il potere».37 Nel Libro dei
Giubilei questo senso di pericolo inquietante e onnipresen­
te mostra in quale misura l'autore consideri il suo popolo
corruttibile e, entro ampi limiti, già corrotto. Come il Libro
dei Vigilanti, quello dei Giubilei avverte che coloro che non
rispettano il patto con Dio sono esseri sedotti dalle forze
del male, angeli caduti.
Nonostante tali avvertimenti, dal Il secolo a.C. fino a
oggi, la maggioranza ebraica ha respinto sia il settarismo,
sia l'universalismo, che invece, nella parte preponderante
dei cristiani, avrebbe finito col sostituire la distinzione et­
nica. In genere gli ebrei, compresi quelli che si schierarono
con i Maccabei contro i sostenitori dell'assimilazione, si
sono sempre identificati con Israele nel complesso.
Per esempio, anche l'autore del libro biblico di Daniele,
72 Satana e i suoi angeli

composto durante la crisi che si ebbe durante la guerra


dei Maccabei, appoggia questi ultimi e auspica che gli
ebrei evitino la contaminazione, che avviene mangiando
insieme ai gentili, sposandosi con loro o venerando le loro
divinità. Per incoraggiare gli ebrei a mantenersi fedeli a
Israele, il libro si apre con la celebre storia del profeta Da­
niele, condannato a morte dal re babilonese perché prega­
va con devozione il suo Dio. Gettato in una fossa di leoni
per essere sbranato, Daniele viene salvato divinamente;
«il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fau­
ci dei leoni» (Dan 6,23) cosi che il coraggioso profeta ne
uscisse illeso.
Come gli autori dei libri dei Giubilei e dei Vigilanti, an­
che quello di Daniele scorge una spaccatura morale all'in­
terno di Israele e mette in guardia che alcune persone
«avranno apostatato dall'alleanza, ma quando riconosco­
no il proprio Dio si fortificheranno e agiranno» (Dan
11 ,32). Benché sia interessato alle questioni morali, egli
non dimentica mai l'identità etnica: ciò che lo preoccupa
sopra ogni altra cosa è il destino morale di Israele nel suo
complesso. Diversamente dagli autori dei libri dei Vigilan­
ti e dei Giubilei, quello di Daniele non immagina nessun
nemico appartenente a una qualche setta, né umano né
divino. Profondamente afflitto per i peccati di Israele, egli
non condanna mai molti membri, e tanto meno la mag­
gioranza, del suo popolo come traditori; di conseguenza
non parla mai di Satana, Semihazah, Azazel, Mastema,
Belial, né di angeli caduti di alcun genere.
Sebbene non compaiano diavoli nel mondo di Daniele,
ci sono angeli, e ci sono nemici. Il profeta presenta gli op­
positori esterni, sovrani degli imperi persiano, medo ed
ellenistico, secondo i tradizionali schemi dell'immagina­
rio, come bestie mostruose. In un'unica visione, la prima
bestia è «simile ad un leone e aveva ali di aquila» (Dan
7,4); la seconda «come simile ad un orso» (Dan 7,5) che
sbrana ferocemente la sua preda; la terza come un leopar­
do «la quale aveva quattro ali d'uccello sul dorso ... [ e]
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 73

quattro teste» (Dan 7,6); e «una quarta bestia, spaventosa,


terribile e d'una forza eccezionale, con denti di ferro: di­
vorava, stritolava e il rimanente lo metteva sotto i piedi»
(Dan 7,7). In un'altra visione, Daniele distingue un capro
con le coma che l'angelo Gabriele gli spiega essere «il re
di Grecia». In tutte le visioni di questo profeta gli animali
mostruosi rappresentano sovrani e nazioni straniere che
minacciano Israele. Quando Daniele, tremando per sgo­
mento e terrore, prega per il suo popolo, viene ricompen­
sato con l'assicurazione divina che tutti gli israeliti che ri­
marranno fedeli a Dio sopravviveranno (dr. Dan 1 2,1-3).
Tale libro riafferma dunque con forza l'integrità dell'iden­
tità morale ed etnica di Israele. È per questo motivo, a mio
avviso, che Daniele, diversamente da altri analoghi testi
apocalittici come i libri dei Vigilanti e dei Giubilei, è com­
preso nella raccolta canonica che chiamiamo Bibbia ebrai­
ca, e non è relegato tra gli apocrifi.
La maggioranza degli ebrei - in ogni caso coloro che
compilarono la Bibbia ebraica e che attingevano a essa -
sembrava approvare la riaffermazione di Daniele della
tradizionale identità di Israele. Tra quelli che tenevano in
grande considerazione testi come i libri di Enoch e dei
Giubilei, invece, probabilmente vi era una minoranza più
propensa a identificarsi con un gruppo di ebrei in con­
trapposizione a un altro, cosa che Daniele si era rifiutato
di fare. La maggior parte di coloro che presero posizione
nell'ambito della comunità, tuttavia, si fermò molto prima
di scatenare una guerra civile incondizionata tra gruppi
ebraici. Ci fu rono però notevoli eccezioni. A partire
dall'epoca della guerra dei Maccabei, le sette più radicali
che abbiamo ricordato - prima fra tutte i cosiddetti esseni
- collocarono questo scontro cosmico tra angeli e demoni,
Dio e Satana, proprio al centro della loro cosmologia e
della loro politica . In tal modo, gli esseni esprimevano
l'importanza che attribuivano al loro contrasto con la
maggior parte degli altri ebrei, che essi ritenevano desti­
nati alla dannazione.
74 Satana e i suoi angeli

Secondo molti studiosi possiamo farci un'idea degli es­


seni dalle testimonianze di loro contemporanei del I seco­
lo come Flavio Giuseppe, Filone di Alessandria e il geo­
grafo e naturalista romano Plinio il Vecchio, nonché dalle
rovine del loro abitato, scoperte negli anni Quaranta, do­
ve fu rinvenuta anche la biblioteca sacra, i cosiddetti roto­
li del Mar Morto. Flavio Giuseppe stesso, all'età di sedici
anni, rimase affascinato da questa comunità austera e
schiva: egli afferma che «praticavano grande santità» ed
erano un gruppo straordinariamente unito («si amavano
molto a vicenda»).38 Come Filone, egli nota con un certo
stupore che questa setta osservava rigorosamente il celi­
bato, forse perché sceglieva di vivere secondo i dettami
biblici per la guerra santa, che proibiscono i rapporti ses­
suali durante i conflitti. Ma la guerra in cui essa si vedeva
coinvolta era quella di Dio contro le forze del male, uno
scontro cosmico in cui si aspettava che il Signore avrebbe
premiato la sua fedeltà. Gli esseni inoltre affidavano soldi
e averi ai loro capi per vivere «senza far uso di denaro»,
come annota Plinio, in una comunità monastica.39
I membri di questa setta, devoti e ardenti, vedevano
l'occupazione straniera della Palestina - e l'adattamento
della maggioranza degli ebrei a essa - come la prova che
le forze del male si erano ormai impossessate del mondo.
Le stesse forze, sotto forma di Satana, Mastema o del Prin­
cipe delle Tenebre, si erano infiltrate e impadronite persi­
no del popolo di Dio, trasformandone la maggior parte in
alleati del Maligno.
Il movimento degli esseni si profilò nel corso delle con­
troversie su purezza e assimilazione che seguirono la
guerra dei Maccabei, e crebbe durante l'occupazione ro­
mana del I secolo fino ad annoverare più di quattromila
adepti. Mai citate nella regola della comunità, le donne
sembra che non avessero i requisiti per esservi ammesse.
Infatti, le donne e i bambini, i cui resti sono stati trovati
tra quelli di centinaia di uomini sepolti nel cimitero nei
dintorni di Qumran, probabilmente non facevano parte
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraic:t1 ai Vangeli 75

della comunità.40 (Tuttavia, siccome gli scavi del cimitero


non sono ancora stati completati, queste conclusioni non
possono essere considerate definitive.) Numerosi membri
subordinati della setta, tra cui pare ci fossero molti uomini
sposati, vivevano in varie città della Palestina, continuan­
do a esercitare normali professioni, mentre si sforzavano
di consacrarsi a Dio; i più zelanti, invece, si ritiravano per
protesta dall'ordinaria vita ebraica per formare il loro
«nuovo Israele», la comunità monastica riunita nelle grot­
te del deserto prospicienti il Mar Morto.41 Là, seguendo la
severa regola della setta, si vestivano solamente in bianco
e adattavano ogni dettaglio della loro vita secondo rigoro­
se interpretazioni della Legge indicate dalle loro autorità
sacerdotali.
Nei loro testi sacri, come il grande Rotolo della guerra dei
.figli della luce contro i figli delle tenebre, i fratelli potevano
leggere che Dio aveva concesso loro il Principe della Luce
quale alleato soprannaturale per aiutarli a lottare contro
Satana e contro i suoi sostenitori umani: «Principe della
luce, tu hai stabilito di venire in nostro aiuto: ma Satana,
l'angelo Mastema, tu l'hai creato per gli inferi; egli gover­
na nelle tenebre, e il suo scopo è di provocare il male e il
peccato» (l QM 19,10-12). Gli esseni si definivano «figli
della luce» e accusavano la maggioranza degli ebrei di es­
sere «figli delle tenebre», la «congregazione dei traditori»,
persone che «Si allontanano dalla via, perché hanno tra­
sgredito la legge e violato i precetti» (CD 1 ,13-20). Essi
reinterpretano l'intera storia di Israele nella chiave di que­
sta guerra cosmica. Anche in principio, dicono, «il Princi­
pe della Luce sollevò Mosè» (CD 5,18), ma il Maligno, qui
chiamato Beliar, gli provocò delle ostilità tra la sua stessa
gente. Da allora in poi, e soprattutto adesso, Beliar ha teso
trappole con cui vuole «catturare Israele», perché Dio me­
desimo ha «sguinzagliato Beliar contro Israele» (CD 4,13).
Ora i «figli della luce» attendono impazienti il giorno del
giudizio, quando sono convinti che Dio verrà con tutti gli
76 Satana e i suoi angeli

eserciti del cielo per distruggere la maggioranza corrotta


insieme ai nemici esterni di Israele.
Se Satana non fosse già esistito nella tradizione ebraica,
gli esseni lo avrebbero inventato. Nel Libro dei Vigilanti, in­
fatti, gli angeli caduti incoraggiano, nel loro agire, coloro
che violano il patto con Dio. Ma gli esseni si spingono
molto oltre e pongono al centro della loro concezione reli­
giosa la guerra cosmica di Dio e dei suoi sostenitori, ange­
lici e umani, contro Satana o Beliar insieme ai suoi alleati
demoniaci e umani. Gli esseni si collocano proprio al cen­
tro d i questo scontro tra paradiso e inferno. Pur detestan­
do i tradizionali nemici di Israele, che chiamano kittim
(probabilmente un epiteto in codice per indicare i roma­
ni), 42 lottano molto più duramente contro i correligionari
israeliti, che appartengono alla «congregazione di Beliar».
David Sperling, studioso dell'antico Vicino Oriente, so­
stiene che il nome Belial o Beliar può essere un gioco di
parole su belf 'or, «senza luce».43 Essi fanno ricorso a Sata­
na - o Beliar - per descrivere la loro insanabile opposizio­
ne a i «figli delle tenebre» nella guerra che ha luogo con­
temporaneamente in cielo e sulla terra. Si aspettano che
presto Dio giungerà al potere, con i suoi angeli santi, e fi­
nalmente sconfiggerà le forze del male e inaugurerà il re­
gno di Dio.
Gli esseni concordano con il Libro dei Giubilei sull'idea
che essere ebrei non sia più sufficiente per avere la garan­
zia della benedizione di Dio. Di tale convinzione danno
però un'interpretazione ancor più radicale: i peccati del
popolo hanno pressoché annullato il patto di Dio con
Abramo, sul quale si basa l'elezione di Israele. Ora, sotto­
lineano, chi vuole appartenere al vero Israele deve aderire
a un nuovo patto, il patto della loro congregazione.«
Chiunque chieda di entrare nella comunità del deserto
deve prima confessarsi colpevole di peccati, colpevole,
evidentemente, di aver partecipato all'apostasia collettiva
di Israele contro Dio. Poi il candidato intraprende una se­
rie di diversi anni di prova nel corso della quale consegna
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 77

i propri beni ai capi della comunità e giura di rispettare


l'astinenza sessuale oltre alla purezza rituale in qualsiasi
cosa mangi, beva, pronunci o tocchi. Durante tale periodo
deve evitare il contatto con le pentole, i piatti o le stoviglie
in cui i membri della comunità preparano il cibo per tutti.
Se giura o si lamenta delle autorità del gruppo, può essere
espulso all' is tante; se sputa o pa rla al momento sbagliato,
incorre in severe pena lità .
Il ca nd id ato che finalmente ottiene di essere ammesso
deve unirsi, durante la cerimonia di iniziazione, all'intera
comunità nella benedizione di tutti quelli che a ppartengo­
no al nuovo patto e nella maledizione rituale di tutti colo­
ro che ne sono esclusi, che fanno parte d egli «uomini di
Beliar». A questo punto i capi rivelano i segreti di angelo­
gia all'iniziato il qua l e, secondo Flavio Giuseppe, deve
giurare solennemente di «tenerli segreti» (La guerra giudai­
ca II 8). Attraverso pratiche di purezza, di preghiera e di
venerazione, il nuovo a depto si sforza di congiungersi al­
la compagnia degli angel i . Come la storica Caro! Newso­
me ha mostrato, il culto d egli esseni - analogamente alla
liturgia cristiana d i oggi - raggiunge il suo acme quando
la comunità sulla terra si un isce agli angeli dei cieli nel
cantare l'inno di gloria («Santo, santo, santo Signore Dio
dell'universo; i cieli e la terra sono pieni della tua glo­
ria» ).45 I testi sacri esseni come il Rotolo della guerra dei figli
della luce contro i figli delle tenebre rivela no segreti di ange­
logia, che i membri della setta consideravano informazio­
ni preziose e necessarie, perché ritenevano essenziali per
il loro senso di identità - e quindi per il modo in cui iden­
tificavano gli altri - la conoscenza e la comprensione delle
interrelazioni delle forze soprannatural i, sia del bene sia
del male.46 •

Gli esseni, inoltre, sono il gruppo che più si avvicina al­


la descrizione di Marco dei seguaci di Gesù, poiché ricor­
rono a immagini di guerra cosmica per dividere l' univer­
so in generale - e la comunità ebraica in particolare - tra
popolo di Dio e popolo di Sa tana. Tu t ta via i due movi-
78 Satana e i suoi angeli

menti differiscono in misura sensibile, soprattutto in rela­


zione agli « esterni » . Il patto degli esseni, come abbiamo
visto, era infatti estremamente esclusivo, limitato non sol­
tanto agli ebrei - che dovevano essere liberi e maschi -,
ma a quei poch i devoti che di loro spontanea volontà si
sottomettevano al «nuovo patto». Quanto al movimento
di Gesù, invece, sebbene Marco e Matteo ne scorgessero le
origini anzitutto nel contesto della comunità ebraica, in
seguito si sarebbe diffuso sempre più nel mondo esterno
dei gentili.
Benché assai esclusivi, gli esseni paradossalmente ven­
nero trascinati dalle loro obiezioni alle tendenze assimila­
zioniste dei correligionari ebrei nella direzione universali­
sta indicata dal Libro dei Vigilanti e dal Libro dei Giubilei.
(Peraltro essi conservavano gelosamente entrambi questi
tes ti nella loro biblioteca monastica; Giubilei, scrisse un
anonimo esseno, è un libro che rivela segreti divini «a cui
Israele ha rivolto un occhio cieco» [CD 16,2].) Mettendo in
secondo piano l' iden ti tà di membri di Israele, non in
quanto sbagliata, ma perché inadeguata, ed enfa tizzando
il va lore dell'identificazione morale su quella etnica, gli
esseni superarono i loro predecessori. Quando descrivono
la lotta del Principe della luce contro quello delle tenebre,
non riconoscono più nel primo l'arcangelo Michele, il pa­
trono angelico di Israele.47 Al contrario, essi immaginano
il Principe della luce come un'energia universale che com­
batte contro una forza cosmica di opposizione, il Principe
delle tenebre. Per gli esseni queste due forze non rappre­
sentano solamente i contrasti che essi hanno con i loro ne­
mici, ma anche un confli tto presente in ogni persona, nel­
lo stesso cuore umano: «Gli spiriti della veri tà e della
menzogna lottano all'interno del cuore umano . .. A secon­
da della sua parte di vero e di giusto, un uomo in propor­
zione odia le bugie; e a seconda della sua parte di falsità,
odia la verità» (1 QS 4). Gli esseni, ovviamente, davano
per scontata la loro identificazione con Israele. Siccome
pretendevano che ogni iniziato al loro patto fosse ebreo,
La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli 79

maschio e libero, per loro «ogni persona» significava in


pratica solamente ogni ebreo che avesse tali caratteristi­
che. Alcuni seguaci di Gesù, invece, soprattutto dopo il
100, posti di fronte a reazioni scoraggianti per il loro mes­
saggio all'interno della comunità ebraica, avrebbero attin­
to a questi temi universalistici aprendo il movimento ai
gentili.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, anche i
seguaci di Gesù, secondo Marco, fanno ricorso a immagi­
ni di guerra cosmica per suddividere l'universo in genera­
le - e la comunità ebraica in particolare - tra popolo di
Dio e popolo di Satana. Marco, come gli esseni, legge que­
sta lotta essenzialmente in termini di conflitto tra ebrei. Lo
stesso vale per il seguace di Gesù cui abbiamo dato il no­
me di Matteo, che, come illustreremo nel prossimo capito­
lo, riprese e reinterpretò il Vangelo di Marco circa dieci o
vent'anni più tardi. Attenendosi allo schema fondamenta­
le di Marco, Matteo lo abbelll e, in concreto, lo attualizzò,
collocando la storia di Cristo in un contesto più significa­
tivo per il mondo ebraico del suo tempo, la Palestina
dell'S0-90 circa. Mentre Matteo scriveva, i seguaci di Gesù
erano un gruppo marginale contrapposto al partito domi­
nante dei farisei, che aveva acquisito potere a Gerusalem­
me nei decenni successivi alla guerra contro i romani.
Nella parte centrale della versione di Matteo del Vangelo,
i «nemici interni» infatti diventarono anzitutto i farisei.
Più o meno nello stesso periodo, un altro seguace di
Gesù, che la tradizione chiama Luca, riprese il testo di
Marco e lo sviluppò in modo che rispondesse alla sua pro­
spettiva, apparentemente quella di un gentile convertito.
Tuttavia Luca, fervente come \!Il esseno, descrive la pro­
pria setta come quella che meglio rappresenta Israele; se­
condo lui, come vedremo, i seguaci di Gesù sono presso­
ché gli unici veri israeliti rimasti.
Verso la fine del secolo, circa nel 90-100 d.C., l'autore
che chiamiamo Giovanni offre un'audace interpretazione
degli avvenimenti. Molti studiosi concordano che il Van-
80 Satana e i suoi angeli

gelo a lui attribuito presenti il punto di vista di un gruppo


settario radicale allontanato dalla comunità ebraica per­
ché i suoi membri sono stati cacciati dalle rispettive sina­
goghe per aver affermato che Gesù è il Messia. Come gli
esseni, Giovanni parla in maniera eloquente dell'amore
tra coloro che appartengono a Dio (cfr. Gv 10,14); al tempo
stesso, la sua fiera polemica contro quelli che qualche vol­
ta definisce semplicemente «gli ebrei» ricorda, per vee­
menza, il tono degli esseni.
Cerchiamo, allora, di capire come ciascuno degli autori
di questi Vangeli neotestamentari reinterpretò il messag­
gio di Marco a seconda dei cambiamenti che il movimen­
to cristiano subi nel corso di tutto il I secolo.
III

La campagna di Matteo contro i farisei:


lo schieramento del diavolo

I seguaci di Gesù riuscirono, assai più di quanto molti di


loro si aspettassero - o forse addirittura sperassero -, a
conquistare nuovi adepti fra i gentili (il termine latino per
indicare le «nazioni», gentes}, ma, per loro delusione, falli­
rono in larga misura con gli ebrei. Tra il 70 e il 100 questo
movimento, che si presentò, con le parole di George
Nickelsburg, da «ritardatario tra le sette e i gruppi nel
giudaismo del dopo esilio»,1 crebbe rapidamente. Benché
spesso fossero ebrei, i fedeli di Cristo dimostrarono sem­
pre più la tendenza a separarsi dagli altri ebrei, di fre­
quente incontrandosi per praticare il culto nella casa di
qualcuno di loro anziché nelle sinagoghe. Tale situazione,
tuttavia, preoccupava molti cristiani, che tenevano a sot­
tolineare di non aver voluto abbandonare i costumi tradi­
zionali, ma di essere stati obbligati a farlo perché respinti
dalle autorità ebraiche e qualche volta addirittura espulsi
dalle rispettive sinagoghe.
Mentre il movimento ispirato a Gesù si diffondeva in
tutto il mondo romano, numerosi suoi membri a poco a
poco smisero di osservare alcune pratiche prettamente
ebraiche, in particolare la circoncisione, e anche le norme
relative alla dieta e al sabato. Intorno al 100, in varie regio­
ni, tra cui la Grecia, l'Asia Minore, l'Italia e l'Bgitto, molte
chiese cristiane erano ormai diventate in ampia misura
gentili. Questi cristiani, nondimeno, seguitavano ad asse­
rire di essere i soli a incarnare veramente Israele. George
Nickelsburg sottolinea l'ironia della loro situazione: « un•..
82 Satana e i suoi angeli

gruppo giovane, nato dal nulla, i cui membri erano rapi­


damente e radicalmente cambiati, andava affermando di
essere più autentico di quello che lo aveva generato; e
questa attitudine di superiorità ed esclusività derivava, in
parte, da idee e attitudini già presenti nel corpo madre».2
Come nota lo storico e studioso del Nuovo Testamento
Wayne Meeks, il sentiero che conduceva alla separazione
non era affatto piano né sempre uguale.3 Abbiamo già vi­
sto che le comunità ebraiche sparse per tutta la Palestina e
per le città delle province imperiali non soltanto erano in­
trinsecamente diverse, ma, a seguito della guerra, stavano
anche subendo delle complesse trasformazioni. Ebbene, i
numerosi gruppi di convertiti al cristianesimo erano, se
possibile, ancor più difformi al loro interno, perché spesso
comprendevano sia gentili sia ebrei. Queste comunità di
seguaci di Gesù si battevano per potersi porre in relazione
con quelle ebraiche dalle cui Scritture e tradizioni aveva­
no ampiamente attinto.
Al tempo stesso non tutti i cristiani abbandonavano le
pratiche ebraiche. Nei decenni successivi alla morte di Ge­
sù, molti suoi seguaci probabilmente non intendevano
smettere di rispettarle in toto. Il gruppo di Gerusalemme
che faceva capo al fratello di Cristo Giacomo, per esempio,
continuò a osservarle, conformandosi all'esempio di questi
(da cui il soprannome «Giacomo il Giusto» o «il Retto»).
Altri gruppi, invece, come quelli che si richiamavano agli
insegnamenti ispirati a Pietro, iniziarono a interpretare in
maniera diversa i dettami sulla dieta e sul sesso. Le comu­
nità che si identificavano con Paolo, il fariseo convertito, si
attenevano in ampia misura alla sua idea che «Cristo è la fi­
ne della legge per chiunque crede», sia ebreo sia gentile.4 La
maggior parte dei cristiani faceva appello all'apostolo per
affermare che praticare la circoncisione e rispettare le leggi
kasher e le festività ebraiche era in netta contrapposizione
all'adesione al Vangelo; inoltre la predicazione di Paolo at­
tirò numerosi nuovi convertiti tra i gentili che frequentava­
no le congregazioni delle sinagoghe ebraiche.
lA campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diaoolo tn

Se guardiamo agli altri tre Vangeli compresi, insieme a


quello di Marco, nel Nuovo Testamento e composti tra il 70
e il 100, vi possiamo scorgere il profilo di tre importanti co­
munità, ciascuna delle quali si sta gradualmente distin­
guendo dal rispettivo gruppo ebraico d'origine e sta ten­
tando di formare un nuovo modello tipicamente cristiano
di identità collettiva. Lo studioso del Nuovo Testamento
I<rister Stendahl definisce il Vangelo di Matteo un tipo di
«regola della comunità» molto più liberale di quella degli
esseni.5 Il Vangelo di Luca, scritto forse dall'unico autore
gentile del Nuovo Testamento per una comunità formata
prevalentemente da gentili, sottolinea che il suo gruppo ha
ereditato da Israele l'elezione a popolo di Dio. L'autore del
Vangelo di Giovanni, probabilmente un ebreo, descrive in­
vece una comunità molto compatta, formata da «quelli di
Gesù», persone che seguono l'ordine di Cristo di «amarsi
l'un l'altro» (dr. Gv 15,12), mentre considerano i loro oppo­
sitori ebraici progenie di Satana.
Che questi Vangeli presentino simili modelli di identità
di gruppo - modelli che da allora hanno improntato le
chiese cristiane - non è certamente un caso. I quattro Van­
geli raccolti nel Nuovo Testamento furono canonizzati in­
torno al 200, sembra secondo un unanime consenso ecu­
menico, che andava dalle chiese provinciali della Gallia a
quella della capitale Roma, e furono scelti non necessaria­
mente perché fossero i più antichi o più dettagliati resocon­
ti della vita e dell'insegnamento di Gesù, ma in particolare
perché potevano costituire una base per le comunità eccle­
siastiche.
I Vangeli canonici non erano certo gli unici resoconti
esistenti sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù. Negli
anni che seguirono la sua morte, furono raccontate, di
prima o di seconda mano, storie su di lui e sui suoi disce­
poli, non soltanto in Palestina, ma anche per tutta l'Asia
Minore, la Grecia, l'Egitto, l'Africa, la Gallia e la Spagna.
Circa vent'anni dopo la crocifissione, quando Paolo viag­
giava tra le sinagoghe di Antiochia, capitale della Siria, la
84 Satana e i suoi angeli

Grecia e Roma per proclamare «il Vangelo di Gesù Cri­


sto», non c'erano ancora dei Vangeli scritti. Secondo
l'apostolo, «il Vangelo» consisteva in quello che egli pre-­
dicava e così riassumeva: «Cristo morl per i nostri peccati
secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo
giorno» (1 Cor 1 5,3-4). Benché parlasse nelle sinagoghe,
Paolo aveva un pubblico formato rnprattutto da gentili,
molto spesso da gentili che erano stati attirati a entrare in
congregazioni ebraiche. In larga misura erano persone
trasferitesi dalle rispettive città d'origine in centri in
espansione ed eterogenei come Antiochia in Siria, Efeso
in Asia Minore e Corinto in Grecia. Proclamando che
ebrei e gentili, schiavi e liberi, uomini e donne ora pote­
vano diventare «uno in Gesù Cristo» (Gal 3,28), Paolo co­
stituiva, con coloro che battezzava, quei gruppi assai
coesi che Wayne Meeks chiama «i primi cristiani urbani»:
aggregazioni etnicamente disomogenee dove si mescola­
vano commercianti, schiavi, nonché i loro facoltosi finan­
ziatori, uniti per aiutarsi e sostenersi a vicenda in attesa
che Cristo ritornasse in gloria.6 Nello scrivere a diverse
congregazioni durante i suoi viaggi, Paolo, di tanto in
tanto, faceva riferimento a un «detto del Signore». Una
volta ricorse all'autorità di Gesù per proibire il divorzio
(dr. 1 Cor 7,10); un'altra spiegò come Cristo avesse ordi­
nato ai discepoli di compiere il rito di mangiare pane e
bere vino perché così «annunziate la morte del Signore
finché egli venga» (1 Cor 11 ,26).
Tuttavia, Paolo non aveva alcun interesse per la vita
terrena di Gesù, né a raccogliere i suoi discorsi. Altri cri­
stiani, invece, iniziarono a riunire i detti di Cristo e ad an­
notarli.7 La Lettera di Giacomo, una delle molte tradizioni
che circolarono dopo la morte di Gesù, presenta una de­
scrizione schematica di questo processo: «I dodici disce­
poli erano seduti tutti insieme e ricordavano quanto il
Salvatore aveva detto a ognuno di loro sia in segreto sia
apertamente e lo annotavano in libri».8 Di fatto, non sola­
mente «i dodici» presenti nella tradizione cristiana, ma
La campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo 85

molti altri accorparono i detti di Gesù in diverse antolo­


gie. La maggior parte degli studiosi è concorde nell' affer­
mare che una raccolta di detti tradotti dall'aramaico, la
lingua parlata da Cristo, in greco, circolò ampiamente nel
corso del I secolo, malgrado a noi non ne sia giunta alcu­
na copia . Se ciascuno degli autori dei Vangeli avesse tra­
dotto autonomamente i discorsi di Gesù, dovremmo
a spettarci di trovare delle differenze nella resa delle sue
parole. Invece, Vangeli diversi come quelli di Matteo e
Luca, o anche il Vangelo di Tommaso, escluso dal Nuovo
Testamento, citano tutti i discorsi di Gesù nella medesima
traduzione. Questo fatto induce a pensare che essi si rife­
rissero alla fonte comune cui gli studiosi hanno assegnato
il nome di Q (da Quelle, il termine tedesco che significa
« fonte») .9 A tale fonte dobbiamo molti discorsi famosi, tra
cui le Beatitudini («Beati siete voi poveri, perché vostro è
il regno dei cieli .. . ») e il passo che ci è pervenuto tramite il
Vangelo di Matteo con il nome di Discorso della monta­
gna (che diventa, nel Vangelo di Luca, il Discorso della
piana). Altri detti ci sono noti, invece, da frammenti di
papiro che si sono preservati in climi asciutti come quello
dell'Alto Egitto. Dalla fine dell'Ottocento e per tutto il
nostro secolo, gli archeologi, scavando in E gitto, hanno
rinvenuto, infatti, fogli di papiro che contengono scorci
sulla tradizione di Gesù: per esempio una storia in cui
egli salva un lebbroso, o un'altra in cui riporta in vita un
giovane morto.10 Alcuni di questi frammenti restituiscono
detti enigmatici che altrimenti non conosceremmo: «Gesù
disse: "Io sono la luce che è sopra tutti loro. Sono io che
sono il tutto. Da me è proceduto tutto e a me si estende il
tutto. Spaccate un pezzo di legno, e io sono lì. Alzate una
pietra, e mi troverete lì" ».
Mentre proliferavano storie, detti e aneddoti, tra i vari
gruppi cristiani sparsi per tutto il mondo romano circola­
vano diverse interpretazioni della vita e delle dottrine di
Gesù. Che cosa Cristo avesse effettivamente insegnato di­
venne spesso materia di aspre dispute, come possiamo
86 Satana e i suoi angeU

constatare dal Vangelo di Maria Maddalena, un'altra fonte


antica scoperta in Egitto nel 1896 su frammenti di papiro.
Questo notevole testo, analogamente ad altri non canoni­
ci, inserisce Maria Maddalena tra i discepoli e, addirittu­
ra, la descrive come uno dei più amati, a cui Gesù confidò
insegnamenti segreti. I l Nel brano che segue, Pietro, per
primo, rivolge a Maria una richiesta: «Sorella, noi sappia­
mo che il Redentore ti amò più di tutte le altre donne. Dic­
ci le parole del Salvatore che ricordi, che . . . noi non [cono­
sciamo] e che non abbiamo udito». Dopo la risposta di
Maria, che rivela a Pietro l'insegnamento segreto sul viag­
gio spirituale dell'anima, Andrea obietta: «Racconta ciò
che vuoi su quello che lei ha detto. lo, almeno, non credo
che il Redentore abbia detto simili cose. Di certo questi in­
segnamenti sono strane idee». Anche Pietro mette in dub­
bio la sincerità di Maria: «Parlò egli effettivamente con
una donna senza che noi lo sapessimo e in segreto? Dob­
biamo volgerci a lei e ascoltarla? La amò più di quanto
amasse noi?». Maria protesta: «Fratello Pietro, che cosa
pensi? Pensi che abbia inventato queste cose in cuor mio?
Pensi che stia mentendo sul Signore?» (cfr. Vangelo di Ma­
ria Maddalena 17,18 18,15). Poi Levi interviene per com­
-

porre il diverbio dicendo che «il Redentore la conosceva


molto bene, e la considerava degna» di ricevere tali inse­
gnamenti. Al termine del Vangelo di Maria Maddalena gli
apostoli accettano di accogliere i suoi insegnamenti e si
preparano per uscire a predicare.
La maggior parte dei gruppi cristiani, invece, compreso
quello di Roma che faceva riferimento a Pietro, spesso de­
scritto come l'antagonista di Maria, respinse simili pretese
rivelazioni in nome del fatto che lei non faceva parte del
gruppo dei «dodici», e rifiutò anche molti altri «vangeli»
che circolavano ampiamente. Per la fine del II secolo, al­
cune autorità ecclesiastiche cominciarono a denunciare si­
mili dottrine come «eresie».
Nel 1945 la straordinaria scoperta a Nag Hammadi di
una biblioteca nascosta in cui erano contenuti antichi
La campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo f!7

scritti cristiani estese sensibilmente la nostra conoscenza


delle prime fasi del movimento.12 In questa sede non pos­
siamo prendere in esame quel ritrovamento per cui ri­
mando al mio libro I Vangeli gnostici; tuttavia, soltanto get­
tando uno sguardo a uno dei Vangeli riportati alla luce in
tale occasione, rifiutato dalla maggior parte delle autorità
ecclesiastiche che ebbero modo di leggerlo, possiamo
comprendere con maggior chiarezza per quali ragioni es­
se preferissero i quattro del Nuovo Testamento. Il Vangelo
di Tommaso si apre cosi: «Queste sono le parole segrete che
Gesù il Vivente ha detto e che il gemello Giuda Tommaso
ha scritto». Cristo aveva forse un fratello gemello, come il
testo lascia intendere? Questo Vangelo poteva essere una
testimonianza autentica delle sue parole? Secondo il tito­
lo, il testo conteneva il Vangelo secondo Tommaso. Tutta­
via, diversamente da quelli neotestamentari, si definiva
«segreto». Esso conteneva molte affermazioni - soprattutto
tratte dalla fonte Q - paragonabili alle versioni che ne ve­
nivano date nel Nuovo Testamento; ma anche altre straor­
dinariamente diverse, singolari e assertorie come senten­
ze Zen: «Gesù disse: "Quando dovrete mostrare quello
che possedete dentro di voi, ciò che avete vi salverà; ma se
non lo possedete dentro di voi, ciò che non avete vi per­
derà" » , 1 3
Sebbene la versione completa del testo di Tommaso,
scritta in copto, probabilmente sia databile nel III o nel N
secolo d.C., il suo nucleo originario sembra che sia stato re­
datto in greco, forse molto prima.t•Secondo lo studioso del
Nuovo Testamento Helmut Koester, Tommaso contiene
una serie di detti di Gesù antecedente ai quattro Vangeli
canonici.ISSe Marco, il più antico di questi, fu composto in­
torno al 70, Tommaso, egli afferma, può essere fatto risalire
a una generazione prima. Benché molti studiosi contestino
tale periodizzazione, il Vangelo di Tcmzmaso, scoperto meno
di cinquant'anni fa, richiama, per certi aspetti, il genere di
fonte utilizzata dagli autori di Matteo e di Luca.
Perché il Vangelo di Tommaso fu nascosto, insieme a mol-
88 Satana e i suoi angeli

ti altri che sono rimasti pressoché sconosciuti per quasi


duemila anni? Conservati in origine nella biblioteca sacra
del più antico monastero d'Egitto, questi libri furono se­
polti, sembra, intorno al 370, dopo che l'arcivescovo di
Alessandria li ebbe messi all'indice per i cristiani di tutto
il paese in quanto «eretici» e ne ebbe chiesto la distruzio­
ne. Duecento anni prima, tali opere erano già state attac­
cate da un altro vescovo di zelante ortodossia, Ireneo di
Lione. Questi fu il primo, a quanto ci risulta, a definire ca­
nonici i quattro Vangeli del Nuovo Testamento e a esclu­
dere gli altri. Preoccupato che dozzine di Vangeli circolas­
sero tra i cristiani in tutto il mondo e, quindi, anche nella
comunità di lingua greca immigrata in Gallia, Ireneo de­
nunciava come «eretici» quelli che «Si vantano di avere
più Vangeli di quanti in realtà non ce ne siano . . . ma in
realtà, non hanno Vangeli che non siano pieni di blasfe­
mie».16 Soltanto i quattro Vangeli del Nuovo Testamento,
Ireneo insisteva, sono autentici. Qual era il suo ragiona­
mento? Egli asseriva che, proprio come ci sono soltanto
quattro venti fondamentali e quattro angoli dell'universo
e quattro colonne che sorreggono il cielo, così ci possono
essere esclusivamente quattro Vangeli. Poi, aggiungeva,
soltanto i Vangeli del Nuovo Testamento erano stati scritti
da veri discepoli di Gesù (Matteo e Giovanni) o da loro se­
guaci (Marco, allievo di Pietro, e Luca, di Paolo).
Oggi pochi studiosi della materia concordano con Ire­
neo; nonostante i Vangeli neotestamentari - come anche
quelli scoperti a Nag Hammadi - siano attribuiti a disce­
poli di Gesù, di nessuno di essi si conosce il vero autore;
inoltre, quello che si sa sulla loro datazione rende, in ogni
caso, molto improbabile quanto tradizionalmente si dava
per presupposto. Comunque, le affermazioni di Ireneo ci
ricordano che la raccolta di libri che chiamiamo Nuovo
Testamento fu compilata intorno al 180-200. Prima di
quell'epoca, molti Vangeli circolavano per le comunità
ebraiche sparse dall'Asia Minore alla Grecia, a Roma, alla
Gallia, alla Spagna e all'Africa. Tuttavia, verso la fine del
La campagna di Matteo cot1tro i farisei: lo schieramento del diavolo 89

II secolo, i vescovi della chiesa che si definivano «ortodos­


si» dichiararono di accettare soltanto quattro di questi
Vangeli, denunciando gli altri, con le parole di Ireneo, co­
me «l' abisso dell'ignoranza e della bestemmia contro
Dio» .17 Di fronte alla minaccia della persecuzione, Ireneo
voleva consolidare i gruppi cristiani di tutto il mondo: i
Vangeli che egli approvava favorivano l'istituzionalizza­
zione del movimento, mentre quelli che denunciava come
«eretici» non erano utili a tale fine. Anzi alcuni, al contra­
rio, spingevano la gente a cercare accesso diretto a Dio
senza la mediazione della chiesa o del clero.
Il Vangelo di Tommaso, per esempio, pretende di offrire
insegnamenti segreti piuttosto differenti da quelli di Mar­
co, Matteo, Luca o Giovanni. Nel Vangelo di Marco, per
esempio, si legge che Gesù proclama che «Il tempo è com­
piuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al
vangelo» (Mc 1,15). Secondo questo evangelista, il mondo
è sul punto di subire una trasformazione cataclismica: Ge­
sù predice lotte, guerre, conflitti e sofferenze, seguite da
un evento che scuoterà la terra: la venuta del regno di Dio
(cfr. Mc 13,1-37). Nel Vangelo di Tommaso, invece, il «Regno
di Dio» non è un'entità che ci si aspetta si presenti nella
storia, né è un «luogo». Questo autore sembra ridicolizza­
re simili concezioni: «Gesù disse: "Se quelli che vi guida­
no vi dicono: 'Ecco! Il Regno è nel cielo' allora gli uccelli
del cielo vi saranno prima di voi. Se essi vi dicono: 'Il Re­
gno è nel mare', allora i pesci vi saranno prima di voi"».
Per Tommaso il regno rappresenta uno stato di scoperta
di se stessi: «Ma il Regno è dentro di voi, ed è fuori di voi.
Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete
che siete figli del Padre Vivente».1s Ma i discepoli, male
interpretando il Regno come un evento futuro, persistono
in domande ingenue: « "Quando verrà ... il nuovo mon­
do?". Ed egli disse loro: "Ciò che voi attendete è già venu­
to, ma voi non lo riconoscete" » . 1" Secondo il Vangelo di
Tommaso, poi, il Regno di Dio simboleggia uno stato di co­
scienza mutato: vi si entra quando si giunge a conoscersi.
90 Sata11Jl e i suoi angeli

Questo testo insegna che quando si giunge a conoscersi al


livello più profondo, contemporaneamente si giunge a co­
noscere Dio come la fonte del proprio essere.
Alla domanda: «Chi è Gesù?», il Vangelo di Tommaso offre
poi una risposta diversa da quelli del Nuovo Testamento.
Marco, per esempio, ritrae Cristo come un essere assoluta­
mente unico: il Messia, il re indicato da Dio. Secondo que­
sto evangelista, fu Pietro a scoprire il segreto della sua
identità: «Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi
intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi di­
scepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?" . Ed essi ri­
sposero: "Giovanni il Battista, altri poi Eli� e altri uno dei
profeti" . Ma egli replicò: "E voi chi dite c�� io sia?" . Pietro
gli rispose: "Tu sei il Cristo" . » (Mc 8,27-29). Il Vangelo di
Tommaso racconta la stessa storia, ma in forma diversa:
«Gesù disse ai suoi discepoli: "Fate un confronto con me e
ditemi a chi sono simile" . Gli disse Simone Pietro: "Tu sei
simile ad un angelo giusto" . Gli disse Matteo: ''Tu sei simi­
le a un filosofo di grande saggezza" . Gli disse Tommaso:
"Maestro, la mia bocca non è assolutamente in grado di di­
re a chi tu sei simile"» .20 L'autore di Tommaso qui interpre­
ta, per i lettori di lingua greca, l'affermazione di Matteo che
Gesù fosse un maestro rabbinico («filosofo di grande sag­
gezza») e la convinzione di Pietro che Gesù fosse il Messia
(«angelo giusto»). Cristo non smentisce questi suoi ruoli,
almeno non di fronte a Matteo e Pietro. Secondo Tommaso,
però, i due apostoli e le loro risposte - rappresentano un
-

livello inferiore di comprensione. Riconoscendo poi di non


poter assegnare un ruolo specifico a Gesù, egli trascende,
in quel momento stesso, il suo rapporto di discepolo con il
maestro. Cristo dichiara che Tommaso è diventato come
Lui stesso: «lo non sono più tuo maestro, perché tu sei eb­
bro: ti sei inebriato alla copiosa sorgente che è emanata da
me. . . . Colui che berrà dalla mia bocca diventerà come me,
nello stesso modo che io diventerò come lui, e le cose na­
scoste gli saranno rivelate». 21
Il Vangelo neotestamentario di Giovanni enfatizza, inve-
Ùl campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diamlo 91

ce, l'unicità di Gesù ancora più vigorosamente di Marco.


Secondo Giovanni, Gesù non è un semplice essere umano,
ma il divino ed eterno Verbo di Dio, «il figlio unigenito» di
Dio, che scende in terra sotto forma di uomo per riscattare
la razza umana dall'eterna dannazione: «Dio infatti ha tan ­

to amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché


chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna ... .

C hi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già


stato condannato, perché non ha creduto nel nome del­
l'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3, 16 e 18).
Come abbiamo visto, il messaggio di Tommaso è invece
del tutto diverso. Lungi dal considerarsi l' «unigenito» fi­
glio di Dio, Gesù qui dice ai suoi discepoli: «Quando
giungerete a conoscervi» (e scoprirete il divino dentro di
voi), allora «riconoscerete che siete voi i figli del Padre vi­
vente», proprio come Gesù! Il Vangelo di Filippo trae la
stessa conclusione in maniera più succinta: un uomo «non
diventa un cristiano, ma un Cristo». In questa chiave, a
mio avviso, bisogna interpretare l'attribuzione del Vangelo
di Tommaso al «fratello gemello» di Gesù. In realtà, «tu, let­
tore, sei il fratello gemello di Cristo», quando riconoscerai
il divino che è in te. Allora, come Tommaso, vedrai che tu
e Gesù siete, per così dire, gemelli identici.
Chi tenta di «diventare non un cristiano, ma un Cristo»
non guarda più, come fa la maggioranza dei credenti, so­
lamente a Gesù - e più tardi alla chiesa e alle sue autorità
- quale fonte di tutta la verità. Perciò, mentre il Gesù del
Vangelo di Giovanni dichiara: «lo sono la porta; chiunque
entra attraverso di me sarà salvo», l'Insegnamento di Silva­
no punta in una direzione diversa: «Bussate su voi stessi
come su una porta, e camminate su voi stessi come su una
strada diritta. Perché se camminate su quella strada, è im­
possibile che vi smarriate ... Aprite la porta per voi per sa­
pere che è Qualsiasi cosa apriate per voi, la aprirete».
...

Perché la maggioranza delle prime chiese cristiane ri­


fiutò alcuni testi, per esempio Tommaso, e ne accettò altri,
forse resoconti più tardi, come i Vangeli di Matteo, Luca e
92 Satana e i suoi angeli

Giovanni? Tommaso si rivolge a persone impegnate in un


processo di trasformazione spirituale, ma non risponde
alle molte domande concrete di numerosi potenziali con­
vertiti che vivevano nelle o attorno alle comunità ebraiche
sparse per tutte le città della Palestina e per le province
imperiali. Tali potenziali convertiti ponevano interrogati­
vi come: «Volete che digiuniamo? Come dobbiamo prega­
re? Dobbiamo fare l'elemosina? Che dieta dobbiamo se­
guire?». In breve, i credenti devono rispettare le pratiche
tradizionali ebraiche, o no? Secondo il Vangelo di Tommaso,
quando i discepoli rivolgono «al Gesù vivo» queste do­
mande, egli si rifiuta di dare loro indicazioni specifiche,
replicando soltanto: «Non dite menzogne e non fate ciò
che voi stessi odiate. Perché tutte queste cose sono mani­
feste davanti al Cielo».22 Tale enigmatica risposta abban­
dona ciascuno alla propria coscienza; perché chi altro, se
non noi stessi, sa quando mentiamo, e chi altro sa che cosa
odiamo? Così profonda, questa affermazione non offre in­
dicazioni programmatiche per dare istruzioni a un grup­
po e, tanto meno, per formare un'istituzione religiosa. I
Vangeli compresi nel Nuovo Testamento, al contrario, of­
frono tali indicazioni. Secondo Matteo e Luca, per esem­
pio, Gesù risponde a cia scuna di queste domande con au­
torevolezza e precisione: «Quando pregate, dite: "Padre
Nostro che sei nei cieli ... ". Quando digiunate, lavatevi il
viso ... Quando fate l'elemosina, fatelo in segreto ... » (cfr.
Mt 6,2-12). Così, per le leggi kasher, Marco afferma che Ge­
sù «dichiarò puri tutti i cibi».
Inoltre, mentre Tommaso asserisce che per trovare il re­
gno di Dio bisogna affrontare un processo solitario di auto­
scoperta, i Vangeli del Nuovo Testamento danno un mes­
saggio molto più semplice: si giunge a Dio, non attraverso
una conoscenza spirituale di se stessi, ma credendo in Ge­
sù, il Messia. Ora che Dio ha concesso la salvezza tramite
Cristo, pentitevi; accettate il battesimo e il perdono dei pec­
cati, unitevi al suo popolo e accogliete la salvezza.
Infine, mentre Tommaso invoca «il solo e il prescelto» e
lJl campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo 93

si rivolge a chi lo cerca in solitudine o, al massimo, a un


circolo segreto selezionato, Marco e i suoi successori as­
semblano molti elementi della tradizione precedente -
cronache di miracoli, insegnamenti e storie di controver­
sie, insieme a un resoconto della passione di Cris to - per
mostrare Gesù e i suoi discepoli inseriti in un contesto so­
dale, in diverse occasioni in contrasto con i capi ebraici,
con le folle - ora favorevoli ora ostili - e con le autorità di
governo, giudaiche e romane. Nel fare ciò essi presentano
modelli sociali in cui i seguaci di Gesù si identi ficano co­
me gruppo, anche se spesso inadeguato e minacciato ma
pur sempre un gruppo che afferma di essere il popolo di
Dio, in quanto prosegue l'opera di Cristo di guarire, libe­
rare dai demoni e proclamare la venuta del regno di Dio.
L'autore di Marco, poi, offre un modello essenziale per
la vita della comunità cristiana. Tutti i Vangeli che la mag­
gior parte dei cristiani adottò seguono, in una certa misu­
ra, tale esempio. Le generazioni cristiane successive trova­
rono dunque nei Vangeli del Nuovo Testamento quello
che non emergeva da molti altri documenti della prece­
dente tradizione legata a Gesù: uno schema pratico per le
loro comunità.
L'autore che la tradizione chiama Matteo aggiorna Mar­
co per collocare le circostanze che affronta nei decenni
dell'immediato dopoguerra. Secondo molti studiosi, egli
visse fuori della Palestina, forse ad Antiochia, e, da come
scrisse, sembra sia stato membro della sua prospera co­
munità ebraica che, analogamente a tutte le altre, aveva
subito un profondo sconvolgimento dopo la guerra.23
A Gerusalemme il Tempio era in rovina, e Vespasiano
vi aveva stanziato una guarnigione permanente. Militari e
civili romani avevano impiantato un insediamento che
comprendeva altari pagani oltre a bagni, negozi e ad altre
strutture tipicamente latine. Vespasiano, poi, punl per la
guerra gli ebrei di tutte le province incamerando nel teso­
ro imperiale i proventi delle tasse che essi avevano devo­
luto al finanziamento del loro Tempio. Con la distruzione
94 Satana e i suoi angeli

di questo, il sommo sacerdote, precedentemente capo


portavoce del popolo ebraico, perse il suo ruolo, insieme a
tutti i suoi sostenitori dell'ambiente sacerdotale. E il Sine­
drio, in passato supremo consiglio ebraico, fu deprivato
anch'esso del suo potere.
La guerra fece mutare definitivamente la natura della
leadership a Gerusalemme e ovunque nelle comunità
ebraiche. E, già durante il conflitto, alcuni giudei e romani
avevano cominciato a preparare una dirigenza alternativa
per sostituire i sacerdoti e il Sinedrio al termine delle osti­
lità. Quando i romani conquistarono il Tempio nel marzo
del 68 d.C., il maestro ebraico Johanan ben Zakkai fuggi
da Gerusalemme e si rifugiò in un accampamento roma­
no. Ll, prevedendo la vittoria imperiale, chiese a Vespasia­
no l'autorizzazione a fondare un'accademia per maestri
ebraici a Jamnia, una città che i romani avevano già con­
quistato. Vespasiano e i suoi consiglieri, che evidentemen­
te prevedevano di far riassumere agli ebrei l'autonomia
amministrativa dopo la guerra, gli concessero il permesso
di aprire questa scuola, ufficialmente riconosciuta. Secon­
do la storica Mary Smallwood, «la fuga di Rabbi Johanan,
di fatto un atto di tradimento, rappresentò la salvezza spi­
rituale ebraica allorché la scuola rabbinica che egli fondò
prese il posto del Sinedrio ... e il suo presidente, il Nasi, o
patriarca, sostitul il sommo sacerdote come capo e porta­
voce degli ebrei, sia religioso sia politico».24 La dinastia
dei sommi sacerdoti e i suoi aristocratici sostenitori all'in­
terno del Sinedrio, insieme agli scribi sadducei alleati con
quello che era stato il Tempio, erano ormai stati messi da
parte. Un gruppo sempre più numeroso di maestri, preva­
lentemente farisei, molti di loro anche artigiani autonomi
(come Paolo, un fabbricante di tende, che era stato fari­
seo), ora assumeva ruoli di comando, estendendo il pro­
prio potere in tutta la Giudea e, negli anni successivi, nel­
le comunità ebraiche sparse per il mondo. Ebbe cosl inizio
il movimento rabbinico, che acquistò predominio crescen-
lii campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo 95

te nella vita della comunità ebraica, soprattutto dopo


l'epoca di Costantino.25
Proclamando il messaggio di Gesù, il Messia, circa
nell'80, Matteo si trovava in competizione anzitutto con
questi maestri o rabbini farisaici che si stavano afferman­
do in tutto il mondo ebra ico come autorevoli interpreti
della Torah. I farisei volevano collocare la Torah al centro
della vita ebraica al posto del Tempio distrutto. Loro
obiettivo era diffondere un' interpreta zione pratica della
legge ebraica che avrebbe preservato i loro correligionari
di tutto il mondo come popolo distinto e sacro. Matteo ve­
deva i farisei come i principali oppositori ai suoi insegna­
menti su Gesù,26 e decise di presentare Cristo e il suo mes­
sa ggio in termini adatti a essi e al loro ampio seguito,
ossia non descrivendo Gesù solamente come il Messia di
Dio, ma anche come colui la cui dottrina incarna e compie
la vera virtù prima insegnata «dalla legge e dai profeti».
Come vedremo, Matteo sottolinea che Gesù dà un'in­
terpretazione universalizzante della Torah («Ama Dio e il
prossimo tuo»; «Fa' agli altri quello che vorresti che gli al­
tri facessero a te») senza rinunciare «a uno iota o a una
virgola» della legge divina. Al tempo stesso, poiché il suo
Gesù presenta tale testo sacro in modo che vi si possano
attenere sia i gentili sia gli ebrei, di fatto egli invita tutti ad
abbandonare la tradizionale identificazione etnica con
Israele. Questa era una posizione radicale che la maggior
parte degli ebrei considerava - e dichiarava - anatema. In
Matteo, Gesù attacca più volte i farisei come «ipocriti»
che, ossessionati da norme prive di significato, ignorano
«giustizia e misericordia e fede», li accusa cioè di essere la
caricatura dei rabbini preoccupati di preservare l'integrità
di Israele attraverso un comporta ment o osservante. In
questo modo Matteo si schiera nell'ambito di un ' aspra
controversia fon d amenta l e per l'identità ebraica, come
per quella che diventerà l'identità cristiana.27
Nello scrivere il suo Vangelo, Matteo voleva confutare
alcune voci che potevano danneggiare Gesù: per esempio
96 Satana e i suoi angeli

l'insinuazione che fosse figlio illegittimo, che lo avrebbe


screditato e squalificato in quanto possibile candidato a
Messia di Israele. Inoltre era noto che Cristo provenisse
da Nazaret in Galilea e da una famiglia comune, e non di­
scendesse dalla dinastia regale di Davide, stabilitasi a Be­
tlemme, come si sarebbe addetto a un re di Israele. Ancora
più grave, forse, era l'accusa che Gesù, come riferiva Mar­
co, trascurasse o addirittura non osservasse la legge del
sabato e le norme kasher.
Matteo, non diversamente dai suoi predecessori del
movimento cristiano, era preoccupato da tali critiche. Tut­
tavia, esaminando le Scritture, rimase più volte colpito da
passi biblici, soprattutto nei libri dei profeti e nei salmi,
che, a suo avviso, spiegavano le circostanze della vita di
Gesù. Per esempio, riguardo alla voce sulla nascita illegit­
tima, Matteo e i suoi predecessori trovavano una confer­
ma della loro fede in Gesù in Isaia 7,14. In quel luogo il Si­
gnore promette di dare a Israele un «segno» dell'arrivo
della salvezza divina. Evidentemente Matteo conosceva la
Bibbia ebraica nella sua traduzione greca, dove avrà letto
quanto segue: «Pertanto il Signore stesso vi darà un se­
gno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che
chiamerà Emmanuele [il Dio con noi]» (Is 7,14). Nell'origi­
nale ebraico, il passo presentava la lezione «giovane don­
na» (almah), che sembrava indicare una nascita naturale.
Ma la traduzione di almah nel greco 1tap0évoç («vergine»),
versione in cui molti seguaci di Gesù lessero il brano, con­
fermava la loro convinzione che la nascita di Cristo, che i
non credenti dichiaravano con disprezzo illegittima, in
realtà era un «segno» miracoloso.28 Perciò, Matteo reinter­
pretò il testo di Marco dicendo che lo Spirito scese su Ge­
sù non al momento del battesimo, ma in quello del conce­
pimento. Così, afferma Matteo, la madre di Gesù «si trovò
incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18); e l'angelo
di Dio spiega a Giuseppe che «quel che è generato in lei
viene dallo Spirito santo» (Mt 1 ,20). La nascita di Gesù
non fu dunque uno scandalo, dice questo evangelista, ma
lii campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo '11

un miracolo, che compie esattamente l'antica profezia di


Isaia.
Per dimostrare che Gesù, nonostante gli umili natali,
poteva vantare credenziali messianiche, Matteo gli ela­
borò una genealogia regale, riconducendo le sue più re­
mote origini ad Abramo attraverso il re Davide (Luca fece
la stessa cosa, sembra lavorando in maniera autonoma,
dal momento che la sua genealogia differisce da quella di
Matteo; dr. Mt 1,1-17 con Le 3,23-38).
Matteo raccontò una storia complessa per spiegare per­
ché mai Gesù, discendente di re, si riteneva che apparte­
nesse a una famiglia oscura dell'abitato di Nazaret in Ga­
lilea, e non a una dinastia regale insediata a Betlemme.
L'evangelista sottolineava che la nascita miracolosa di Ge­
sù scosse i poteri predominanti a Gerusalemme, secolari e
religiosi. Quando il re Erode, che i romani sostenevano
quale sovrano loro rappresentante, venne a sapere che era
sorta una nuova stella che preannunciava una nascita re­
gale, Matteo dice, «restò turbato e con lui tutta Gerusa­
lemme» (Mt 2,3). Frustrato nel suo primo tentativo di tro­
vare Gesù, Erode «s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i
bambini di Betlemme e del territorio dai due anni in giù»
(Mt 2,1 6). Il padre di Gesù, avvertito da un angelo, prese il
neonato e la madre, e fuggì in Egitto. Dopo la morte di
Erode essi tornarono, ma, narra Matteo, poiché Giuseppe
sapeva che il figlio di Erode governava ancora la Giudea,
decise di proteggere Gesù stabilendo la famiglia in inco­
gnito nel villaggio di Nazaret. Così, spiega Matteo, accad­
de che Gesù venisse associato a questo paese sconosciuto
della Galilea, anziché a Betlemme, che, secondo l' evange­
lista, fu il suo effettivo luogo di nascita.
Dato che nessuna cronaca storica ricorda, tra i crimini
di Erode, un massacro di massa di neonati, molti studiosi
del Nuovo Testamento sostengono che le vicende della
strage degli innocen ti e della fuga in Egitto riflettono la
convinzione programmatica di Ma tteo che la vita di Gesù
debba ricapitolare l'intera storia di Israele. Secondo questi
98 Satana e i suoi angeli

studiosi, a Matteo interessa, più che fornire informazioni


biografiche, mostrare un legame tra Gesù, Mosè e lesodo
di Israele dall'Egitto. Come Mosè, da neonato, sfuggì
all'ira furiosa del faraone egiziano, che aveva ordinato
un'uccisione di massa di bambini maschi ebrei, così Gesù,
a fferma Matteo, sfuggì all' ira del re Erode . E come Dio
una volta liberò Israele dall' Egi tto , così ora, asserisce
l ' evangelista, ne ha liberato Gesù. Questo metodo inter­
pretativo percorre tutto il Vangelo di Matteo; egli prende
brani dagli scritti profetici (qui, per esempio, parole dal li­
bro di Osea), che in genere descrivono la nazione di Israe­
le («Ho chiamato mio figlio fuori dall'Egitto»), e li adatta
a Gesù di Nazaret che egli vede come il culmine della sto­
ria di Israele.29
Molti studiosi hanno notato questi paralleli tra Gesù,
Mosè e Israele. Ma nessuno, per quanto ne sappia, ha os­
servato che Matteo rovescia i ruoli tradizionali relegando il
re ebraico, Erode, nella parte dello scellerato riservata al
faraone. Attraverso questo espediente egli trasforma la fi­
gura dei nemici di Israele, da esterni, come erano nella
storia antica del popolo, in interni, quali egli li percepisce.
Matteo annovera tra i nemici di Gesù i sommi sacerdoti e
gli scribi, oltre a tutti gli altri abitanti di Gerusalemme.
Egl i dice infatti che non solamente Erode fu «turbato»
nell'apprendere della nascita di Gesù, ma che lo era «con
lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3). Senza dubbio, Matteo in­
tende contrapporre Erode, di ascendenza idumea, e quin­
di originario di una dinastia sospetta , a Gesù, di cui egli
proclama la discendenza legittima da Davide (e perciò re­
gale). Ora è Erode, e non più il faraone, a ordinare spieta­
tamente la strage di massa dei neonati maschi. Secondo
Matteo, quando nacque Gesù, i «Sommi sacerdo ti e gli
scribi del popolo» (Mt 2,4) si riunirono, pare con il comu­
ne intento di aiutare Erode a «cercare il bambino per ucci­
derlo» (Mt 2, 1 3). La versione di Matteo della nascita di
Gesù non è un idillio da cartolina di Natale, ma adombra i
terribili avvenimenti della crocifissione.
Ùl campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del diavolo 99

Mentre assegna a Erode il ruolo che tradizionalmente


apparteneva al faraone, Matteo rovescia anche la geogra­
fia simbolica di Israele. L'Egitto, per antonomasia terra di
schiavitù, diventa ora per Gesù e la sua famiglia un rifu­
gio, un asilo e un luogo di salvezza dalla strage ordinata
dal re ebraico. Questo capovolgimento simbolico è scon­
volgente quasi quanto quello dell'Apocalisse di Giovanni
in cui si definisce Gerusalemme come il luogo che «sim­
bolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove appunto il
loro Signore fu crocifisso» (Ap 11,8). Matteo farà inoltre di­
re a Gesù che Tiro e Sidone - e addirittura Sodoma - sono
esempi migliori dei centri locali di Betsaida, Corazin e Ca­
farnao (cfr. Mt 11,20-24).
Per tutto il suo Vangelo, Matteo inverte i nemici esterni
con quelli interni. Subito dopo il Discorso della monta­
gna, Gesù risana un lebbroso cacciato da Israele e compie
una guarigione per conto di un centurione romano che ri­
conosce il suo potere divino e si rivolge a lui perché lo usi
a favore di un suo servo. Stupito di sentire un ufficiale
esprimere una fede «più grande di qualsiasi altra» (cfr. Mt
8,10) che egli abbia trovato in Israele, Gesù dichiara im­
mediatamente: «Ora vi dico che molti verranno dal-
1' oriente e dall'occidente e sederanno a mensa con Abra­
mo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del
regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove ci sarà
pianto e stridore di denti» (Mt 8,11 -12).
Dall'inizio alla fine del suo Vangelo, Matteo, da un lato,
condanna i capi di Israele suoi contemporanei e, dall' al­
tro, sostiene Gesù, il Messia di Israele, e quelli che il nuo­
vo re stesso indica. Erode non era soltanto un idumeo, la
sua famiglia viveva notoriamente secondo costumi genti­
li, nonostante i suoi membri praticassero professioni di
carattere religioso. Giovanni Battista era stato decapitato
perché aveva dichiarato apertamente che Erode aveva
sposato la ex cognata, e quindi viveva in aperta violazio­
ne della legge ebraica. Matteo vuole mostrare non sola­
mente che Gesù era il re legittimo di Israele, a differenza
100 Satana e i suoi angeli

di tali indegni usurpatori come Erode, ma anche che era il


maestro di virtù designato da Dio, destinato, cosi egli af­
ferma, a sostituire i farisei che detenevano quel ruolo agli
occhi di molti suoi contemporanei. Matteo, che, con altri
cristiani, combatte il partito rivale dei farisei, concepisce il
suo Vangelo anzitutto come una polemica tra Gesù e i fa­
risei in cui le due parti antagoniste non si scontrano ad ar­
mi pari. I farisei sono ampiamente rispettati e onorati, ac­
cettati dalla gente come autorità religiose; i seguaci di
Gesù sono una minoranza sospetta, diffamata e persegui­
tata.
In Marco, nel deserto Gesù lotta in silenzio contro Sata­
na. Matteo, invece, attinge ad alcuni passi della fonte Q e
fa apparire Satana tre volte mentre «mette alla prova» Ge­
sù, come faranno i farisei e altri oppositori. Qui la fonte Q
trasforma Satana nella caricatura di uno «scriba», un ar­
gomentatore abile nella sfida verbale e perito nel citare le
Scritture a finalità diaboliche, che ripetutamente mette in
dubbio l'autorità divina di Gesù («Se sei il figlio di
Dio . . . »). Avendo fallito due volte nell'indurre Cristo a
compiere un miracolo per dimostrare il suo potere e la sua
autorità di origine divina, Satana alla fine gli offre «tutti i
regni di questo mondo e la loro gloria», che egli asserisce
essere propri. Perciò Matteo, seguendo la traccia di Mar­
co, lascia intendere che il successo e il potere politico (co­
me quelli di cui godono i farisei sotto la protezione roma­
na) possono rivelare un patto con il diavolo, e che non
sono, come molti contemporanei di Matteo avranno sup­
posto, segni del favore di Dio.
Matteo poi attacca i farisei sulla questione che più sta
loro a cuore: l'interpretazione della Torah. Per confutare
l'impressione che Cristo semplicemente non desse impor­
tanza alla tradizionale e corretta adesione degli ebrei alla
Torah - un'impressione che ogni lettore potrebbe trarre da
Marco -, egli fa incarnare a Gesù tutto ciò che vi è di me­
glio e di più vero nella tradizione ebraica. Marco dà inizio
al suo Vangelo con descrizioni di guarigioni e di esorci-
l.Jz campagna di Matteo rontro i farisei: lo schieramento del diavolo 101

smi, mentre Matteo apre il proprio mostrando Gesù che


proclama una nuova interpretazione della legge divina.
Come Mosè salì sul monte Sinai per ricevere e diffondere
la legge di Dio, qui Gesù sale su una montagna, dove pro­
nuncia quello che conosciamo come il Discorso della
montagna. Rivolgendosi ai farisei e a quelli che erano im­
pressionati dalla loro interpretazione della Torah, Matteo
sottolinea che Gesù non rifiuta la Torah. Ma, afferma
levangelista, Cristo proclama il suo significato essenziale:
«Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i
Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compi­
mento» (Mt 5,17).
Gesù perciò avverte che «se la vostra giustizia non su­
pererà quella degli scribi o dei farisei, non entrerete nel re­
gno dei cieli» (Mt 5,20)! Così Matteo difende Cristo dalle
accuse di negligenza al sabato e rispetto delle leggi kasher,
sostenendo che egli pratica una virtù superiore, non infe­
riore. Secondo Matteo 5 e 6, Gesù chiede un'osservanza
religiosa decisamente maggiore: la tradizionale Torah non
ha neanche metà del rigore che egli ritiene necessario! Se
la legge di Mosè vieta l'omicidio, la «nuova Torah» di Ge­
sù proibisce l'ira, le ingiurie e l'invocazione del nome; se
la legge di Mosè vieta l'adulterio, quella di Gesù ne proi­
bisce il desiderio. La legge mosaica era spesso espressa in
termini negativi («Tu non ... »), mentre Gesù la reinterpreta
in positivo: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a
voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i
Profeti» (Mt 7,1 2). Contemporaneamente Matteo sostiene
che i detrattori di Gesù, «gli scribi e i farisei», hanno
un'osservanza esclusivamente ipocrita che fa da copertu­
ra alla loro violazione di quello che Gesù qui proclama es­
sere il comandamento centrale della Torah, ossia amare
Dio e il proprio prossimo (cfr. Mt 6,1-18).
Matteo, abbiamo visto, si discosta da Marco perché di­
pinge i farisei come i principali nemici di Gesù.30 Secondo
Marco, a essere irritati dal forte impatto di Gesù sulle folle
e a imputargli di essere posseduto dai demoni erano gli
102 Satana e i suoi angeli

scribi di Gerusalemme; Matteo invece modifica la storia


per affermare che i farisei accusavano Gesù di «Scacciare i
demoni in nome . . . del principe dei demoni» (cfr. Mt
12,24). Mentre Marco sostiene che per primi i farisei e gli
erodiani complottarono di uccidere Cristo, Matteo asseri­
sce che i soli farisei «tennero consiglio contro di lui per to­
glierlo di mezzo» (Mt 12,14). Matteo fa addirittura ripete­
re ai farisei l'accusa che Gesù è «posseduto da Beelzebub»
(cfr. Mt 12,24); egli, però, la rinnega recisamente e avverte:
«Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è
certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 1 2,28). Il Gesù di
Matteo dichiara che questo conflitto sovrannaturale ha
spaccato il popolo di Dio in due comun�tà opposte e di­
stinte: «Chi non è con me è contro di me, e chi non racco­
glie con me, disperde» (Mt 12,30).
Preoccupato perché le genti di Israele sono «stanche e sfi­
nite come pecore senza pastore» (Mt 9,36) per la mancanza
di una vera guida, ora Gesù nomina i dodici e dà loro «il po­
tere di scacciare gli spiriti immondi» (Mt 10,1 ). Avverten­
doli che gli uomini «Vi consegneranno ai loro tribunali e vi
flagelleranno nelle loro sinagoghe» (Mt 10,17), Gesù dice
loro di aspettarsi che un odio omicida si abbatta su di loro,
all'interno delle loro stesse case (cfr. Mt 10,26) e da parte di
«tutti» (Mt 10,22), perché, afferma, «se hanno chiamato
Beelzebul il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!»
(Mt 10,25). Con il procedere della narrazione, l'antagoni­
smo tra Gesù e i suoi nemici si trasforma - come nei testi
della setta degli esseni - in una contesa tra quelli che il Gesù
di Matteo chiama i «figli del regno» e i «figli del maligno»
(Mt 1 3,38). Cristo ribadisce la denuncia che Giovanni Batti­
sta aveva mosso ai farisei: «Razza di vipere, come potete di­
re cose buone, voi che siete cattivi?» (Mt 12,34). Poi predice
che gli stranieri «Si alzeranno a giudicare questa generazio­
ne e la condanneranno» (Mt 12,41). Infine implicitamente
accusa coloro che gli imputano di essere posseduto dai de­
moni, raccontando la parabola di un uomo che, liberato da
un demone, subisce una nuova intrusione di «sette altri spi-
I.a campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento del dùwolo 103

riti peggiori» del primo, cosl che «la nuova condizione di


quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà an­
che a questa generazione perversa» (Mt 12,45).
Più tardi, Gesù spiega in segreto ai suoi seguaci che la
generazione a cui si rivolge - eccezion fatta per gli eletti -

è già stata giudicata e condannata; il fatto che i suoi oppo­


sitori si rifiutino di accogliere la sua predicazione, egli di­
ce, rivela il potere che Satana ha su di loro. Nella parabola
del seminatore, Cristo identifica il «maligno» con il nemi­
co che ha «strappato» le sementi che egli ha piantato e co­
sì ha impedito che la sua predicazione desse frutto tra la
sua gente (cfr. Mt 13,19). Immediatamente dopo Gesù rac­
conta la parabola della zizzania, qualificando esplicita­
mente i suoi oppositori come figli di Satana: « .. .la zizzania
sono i figli del maligno, e il nemico che l'ha seminata è il
diavolo» (Mt 13,38-39).
Riconosciuto alla fine dai suoi discepoli come il Messia,
Gesù annuncia loro che ora, con l'autorità dello Spirito di
Dio, egli sta costituendo la sua assemblea, che trionferà su
tutte le forze del male, cosa che parrebbe significare che
Dio ha sostituito Israele con una nuova comunità. Molti
studiosi concordano con George Nickelsburg che il Gesù
di Matteo nel capitolo 1 6 asserisce che quella che prima era
la «congregazione di Israele» è diventata «la sua chiesa».31
Lo scontro fra Gesù e i farisei raggiunge un culmine in
Matteo 23. Per tutto questo capitolo, l'evangelista riporta
affermazioni attribuite a Gesù e le trasforma in accuse di
Cristo a quelli che egli denuncia sette volte come «scribi e
farisei ipocriti» e anche « figli della Geenna» (cfr. Mt
23,15). Matteo fa invocare a Gesù l'ira divina su «questa
generazione» (Mt 23,36)
perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la
terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio
di Barachia, che avete ucciso fra il santuario e l'altare (Mt 23,35).

Molti studiosi hanno rilevato e commentato la profonda


acredine che emerge in questo capitolo.32 11 biblista Luke
104 Satana e i suoi angeli

Johnson osserva che nell'antichità i filosofi spesso attacca­


vano i loro rivali con termini forti.33 Tuttavia essi non li de­
monizzavano, come fa qui Matteo. Nel mondo antico, a
quanto mi risulta, solamente gli esseni e i cristiani elevano
il conflitto con i loro nemici a livello di guerra cosmica.
Il Gesù di Matteo riconosce che i farisei affermano mol­
te cose valide («Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma
non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fan­
no», Mt 23,3), ma li accusa di essere più preoccupati di
conservare il loro potere che di qualsiasi altra cosa. Inol­
tre, egli sostiene, essi trascurano questioni morali essen­
ziali, adempiendo solamente a norme di nessun conto:
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della
menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più
gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà! Queste
cose bisognava praticare, senza omettere quelle! Guide cieche, che
filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! (Mt 23,23-24).

È noto che molti maestri ebraici del tempo di Gesù - per


esempio Hillel e Shammai, suoi contemporanei - tentaro­
no di interpretare in chiave morale la legge. In un famoso
aneddoto si racconta come Hillel abbia risposto a uno stu­
dente che gli chiedeva di spiegargli tutta la Torah ritto su
un piede solo. Hillel replicò: «Quello che non vuoi che gli
altri facciano a te, non farlo tu a loro. Questo è l'intero con­
tenuto della Torah». Tuttavia anche un uomo aperto come
Hillel avrebbe contrastato un movimento che pretendeva
di reinterpretare la Torah in chiave morale, accantonando i
precetti rituali che distinguevano l'identità ebraica. Molti
ebrei del I secolo scorgevano una simile tendenza nel mo­
vimento cristiano, mentre numerosi farisei, preoccupati di
preservare Israele sacro e distinto dagli altri popoli proprio
attraverso il rispetto della Torah, possono ben aver consi­
derato i seguaci di Gesù come minacciosi per l'integrità di
Israele e, persino, per la sua esistenza.
Come abbiamo visto, Matteo vuole dire che Gesù non
ha mai smesso di osservare perfettamente la Torah; tutta-
Ui campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramento dèl diavolo 105

via con ciò egli intende che Cristo adempiva alla legge nel
suo più profondo significato, che, sottolinea l'eva ngelista,
non ha nulla di essenziale a che fare con l'identità etnica.
In Matteo, Gesù sintetizza due volte «la legge e i profeti»,
util izza nd o in entrambi i casi formule basate esclusiva­
mente sull'azione morale. La prima volta egli afferma in
positivo quello che Hillel esprimeva in negativo : «Tutto
quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fa­
telo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).
La seconda, egli riassume la Torah nel duplice comanda­
mento di «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ... Amerai il
prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,37 e 39). Infine il Ge­
sù di Matteo racconta una parabola sull'arrivo del giudi­
zio di Dio. Quel giorno, afferma, il re divino radunerà tut­
te le nazioni, invitando alcuni a entrare nel regno eterno di
Dio e relegando altri a quello che Gesù chiama «il fuoco
eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (cfr. Mt
25,41 ). Qual è il criterio del giudizio divino? Secondo Mat­
teo, Gesù sostiene che il re dirà a quelli alla sua destra:
«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno pre­
parato per voi dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fa­
me e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere; ero forestiero e mi avete ospi ta to, nudo e mi avete vestito, ma­
lato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.» Allora i
giusti gli risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo veduto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato
da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato,
o nudo e ti abbiamo vestito? E quand o ti abbiamo visto ammalato o
in carcere e siamo venuti a visitarti?». Rispondendo il re dirà loro:
«In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà a
quelli posti alla sua sinistra: <<Via, lontano da me, maledetti, nel
fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho
avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non
mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo
e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato».
Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto
affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non
106 Satana e i suoi angeli

ti abbiamo assistito?». Ma egli risponderà: «In verità vi dico: ogni


volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più pic­
coli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno questi al supplizio
eterno e i giusti alla vita eterna (Mt 25,34-46).

L'accoglienza nel regno di Dio dipende, allora, non


dall'appartenenza a Israele, ma dalla giustizia, unita alla
generosità e alla compassione. Il criterio etnico è scompar­
so. Sia i gentili sia gli ebrei potevano accettare questa rein­
terpretazione della legge divina, come del resto molti, nel­
la comunità di Matteo, fecero.
Secondo Matteo, Gesù e il movimento cui egli diede ini­
zio esprimono il vero significato della legge di Dio. Cristo
denuncia i farisei, non solamente come falsi interpreti, ma
come mortali oppositori della verità, uomini che «uccido­
no e crocifiggono» i profeti di Dio (cfr. Mt 23,34). Da que­
sta ultima denuncia dei farisei, Matteo passa subito alla
storia della crocifissione. Seguendo fedelmente la versio­
ne di Marco, egli descrive il ruolo giocato dai sommi sa­
cerdoti, dagli scribi e dagli anziani, ma non cita più i fari­
sei fin dopo la morte di Gesù.
Tuttavia Matteo aggiunge episodi che mettono in luce
la colpa maggiore dei nemici ebrei di Cristo. Soltanto lui,
infatti, afferma che lo stesso Giuda Iscariota si pentì ama­
ramente di aver tradito Gesù e «gettate le monete d'ar­
gento nel Tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi» (Mt
27,5). Matteo narra, inoltre, la storia della moglie di Pilato:
«Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a
dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi
fui molto turbata in sogno, per causa sua" .» (Mt 27,19).
Come in Marco, qui Pilato offre di rilasciare Gesù e obiet­
ta alla folla che inneggia, gridando, alla sua crocifissione:
«Perché, che cos'ha fatto di male?» . Ma Matteo fornisce
anche una ragione concreta per l'arrendevolezza di Pilato
alla folla: Pilato «vedeva che non otteneva nulla, anzi che
il tumulto cresceva sempre più » (dr. Mt 27,24). A quel
punto, Matteo, in una scena sommamente improbabile,
pretende che Pilato abbia compiuto un rituale che deriva
La campagna di Matteo contro i .farisei: lo schieramento del diavolo 107

dalla legge giudaica, descritto nel libro del Deuteronomio.


Si lavò le mani per significare la sua innocenza in quello
spargimento di sangue e disse: «Non sono responsabile di
questo sangue; vedetevela voi» (Mt 27,24). In quel mo­
mento, afferma il solo Matteo, i capi ebraici, cosl come
«l'intera nazione», accettavano la responsabilità collettiva
e invocavano quella che si sarebbe trasformata in una ma­
ledizione contro di loro e la loro progenie: «Il suo sangue
ricade sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt 27,25).
Matteo narra anche ciò che seguì la crocifissione: «i
sommi sacerdoti e i farisei» invitarono Pilato a far sorve­
gliare la tomba di Gesù da una guardia, per timore che i
suoi seguaci ne rubassero il corpo per fingere una risurre­
zione. Per giustificare la comune diceria che i discepoli di
Gesù avessero rubato il suo corpo, Matteo racconta anche
un ultimo episodio in cui afferma che le autorità ebraiche
corruppero i soldati romani perché dessero origine a tale
voce. «Quelli,» conclude Matteo, «preso il denaro, fecero
secondo le istruzioni ricevute. Così, questa diceria si è di­
vulgata fra i giudei, fino ad oggi» (Mt 28,15).
Come il Vangelo muove verso la conclusione, Matteo
distingue i seguaci di Gesù da quelli che chiama «gli
ebrei» e tenta di dare una spiegazione dell'ostilità e della
sfiducia che lui e i suoi correligionari cristiani apparente­
mente incontrano da parte della maggioranza ebraica .
Nel fare ciò l'evangelista intende significare che la mag­
gioranza che respinge il Vangelo ha perso la sua eredità. I
precedenti nemici interni sono diventati esterni. Secondo
Matteo, Gesù racconta una parabola infausta: un grande
re invitò il suo popolo ad assistere alle nozze del figlio.
(Qui Matteo evoca una metafora profetica per implicare
che le nozze simboleggiano l'intesa unione tra il Signore
stesso e Israele, sua sposa: cfr. Ger 2,1-3; 20; ls 50,1; Os 1 ,2 -
315.) Ma quando quelli prima invitati si rifiutarono di assi­
stere1 e addirittura picchiarono, ingiuriarono e uccisero i
suoi messaggeri, Gesù dice che il re dichiarò che «gli invi­
tati non erano degni» e procedette a invitarne altri al loro
108 Satana e i suoi angeli

posto. Poi, continua il Gesù di Matteo, «il re si indignò e,


mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle
fiamme la loro città» (Mt '22.,7). Perciò Matteo giunge a so­
stenere che Dio stesso provocò il massacro romano e la di­
struzione di Gerusalemme nel 70 d.C. per punire gli ebrei
perché avevano rifiutato «suo figlio».
La maggior parte degli studiosi concorda che, sebbene
il gruppo di Matteo comprendesse tra i suoi fedeli sia
ebrei sia gentili, i suoi membri trovavano maggiore ascol­
to tra i gentili che tra gli ebrei. Perciò Matteo termina con
una scena in cui Cristo risorto, avendo ricevuto «ogni po­
tere in cielo e in terra», ordina ai suoi seguaci: «Andate e
ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19). Quest'evangeli­
sta, benché radicato nella comunità ebraica, guarda a essa
con notevole ambivalenza, un'ambivalenza che influen­
zerà le comunità cristiane per secoli, addirittura per mil­
lenni. Il contemporaneo e correligionario di Matteo, Luca,
che come lui adatta e reinterpreta Marco, dà invece un ta­
glio differente. Questo convertito gentile attribuisce al
passato la grandezza di Israele e, per il suo tempo, recla­
ma con sicurezza la sua eredità per la propria comunità,
composta prevalentemente da gentili. Sia in Luca, sia in
Giovanni, come vedremo più avanti, Gesù stesso identifi­
ca i suoi oppositori ebraici con Satana.
N

Luca e Giovanni reclamano l'eredità di Israele:


la spaccatura si allarga

Luca, l'unico gentile tra gli autori dei Vangeli, parla a no­
me di quei gentili convertiti al cristianesimo che si consi­
derano i veri eredi di Israele. Nel reinterpretare in chiave
radicale il resoconto di Marco sulla vita di Gesù, egli va
oltre Matteo. Questi aveva detto che la maggioranza degli
ebrei aveva perso il diritto di appellarsi al patto con Dio
perché si era rifiutata di riconoscere il suo Messia; di con­
seguenza, in sostituzione Dio aveva offerto ai gentili di
stringere il patto con loro. Luca, comunque, supera ciò e
concorda con Paolo che Dio aveva da sempre voluto offri­
re a tutti la salvezza. La concezione di Luca di una salvez­
za universale invitava greci, asiatici, africani, siriani ed
egizi a sentirsi, con la stessa sicurezza di ogni esseno,
membri del «vero Israele». Ancora oggi i cristiani di tutto
il mondo fanno riferimento al messaggio di Luca ogni
giorno nelle preghiere, negli inni e nella liturgia. Questo
evangelista infatti va al di là di Marco e Matteo rendendo
esplicito quello che essi avevano lasciato sottinteso: la
connessione tra i nemici ebraici di Gesù e il «maligno», il
diavolo. In Luca, Gesù stesso, quando viene catturato, af­
ferma che il partito dell'arresto - «i sommi sacerdoti e gli
scribi e gli anziani» è alleato con il maligno, che egli
-

chiama «il potere delle tenebre».


Luca, come Matteo, rifiuta alcune diffuse insinuazioni
contro Gesù (che fosse figlio illegittimo e che mancasse
delle credenziali dinastiche per essere il Messia di Israele).
Come Matteo, egli fa cominciare la narrazione prima del
110 Satana e i suoi angeli

concepimento di Gesù, per mostrare che fu lo spirito di


Dio a provocare questo evento miracoloso. Secondo Luca,
infatti, furono lo spirito o i suoi agenti, gli angeli, a dare
origine ai meravigliosi avvenimenti che circondano la na­
scita e l'infanzia di Cristo.
Tuttavia Luca, diversamente da Matteo, non descrive
con animosità il ruolo giocato da Erode o dal popolo di
Gerusalemme verso Gesù durante la sua infanzia. Come
in Marco, invece, nella prima scena del suo Vangelo in cui
Gesù compare adulto, battezzato e <<pieno di Spirito San­
to», il diavolo lo sfida. Dopo essere stato sconfitto tre vol­
te, narra Luca, «il diavolo si allontanò da lui per ritornare al
tempo fissato [àxpt Katpoù]» (corsivo mio; Le 4,13). Fallito il
primo tentativo di sopraffare Gesù, infatti, Satana trova
occasione di riprovarci solamente alla fine della storia
quando i sommi sacerdoti e gli scribi «cercavano come to­
glierlo di mezzo» (Le 22,2). A quel punto, afferma Luca,
«Satana entrò in Giuda, detto Iscariota», che «andò a di­
scutere con i sommi sacerdoti . . . sul modo di consegnarlo
nelle loro mani. Essi si rallegrarono e si accordarono di
dargli del denaro» (Le 22,3-5). Da quel momento, sostiene
Luca, Giuda «cercava l'occasione propizia [eùicmpiav] per
consegnarlo loro di nascosto dalla folla» (Le 22,6).
Dopo il primo appuntamento con Gesù, Satana non si
ritirò dalla lotta, ma attese il momento più opportuno; per
tutta la carriera pubblica di Cristo, lavorò infatti sotto ter­
ra - o, più precisamente, sopra la terra - attraverso agenti
umani. Subito dopo lo scontro fra i due nel deserto, il pri­
mo episodio di insegnamento pubblico di Gesù comincia
con un'accoglienza favorevole da parte della folla, ma im­
provvisamente si trasforma in una scena di violenza bru­
tale, quasi omicida. Luca narra che Gesù, dopo il battesi­
mo, entra in una sinagoga come è solito fare nella sua città
natale di Nazaret e legge ai fedeli presenti un passo profe­
tico di Isaia. Poi annuncia: « "Oggi si è adempiuta questa
Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" . Tutti gli
rendevano testimonianza ed erano meravigliati dalle pa-
Luca e Giovanni reclamano 1'eredittl di Israele: la spaccatura si allarga 111

role di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Le 4,21-22).


Più tardi Gesù predice che i suoi concittadini lo respinge­
ranno e annuncia che Dio intende salvare i gentili, anche a
costo di scavalcare Israele, affermando:
«C'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia ... ma a nessu­
na di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sido­
ne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma
nessuno di loro fu risanato, se non Naanlan, il Siro» (Le 4,25-27).

Sentendo questo, prosegue Luca,


tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cac­
ciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul
quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio (Le
4,28-29).

Ma Gesù si allontana velocemente, e cosl sfugge al pri­


mo attentato alla sua vita.
Ora «gli scribi e i farisei» cominciano a complottare
contro Gesù, tenendolo d'occhio con sospetto e cercando
un'occasione per «trovare un capo d'accusa contro di lui»
(Le 6,7). Quando lo vedono guarire di sabato, «furono pie­
ni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avreb­
bero potuto fare a Gesù» (Le 6,11).
Tuttavia, i farisei di Luca, a differenza di quelli di Mat­
teo, non sono unanimemente ostili a Gesù.I Alcuni mani­
festano interesse nei suoi confronti e lo invitano a cena, o
addirittura lo avvertono del pericolo, mentre altri fanno
spontaneamente il gioco di Satana, complottando per uc­
ciderlo. In alcuni momenti Luca accusa i farisei di essere
«attaccati al denaro» (Le 9,14) e di considerarsi più giusti e
virtuosi degli altri (cfr. Le 1 8,9-14), entrambe caratteristi­
che che non condanna soltanto in loro; inoltre egli mette
in risalto la particolare comprensione che Gesù ha per gli
emarginati: gli indigenti, i malati, le donne, i samaritani.
Tra i seguaci di Cristo ci sono poi molti pubblicani e nu­
merose prostitute, che secondo Luca fanno parte anch'essi
del popolo di Dio. Dalle scene di apertura ambientate nel
Tempio, che ripercorrono l'infanzia e l'adolescenza di Ge-
112 Satana e i suoi angeli

sù, sino alla fine, in cui si dice che i discepoli «tornarono a


Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel
Tempio lodando Dio», i seguaci di Cristo sono profonda­
mente devoti al Tempio: si rivelano forse gli unici veri
israeliti rimasti a Gerusalemme. Luca certo intende mo­
strare che essi sono più vicini a Dio dei farisei o di qual­
siasi altra autorità religiosa ebraica.
La guerra spirituale tra Dio e Satana - che si riflette nel
conflitto tra Gesù e i suoi seguaci, da una parte, e i capi
ebraici, dall'altra - si intensifica nel corso del Vangelo.2
Allorché il popolo si divide contro di lui, Gesù dice:

Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico,
ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divi­
deranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio
contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre... (Le 12,51-53).
Non appena i sommi sacerdoti e i loro alleati inaspri­
scono la propria opposizione, alcuni farisei mettono in
guardia Gesù, in un episodio che compare solamente in
Luca, contro il re degli ebrei: «Erode ti vuole uccidere» (Le
13,31 ). La risposta di Gesù induce a pensare che quello
che irrita Erode sia che Gesù ha sfidato Satana, la forza
che governa questo mondo: «Andate a dire a quella volpe:
"Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e do­
mani; e il terzo giorno avrò finito" . » (Le 13,32). Quando
Gesù manda settantadue discepoli per guarire e procla­
mare il messaggio del regno, questi ritornano «pieni di
gioia», meravigliati e trionfanti, dicendo: «Signore, anche
i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». Gesù allora
esulta, prevedendo l'imminente sconfitta di Satana: «lo
vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi
ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scor­
pioni e sopra ogni potenza del nemico» (Le 10,1 8-19).
Immediatamente prima che Satana si insinui in Giuda e
dia inizio al tradimento, Gesù avverte, sotto forma di pa­
rabola, che egli stesso ritornerà da re per vedere i suoi ne­
mici distrutti. Quando parte l'ultima volta per Gerusa-
Luca e Giovanni reclamano l'eredità di Israele: la spaccatura si allarga 1 13

lemme, dove entrerà pubblicamente acclamato re dai suoi


discepoli, ma dove verrà respinto dalla maggioranza dei
gerosolimitani, Cristo racconta la storia di un «uomo di
nobile stirpe» che si reca in una terra lontana «per ricevere
un titolo regale e poi ritornare» (Le 19,12). Dopo aver otte­
nuto l'investitura ed essere tornato in trionfo, il suo primo
atto è quello di chiedere che i suoi nemici vengano uccisi:
«E quei miei nemici che non volevano che d ive n tass i loro re,
co n d uceteli qui e uccideteli davanti a me» (corsivo mio; Le
19,27). E, per rendere inequivocabile il parallelo, Luca ag­
giunge: «Dette queste cose, Gesù prosegui avanti agli altri
salendo verso Gerusalemme» (Le 19 ,28). Non appena arri­
va, egli ordina subito ai discepoli di preparare il suo rega­
le ingresso in città (cfr. Zac 9,9). Tuttavia, solamente Luca
tra i Vangeli sinottici inserisce le parole «il re» nell'accla­
mazione tratta dal Salmo 1 1 8 che i discepoli gridano al­
l'ingresso di Gesù in Gerusalemme: «Benedetto è colui che
viene, il re, nel 11ome del Signore!» (Le 19,38; e cfr. Sal 118,26).
Quando alcuni farisei presenti tra la folla, evidentemente
sconvolti da questa aperta acclamazione di Gesù a re, lo
ammoniscono: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli»,
Luca riferisce che egli risponde: «Vi dico che, se questi ta­
ceranno, grideranno le pietre» (Le 19,39).
Poi, narra Luca, mentre la fatale Pasqua ebraica si avvi­
cinava, «i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano come to­
glierlo di mezzo» (Le 22,2). Questa è l'occasione che Sata­
na stava aspettando: «Allora Satana entrò in Giuda, detto
Iscariota» il quale immediatamente va a conferire con i
sommi sacerdoti e i capi delle guardie, per organizzare il
tradimento. E anche qui, come in Marco, Gesù stesso di­
chiara che né il ruolo di Satana né il piano preordinato da
Dio assolvono Giuda dalla sua colpa: «Il figlio dell'uomo
se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo
dal quale è tradito» (Le 22,22; cfr. Mc 14,21).
Giovanni parla di soldati romani armati nel gruppo che
va ad arrestare Gesù, mentre Luca fa riferimento solamen­
te a ebrei e non riporta un'affermazione presente invece in
114 Satana e i suoi angeli

Marco e in Matteo, cioè che «il figlio dell' uomo viene tra­
dito nelle mani dei peccatori» (ossia dei gentili). Al contra­
rio, quando il partito armato giunge a Getsemani, il Gesù
di Luca si rivolge direttamente a «coloro che gli erano ve­
nuti contro, sommi sacerdoti e capi delle guardie del Tem­
pio e anziani» (Le 22,52), e li definisce «Satana incarnato»:
«Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?
Ogni giorno ero con voi nel Tempio e non avete steso le
mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero del­
le tenebre» (corsivi miei; Le 22,52-53).
Come Marco, Luca afferma che coloro che andarono ad
arrestare Gesù, «dopo averlo preso, lo condussero via e lo
fecero entrare nella casa del sommo sacerdote» (Le 22,54),
mentre Pietro li seguì di nascosto fino nel cortile del som­
mo sacerdote. Ma, a questo punto, la versione di Luca di­
verge da quella di Marco, perché non presenta la comples­
sa scena del «Processo davanti al Sinedrio», in cui, come
abbiamo visto, l'intero Sinedrio si riuniva di notte per
ascoltare una serie d i testimoni e per assistere all'interro­
gatorio del sommo sacerdote a Gesù, che culminava nella
sentenza di morte, unanimemente pronunciata, per bla­
sfemia. Marco - e come lui Matteo - descrive i membri del
Sinedrio che sputano addosso a Gesù, lo percuotono e lo
sbeffeggiano prima che le guardie si uniscano a loro nel
picchiarlo (cfr. Mc 14,65; Mt 2,67-68).
Luca racconta una storia più forte e più semplice: dopo
il suo arresto, Gesù viene trattenuto e sorvegliato tutta la
notte nel cortile della casa del sommo sacerdote in attesa
d i una seduta mattutina del Sinedrio. Secondo questo
evangelista non sono i membri dell'aristocratico Sinedrio,
ma «gli uomini che avevano in custodia Gesù» che passa­
no la notte a percuotere e a schernire il prigioniero (cfr. Le
22,63-65). La mattina, le guardie conducono Cristo alla ca­
mera di consiglio vicino al Tempio perché sia interrogato
dal Sinedrio riunito. Anziché un processo formale, però,
questo sembra una specie di udienza giudiziaria, un inter­
rogatorio senza testimoni e senza sentenza ufficiale. Non-
Luca eGicmanni reclamano I'erediM di Israele: la spaccatura si allarga 115

dimeno il Sinedrio decide di portare Gesù a Pilato per


presentare accuse formali - e capitali - contro di lui.
Luca lesse resoconti indipendenti da quelli cui ebbero
accesso gli altri evangelisti - forse precedenti - delle vi­
cende che portarono alla crocifissione? Molti studiosi, tra
cui, primo fra tutti, l'inglese David Catchpole, credono di
sl.3 L'evangelista ricostruisce una scena in cui i membri
del Sinedrio interrogano Gesù:

«Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico,


non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da que­
sto momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza d i
Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed
egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono» (Le 22,67-70).
Il racconto di Luca - come del resto quelli di Matteo e di
Giovanni - contraddice l'affermazione di Marco secondo
cui al processo Gesù dichiara, clamorosamente e pubblica­
mente, la sua missione divina (cfr. Mc 1 4,62). In Luca Gesù
risponde soltanto in maniera evasiva. Data la mancanza di
altre prove, nessuno può dire che cosa in realtà accadde,
benché centinaia di studiosi, ebrei e cristiani, abbiano ten­
tato di interpretarlo. Basta infatti scorrere l'accurata mono­
grafia di Catchpole The Trial of ]esus per vedere che ogni at­
to in ogni episodio è stato ampiamente dibattuto.
Malgrado queste incertezze, chiunque interpreti i testi
deve vagliare la tradizione entro un determinato limite e
ricostruire, pur con beneficio d'inventario, quello che può
essere successo e, quindi, quello che ciascun evangelista
aggiunse, e per quali ragioni. Catchpole stesso sostiene
che il racconto di Luca del processo davanti al Sinedrio è
«storicamente più affidabile» di tutti gli altri.4Ciò signifi­
ca che i membri del Sinedrio accusavano Gesù di preten­
dere di essere il Messia e il Figlio di Dio. Con tale tesi non
concorda Raymond Brown, il quale si schiera con coloro
che sono convinti che gli appellativi «Messia» e «Figlio di
Dio» nacquero più tardi, in seno alle comunità cristiane
(in questo caso, a quella di Luca) e non nel Sinedrio ebrai-
116 Satana e i suoi angeli

co. Comunque, in base al racconto di Luca Gesù ricevette


una pubblica acclamazione a re (cfr. Le 19,38) e, come ab­
biamo sottolineato, anche quando i farisei gli intimavano
di far tacere coloro che inneggiavano a lui con tali parole,
si rifiutò di farlo (cfr. Le 19,39-40). Se egli si sia attribuito
in prima persona questi appellativi, come il solo Marco
asserisce (cfr. Mc 14, 61), o se semplicemente non abbia
rinnegato quello che altri dicevano di lui, come sosteng�
no Matteo, Luca e Giovanni, evidentemente interessava
meno al Sinedrio rispetto all'effetto che simili asserzioni
potevano avere sulle folle irrequiete che si radunavano
per la Pasqua ebraica. Di conseguenza, afferma Luca, i n�
miei di Gesù decisero di portarlo davanti a Pilato, mu�
vendogli tre accuse studiate per suscitare la preoccupa­
zione del governatore: «Abbiamo trovato costui che
sobillava il nostro popolo [forse perché impartiva ins�
gnamenti in contrasto alle autorità religiose ufficiali], im­
pediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cri­
sto re» (Le 23,2).
Marco e Matteo sostenevano che Pilato era scettico ri­
guardo alle accuse, mentre il Pilato di Luca dichiara Gesù
innocente non meno di tre volte. La prima, Pilato dice:
«Non trovo nessuna colpa in quest'uomo» (Le 23,4). Poi,
dopo che i sommi sacerdoti e la folla lo contestano e insi­
stono nel ritenere Gesù colpevole di turbare la pace, Pilato
tenta di liberarsi da ogni responsabilità mandandolo dal
re Erode. Mentre Marco e Matteo narravano che i soldati
di Pilato si presero gioco di Gesù e lo picchiarono, Luca
discolpa ulteriormente il governatore mostrando che fu­
rono Erode e i suoi ufficiali (come gli ufficiali ebraici che
parteciparono all'arresto) che malmenarono e schernirono
Gesù come sedicente re (dr. Le 23,11).
Cristo viene poi mandato di nuovo da Pilato, il quale
convoca formalmente «i sommi sacerdoti, le autorità e il
popolo» (Le 23,13). Questi tre gruppi, che prima erano di­
visi tra le autorità, che odiavano Gesù, e il popolo, che con
la sua presenza lo aveva protetto, ora formano un fronte
Luca e Giovanni reclamano leredità di Israele: la spaccatura si allarga 117

compatto contro di lui. A tutti gli uomini riuniti davanti a


lui Pilato dichiara di nuovo:
Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco,
l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna col­
pa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha ri­
mandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò,
dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò (Le 23,14-16).

Luca afferma però che le autorità ebraiche e il popolo,


sentendo la decisione di Pilato, protestarono unanime­
mente: «Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "A morte
costui!"» (corsivo mio; Le 23,18). Secondo l'evangelista,
Pilato ancora non voleva cedere, e «parlò di nuovo volen­
do rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: "Crocifiggilo! croci­
figgilo!"»(Le 23,20-21). Evidentemente Luca pensa di non
enfatizzare comunque troppo l'innocenza di Pilato, per­
ché a questo punto gli fa ripetere il verdetto una terza vol­
ta: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in
lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo
rilascerò» (Le 23,22). Ma gli astanti, afferma Luca, «insiste­
vano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le lo­
ro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richie­
sta fosse eseguita ... e abbandonò Gesù alla loro volontà»
(corsivo mio; Le 23,23-25).
In brani precedenti, nondimeno, Luca si era attenuto a
Marco dicendo che i nemici di Gesù lo consegnarono «ai
pagani» (Le 18,32); più avanti, Luca, come Marco, parlerà
di un centurione romano presente alla crocifissione. Que­
sti indizi, insieme alla affermazione dell'evangelista che
l'incriminazione scritta era di aver dichiarato di essere il
«re dei giudei», e che l'accusa era di sedizione (dr. Le 23,
38), indicano che Luca sapeva che i romani avevano effet­
tivamente pronunciato la sentenza e compiuto l'esecuzio­
ne. Tuttavia, per come racconta la storia, Luca consente, e
forse vuole, che il lettore - soprattutto quello che non ha
familiarità con altre versioni - deduca che, dopo che gli
ebrei ebbero arrestato Gesù e un tribunale ebraico lo ebbe
118 Satana e i suoi angeli

condannato a morte, furono i soldati ebraici che di fatto lo


crocifissero.
Luca modifica molti particolari della scena della morte
per mettere in rilievo l'innocenza di Gesù, e per dare una
versione più incoraggiante di Marco di come i fedeli a Dio
devono morire. Quando Gesù viene crocifisso tra due la­
droni, prega per i suoi aguzzini: «Padre, perdonali, perché
non sanno quello che fanno» (Le 23,34).s Marco aveva mo­
strato l'estrema umiliazione a cui Gesù era stato sottopo­
sto, dicendo che anche gli altri criminali condannati si era­
no uniti nel prenderlo in giro; ma Luca offre una versione
differente della storia:

Uno dei malfattori appesi alla croce lo ingiuriava dicendo: «Non


sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimprove­
rava: «Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa
pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre
azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In ve­
rità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Le 23,39-43).

Così, Luca sottolinea di nuovo l'innocenza di Gesù, in­


nocenza riconosciuta persino da un criminale condannato,
e mostra che anche in punto di morte egli ha la forza di per­
donare, redimere e salvare chi è perduto. Luca non riporta
il grido disperato di Gesù («Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?» [Sai 22,2]) né il suo ultimo lamento
inarticolato, e li sostituisce con una professione di fede
tratta dal Salmo 31,5: «Gesù, gridando a gran voce, dice:
"Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito [Sai 31, 5]". Det­
to questo spirò» (Le 23,46). Perciò Luca elimina la scena
dell'agonia e la sostituisce con un'altra di fedele sottomis­
sione a Dio. Infine, egli giunge a dire che molti degli astan­
ti, vedendo tutto questo, si pentivano di quello che aveva­
no fatto: «Anche tutte le folle che erano accorse a questo
spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne torna­
rono percuotendosi il petto» (Le 23,48). Egli modifica la
versione di Marco per affermare che il centurione romano
Luca e Giuvanni reclamano leredità di Israele: la spaccatura si allarga 119

che vide Gesù morire «glorificava Dio» e ripeté il verdetto


di Pilato: «Veramente quest'uomo era giusto» (Le 23,47).
Nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli Luca sottoli­
nea nuovamente che gli ebrei ebbero una maggiore re­
sponsabilità rispetto ai romani nella crocifissione di Gesù.
Pietro si rivolge in particolare agli «uomini di Israele», ac­
cusandoli di aver «crocifisso e ucciso» il giusto che Dio
aveva mandato a Israele. Poco dopo, parla ancora agli
«uomini di Israele», predicando a proposito di Gesù «che
voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato; mentre
egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il
Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un
assassino» (At 3,13-14).
Luca fornisce numerosi dettagli che hanno contribuito
a far credere ai cristiani più tardi che Pilato fosse un uomo
debole, ma di buone intenzioni e che il popolo ebraico -
ovvero coloro che l'evangelista considerava la maggioran­
za apostata - fosse responsabile della morte di Gesù e di
quella di molti suoi seguaci. Il noto esegeta francese Al­
fred Loisy afferma che, secondo Luca, «Gli ebrei sono gli
autori di tutto il male».6 Il commento di Loisy banalizza;
tuttavia, come abbiamo visto, Luca vuole mostrare che
quelli che rifiutano Gesù compiono la volontà di Satana
sulla terra.
Scrivendo indipendentemente da Luca e forse un de­
cennio più tardi, l'autore del Vangelo di Giovanni, che se­
condo la maggior parte degli studiosi era un ebreo con­
vertito al movimento, parla della comunità ebraica con
una durezza assai simile.7 In una scena molto tesa, Gesù
accusa gli ebrei di tentare di ucciderlo, dicendo: «Voi siete
di vostro padre, il diavolo!», e questi gli rendono pan per
focaccia accusandolo di essere un samaritano - cioè non
un vero ebreo - e di essere lui stesso «posseduto dal de­
monio» o folle.
Molti studiosi concordano che Gesù probabilmente non
avanzò tali accuse, ma che parole così forti riflettevano
l'aspro conflitto tra un gruppo di suoi seguaci a cui Gio-
120 Satana e i suoi angeli

vanni apparteneva (ca. 90-100) e la maggioranza degli


ebrei della città, soprattutto le autorità della sinagoga.
Scrivendo dall'interno di una comunità ebraica, forse in
Palestina, Giovanni è preoccupato che, dopo una serie di
scontri con le autorità, lui e gli altri cristiani vengano cac­
ciati con la forza dalle sinagoghe ed esclusi dalle comuni
pratiche di culto. Non ci è noto per certo quello che accad­
de; Giovanni dice soltanto che «Gli ebrei erano già d' ac­
cordo che chiunque professasse che Gesù era il Messia sa­
rebbe stato cacciato dalla sinagoga», e cioè letteralmente
che sarebbe diventato un à1toouvayroyii, un espulso dalla
propria sinagoga. Lo studioso del Nuovo Testamento
Louis Martyn ha mostrato che, qualsiasi cosa ciò signifi­
casse in particolare, questa traumatica separazione defini­
va il modo in cui il gruppo di Giovanni si vedeva: come
una piccola minoranza del popolo di Dio «odiata dal
mondo», un gruppo che spingeva i propri membri a rifiu­
tare a loro volta l'intero ambiente sociale e la religione in
cui erano cresciuti.8
Martyn sostiene inoltre che la crisi nella comunità di
Giovanni si verificò quando un gruppo di maestri ebrei,
sotto la guida del rabbi Gamalial II (80-115), introdusse
nel culto della sinagoga il cosiddetto birkhat ha-minim (let­
teralmente «benedizione degli eretici»), una preghiera che
invocava una maledizione sugli «eretici», compresi i cri­
stiani, qui specificamente identificati come «nazareni».
Con questa preghiera le autorità della sinagoga avrebbero
avuto la possibilità di domandare a tutte le persone so­
spette di essere dei «nazareni» di «fermarsi davanti all'ar­
co» e di guidare la congregazione nella benedizione in
modo che le persone colpevoli di essere cristiane avrebbe­
ro invocato una maledizione su loro stesse e su tutti i loro
compagni di fede. Lo storico Reuven Kimelman non si
trova d'accordo con Martyn e sostiene che questa maledi­
zione rituale entrò nei servizi della sinagoga considere­
volmente tardi, e che quindi non avrebbe potuto provoca­
re una crisi nel I secolo. L'autore di Giovanni, comunque,
Luca e Giovanni reclamano l'eredità di Israele: la spaccatura si allarga 121

parla come se le autorità della sinagoga avessero preso


misure più drastiche del birkhat ha-minim, affermando che
esse effettivamente esclusero i seguaci di Gesù per impe­
dire loro di praticare il loro culto insieme ad altri ebrei.
Quali che siano state le reali circostanze, Giovanni sce­
glie di raccontare la storia di Gesù come quella del con­
flitto cosmico tra la luce divina e le tenebre primordiali,
tra il gruppo ristretto dei seguaci di Gesù e gli implacabi­
li, nefandi oppositori che incontrarono «dal mondo». Sin
dal I secolo, la versione di Giovanni del Vangelo ha con­
solato e ispirato gruppi di credenti che si sono trovati in
una condizione di minoranza oppressa, ma di minoranza
che è convinta di rappresentare la luce divina nel mondo.
Mentre Marco comincia la sua narrazione con il battesi­
mo di Gesù, e Luca e Matteo risalgono a prima della sua
nascita, fino al concepimento, Giovanni ritorna alla stessa
origine dell'universo. L'evangelista inizia il suo Vangelo
con le parole di apertura del Genesi, che raccontano come
«in p rincipio» Dio separò la luce dalle tenebre.
Nell'echeggiare la grandiosa cosmologia di Genesi 1, il
prologo di Giovanni identifica il Myoç, l'energia di Dio
che agisce nella creazione, con la vita (çroil) e la luce (cjlo)ç),
cioè, la «luce degli uomini» (Gu 1,4). Anticipando il mes­
saggio di tutto il suo Vangelo, Giovanni dichiara che «la
luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno ac­
colta» (Gv 1,5). Secondo Giovanni, la «luce dell'umanità»
alla fine arrivò a brillare in e attraverso Gesù di Nazaret,
che si è rivelato essere il Figlio di Dio.
Perciò, Giovanni prende gli elementi primordiali sepa­
rati nella creazione (luce e tenebre) e ne fa i protagonisti di
un dramma umano, interpretandoli contemporaneamente
in termini religiosi, etici e sociali. Secondo Giovanni, que­
sta «luce» divina non soltanto «divenne umana, e venne
ad abitare in mezzo a noi», ma spiritualmente genera an­
che quelli che «diventano i figli di Dio» (cfr. Gv 1,12), i «fi­
gli della luce» (Gv 12,36). Allo stesso tempo, il giudizio
dato dall'apparizione di Gesù rivela gli altri come i «figli
122 Satana e i suoi angeli

delle tenebre»; in questo senso Gesù spiega al governatore


ebraico Nicodemo che

il giudizio è questo [letteralmente Kpim;]: la luce è venuta nel


mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché
le loro opere erano malvagie ... ma chi opera la verità viene alla lu­
ce... (Gv 3,19 e 21).

Al termine del Vangelo, Gesù, con la sua apparizione


sulla terra, avrà compiuto nella società umana quello che
Dio ha compiuto cosmologicamente nella creazione: la se­
parazione della luce dalle tenebre, cioè dei «figli della lu­
ce» dalla progenie delle tenebre e dal diavolo. Dopo aver
collocato la storia di Cristo in questa grandiosa cornice co­
smologica, Giovanni la inserisce anche nell'ambito delle
dinamiche del mondo delle interazioni umane, cosicché
«la storia di Gesù nel Vangelo viene sviluppata intera­
mente sulla terra».9 La cornice, nondimeno, informa il let­
tore che sia la venuta di Gesù sia tutti i suoi rapporti con
gli uomini sono elementi che compongono un dramma
soprannaturale giocato tra le forze del bene e quelle del
male.
Rappresentando la lotta tra il bene e il male come conte­
sa tra la luce e le tenebre, Giovanni, diversamente dagli
altri evangelisti, non descrive mai Satana nelle sembianze
di un essere disincarnato. A prima vista, infatti, l'immagi­
ne di Satana sembra essere scomparsa; lo studioso tedesco
Gustave Hoennecke giunge ad affermare che, «in Giovan­
ni, l'idea del diavolo è completamente assente».JOPiù pre­
cisa è, comunque, l'osservazione di Raymond Brown che
quello di Giovanni, come gli altri Vangeli, racconta tutta
la storia di Gesù come un conflitto con Satana che culmi­
na con la crocifissione.11 Sebbene questo evangelista non
raffiguri mai Satana come un personaggio autonomo, che
agisce indipendentemente dagli esseri umani, nel suo
Vangelo è la gente che svolge il ruolo del tentatore.
Tutte e tre le «scene di tentazione» presenti in Luca e in
Matteo compaiono anche in Giovanni, dove però Satana
Luai e Giovanni reclamano I'erediM di Israele: la spacaztura si allarga 123

non appare direttamente. Come ha mostrato Raymond


Brown, assumono invece la funzione di Satana prima «la
gente», poi coloro che seguivano Gesù per ascoltarlo e, in­
fine, persino i suoi fratern.12 Per esempio, Matteo e Luca
mostrano Satana che sfida Cristo a reclamare potere terre­
no (dr. Mt 4,8-9; Le 4,5-6); secondo Giovanni, invece, que­
sta sfida avviene quando «la gente stava per venire a pren­
derlo per farlo re» (cfr. Gv 6,15) . Qui, come negli altri
Vangeli, Gesù resiste alla tentazione, elude la folla e fugge.
In un'altra tentazione, Matteo e Luca, rifacendosi alla fonte
Q, riferiscono che il diavolo incitò Cristo a dimostrare il
suo potere divino trasformando «queste pietre in pane».
Giovanni narra invece che coloro che testimoniarono ai mi­
racoli di Gesù-e in particolare alla moltiplicazione dei cin­
que pani-lo invitarono a compiere un altro miracolo quale
ulteriore prova della sua identità messianica. Come in Lu­
ca e in Matteo il diavolo cita le Scritture, anche in Giovanni
coloro che chiedono con insistenza a Gesù di creare mira­
colosamente del pane fanno ricorso al testo sacro:
Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e
possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno man­
giato la manna nel deserto, come sta scritto. Diede loro da mangia­
re un pane dal cielo» (Gv 6,30-31).

Gesù resiste anche a questa seconda tentazione e, pro­


prio come in Matteo aveva replicato al diavolo parlando
di nutrimento spirituale ( «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma
di ogni parola che esce dalla bo cca di Dio» [Mt 4,4)), così, in
Giovanni, cita il «pane dal cielo, quello vero» (Gv 6,32). La
terza tentazione, in cui il diavolo chiede a Gesù di dimo­
strare in pubblico i suoi poteri divini (dr. Mt 4,5-6; Le 4,9-
12), viene echeggiata in Giovanni quando i fratelli stessi
di Cristo, che, afferma l'evangelista, non credevano in lui,
lo sfidano ad «andare in Giudea» per «mostrarsi al mon­
do», a Gerusalemme dove - come lui e loro sanno bene - i
suoi nemici vogliono ucciderlo (cfr. Gv 7,1-5). Gesù resiste
anche a questa tentazione.
124 Satana e i suoi angeli

Secondo Giovanni, è Gesù stesso che rivela l'identità


del maligno. Quando sente Pietro dichiarare che «noi [di­
scepoli] abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo»,
Cristo risponde infatti bruscamente: «''Non ho forse scel­
to io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!". Egli
parlava di Giuda, il figlio di Simone Iscariota: questi infat­
ti stava per tradirlo, uno dei Dodici» (Gv 6,69-71).
Preannunciando il tradimento che subirà, Gesù di nuo­
vo riconosce nell'apostata Giuda, accompagnato dal
drappello di soldati romani ed ebrei, il suo nemico so­
prannaturale che appare così in forma umana. Mentre in
Matteo, infatti, Cristo segnala l'arrivo di Giuda a Getse­
mani con le parole: «Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi
tradisce si avvicina» (Mt 26,46); in Giovanni egli annuncia
invece: «Viene il principe del mondo [cioè il Maligno] ...
Alzatevi, andiamo via di qui» (Gv 14,30-31). Poco prima,
Cristo aveva accusato «i giudei che avevano creduto in
lui» di tramare il suo omicidio: due volte egli imputa loro:
«Voi tentate di uccidermi». E poiché essi non capiscono le
sue parole, Gesù li identifica con Satana: «Voi che avete
per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del pa­
dre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio» (Gv
8,44). Raymond Brown osserva che in questi brani «per la
prima volta viene alla ribalta il fatto che il diavolo è il rea­
le antagonista di Gesù. Tale motivo diventerà sempre più
importante con l'approssimarsi dell'"ora" [della morte] di
Gesù, fino a quando la passione sarà presentata come uno
scontro fatale tra Gesù e Satana».13
Tutto ciò è vero; a Brown, però, interessano soltanto gli
aspetti teologici. Ma che significato hanno questi brani in
termini di conflitto umano? Molti commentatori, insieme
a innumerevoli lettori cristiani, si sono trovati d'accordo
con il giudizio schietto dell'influente studioso del Nuovo
Testamento Rudolph Bultmann: «Non ci può essere dub­
bio sul fine principale del brano che è quello di dimostra­
re che la mancanza di fede dei giudei, con l'ostilità alla verità
e alla vita che porta con sé, deriva dal loro essere figli del dia-
Luca e Giovanni reclamano leredità di Israele: la spaccatura si allarga 125

volo» (corsivi miei). t4 Bultmann aggiunge che Giovanni,


come Matteo e Luca, di fatto accusa gli ebrei di «omicidio
intenzionale».15 (Altrove, come vedremo, Bultmann fa af­
fermazioni che hanno differenti implicazioni.) Negli ulti­
mi decenni, questi brani di Giovanni hanno suscitato un
turbinio di discussioni, spesso animate da commentatori
cristiani, secondo i quali tali parole non significano - o
moralmente non possono significare - quello che la mag­
gior parte dei cristiani per quasi due millenni ha interpre­
tato.
Molti studiosi hanno osservato che il termine «giudei»
ricorre molto più di frequente in Giovanni che negli altri
Vangeli, e che la maniera in cui è usato indica che questo
autore e i suoi seguaci si sentono più lontani dalla mag­
gioranza ebraica rispetto agli altri evangelisti. Dozzine,
anzi centinaia di articoli interpretano in diversi modi
l'uso che Giovanni fa del termine greco ioooaioç, tradotto
generalmente con «giudeo, ebreo».16 Talvolta, ovviamen­
te , l'utilizzo che questo evangelista ne fa coincide con
quello abituale nel suo tempo in brani in cui semplice­
mente vengono descritti individui che sono ebrei e non
gentili: in due casi, però, egli presenta due persone estra­
nee a Cristo - prima una donna samaritana e più tardi il
governatore romano, Ponzio Pilato - che definiscono Ge­
sù stesso «un giudeo» (cfr. Gv 4,9; 18,33). In alcune pagine
il termine chiaramente identifica i giudei - cioè le persone
che vivono a o nei pressi di Gerusalemme - in quanto di­
stinti dai galileiani e dai samaritani. In altri brani ancora,
l'espressione «i giudei» funge in tutta evidenza da sinoni­
mo per «autorità ebraiche». Ma in alcuni passi che posso­
no anche sovrapporsi con questi ultimi, Giovanni utilizza
il termine «giudei» per descrivere persone estranee a Ge­
sù e a lui ostili; egli afferma ripetutamente, per esempio,
che «i giudei cercavano di uccider[lo]», e che Gesù, alcune
volte, non andò a Gerusalemme «per paura dei giudei».
Nel capitolo 8, quando Cristo intraprende un dialogo
polemico con «i giudei che avevano creduto in lui» e alla
126 Satana e i suoi angeli

fine denuncia «gli ebrei» quali progenie di Satana, è ovvio


che non sta facendo una semplice distinzione etnica, dato
che, naturalmente, lui stesso e tutti i suoi discepoli sono
ebrei tanto quanto i loro oppositori. Qui, mentre lui incar­
na la luce divina della presenza di Dio, «gli ebrei» rappre­
sentano «il mondo» che ha rifiutato quella luce. Come
Giovanni aveva dichiarato nel suo prologo,
Veniva nel mondo / la luce vera, I quella che illumina ogni uo­
mo. I Egli era nel mondo, I e il mondo fu fatto per mezzo di lui, I
eppure il mondo non lo riconobbe. I Venne fra la sua gente, ma i
suoi non l'hanno accolto (Gv 1,9-11).

Più tardi, sottolinea Bultmann, «gli ebWi» diventano si­


nonimo di quel «mondo» che non accoglie, che non cre­
de.17 L'esegeta neotestamentario tedesco Heinrich Schnei­
der esprime una visione in genere condivisa dagli
studiosi cristiani, quando dice che
Da una generale non-accettazione di Gesù da parte della gente
nei primi capitoli [di Giovanni], l'opposizione viene man mano
sempre più identificata con un gruppo [specifico] ... gli ebrei. In defi­
nitiva, il grup}?O rappresenta le forze ostili a Gesù, che sono le forze
delle tenebre. È ovvio che non abbiamo qui a che fare con un gruppo etni­
.
co, ma con un simbolo drammatico teologico.... Non coglieremmo il pieno
significato di questo simbolo se considerassimo gli ebrei in Giovanni sol­
tanto come u11a figura storica. «l giudf.'i» sono una realtà sempre presente e
una minaccia a qualsiasi culto di Dio in spirito e verità (corsivo mio).18

Tuttavia altri commentatori, fra cui Samuel Sandmel,


non trovano scontato che «non abbiamo a che fare con un
gruppo etnico». Sandmel sostiene che tali interpreti vo­
gliono «scagionare il Vangelo dal suo manifesto antisemiti­
smo» e puntualizza che Giovanni non accusa «l'umanità»
o «il mondo» in generale, ma in particolare «gli ebrei», di
aver attivamente perseguito il fine di uccidere Gesù. t9
Chiunque legga il Vangelo di Giovanni può vedere che
«gli ebrei» sono diventati per lui quello che Bultmann con­
sidera un simbolo del male umano.w Ma coloro che con­
cordano con Rudolph Bultmann e Heinrich Schneider che
l'uso del termine è meramente simbolico, e perciò non ha
Luca e Giomnni rerlamano l'eredità di Israele: la spaccatura si allarga 127

ripercussioni sociali o politiche, sembrano avere finalità


apologetiche. La decisione di Giovanni di trasformare un
gruppo reale e riconoscibile - sia tra i contemporanei di
Gesù sia tra i propri - in un «simbolo di tutto il male» ov­
viamente ha implicazioni religiose, sociali e politiche.
Qualcuno potrebbe dubitarlo, se oggi un autore influente
trasformasse le donne o, a seconda del suo scopo, i mussul­
mani o gli omosessuali in «simboli di tutto il male»? Asse­
gnando «agli ebrei» quel ruolo, il Vangelo di Giovanni può
suscitare e anche legittimare l'ostilità verso il giudaismo,
una potenzialità che lo studioso del Nuovo Testamento Re­
ginald Fuller dice essere «stata ampiamente e tragicamente
messa in atto nel corso della storia cristiana». 21
Il mio fine in questa sede non è descrivere nei particolari,
come altri hanno fatto, la complessa situazione storica che
diede origine alla descrizione di Giovanni della passione.
Poniamo per ipotesi, anzitutto, che sia storicamente proba­
bile che alcune autorità ebraiche abbiano collaborato con
quelle romane nell'arresto e nell'esecuzione di Gesù. Con­
sideriamo vero, inoltre, l'argomento ben illustrato da Louis
Martyn e altri che l'autore di Giovanni interpreta nella sua
narrazione conflitti in cui egli stesso si è trovato coinvolto,
tra il suo gruppo e quelli che chiama «i giudei», espressione
con cui forse allude in primo luogo ai capi delle comunità
ebraiche di sua conoscenza (ca. 90-100 d.C.), insieme ai loro
sostenitori. Quello che intendo fare ora non è definire con
precisione l'uso di Giovanni del termine «giudei». Ho inve­
ce un fine molto più semplice: mostrare come il Vangelo di
Giovanni, non diversamente dagli altri, associ la figura mi­
tologica di Satana con l'opposizione umana, prima sottoin­
tendendola a Giuda Iscariota, poi alle autorità ebraiche e
infine ai «giudei» come comunità.
Dall'inizio del Vangelo, poi, come abbiamo visto, l'au­
tore di Giovanni delinea lo scontro tra i «figli della luce» e
i «figli delle tenebre», in maniera simile ai suoi predeces­
sori di Qftmran, ma facendo rappresentare la «luce» in
particolare a Gesù. Dopo che «i giudei» tentano di lapida-
128 Satana e i suoi angeli

re Cristo perché pronuncia parole che essi considerano


blasfeme - invocando, in effetti, il nome di Dio (cfr. Gv
8,59) -, Cristo stesso dichiara: «Dobbiamo compiere le
opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno; poi vie­
ne la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono
nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,4-5). Passando
rapidamente alla narrazione della passione, che qui occu­
pa metà dell'intero Vangelo, Giovanni, come Luca, rende
esplicita l'accusa implicita in Marco e Matteo, cioè che Sa­
tana stesso provocò il tradimento di Giuda:
Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a
Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo ... E allora, dopo quel
boccone, Satana entrò in lui, Gesù quindi gli disse: «Quel che devi
fare, fallo al più presto» ... Preso il boccone, egli [Giuda] subito usd.
Ed era notte (Gv 13,2,27 e 30).

Siccome Giovanni sottolinea che Gesù, pur pienamente


a conoscenza dello sviluppo futuro degli eventi, mantiene
un totale controllo di essi, scrive anche che è lui stesso a
dare a Giuda il boccone che precede l'ingresso di Satana
(compiendo così la profezia del Salmo 41,9). Poi ordina a
Giuda di compiere l'atto che segue («Quel che devi fare
fallo al più presto»). Nel momento fatale in cui ha inizio il
tradimento di Gesù, Giovanni, come Luca, descrive «la
forza delle tenebre» (cfr. Le 22,53), che eclissa la «luce del
mondo»; in quest'ottica si comprende la sua severa frase
finale liv BÈ vu� («Ed era notte»).
Qui il racconto della passione è qualcosa di più di una
storia; con le parole del Gesù di Giovanni, è un giudizio o
una crisi, per tradurre letteralmente dal greco Kpicnç.
Quando predice la sua crocifissione, Gesù dichiara che,
invece di rappresentare un giudizio contro di lui, essa rap­
presenta il giudizio di Dio contro «questo mondo»; invece
di annientare lui, annienterà il diabolico «principe di que­
sto mondo»:
«Ora è il giudizio [Kpimç] di questo mondo; ora il principe di
questo mondo sarà gettato fuori. lo, quando sarò elevato da terra,
Luca e Giotianni reclamano l'eredità di Israele: la spaccatura si allarga 129

attirerò tutti a me.» Questo diceva per indicare di qu al morte dove­


va morire (Gv 12,31-33; cfr. anche 14,30).

I lettori di Giovanni sono perciò avvertiti che gli eventi


che egli descrive - e, dunque, il resoconto che ne fa - han­
no anche la funzione di giudicare e di condannare quali
«figli delle tenebre» coloro che hanno partecipato alla uc­
cisione di Cristo . Giovanni, come Luca, elimina qualsiasi
traccia di iniziativa romana nell'esecuzione di Gesù. In
quasi tutti gli episodi, egli mostra quello che uno studioso
definisce la «bizzarra esagerazione» di sottolineare che
l'accusa di aver dato inizio, organizzato e portato a termi­
ne la crocifissione ricade sui nemici vicini a Gesù, i suoi
correligionari ebrei .
Usando evidentemente, r ispetto agli altri Vangeli, una
fonte p i ù antica e indipendente, Giovanni riferisce che
prima dell'arresto di Gesù:
... i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il Sinedrio e dicevano:
«Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fa­
re cosi .. . verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo
e l a nostra nazione» {Gv 11,47-48).

Io mi trovo d'accordo con quelli - fra cui il class icista


Fergus Millar - che considerano questa parte del resocon­
to di Giovanni più vicina, rispetto alle altre versioni evan­
geliche, alla realtà dei fatti.22 Diversamente da Marco e da
Matteo che presentano un processo complesso, Giovanni
mostra i membri del concilio preoccupati per i disordini
suscitati da Gesù tra la gente, un motivo plausibile per la
loro sentenza, poiché essi vogliono proteggere la propria
circoscrizione dal rischio di rappresaglie romane, anche a
costo di un'ingiusta condanna a morte. Dopo che «Giuda
dunque, preso un distacca mento di soldati [presumibil­
mente romani] e delle guardie fomite dai sommi sacerdo­
ti e dai farisei» (Gv 18,3) ebbe tradito Gesù, il drappello
venuto per arrestarlo lo catturò e lo legò e lo trascinò da
Anna, «suocero di Caifa, che era sommo sacerdote», il
quale, dopo averlo interrogato, «lo mandò legato a Caifa,
130 Satana e i suoi angeli

sommo sacerdote». Rosemary Reuther osserva che qui


l'intento di Giovanni è soffocare le accuse politiche contro
Gesù - che egli avesse proclamato di essere re - per dare
corpo a quella religiosa, cioè che egli minacciasse il Tem­
pio.23
Sebbene non riporti altri procedimenti condotti da un
tribunale ebraico, Giovanni non lascia dubbi che i sommi
sacerdoti vogliano Gesù morto. Egli li descrive come eva­
sivi e dotati di una morale ristretta, nella scena in cui Pila­
to li interroga sull'imputazione: «Se non fosse un malfat­
tore, non te l'avremmo consegnato» (Gv 18,30). Quando
poi il governatore, senza aver ancora sentito nessuna ac­
cusa, replica, con indifferenza o disprezzo: «Prendetelo
voi e giudicatelo secondo la vostra legge!», i «giudei» ri­
spondono: «A noi non è consentito mettere a morte nessu­
no» (Gv 18,31).
Secondo alcuni studiosi quest'ultima affermazione è
infondata. Richard Husband sostiene che per la giurisdi­
zione romana del I secolo il Sinedrio ebraico manteneva il
suo tradizionale diritto di giustiziare a fronte di alcuni
precisi crimini cosiddetti religiosi, come violare i recinti
del Tempio, trasgredire la legge e commettere adulterio.24
Husband e altri precisano che soltanto cinque anni circa
dopo la morte di Gesù, nel 36, gli ebrei lapidarono a mor­
te il suo seguace Stefano perché aveva «parlato contro la
legge». Ma si trattò di un linciaggio della folla o dell'ese­
cuzione di una sentenza del Sinedrio?
Flavio Giusepp� scrive che, nel 62 d.C., il sommo sacer­
dote Ananus II riunì il Sinedrio e condannò a morte per
lapidazione Giacomo, fratello di Gesù, insieme a molti al­
tri, sotto l'accusa di aver trasgredito la legge. Queste ese­
cuzioni sembra che siano costate ad Ananus II il posto di
sommo sacerdote, allorché alcuni gerosolimitani si lamen­
tarono con il re ebraico Agrippa II e con il procuratore ro­
mano Albino che Ananus avesse messo a morte Giacomo
e altri senza notificarlo al procuratore e, tanto meno, sen­
za chiedergliene l'autorizzazione. Flavio Giuseppe descri-
Luca e Giovanni reclamano leredità di Israele: la spaccatura si allarga 131

ve poi un caso più tardo, che mostra come le autorità


ebraiche fossero diventate più caute nell'eseguire senten­
ze capitali senza il permesso romano. Un uomo di nome
Gesù bar Ananias, che aveva preannunciato pubblica­
mente la rovina di Gerusalemme e del suo Tempio, fu ar­
restato e percosso da influenti personaggi ebraici. Quan­
do questi lo condussero davanti al governatore romano
Albino, nella speranza di ottenere la pena di morte,
egli non rispose, ma continuò a compiangere il destino della
città finché Albino sentenziò che si trattava di pazzia e lo lasciò an­
dare.25

Intorno agli anni Sessanta d.C., l'autorizzazione dei ro­


mani sembra che fosse una misura necessaria, o per lo
meno opportuna, per eseguire una condanna a morte.
Tuttavia, a causa della mancanza di prove decisive, le pur
intense ricerche e discussioni degli studiosi in materia
non hanno potuto dimostrarlo per certo. Nel caso di Gesù
di Nazaret, comunque, le fonti cristiane raramente affer­
mano che furono gli ebrei a uccidere Gesù, che questo atto
sia stato ratificato dai romani, o meno. Benché i Vangeli
non descrivano Pilato che effettivamente condanna Cristo
alla pena capitale, in base alle prove storiche il governato­
re deve aver ordinato ai suoi soldati di metterlo a morte
per sedizione. Come per quello che ebbe luogo tra le auto­
rità ebraiche e il governatore, la nostra unica prova si fon­
da sui Vangeli stessi e sulle reinterpretazioni tarde cristia­
ne ed ebraiche di questi avvenimenti, caricate come sono
di mutue accuse e polemiche. Qualsiasi facoltà legali il Si­
nedrio avesse in rapporto alla pena capitale, il punto che
Giovanni desidera sottolineare è abbastanza evidente:
malgrado i romani fossero noti per aver mandato a morte
Gesù nel modo loro solito (cfr. Gv 19,32), lo fecero soltanto
perché «i giudei» li costrinsero a ciò.26
Quando Pilato gli chiede: «Sei un re?», Gesù elude la
domanda, e Pilato ribatte: «Sono io forse giudeo? La tua gen­
te e i sommi sacerdoti ti hanno conseguato a me: che cosa hai
132 Satana e i suoi angeli

fatto?» (corsivo mio; Gv 18,35). Se il suo regno fosse stato


terreno, Gesù dice, «i miei servitori avrebbero combattuto
perché non fossi consegnato ai giudei» (Gv 18,36): un iro­
nico capovolgimento di Giovanni delle accuse esposte in
Marco, Luca e Matteo, i quali più volte descrivono gli
ebrei «che consegnano Gesù» alle «nazioni»!
Come in Luca, anche in Giovanni Pilato per tre volte di­
chiara Gesù innocente, e per tre volte propone di liberar­
lo; ma ogni volta i sommi sacerdoti e quelli che l'evangeli­
sta chiama «i giudei», invece, gli chiedono a gran voce di
«crocifiggerlo» (cfr. Gv 18,38-40; 19,5-7; 19,14-15). Giovan­
ni «spiega», inoltre, che Pilato aveva consentito ai suoi
soldati di frustare e torturare Gesù soltanto per suscitare
la compassione della folla (cfr. Gv 19,1-4), e quindi per
placare quella che lo studioso inglese Dennis Nineham
chiama «la furia insaziabile degli ebrei».27 Lo stesso evan­
gelista aggiunge che quando questi affermano che Gesù
ha violato la loro legge religiosa, e perciò «deve morire»,
Pilato ha «ancor più paura» (Gv 19,8). Rivolgendosi poi a
Cristo con l'atteggiamento di chi continua a sperare di li­
berarlo, il governatore riceve dal prigioniero una qualche
assoluzione per la sua colpa; parlando come se egli fosse il
giudice di Pilato (quale Giovanni crede che sia), Gesù di­
chiara infatti: «Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha
colpa più grande» (Gv 19,11). Quando la folla minaccia di
accusarlo di tradimento contro Roma (cfr. Gv 19,12), Pilato
fa un ultimo vano tentativo di rilasciare Gesù: «Devo cro­
cifiggere il vostro re?», a cui i sommi sacerdoti rispondo­
no: «Noi non abbiamo altri re al di fuori di Cesare»; e alla
fine cede alle grida. A questo punto, afferma Giovanni, Pi­
lato, non avendo né emesso una sentenza su Gesù, né or­
dinato la sua esecuzione, «lo consegnò loro perché fosse
crocifisso» (Gv 19,16). In tale scena, come ha commentato
C.H. Dodd, «i sacerdoti esercitano una pressione inesora­
bile, mentre il governatore volta le spalle e fugge come
una lepre inseguita».28 Immediatamente dopo che Pilato
consegna Gesù agli ebrei, il narratore passa a dire: «Allora
Luca e Giomnni reclamano leredità di Israele: la spaccatura si allarga 133

presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il


luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo croci­
fissero e con lui altri due» (Gv 19,17-18).
Secondo la descrizione di Giovanni della crocifissione,
in cui egli mostra come l'ignominiosa morte di Cristo
compia la profezia in ogni particolare, accadde anche che
Giuseppe di Arimatea, «che era discepolo di Gesù, ma di
nascosto per timore dei giudei» (Gv 19,38), chiedesse a Pi­
lato di consentirgli di riprendere il corpo del maestro e di
seppellirlo. L'episodio sottointende che i nemici di Cristo
sono talmente vendicativi che Giuseppe e un altro disce­
polo segreto, Nicodemo, temono addirittura di offrirgli
una sepoltura decente. Molti studiosi hanno discusso i
motivi che hanno spinto Giovanni a descrivere un Pilato
che desidera liberare l'innocente Gesù, e a presentare in­
vece gli ebrei non soltanto come «i malvagi, ma come il
colmo della malvagità».29
Anziché scagionare completamente Pilato, comunque,
il Gesù di Giovanni, facendo da giudice al suo giudice, co­
me abbiamo visto, lo dichiara reo di peccato, per quanto
«meno» reo degli ebrei. Nondimeno, nota Pau1 Winter, «il
rigore di Pilato diminuisce di Vangelo in Vangelo ... [da
Marco a Matteo, da Matteo a Luca e infine a Giovanni].
Più la sua figura si allontana dalla realtà storica, più si ri­
vela compassionevole».31J
Con gli ebrei, «nemici vicini» a Gesù, si verifica invece
un processo parallelo, ma all'inverso: essi potenziano con
il tempo la loro ostilità. Nella scena di apertura di Marco,
Gesù sfida audacemente non i suoi correligionari ebrei,
ma le forze del male. Poi entra in un conflitto man mano
sempre più intenso, prima «con gli scribi», poi con i farisei
e gli erodiani, finché folle della sua gente, in uno scontro
che Marco descrive come essenzialmente «intragiudaico»,
convincono le forze romane riluttanti a ucciderlo. Scriven­
do circa vent'anni più tardi di Marco, Matteo, abbiamo vi­
sto, delinea un antagonismo molto più aspro e violento
tra Gesù e la maggior parte dei suoi contemporanei ebrei
134 Satana e i suoi angeli

e giunge fino al punto di relegare il re Erode nel ruolo del


Faraone, odiato e tirannico. Infatti, quando nacque Cristo,
Erode e «con lui tutta Gerusalemme» - e in particolare
«tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo» - erano
turbati; e perciò Erode decise di ucciderlo. Matteo descri­
ve i farisei, autorità religiose del suo tempo, come «figli
degli inferi», destinati, insieme a coloro che respingono
l'insegnamento di Gesù, all'eterna dannazione nelle
«fiamme riservate al diavolo e a tutti i suoi angeli». Tutta­
via, io concordo con la recente analisi di Andrew Over­
man secondo cui anche Matteo intende mostrare, di fatto,
uno scontro tra gruppi rivali di riformatori ebraici, ciascu­
no dei quali insiste sulla propria superiore rettitudine, e
ciascuno dei quali dipinge l'altro come posseduto dal de­
monio.31
Luca, come abbiamo visto, supera notevolmente questa
posizione. Non appena il diavolo compare per tentare e
uccidere Gesù, tutti i concittadini di Cristo, sentendo il
suo primo discorso nella loro sinagoga, vengono colti
dall'ira, e cercano di gettarlo da una rupe. Soltanto al cul­
mine del resoconto di Luca, Satana ritorna di persona, per
così dire, per entrare in Giuda e per dirigere in tal modo
l'operazione che termina con la crocifissione.
Giovanni, che scrive intorno al 100, abbandona lo stra­
tagemma del diavolo come personaggio soprannaturale
autonomo (se, in realtà, ne aveva sentito parlare, come io
credo). Nella sua versione, infatti, Satana, come Dio stes­
so, appare incarnato, prima in Giuda Iscariota, poi nelle
autorità ebraiche quando si contrappongono a Gesù, e in­
fine in quelli che egli chiama «i giudei», un gruppo che
descrive come alleati di Satana, diversi da Gesù e dai suoi
seguaci come le tenebre dalla luce, o le forze degli inferi
dagli eserciti dei cieli.
Ciascuno dei diversi ritratti che gli evangelisti fanno
del diavolo è correlato con la «storia sociale di Satana»,
cioè con la storia di un conflitto crescente tra i gruppi che
rappresentano i seguaci di Gesù e i loro oppositori. Pre-
Luca e Giovanni reclamano l'eredità di Israele: la spaccatura si allarga 135

sentando la vita e il messaggio di Gesù in questi termini


polemici, gli evangelisti senza dubbio intendevano raffor­
zare la loro solidarietà di gruppo. Nel fare ciò, essi forma­
rono, in modi che dovevano diventare estremamente gra­
vidi di conseguenze, l'autocoscienza dei cristiani in
rapporto agli ebrei per i successivi duemila anni.
V

Il regno terreno di Satana:


i cristiani contro i pagani

Tra il 70 e il 100 il periodo che intercorse tra la stesura


-

del Vangelo di Marco e la composizione di quello di Gio­


vanni il movimento cristiano trovò seguito in larga mi­
-

sura tra i gentili. Molti convertiti si resero conto che il fat­


to di essere passati al cristianesimo metteva le loro vite in
pericolo; e che essi non erano minacciati dagli ebrei, ma
dai pagani, dagli ufficiali romani e dalle masse cittadine
che li odiavano per il loro «ateismo», nel timore che esso
potesse scatenare l'ira degli dèi sulle loro intere comunità.
Soltanto due generazioni dopo Marco e Matteo, i conver­
titi gentili, tra i quali molti ex pagani delle province roma­
ne - Asia Minore, Siria, Egitto, Africa e Grecia -, modifica­
rono il lessico evangelico per fronteggiare un nuovo
nemico. Come le precedenti generazioni di cristiani ave­
vano sostenuto di vedere Satana negli ebrei, i convertiti
che ora affrontavano la persecuzione romana affermava­
no dunque di scorgerlo, insieme ai suoi demoniaci alleati,
all'opera tra gli altri gentili.
La situazione opprimente determinata dalla persecu­
zione di stato trasformò la caratterizzazione dei gentili ri­
spetto a come l'abbiamo trovata in Matteo e in Luca; infat­
ti, quegli autori che, come abbiamo visto, speravano di
essere ascoltati con favore presso il pubblico dei gentili
avevano descritto i romani e gli altri gentili in termini so­
litamente positivi. ' Finché i cristiani rimasero un movi­
mento di minoranza tra le comunità ebraiche, in genere
considerarono gli altri ebrei come potenziali nemici, e i
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 137

gentili come potenziali convertiti. Sebbene l'apostolo Pao­


lo, che scriveva nel 55 circa, lamenti di aver affrontato il
pericolo in ogni situazione - «pericoli di briganti, pericoli
dai miei connazionali, pericol i dai pagani ... peric oli da
parte di falsi fratelli» (2Cor 11,26) -, egli parla di vera e
propria p ersecuzio ne solamente da parte degli ebrei:
«Cinque volte dai giudei ho ricevuto i trentanove colpi;
tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono
stato lapidato» (2Cor 11,24). In base al testo di Luca negli
Atti, Paolo considerava i magistrati romani come suoi
protettori contro l'ostilità degli ebrei; e Paolo stesso, quan­
do scrive ai cristiani di Roma, ordina loro: «Ciascuno stia
sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità
se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio»,
anche nel loro diritto, concesso da Dio, di «portare la spa­
da» e di «mettere in atto l'ira di Dio» (Rom 1 3,1).
Tuttavia anche Paolo fu giustiziato, probabilmente su
ordine di un magistrato imperiale; e circa dieci anni dopo,
quando molti romani imputavano a Nerone di essere il re­
sponsabile di un rogo che devastò gran parte di Roma,
questi ordinò l'arresto di un gruppo di cristiani, li accusò
di incendio doloso, e li fece appendere nel suo giardino e
bruciare vivi come torce umane.2
Un discepolo di Paolo, a conoscenza delle circostanze
della morte del suo maestro e dei diversi pericoli che i cri­
stiani affrontavano, osservava in una lettera attribuita al-
1' apostolo, intitolata Lettera agli Efesini, che i cristiani non
stanno lottando contro semplici esseri umani:

La nostra ba ttagl ia infatti non è contro creature fatte di sangue e


di carne, ma contro poteri, contro i Principati e le Potestà, contro i
dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male
che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6, 12).

Questo autore paolino esprime la sensazione di guerra


spirituale provata da molti cristiani, soprattutto da quelli
che affrontano la persecuzione. L'autore del Libro della Ri­
velazione, asserendo di aver subito lesilio «in nome della
138 Satana e i suoi angeli

parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (Riv 1 ,9), e


conscio che altri patiscono la prigionia, la tortura e la morte
nelle mani dei magistrati romani, descrive visioni terrifi­
canti ed estatiche, evocate da tradizionali immagini profe­
tiche di animali e mostri, che caratterizzano i poteri di Ro­
ma, da lui identificati con «il diavolo e Satana» (Riv 20,2,
passim). Malgrado il tono in genere benevolo con cui i ro­
mani vengono descritti nei Vangeli, il resoconto della croci­
fissione nondimeno invita i cristiani a riconoscere le forze
demoniache che operano attraverso sia gli ufficiali romani,
sia le autorità ebraiche; Luca giunge inoltre ad affermare
che la crocifissione di Gesù stabill un'empia alleanza tra Pi­
lato ed Erode, tanto che le autorità romal'l'e e quelle ebrai­
che divennero amiche «in quel giorno» (Le 23,12).
I convertiti gentili, che erano odiati dagli altri gentili -
spesso loro familiari, concittadini e magistrati delle loro
città -, credevano che i fedeli d egli dèi pagani fossero gui­
dati da Satana a insidiare il popolo di Dio. Mentre i predi­
catori cristiani sempre più si rivolgevano ai gentili, molti
capivano che l'elemento propr i o del cristianesimo che
aveva offeso la maggior parte degli ebrei offendeva ancor
più i pagani: «I cristiani recidevano i legami tradizionali
tra la religione e una nazione o popolo» e, come lo storico
Robert L. Wilken precisa, «i popoli antichi davano per
scontato che la religione fosse indissolubilmente legata a
una particolare città, nazione o popolo».3 Gli ebrei identi­
ficavano la loro religione con la popolazione ebraica in to­
to, unita per tradizione, per quanto dispersa nel mondo;
per i pagani, la pietas consisteva nel rispettare gli antichi
costumi e nell'onorare i tradizionali mores. Il movimento
cristiano, invece, incoraggiava la gente ad abbandonare le
abitudini ancestrali e a spezzare i legami sacri di famiglia,
società e nazione.
Il movimento che si originò come setta nell'ambito del
giudai smo e venne rifiutato dalla maggior parte degli
ebrei - ripudiati a loro volta dai cristiani - ora si rivolgeva
a gente di tutte le nazioni e tribù perché si unisse nella
n regno tmeno di Satana: i cristiani contro i pagani 139

nuova «società cristiana» e spezzasse tutti i precedenti le­


gami di parentela e affiliazione. «Un Cristo] » aveva di­
chiarato l'apostolo Paolo «non c'è più Giudeo né Greco;
non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna»
(Gal 3,28): per coloro che sono «rinati» nel battesimo (cfr.
Gv 3,5-8), il mondo si suddivide in due soli generi di per­
sone: quelli che appartengono al regno di Dio, che hanno
cittadinanza nei cieli (cfr Eb 12,22-24; 13,14), e quelli che
ancora sono governati dal maligno, sudditi di Satana.
Malgrado l'atteggiamento critico ufficiale romano e
l'ostilità popolare pagana, il movimento cresceva. In una
supplica agli imperatori romani il convertito nordafricano
Tertulliano si vanta che
Quelli che un tempo odiavano [i cristiani] cominciano a prende­
re in odio la loro vita passata e a professare ciò che prima odiavano
... Si va gridando che la città è come assediata da noi; nelle campa­
gne, nei borghi, nelle isole d sono cristiani; ci si affligge quasi fosse
una disgrazia che persone di ogni sesso, di ogni età, di ogni condi­
zione, anche altolocate, passino a questo nome.4

Che cosa spingerebbe i cristiani a «professare ciò che


prima odiavano», persino a costo di mettere in pericolo le
loro vite? Tertulliano e alcuni altri - Giustino dalla costa
dell'Asia Minore, il suo allievo Taziano dalla Siria e Orige­
ne, un egiziano - ci hanno lasciato alcuni spunti interpre­
tativi.
Giustino, un giovane arrivato a Roma dall'Asia Minore
intorno al 140 d.C. per compiere gli studi di filosofia, si
recò un giorno con alcuni amici nell'anfiteatro per assiste­
re alle lotte circensi dei gladiatori, tenute per festeggiare il
compleanno dell'imperatore. Gli spettatori applaudivano
coloro che andavano incontro sprezzanti alla morte, e fre­
mevano al momento del colpo letale. La folla si eccitava se
un gladiatore sconfitto offriva arditamente il collo alla
spada del suo antagonista, mentre lo scherniva e fischiava
se si faceva cogliere dal panico.s
Nel corso di questo spettacolo violento, Giustino rima­
se profondamente colpito nel vedere un gruppo di crimi-
140 Satana e i suoi angeli

nali che venivano trascinati per poi essere sbranati da bel­


ve feroci. La serenità e il coraggio con cui essi affrontava­
no la loro brutale esecuzione pubblica lo lasciò stupefatto,
soprattutto quando seppe che erano persone non istruite,
cristiani, che il senatore romano Tacito sosteneva che fos­
sero «invisi per le loro nefandezze» e che inoltre avessero
come ispiratore Christos, esso stesso «condannato al sup­
plizio per ordine di Ponzio Pilato» circa cento anni
p rim a 6 Giustino rim ase profondamente scosso vedendo
.

un gruppo di persone n on istruite compiere di fatto ciò


che Platone e Zenone consideravano l'obiettivo più alto
per un filosofo: accettare la morte con serenità, un atto in
quella sede svilito dalla sm argias s ata dei gladiatori. Di
fronte a tali scene, egli capì che stava assistendo a qualco­
sa, per così dire, di oltre natura, a un miracolo: in qualche
modo queste persone avevano attinto a una grande, mi­
steriosa fonte di energia.
Giustino sarebbe rimasto ancor più stupefatto se avesse
saputo che i cristiani non si consideravano filosofi, ma
combattenti in un conflitto cosmico, guerrieri di Dio con­
tro Satana.7 Come apprese più tardi, il loro sorprendente
coraggio derivava dalla convinzione che la loro agonia e
la loro morte affrettavano concretamente la vittoria di Dio
sulle forze del male, forze incarnate nel magistrato roma­
no che li aveva condannati e, per il medesimo motivo, in
spettatori come lo stesso Giustino!
Qualche tempo più tardi, mentre passeggiava da solo in
un campo nelle vicinanze del mare, Giustino incontrò
all'improvviso un uomo anziano che si rivelò appartenere
a questo gruppo.s All'inizio questi gli domandò che cosa
ricercasse nella filosofia; ma invece di rimanere impres ­

sionato, come Giustino si aspettava, lo sfidò e gli disse che


la filosofia non avrebbe mai potuto illuminarlo.
Quello che il futuro apologista cercava nella filosofia
non era semplicemente una conoscenza intellettuale, ma
la realizzazione di sé: come devo vivere per essere felice?
quali sono i passi che conducono alla trasformazione?9 A
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 141

uno stadio precedente della sua ricerca filosofica, narra


Giustino, si era «arreso» a un maestro stoico, nella speran­
za di trascendere il suo ordinario, «umano» punto di vi­
sta. I maestri stoici promettevano che studiando la fisica -
letteralmente la «natura» - si potesse imparare a collocare
ogni evento, ostacolo o circostanza della vita di ciascuno
in una prospettiva universale, e a partecipare del divino,
che è sinonimo di natura. Giustino afferma che si senti
frustrato perché il suo maestro raramente parlava del di­
vino e scoraggiava domande su tale argomento; così egli
se ne andò, e cominciò a studiare con un filosofo peripate­
tico. Dopo alcuni giorni, quando questo nuovo maestro
gli chiese di pagarlo per i suoi insegnamenti, se ne andò
disgusta to, decidendo che l'uomo non «era filosofo per
nulla». Giustino non desistette; poi tentò con un pitagori­
co, che prometteva di impartire discipline fisiche e intel­
lettuali che armonizzassero l'anima con il divino. Quando
questi, però, gli disse che avrebbe dovuto padroneggiare
l'astronomia, la matematica e la musica prima di poter
persino iniziare a capire «che cosa assicura una vita feli­
ce», abbandonò.
Frustrato e disperato, Giustino infine scopri negli inse­
gnamenti di un brillante commentatore di Platone quella
che credeva fosse la vera via. Aveva già fatto grandi pro­
gressi verso l'illuminazione, racconta, e si aspettava pre­
sto di essere in grado raggiungere il suo scopo di cogliere
il divino. Ma l'anziano cristiano che incontrò passeggian­
do vicino al mare sfidò la sua premessa filosofica fonda­
mentale: «Allora, la nostra mente ha un potere così gran­
de? La mente umana vedrà Dio per capacità propria?».
L'uomo anziano esprimeva la paura più profonda di Giu­
stino: che il suo sforzo fosse una perdita di tempo; che la
mente umana, per quanto la si arricchisca con gli studi e
se ne accrescano le capacità, sia intrinsecamente incapace
di raggiungere quello scopo; che la mente non possa com­
prendere Dio con le sue sole forze.
Quando l'uomo anziano lo sfidò per la prima volta,
142 Satana e i suoi angeli

Giustino replicò con veemenza, utilizzando schemi fissi


platonici. Più tardi, nel raccontare lepisodio, egli riconob­
be però con ironia la sua ingenuità; si rivide seguitare a ri­
petere la frase: «Dice Platone ... e io gli credo». Sentendosi
sempre più sciocco, capi che le sue obiezioni agli argo­
menti dell'uomo anziano derivavano semplicemente dal­
la sua cieca accettazione dell'autorità di Platone, non da
qualche convinzione né esperienza propria.
Mentre discuteva con l'uomo anziano, Giustino si ac­
corse per la prima volta di essere incespicato in un proces­
so molto più profondo di quanto l'intelletto potesse pene­
trare. Egli aveva sempre dato per certo di possedere una
mente libera di pensare razionalmente su qualsiasi argo­
mento, compreso il divino. Ora sentiva l'opposto: che la
mente stessa è infestata da poteri demoniaci che distorco­
no e confondono il nostro ragionamento. Perché lui - o
chiunque altro - possa intendere, disse l'uomo anziano,
deve accogliere lo spirito divino, una forza che va molto
al di là della nostra comprensione, una forza che «illumi­
na la mente».10 Ma prima Giustino dovrebbe sottoporsi a
esorcismo, un rituale in cui chi celebra, lui stesso pervaso
dallo spirito divino, invoca quello spirito per cacciare i
poteri demoniaci che occupano e possiedono la sua mente
e il suo corpo, come accade in coloro che non sono battez­
zati, prigionieri della confusione e dell'ignoranza.
Dopo un'accalorata discussione con l'uomo anziano e
un'aspra lotta interiore, Giustino si convinse che i cristiani
avevano scoperto l'accesso al grande potere, potere divi­
no che era sempre là, in attesa di sprigionarsi tra le nubi, e
che veniva portato in terra dagli efficaci rituali cristiani, a
cominciare dal battesimo. n
Prima di andarsene, l'uomo anziano, racconta Giustino,
ammonì il giovane:

Prega dunque perché innanzitutto ti si aprano le porte della lu­


ce; si tratta infatti di cosa che non tutti possono vedere e capire, ma
solo coloro cui lo concedono Dio e il suo Cristo.1 2
n regno terreno di Satami: i cristiani contro i pagani 143

Dopo che se ne fu andato, Giustino afferma che


Quanto a me un fuoco divampò all'istante per quegli uomini
che sono amici di Cristo. Ponderando tra me e me le sue parole tro­
...

vai che questa era l'unica filosofia certa e proficua. 13

Quando incontrò altri «amici di Cristo», Giustino chie­


se di diventare un candidato al battesimo. Egli non ci de­
scrive in particolare la cerimonia, ma in altre fonti si legge
quanto segue: dopo aver digiunato e pregato per prepa­
rarsi, Giustino si sottopose, forse nella notte prima di Pa­
squa, al rito che avrebbe scacciato i poteri insiti in lui e che
gli avrebbe attribuito una nuova vita divina. Prima il cele­
brante gli domandò se era disposto a «rinunciare al diavo­
lo, a tutta la sua pompa, e ai suoi angeli»; e Giustino di­
chiarò tre volte, secondo il cerimoniale, «Vi rinuncio». Poi
scese nudo in un fiume e vi si immerse per simboleggiare
la morte del suo vecchio sé e la purificazione dai peccati.
Dopo che fu pronunciato il nome divino e il celebrante eb­
be invocato lo spirito affinché discendesse su di lui, egli
riemerse rinato, per poi essere vestito con abiti bianchi
sulla spiaggia e ricevere un composto di latte e miele, cibo
per bambini, adatto a un nuovo nato.14
Giustino disse di aver conseguito con il battesimo quel­
lo che aveva cercato invano nella filosofia: «Questo lava­
cro si chiamia "illuminazione", poiché coloro che com­
prendono queste cose sono illuminati nella mente». 15 Più
tardi egli spiegò ad altri potenziali convertiti: «Poiché nul­
la sapendo della nostra prima generazione, secondo ne­
cessità siamo stati generati da umido seme per l'unione
dei genitori, e per na tura abbiamo cattivi costumi e mal­
vagie inclinazioni», veniamo battezzati «per non rimanere
figli di necessità e di ignoranza, bensì di libera scelta e di
sapienza».16 La «rigenerazione», consentita dal rito, da
nuovi genitori - Dio e lo Spirito Santo - misero Giustino
in condizione di rinunciare non solamente alla sua fami­
glia naturale ma ai «cattivi costumi e malvagie inclinazio­
ni» che gli erano stati insegnati fin dall'infanzia, soprat-
144 Satana e i suoi angeli

tutto alla tradizionale devozione agli dèi, che egli ora ve­
deva come spiriti maligni. Entrato nel mondo cristiano,
aspro e spaccato, Giustino si univa a quegli uomini corag­
giosi, illetterati, alla cui morte cruenta aveva assistito
nell'anfiteatro romano. Ora, analogamente a loro, inter­
pretava l'intero universo come un campo di battaglia, do­
ve si scontravano forze cosmiche.
Giustino riteneva che ai suoi occhi fosse stata improvvi­
samente svelata la verità che si nasconde dietro le appa­
renze più innocue; le statue di marmo delle divinità For­
tuna e Roma che egli vedeva nella piazza del mercato
ogni giorno; le effigi di Ercole, che presiedeva ai bagni
pubblici, e di Dioniso e di Apollo nel teatro. Dietro quei
visi familiari scolpiti, ora riconosceva «forze spirituali del
male in luoghi celesti». Così all'improvviso capì, come
Paolo, che le forze che agiscono sull'umanità indifesa, di­
versamente da quanto pensavano i pagani, non sono né
umane né divine, ma demoniache.
I genitori pagani di Giustino lo avevano educato alla tra­
dizionale pietas e a venerare le forze della natura come divi­
ne. Per i pagani pii, sostiene il classicista A.H. Armstrong,
Gli antichi dèi hanno la bellezza e la divinità del sole, del mare,
del vento, delle montagne, di grandi fiere; splendide, possenti e
minacciose realtà che non entrano nella sfera della moralità e non si
preoccupano in nessun modo della genia umana.1 7

Il culto pagano univa il timore reverenziale al terrore per


le possenti forze che minacciano la nostra debole specie.
L'oracolo di Delfi ammoniva i fedeli a «conoscere se stessi»,
non per invitarli a una profonda contemplazione o intro­
spezione, ma per ricordare loro con forza che erano mortali,
effimeri, letteralmente «creature di un giorno», spinte a vi­
vere e morire in mezzo a poteri cosmici di gran lunga al di là
della loro comprensione che interagiscono tra loro.
Dal VI secolo a.e. in avanti, i filosofi rifletterono su quei
poteri cosmici, giungendo a conclusioni diverse. Platone
parlava di «necessità», altri delle forze del «destino» o
Il re,�110 terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 145

«fato» che governano l'universo. Più tardi, gli stoici «Smi­


tizzarono» i vecchi miti e reinterpretarono gli stessi dèi -
Zeus, Era, Afrodite - come simboli degli elementi del co­
smo naturale. Alcuni sostenevano, per esempio, che Era
rappresentasse l'aria, Zeus il fulmine e il tuono, Eros e
Afrodite le pulsioni erotiche che ci inducono alla copula, e
Ares la forza aggressiva che ci trascina alla guerra.JB Molti
filosofi classici concordavano che questi dèi non sono né
cattivi né buoni in sé: benché possano sembrare capriccio­
si, ora benevolenti, ora ostili, secondo la maggior parte
dei pensatori pagani, simili giudizi non dipendono per
nulla dagli dèi stessi, ma soltanto dalle reazioni umane a
eventi particolari.
Per Giustino la conversione mutò tutto ciò. Malgrado la
grande pompa delle processioni pubbliche, le migliaia di
templi e di sfavillanti sacerdoti, e sebbene le divinità pa­
gane fossero onorate dall'imperatore in persona, che ave­
va il ministero di ponti/ex maximus, ora egli percepiva co­
me alleato di Satana ogni dio e ogni spirito che aveva
sempre conosciuto, compresi Apollo, Afrodite e Giove
che aveva venerato fin dall'infanzia. Rinato, Giustino
adesso scorgeva nelle forze spirituali del cosmo, che i filo­
sofi pagani pii chiamavano oaiµoveç, quelli che egli defi­
niva «impuri oaiµoveç».19 Con la diffusione del movimen­
to cristiano nel mondo occidentale, la lingua stessa rifletté
questo cambiamento di prospettiva rilevato dall'apologi­
sta: il termine greco oaiµoveç - «forze spirituali» - si tra­
sformò in quello che in italiano sarebbe diventato
«demo11i».20 Infatti, Giustino dice:
... tra tutto il genere umano, noi - che anticamente adoravamo
Dioniso, figlio di Semele, ed Apollo, figlio di Latona (e c'è da ver­
gognarsi anche solo a pronunciare quali azioni compirono per
amore di maschi), e Persefone e Afrodite o Asclepi o o qualunque
altro dei cosiddetti dèi - noi abbiamo preso a disprezzarli, con
...

l'aiuto di Gesù Cristo, anche se siamo minacciati di morte ... Anzi


noi abbiamo pietà di quanti vi cred o n o : ben sappiamo che sono i
demoni la causa di tutto ciò .21
146 Satana e i suoi angeli

I filosofi che sostengono che «qualsiasi cosa accada ac­


cade per fatale necessità» si dimostrano in errore, afferma
Giustino, di fronte a coloro che sono «rinati a Dio»; in lo­
ro, infatti, vediamo «la stessa persona che passa a cose op­
poste».22 L'apologista dice di aver scoperto che «le parole
di Cristo» hanno un «terribile potere in loro perché posso­
no ispirare quelli che si allontanano dal retto sentiero»;23
ora lui e gli altri cristiani, che un tempo erano dominati
come spesso succede dalle passioni, dalla bramosia e
dall' odio

...ci sia m o allontanati da loro, e seguiamo il solo ingenerato Id­


dio, per mezzo del Suo Figlio.
Noi che prima godevamo della dissolutezza, ora amiamo solo la
continenza; noi, che ... ambivamo, più degli altri, a conseguire ric­
chezze e beni, ora mettiamo in comune anche ciò che abbiamo e lo
spartiamo con i bisognosi;
noi, che ci odia vamo l'un l' altro e ci uccidevamo e non spartiva­
mo il focolare con coloro che non era no della nostra stirpe o a veva­
no diversi costumi, ora ... viviamo in comunità.24

Giustino scorge nella sua esperienza e in quelle dei cri­


stiani che lo circondano la dimostrazione che il potere divi­
no li mette in condizione di vivere «oltre natura». Proprio
come i cristiani che egli guardava morire nell'anfiteatro
sconfiggevano l'istinto di sopravvivenza con il loro corag­
gio ispirato, così, egli dice, altri hanno vinto la tirannia del­
le pulsioni istintuali:

E molti uomini e donne di sessanta o setta nta a nni, che fin d a


fa nciulli furono ammaestrati negli insegna menti d i Cristo, perseve­
rano incorrotti. E mi vanto di potervi mostrare uomini siffatti spar­
si in ogni classe.
C'è forse bisogno di parlare dell'innumerevole moltitudine di
coloro che si sono convertiti da una vita dissoluta e hanno appreso
questa verità?25

Giustino porta ad esempio le persone che hanno vinto


forti impulsi, come quello a bere smodatamente. Numero­
si altri, egli afferma, «hanno cambiato le loro attitudini
violente e tiranniche», superandole grazie alla stupefa-
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 147

cente tolleranza, pazienza e assoluta integrità che hanno


trovato nei cristiani che erano loro vicini.26
Elogiando la nuova società formata da queste persone
«rinate»,27 Giustino allo stesso tempo vede come malefica
quella vecchia, una società in cui, per esempio, si abban­
donano i neonati i quali finiscono poi per morire o essere
cresciuti da oppor tunisti che li avviano alla prostituzione
e li vendono sul mercato degli schiavi «come greggi di
buoi o di capre».28 Quale privilegiato studente di filosofia,
egli avrebbe potuto dimostrarsi superiore a tutto ciò; in­
vece, si indign a per i bambini abbandonati e disprezza i
relativisti in morale che vanno orgogliosi della loro sofi­
sticazione filosofica: «Gli uomini giudicano le cose buone
o cattive solo secondo l'opinione soggettiva : e questa è
gravissima empietà ed iniquità».29
Ora l'esistenza di Giustino ha un indirizzo morale. Egli
contrappone la vita naturale, che un tempo conduceva co­
me preda pa ssiva dei demoni, a quella informata dallo
spirito che conduce ora:
Più di tutti gli uomini noi vi siamo utili ed alleati per la pace, dal
momento che questo è il nostro pensiero: è impossibile che sfugga
a Dio il malfattore o l'avido o l'insidiatore, o anche l'uomo virtuo­
so, e ciascuno va verso un'eterna pena o salvezza, secondo che me­
ritano le sue azioni.30

In questa nuova vita, Giustino vede il suo ruolo nel co­


smo enormemente accresciuto; la posizione che egli pren­
de e le scelte che fa non soltanto decidono del suo destino
eterno, ma fin da subito lo coinvolgono quale combattente
attivo nella lotta universale tra lo Spirito di Dio e Satana.31
Giustino comprende però l'ironia - e il terribile pericolo
- della sua nuova condizione: l'aver ricevuto la divina il­
luminazione lo ha strappato da tutto quello che gli era fa­
miliare, lo ha alienato da parenti e amici e lo ha sradicato
d a gran parte della sua cultura. E, cosa più inquietante, lo
ha privato di qualsiasi sicurezza. L'esorcismo battesimale
lo ha messo in contrapposizione agli dèi, che aveva vene-
148 Satana e i suoi angeli

rato fino a quel momento, e in conflitto potenzialmente


fatale con quasi tutte le persone che aveva conosciuto in
passato, soprattutto con le autorità governative. Ora egli
appartiene a un gruppo che la maggioranza dei romani e i
magistrati guardano con sospetto e disprezzo, malgrado
tutti gli sforzi degli evangelisti di sedare i loro timori.32 Le
persone pubblicamente accusate di fedeltà a Cristo sono
passibili di arresto e interrogatorio, spesso sotto tortura;
chi «confessa» viene subito condannato a morte, per deca­
pitazione, se ha la buona sorte di essere cittadino romano;
e, se non ce l'ha, con tortura prolungata e pubblico ludi­
brio, venendo mandato ad bestias, cioè a essere sbranato
da animali feroci nell'arena. Giustino sa di casi di credenti
o di loro schiavi, fra cui donne e bambini, che sono stati
tormentati finché non hanno «ammesso» di aver visto dei
cristiani compiere atrocità, come mangiare carne umana e
bere il sangue di bambini appena massacrati. Soltanto
trent'anni prima, persino un ufficiale moderato come Pli­
nio, governatore di Bitinia in Asia Minore, ormai stanco di
torturare dei cristiani non colpevoli di veri e propri reati,
aveva deciso che meritavano la pena di morte, se non al­
tro per la loro assoluta «ostinazione».33
Ma perché la semplice parola «cristiano» suscitava un
odio cosi violento e irrazionale? Riflettendo su tale inter­
rogativo, Giustino trova alcune chiavi interpretative in
quelle che definisce le «memorie degli apostoli» e che noi
chiamiamo Vangeli. Ll egli legge che, dopo che lo spirito
di Dio scese su Gesù al momento del battesimo, Satana e i
suoi demoniaci alleati gli si aizzarono contro e lo perse­
guitarono fino alla morte. Quindi anche ora, intende Giu­
stino, quando lo spirito scende sui battezzati, le stesse
forze del male che avevano combattuto contro Gesù at­
taccano i suoi seguaci. I Vangeli mostrano all'apologista
come le forze spirituali, divine o demoniache, possano al­
bergare negli esseri umani - spesso senza che essi lo sap­
piano - e portarli a Dio o alla distruzione. Ora egli capi­
sce 1' avvertimento paolino che «la nostra battaglia infatti
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 149

non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma con·


tro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo
mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano
nelle regioni celesti» (E/ 6,12).
La convinzione che forze non apparenti inducano gli
esseri umani ad agire non era, è naturale, nulla di nuovo;
era universalmente accettata in tutto il mondo pagano.
Un migliaio di anni prima, Omero aveva descritto in che
modo simili forze «usino» gli esseri umani: Atena aveva
ispirato Achille nelle sue eroiche gesta, e Afrodite si era
impadronita di Elena di Troia e l'aveva invasata, trasci·
nandola nella passione adulterina che portò il suo popolo
alla guerra. Ricordando la morte di Socrate, Giustino
comprese, con turbamento, che egli aveva detto la stessa
cosa che affermavano i cristiani: ossia che tutti gli dèi che
Omero onora sono in realtà forze del male che corrom�
no la gente, «seducendo le donne e sodomizzando i ra·
gazzi» e costringendo con il terrore gli uomini a venerarli
come dèi.34 Era per tale ragione, sostiene Giustino, che »
crate denunciava la religione tradizionale e fu accusato di
ateismo. Le stesse forze demoniache, furiose con Socrate
perché minacciava di smascherarle, indussero il popolo
ateniese a giustiziarlo. Quest'universale trama demonia·
ca, interpreta Giustino, rende conto dell'irrazionale odio
che la semplice presenza dei cristiani suscitava nei paga·
ni, giustificando non soltanto gli accessi di violenza della
folla ignorante e rozza, ma anche la criminalizzazione
persino da parte dei più illuminati imperatori che mai ga.
vemarono Roma.
Giustino coraggiosamente indirizza una lettera aperta a
questi sovrani - ad Antonino Pio e ai suoi due figli, l'im·
peratore stoico Marco Aurelio, che egli chiama il «filosofo
verissimo», e a «Lucio il Filosofo» - appellandosi a loro
come a uomini di filosofia, nella speranza, egli dice, di
aprire loro gli occhi. L'apologista scrive: «lo, Giustino, di
Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapolis, città
della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e
150 Satana e i suoi angeli

questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe in­


giustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di lo­
ro».35 Identificandosi esplicitamente con coloro che i de­
moni tentano di uccidere, Giustino lancia una pubblica
sfida che non terminerà con una grazia ma, come egli con­
fessa di temere, con la sua accusa e condanna a morte.
Dopo essersi rivolto con formule di rispetto e cortesia
all'imperatore Antonino Pio e ai suoi due figli, subito egli
dice in tutta schiettezza che, malgrado le loro pretese filo­
sofiche, essi non sono padroni delle loro menti. «Anche
ora», egli avverte i sovrani del mondo romano, «questi
demoni tentano di tenervi schiavi, imped�ndovi di com­
prendere quello che noi diciamo. »36 L'ltrazionale odio
pubblico degli imperatori per i cristiani dimostra, afferma
l'apologista, che le loro menti sono state catturate dagli
stessi spiriti maligni che incitarono gli ateniesi a uccidere
Socrate; ora, per la medesima ragione, questi spiriti li
spingono a sterminare i cristiani.
Non molto tempo dopo aver scritto agli imperatori (da
cui, evidentemente, non ricevette alcuna risposta ), Giusti­
no venne a sapere del caso di una convertita aristocratica
che era stata arrestata. Prima della conversione, egli rac­
conta, la donna, in stato di ebbrezza, si era abbandonata,
insieme al marito, a unioni con gli schiavi della sua casa e
con altre persone; dopo il battesimo, invece, recuperato il
senno, si rifiutò di partecipare a simili pratiche e chiese di
separarsi dal consorte. Gli amici la persuasero a restare
con lui, nella speranza di una riconciliazione; e, afferma
Giustino, «ella andò contro i suoi stessi sentimenti e rima­
se con lui». Tuttavia, quand o venne a sapere che il marito,
durante un viaggio ad Alessandria, si era comportato
peggio che in passato, pretese il divorzio e lo lasciò. L'uo­
mo, allora, la denunciò alle autorità come cristiana, ma el­
la riusci a rimandare il suo processo appelland osi all'im­
peratore. Di conseguenza, il marito sfogò la propria furia
contro Porfirio, il suo maestro cristiano, e lo fece arrestare
e sommariamente giustiziare insieme a parecchi altri.37
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 151

Preoccupato e turbato da tale condanna, Giustino scris­


se una seconda lettera di protesta, questa volta rivolgen­
dosi al «Senato romano».38 Qualche tempo dopo egli stes­
so fu messo sotto accusa, arrestato e interrogato. Rustico,
prefetto di Roma, ordinò che lui e i suoi allievi arrestati
nella stessa occasione «obbedissero agli dèi e si sottomet­
tessero alle autorità pubbliche». Quando gli offrirono il
proscioglimento dalla pena di morte se avesse sacrificato
agli dèi, l'apologista lo rifiutò sprezzantemente: «Nessuna
persona retta di mente passa dalla pietà all'empietà». Ru­
stico avverti di nuovo l'accusato delle conseguenze della
sua fermezza e poi, trovandolo inamovibile, pronunciò la
sen tenza: «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli
dèi e di obbedire agli ordini dell'imperatore siano picchia­
ti e costretti a subire la pena della decapitazione, secondo
le leggi».39 Pur avendo perso nello scontro con il tribunale
romano, Giustino e i suoi compagni si avviarono alla ca­
mera della flagellazione, consolandosi che, nondimeno,
avevano vinto la battaglia decisiva; erano trionfanti sui
demoni, che brandivano il terrore - la paura della soffe­
renza e della morte - come loro ultima arma.
Se i sovrani a cui Giustino si era rivolto avessero letto ef­
fettivamente le sue petizioni (è più probabile che un segre­
tario imperiale le abbia riposte in un archivio del governo),
avrebbero guardato con disprezzo alla sua concezione del
mondo spirituale.40 Marco Aurelio, noto per gli scritti con­
servati del suo diario privato, forse avrebbe aborrito la «fi­
losofia cristiana» dell'apologista in quanto orribilmente
pomposa, il contrario di quelle che egli giu dicava le verità,
che si conquistano con fatica e che egli stesso aveva tratto
dalla filosofia.4t Considerato durante il suo impero il mae­
stro del mondo civile (ca. 161-180), egli valutava importan­
te, più delle sue ricchezze e degli onori di imperatore, la fi­
losofia religiosa che lo aiutava a tollerare le responsabilità e
lo sosteneva nella solitudine, nello sconforto e nel dolore.
Nell'affrontare i suoi impegni quotidiani, Marco Aurelio
non prescindeva mai dalla riflessione filosofica per ricor-
152 Satana e i suoi angeli

dare a se stesso che egli, come chiunque altro, era soggetto


alle forze che dominano l'universo.
Questo imperatore fu educato dal padre, Antonino Pio,
a governare. Con riluttanza rinunciò alla filosofia, sua pri­
ma passione, per esercitarsi in attività pratiche come le ar­
ti marziali, l'eloquenza in pubblico, l'equitazione, e per
formarsi una personalità consona a un imperatore. Marco
Aurelio elogia il padre quale suo più importante modello
di carattere umano, e loda gli dèi per tutto ciò che gli è
successo nella vita, soprattutto per «aver meditato, con
chiarezza, più volte, quale sia la condotta secondo la natu­
ra» e per «i moniti, anzi i precetti degli dèi», che rappre­
sentano le forze della natura. 42
Benché spesso si esprima nel linguaggio della pietas tra­
dizionale, Marco Aurelio aveva adattato a se stesso le ri­
flessioni di alcuni maestri stoici, fra cui Musonio Rufo, che
aveva reinterpretato i «vecchi dèi» - Zeus, Era, Afrodite,
Apollo - come elementi del cosmo naturale. Nel processo
di demitologizzazione degli antichi miti, i filosofi stoici
tendevano a ridimensionare le qualità inquietanti, volubili
e ostili che i poeti del passato, Omero, Saffo ed Esiodo, ave­
vano attribuito agli dèi.43 Marco Aurelio era giunto a crede­
re che tutti gli dèi e oaiµoveç («esseri spirituali»), per quan­
to di fformi o in conflitto tra loro possano apparire, facciano
parte in realtà di un unico ordine cosmico.44 Solo, di notte,
scrivendo il diario, forse in una tenda accampato con i suoi
soldati nella fredda desolazione delle sponde di un af­
fluente del Danubio o nella pianura ungherese, l'imperato­
re spesso manifesta timore reverenziale unito a una netta
sensazione della vulnerabilità della nostra fragile specie.
Tuttavia, egli crede che la pietas consista nel sottomettersi
spontaneamente a natura, necessità e destino, termini che
egli considera intercambiabili. Nel suo pensiero, l'unico
concetto che veramente conta è che siamo tutti soggetti a
queste forze cosmiche; la sola questione aperta è se possia­
mo sottometterci a esse con serenità.
Quale uomo che tenta di domare le passioni della paura
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 153

e del dolore, Marco Aurelio di continuo ricorda a se stesso


che «la morte, al pari della nascita, è un mistero della na­
tura»,45 ciascuna delle due necessariamente complemen­
tare all'altra:
Qualunque cosa avvenga, è tanto comune e usuale come le rose
a primavera e la frutta d'estate; e di tal genere sono anche le malat­
tie, la morte, la calunnia, le insidie e tutto quel che allieta o ra ttrista
gli stolti.
Le cose hanno sempre qualche stretto vincolo con quelle che le
precedono, perché non si tratta di cose separate le une dalle altre e
che sono governate da una sola necessità, bensì da un legame ra­
zionale. E come gli esseri sono coordinati armonicamente, cosl gli
a vvenimenti non dimostrano solo una pura e semplice successione,
bensl una meravigliosa affin ità tra loro.46

Ricordando i combattimenti e le esibizioni dei gladiato­


ri in cui delle persone vengono sbranate da bestie feroci,
Marco Aurelio pensa che un vero filosofo
mirerebbe le fauci spa lan cate di una belva effettivamente viva
con godi mento non inferiore di quello che sente nel contemplarle
imitate da pittori e scultori; e gli sarebbe possibile, col suo sguardo
sereno, rilevare la particolare bellezza che si riscontra tanto nei li­
neamen ti di una vecchia o di un vecchio, o in quelli dei ba mbini.47
Marco Aurelio parla d egli «dèi» come di immani poteri
u n i ve rsali che intrecci ano le nostre vite individuali nel
tessu to dell'esistenza, in cui gli elementi che ci compon­
gono alla fine si dissolveranno:
L'anima dell'uomo è assai arrogante [UJ3pt<ntlç) quando diventa,
per sua colpa, simile a un ascesso, a un tumore nel corpo del mon­
do, perché mal sopportare tutti gli eventi vuol dire a gire contro la
natura.48

Profondamente conscio che disgrazia e buona sorte «ca­


pitano senza distinzione sui buoni e sui malvagi», Marco
Aurelio combatte per dare senso a questo fatto: l'universo
funziona caoticamente, «senza disegno né direzione» ? se
vogliamo essere onesti dobbiamo diventare atei?49 Egli re­
spinge l'idea che la vita non abbia alcun senso, e dice in­
vece:
154 Satana e i suoi angeli

Né la natura universa avrebbe potuto trascurare tali cose per


ignoranza, per incomprensione o per impotenza a prevenirle e a
migliorarle, né avrebbe potuto per la sua impossibilità o incapacità
errare siffattamente da lasciare che fortune e sciagure s'abbattesse­
ro a caso su buoni e cattivi.50

Al contrario, questa indistinzione mostra che «vivere e


morire, fama e disgrazia, sofferenza e piacere, ricchezza e
privazioni, in realtà non sono cose né buone né cattive»; so­
no invece, tutte allo stesso modo, semplicemente parte
dell' «opera della natura». Ciò che comporta il bene e il male,
comunque, è come noi reagiamo a quello che la natura fa:
resta proprio dell'uomo saggio tanto l'amare che l'accogliere se­
renamente quel che gli capita e gli è mandato dalla sorte; il non
contaminare il proprio spirito interiore, ma ... tributargli venerazio­
ne quasi fosse Dio.51

Deciso a superare le sue naturali reazioni al tradimento


e al fallimento - angoscia, autocommiserazione e dolore -,
Marco Aurelio impiega tutta la propria energia morale
nella disciplina di praticare l'equilibrio, spesso riferendosi
a quello che gli antichi chiamavano il «dolore intollerabi­
le», la perdita di un figlio. Marco e sua moglie Faustina,
come molti loro contemporanei, provarono più volte tale
dolore; undici dei loro quattordici figli morirono neonati o
bambini. In uno di questi momenti di crisi, Marco Aurelio
scrisse a se stesso: «Vedo mio figlio ammalato. Questo ve­
do, ma non che sia in pericolo»:s2 secondo la sua filosofia,
infatti, morire o vivere è equivalente. L'imperatore rim­
provera aspramente se stesso per il suo impulso a prega­
re: «Oh se potessi non perdere mai il mio bambino! »;53
persino desiderare fortemente che il piccolo viva e non
muoia, egli crede, è «protestare contro natura». Marco
Aurelio si consola con le parole di Epitteto, uno dei grandi
maestri stoici: «Quando baci tuo figlio, sussurra nel tuo
respiro: "Domani potrai esser morto" .». «Cattivo augu­
rio» alcuni biasimavano Epitteto, ma egli ribatteva:
«Niente affatto, ma semplici indicazioni di un atto della
n regno terreno di Satana: i cristiani rontro i pagani 155

natura. Sarebbe cattivo augurio parlare di mietere il grano


maturo?».54 Come Epitteto, Marco Aurelio ignora l'obie­
zione ovvia che un bambino difficilmente è «maturo» per
la mietitura della morte; egli riflette soltanto che ciascuno
di noi cadrà come «grani di incenso cadono sul medesimo
altare, quale prima quale dopo».55 Così, egli continua nel
suo monologo interiore, anziché compiangersi: «Me scia­
gurato, mi è capitata questa disgrazia», ci si d ovrebbe
sforzare di dire: «Me fortunato, perché, colpito da questa
disgrazia, sopravvivo, né afflitto dal presente, né terroriz­
zato dal futuro».56 Meditando sui rovesci della sorte - im­
peratori improvvisamente assassinati, schiavi liberati -
Marco Aurelio dice a se stesso: «Qualunque cosa ti acca­
da, era destinata dall'eternità, e fin dall'eternità la conca­
tenazione delle cause aveva preparato la tua esistenza a
tale avvenimento».57
Il primo articolo di fede di Marco Aurelio riguarda,
dunque, l'unità di tutto l'essere:
Tutte le cose sono concatenate reciprocamente e il vincolo che le
unisce è sacro; e non ce n'è alcuna che sia estranea all'altra, perché
tutte formano un complesso e contribuiscono ad abbellire uno stes­
so mondo. Infatti uno è il m ondo che risulta da esse, e uno il Dio
che le pervade, una la sostanza, una la legge, una la ragione comu­
ne a tutti gli esseri pensanti, una la verità.
Una sarà qu ind i la perfezione di tutti gli esseri che hanno un'ori­
gine e sono dotati della stessa ragione 511
.

Marco Aurelio percepisce la natura e il destino come


forze improntate da un'unica realtà di carattere divino e si
sforza di accettare la propria sorte per dovere religioso.
Non lo aspetta niente di meno che a chiunque altro, certa­
mente niente di meno che a chiunque aspiri alla filosofia.
Marco Aurelio fu unico; pochi altri pagani tentarono di
costruire una simile sintesi coerente di filosofia, etica e pie­
tas. D'altra parte, quasi tutti quelli che onoravano gli dèi
pensavano probabilmente che queste energie invisibili
presidiano su tutti i fattori della vita, concedendo o ne­
gando fecondità, fissando alla nascita la durata dell'esi-
1 56 Satana e i suoi angeli

stenza di ogni persona, dispensando salute e ricchezza ad


alcuni, e ad altri povertà, malattia e schiavitù, esattamente
come presidiano sul destino di ciascuna nazione.
Molti pagani, forse la maggioranza, compivano riti alle
celebrazioni del Tempio, prendevano parte a feste e versa­
vano sacre libagioni, venerando perciò questi poteri so­
prannaturali come elementi del «d ivino » . All'epoca di
Marco Aurelio, comunque, numerosi fedeli avranno con­
venuto che tutti gli dèi e oaiµoveç, anche quelli apparente­
mente in conflitto l'uno con l'altro, dovevano fare parte di
un unico sistema cosmico, che chiamavano indifferente­
mente il divino, natura, provvidenza, necessità o fato.
La credenza nell'inesorabilità del fato, che Marco Aure­
lio si sforzava di accettare, suscitava in altri un forte im­
pulso a opporre resistenza al suo potere universale che
tutto pervade. Come Hans Dieter Betz e John Gager han­
no mostrato, molte persone consultavano maghi che asse­
rivano di evocare alcuni oaiµoveç e di impegnarli, dietro
un compenso, a migliorare la salute di qualcuno, o a ga­
rantire successo in amore, nelle corse di cavalli o negli af­
fari.59 Altre si iniziavano a culti stranieri, sperando di tro­
vare in divinità esotiche egizie come Iside e Serapide un
potere divino superiore a quello degli dèi più familiari e
capace di rovesciare i decreti del destino. Lucio Apuleio,
che forse si sottopose direttamente a una rigorosa inizia­
zione ai misteri di Iside, racconta di aver scoperto in stato
di estasi che venerando la divinità egizia poteva sconfig­
gere il potere del fato: «Ecco Lucio, liberato dagli antichi
affanni, mercé la protezione della grande Iside, trionfa
della sua stessa Fortuna».6()
Malgrado molti pagani fossero giunti a credere che in
definitiva tutte le forze dell'universo potessero essere ac­
comunate in una sola, unicamente gli ebrei e i cristiani ve­
neravano un solo dio e denunciavano tutti gli altri quali
demoni maligni. Unicamente i cristiani, inoltre, divideva­
no il mondo soprannaturale in due zone opposte, il solo
vero Dio contro schiere di demoni; e nessuno, a parte loro,
Il reg110 terreno di Satatlll: i cristiani contro i pagani 157

predicava - e praticava - tale divisione sulla terra.61 Rifiu­


tandosi di adorare gli dèi, i cristiani si mettevano in con­
trasto con tutti i pagani, contra pponendo le sanzioni divi­
ne all'autorità del governo romano: fu questo un fatto
subito riconosciuto da Rustico, maestro stoico di Marco
Aurelio e suo amico personale, che, nel proprio ruolo
pubblico di prefetto di Roma, giudicò e condannò a morte
Giustino e i suoi a llievi .
Dopo la decapitazione di Giustino, il suo giovane allie­
vo Taziano, uno zelante convertito siriano, scrisse una
scoppiettante Orazione ai greci, che inizia con un attacco al­
la filosofia e alla religione greche e termina con la denun­
cia del governo e della legge romane. Taziano intende mo­
strare ai «greci» - termine con cui egli allude ai «pagani» -
le loro errate convinzioni indotte dal demonio, e pone
l'interrogativo cruciale: «Per quale ragione, o pagani, vo­
lete mettere contro di noi le forze di governo, come in un
incontro di lotta libera?».62 Poi dichiara la sua indipen­
denza spirituale:

Se non voglio adeguarmi ad alcuni vostri costumi, perché vengo


odiato come se fossi spregevole? L' imperatore m i ordina d i pagare
le tasse? Lo faccio spontaneamente. Mi ordina di p restare servizio
nell'esercito? Riconosco di doverlo fare. Infatti, si devono onorare
gli esseri umani in maniera com m isura ta agli uomini; ma si deve
temere Dio solo, lui che non è visibile a occhi uma ni, né percepibile
per nessun mezzo a noi noto.63

Taziano concorda con Giustino che i pagani non po­


tranno capire quanto oltraggiosa sia la loro persecuzione
dei cristiani finché non cominceranno a comprendere che
tutte le forze soprannatura li che essi venerano sono esseri
malefici che li tengono prigionieri. Tali forze non rappre­
sentano nulla più che il continuo ripetersi di una primor­
diale ribellione cosmica. Così, Taziano, come Giustino,
scrive all'inizio dell'Orazione: «Dio è spirito», e spiega che
è creatore a un tempo degli esseri soprannaturali e umani .
In origine, tutti gli esseri soprannaturali erano liberi, ma,
sostiene Taziano, che attinge alle descrizioni ebraiche del-
158 Satana e i suoi angeli

la caduta degli angeli, «il primogenito di questi si ribellò a


Dio, e divenne un demone come quelli che lo imitarono.
Le sue parvenze diventarono un esercito di demoni» .64
Questa schiera di demoni, che pure si infuriarono per es­
sere stati puniti per la loro apostasia, è tuttavia troppo de­
bole per vendicarsi contro Dio: « Se fossero stati in grado,
lo avrebbero cacciato sicuramente dall'alto dei cieli, insie­
me con il resto della creazione».05 Trattenuti nel loro tenta­
tivo di distrug gere completamente l'universo, essi hanno
profuso tutte le loro energie per sottomettere l'umanità.
«Isp irati da ostile malizia verso il genere umano», terro­
rizzano la gente mandandole immagini nei sogni e nella
fantasia. Taziano non nega che queste «divinità» e ffettiva­
mente detengano dei poteri; ma afferma che li usano per
controllare le menti degli uomini. Peraltro i demoni non
mietono vittime soltanto tra gli ignoranti e i superstiziosi.
Persone colte e che conoscono la filosofia come Marco Au­
relio non sono meno vulnerabili del calzolaio del villag­
gio, perché, come lo stesso pensiero di Marco Aurelio può
dimostrare, i 5aiµoveç possono tramutare anche la filoso­
fia in un mezzo per sottomettere la gente alla loro tiran­
nia. Taziano si prende gioco dei filosofi, definendo Aristo­
tele «assurdo» per la sua celebre affermazione che un
essere umano è semplicemente un «animale razionale»
(çtj)ov A.oytK6v), elemento dell'ordine naturale.66 Persino gli
elefanti e le formiche, dice Taziano, sono «animali razio­
nali» nel senso che « partecipano della natura istintiva e
razionale dell'universo», ma essere uomini significa mol­
to di più. Comporta che si partecipi dello spirito, perché si
è stati creati a immagine di Dio che è spirito.67
Prendendo in giro i filosofi, Taziano si rifiuta recisa­
mente di considerarsi un semplice elemento della natura.
Da quando è stato battezzato, egli dice, non si concepisce
per nulla legato alla natura: « essendo rinato», ora si iden­
tifica con il Dio che è al di là della natura. Taziano percepi­
sce il suo essere sostanziale come spirito, indeperibile:
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 159

Anche se il fuoco dovesse distruggermi le carni, nell'universo


continuerebbe a esistere, pur carbonizzata, la materia che compone
il mio corpo; anche se il mio corpo dovesse disperdersi nei fiumi o
nel mare, o dovesse essere sbranato da animali feroci, io seguiterei
a esistere tra gli averi di un ricco padrone ... e Dio il re, quando lo
desidererà, ricomporrà la materia nel suo ordine originario che è
visibile a lui solo.68

La forza del destino non è divina, come immagina Mar­


co Aurelio, ma è semplicemente una congiura demoniaca;
perché furono i Baiµoveç, spiega causticamente Taziano, la
progenie degli angeli caduti, che,
avendo mostrato agli uomini una mappa delle costellazioni, in­
ventarono il destino, un'assoluta follia! Perché quelli che giudicano e
quelli che sono giudicati sono così fatti dal destino; gli assassini e le
loro vittime, il ricco e il povero sono figli dello stesso destino; e
ogni nascita umana è considerata una specie di divertimento tea­
trale da quegli esseri tanto che, come dice Omero, «inestinguibile
riso nacque allora fra i numi beati» (corsivo mio).b9

Come gli spettatori si accalcano nell'anfiteatro cittadino


per divertirsi e fanno scommesse mentre guardano alcuni
gladiatori vincere e altri morire in agonia, così, afferma
Taziano, gli dèi si trastullano con i trionfi e le tragedie
umane. Ma quelli che venerano gli dèi da ignoranti «attri­
buiscono eventi e situazioni al fato, credendo che la sorte
di ciascuno sia decretata fin dalla nascita»; costoro inoltre
«fanno oroscopi e pagano gli oracoli e gli indovini» per
scoprire che cosa il destino abbia in serbo.
Taziano deride queste persone superstiziose perché non
riescono a vedere che le malattie e le altre forme di soffe­
renza sono provocate soltanto dagli elementi che costitui­
scono il nostro corpo: sorprendentemente, egli secolarizza
malanni, disgrazie e morte, distinguendole dalla sfera del
soprannaturale. Benché tutti siano vulnerabili a tali fatti
contingenti, dice Taziano, essi non hanno reale potere sul­
le persone che appartengono a Dio, dal momento che il
battesimo recide i lacci che una volta ci tenevano legati al
destino e alla natura. Ora, egli sostiene,
160 Satana e i suoi angeli

noi siamo superiori al destino e, invece di venerare pianeti e


8aiµoveç, siamo giunti a conoscere l'unico Signore. Noi non ci la ­

sciamo trascinare dal destino; ma respingiamo quelli [i ooiµovei;J


che lo hanno stabilito 7!l
.

Taziano si rifiuta di ammettere qualsiasi sudditanza alla


natura e di sottomettersi a ciò che è imposto dalla civiltà e
dalla società in cui lo ha portato la sua nascita fisica:
Io non voglio governare; non bramo di essere ricco; lascio ad al­
tri il comando militare; detes to la promiscuità sessuale; non sono
animato da nessuna avidità di denaro tanto da mettermi per mare;
non mi affanno per vincere corone alle gare atletiche; sono libero
dall'ambizione; disprezzo la morte; sono su periore a ogni forma di
malattia; l'angoscia non mi consuma l'anima. Se sono schiavo, sop­
porto la schiavitù; se sono libero, non mi glorio della mia nascita
fortunata . Perché, se siete «destinati», cosi spesso siete rosi dalla
bramosia tanto che sovente ne morite? Morite al mondo, ripudian
..

do la follia che lo pervade. Vivete a Dio e, cogliendo Dio, cogliete la


­

vostra natura di esseri spirituali creati a sua immagine.71

Taziano inveisce contro natura e cultura: è questa una


polemica che esprime chiaramente il sospetto su entrambe
che serpeggerà nella teologia cristiana per quasi duemila
anni. Con il tempo, in Occidente, attacchi come quello
mosso da Taziano dovranno trasformare l'atteggiamento
verso la civiltà greca. Cultura classica diventerà per la cri­
stianità occidentale quasi sinonimo di paganesimo.n Come
Giustino, Taziano contesta l'indifferenza dei pagani per la
vita umana:
Io vedo persone che letteralmente si vendono per farsi uccidere;
il povero si vende e il ricco compera qualcuno per ammazzarlo; e
per questo Io spettatore compera i posti a sedere, e i lotta t ori si
scon trano senza nessuna ragione; e nessuno scende dagli spa l ti per
aiutare! . . . Proprio come si macellano gli anima l i per mangiarne la
carne, così si compera la gente per servire un banchetto cannibale
per lanima, per nutrirla del più empio spargimento di sangue. I la­
d ri commettono omicidio per salvare il bottino; ma il ricco compe­
ra i glad iatori per starli a guardare mentre vengono uccisi!73

Qui Taziano non esagera. Lo studioso francese Georges


Villes riferisce che negli anfiteatri romani gli spettatori po-
n regno terrerw di Satana: i cristiani contro i pagani 161

tevano assistere alla morte di trecentocinquanta gladiatori


in una sola giornata di spettacolo.7"
Dichiarandosi libero da qualsiasi legame mondano, Ta­
ziano sfida apertamente i governanti pagani: «Io respingo
la vostra legislazione, insieme a tutto il vostro sistema di
governo». Soltanto la fedeltà all'unico vero Dio «può por­
re fine alla schiavitù che c'è nel mondo, e recuperarci dai
molti dominatori, e anche da diecimila tiranni», poiché af­
franca il credente dagli innumerevoli tiranni demoniaci e
nel contempo da tutte le migliaia di uomini di stato che
questi segretamente controllano.75
Noi non sappiamo pressoché nulla sulla vita di Taziano
né su ciò che questa convinzione significasse per lui in
pratica; sappiamo però che cosa significava per il giovane
egiziano, cristiano, di nome Origene, che aveva diciasset­
te anni quando vide l'amato padre, Leonida, anch'egli cri­
stiano, arrestato e sommariamente giustiziato perché si ri­
fiutava di sacrificare agli dèi. Da allora, Origene, più tardi
soprannominato Adamantius («il diamante» o «l'indoma­
bile»), decise di essere un guerriero di Dio contro le schie­
re di Satana. Sin dall'infanzia, come vedremo, assistette
ali'aspro conflitto - e poi alla sbalorditiva serie di ostilità e
rappacificazioni - tra cristiani e impero. Per tutta la vita
diffidò di coloro che erano al potere. Sebbene credesse che
i cristiani traessero beneficio dalla pace garantita dall'im­
pero romano, fu il primo cristiano a sostenere pubblica­
mente che la gente ha un innato diritto morale di assassi­
nare i tiranni.
Nato nel 185 da padre romano e da madre egiziana, en­
trambi cristiani battezzati, Origene aveva sette anni quan­
do l'imperatore in carica, Commodo, l'unico figlio di Mar­
co Aurelio sopravvissuto, fu assassinato nel suo bagno.76
In base alle voci si trattava di una congiura di palazzo in
cui sarebbero stati implicati il maestro di atletica di Com­
modo e Marcia, la sua concubina; tuttavia, il popolo, sen­
tendo che l'imperatore era morto, si riversò per le strade a
festeggiare, perché Commodo aveva fatto esattamente il
162 Satana e i suoi angeli

contrario di quello per cui il suo illustre padre si era battu­


to. All'epoca in cui fu strangolato, Commodo era disprez­
zato da molti perché folle e tiranno; aveva poi sconvolto i
suoi consiglieri, pretendendo di fare il gladiatore, intra­
prendendo pubblici combattimenti nell'arena, di fatto ab­
dicando dalle sue responsabilità imperiali e comportan­
dosi come uno schiavo. Inoltre non aveva perseguitato i
cristiani: Marcia infatti sembrava averli in simpatia e lo
aveva spinto a lasciarli stare.
Gli scontri per la successione durarono tre anni. Il vinci­
tore fu Settimio Severo, che sette anni più tardi, nel 202,
prese nuove misure per liberare l'impero dai cristiani. Fu
allora che Origene vide il padre arrestatO"insieme ad altri,
accusato di professare il cristianesimo e condannato alla
decapitazione; evidentemente la cittadinanza romana gli
risparmiò, come a Giustino, la tortura lenta e l'esecuzione
pubblica.
Mentre Leonida era in prigione, Origene tentò impulsi­
vamente di unirsi al gruppo dei martiri e scampò alla
morte, si disse, soltanto perché la madre gli nascose gli
abiti in modo che non potesse uscire di casa. Nel contem­
po invitò il padre a non lasciarsi scoraggiare dalla preoc­
cupazione per la moglie e per i sette figli: «Non cambiare
intento a causa nostra». Questi non cedette; ma la sua ese­
cuzione gettò la famiglia nella miseria, poiché lo stato, co­
me se fosse un criminale condannato, confiscò tutti i suoi
beni. Origene, perciò, non dimenticò mai che le forze im­
periali, per quanto più tardi siano parse benigne a molti
cristiani, potevano in qualsiasi momento rivelare le loro
origini demoniache.
Origene fu riscattato dalla povertà grazie alla genero­
sità di un cristiano ricco, che lo accolse tra i suoi domestici
e lo sostentò per alcuni mesi, mentre egli continuava i
suoi studi di letteratura e di filosofia. L'anno successivo,
già noto per la sua vivacità d'ingegno e la sua erudizione,
benché appena diciottenne, cominciò a insegnare, mante­
nendo cosl se stesso, la madre e i sei fratelli più giovani.
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 163

La persecuzione che a Leonida era costata la vita seguita­


va ad Alessandria nonostante il continuo avvicendarsi di
nuovi governatori; alcuni studenti di Origene furono arre­
stati e giustiziati perché professavano il cristianesimo, e
lui stesso era sospettato. Più di una volta, le folle infuriate
lo minacciarono di morte, in particolare quando egli, di­
mostrandosi sprezzante del pericolo per la propria incolu­
mità, abbracciò pubblicamente un amico condannato, un
uomo di nome Plutarco, e assistette alla sua esecuzione
capitale. Fino a questo momento, tuttavia, sfuggì all'arre­
sto e agli interrogatori, probabilmente perché la persecu­
zione di Settimio Severo aveva come obiettivo i convertiti
delle classi elevate, soprattutto i cittadini romani, come
suo padre e molti dei suoi allievi. Origene poteva stare
tranquill o, evidentemente perché aveva ereditato dalla
madre egiziana il basso rango sociale che lo stato romano
accordava a coloro che nascevano non cittadini.
Origene aveva ventisei anni, e ancora insegnava, scri­
veva e interpretava le Scritture, quando Settimio Severo
mori e gli succedettero i suoi due figli, uno dei quali, Ca­
racalla, presto assassinò il fratello Geta, ma lasciò stare i
cristiani. Un giorno, nel 215, sotto l'impero di Caracalla, i
soldati arrivarono ad Alessandria con una lettera del go­
vernatore d'Arabia (l'attuale Giordania), per convocare
Origene a palazzo. Al governatore era giunta notizia della
vivacità intellettuale di questo giovane uomo e voleva co­
noscerlo. Origene acconsentì. Tuttavia, dopo essere stato
in carica per sei anni, Caracalla fu assassinato da Macrino,
il quale a sua volta detenne il potere un anno e poi fu ucci­
so. Gli succedette Eliogabalo, cugino di Caracalla, un gio­
vane, fanatico, solitario cultore del dio-sole, da molti con­
siderato folle.
Quattro anni più tardi, un altro cugino, Alessandro Se­
vero, prese il posto di Eliogabalo sul trono, e fu in questo
momento, per la prima volta nella storia romana, che i
membri della casa imperiale non solamente tollerarono i
cristiani, ma arrivarono a sostenerli. La madre di Alessan-
164 Satana e i suoi angeli

dro Severo, l'imperatrice Giulia Mamea, che radunò a cor­


te molti personaggi autorevoli, inviò i soldati a chiedere a
Origene di unirsi a loro; quando egli arrivò, discusse con
lui, tra le altre cose, della possibilità di riconciliare i cri­
stiani con la civiltà romana. I cristiani dell'epoca sarebbe­
ro rimasti stupiti di sentire una voce che circolava nell'im­
pero - vera o falsa che fosse - che l' imperatore stesso
aveva fatto scolpire statue di Abramo e di Gesù insieme a
quelle di Socrate e di altri uomini onorati nel santuario
privato del palazzo!
Le speranze di una nuova età di tolleranza, comunque,
furono spente, quand o Massimino, un rozzo contadino
originario della Tracia, uccise Alessandro Severo, si im­
possessò del trono e subito rinnovò la persecuzione dei
cristiani. Origene seguiva con grande preoccupazione al­
cuni suoi cari conoscenti e colleghi, fra cui Ambrogio, il
ricco e influente mecenate e amico, e il sacerdote Protoc­
teo, che rischiavano di essere arrestati. Inoltre, non essen­
do stato arrestato lui stesso, scrisse loro un'appassionata
«esortazione al martirio» ammonendoli di non tentenna­
re, né di lasciarsi ingannare da inviti apparentemente sin­
ceri a rinunciare alla loro fede per salvarsi la vita. Arren­
dersi, diceva, avrebbe voluto dire capitolare a Satana; per
gli arrestati in nome di Cristo soltanto la morte porta alla
vittoria.77
Nella lotta per il trono che segui la morte di Massimino,
prevalse il giovane imperatore Gordiano III, il quale lasciò
stare i cristiani. Assassinato dai suoi stessi soldati, dopo
aver governato per quattro anni, fu succeduto dal capo
dell'esercito. Il nuovo imperatore, Filippo, il primo arabo
a conquistare quella carica, si assicurò subito il potere am­
mazzando il giovane figlio di Gordiano.
Filippo l'Arabo è stato forse il primo imperatore cristia­
no. Almeno tre testimoni affermano che fece pubblica­
mente penitenza per quell'omicidio davanti a un assem­
bramento stupito, nel corso degli enormi raduni tenuti
alla vigilia di Pasqua nella primavera successiva, peniten-
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 165

za imposta all'imperatore dal vescovo cristiano di Antio­


chia. Durante il regno di Filippo, migliaia di nuovi con­
vertiti riempivano le chiese. A questo punto Origene si
doleva in un sermone che la conversione fosse diventata
cosi diffusa e addirittura di moda da non essere più peri­
colosa.
Tuttavia i sospetti del potere ufficiale verso Origene fu­
rono rinnovati, quando Decio assassinò Filippo, si impa­
dronì del trono e diede inizio a una nuova e più spietata
persecuzione dei cristiani. Questa volta, comunque, Ori­
gene, ormai ultrasessantenne e più famoso che mai, fu ar­
restato e brutalmente torturato; il governatore sperava di
ottenere una utile ritrattazione dal suo prigioniero più ce­
lebre, ma il tentativo fallì.
Origene sapeva che l'opposizione dei pagani al cristia­
nesimo era spesso basata su qualcosa di più che sulla su­
perstizione e sul pregiudizio. Molto tempo prima del suo
arresto, aveva letto un trattatello, Il discorso vero, in cui si
sosteneva che l' «ateismo» dei cristiani nascondeva una ri­
bellione contro qualsiasi cosa la società e il governo affer­
mino. Soltanto qualche anno prima del suo arresto, aveva
però deciso di rispondere a tali accuse perché costituivano
uno dei più incisivi e profondi attacchi ai cristiani mai
scritti.78
Celso, l'autore di questo trattatello che risale al 180 cir­
ca, era un filosofo platonico che aveva propensioni reli­
giose. Egli apre il suo testo asserendo che i cristiani sono
una società segreta, i cui membri si nascondono in qual­
siasi angolo per paura di essere trascinati in giudizio e pu­
niti.79 Citando il loro rifiuto all'ordine del magistrato di
sacrificare agli dèi, afferma che «se tutti si comportassero
come i cristiani, non ci sarebbe più alcuna norma di leg­
ge». Celso visse in un'epoca in cui il movimento cristiano
crebbe rapidamente, soprattutto tra le persone di scarsa
cultura. Egli annota che il rifiuto dei cristiani a obbedire
ad alcune leggi e a cooperare con ufficiali locali o imperia­
li minaccia di «distruggere la legittima autorità e di ritra-
166 Satana e i suoi angeli

scinare il mondo nel caos e alla barbarie» e anche «di ab­


battere l'impero e con esso l'imperatore».
La replica sprezzante di Origene si apre con la sfida
della legittimità morale del dominio imperiale:

Non è . .. contrario alla logica formare associazioni contro le leg­


gi, in omaggio alla vera fede; come infatti sarebbe giusto che dei
cittadini creassero associazioni segrete per eliminare un tiranno, il
quale avesse preso in mano i poteri della città, allo stesso modo,
dacché il diavolo . . . e la menzogna imperano, i cristiani creano del­
le associazioni in contrasto alle leggi instaurate dal diavolo, per
sconfiggere lui e salvare i propri simili, quanti ne riusciranno a per­
suadere ad abbandonare quella legge, che è tipica ... dei tiranni.80

Origene si ferma immediatamente prima di identificare


la legge imperiale direttamente con il diavolo, e altrove
egli addirittura elogia la pax romana perché ha provviden­
zialmente evitato guerre nel corso della vita di Gesù. Ciò
nonostante, egli descrive come ispirate dal demonio tutte
le leggi e le persone ostili ai cristiani. Questi, comunque,
trionferanno sui loro nemici; Gesù morì, egli spiega, «per
annientare il demonio potente, anzi il re dei demoni, il
quale teneva in suo potere tutte le anime degli uomini
giunte sulla terra! ».s1 Chiunque consideri l'evidenza em­
pirica dovrà ammettere, egli dice, che la diffusione del cri­
stianesimo, benché unanimemente contrastata dalle auto­
rità umane, governative e militari, dimostra che qualche
enorme potere, prima sconosciuto, è ora all'opera nel
mondo:

Se qualcuno si metterà ad esaminare i fatti, vedrà che Gesù ha


osato cose più grandi della natura umana, e quello che ha osato ha
compiuto. Poiché fin dall'inizio tutti si sono opposti alla diffusione
della dottrina cristiana su tutta la terra, gli imperatori di ogni epo­
ca, i capi dell'esercito ed i comandanti sottoposti agli imperatori, in
una parola tutti quelli che ricoprivano una carica qualunque, ed
inoltre i capi delle città e i soldati e il popolo stesso.82

Origene riconosce che il sorprendente successo del mo­


vimento cristiano si è verificato per lo più tra i poveri e gli
analfabeti, ma soltanto perché «gli analfabeti necessaria-
n regno temmo di Satana: i cristiani contro i pagani 167

mente sono più numerosi delle persone istruite». Tutta­


via, «alcuni uomini di intelligenza e di cultura» - egli fa­
ceva forse riferimento a Giustino, Taziano e, persino, a se
stesso - hanno dedicato le loro vite alla fede cristiana. Co­
sl, contro tutte le probabilità, continua Origene,
il nostro Gesù, cui si rimprovera d'esser nato in un villaggio, e
per giunta in un villaggio che non è né della Grecia né di alcun'al­
tra regione comunemente stimata dagli uomini, cui si attribuisce
l'ignominia di aver avuto per madre una povera donna filatrice ...
ha avuto ciò non ostante il potere di fare sopra tutta l'umanità una
impressione tanto forte.83

L'impatto di Gesù supera quello persino «di Pitagora e


di Platone, e di qualsivoglia altro dei sapienti o dei sovra­
ni o dei generali di tutto il mondo».
Lo stupefacente susseguirsi degli avvenimenti nella
storia del mondo offre la prova empirica che lo spirito di
Dio, che agisce attraverso Gesù, sta sconfiggendo Satana.
Origene concorda con Matteo e Luca che
uno dei fatti che provano che Gesù era un essere divino e sacro­
santo è proprio la constatazione che per causa sua i giud ei hanno
dovuto subire tali e tante sciagure per un tempo sl lungo. E noi ose­
remo dire che per loro non vi sarà ripresa, perché essi hanno perpe­
trato la più empia delle nefandezze, cospirando contro il salvatore
del genere umano in quella città, dove essi offrivano a Dio i rituali
sacrifizi, simboli dei grandi misteri. Per questo era necessario che
quella città, dove Gesù sofferse queste pene, fosse distrutta dalle
fondamenta, e la nazione dei giudei fosse completamente annien­
tata.84

Se la sofferenza degli ebrei dimostra che Dio li s ta pu­


nendo, che cosa ci suggerisce la sofferenza dei cristiani? E
che cosa quella degli innocenti che patiscono malattie,
sciagure o la brutalità umana? Qui Origene sceglie di es­
sere incoerente. Problemi di tale difficoltà, egli dice, sono
insolubili, «problemi che richiedono una indagine rigoro­
sa e nello stesso tempo una conoscenza delle dottrine
profonde e misteriose che concernono l'amministrazione
dell'universo».ss Diversamente da molti cristiani più tar-
168 Satana e i suoi angeli

di, Origene nega che le sofferenze degli innocenti siano at­


tribuibili soltanto alla «volontà di Dio», perché, egli affer­
ma, «non tutto quello che accade, accade . secondo la vo­
lontà di Dio, o secondo la provvidenza divina». Alcune
cose, sostiene, sono «prodotti marginali accidentali» delle
opere della provvidenza; altre avvengono quando gli es­
seri umani - e, quindi, allo stesso modo gli esseri sopran­
naturali - violano l'amministrazione divinamente ordina­
ta dell'universo e causano di proposito dolore. Molte
espressioni del male umano e alcune catastrofi naturali
che sembrano immotivate, come inondazioni, eruzioni
vulcaniche e terremoti, vengono istigate da «demoni ma­
ligni e angeli maligni».86
Celso sarà rimasto profondamente infastidito da tali af­
fermazioni, perché come filosofo platonico egli asserisce
di venerare «il solo dio che governa su tutto». Qui, da pa­
gano, egli discute in difesa del monoteismo contro quello
che vede - molto chiaramente - come il dualismo pratico
dei cristiani:

... tutto quel che esiste nell'universo, sia esso opera di Dio, oppu­
re degli angeli, o di altri demoni o eroi, tutto ciò ha una legge che
proviene dal Dio supremo.87

Celso esorta inoltre i cristiani a adorare il solo Dio e a


venerare tutto quello che la provvidenza offre come mani­
festazione della sua divinità.
Nel sostenere questo monoteismo, Celso si trova d'ac­
cordo non solamente con altri uomini colti di formazione
filosofica come Marco Aurelio, ma anche con milioni di
persone di tutto l'impero - la grande maggioranza delle
quali era analfabeta - che veneravano gli dèi. Gli inni che
essi ascoltavano presso i templi di Iside, le liturgie cele­
brate ai grandi altari di Serapide, le formule scandite du­
rante le processioni in onore di Elios o Zeus e le preghiere
salmodiate alle feste in onore di Ecate spesso identificava­
no la particolare divinità che erano volte a glorificare con
l'essere divino complessivo. All'epoca di Marco Aurelio,
Il regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 169

afferma lo studioso del mondo classico Ramsay MacMul­


len, molti davano per scontata l'unità di tutti gli dèi e oot­
µoveç in un'unica fonte divina.ss
Dato che anche molti pagani tendevano al monoteismo,
quello che li distingueva dai cristiani non era tanto la cre­
denza in un unico dio, quanto il loro fondamentale con­
servatorismo. Il culto pagano lega ciascuno al proprio
paese nel mondo, e chiede al fedele di soddisfare gli im­
pegni che il destino, il fato o «gli dèi» hanno decretato per
lui. Come abbiamo visto, Marco Aurelio continuamente
ricorda a se stesso che la pietas implica di rispettare le pro­
prie responsabilità familiari, sociali e nazionali. Rifletten­
do se gli dèi si preoccupino del destino individuale, egli
dichiara:

Se gli dèi hanno deliberato riguardo a me . . . hanno deliberato sag­


giamente . . . Se essi non si preoccupano di me, provvedono di certo al
complesso delle cose ... che io sono obbligato ad accettare e ad acco­
gliere con piacere. Se, al contrario, non provvedono a nulla ... la mia
natura è quella di un individuo ragionevole e socievole; la mia città e
la mia patria, in quanto Antonino, è Roma, in quanto uomo è il mon­
do. Soltanto le cose che giovano a queste due patrie sono quelle utili
anche a me.89

Abbiamo visto quanto strenuamente Marco Aurelio lot­


tasse per accettare i propri obblighi, conscio dei suoi pri­
vilegi e delle sue responsabilità; tuttavia molti suoi con­
temporanei avvertivano meno stimoli di lui ad agire nello
stesso modo. Mentre l'impero continuava la sua espansio­
ne e aumentavano gli effetti dell'inflazione e della guerra,
diminuivano i vantaggi che la cittadinanza romana aveva
offerto a milioni di uomini; inoltre, un numero crescente
di persone si trovava escluso dai suoi benefici, mentre ve­
niva pesantemente oppresso dalle tasse e doveva subire la
coscrizione. L' imperatore Caracalla, nel 2 1 3, emise un
editto che estendeva la cittad inanza a tutti i membri
dell'impero, ma è difficile da determinare quale reale ef­
fetto questo atto abbia avuto.
Il movimento cristiano offriva un'alternativa radicale,
170 Satana e i suoi angeli

forse, nell'impero romano, l'unica vera alternativa oltre al


giudaismo. Quello che il senatore romano Tacito contesta­
va agli ebrei valeva senza dubbio anche per questi settari
scissionisti:
Chi adotta i loro costumi segue la medesima pratica [circoncisio­
ne], e la prima cosa che imparano è disprezzare gli dèi, rinnegare la
patria, spregiare genitori, figli, fratelli.90

Come abbiamo visto i cristiani insegnavano ai converti­


ti non solamente che i legami della famiglia, della società
e della nazione non sono sacri, ma che sono impedimenti
diabolici volti a sottomettere la gente ai «costumi roma­
ni», cioè ai demoni.
Quello che rende pericoloso il messaggio cristiano, scri­
ve Celso, non è che essi affermino che esiste un solo Dio,
ma che deviino dal monoteismo con la loro credenza «bla­
sfema» nel diavolo. Infatti, con tutti gli «errori gravissimi»
che i cristiani commettono, sostiene Celso, essi dimostra­
no la loro profonda ignoranza: «Difatti si creano un avver­
sario di Dio, e lo chiamano "diavolo", in lingua ebraica
Satana». Tutte queste idee, Celso dichiara, non sono
null'altro che finzioni umane, sacrileghe persino a ripeter­
si: «È certo cosa blasfema il dire che il Dio supremo, vo­
lendo fare del bene agli uomini, trova un potere che si op­
pone a lui e lo rende impotente». Celso si sente offeso dal
fatto che i cristiani, i quali asseriscono di onorare un solo
Dio, «empiamente dividano il regno di Dio, scatenando
una ribellione all'interno di esso, come se ci fossero delle
fazioni opposte nell'ambito del divino, fra cui una che è
ostile a Dio!»,91
Celso accusa i cristiani di «inventare una ribellione»
(màmc; inteso con il significato di «sedizione») in cielo per
giustificare la ribellione in terra. Egli imputa loro di «di­
chiararsi in rivolta» nell'atto stesso di rifiutarsi di venera­
re gli dèi, ma, sostiene, tale rivolta ce la si deve aspettare
da «gente che ... si isola dal resto degli uomini . . . . gente
che parla in questo modo attribuisce, per quanto lo per-
ll regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 171

mette la sua natura, a Dio la propria passione» .92 Celso


ironizza sull' avvertimento di Paolo che i cristiani non de­
vono assumere cibo offerto agli dèi, per timore di «parte­
cipare alla mensa dei demoni» (dr. 1Cor 10,20-22). Sicco­
me i aaiµoveç sono le forze che animano tutti i processi
naturali, argomenta Celso, i cristiani non possono in
realtà mangiare nulla - e persino sopravvivere - senza en­
trare in comunione con loro. Celso dichiara che
quando mangiano il pane, e bevono il vino, ed assaggiano la frut­
ta degli alberi, e bevono magari lacqua, e respirano la stessa aria,
non si accorgono di ricevere ciascuna di queste cose da taluni demo­
ni, cui è stata assegnata lamministrazione di ciascuna di esse?93

Perciò, egli aggiunge,


o bisogna rinunziare a vivere in qualunque modo in qualunque
luogo, ed a venire quaggiù, oppure, una volta venuti alla vita a
queste condizioni, bisogna render grazie ai demoni che hanno rice­
vuto in sorte la cura delle cose terrene, ed offrire loro primizie e
preghiere, per tutta la durata della vita, perché possiamo renderce­
li benevoli.94

Celso ammonisce i cristiani che proprio come i gover­


natori umani, romani o persiani, puniscono i sudditi che
non rispettano la disciplina da loro imposta, così questi
Baiµoveç che ci dominano puniranno certamente quelli
che si dimostrano insubordinati. Egli ironizza, poi, sui cri­
stiani che si lamentano che i 8ai.µoveç istighino le persecu­
zioni, e afferma che questi hanno buone ragioni per farlo:

Non vedi dunque, mio caro, che chiunque sta accanto al tuo de­
mone non soltanto lo bestemmia, ma lo scaccia pure da ogni ango­
lo della terra e del mare; e dopo aver legato te, quasi statua a lui
consacrata, ti trascina al supplizio e ti mette in croce; ed il demone,
oppure - come tu lo chiami il Figlio di Dio, non si vendica affatto
-

di lui?95

Origene ammette che ci sia del vero in queste parole e


concede che in tali momenti si potrebbe immaginare che
le forze maligne siano vincenti. «È cosa vera infatti» egli
dice «che le anime di quelli che condannano i cristiani, di
172 Satana e i suoi angeli

quelli che li tradiscono e provan piacere a muover guerra


contro di loro, sono piene di demoni malvagi.»% Tuttavia
per i martiri, sofferenze e morte non sono la catastrofica
sconfitta che sembrano. Al contrario,
dacché le anime degli uomini morti per il cristianesimo, glorio­
samente liberate dal corpo per la loro fede, distruggevano la poteza
dei demoni e rendevano vane le loro insidie contro gli uomini.97

I demoni stessi, che percepiscono ciò, qualche volta si


trattengono dall'uccidere i cristiani, per timore di provo­
care così la propria morte. È per questa ragione, dice Ori­
gene, che la persecuzione non si verifica con continuità.
Ma, quando i oaiµoveç riscoprono il loro coraggio e la loro
rabbia verso i cristiani, «allora nuovamente le anime dei
devoti distruggono l'esercito del maligno». I ooiµoveç ca­
piscono che i cristiani vincono nella morte, dichiara Ori­
gene, dagli atteggiamenti e dagli atti dei giudici umani
che si sentono tortu ra ti da quelli che sopportano le angherie ed i
supplizi, ma gioiscono qua ndo un cristiano è sopraffatto. E difatti
,

costoro non a g iscono così per una questione di umanità.98

Origene, in prima persona, aveva avuto dimostrazione


di questo, quando era stato arrestato a Cesarea durante la
persecuzione di Decio nel 251 . Poiché si era rifiutato di
obbedire all'ordine del giudice di rinunciare alla sua fede,
aveva dovuto subire più volte la tortura. Era stato incate­
nato in una cella buia. I suoi aguzzini prima gli avevano
lacerato le carni e lo avevano messo in ceppi; poi, in di­
verse occasioni, lo avevano bruciato e gli avevano minac­
ciato terribili forme di esecuzione. Uno dei suoi compagni
di sventura, commosso dal suo coraggio, a maggior ragio­
ne perché era ormai anziano, scrive che la sofferenza di
Origene terminò solamente dopo che «il giudice aveva
tentato in tutti i modi e a ogni costo per evitare di condan­
narlo a morte», non per compassione, ma nella speranza
che abiurasse pubblicamente la sua fede. Fallendo in tale
intento, il giudice lo rilasciò; ma la tortura e l'abbandono
che egli patì in carcere ne affrettarono la morte.
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 173

Celso avverte che la «follia» che induce i cristiani a «di­


sattendere i loro doveri religiosi, e a buttarsi a offendere
l'imperatore � le autorità d i governo»99 può veramente
mandare in rovina l'impero, cancellare la legge e precipi­
tare il mondo nell'anarchia. Egli chiede che i cristiani in­
vece facciano quello che tutti i cittadini pii e patriottici do­
vrebbero:
recare aiuto all'imperatore con tutte le nostre forze, e ... collabo­
rare con lui nelle giuste imprese, e combattere per lui, stare nel suo
esercito, se egli lo esige, e militare insieme a lui 100
.

Origene respinge queste insinuazioni con disprezzo. A


suo avviso, infatti, i cristiani aiutano effettivamente l'im­
peratore con le loro preghiere, «distruggendo tutti i de­
moni che suscitano le guerre e ... turbano la pace ... [noi]
rechiamo un maggiore aiuto ai regnanti di quelli che ap­
parentemente fanno la guerra». 101 (Tertulliano, che scrive
in Africa settentrionale, dichiara invece che molti cristiani
prestano servizio nell'esercito; tali pratiche variavano,
evidentemente, da una situazione a un'altra.)102 Analoga­
mente, riguardo al problema di assumere cariche pubbli­
che, afferma Origene, «noi riconosciamo in ogni paese
l'esistenza di un'altra orga nizzazione nazionale», la chie­
sa di Dio. Origene sa di combattere sulle anime per abbat­
tere il potere di Satana; e termina la sua polemica contro
Celso con un saluto al suo benefattore Ambrogio, che die­
ci anni prima era stato messo sotto processo e aveva subi­
to la prigione e la tortura .

Cristiani perseguitati come Origene formarono una tra­


dizione radicale che negava autorità religiosa allo stato,
attribuendola invece alla coscienza, una tradizione che
nel futuro avrebbe influenzato enormemente i governi e
la politica occidentale. Il battesimo apriva a nuove ampie
dimensioni della realtà, al regno di Dio, dove il popolo di
Dio trova la sua vera casa, e al predominio di Satana, per­
cepito come l'ultima realtà morale sottesa a «questa pre­
sente malvagia età». Malgrado i non credenti come Celso
174 Satana e i suoi angeli

deridessero i cristiani perché prestavano fede a fantasie


assurde e infantili, molti convertiti individuavano nella
loro concezione del regno di Dio un luogo in cui stare, e
nuove prospettive sul mondo in cui erano stati creati.
Questo non significa che i cristiani fossero i cospiratori
sediziosi che Celso immaginava. Giustino e altri insisteva­
no con fermezza che i cristiani erano per lo più buoni cit­
tadini e che la maggior parte di essi, senza dubbio, voleva
evitare lo scontro con le autorità e tentava di seguire i pre­
cetti espressi in lettere del Nuovo Testamento come la Pri­
ma di Pietro, che traduce in termini cristiani antiche con-
venzioni di civica virtù: '•
�r
State sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore:
sia al re come sovrano, sia ai governatori come suoi inviati per pu­
nire i malfattori e premiare i buoni . ... Comportatevi come uomini
liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la
malizia, ma come servitori di Dio.
Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re (1Pt
2,13-1 7).

Il fatto rivoluzionario, comunque, era che i cristiani


professavano di essere fedeli a Dio prima che a chiunque
altro. Tale legame poteva suscitare dei conflitti; sfidava
ciascun credente a fare qualcosa che la maggior parte dei
pagani non aveva mai pensato: decidere autonomamente
quali doveri familiari e civici accettare, e quali rifiutare.
Tertulliano, per esempio, che viveva in un mondo dove
quello che noi chiamiamo libertà di religione era estraneo
o sconosciuto, nondimeno reclama per sé tale libertà e cri­
tica gli imperatori perché «negano la libertà di religione
[libertatem religionis]
così che io non posso più praticare il
culto secondo la mia inclinazione, ma sono costretto a far­
lo contro di essa». 103 Origene, come abbiamo osservato,
nel difendere i cristiani dalle accuse di illegalità, osa affer­
mare che la gente sottomessa a un cattivo governo ha ra­
gione, non soltanto di violare le sue leggi, ma anche di ri­
bellarsi e di assassinare i dominatori tirannici:
n regno terreno di Satana: i cristiani contro i pagani 175

Non è contrario alla logica formare associazioni contro le leg­


...

gi, in omaggio alla vera fede; come infatti sarebbe giusto che dei
cittadini creassero associazioni segrete per eliminare un tiranno, il
quale avesse preso in mano i poteri della città, allo stesso modo,
dacché il diavolo ... e la menzogna imperano, i cristiani creano del­
le associazioni in contrasto alle leggi instaurate dal diavolo, per
sconfiggere lui e salvare i propri simili, quanti ne riusciranno a per­
suadere ad abbandonare quella legge, che è tipica ... dei tiranni. 104

Tali convinzioni non originavano da un senso dei «di­


ritti dell'individuo», un concetto che si profilò solamente
millecinquecento anni dopo con l'Illuminismo. Erano in­
vece radicate nella sensazione di essere popolo di Dio, ar­
ruolati dal battesimo come «cittadini nei cieli», non più
esclusivamente soggetti ai «dominatori di questa presente
età malvagia», ossia alle autorità umane e alle forze de­
moniache che spesso le controllano.
Un centinaio di anni dopo che furono scritti i Vangeli, i
cristiani adattarono alle circostanze della persecuzione
pagana il modello politico e religioso che trovavano in
quei testi - popolo di Dio contro popolo di Satana - e si
identificavano con gli alleati di Dio, agendo contro magi­
strati romani e folle pagane, che essi vedevano come
agenti di Satana. Allo stesso tempo, noteremo nel prossi­
mo capitolo, le autorità ecclesiastiche preoccupate dai dis­
sidenti all'interno del movimento cristiano individuavano
la presenza di Satana infiltrata nel più vicino dei nemici:
gli altri cristiani o, come li chiamavano, gli eretici.
VI

Il nemico all'interno:
la demonizzazione degli eretici

Nel corso del II secolo il successo del cristianesimo nell'at­


trarre convertiti sollevò nuovi interrogativi su che cosa
l' «essere cristiani» implicasse. Per tutto l'impero, nelle
città di provincia i gruppi cristiani conquistarono nume­
rose migliaia di nuovi adepti. Soprattutto nei centri urba­
ni il fenomeno scatenò conflitti tra le pareti domestiche.
Quando i padroni di case ricche si convertivano, spesso
pretendevano che le loro famiglie e gli schiavi si facessero
battezzare. Più di frequente, comunque, le conversioni si
verificavano tra le donne del personale domestico, come
anche tra i mercanti, i commercianti, i soldati e le centi­
naia di migliaia di schiavi che prestavano servizi di ogni
genere in residenze, grandi dimore e palazzi romani. Per­
sino tra i domestici dell'imperatore si possono essere veri­
ficate delle conversioni. Tertulliano, che scrive nella città
di Cartagine in Africa settentrionale nel 180 circa, si vanta
con i suoi contemporanei pagani che «noi siamo arrivati
soltanto ieri e abbiamo riempito ogni luogo tra voi: città,
isole, rocche, paesi, piazze del mercato, accampamenti
dell'esercito, tribù, palazzo, senato e foro».t
Tutti i convertiti interpretavano, naturalmente, che il
battesimo purificasse dai peccati, fugasse gli spiriti mali­
gni e trasmettesse in chi lo riceveva lo spirito di Dio, lo
spirito che trasforma un peccatore in un alleato di Cristo e
dei suoi angeli. E poi? Che cosa deve fare un cristiano per
stare «dalla parte degli angeli» in questo mondo? Che co­
sa è tenuto a fare in particolare se, per esempio, il cristiano
n nemico all'interno: la demoniu.azione degli eretid 177

battezzato è sposato con un pagano, o è un soldato, che ha


giurato fedeltà all'imperatore, o è uno schiavo? Moltissi­
mi pagani consideravano il ba ttesimo di un parente o di
uno schiavo una calamità che prea n nu nciava sciagure
nella casa. Tertulliano stesso descrive come i pagani ostra­
cizzassero i convertiti:
Il marito caccia la moglie di casa; il padre disereda il figlio; il pa­
drone, un tempo cortese, ora ordina che lo schiavo gli sia tolto da
davanti gli occhi; è un profondo oltraggio per chiun que essere in­
terpellato con l'odiato nome [di cristiano}.2

'fra loro i cristiani dibattevano se i convertiti dovessero


mantenere i normali rapporti sociali e familiari o se do­
vessero romperli, come chiese Gesù nei Vangeli quando
disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua ma­
dre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la pro­
pria vita, non può essere mio discepolo» (Le 14,26). Simili
interroga ti vi ispiravano molte differenti risposte, e nel
frattempo il movimento cresceva in dimensioni e varietà
in tutto l' impero. Talvolta, in una sola città c'erano diversi
g rupp i, ciascuno dei quali interpretava «il va ngelo » in
maniera diversa e spesso lottava contro gli altri con tutta
la veemenza in genere propria delle liti familiari. Lo stes­
so apostolo Paolo, attaccato due generazioni prima da
maestri rivali, tentava di trattenerli dal parlare, chiaman­
doli servi di Satana,
falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli
di Cristo. Ciò non fa m eraviglia, perché anche Satana si maschera
da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si
mascherano da ministri di giustizia (2Cor 11,13-15).

«Ma» aggiunge Paolo con parole inquietanti «la loro fi­


ne sarà secondo le loro opere.» I cristiani temevano gli at­
tacchi di Satana dall'esterno - cioè dai pagani ostili -, ma
numerosi di loro credevano che ancor più pericolose fos­
sero le incursioni di Satana tra i nemici più vicini, gli altri
cristiani o, come molti definivano coloro che erano in di­
saccordo, eretici.
178 Satana e i suoi angeli

Nell'ambito del movimento alcuni cominciarono a svi­


luppare sistemi organizzativi per rendere coesi i gruppi
cristiani al loro interno e per metterli in contatto con altre
aggregazioni unite dallo stesso credo sparse nell'intero
mondo romano. L'autorità che tutti i cristiani riconosceva­
no, oltre a Gesù stesso, era quella degli apostoli Pietro,
tradizionalmente venerato come primo capo dei cristiani
a Roma, e Paolo, fondatore delle chiese che andavano dal­
la Grecia all'Asia Minore. Due o tre generazioni dopo
Paolo, alcuni cristiani scrissero perciò delle lettere attri­
buendole ai due apostoli, tra cui ricordiamo la Prima let­
tera di Pietro e le lettere di Paolo a Trmoteo. In questi testi,
più tardi riuniti nel Nuovo Testamento e comunemente ri­
tenuti opera degli apostoli stessi, si tentava di gettare un
ponte tra gli apostoli e i cristiani di generazioni successive
sostenendo, per esempio, che Paolo aveva «imposto le
mani» sul suo giovane convertito Timoteo per ordinarlo,
quale suo successore, «Custode» o «vescovo» della sua
congregazione. Queste lettere hanno il fine di mostrare
che, come Timoteo, i vescovi esercitano legittimamente
autorità «apostolica» sulle loro congregazioni.
Gli autori della Prima lettera di Pietro e della Prima a Ti­
moteo si preoccupavano di liberare i cristiani dall'ostilità
dei pagani, modificando alcune istanze, che i Vangeli attri­
buiscono a Gesù, particolarmente stridenti con la loro
mentalità. Inoltre, poiché e' era necessità di codici di com­
portamento che costituissero una guida morale per coloro
che erano sposati e impegnati nella società e non erano di­
sposti a rinunciare a questi legami - come invece, secondo
Luca, Gesù ammonisce di fare -, essi si ispiravano a catalo­
ghi pagani di virtù civica per fondare nuovi codici morali
«cristiani». Come lo studioso del Nuovo Testamento Da­
vid Balch ha mostrato, in tali lettere Pietro e Paolo vengono
calati nell'improbabile ruolo di coloro che spingono i cre­
denti a emulare il convenzionale comportamento romano.3
Così, nella Prima lettera di Pietro, «Pietro» esorta i creden­
ti: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore
n nemico all'interno: "' demonizzazione degli eretid 179

del Signore» (1Pt 2,13), riferendosi in particolare a quelle


dell'imperatore e del suo governo. «Pietro» sottolinea inol­
tre che i credenti si assumono fondamentali responsabilità
domestiche; le mogli devono stare «sottomesse ai ... mariti
... anche se alcuni si rifiutano di credere alla Parola» (lPt
3,1); e i mariti devono trattare «con riguardo le ... mogli,
perché il loro corpo è più debole» (1 Pt 3,7). Gli schiavi de­
vono servire i loro padroni come se si trattasse del Signore
stesso (dr. l Pt 2,18-25), e i padroni, a loro volta, non devo­
no maltrattare gli schiavi; i bambini devono dimostrare ai
genitori un'adeguata deferenza e obbedienza (1 Pt 5,5).
Nella Prima lettera a Timoteo, analogamente, «Paolo» dà a
Timoteo simili indicazioni morali e invita il giovane vesco­
vo a imporle alla sua congregazione.
Non tutti, però, accettavano questi codici di comporta­
mento o le autorità preposte a farli osservare. Intorno al
90, da una famosa lettera attribuita a Clemente, uomo
considerato da molti il secondo o il terzo vescovo di Roma
dopo l'apostolo Pietro, e scritta ai cristiani nella città greca
di Corinto, sede di una chiesa fondata in origine da Paolo
stesso, appare chiaro che la comunità era in subbuglio per
una questione di leadership.4 In questa lettera, il vescovo
Clemente esprime la preoccupazione che quelle che defi­
nisce «poche persone sconsiderate e insolenti»5 si rifiutino
di accettare il ruolo dei sacerdoti che, egli sostiene, sono le
loro legittime autorità . Tali dissidenti hanno scatenato,
per usare le parole di Oemente, una «sedizione scellerata
ed empia»6 all'interno della chiesa. Hanno rifiutato nume­
rosi sacerdoti posti sopra di loro; evidentemente hanno
anche obiettato che le distinzioni tra «clero» e «laici» tra -

coloro che affermano di detenere una posizione di auto­


rità e coloro che ora essi chiamano «il popolo» (in greco
Aaoc;) non solamente non hanno precedenti ma sono
-

inaccettabili tra i cristiani.


Per confutare l'obiezione di questi ribelli che la categoria
ecclesiastica sia una novità, Clemente, come l'autore della
Prima lettera a Timoteo, sot tol inea che gli apostoli stessi
180 Satana e i suoi angeli

«nominavano i loro primi convertiti ... vescovi e diaconi».


Appellandosi all'autorità del profeta Isaia, egli dichiara
inoltre - inverosimilmente - che in tempi antichi Isaia ave­
va già ricoperto le «cariche» di vescovo e diacono. In tale
prospettiva cita Isaia 60,17 («Costituirò tuo sovrano la pace,
I tuo governatore la giustizia») e interpreta i due termini­
chiave («vescovo» e «diacono» rispettivamente), in versio­
ne greca, in modo che suffraghino la sua tesi.
Clemente fa riferimento anche alle lettere di Paolo a TI­
moteo per sostenere che «gli apostoli stessi nominarono i
loro primi convertiti "vescovi" e "diaconi" ». Inoltre, seb­
bene sia più o meno contemporaneo degli autori di Mat­
teo e di Luca, i quali descrivono i sommi sacerdoti giudei
come nemici di Gesù, egli incoraggia i cristiani a ripren­
dere tali autorità religiose ebree. Tra cristiani, come già tra
ebrei, afferma Clemente, i sommi sacerdoti e i preti di gra­
do inferiore sono divinamente ordinati per incarichi spe­
ciali, mentre «il laico è tenuto ai precetti dei laici».1 Cle­
mente incita poi i suoi compagni cristiani a emulare
l'esercito romano:
Serviamo allora nel nostro esercito, fratelli . Consideriamo quel­
..

li che servono come nostri generali ... Non tutti sono prefetti, né tri­
buni, né centurioni, né comandanti, o simili, ma ciascuno adempie,
nel proprio rango, agli ordini dell'imperatore e dei generali.a

Più tardi, i cristiani effettivamente trassero dall'impo­


stazione dell'esercito romano la pratica di suddividersi in
distretti (diocesi), ciascuna amministrata da un sorve­
gliante centrale (vescovo) . È questo un criterio organizza­
tivo che sussiste ancora oggi.
In qualità di vescovo, Clemente descrive il comporta­
mento dei dissidenti come suscitato dall'arroganza e dalla
gelosia. «Anche gli apostoli» lui dice «sapevano che ci sa­
rebbe stata una controversia sul titolo di vescovo.» (1 Clem
1 4,1 ) Il rimedio, seguita Clemente, è per tutti quello di
«sottomettervi ai sacerdoti», accettando la pena che i preti
imporranno per la disobbedienza, di «piegarvi sulle gi-
n nemico ali' interno: la demoniu.azione degli eretici 181

nocchia del vostro cuore e di inchinarvi alla superiorità


[dei sacerdoti]» (1 Clem 1 7,1). Forse, nella speranza che
quelli che si erano rifiutati di obbedire ora si sarebbero
sottomessi, Clemente evita di associarli con Satana, come
più tardi avrebbero fatto le autorità con i dissidenti più ar­
roccati sulle loro posizioni.
Non ci è noto come fini questa disputa; non ci è perve­
nuta nessuna risposta degli oppositori. Tuttavia, nel corso
del II secolo, mentre tali controversie laceravano le chiese
di tutto l'impero, i capi ecclesiastici che si identificavano
con la «legittima successione apostolica » copiarono am­
piamente la lettera di Clemente e la diffusero per tutto il
mondo romano, insieme ad altri scritti che essi inclusero
in una raccolta intitolata I padri apostolici della chiesa. Poco
sappiamo del processo con cui si formò questa antologia;
ma possiamo vedere che gli scritti in essa compresi tendo­
no tutti a enfatizzare la crescente autorità del clero e a or­
dinare fedeltà a dettagliati codici morali pratici.
La maggior parte dei cristiani evidentemente accettò,
insieme al «canone» che emergeva dalle Scritture, questo
secondo «canone» della tradizione della chiesa. Molti
scritti contenuti nei Padri apostolici cercavano di rivedere
e, in effetti, di «addomesticare» per il nuovo afflusso di
convertiti affermazioni radicali di Gesù come: «Non pote­
te servire a Dio e a Mammona» (Mt 6,24); «Dà a chi ti do­
manda» (Mt 5,42); «Vendi tutto quello che hai e distribui­
scilo ai poveri ... poi vieni e seguimi» (Le 18,22). Compreso
tra I padri apostolici, per esempio, c'è un famoso manuale
cristiano intitolato La Didaché. Dottrina del Signore insegna­
ta ai gentili per mezzo dei dodici apostoli, che parafrasa l'inse­
gnamento fondamentale di Gesù come segue: «Amerai
Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e
tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non
farlo agli altri» .9 Intrecciando frasi tratte dal Discorso del­
la montagna e abili indicazioni, La Didaché precisa l'ordine
categorico di Gesù «a chiunque ti chiede, dà» aggiungen­
do «si bagni di sudore l'elemosina nelle tue mani, finché
182 Satana e i suoi angeli

tu sappia a chi la devi fare».10 La Didaché adatta ed estende


alcuni dei Dieci Comandamenti, dichiarando che «Secon­
do Precetto della dottrina: non ucciderai, non commette­
rai adulterio» e specificando che questo in pratica signifi­
ca «tu [masc.] non corromperai fanciulli, non fornicherai,
non ruberai, ... non farai morire il figlio per aborto né lo
ucciderai appena nato».u
Un altro testo, compreso tra I padri apostolici, la Lettera di
Barnaba, attribuisce simili insegnamenti morali all'amico
di Paolo e predicatore. Come La Didaché, questa lettera in­
voca una tradizionale dottrina biblica, quella delle «due
vie»: la «via della luce» che consiste in una serie di azioni
che sono buone e la «via delle tenebre» che consiste in cat­
tive azioni.12 Essa interpreta i Dieci Comandamenti per i
cristiani come l'imposizione di almeno quaranta specifi­
che ingiunzioni, fra cui gli ammonimenti contro «l' arro­
ganza del potere» e la «difesa dei ricchi», mentre si nega
giustizia ai poveri, nonché quelli contro gli stessi peccati
sessuali denunciati nella Didaché: « [per uomini] rapporti
con ragazzi», «fornicazione» (che probabilmente significa
attività sessuali extraconiugali di tutti i generi), adulterio
e aborto. n Cosi la Lettera di Barnaba delinea un codice mo­
rale che avrebbe dominato l'insegnamento cristiano per
generazioni, anzi per millenni, a venire.
Tale lettera inserisce il contrasto tra questi modi di vi­
vere nel contesto della lotta tra lo spirito di Dio e Satana
durante «la presente epoca maligna».14 Ricordando ai cri­
stiani che «lo spirito di Dio è stato versato su voi dal Si­
gnore»,1s il suo autore li invita a esercitare un controllo
morale cosi che «il maligno, introducendo in noi l'errore,
non ci strappi dalla nostra vita» nella chiesa, anche se «i
giorni sono malvagi e il potere è in mano di colui che di­
spiega la sua attività».16 Tuttavia, mentre li spinge ad ac­
cettare una versione modificata dei giudizi e delle prati­
che etiche ebraiche, li avverte anche di non assumere i co­
stumi degli ebrei che, egli dice, «trasgredivano perché un
angelo del male li stava trascinando nell' errore » . 1 7 11
n nemico ali' interno: la demoninazione degli eretici 183

nuovo popolo di Dio deve «evitare la via delle tenebre» e


abbracciare la «via della luce», dal momento che «sulla
prima sono posti gli angeli portatori di luce di Dio, men­
tre sull'altra gli angeli di Satana».
Benché la maggmr parte dei convertiti accettasse le di­
rettive dei vescovi su quello che i cristiani dovevano - e
non dovevano - fare, alcuni, probabilmente una minoran­
za, mettevano in dubbio l'autorità di sacerdoti e vescovi, e
rifiutavano una simile morale pratica. Intorno al 180, Ire­
neo, affermando per sé il titolo di successore degli aposto­
li in qualità di vescovo di una comunità a Lione, scrisse
un forte attacco in cinque volumi ai cristiani devianti -
che egli chiamava eretici - definendoli agenti segreti di
Satana . 1s All'inizio del suo Adversus Haereses, opera che
esercitò profonda influenza, egli riconosce che «l'errore
non si mostra in se stesso per non essere colto in flagrante,
una volta messo a nudo», come una chiassosa follia, ma
soltanto «adornandosi ingegnosamente di un rivestimen­
to verosimile».J9 Ci sono persone, dichiara Ireneo, che af­
fermano di essere cristiane e sono considerate tali da tutti,
ma in realtà insegnano un «abisso dell'ignoranza e della
bestemmia contro Dio» .20 Simili falsi fedeli mettono
«avanti, come stimolo, il nome di Cristo Gesù» al fine di
insegnare dottrine ispirate da Satana «diffondendo per­
versamente, per mezzo di un nome buono, la loro dottri­
na e offrendo, per mezzo della dolcezza e del lustro del
nome, l'amaro e perverso veleno del serpente, che è il
principe dell'apostasia».21 Ireneo sostiene che quelli che si
oppongono agli insegnamenti morali dei vescovi lo fanno
perché sono trascinati dalle passioni; alcuni, egli avverte,
sono «dediti a sazietà anche ai piaceri del corpo».22
Per quasi duemila anni, la maggior parte dei cristiani
ha preso alla lettera Ireneo, nella convinzione che molti di
coloro che egli chiamava eretici fossero ingannatori, licen­
ziosi o entrambe le cose insieme. Tuttavia, nel 1945, quan­
do nell'Alto Egitto, nei pressi della città di Nag Hammadi,
furono scoperti molti scritti di questi cosiddetti eretici,
184 Satana e i suoi angeli

quei cristiani, le cui opere erano state censurate dai vesco­


vi, poterono parlare direttamente, in pratica per la prima
volta nella storia.23 Se leggiamo i loro scritti, troviamo che
alcuni di essi presentano credenze apparentemente biz­
zarre, mentre altri riflettono menti intense, indagatrici,
impegnate su una varietà di sentieri spirituali. Uno dei
più estremi è la La Testimonianza di Verità, un testo che sol­
leva l'interrogativo fondamentale che i riformatori cristia­
ni hanno posto per duemila anni, dal maestro gnostico del
II secolo Valentino, attraverso Francesco d'Assisi, Martin
Lutero, George Fox, fondatore della Società degli amici, fi­
no a Mary Baker Eddy: Che cos'è «il Vangelo»? Che cos'è
la «vera testimonianza» su Cristo e sul suo messaggio?
Come altri sedicenti riformatori, l'anonimo autore della
Testimonianza di Verità apre il suo testo indirizzandosi «a
quelli che sanno come ascoltare, non con le orecchie del
corpo, ma con le orecchie della mente».2• Lungi dall'ap­
provare la licenziosità, la Testimonianza afferma che i cri­
stiani praticano l'ascetismo. Questo autore scrive in veste
di garante del vero Vangelo; egli crede che la grande mag­
gioranza dei credenti - quelli che accettano la guida e
l'etica «addomesticata» invocata dai «padri apostolici» -
sono caduti in errore morale. «Molti hanno cercato la ve­
rità e non sono stati in grado di trovarla, perché sono stati
presi dal "vecchio fermento degli scribi e dei farisei" .»25
La maggior parte dei cristiani, dice questo maestro, ac­
cetta acriticamente il resoconto del Genesi sulla creazione,
secondo il quale il Creatore «ordina a ciascuno di prende­
re un marito o una moglie e di procreare, per moltiplicarsi
come la sabbia del mare» (dr. Gen 1,28; 13,16).26 Ma, egli
obietta, tali cristiani non riescono a capire che il Vangelo è
in posizione diametralmente opposta alla Legge: «Il Figlio
dell'uomo è venuto dall' incorruttibilità»,27 e venne nel
mondo per porre fine al vecchio ordinamento e per dare
inizio a quello nuovo. Egli fece appello a coloro che gli ap­
partenevano perché fossero trasformati: «Questa perciò è
la vera testimonianza: quando una persona arriva a cono-
Il nemico all'interno: la demoniv.azione degli eretici 185

scere se stessa e il Dio che presiede alla verità, verrà inco­


ronata con la ghirlanda sempre verde».2a Ma giungere a
conoscere Dio impone di rinunciare a qualsiasi altra cosa:
«Nessuno conosce il Dio di verità eccetto quel solo che ri­
nuncia a tutte le cose del mondo».29 La sola rinuncia per­
mette di respingere il vecchio, falso sé, pieno di paura,
avidità, ira, lussuria e invidia, e di riscoprire il proprio au­
tentico sé in Dio. Il vero cristiano segue un sentiero evita­
to dalla maggioranza dei cosiddetti cristiani; una persona
così, dice questo autore,

pensa al potere che scorreva per tutto l'universo, che si impos­


sessa di lui. Ed egli è un discepolo della sua mente ... Egli comincia
a fare silenzio dentro di sé ... Egli respinge da sé liti e discussioni ...
egli è paziente con tutti, si comporta in maniera equa con tutti e si
distingue anche da loro.30

Cristiani come il martire Giustino, uno dei Padri della


chiesa, condividevano simili aspirazioni alla padronanza
di sé. L'apologista, per esempio, ammirava profondamen­
te i cristiani che mettevano in pratica rinunce e il celibato;
egli espresse anche una lode speciale a un giovane con­
vertito di Alessandria che aveva presentato una supplica
al governatore Felix
per chiedergli l'autorizzazione a farsi evirare da un chirurgo. I chi­
rurghi gli avevano detto infatti che tali interventi erano proibiti sen­
za il permesso del governatore. E poiché Felix si rifiutò assolutamen­
te di firmare una simile autorizzazione, il giovane rimase celibe.31

Origene, anch'egli venerato come Padre della chiesa,


era stato così determinato a vincere la sua lotta contro le
passioni che in gioventù si era fatto evirare, sembra senza
chiedere nessuna autorizzazione, tanto meno al governa­
tore.
L'autore della Testimonianza di Verità non parla mai di
castrazione, né la approva, ma nondimeno sostiene che
solamente coloro che «rinunciano al mondo intero», a
partire dall' attività sessuale e da quella commerciale,
giungono poi a conoscere Dio. La maggioranza delle chie-
186 Satana e i suoi angeli

se cristiane, dal II secolo a oggi, hanno considerato una si­


mile rinuncia come una scelta di perfezione, fatta soltanto
da pochi eroi: nelle chiese ortodosse di tutto il mondo dai
monaci, e in quelle romane cattoliche da sacerdoti e ve­
scovi, frati e suore. L'autore della Testimon ia nza di Verità va
comunque molto oltre rispetto a Padri della chiesa come
Giustino o Origene, poiché afferma che la rinuncia non è
solo ammirevole ma essenziale per ogni vero cristiano.
Ovviamente, egli sa che la grande maggioranza dei cri­
stiani crede che Dio creò maschio e femmina e ordinò a
tutte le sue creature, animali e umane, di «essere feconde
e moltiplicarsi» (dr. Gen 1,28). Tuttavia, riflettendo sulla
sua diversità dalla maggioranza dei cristiani «terreni»,
all'improvviso questo autore pensa di capire l'avverti­
mento di Gesù ai suoi discepoli di «stare attenti al fermen­
to degli scribi e dei farisei» (Mc 8,1 5). Tali parole di Cristo
non devono essere prese alla lettera, come se fossero rife­
rite solamente a maestri ebraici; interpretate invece sim­
bolicamente, ammoniscono di guardarsi dai maestri cri­
come l'autore di Barnaba e dell ' In s eg n a mento dei
s t ia n i
Dodici Apostoli, che si appellano alle Scritture per autoriz­
zare la vita comune.
Secondo la Testimonianza di Verità, gli «scribi e i Farisei»
e le «guide cieche» contro cui Gesù mette in guardia (dr.
Mt 23) non sono null'altro che la maggioranza dei cristia­
ni, i quali sono stati trascinati con l'inganno a venerare,
non Dio, ma i «dominatori» soprannaturali che sono me­
no che divini. L'autore della Testimonianza di Verità inter­
preta che l'avvertimento di Gesù significa che i credenti
devono evitare l'influenza del «desiderio errato degli an­
geli e demoni»,32 di quegli angeli caduti che sono precipi­
tati in errore per la loro stessa bramosia. Nella Testimo­
n ianza si sostiene inoltre che il Dio che la maggior parte
dei cristiani venera, il Dio della Bibbia ebraica, è egli stesso
uno degli angeli caduti; anzi, il capo degli angeli caduti,
dalla cui tirannia Cristo è venuto a liberare gli esseri urna-
n nemico ali'interno: la demonizzazione degli eretici 187

ni; infatti, si dichiara nella Testimonianza, «la parola del Fi­


glio dell'uomo ... ci distingue dall'errore degli angeli».33
Quello che Barnaba dice degli ebrei - che sono stati in­
gannati da un «angelo maligno» - e quello che la maggio­
ranza dei cristiani dice dei pagani - che venerano inconsa­
pevolmente dei demoni generati da angeli caduti -,
questo autore lo dice degli altri cristiani. Egli, maestro ra­
dicale qu al è, fa ciò che milioni di cristiani con atteggia­
mento critico hanno fatto da allora: giudicando apostata
la maggioranza dei cristiani, vede costoro come i «farisei»
e gli «scribi» dei Vangeli (o, al massimo, li ritiene discepo­
li ingenui di tali maestri, soggetti alla loro seduzione).
Quattordici secoli più tardi, Martin Lutero sarebbe giunto
a considerare i suoi ex correligionari cattolici romani co­
me i «farisei» e gli «scribi» contro cui Gesù metteva in
guardia i suoi discepoli. Mentre la maggioranza dei cre­
denti scorge in Cristo e nel suo messaggio la potenza che
sconfiggerà le forze del male nel mondo, alcuni cristiani
dissenzienti fin dal Il secolo hanno affermato che anche lo
stesso Vangelo è stato scelto dalle forze del male.
Tuttavia, l'autore della Testimonianza di Verità va molto
oltre la «protesta» dei cristiani della Riforma e di periodi
successivi. Convinto che il messaggio di Cristo sia esatta­
mente l'opposto della «legge» - cioè della Bibbia ebraica -,
solleva interrogativi radicali:

Che cos'è la luce? E che cosa sono le tenebre? E chi è colui che
creò il mondo? E chi è Dio? E chi sono gli angeli? E che cos'è il
dominio (del mondo)? E perché alcuni sono storpi, e alcuni ciechi, e
...

alcuni ricchi, e alcuni poveri?34

Analizzando la vicenda del Genesi con simili domande,


questo maestro «scopre» che il primo libro della Bibbia ri­
vela delle verità solamente se lo si interpreta in senso con­
trario, considerando che Dio in realtà sia lo scellerato, e il
serpente il santo! Egli precisa, per esempio, che in Genesi
2,17, Dio ordina a Adamo di non mangiare il frutto
dell'albero in mezzo al Paradiso, ammonendolo che
188 Satana e i suoi angeli

«quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Ma il


serpente dice a Eva il contrario: «Non morirete affatto!
Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero
i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene
e il male» (Gen 3,4-5). Chi, ci si domanda nella Testimo­
nianza, diceva la verità? Quando Adamo ed Eva obbediro­
no al serpente, «allora si aprirono gli occhi di tutti e due, e
si accorsero di essere nudi» (Gen 3,7). Non morirono «quel
giorno», come Dio li aveva minacciati; al contrario, i loro
occhi furono aperti alla conoscenza, come il serpente ave­
va promesso loro. Ma, quando Dio capì che cosa era acca­
duto, «egli maledisse il serpente e lo chiamò "diavolo" »
[cfr. Gen 3,14-15].35 0ra che Adamo aveva conseguito una
conoscenza paragonabile a quella di Dio, il Signore decise
di cacciarlo dal Paradiso affinché «egli non stenda più la
mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi
e viva sempre!» (Gen 3,22), conseguendo la vita eterna in­
sieme alla conoscenza.
«Che genere di dio è questo dio? ... Sicuramente si è di­
mostrato un invidioso maligno»36 afferma l'autore della
Testimonianza di Verità Non solamente questo dio è geloso
.

della sua creazione, è anche ignorante e vendicativo. Che


cosa dire del serpente, che Dio maledì e chiamò «diavo­
lo»? Secondo la Testimonianza di Verità, il serpente che
portò Adamo ed Eva all'illuminazione spirituale è in
realtà Cristo, che compare sotto queste sembianze per libe­
rare i due dall' «errore degli angeli»,37 cioè dall'errore in­
dotto da malevolenti «dominatori» soprannaturali che si
fingono Dio in questo mondo.
A un altro cristiano anonimo, la cui opera fu anch'essa
scoperta a Nag Hammadi, un allievo domandò che cosa
«il grande apostolo» Paolo intendesse quando ammoniva
che «la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte
di sangue e di carne, ma ... contro i dominatori di questo
mondo di tenebra, contro gli spiriti del male» (Ef 6,12).
Questi gli rispose scrivendo una rivelazione segreta inti­
tolata la Realtà dei dominatori, che, egli afferma, «ti ho man-
n nemico all'i11terno: la demonizzazione degli eretici 189

dato ... perché tu mi hai interrogato sulla realtà dei domi­


natori [cosmici]».38 Il maestro spiega che «il loro capo [il
Dio della Bibbia ebraica] è cieco; a causa del suo potere e
della sua ignoranza e della sua arroganza, egli disse: ...
"Sono io che sono Dio e non c'è nessun altro a parte
me".».39 Lo stesso prosegue:
Quando disse ciò, egli peccò contro l'intero universo. E una voce
venne dall'alto del regno di assoluto potere, dicendo:
«Tu sbagli, Samael» cioè «Dio della cecità» ...
Ed egli disse: «Se qualcosa esiste prima d i me, fammelo vede­
re! ».
E immediatamente la Sapienza stese il suo dito e portò la luce
nella materia . ...
Ed egli disse alla sua creatura: «Sono io che sono il dio dell'uni­
verso».
E Vita, figlia di Fede-Sapienza, gridò e disse: «Tu sbagli, Salda!
[cioè "folle"]». Ella soffiò sul suo viso e il suo sospiro divenne per
lei un angelo di fuoco; e quell'angelo lo legò e lo scaraventò nel
Tartaro, giù nell'abisso.40

Nell'interpretazione dell'universo di questo maestro


non c'è nessun diavolo, né alcuna necessità che vi sia, per­
ché «il Signore» - il Dio degli ebrei e della maggioranza
dei cristiani insieme - si comporta egli stesso come il capo
degli angeli caduti che seducono e sottomettono gli esseri
umani. Dichiarandosi il supremo e unico Dio dell'univer­
so, egli «peccò contro l'intero universo», rifiutandosi di ri­
conoscersi parte di una realtà divina più ampia. Le sue
vanterie lo rivelano essere solamente una creatura inferio­
re, ignorante, portata dal suo potere a una presuntuosa
superbia (u�ptç) e alla distruzione.
Secondo la Realtà dei dominatori, sono stati Samael e i
suoi seguaci «dominatori delle tenebre» (cfr. Ef 6,12), non
il vero Dio, a dare forma al corpo fisico di Adamo (cfr. Gen
2,7), a farlo lavorare in Paradiso «perché lo coltivasse e lo
custodisse» (Gen 2,15), a metterlo poi a dormire e a fargli
forgiare la compagna donna dalla sua costola (cfr. Gen
2,21-22). Questi stessi dominatori ordinarono a Adamo di
non mangiare il frutto dell'Albero della Conoscenza, che
190 SataTlll e i suoi angeli

poteva aprirgli gli occhi alla verità, poiché essi volevano


mantenere gelosamente il controllo su di lui. Quando
Adamo ed Eva, illuminati dal principio spirituale femmi­
nile che apparve a lei sotto forma di serpente, li sfidarono,
i dominatori maledissero la donna e il serpente, e caccia­
rono la coppia dal Paradiso:
Inoltre, essi gettarono il genere umano in grande confusione e in
una vita di fatica, cosicché esso potesse essere occupato con gli af­
fari mondani e non avesse l'opportunità di essere devoto allo Spiri­
to Santo.41

Secondo i sostenitori di questi insegnamenti, la condi­


zione umana, che comprende il lavoro, il matrimonio e la
procreazione, non riflette la benedizione divina, ma dimo­
stra la soggezione a forze cosmiche che vogliono accecare
gli uomini nella loro capacità innata di ricevere l'illumina­
zione spirituale. Tali cristiani radicali credono che moltis­
sime persone, compresa una gran parte dei cristiani, siano
cadute vittime dei dominatori delle tenebre e cosl, come
numerosi ebrei e pagani, rimangano imprigionate in lega­
mi sessuali, sociali ed economici.
Ad alcuni, comunque, - tra i quali si annoverano tali
autori - sono stati aperti gli occhi, e questi si sono risve­
gliati alla fonte divina da cui gli esseri umani provengono
e a cui appartengono, una fonte profondamente nascosta
nella comune esperienza. L'esempio più indicativo della
persona ridestata spiritualmente è la figlia di Eva, Norea.
Quando i «dominatori» tentano di sedurla e di ingannar­
la, ella si rivolge gridando a Dio e riceve aiuto divino;
l'angelo Eleleth (il cui nome in ebraico significa «com­
prensione») le rivela come tali forze corrotte e limitate sia­
no giunte a governare il mondo e le garantisce che lei stes­
sa appartiene, non a esse, ma ai poteri superiori, al Padre
dell'universo e alla sua emanazione e «figlia», Sapienza, e
alla Vita divina:
Tu, insieme con la tua creatura, venite . da sopra; queste anime
sono uscite dalla luce incorruttibile. Perciò i dominatori non posso-
..
n nemico ali'interno: la demonizzazione degli eretici 191

no avvicinarla a causa dello Spirito di Verità presente all'interno di


lei; e tutti quelli che conoscono questa via vivono eternamente in
mezzo al genere umano mortale.42

Quelli che hanno «lo spirito di verità dentro di loro» si


rifiutano di sposarsi, concludere affari o di avere altri le­
gami mondani, al fine di restare una «generazione indo­
mita», libera di «adorare se stessa come Spirito Santo». e
l:Apocrifo di Giovanni, un'altra nota «rivelazione» sco­
perta a Nag Hammadi, offre una diversa interpretazione ­
in chiave del tutto mitologica - del Genesi, volta a illustra­
re i cordoni che legano la gente a vite futili e insoddisfa­
centi. L'Apocrifo di Giovanni spiega che, dopo che Adamo
fu creato, il capo dei dominatori e i suoi sostenitori compi­
rono una serie di tre assalti per soggiogare e catturare i fi­
gli di Adamo. Prima, il capo dei dominatori «sedusse
[Eva] ... e generò in lei due figli», Caino e Abele; perciò da
quel momento «fino al giorno d'oggi, sono continuati i
rapporti sessuali, a causa del capo dei dominatori», che
«innestò il desiderio sessuale» in Eva. Tuttavia, poiché al­
cune persone ancora sfuggivano al suo controllo, malgra­
do la pressione del desiderio sessuale,44 il capo dei domi­
natori «stabilì un piano insieme alle sue forze» per
sconfiggere anche il più incrollabile degli spiriti umani: i
dominatori «commisero adulterio con Sapienza, e genera­
rono il fato amaro».45 Da quel momento in poi, il fato si di­
mostrò il più indistricabile dei legami:
Siccome da quel fato dipendeva ogni pecca to e ogni ingiustizia e
blasfemia e dimenticanza e ignoranza, e tutte le condizioni dure, e le
violazioni gravi e il grande terrore. E l'intera creazione fu accecata,
così che essi potessero non conoscere Dio, che è sopra tutti loro.46

Dato che anche l'invenzione del fato non tranquillizza­


va i dominatori riguardo al loro controllo sugli esseri
umani, pianificarono una terza cospirazione. Il capo dei
dominatori «mandò i suoi angeli alle figlie degli uomi­
ni»47 (cfr. Gen 6,2) perché le sposassero e procreassero, e
perché vivessero insieme e insegnassero loro a estrarre
192 Satana e i suoi angeli

oro e argento, ferro e rame. Perciò, lApocrifo di Giovanni


descrive ht miseria della vita umana ordinaria, costretta
nella fatica, trascinata da passioni istintive, dominata dal
fato, trascorsa nel tentativo di guadagnare denaro e di ac­
cumulare ricchezze. Con tutti questi stratagemmi i domi­
natori hanno tenuto gli esseri umani sotto il loro controllo:

... ed essi trascinarono la gente che li seguiva ingannata; la gente


invecchiava senza avere gioia; essi morivano senza aver trovato la
verità e senza conoscere Dio ... E perciò l'intera creazione divenne
loro schiava, dalla fondazione del mondo fino a oggi.48

Alcuni cristiani schierati, che condividevano l'opinione


dei più, risposero a tali estremisti. Tertulliano, convertito
di Cartagine, città dell'Africa settentrionale, e contempo­
raneo di Ireneo (ca. 180), concordava con que sti nel de­
nunciare tutti coloro che si dissociavano dal consenso del­
la maggioranza in quanto «eretici» . Entrambi i padri
sostengono che quello che caratterizza la vera chiesa è
l'unanimità, la concordia sulla dottrina, sulla morale e
sull'autorità. I cristiani, afferma Tertulliano appellandosi
a Paolo, dovrebbero « parlare e pensare a llo stesso
modo».49 Chiunque devia dal consenso è, per definizione,
un eretico; infatti, come Tertulliano precisa, il termine gre­
co tradotto con « eres ia» (a'ipe<nç) s ign ifica letteralmente
«scelta»; perciò un «eretico» è «uno che fa una scelta».so
Tertulliano osserva che gli eretici in realtà si vantano per
le questioni su cui si discostano dalla maggioranza, consi­
derandole come prove della loro più profonda compren­
sione delle cose. Egli afferma sardonicamente:
Se essi si sono inventati qualcosa di nuovo, definiscono rivela­
zione la loro ipotesi e la loro ingegnosa trovata la chiamano cari­
sma, e non cercano l'unità ma la diversità ... per la maggior parte si
dividono a seconda di determinate dottrine e anche d iranno in
buona fede: «La cosa non sta così», e «Questo lo intendo in un altro
modo», e «Questo non lo amrnetto».51

Tertulliano sottolinea invece che farescelte è male, per­


ché la scelta distrugge l'unità del gruppo. Per reprimere
Il nemico all'interno: la demonizzazio11e degli eretid 193

l'eresia, egli sostiene, le autorità ecclesiastiche devono im­


pedire alla gente di porre domande, perché sono «le do­
mande che rendono eretiche le persone»,52 soprattutto se
si tratta di interrogativi come: da dove viene il male? per­
ché è permesso? e qual è l'origine degli esseri umani? Ter­
tulliano vuole fermare tali domande e imporre a tutti i
credenti la stessa regula fidei, «regola della fede» o credo.
Egli sa che gli «eretici» senza dubbio gli obietteranno che
Gesù stesso incoraggiava le domande, affermando: «Chie­
dete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà
aperto» (Mt 7,7). Ma il Padre della chiesa non ha pazienza
con tali persone: «Dove porterà la loro ricerca? Lo scopo
di cercare è trovare; I' obiettivo è nel trovare, per crede­
re».53 Ora che la chiesa può fornire una risposta diretta e
semplice a tutte le domande con la sua regola di fede, af­
ferma Tertulliano, l'unico motivo per continuare a cercare
è la mera ostinazione:
Ci pensi colui che cerca sempre, perché non troverà: egli cerca
infatti dove non si troverà. Ci pensi colui che sempre picchia, per­
ché non gli sarà mai aperto: infatti egli picchia dove non c'è nessu­
no. Ci pensi colui che sempre chiede, perché non sarà mai ascolta­
to: egli chiede infatti a colui che non ode.54

Il vero cristiano, dichiara Tertulliano, semplicemente


stabilisce di «non sapere niente contro la regola». Ma,
quando la gente «sostiene che deve indagare per difende­
re quello che possiede» egli asserisce che «abbiamo un do­
vere morale a rifiutarle . . . Essi dicono che noi dobbiamo
porre domande per discutere» seguita Tertulliano «ma
che cosa c'è da discutere?». Quando gli «eretici» obiettano
che i cristiani devono discutere del vero significato delle
Scritture, Tertulliano afferma che i credenti devono re­
spingere tutti i dibattiti sull'interpretazione scritturale; ta­
li controversie servono solamente «a produrre un rivolgi­
mento di stomaco o di cervello» .55 Inoltre, egli sostiene,
queste discussioni fanno sembrare debole la posizione or­
todossa:
1 94 Satana e i suoi angeli

E se poi c'è qualcuno in grazia del qua le tu sei sceso ad un dibat­


tito per rafforzarlo, cioè, nella sua fede che vacilla ... costui, impres­
sionato proprio dal fatto che ti vedrà non ottenere alcun risultato, e
che i tuoi avversari sono sulla tua stessa posizione di negazione e
di difesa, e certamente alla pari di te, si allontanerà dalla discussione
ancora più incerto, non sapendo quale opinione giudicare eresia. Soprat­
tutto, queste osservazioni le possono fare contro di noi anche gli eretici. È
inevitabile, infatti, che anch'essi dicano che siamo stati noi piuttosto a in­
trodurre dei falsi scritturali ed esegetici, dato che anch'essi, come noi, ri­
vendicano per sé la verità [corsivo mioJ.56

Invece di ammettere gli eretici ai dibattiti sulle Scrittu­


re, afferma Tertulliano, i cristiani «che pensano in maniera
diritta» (traduzione letterale di «ortodosso») devono sem­
plicemente reclamare le Scritture come loro proprietà
esclusiva:
Non si devono ammettere gli eretici a provocarci a proposito
delle Scritture, poiché noi ... dimostriamo che non hanno niente a
che fare con le Scritture. Se infatti sono eretici, non possono essere
cristiani.57

Ma come nascono negli eretici simili spunti di riflessio­


ne ingegnosi e convincenti sulle Scritture? La loro ispira­
zione viene, sostiene Tertulliano, dal «diavolo, natural­
mente, la cui funzione è quella di sconvolgere la verità».58
Satana, in fondo, inventò tutte le arti della guerra spiri­
tuale, compresa la falsa esegesi. L'ammonimento di Paolo
contro «le forze spirituali del male in luoghi celesti», che
la Realtà dei dominatori volge contro il Dio biblico e i suoi
angeli, Tertulliano la interpreta nel senso opposto: qui,
egli dice, Paolo mette in guardia contro il diavolo, che or­
disce false interpretazioni delle Scritture per trascinare la
gente in errore.59 Al posto di scelte, domande e discussioni
di interpretazione scritturale, egli ordina un'accettazione
unanime della regola di fede e, per rafforzarla, un' obbe­
dienza alla «disciplina» propriamente ecclesiastica, cioè ai
sacerdoti che sono i legittimi successori degli apostoli.60
Le «prescrizioni» di Tertulliano, se fossero state maggior­
mente argomentate, si sarebbero potute dimostrare effica-
n nemico all'interno: la demoniZ7JIZione degli eretici 195

ci contro i maestri radicali come quelli che seri� la Te­


stimonianza di Verità, la Realtà dei dominatori e l'Apocrifo di
Giovanni. Comunque, i gruppi che questi testi rappresen­
tavano rimanevano marginali tra i cristiani; il loro richia­
mo era limitato ai pochi che volevano seguire un vangelo
che imponeva di rompere non solamente con il resto del
mondo ma anche con la maggioranza dei cristiani.
Altri, riconosciuti da Tertulliano e Ireneo come eretici,
erano, invece, molto meno radicali e, proprio per tale ra­
gione, molto più minacciosi per le autorità ecclesiastiche
emergenti e i loro sostenitori. Di spicco tra questi erano i
seguaci di Valentino, un maestro cristiano provenien te
dall'Egitto che si era trasferito a Roma intorno all'epoca in
cui vi si recò anche Giustino, circa nel 140. Valentino non
ebbe controversie con l'autorità ecclesiastica; in realtà, se
possiamo credere a Tertulliano su tale punto, «aveva spe­
rato di ottenere l'episcopato Valentino, poiché era forte di
ingegno e di eloquio».&t Ma Valentino «ruppe con la chie­
sa tutrice della autentica regola di fede»,62 dice il Padre
africano, perché un altro uomo fu fatto vescovo al suo po­
sto; Tertulliano, come Clemente, attribuisce a qu elli che
sfidano l'autorità episcopale motivazioni di invidia e di
ambizione frustrata.
Valentino era stato battezzato, aveva accettato la comu­
ne professione di fede e aveva partecipato in comunità al
culto cristiano. Dopo il battesimo, però, ebbe un sogno ri­
velatore in cui il Logos gli apparve sotto forma di neona­
to;63 e interpretò questa visione come uno stimolo a inco­
minciare le proprie esplorazioni spirituali. Siccome gli era
giunta notizia di un maestro di nome Teuda che asseriva
di aver ricevuto degli insegnamenti segreti dallo stesso
apostolo Paolo, Valentino con entusiasmo cercò di ap­
prendere da lui tu tto quello che poté. Cosi divenne un
maestro egli stesso, ampliando ciò che aveva imparato da
Teuda con le sue personali indagini spirituali, e incorag­
giò i suoi studenti a sviluppare un'interiore capacità di co­
noscenza spirituale.
1% Satana e i suoi angeli

Valentino intendeva seguire una via di mezzo tra due


estremi, tra quelli che sostenevano che la fede della mag­
gioranza fosse l'unica vera, e gli altri, come gli autori di
parti della Testimonianza di Verità e della Rea l tà dei domina­
tori, che la rifiutavano in quanto falsa e infondata. Mentre
dava per scontato che accettare il battesimo e professare la
comune fede in Dio e in Cristo fosse indispensabile per
coloro che si aprivano al cristianesimo, egli invitava i suoi
compagni di fede ad andare al di là di quello che i predi­
catori cristiani insegnavano e al di là dell'interpretazione
letterale delle Scritture per sondare il significato più
profondo dei Vangeli. Così facendo, egli era convinto, si
poteva progredire al di là della fede verso la comprensio­
ne, cioè, verso la yvromç. Questo termine viene spesso tra­
dotto con «conoscenza», ma tale interpretazione è in una
certa misura fuorviante, dal momento che la yvromç come
conoscenza data da un rapporto personale differisce dalla
conoscenza intellettuale (intesa, per esempio, in frasi co­
me: «essi conoscono la matematica»), che in greco è defi­
nita dal verbo eioetv (da cui deriva la parola italiana
«idea»). Nel ceppo linguistico indoeuropeo, solo l'inglese
ha un unico verbo (to know) per indicare questi due diffe­
renti tipi di conoscenza. Nelle altre lingue europee moder­
ne c'è infatti un termine per la conoscenza intellettuale e
un altro per quella dei rapporti personali: per esempio, il
francese distingue tra savoir e connaitre, lo spagnolo tra sa­
ber e conocer, l'italiano tra sapere e conoscere, il tedesco tra
wissen e kemzen. Il verbo greco y1yvcò<J1cro, da cui deriva
yvromç, si riferisce alla conoscenza nei rapporti umani (co­
me in «Noi conosciamo Cristo» o, nelle parole dell'oracolo
di Delfi, «Conosci te stesso»). La parola yvcixnç potrebbe es­
sere meglio tradotta con «intuizione» o «sapienza» . Un
maestro gnostico invita i suoi allievi a cercare la yvci>cnç
dentro loro stessi:
Abbandona la ricerca di Dio e della creazione e di simili cose di
quel genere. Invece, prendi te stesso come punto di partenza. Chie­
di che c'è al di dentro di te che fa tutto un suo detto, «mia mente»,
Il nemico a/l'interno: la demonizz.azione degli eretici 197

«mio cuore», «mio Dio». Conosci le fonti dell'amore, della gioia,


dell'odio e del desi d erio . . . Se esamini con attenzione tutte queste
cose, troverai [Dio] in te stesso.64

Un altro maestro dice che la yvromç rivela «chi noi era­


vamo e chi siamo diventati; dove stiamo andando; da do­
ve siamo venuti; che cos'è la nascita e che cos'è la rinasci­
ta».65 Quello che lo gnostico alla fine giunge a «conoscere»
è che il Vangelo di Cristo può essere percepito a un livello
più profond o di q uel lo condiviso da tutti i cristiani. Chi
intraprende il percorso della yvrocm; scopre che il Vangelo
è qualcosa di più di un messaggio sul pentimento e sul
perdono dei peccati; diventa un percorso di risveglio spi­
rituale, attraverso il quale si scopre il divino al di dentro
di se stessi. Il segreto della yvù><m; è che, quando si giunge
a conoscere se stessi al livello più profondo, si giunge a
conoscere Dio come fonte del proprio essere.
L'autore del Vangelo di Filippo, un seguace di Valentino,
descrive la yvcòmc; come una naturale progressione a parti­
re dalla fede. In modo simile alle messi che vengono raccol­
te a seguito della cooperazione degli elementi naturali, ac­
qua, terra, aria e luce, così si afferma nel Vangelo di Filippo,
Il culto di Dio è pure [costituito] da quattro elementi: la fede e la
speranza e l'amore e la gnosi. La nostra terra è la fede, in cui abbia­
mo radice, l'acqua è la speranza, da cui siamo nutriti, l'aria è l'amo­
re, da cui siamo fatti crescere, e la luce è la gnosi, da cui [veniamo
maturati).66

Diversamente dai cristiani radicali della Realtà dei domi­


natori o dell'Apocrifo di Giovanni, Valentino e i suoi seguaci
non rifiutavano i dettami morali insegnati da sacerdoti e
vescovi; non disprezzavano o capovolgevano la Bibbia
ebraica, né negavano apertamente l'autorità ecclesiastica.
Anzi, essi accettavano tutte queste cose, ma a una condizio­
ne fondamentale: accettavano ciò che veniva affermato in
campo morale, ecclesiastico e scritturale come cogente per
la maggioranza dei cristiani, ma non per quelli che erano
198 Satana e i suoi angeli

andati al di là della mera fede nella yv<ÒOl� quelli che erano


diventati spiritualmente «maturi».
Per coloro che entravano nel loro gruppo, Valentino e i
suoi seguaci ritenevano necessario anche che rispettassero
l'ordine morale condiviso dai vescovi, ordine che prescri­
veva loro le opere buone e proscriveva quelle cattive. Ma
il maestro gnostico e i suoi discepoli vedevano nella chie­
sa due diversi tipi di cristiani.67 Essi definivano la maggio­
ranza dei cristiani «ecclesiastici» o «psichici» (cioè perso­
ne che vivono a livello della 'l/UXtl o anima) - e «dicono»
protesta indignato Ireneo «che costoro siamo noi della
chiesa»68 -, mentre consideravano quelli che giungono ad
accettare una seconda, segreta iniziazione chiamata «re­
denzione» come cristiani maturi «spirituali», che hanno
fatto progressi dalla semplice fede verso la conoscenza
spirituale o yvromç.
Siccome Valentino e i suoi seguaci accettavano pubbli­
camente il battesimo, praticavano il culto insieme e pro­
nunciavano il loro medesimo credo, la maggioranza dei
cristiani li considerava compagni di fede del tutto inno­
cui, quali del resto essi stessi insistevano di essere in ve­
rità. Ma, nel giro di una generazione dopo l'insegnamento
di Valentino a Roma, il movimento aveva conquistato un
notevole seguito nell'intero mondo cristiano, soprattutto
tra gli elementi più colti della chiesa. Tertulliano lamenta
infatti che spesso erano «persone piene di fede e di pru­
denza e di pratiche religiose» tra i membri della struttura
ecclesiastica a essere «passate dall'altra parte» .ti\I Ireneo,
con suo sgomento, trovò dei maestri valentiniani attivi
nella sua congregazione di Lione, che invitavano i creden­
ti a tenere riunioni segrete per sollevare interrogativi sulla
fede e discutere il suo «significato più profondo».7o In tali
incontri, non autorizzati dal vescovo, questi valentiniani
impartivano insegnamenti che Ireneo considerava blasfe­
mi. Essi sostenevano, per esempio, che il Dio creatore de­
scritto nel Genesi non è il solo Dio, come la maggior parte
dei cristiani crede, né è il malefico capo degradato degli
n nemico all'interno: la demonizzazione degli eretici 199

angeli caduti, come affermano i radicali. Secondo Valenti­


no, Dio è un'immagine antropomorfa della vera Fonte di­
vina che sta alla base di tutto l'essere, l'ineffabile, inde­
scrivibile fonte che egli chiama «il profondo» o «l'abisso».
Quando il maestro gnostico cerca di rappresentare visiva­
mente quella Fonte, egli la descrive come essenzialmente
dinamica e diadica, il divino «Padre di tutto» e «Madre di
tutto».71 Coloro che partecipavano a tali incontri potevano
anche sentirsi dire che il vescovo - Ireneo stesso -, benché
fosse un uomo buono, era una persona di penetrazione
intellettuale limitata, che non era passato, oltre la fede, al­
la 'YVcOOtç.
Ireneo riconosce nell' Adversus haereses che i seguaci di
Valentino si ritengono persone che stanno riformando la
chiesa ed elevando il suo livello di comprensione spiritua­
le; ma, egli dice, nulla di buono che essi compiano può
compensare il male che causano in quanto «tagliano e di­
vidono il grande e glorioso corpo di Cristo» ,72 la chiesa.
Come vescovo, Jreneo notava che l'atto stesso di impe­
gnarsi nell'indagine spirituale distingueva i cristiani gno­
stici dagli altri e, di fatto, spaccava la comunità. La loro
presenza come insidioso gruppo interno minava le fragili
basi del consenso organizzativo e morale, fondandosi sul­
le quali le autorità come Ireneo tentavano di unificare i
gruppi cristiani sparsi in tutto il mondo.
I valentiniani, mentre sostenevano che per i cristiani psi­
chici fosse necessario seguire i dettami morali dei vescovi,
tendevano invece a considerare se stessi esenti da ciò, libe­
ri di prendere le loro decisioni sulle azioni che i vescovi
proibivano. Alcuni valentiniani, dice Ireneo, partecipano a
feste pagane insieme a familiari e amici, convinti che tali
comportamenti non possano macchiarli; altri, accusa, van­
no a spettacoli gladiatorii e si rendono colpevoli di quelle
che egli descrive come flagranti trasgressioni sessuali.73
Quale esempio, Ireneo cita Marco, un maestro valentiniano
attivo «nel nostro distretto della valle del Rodano», e lo
presenta come un seduttore che mescola particolari afrodi-
200 Satana e i suoi angeli

siaci per adescare le molte donne che «sono state contami­


nate da lui nel corpo e [che hanno confessato] di averlo
amato appassionatamente», compresa «la moglie di uno
dei nostri diaconi ... che era bellissima»,7• la quale abban­
donò la casa per seguire il suo gruppo.
Ma quando Ireneo si addentra a descrivere le effettive
tecniche di seduzione di Marco, possiamo capire che parla
per metafore. Quello che lo preoccupa, fra le altre cose, è
l'enorme richiamo che l'insegnamento valentiniano aveva
tra le credenti donne, che vennero sempre più escluse nel
corso del II secolo dalla partecipazione attiva nella chiesa
ufficiale. Marco, afferma Ireneo, «seduce le donne» invitan­
dole a prendere parte alla celebrazione dell'eucaristia e for­
mulando le preghiere eucaristiche con tali «parole sedutti­
ve» da farle sembrare invocazioni a Grazia, la Madre
divina, insieme al Padre divino.75 E, quel che è peggio, Mar­
co «pone le mani» sulle donne appellandosi allo Spirito
Santo affinché scenda su di loro, e poi le spinge a fare profe­
zie.76 Altrove Ireneo accusa i seguaci di Marco di adulterio:
in questo caso fa ricorso a un'immagine biblica tradizionale
di partecipazione a pratiche religiose «illecite». I profeti
Osea, Isaia e Geremia, per esempio, spesso usano le metafo­
re dell'adulterio e della prostituzione per indicare coloro
che accusavano di essere «infedeli» al patto con Dio.77
Molte opere valentiniane scoperte a Nag Hammadi, tra
cui il Vangelo della Verità e il Vangelo di Filippo, presentano
alcune risposte alle accuse che i valentiniani fossero per­
sone immorali. In uno solo dei frammenti rimasti dei suoi
insegnamenti, Valentino stesso, commentando l'afferma­
zione di Gesù che «Dio solo è buono», dice che, se non è
beneficato dalla grazia di Dio, il cuore umano è un «luogo
in cui abitano molti demoni. Ma quando il Padre, che è il
solo a essere buono, guarda su di esso, lo purifica e lo illu­
mina con la sua luce; perciò colui che ha un cuore simile è
benedetto, perché vede Dio».78 Il Vangelo della Verità, an­
ch'esso scritto forse da Valentino, presenta i seguenti det­
tami etici per i cristiani gnostici:
n nemico ali'interno: la demoniuazione degli eretici 201

Parlate della verità a quelli che la cercano e della conoscenza a


quelli che nel loro errore hanno peccato. Consolidate il piede di co­
loro che hanno incespicato e imponete le vostre mani ai malati. Nu­
trite gli affamati e date pace ai sofferenti . ... Voi siete la saggezza
che viene brandita. Se la potenza si comporta in questo modo, essa
diviene ancora più potente . ... Non diventate un luogo per il diavo­
lo: l'avete già annientato.79

Il Va ngelo di Filippo propone un'alternativa alla comune


percezione cristiana del bene e del male come opposti co­
smici.BO In questo Vangelo, diversamente che in quelli neo­
testamentari, Satana non compare mai. Invece, il Padre di­
vino e lo Spirito Santo, che operano in armonia uno con
l'altro, dirigono tutto quello che accade, anche gli atti del­
le più basse forze cosmiche, cosicché alla fine, con le paro­
le di Paolo, «tutto concorre al bene» (Rom 8,28). Il Vangelo
di Filippo rappresenta una critica originale del modo in cui
tutti gli altri cristiani, ortodossi e radicali alla stessa ma­
niera, affrontano la morale. Per quanto essi siano in disac­
corclo sui contenuti, entrambi, ortodossi e radicali, danno
infatti per scontato che la morale richieda di prescrivere
una serie di azioni e di proscriverne un'altra. Ma l'autore di
Filippo vuole liberarsi di tutte le liste di cose buone e di co­
se cattive, liste che costituiscono la base della tradizionale
etica cristiana . Perciò, questo evangelista afferma che
quelli che noi identifichiamo come opposti - «luce e tene­
bre, vita e morte, bene e male» - sono in realtà coppie di
termini interdipendenti in cui ciascuno implica l'altro.si
Con l'intento di reinterpretare la disciplina morale cri­
stiana in un nuova chiave, lautore di Filippo legge la sto­
ria dell'albero della conoscenza del bene e del male come
una parabola che mostra la futilità del tradizionale ap­
proccio all'etica. Secondo Filippo, «la legge era l'albero»; la
legge, come l'albero della conoscenza, pretende di dare la
«conoscenza del bene e del male», ma non può compiere
nessuna trasformazione mora le. I nvece, «ha creato la
morte per quelli che ne hanno ma n giato. Perché quando
202 Satana e i suoi angeli

ha detto: ''Mangia di questo, non mangiare di quello", è


stata l'origine della morte».82
Per mostrare che non si può distinguere il bene dal ma­
le in modi cosi semplici e categorici, Filippo racconta
un'altra parabola, quella di un padrone di casa responsa­
bile di beni che comprendono figli, schiavi, cani, maiali e
bestiame. Questo padrone, che nutre ciascuno secondo la
dieta che gli è più consona, è un'immagine del «discepolo
di Dio», che «terrà conto della disposizione dell'animo di
ciascuno, e parlerà con lui» di conseguenza, riconoscendo
che ognuno ha diverse necessità e condizioni a un diffe­
rente livello di maturità spirituale.83 Perciò, Filippo si rifiu­
ta di interrogarsi sul comportamento sessuale, se, per
esempio, i cristiani debbano sposarsi o rimanere celibi. In­
terpretate come contrapposte, tali scelte presentano una
falsa dicotomia. Questo autore ammonisce: «Non temere
la carne e non amarla. Se la temi essa ti dominerà. Se
l'ami, essa ti divorerà e ti soffocherà».84 filippo intende se­
guire la visione di Paolo secondo la quale per una persona
il matrimonio può essere la «dieta» appropriata, cosi co­
me per un'altra lo è il celibato.
Mentre rifiuta la solita dicotomia tra bene e male, que­
sto autore non mette da parte questioni etiche, né tanto
meno lascia pensare che non siano importanti. Per lui il
nocciolo del problema non è se un determinato atto sia
«bene» o «male», ma come riconciliare l'atteggiamento li­
bero della yvcOOt.ç con l'impegno cristiano ad amare gli al­
tri. Qui lautore ha in mente un detto dal Vangelo di Gio­
vanni («Voi conoscerete la verità e la verità vi renderà
liberi») e la trattazione dell'apostolo Paolo dell'amore e
della yvromç nei capitoli 8 e 9 della Prima lettera ai Corin­
zi. In tali capitoli Paolo afferma di considerarsi, grazie alla
sua yv<iicnç, libero di bere e di mangiare qualunque cosa
gli piaccia, libero di viaggiare con una sorella cristiana co­
me moglie e libero di vivere come evangelista alle spese
della comunità. Tuttavia, Paolo dice, «dato che non tutti
hanno questa yv<iicnç» (cfr. 1 Cor 8,7-1 3), egli volontaria-
n nemico ali'interno: la demoniZ7.azione degli eretici 203

mente rinuncia alla sua libertà per salvare l'amore, per


non offendere potenziali convertiti o cristiani immaturi.
L'autore di Filippo segue dunque l' imp ostazione di Paolo,
quando solleva la questione centrale: il cristiano come de­
ve evitare il peccato? come si può agire in armonia con la
yvcilcn.c;, da una parte, e con l' àyci1tT1, o amore, dall'altra?
Il motivo centrale del Vangelo di Filippo è la forza tra­
sformatrice dell'amore: quello che si diventa d ipende da
ciò che si ama.85 Chi matura in amore sta molto attento a
non far soffrire gl i altri: «Benedetto è colui che non ha
causato sofferenza a nessuno» .86 Gesù Cristo è il paradig­
ma di colui che non offende né affligge nessuno, ma risto­
ra e benedice chiunque incontri, «sia grande sia piccolo,
sia credente sia non credente».87 Il cristiano gnostico, poi,
deve sempre conciliare l' atteggiamento libero della yvcòotc;
con l'amore per gli altri. Questo autore aggiunge infine
che egli aspetta il tempo in cui libertà e amore si armoniz­
zeranno spontaneamente cosi che la persona matura nello
spirito sarà libera di seguire i suoi veri desideri senza af­
fliggere nessun altro. Anziché ordinare di «mangiare que­
sto, non mangiare quello», come faceva il precedente «al­
bero» della legge, il vero albero della yvc00tc; comunicherà
la completa libertà :
Questo Paradiso è il luogo in cui mi sarà detto: «[Mangia di]
questo o non mangi a re di questo, secondo il tuo desiderio». È il
luogo dove io mangerò di tutto, poiché lì c'è l'albero della cono­
scenza.88

Quando la yv<OOtc; si concilierà con l'amore, il cristiano


sarà libero di partecipare o di rifiutare a seconda dei desi­
deri del proprio cuore .
La maggioranza dei cristiani, per converso, descriveva
la propria formazione spirituale, analogamente agli esse­
ni, come una lotta interiore tra le forze del bene e quelle
del male. Il grande asceta cristiano Antonio, che visse in
Egitto tra il IIl e il IV secolo d .C. e divenne un pioniere tra
i padri del deserto, insegnava ai suoi eredi spirituali nella
204 Satana e i suoi angeli

tradizione monastica a rappresentare Satana come il più


intimo di tutti i nemici, il nemico che chiamiamo il nostro
io. La Vita di Antonio, scritta nel N secolo da Atanasio, ve­
scovo di Alessandria, riferisce come Satana tenti Antonio,
parlandogli attraverso i suoi più intimi pensieri e impulsi,
attraverso l'immaginazione e il desiderio. Filippo, dall'al­
tra parte, interpreta l'inclinazione umana a peccare senza
fare ricorso a Satana. Ma questo non significa, come alcu­
ni cristiani ortodossi sospettavano, che i cristiani valenti­
niani credessero ingenuamente di non aver necessità di
ingaggiare una lotta morale perché erano «al di là del be­
ne e del male», essenzialmente incapaci di peccare. Al
contrario, Filippo insegna che all'interno di ciascuna per­
sona è nascosta la «radice del male». Questa è l'interpreta­
zione di Filippo del tradizionale insegnamento ebraico
dello yetzer 'hara, che i rabbini chiamavano «l'impulso al
male». Egli continua:

Quanto a noi, ciascuno scavi profondamente fino alla radice


dell'errore, che è dentro di lui, e lo divelga dal suo cuore fino alla
radice. Ed esso invero sarà divelto, quando noi lo riconosceremo.
Che se invece noi siamo ignoranti a suo riguardo, esso affonda in
noi le rad ici e produce i suoi frutti nei nostri cuori. Esso domina su
di noi, e noi siamo suoi schiavi. Ci tiene prigionieri, cosicché noi
facciamo ciò che non vogliamo, e ciò che vogliamo non lo facciamo
[cfr. Rom 7,14-15). Esso è potente perché noi non lo con osciamo, e
finché esiste, esso lavora.89

Essenziale alla yvcòotç è «conoscere» il proprio poten­


ziale di male. Secondo Filippo, riconoscere il male dentro
di sé è per forza un processo individuale; nessuno può
imporre a un altro che cosa è bene e che cosa male; al con­
trario, ciascuno deve sforzarsi di comprendere il proprio
stato interiore e così di identificare gli atti che nascono
dalla «radice del male», che consiste in impulsi come l'ira,
la bramosia, l'invidia, l'orgoglio e l'avidità. Questo mae­
stro sostiene che quando si capisce che un determinato at­
to deriva da tali impulsi, si perde la convinzione necessa­
ria a compierlo. Per commettere il male - indulgendo a un
n nemico all'interno: la demonizzazione degli eretici 205

accesso d'ira, perpetrando un omicidio o aggredendo con


intenti ostili -, sembra sia necessario illudersi che l'azione
in questione sia giustificata, che la si compia per buone ra­
gioni. Questo autore ha poi la convinzione ottimistica che
«la verità ... sia più potente dell'errore».90 Conoscere la ve­
rità in tale modo implica qualcosa di più di un processo
intellettuale; implica la trasformazione della propria ma­
niera di vivere: «Se noi riconosceremo la verità, troveremo
i frutti della verità in noi stessi. Se ci uniremo con essa, es­
sa produrrà il nostro perfezionamento».91
Per il cristiano maturo, sostiene Filippo, la dottrina e i
giudizi morali della chiesa istituzionale sono diventati se­
condari, se non irrilevanti. Tuttavia, a differenza di molti
cristiani protestanti di epoche successive, i valentiniani
non rifiutavano semplicemente le strutture ecclesiastiche.
Essi pretendevano invece di partire da esse per una nuova
fondazione, proprio come i cristiani in generale asseriva­
no di essersi basati sui fondamenti del giudaismo. L'auto­
re di Filippo, di fatto, come quello della Testimonianza, a un
certo punto utilizza i termini «ebreo» e «cristiano» per fa­
re un parallelo con le persone che hanno ricevuto sola­
mente la rivelazione preliminare e quelle che sono giunte
alla completa comprensione della yvromç.
Accade così che l'autore di Filippo critichi coloro che,
chiamati ebrei e definiti «apostoli e apostolici», non rie­
scono a capire, per esempio, il significato del parto della
Vergine. Molti lo interpretano alla lettera, come se il «par­
to della Vergine» di Gesù si riferisse a un effettivo conce­
pimento e a una reale gravidanza. Filippo mette in ridicolo
tale credenza:
Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo.
Essi sono in errore Essi non sanno quello che dicono. Quando mai
.

una donna ha concepito da una donna?92

Per come Filippo lo vede, Gesù, nato da Maria e Giusep­


pe quali suoi genitori umani, fu fatto rinascere dallo Spiri­
to Santo, l'elemento femminino dell'essere divino (dato
206 Satana e i suoi angeli

che il termine ebraico per spirito, Ruah, è femminile) e dal


«Padre nei cieli» a cui Gesù invitava i suoi discepoli a ri­
volgersi in preghiera («Padre nostro, che sei nei cieli ... »).
Tuttavia, aggiunge questo autore, la semplice menzione
di un potere femminile spirituale «è un grande anatema
per gli ebrei, che sono gli apostoli e gli apostolici».93
Tali persone vedono il battesimo come una rinascita at­
traverso lo Spirito Santo, ma non capiscono che devono
essere fatti rinascere anche dal Padre celeste. Perciò, affer­
ma Filippo,
Quando noi eravamo ebrei . . . avevamo soltanto nostra madre.
Ma da quando siamo divenuti cristiani, abbiamo acquistato un pa­
dre e una madre.94

Il battesimo, poi, è diverso a seconda dei casi. Qualcu­


no, sostiene l'autore, «scende nell'acqua [del battesimo] e
ne esce fuori senza aver ricevuto nulla»,95 e nondimeno af­
ferma: «lo sono cristiano». Per tali persone, secondo Filip­
po, il nome di cristiani è solamente una promessa di quel­
lo che potranno ricevere in futuro. Per altri, invece, il
battesimo diventa un momento di trasformazione: «Que­
sto è quanto succede ... se qualcuno è in un mistero».%
Chiunque viene rigenerato dal Padre celeste e dalla Ma­
dre celeste diventa di nuovo una persona completa per­
ché riceve indietro una parte del sé umano che era andata
perduta all'inizio dei tempi, «lo spirito, il compagno della
propria anima». Una simile persona diventa di nuovo un
intero, e «santa, già fin nel corpo».w A tali individui non ci
si può più riferire come a dei cristiani, perché «costui non
è più un cristiano, ma un Cristo».98
E sui problemi specifici? L'atteggiamento di questo au­
tore ricorda quello espresso nel Vangelo di Tommaso, in cui i
discepoli di Gesù gli domandano precise indicazioni:
«Vuoi che digiuniamo? Come dobbiamo pregare? Dobbia­
mo fare elemosina? Quale dieta dobbiamo rispettare?». Se­
condo Matteo e Luca, Gesù dà risposte precise a queste do­
mande. Invece, secondo il Vangelo di Tommaso, egli dice
n nemico ali'interno: la demonizzazione degli eretici 2fJ7

solamente: «Non dite menzogne; non fate ciò che voi stessi
odiate»,9!1una risposta ironica perché invita tutti a rivolger­
si alle proprie risorse personali. Chi, se non il diretto inte­
ressato, può sapere quando sta mentendo o che cosa odia?
Il Vangelo di Filippo, inoltre, mentre sembra manifestare una
preferenza per l'ascetismo (ovviamente inteso a riflettere
la preferenza di Paolo per il celibato sul matrimonio,
espressa in 1 Cor 7,1 -40), si astiene dal dare indicazioni spe­
cifiche di condotta sessuale. Quello che importa, non è tan­
to ciò che qualcuno fa, ma la qualità delle sue intenzioni.
Perciò il Vangelo di Filippo è non prescrittivo, benché con­
tenga due importanti clausole: innanzi tutto, il cristiano
gnostico deve temperare con l'amore la libertà tipica
dell'atteggiamento dato dalla yvromç; in secondo luogo, il
credente deve rimanere di continuo conscio della sua po­
tenzialità di attore di male, perché soltanto una simile con­
sapevolezza può liberare il cristiano - anche il cristiano
gnostico - dalla schiavitù involontaria al peccato.
Sebbene Ireneo e altri accusassero i valentiniani di esse­
re dualisti, il Vangelo di Filippo indica l'opposto. Questo
autore abbandona anche il dualismo modificato che carat­
terizza la grande maggioranza degli insegnamenti cristia­
ni, basato, come abbiamo visto, sulla convinzione che lo
spirito di Dio lotti costantemente contro Satana. Anziché
vedere il potere del male come una forza aliena che mi­
naccia e invade gli esseri umani dall'esterno, l'autore di
Filippo spinge ciascuno a riconoscere il male all' interno di
sé e a sradicarlo consapevolmente.
Ireneo, determinato a valutare la diffusione del movi­
mento gnostico all'interno delle chiese, capì che le misure
che Tertulliano aveva suggerito non avrebbero fermato i
valentiniani. Non è sufficiente, afferma il vescovo di Lio­
ne, insistere sul fatto che tutti i credenti professino il me­
desimo credo e accettino le indicazioni morali date da sa­
cerd oti e vescovi , perché gli «eretici» scaltri fanno
volontariamente queste cose, almeno in pubblico. Né è
sufficiente pretendere che i cristiani accettino l'autorità di
208 Satana e i suoi angeli

tutti i sacerdoti e vescovi. Tra i valentiniani si annoverano


numerosi sacerdoti che sono, per così dire, dalla loro par­
te; ci sono, Ireneo spiega, «quelli che sono considerati pre­
sbiteri da molti, ma che ... oltraggiano gli altri, ... fanno il
male di nascosto»,100 come quelli che sono effettivamente
iniziati alla yvrocm;. Piuttosto, Ireneo dichiara, i credenti
devono accettare esclusivamente determinati sacerdoti, sa­
cerdoti che non soltanto sono correttamente ordinati ma
che respingono in maniera netta insegnamenti segreti e si
rifiutano di partecipare a incontri privati non autorizzati
dal vescovo. Perciò, egli conclude, «bisogna ascoltare i
presbiteri che sono nella chiesa: essi sono i successori de­
gli apostoli, come abbiamo dimostrato, e con la successio­
ne nell'episcopato hanno ricevuto il carisma sicuro della
verità». Allo stesso tempo,

mentre tutti gli altri, che si separano dalla successione originaria


e si riuniscono in qualunque modo, si devono guardare con sospet­
to, o come eretici che insegnano false dottrine o come scismatici or­
gogliosi e vanagloriosi o ancora come ipocriti che lavorano per
guadagno e vanagloria. 10 1

Questi, avverte Ireneo, riceveranno la punizione divina:


il fuoco dal cielo li consumerà.
Alla fine Ireneo denuncia la teologia valentiniana come
il risultato deviante dell'ispirazione di Satana per poi chiu­
dere la sua opera in cinque volumi Adversus haereses pro­
nunciando, in luogo di Dio, le parole del giudizio divino:

Dunque quelli che bestemmiano il Demiurgo - o con precise af­


fermazioni e chiaramente ... o con ragionamenti astrusi, come i di­
scepoli di Valentino e tutti i sedicenti gnostici - siano riconosciuti
da tutti quelli che onorano Dio come gli strumenti di Satana, per
mezzo dei quali Satana, ora e non prima, ha cominciato a maledire
Dio, che ha preparato il fuoco eterno a tutta l'apostasia. 1 02

Proprio all'inizio del tempo, Satana ha fuorviato gli es­


seri umani attraverso il serpente; «così ora» dichiara Ire­
neo «queste persone, invasate da uno spirito satanico, se­
ducono lo spirito di Dio». Contro «tutti gli eretici» Ireneo
n nemico all'interno: la demonizzazione degli eretid 209

contribuisce a costruire per le chiese cristiane la struttura


che da allora ha sostenuto la cristianità ortodossa, attra­
verso la pretesa di essere la sola ad avere accesso alla
«dottrina degli apostoli» e all' «antico organismo della
chiesa in tutto il mondo», e al «marchio del corpo di Cri­
sto secondo le successioni dei vescovi», insieme alla «rac­
colta completa [delle Scritture] senza aggiunta e senza
sottrazione» .1 03
Conclusioni

Questa interpretazione della guerra cosmica - le forze del


bene che combattono contro quelle del male - derivava
originariamente dalle fonti apocalittiche ebraiche e fu svi­
luppata, come abbiamo visto, da gruppi settari come gli
esseni, che lottavano con tro le forze che vedevano schie­
rate contro di loro. Tale cosmologia, che, fondata su una
netta spaccatura, rileggeva in ch iave radicale il monotei­
smo precedente, allo stesso tempo implicava una società
spaccata, divisa tra « figli della luce», a llea ti con gli angeli,
e «figli delle tenebre», in combutta con le forze del male. I
seguaci di Cristo adottarono il medesimo modello. Marco,
come abbiamo visto, racconta la storia di Gesù come il
conflitto tra lo spirito di Dio e il potere di Satana, evidente
nell 'opp osizione che Cristo incontrava pari menti dagli
spiriti del male e dalle persone malevole. Ciascun evange­
lista a suo modo ricorre a tale scenario apocalittico per de­
lineare il conflitto tra i segu aci di Gesù e i particolari
gruppi che percepisce come nemici dei cristiani Abbiamo
.

visto, inoltre, che mentre tra i cristiani aumentava la per­


centuale dei gentili, i convertiti utilizzavano questi sche­
mi settari contro altri a vversari - contro i magistrati e la
folla pagana, impegnati in un'aspra lotta con il crescente
movimento ispirato a Gesù, e contro diversi gruppi di dis­
sidenti cristiani, i cosid d etti eretici - o, con le parole di
Paolo, contro i «servitori di Satana» .
I cristiani delle generazioni successive utilizzarono armi
approntate in conflitti del I secolo contro altri oppositori.
Conclusioni 21 1

Tuttavia, questo non significa che essi semplicemente so­


stituissero un nemico a un altro. Al contrario, la tradizione
cristiana ha avuto la tendenza ad accumularli. Quando i
convertiti pagani come il martire Giustino, per esempio, si
avvalevano di tali schemi legati a Satana e ai demoni con­
tro i persecutori romani e contro gli eretici, spesso davano
per scontata la caratterizzazione ostile della maggioranza
ebraica che trovavano nei Vangeli. Giustino stesso elogia
quelli che chiama ebrei, cioè gli antichi israeliti, venerati
progenitori della sua stessa fede, mentre prende le distan­
ze dai suoi contemporanei che non definisce ebrei ma giu­
dei per la loro «cecità» alla rivelazione di Dio e per la loro
«misinterpretazione» delle loro stesse Scritture. L'apologi­
sta redarguisce i giudei in un linguaggio ampiamente trat­
to dalla polemica di Matteo contro i farisei e spesso ripete
per i suoi uditori gentili il ritornello di Luca negli Atti che
Gesù fu «crocifisso dai giudei». Anche Origene, sebbene si
preoccupi principalmente della lotta contro la persecuzio­
ne romana e contro gli «eretici» - e nonostante i suoi lunghi
dibattiti con i maestri ebrei, a cui egli si sentiva debitore per
i profondi insegnamenti sulla lingua ebraica e sull' inter­
pretazione scritturale - nondimeno sviluppa gli spunti
presenti in Matteo per mostrare che il popolo ebraico fu
condannato da Dio per aver rifiutato il proprio Messia .
I giudizi espress i da Giustino e da Origene non sono
esclusivamente loro p rerogativa . Sono condivisi dalla
maggior parte dei cristiani dal II al XX secolo perché attin­
gono a una fonte ben nota, i Vangeli neotestamentari. Nel
corso dei secoli, i cristiani hanno utilizzato lo stesso voca­
bolario polemico contro un'ampia gamma di nemici. Nel
XVI secolo, per esempio, Martin Lutero, fondatore del
protestantesimo, denunciava come «agenti di Satana» tut­
ti i cristiani che rimanevano fedeli alla chiesa cattolica ro­
mana, tutti gli ebrei che si ri fiu tavano di riconoscere in
Gesù il Messia, tutti quelli che sfidavano il potere dell'ari­
stocrazia terriera prendendo parte alla guerra dei contadi­
ni, e tutti i «protestanti » non luterani.
21 2 Satana e i suoi angeli

Con ciò non intendo dire che i resoconti evangelici sono


essenzialmente manichei nel senso comune del termine,
che rappresentano il bene e il male egualmente in lotta
l'uno contro l'altro. La tradizione cristiana trae grande
forza dalla convinzione che, malgrado il credente si possa
sentire sopraffatto dalle forze del male, Cristo ha già vinto
la battaglia decisiva. Antonio, un pioniere tra gli asceti del
deserto, un uomo famoso per la lotta contro i demoni,
spiega ai suoi seguaci:
All'arrivo del Signore, il nemico cadde e le sue facoltà s'indebo­
lirono. Ecco perché - quantunque i tiranni che crollano non abbia­
no più alcun potere - dopo essere caduto il demonio non sta fermo,
e seguita a minacciare, anche se soltanto a parole. 1

Antonio, raccontando del giorno in cui gli apparve una


figura grande, imponente, ricorda che domandò all'intru­
so: «Chi sei?» e questi gli rispose: «Sono Satana». Antonio
audacemente redarguì il Nemico ricordandogli che
«Cristo, venendo, ti ha reso debole, ti ha atterrato e denudato.»
Udito il nome del Salvatore, egli non sopportò il bruciore di quel
nome, e subito scomparve.
Se il diavolo stesso ammette di essere i mpotente, dobbiamo di­
sprezzare assolutamente lui e i suoi demoni. Il nemico, con i suoi
cani, ha queste astuzie. ... Stando così le cose, non lasciamoci abbat­
tere, non ammettiamo la ansia nella nostra anima, non formiamoci
dei timori ... Non dobbiamo mai pensare così, né rattristarci come
se dovessimo perire, ma piuttosto aver fiducia, e gioire sempre co­
me se giungessimo alla salvezza. Pensiamo nel nostro animo che è
con noi il Signore, che li ha vinti e ha tolto loro ogni forza.2

La credenza che Cristo abbia vinto Satana conferma ai


cristiani che nelle loro personali contese le poste in gioco
sono eterne e la vittoria è sicura. Coloro che partecipano a
questo dramma cosmico non possono perdere. Coloro che
muoiono come martiri vincono ancor più gloriosamente e
hanno la certezza di celebrare la vittoria insieme a tutto il
popolo di Dio e agli angeli del cielo. Per l'intera storia della
cristianità, questa prospettiva ha ispirato innumerevoli
persone a prendere posizione in conflitti insanabili in nome
Conclusioni 213

di quello che essi credevano giusto e a compiere atti che,


astratti dalla fede, potevano sembrare solamente inutili
smargiassate. Tale visione apocalittica ha insegnato anche a
persone con una mentalità secolare a interpretare lo svilup­
parsi della civiltà occidentale come una storia morale in cui
nel mondo le forze del bene lottano contro quelle del male.
Cristiani con un'impostazione filosofica come Agostino
d'Ippona hanno spesso disprezzato un simile linguaggio
mitologico e hanno dichiarato che, ontologicamente par­
lando, il male e Satana non esistono. A questo livello, la
cristianità ortodossa non si discosta dal monoteismo. Tut­
tavia Agostino stesso, come molti altri predicatori dalla
raffinata formazione filosofica, spesso parla di Satana nei
sermoni e nelle preghiere e riconosce, quando si trova da­
vanti a persone che devono affrontare degli ostacoli, che i
cristiani a questo mondo ancora lottano contro il male in
modi che essi percepiscono come attacchi demoniaci.
Questa interpretazione della guerra cosmica è cosi av­
vincente che ha pervaso l'immaginario di milioni di per­
sone per duemila anni. Dai tempi dei romani fino alle cro­
ciate, dalla Riforma protestante fino a oggi, i cristiani vi si
sono appellati per interpretare l'ostilità verso di loro e la
persecuzione in innumerevoli contesti. Ancora adesso,
molti cristiani - cattolici romani, protestanti, evangelici e
ortodossi - utilizzano la figura di Satana contro i «pagani»
(tra cui possono annoverare tutti coloro che nel mondo
praticano religioni non cristiane) e contro gli «eretici»
(cioè, contro gli altri cristiani con cui sono in disaccordo),
parimenti come contro gli atei e i non credenti. Milioni di
mussulmani fanno ricorso ad analoghe visioni apocalitti­
che e invertono le parti, in modo tale che quelli che i cri­
stiani credono essere popolo di Dio diventano, per nume­
rosi di loro, alleati del «grande Satana».
Molte persone religiose che non credono più in Satana,
insieme a innumerevoli altre che non si identificano con
nessuna tradizione religiosa, sono tuttavia influenzate da
questo retaggio culturale quando interpretano il conflitto
214 Satana e i suoi angeli

sociale e politico in termini di forze del bene che lottano


contro le forze del male nel mondo. Benché la versione
estrema e assolutamente materialista di Karl Marx di que­
sta visione apocalittica sia ormai pressoché superata, su
una sua interpretazione secolarizzata si fondano molti
movimenti sociali e politici della civiltà occidentale, reli­
giosi e antireligiosi.
Finché il movimento cristiano è rimasto una minoranza
perseguitata e sospetta all'interno delle comunità ebrai­
che e dell'impero romano, i suoi membri, come gli esseni,
senza dubbio si sentivano rassicurati e rafforzavano la lo­
ro coesione credendo che i loro nemici fossero (come il
Gesù di Matteo dice dei farisei) «figli degli inferi», già, in
effetti, «condannati all'inferno». Questa visione trae forza
non solamente dalla convinzione di stare dalla parte di
Dio, ma anche dalla credenza che i propri oppositori sia­
no predestinati all'insuccesso. Le parole che Matteo mette
in bocca a Gesù descrivono i suoi nemici come persone
maledette, che il giudizio divino ha già consegnato «alle
fiamme eterne preparate per il diavolo e i suoi angeli».
Tuttavia tra le fonti cristiane del I secolo abbiamo trova­
to anche interpretazioni profondamente diverse degli op­
positori. Sebbene il Gesù di Matteo attacchi i farisei e li
condanni severamente, e Giovanni in un punto definisca i
nemici di Cristo progenie di Satana, la fonte Q che Matteo
utilizza presenta anche altri modi di percepire gli altri, in
affermazioni attribuite a Gesù che invitano a riconciliarsi
con i propri nemici:
Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e Il ti ricordi che tuo
fratello ha qualche cosa contro di te, lascia Il il tuo dono davanti
all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad
offrire il tuo dono (Mt 5,23-24).

O Matteo 5,43-45:
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste.
Conclusioni 215

Il fatto di pregare per i propri nemici mostra che, secon­


do il cristiano, qualsiasi male essi abbiano commesso,
possono sempre riconciliarsi con Dio e con lui. Paolo, che
scrive circa vent'anni prima degli evangelisti, ha una
mentalità ancor più legata alla sensibilità ebraica tradizio­
nale per cui Satana si comporta come un agente di Dio,
non per corrompere le persone, ma per metterle alla pro­
va; a un certo punto egli afferma che un gruppo cristiano
«fornisce a Satana» uno dei suoi membri in errore, non
per consegnarlo agli inferi, ma nella speranza che si penta
e cambi (1Cor 5,5). Paolo inoltre spera e attende con ansia
la riconciliazione tra i suoi «fratelli», «compagni Israeliti»,
e i credenti gentili (Rom 9,3-4).
Molti cristiani, poi, fin dal I secolo e attraverso France­
sco d'Assisi nel XIII, e Martin Luther King nel XX, hanno
creduto di essere dalla parte di Dio senza demonizzare i
loro oppositori. La loro concezione religiosa li spingeva a
opporsi alle politiche e ai poteri che consideravano ispira­
ti dal male, spesso mettendo a repentaglio i loro beni e la
loro vita, mentre pregavano per la riconciliazione - non
per la dannazione - di coloro che li avevano contrastati.
La maggioranza dei cristiani, comunque, ha insegnato e
agito in base alla credenza per cui i loro nemici siano il
male e non possano redimersi. Concludendo questo libro,
mi auguro che la mia ricerca possa chiarire ad altri, come
ha fatto a me, la contrapposizione presente all'interno del­
la tradizione cristiana tra la visione profondamente uma­
na dell' «alterità» come male e il messaggio di Gesù sul ca­
rattere divino della riconciliazione.
Note

Introduzione
t Da un dibattito di Martin Buber con Malcolm Diamond, docente di
teologia all'Università di Princeton, maggio 1994.
2 Neil Forsyth , The Old Enemy: Satan and the Combat Myth, Princeton,
Princeton University Press, 1987.
3 Walter Wink, Unmasking the Powers: The Invisible Forces That Determine
Human Existence, Philadelphia, Fortress Press, 1986; Cari Gustav Jung, Ri­
sposta a Giobbe, Milano, Il Saggiatore, 1965.
4 Jeffrey B. Russell, The Devii: Perceptions of Evil {rom Antiquity to Primiti­
tJe Christianity, Ithaca N.Y., Comell University Press, 1970.
5 Robert Redfield, Primitiue World View, in Id. (a cura di), The Primitive
World and Its Transformations, Ithaca N.Y., Comell University Press, 1953,
p. 92.
6 Jonathan Z. Smith, What a Difference a Difference Mnkes, in Jacob Neus­
ner e Emest S. Frerichs (a cura di), To See Ourselves As Others See Us: Chri­
stians, fews, «Others• in Late Antiquity, Chico CA, Scholars Press, 1985, pp.
3-48.
7 William Scott Green, Otherness Within : Towards a Theory of Di{ferenc:e in
Rabbinic fudaism, in J. Neusner e E.S. Frerichs (a cura d i), op. cit., pp. 46-69.
8 Anche in un brano molto noto del Talmud si sostiene che i tribunali
ebraià condannarono e fecero giustiziare Gesù. Cfr. b. Sahn. 107b e i brani
paralleli b. Sotha 47a e j. Hag. 2.2, parti della Gemara su Sanh. 10.2. Per l'in­
terpretazione di essi, dr. E. Bammel, Christian Origins in Traditions, in «New
Testament Studies», 13 (1967), pp. 317-335; per una d iscussione affascinan­
te e particola reggia ta della storia della critica su questo brano, dr. anche
David R. Catchpole, The Trial of fesus: A Study in the Gospels and fewish Histo­
riography {rom 1 770 to the Present Day, Leiden, E.J. Brill, 1971.
9 Bamabas Lindars, New Testamen t Apologetic: The Doctrinal Significance
of the Old Testament Quotations, London, SCM Press, 1973.
1 0 J ames M. Robinson, The Problem of History in Mnrk, London, SCM
Press, 1957; rist. Philadelphia, Fortress Press, 1982.
1 1 Albert Schwei tzer, The Quest of tl1e Historical /esus: A Criticai Study of
lts Progress {rom Reimarus lo Wrede, London, A. e C. Black, 1926.
12 Josef Jacobs, /esus as Others Saw Him, New York, B.G. Richards, 1925;
218 Satana e i suoi angeli

H. Danby, The Bearing of the Rabbiniml Code on the fewish Ttial Nll17'1lttoes tn
the Gospels, in •Joumal of Theological Studies,., 21 (1920), pp. 26-51; C.G.
Montefiorl, The Synoptic Gospels, voi. I, nuova ed. riveduta, London, Mac­
millan, 1927; Richard W. Husband, The Prosecu tion of Jesus: lts Date, History
ami Legality, Princeton, Princeton University Press, 1916; Josef Blinzler, The
Trial of fesus: Jewish and Roman Proceedings Against fesus Christ, trad. ingl. di
I. e F. McHugh, 2a ed. riveduta, Westminster Md., Newmann, 1959.
13 Simon Bemfield, Zur iiltesten Geschichte des Christentums, in •Jahrbil­
cher filr Jiidische Geschichte und Literatur», 13 (1910), p. 117.
14 Hans Lietzmann, Synopsis of the First Three Gospels, trad. ingl. di F.L.
Cross, 911 ed. riveduta, Oxford, Basil Blackwell, 1968; Martin Dibelius, Die
Formgeschichte des Evangeliums, Tubingen, Mohr, 1 919, trad. ingl. e rist. nel
1971; Id., From Tradition to Gospel, New York, Scribner, 1965, pp. 178-219;
John R. Donahue, Are You the Christ?, Missoula Mont., Society of Biblical Li­
terature, 1973.
15 Paul Winter, On the Trial of /es11s, 2a ed., Berlino, De Gruyter, 1 974; cfr.
anche M. Radin, The Trial of Jes11s of Nazareth , Chicago, University of Chica­
go Press, 1931 ; J. I<lausner, /esus von Nazareth Seine Zeit, sein Leben umi seine
Leh re, ia ed., Berlino, Jiidischer Verlag, 1934; E.G. Hirsch, The Crucifixion
.

from the ]ewish Point of View, Chicago, Bloch Publishing & Printing, 1921 .
16 Fergus Millar, Reflections on the Trial of/esus, in P.R. Davies e R. White
(a cura di), A tribute to Geza Vermes: Essays on /ewish and Christian LJterature
and His to ry, Sheffield, JSOT Press, 1990, pp. 35�381 .
1 7 The Trial of ]esus; the Jewish and Roma n Proceedings Against ]esus Christ
Described and Assessed {rom Oldest Accoun ts, Westminster Md., Newman,
1959, p. 290. Cfr., per esempio, A.N. Sherwin-White, Roman Society and Ro­
man Lnw in the New Tes ta men t, Oxford, Oxford University Press, 1983; T.A.
Burkill, The Condemnation of /esus: A Critiq11e of Shenvin-White's Thes is, in
«Novum Testamentum», 1 2 (1 970), pp. 321-342; Raymond E. Brown, The
Death of the Messiah, voi. I: from Gethiiemane to tlle Grave, New York, Double­
da� 1994.
18 Cfr. Paul Winter, Hans Lietzmann, Martin Dibelius, G. Volkmar, Die
Evangelien, Leipzig, Fues' Verlag, 1870, pp. 588-591; J. Norden, /esus von Na­
zareth in der Beurteilung der /ude11 einst und jetzt, in «Jiidische literarische
Zeitung», 18 giugno 1 930, p. 25; 5. Grayzel, A History of the /ews, Phi�a­
delphia, Jewish Publication Society of America, 1947, p. 1337; J. lsaac, /ésus
et Israel, Paris, Albin Michel, 1948, p. 509; G. Bomkamm, fes11s von Nazareth,
Stuttgart, Kohlhammer, 1956, p. 1504; E.P. Sanders, in /es us and Judaism
(Philadelphia, Fortress Press, 1985), afferma che «Gesù fu giustiziato dai
romani come sedicente "Re dei giudei"» (p. 294) e anche che il conflitto in­
testino tra ebrei fu «la causa principale della morte di Gesù» (p. 296; cfr. pp.
294-318). Cfr. anche l'importante articolo sui recenti studi di G.S. Sloyan,
Recent Literat11re on the Tria/ Na rratives of the Four Gospels, in T.J. Ryan (a cura
di), Criticai History aml Biblica/ Faith: New Testament Perspectiues, Villanova,
Villa nova University Press, 1979, pp. 136-176.
Note 219

I. n Vangelo di Mmro e la guerra giudaica


Per una trattazione più tecnica dei temi affrontati in questo capitolo, dr.
The Sodai History of Satan, parte Il: Satan in the New Testament Gospels, in
«}ournal of the American Academy of Religions», LXIl/1, febbraio 1994,
pp. 201-241.
l Flavio Giuseppe, lJl guerra giudaica Oib. I, introd., 1), (a cura di Gio­
vanni Vìtucci), Milano, Mondadori, 1974, 2 voli., vol. I, p. 4. Per un'ottima
interpretazione delle opere di Flavio Giuseppe, dr. Shaye J.D. Cohen, Jo­
sephus in Galilee and Rome: His Vita and Development as a Historian, Leiden,
E.J. Brill, 1979.
2 Fla vio Giuseppe, Autobiografia (4,17-19), (a cura di Elvira Migliario),
Milano, BUR, 1994, p. 74.
3 Flavio Giuseppe, lJl guerra giudaica (lib. IV, 3, 128), dt., vol. U, pp. 36-39.
4 Ibid. (lib. IV, 3, 140-146), vol. Il, pp. 4043.
5 Ibid. (lib. V, 1, 26), vol. II, pp. 170-171 .
6 Ibid. Oib. V, 10, 430), vol. II, pp. 270-271 .
7 Ibid. Oib. V, 1, 19), vol. II, pp. 168-169.
8 Sulla datazione del Vangelo di Marco, dr. Oennis E. Nineham, The Go­
spel of Mark, Baltimore, Penguin, 1963; Vmcent Taylor, The Gospel According
to St. Mark, 2éi ed., London, Maonillan, 1966.
9 Sui Vangeli di Nag Hammadi, cfr. Elaine Pagels, I Vangeli gnostici, Mi­
lano, Mondadori, 1981; per un'edizione non oitica e una traduzione dei te­
sti, dr. James M. Robinson (a cura di), The Nag Hammadi Library in English,
New York, Harper, 1977; per i testi copti, traduzione e note critiche, cfr. la
serie di più di venti volumi pubblicata a Leiden da E.J. Brill sotto il titolo di

Na Hammadi Studies.
O Tacito, Annali (lib. XV, 44), Milano, BUR, 1981, 2 voll., voi. II, pp.
730-731 .
11 Cosl citato nell'ottima analisi di Brent D. Shaw, Bandits in the Roman
Empire, in a:Past and Present>>, 165, novembre 1984, pp. 3-52. Cfr. anche G.
Humbert, «l..atroctnium», in Ch. Davemberg e E. Saglio (a cura di), Diction­
naire des antiquités greques et romanes, III, 2 (1904), pp. 991 -992; Ramsay Mac­
Mullen, «Brigandage», appendix 8, in Eriemies of tlie Roman Order: Tn?ason,
Unrest and Alienation in the Empire, Cambridge Mass., Harvard University
Press, 1967, pp. 255-268. In E. J. Hobsbawm, Bandits, London, Penguin,
1 969, viene individuato il concetto di «banditismo sociale»; Anton Block
oitica tale interpretazione in The Peasant and the Brigand: Social Banditry Re­
considered, in «Comparative Studies in Sodety and History», XIV (1972),
pp. 494-504. Cfr. anche Richard A. Horsley, Bandits, Prophets and Messiahs:
Popular Movements in the Time of fesus, Minneapolis, Winston Press, 1985.
1 2 Per l'interpretazione del termine �u<m'Jç in Flavio Giuseppe, cfr. Ri­
chard A. Horseley, /osephus and the Bandits, in «Joumal for the Study of Ju­
daism», 10 (1979), pp. 37-63.
1 3 Cfr. il recentissimo Raymond E. Brown, op. 1.if.
14 Chad Myers in Binding the Strong Man (Maryknoll N.Y., Orbis Books,
1981, pp. 40-42) ha ipotizzato di recen te una data anteriore (68 d.C.).
1 5 La datazione dei Vangeli è ancora una questione d ibattuta tra gli stu-
220 Satana e i suoi angeli

diosi del Nuovo Testamento. lo seguo le interpretazioni più accreditate e


non intendo presentare nessuna argomentazione originale sulla loro perio­
dizzazione.
16 Cfr. l'ottima recente analisi delle parole di Gesù negli scritti di Paolo
di H. Koester, Ancient Christian Gospels: Thcir History ami Development, Lon­
don, SCM Press; e Philadelphia, Trinity Press, 1990, pp. 52-55.
1 7 Cfr. F1avio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 63 e XX 200, a cura di
Fra ncesco Angiolini, Milano, Sonzogno, 1822, 5 tomi, tomo Iv.
18 Cfr. infra, pp. 43-48.
19 Filone di Alessandria, Legatio ad Gaium, 301-302, a cura di E. Mary
Smallwood, Leiden, E.J. Brill, 1961, p. 129.
20 James M. Robinson, The Problem of History in Marl:, cit.
21 Cfr. ibid., p. 80: «Il compito di Gesù ... consiste nel rendere nota la nuo­
va situazione (Mc 1,15) e nel condurre la lotta contro Satana sostenuto dalla
forza dello spirito,..
22 Mary Smallwood, The Jews under Roman Rule from Pompei to Diocletian,
Leiden, E.J. Brill, 1981, p. 164.
23 Cfr. I Maccabei 2.
24 James M. Robinson, The Problem of History in Mark, cit., p. 63.
25 Cfr., per esempio, Geza Vermes, The Dead Sea Scrolls: Qumran in Pcr­
spective, London, Collins, 1977, e le recenti tesi revisioniste di L.H. Schiff­
mann, The EschatologicaJ Community of the Dead Sea Scrolls, Atlanta, Scholars
Press, 1989.
26 Letteralmente la versione greca del testo di Marco indica che fu la fa­
miglia di Gesù (o'i !t€pl ciumù) che venne a prenderlo (3,21 ) e che disse che
era fuori di sé (3,22). Molti traduttori, tuttavia, trovando evidentemente di­
scutibile l'interpretazione più ovvia, hanno formulato le loro versioni in
modo da evitare di attribuire tali atti e convinzioni alla famiglia di Cristo.
Per esempio, nella versione ufficiale del testo sono state aggiunte numero­
se parole che inducono a pensare che la famiglia intendesse proteggere Ge­
sù dagli ostili sospetti degli estranei : «Quando la sua famiglia sentl, essi
uscirono per trattenerlo, perché la gente stava dicendo: "È fuori di sé".».
27 E. Best, The Role of the Disciples in Mark, in «New Testament Studies», 23
(1977), pp. 377-401; T.J. Weeden, Mark: Ttaditions in Conflict, Philadelphia,
Fortress Press, 1971; Elizabeth Struthers Malbon, Disciples/Crowds/Whoeuer:
Mark on Characters ami Readers, in «Novum Testamentum », 28, 2 (1986), pp.
104-130.
28 Cfr. Georg Bentram, Die Leidensgeschichte fesu und der Christuskult,
FRLANT N.F. 22, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprech t, 1922, pp. 55-71 .
29 Dennis Nineham, su Mc 14,53-72, in The Gospel of St. Mark (Baltimore,
Penguin, 1967) a p. 398: «I procedimenti che portarono alla morte di Gesù
. . . sono descritti come opera degli ebrei. I romani, nella persona di Pilato,
giocarono anch'essi il loro ruolo ( 1 5,25 e sgg.), ma il fine di questo passo è
mostrare che l'iniziativa principale e l'effettiva responsabilità furono dalla
parte degli ebrei i quali, attraverso i loro rappresentanti ufficiali, rifiutaro­
no e mandarono a morte il Messia in piena coscienza di quello che stavano
facendo». Nineham d iscute le ragioni per dubitare della veridicità storica
della descrizione del processo di Marco, alle pagine 400-412; cfr. anche Ru-
Note 221

dolph Bultmann, The Histo ry of the Synoptic Tradition, trad . ingl. di John
Marsh, ed. riveduta, New York, Harper & Row, 1970, pp. 262-287; Eta Lin­
nemann, Studien zur Passionsgeschichte, FRLANT 1 02, Gottingen, Van­
denhoeck und Ruprecht, 1970; John R. Donahue, S.J., Are You the Christ?
The Thai Narrative in the Gospel of Mark, Missoula Mont., SBL Press, 1973.
David Catchpole espone un pun to di vista opposto in op. cit . Catchpole
conclude che la versione di Luca del processo del Sinedrio «Si rivela fonda­
men tale nella ricostruzione storica del processo a Gesù» (p. 278). Cfr. anche
Raymond E. Brown, op. cit., voi. I, pp. 51 6-560.
30 Non sappiamo con precisione qua li procedure seguisse il Sinedrio nel
I secolo dato che i documenti che ci sono pervenuti risalgono a un periodo
più tardo; cfr. la voce «Sinedrio» di David Goodblatt nell'Encyclopedia of �
ligion. Sono grato inoltre al professor Louis Feldma n per le sue osservazio­
ni a tale voce che mi ha fatto avere in una lettera (maggio 1994) e per aver­
mi mostrato una copia del suo articolo, inedito, Comments on the Physical
Death of fesus.
31 Cfr. l'analisi in Dav id Catchpole, op. cit., e Raymond E. Brown, op. dt.,
voi. I, pp. 516-560.
32 Fergus Millar, Reflections on the Trial of fesus, in P.R. Davies e R.T. Whi­
te (a cura d i), op. cit., pp. 355-381.
33 Cfr. la bibliografia riportata alla nota 29. Emblema tico è il commento
di N ineham che il processo davanti a Pilato «non è senza dubbio una cro­
naca derivata da una testimonianza oculare; addirittura, non è neppure
una cronaca, quanto una serie di tradizioni, in ciascuna delle quali vi è una
qualche nota apologetica riguardo al processo (op. cit., p. 411).
34 Paul Winter, op. cit., pp. 33-34.
35 Georg Bentram, op. cit., passim; John R. Donahue, Are You the Christ?,
Missoula Mont., Society of Biblical Literature, 1973, pp. 139-236.
36 Raymond E. Brown, op. cit., p. 696.
Yl Filone di Alessa ndria, op. cit ., 301-302, p. 129.
38 Mary Smallwood, op. cit., pp. 161-162.
39 E. Stauffer, Zur Munzpriigung des Pontius Pilate, in «La Nouvelle mo..,
1-2 (1949-1950), pp. 495-514.
40 Raymond E. Brown, op. cit. , p. 700.
4 1 Cfr., per l'interpretazione e i riferimenti, Mary Smallwood, op. cit., p.
162.
42 Cfr. Flavio G iuseppe, La guerra giudaica (lib. Il, 9, 169-174), cit., vol. I,
pp. 321-323.
43 B.C. McGinny, The Gouernorship of Pontius Pilate: Messiahs and Sources,
in «Proceedings of the Irish Biblical Association», 10 ( 1 986), p. 64.
44 Fla vio Giuseppe, Antichità giudaiche, XX 169-74, cit., V tomo.
45 Raymond E. Brown, op. cit., p. 703.
46 Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 85-87, cit., N tomo.
47 Paul Winter, op. cit., p. 88.
48 Cfr. Howard C. Kee, Who Are the People of God?, di prossima uscita per
la Yale University Press, New Haven.
222 Satll11ll e i suoi angeli

Il. La storia sociale di Satana: dalla Bibbia ebraica ai Vangeli


1 Per una trattazione più tecnica degli argomenti affrontati in questo ca­
pitolo, cfr. EJaine Pagels, The Social History of Satan, the "Intimate Enemy": A
Preliminary Sketch, in «Harvard Theological Review», 84,2 (1991), pp. 1�
128.
2 Cfr. fudaism and Hellenism (London, 1874, p. 209), in cui M. Hengel so­
stiene che i testi apocalittici sono opera di una minoranza devota che si di­
scostò dal culto ufficiale. Cfr. anche M. Barker, Some Reflections on the Enoch
Myth, in «Journal for the Study of the Old Testament», 15 (1980), pp. 7-'19;
questo articolo interpreta 1 Enoch come l'opera di un gruppo che protesta
contro le pratiche di culto di Gerusalemme, e scorge un legame tra opere
come Enoch e gli sviluppi successivi della tradizione cristiana.
3 Cfr., in particolare, gli acuti saggi di Jonathan Z. Smith, What a Differen­
ce a Difference Makes, cit., e di William S. Green, Otherness within: Tawards a
Theory of Difference in Rllbbinic fudaism, in Jacob Neusl{6 e Ernest S. Frerichs
(a cura di), op. dt., pp. 3-48 e 49-69.
4 Cfr. Morton Smith, Palestinian Parties and Politics That Shaped the Old Te­
stament, New York, Columbia University Press, 1971, soprattutto pp. 62-
146; e anche Paul D. Hanson, The Dawn of Apocalyptic, Philadelphia, For­
tress Press, 1975.
5 )on D. Levenson, Creation and the Persistence of Evil: The Jewish Drama of
Divine Onnipotence, San Francisco, Harper and Row, 1988. Sono grata a
John Collins per avermi segnalato questo testo.
6 Ibid., p. 44.
7 Molti studiosi hanno fatto questa osservazione; per una trattazione re­
cente, dr. Neil Forsy th, The Old Enemy: Sata11 and the Coml1at Myth, Prince­
ton, Princeton University Press, 1987, p. 107: «Nella raccolta di documenti
... nota ai cristiani come Antico Testamento, la parola [Satana) non si pre­
senta mai ... come nome del nemico ... piuttosto, quando Satana compare
nell'Antico Testamento, è un membro della corte celeste, anche se con com­
piti singolari», Cfr. anche la voce «démon» in La Dictionnaire de Spiritualité,
Paris, Beauschesne, voi. Ili, pp. 142-146; e H.A. Kelly, Demonology and Dia­
bolical Temptation, in «Thought», 46 (1965), pp. 165-170.
8 M. Delcor, ù Myth de la chu te des anges et l'origine des géants comme ex­
plication du mal dans le monde dans I'apocalyptique juive: Histoire des traditions,
in «Revue de l'histoire des religions», pp. 5-12; P. Day, An Adversary in Hea­
ven: Satan in the Hebrew Bible, Atlanta Ga., Scolars Press, 1988.
9 Neil Forsyth, op. cii., p. 113.
10 Cfr. l'analisi in P. Day, op. dt., pp. 69-106.
1 1 Neil Forsyth, op. cit., p. 1 14.
12 Si noti che in 2Sam 24,1-1 7 viene riferita una versione diversa della
storia in cui il Signore stesso, non il satana incita Davide a effettuare un cen­
simento sul suo popolo. Su questo tema, dr. Morton Smith, op. dt., pp. 62-
146, e Neil Forsyth, op. cit., pp. 119-120.
13 Elaine Pagels, The Social History, cit., pp. 112-114.
14 Paul D. Hanson, op. cit., p. 125.
Note 223

15 Un'ottima cronaca di questi avvenimenti si trova in VJ.Ctor Tcheriko-


ver, Hellenistic Civiliz.atian and the /ews, New York, Atheneum, 1970.
16 Cfr. lMac 2
1 7 Victor Tcherikover, op. cit., pp. 132-174.
18 fbid., pp. 253-265.
19 Studiosi come J<nut Schaferdick, nel suo articolo "Satan in the Post
Apostolic Fathers" s.v. "o mimvaç", in «Theological Dictionary of the New
Testament», 7 (1971), pp. 163-165, attribuiscono questo sviluppo ai cristiani.
Altri, compreso Harold Kuhn, in The Angelology of the Non-Canonica/ /ewish
Apocalypses, in «Journal of Bibl ica} Literature», 67 (1948), p. 21 7; Oaude
Montefiore, in Lectures on the Origin and Growth of Religion as Illustratcd by
the Religion of the Ancient Hebrews, London, Williams and Norgate, 1 892, p.
429; e George Foote Moore, in /udaism in tlie First Centuries of the Christian
Era, I: The Age of the Tannaim, Cambridge Mass., Harvard University Press,
1927, collocano correttamente l'evoluzione dell'angelogia e della demono­
logia nelle fonti ebraiche precristiane e ne offrono diverse interpretazioni,
come ho riferito in The Social History, cit., p. 107.
20 Quale sia la prima versione - quella di Genesi 6 o quella in 1 Enoch 6-
11 - è una quest ione dibattuta. ar., per esempio, J.T. Milik, The Books of
Enoch: Aramaic Fragments of Qumran Caves, Oxford, Oaredon, 1970; George
W.E. Nickelsburg, Apocalyptic and Myth in 1 Enoch 6-11 , in «Journal of Bibli­
cal Literature», 96 (1977), pp. 383-405; Margaret Barker, op. cit., pp. 7-29;
Philip S. Alexander, The Targumin and Early Exegesis of the "Sons of God " in
Genesis 6, in «Joumal of Jewish Studies», 23 (1972), pp. 60-71 .
21 Vitae Adae et Euae XIV,3; cita to da: Paolo Sacchi (a cura di), Apocrifi
dell'Antico Testamento, Torino, Utet, 1989, 2 voli ., II voi., p. 453. Per una trat­
tazione generale di questo tema della rivalità tra angeli e uomini, cfr. l'otti­
mo lavoro di Peter Schiifer, Rivalitat zwischen Engeln und Menschen: Un­
tersuchungen zur rabbinischen Engelvorstellung, Berlin and New York, de
Gruyter, 1975. Per l'analisi di un filone della tradizione musulmana, cfr. Pe­
ter Awn, Satan's Tragedy and Redemption : lbliS in Sufi Psychology, Leiden,
E.J. Brill, 1983.
22 Cfr. il dibattito scientifico riportato alla nota 20 a proposito d i Genesi
6. lo seguo quegli studiosi che interpretano 1 Enoch 6-1 1 come una semplifi­
cazione di Gen 6,1-4, tra cui Philip S. Alexander e Paul D. Hanson in Rebel­
lion in Heaven, Azazel, a11d Euhemenistic Heroes in 1 Enoch 6-11, in «Joumal of
Biblica! Literature» % (1977), pp. 195-233.
23 Libro dei Vigilanti, Vll,3-4; citato da Paolo Sacchi, op. cit., voi. I, p. 474.
Sull'utilizzo da parte degli ebrei della favola di Semeyaza, cfr. George W.E.
N ickelsburg, Apocalyptic and Myth, cit., pp. 383-405.
24 David Suter, Fallen A ngel, Fallen Priest: The Problem of Family Purity in
1 Enoch 6-16, in «Hebrew Union College Annual» 50 (1979), pp. 115-135.
Cfr. George W.E. Nickelsburg, The Book of Enoch in Recerit Research, in «Reli­
gious Studies Review», 7 ( 1 98 1 ), pp. 210-217.
25 J ohn Collins, The Apocalyptic Imagina tion: An lntroduction to the /ewish
Matrix of Christianity, New York Crossroad, 1984, p. 127.
26 Questo interrogativo ha preoccupa to anche molti altri: per il dibattito
224 Satana e i suoi angeli

in merito, cfr. il libro di prossima uscita di Howard C Kee, Who Are the Peo­
ple � God?
George W.E. Nickelsburg, Revealed Wisdom as a Crittrion for Inclusion
and Exclusion, in Jacob Neusner e Ernest S. Frerichs (a cura d i), op. dt., p. 76.
28 Or. Libro dei Vigilanti, XVI,3; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cit.,
voi. I, p. 491.
29 Libro di Enoch XCID,9; citato da Paolo Sacchi C a cura di), op. cit., voi. I,
p. 639.
30 Cfr. l 'articolo di George W.E. Nickelsburg, Riches, the Rich, and God's
Judgment in 1 Enoch 92-105 and the Gospel According lo Luke, in «New Testa­
ment Studies», 25 (1979), pp. 324-349.
31 Libro di Enoch XCVIII,5b; citato da Paolo Sacchi, op. cit., voi. I, p. 645.
Sulla base della storia dei vigilan ti riportata in 1Enoc 6-16, Neil Forsyth (op.
cit., pp. 167-170) commenta che essa implica «una teologia radicalmente di­
versa» da quella della storia primordiale del Genesi, perché «in Enoch non
si è fatto alcun cenno a un'umanità pecca trice. Al contrario, tutta la soffe­
renza umana è attribuita alla ribellione angelica e ai peccati della loro pro­
genie di giganti». Tuttavia, per come io interpreto i testi di Enoch, i suoi au­
tori dimostrano di essere consci della tensione - e della correlazione - tra
colpe umane e angeliche o, per lo meno, della possibilità di una contraddi­
zione. Questo passo può essere stato inserito come correttivo per coloro
che liberano gli uomini da ogni responsabilità, giustificando tutti i mali con
la trasgressione angelica. Per un' analisi di ciò, cfr. Martha Himmelfarb,
Tours of Hell: An Apocalyptic Form in Jewish and Christian Literature, Phila­
delphia, University of Pennsylvania Press, 1983.
32 Libro dei Giubilei 1,9; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cit., voi. L p.
217.
33 Libro dei G iubilei 1,5; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cit., voi . I, p.
265.
34 Libro dei Giubilei XV,31; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cii., voi. I,
p. 290.
35 Questa identificazione com pare comunemente nelle fonti ebraiche
tarde, spesso ricalcata dalla versione dei Settanta di 1Cron 16,26: oi t<i>v e-
0vcòv 9E.oi lioiµoveç eioiv.
36 Libro dei Giubilei XII,20; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cii., voi . I,
p. 277.
37 Libro dei Giubilei l,20; citato da Paolo Sacchi (a cura di), op. cii., vol. I, p.
219.
38 Cfr. Flavio Giuseppe, Autobiografia (2, 10), cit., pp. 71-73.
39 Plinio il Giovane, Storia naturale, Torino, Einaudi, 1982, voi. I, p. 601
(V (15) 73). Per un'analisi della descrizione di Plinio degli esseni, cfr. J.P.
Audet, Qlimran et la notice de Pline sur les Essé,,iers, in «Revue Biblique », 68
(1961), pp. 346-387; D.F. Graf, Pagan Witness to the Essenes, in «Biblical Ar­
chaeologist», 40 (1977), pp. 125-129.
40 L.H. Schiffman, Archaeology and History in the Dead Sea Scrolls, Shef­
field, JSOT Press, 1989.
41 G. Vennes, The Dead Sea Scrolls: Qamran in Perspective, cit
42 Cfr. F.F. Bruce, The Romans through /ewish Eyes, in M. Simon (a cura d i),
Note 225

Paganisme /udal'Sme, Christianisme, Paris, Boccard, 1978, pp. 3-12; G. Vermes,


Post Biblical /ewish Studies, Leiden, E.J. Brill, 1975, pp. 215-224.
43 Voce «Belior» di S. David Sperling, in Carel van der Toom, Dictionary
of Deities and Demons, Leiden, E.J. Brill, in corso di stampa.
44 Cfr., per esempio, Matthew Black, The Scrolls and Christian Origins,
New York, Scribner, 1961, pp. 91-117.
45 Carol Newsome, Songs of Sabbath Sacrifice: A Criticai Edition, Atlanta,
Ga., Scholars Press, 1985.
46 Yigael Yadin, che ha curato l'edizione del RotQlo della guerra , ha com­
mentato che questo testo, come gli altri del QUmran, •amplia sensibilmente
la nostra conoscenza dell'angelologia, un tema di estrema importanza nel
giudaismo di quell'epoca» (The Scroll of the War of the Sons of Light Against
the Sons of Darkness, Oxford, Oxford University Press, 1962, p. 229). Tutta­
via, Yadin non ha spiegato perché in quel contesto l'angelologia sia impor­
tante: la d istinzione degli spiriti, la capacità di riconoscere e capire l'inter­
relazione delle forze sovrannaturali, sia buone sia cattive, è essenziale nel
senso che gli esseni hanno della loro identità e del modo in cui identificano
gli altri. Accantonate, non tanto come scorrette ma come inadeguate, forme
più tradizionali di identità ebraica, essi stabiliscono, descrivendo la lotta
tra forze angeliche e demoniache, da quale parte nella contesa cosmica si
colloca ogni persona e ogni gruppo giudaico.
47 Yigael Yadin sostiene che il Principe della Luce -è Michele, Principe
di Israele» (Scroll, ci t ., p. 236). Tuttavia, questa identificazione non tiene
conto del settarismo che domina i testi di Qtìmran. Al contrario, come nota
John Collins, «In 1 QM M ic hele non è più sempl icemente il Prin c ipe di
Israele ma il capo dei Figli della Luce. Questa qualifica poteva anche di fat­
to richiamare i membri della congregazione, ma in principio era aperta a
interpretazioni più ampie e liberata da associazioni etniche. Belial, inoltre,
non è più il principe di una specifica nazione ... Piuttosto egli rappresenta il
male in genera le, come Satana o Mastema nel libro di Giubilei . . . L'adozione
di questa terminolog ia al posto dei paralleli trad izionali, nazionali e sociali
a mplia considerevolmente l'ambito di applicazione del linguaggio escato­
log ico. In particolare, invita a stabilire una correlazione tra il dramma esca­
tologico e il ... conflitto morale del bene e del male all'interno di ciascun in­
dividuo» (op. cit., pp. 128-131 ).

m. l.JI campagna di Matteo contro i farisei: lo schieramet1to del diavolo


1 George W.E. Nickelsburg, Revet11ed Wisdom as a Criterion {or Inclusion
and Exclusion: From /ewish Sectarianism to Early Christianity, in Jacob Neu­
sner e Emest S. Frerichs (a cura di), op. cit., p. 73.
2 Jbid.
3 Wayne A. Meeks, Breaking Away: Three New Testament Pictures of Ch ri­
stianity's Separation {rom the /ewish Communities, in Jacob Neusner e Emest
S. Frerichs (a cura di), op. cit., pp. 94-115.
4 Per una prospettiva diversa nella visione di Paolo degli ebrei e
dell 'ebrais mo, cfr. John G. Gager, The Origins of Anti-Semitism: Attitudes
toward /udaism in Pagan and Christian Antiquity, Oxford, Oxford University
226 Satana e i suoi angeli

Press, 1983, pp. 193-264; Lloyd Gaston, Pau l and the Torah, in A. Davies (a
cura di), Anti-Semitism a nd the Foundation of Christianity, New York, Paulist
Press, 1979, pp. 48-71 .
s Krister Stendahl, The School of St. Matthew, Uppsala, C.W.K. Gleerup,
1954.
6 Wayne A. Meeks, The First Urban Christians: The Social World of the Apo­
stle Paul, New Haven, Yale University Press, 1 983.
7 Per un'analisi di questo fenomeno, cfr. H. Koester, op. tit., pp. 42-162.
8 Lettera di Giacomo, 2, citata da Luigi Muraldi (a cura di), Apocrifi del
Nuavo Testamento, 3 voli., Casale Monferrato, Piemme, 1994, voi . Ili, p. 151 .
9 Per una recente lettura revisionista degli sviluppi dalla fonte Q cfr. J.
KloJ>penborg, The Formation of Q, Philadelphia, Fortress Press, 1987.
IO In Fragments of a Faith Forgotten (rist . : New York, University Books,
1960) G.R.S. Mead sintetizzava quello che era noto di tali frammenti all'ini­
zio del secolo; cfr. anche Morton Smith, Clement of Alexa ndria and a Secret
Gospel of Mark, Cambridge, Harvard University Press, 1973.
1 1 Per un'analisi dei passi sulle donne nelle fonti gnostiche, cfr. Elaine
Pagels, I Vangeli gnostici, cit., pp. 90-113; Karen King (a cura di), lmages of the
Feminine in Gnosticism, Chapel Hill, University of North Carolina Press,
1986; Jorunn Jacobsen Buckley Female Fault and Fulfillment in Gnosticism,
,

Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1986.


12 Per una più profonda analisi di alcune conseguenze di questa scoper­
ta, cfr. Elaine Pagels, I Vangeli gnostici, cit.
13 Vangelo di Tommaso 77, citato da Marcello Craveri (a cura di), I Va ngeli
apocrifi, Torino, Einaudi, 1969, p. 497.
H Per il dibattito sulla lingua originale, cfr. Bentley Layton, «lntroduc­
tion to the Gospel of Thomas, NHC 11.2», in Id. (a cura di), Nag Hammadi
Codex II. 2-7, together with Brit. Lib. Or. 4926 (1 ) arul P. Oxy. 1, 654, 655, Lei­
den, E.J. Brill, 1989, voi. I, Nag Hammadi Series 20.
15 H. Koester, op. cit., pp. 49-172.
1 6 Ireneo di Lione, Contro le eresie (IIl, 11 .9), a cura di Enzo Bellini, Mila­
no, Jaca Book, 1981, p. 243. Nel testo citato con il titolo Adversus Haereses.
17 Ibid., I, pref., p. 50.
18 Vangelo di Tommaso 3, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt.,
p. 484.
1 9 Va ngelo di Tommaso 56; citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt., p.
494.
20 Vangelo di 1bmmaso 14; citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p.
486.
21 Vangelo di Tommaso 14; citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p.
487; e ibid. 115; citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 502.
22 Vangelo di Tommaso 6; citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt.,
p. 485.
23 Per un giudizio sulle origini di Matteo, cfr. la sintesi in Wayne A.
Meeks, Breaking Away, cit., pp. 108-114; Alan F. Segai, «Matthew's Jewish
Voice», in David L. Bakh (a cura di), Social History of the Matthean Commu­
nity, Minneapolis, Fortress Press, 1991, pp. 3-37; e, nello stesso volume,
Anthony J. Saldarini, «Tue Gospel of Matthew and Jewish-Christian Con-
Note '1Z7

flict», pp. 38-62; Robert H. Gundrey, «A Responsive Evaluation of the So­


cia} History of the Matthean Community in Roman Syria», pp. 62-67; Wil­
liam R. Schoedel, « lgnatius and the Reception of the Gospel of Matthew in
Antioch», pp. 129-1 77; Rodney Stark, « Antioch as the Sodai Situation for
Matthew's Gospel», pp. 189-210; e anche J. Andrew Overman, Matthew's
Gospel ami Formative /udaism: The Socia/ World of the Ma tthean Community,
Philadelphia, Fortress Press, 1990; Amy-Jill Levine, The Social and Ethnic Di­
mensions of Matthean Salvation History: «Go Nowhere among the Gentiles» (Mt
10,56), Lewinston N.Y., Edwin Mellen, 1988.
24 Mary Smallwood, op. cit., p. 349.
25 Lo studio pionieristico di Jacob Neusner ha aperto all'interpretazione
di questo fenomeno; dr., per esempio, Formative Judaism: Religious, Histori­
cal ami Literary Studies, Chico CA, Scholars Press, 1983, Brown Judaic Stu­
dies, n. 91.
26 Cfr. i giudizi incisivi di A1an F. Segai, «Matthew's Jewish Voice», cit., e
di J. Andrew Overman, op. cit.
'Zl Alan F. Segai, Rebecca 's Children: /udaism ami Christianity in the Roman
World, Cambridge, Harvard University Press, 1989; Id., «Matthew's Jewish
Voice», dt.
28 Per un'analisi in merito, dr. Raymond E. Brown, The Birth of the Mes­
siah: A Commentary on the lnfancy Narratives in MJltthew ami Luke, New York,
Doubleday, 1977.
29 Jbid.
30 Raccontando la storia della passione, invece, Matteo abbandona i suoi
riferimenti, altrove frequenti, ai farisei e, seguendo Marco, inquadra come
principali nemici di Gesù i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani.
31 George W.E. Nickelsburg, The Genre and Function of MJlrk's Passion
Narrative, in «Harvard Theological Review», 73 (1980), p. 174.
32 Per un'analisi, cfr., per esempio, Michael J. Cook, Jesus ami the Phari­
sees . The Problem As lt Stands Today, in «The Journal of Ecumenica! Studies»,
15 (1978), pp. 441-.460; D. Garland, The lntention of Matthew 23, Leiden, E.J.
Brill, 1979; J. Andrew Overman, op. cit.; Klaus Pantle-Schieber, Anmerkun­
gen zur Auseinandersetzung von Ekklesìa u nd fudentum im Matth4usevange­
lium, in «7.eitschrift fiir neutestamentliche Wissenschaft», 80 (1989), pp.
145-162.
33 H. Jackson e Luke T. Johnson, The New 'lès tamen t: Anti-Jewish Slamier
ami the Con ventions of Ancient Polemic, in «Journal of Biblical Literature•,
108 (1989), pp. 419-441 .

IV. Luca e Giovanni reclamano l'erediti) di Israele: la spaccatura si allarga


1 David B. Gowler, Host, Guest, Enemy, and Friend: Portraits of the Phari­
sees in Luke ami Acts, New York, Lang, 1991; David A. Neale, None but the
Sinners: Religious Oltegories in the Gospel of Luke, Sheffield, JSOT Press, 1991;
Robert L. Brawley, The Pharisees in Luke-Acts: Luke's Address to /ews ami His
lrenic Purpose, Ph.D. dissertation, Princeton Theological Seminary, 1978;
Jack T. Sanders, The /ews in Luke-Acts, Philadelphia, Fortress Press, 1 987; Jo-
228 Satana e i suoi angeli

seph R. Tyson, Images of Ju da ism in Luke-Acts, Columbia, University of


South Carolina Press, 1992.
2 Cfr. Susan Ga rrett, The Demise of the Devii: Magie and the Demonic in
Luke's Writings, Minnea polis, Fortress Press, 1989.
3 David R. Catchpole, op. cit.; Richard W. Husband, op. cit.; G.S. Sloyan,
/esus on Trial: The Development of the Passion Narratives and Their Historical
and Ecumenica/ Implications, Philadelphia, Fortress Press, 1 973; Raymond E.
Brown, op. dt .
4 David R. Catchpole, op.cii . , p. 203.
5 Richard A. Horsley, /osephus and the Ba ndits, in «Joumal for the Study
of Judaism», 10 (1979), pp. 37-63.
6 Alfred F. Loisy, Les Èvangiles Sy1wptiques, Ceffons près Montieren Der,
presso l' autore, 1907-1908, p. 787.
7 Sul Vangelo di Giova nni, cfr. J. Louis Martyn, History and Theology in the
Fourth Gospel, 2a ed., Nashville, Abingdon, 1978; N orman R. Petersen, The
Fourth Gospel, Valley Forge Pa., Trinity Press, 1993; C.H. Dodd, The lnterpreta­
tion of the Fourth Gospel, Cambrid ge, Cambridge University Press, 1953.
8 J. Louis Ma rtyn, op. dt.; cfr. anche William Horbury, The Benediction of
the Minim and Early /ewish-Christian Contraversy, in «Joumal of Theological
Studies», 33 (1982), pp. 19-61; T.C.G . Thomton, Christian Understandings of
the Birkath ha-Minim in the Eastern Roman Empire, in «Joumal of Theol ogical
Studies», 38 (1987), pp. 419-431; Asher Finkel, Yavneh's Liturgy and f.arly Ch­
ristianity, in «Joumal of Ecumenica! Studies», 18,2 (1981 ), pp. 231 -250; Alan
F. Segai, Ruler of This World: Attitudes about Media tor Figures and the lmpor­
tance of Sociology for Self-Definition, in E.P. Sanders (a cura di), /ewish and Ch­
ristian Self-Definition, 2 voll., Philadelphia, Fortress Press, 1980, pp. 245-268.
9 Wayne A. M eeks, The Man from Heaven in /ohannine Sectarianis m, in
«Journal of Biblical Literature», 91 (1972), p. 50.
10 G ustave Hoennecke, Die Teufelsidee in den Evangelien, in Neu tcstamen­
tliche Studien: Fiir Georg Heinrici zu seinem 70, Leipzig, J .C. Heinrichs, 1912,
p. 208.
11 Raymond E. Brown, The Gospel according to John, Anchor Bible Com­
mentary, voli. 29/29a, Garden Oty, N.Y., Anchor Bible, 1966, pp. 364-376.
12 fbid.
1 3 Raymond E. Brown, Incidents that Are Units in the Synoptic Gospels but
Dispersed in St. Joh n, in «Catholic Biblical Quarterly», 23 (1961 ).
14 Rudolph Bultmann, Das Evangelium fohannis, Gottingen, Van­
denhoeck und Ru precht, 1 941; trad . ingl. a cu ra di G.R. Beasley-Murray,
The Gospel of John: A Commentary, Oxford, Basil Blackwell, 1971 , p. 319.
1s Ibid. , p. 321 .
1 6 Cfr., per esempio, Robert Brachter, The «fews» in the Gospel of John, in
«Practical Papers for the Bible Translator», 26/4 (1975), pp. 365-409; R. Alan
Culpepper, The Gospel of /ohn and the /ews, in «Expository Times», 84 (1987),
pp. 273-288; C.J. Cuming, The /ews in the Fourth Gospel, in «Expository TI­
mes», 60 (1948-49), pp. 290-292; Reginald Fuller, The «/ews» in the Fourth Go­
spel, in « Dialog» , 16 (1971), p. 37; M akolm Lowe, Who Were the «loudaioi»?,
in «Novum Testamentum», 18/2 (1976), pp. 101-130; Massey Shepherd, The
/ews in the Gospel ofJohn: Another Level of M.eaning, in «Anglican Theological
Note 229

Review Supplementary Series», 3 (1974), p. 96; John Townsend, The Gospel


o/ fohn and the fews: The Story of a Religious Divorce, in Alan Davies (a cura
di), op. cit., pp. 72-97; Urban C. von Wahlde, The fohllnnine •fews»: A Criticai
Su�, in «New Testament Studies», 28 (1982), pp. 33-60.
17 Rudolph Bultmann, The Gospel of fohn , cit., p. 59.
18 Heinrich Schneider, The Word Was Made Flesh: An Analysis o/ Reoela­
tion in the Fourth Gospel, pp. 347-351 .
19 Samuel Sandmel, Anti-Semitism in the New Tes tamen t, Philadelphia,
Fortress Press, 1978, pp. 115-117.
20 Rudolph Bultmann, TI1e Gospel of fohn, cit., pp. 85-94 passim.
21 Reginald Fuller, op. cit., p. 20.
22 Fergus Milla r, op. cit., pp. 355-381 .
23 Rosemary Reuther, Faith and Fra tricide: The Theological Roots of Antise­
mitism, Minneapolis, Seabu ry Press, 1974.
24 Richani W. Husband, op. cit., pp. 1 73-181.
25 Flavio Giuseppe, La guerra giudaica VI 2, 305; citato da Flavio Giusep­
pe, La guerra giudaica, a cura di Giovanni Vitucci, Milano, Mondadori, 1974,
voi. II, p. 381 .
26 Samuel Sandmel, op. cit., p. 115.
21 Dennis Nineham, op. cit., p. 412
28 C.H. Dodd, op. cit., p. 97.
29 Cfr., per esempio, Paul Winter, op. cit.
30 lbid., pp. 88-89.
31 J. Andrew Overman, op. cit.

V. n regno terreno di Satana: i cristiani contro I pagani


1 Cfr., sulla persecuzione dei cristiani dal 50 a l 313, W.H.C. Frend,
Martyrdom a11d Persecu tion in the F.arly Ch u rch, Oxfoni, Blackwell, 1965.
2 Tacito, Annali, XV, 44, Milano, BUR, 1981, voi. III, p. 731 .
3 Robert L Wilken, Pagan Criticism o/ Christianity: Greek Religion and Ch­
ristian Faith, in William R. Schoedel (a cura di), f.arly Christian Utemture and
the Classical IntellectUJJl Tradition, Paris, &:littons Beauchesne, 1979, pp. 117-
134. Cfr., per un'ottima trattazione in merito, Robert L. Wilken, The Chri­
stians As the Romans Saw Them, New Haven, Yale University Press, 1984.
4 Tertulliano, Apologetico, 1, a cura di Anna Resta Barrile, Bologna, Zani­
chelli, 1980, pp. 4-5.
5 George!! Villes, La Gladiature en Occident des origines a la mori de Domi­
tien, Rome, École française de Rome, 1981; Carlin Barton, The Sorrows of the
Ancient Romans: The Gladiator and the Monster, Princeton, Princeton Univer­
sity Press, 1992
6 Tacito, Annali, XV, 44, cit., voi. Il, p. 731.
1 Cfr. H.A. Musurillo (a cura di), The Acts o/ the Christian Martyrs,
Oxfoni, Oxford University Press, 1 972.
8 Cfr., per il resoconto diretto di Giustino di questi eventi, Giustino, Dia­
logo con Trifone, capp. l-VI, Milano, Edizioni Paoline, 1988, pp. 85-106. lnol­
tre cfr. L Bamani, Justin Martyr: His Life and Tlw11gl1t, London, Cambridge
University Press, 1967.
230 Satana e i suoi angeli

9 P. Hadot, Exerrises Spirituels et Philosophie Critique, Paris, �tudes augu­


stiniennes, 1981, pp. 13-58.
IO Giustino, Prima Apologia, 61 , citato da S. Giustino, Le due apologie, Mi­
lano, Ed. Paoline, 1983, p. 111.
1 1 Cfr., per un'analisi della conversione del martire Giustino al cristiane­
simo, Ramsay MacMullen, Christ illn izing the Roman Empire: A.D. 100-400,
New Haven, Yale University Press, 1984, pp. 27-31 . Questa affermazione è
ricalcata e ripresa dall'efficace trattazione di MacMullen.
1 2 Giustino, Dialogo con 1Hfone, VII, 3, cit., pp. 1 03-1 04.
1 3 Ibid., VIII, 1, cit., pp. 104-105.
14 Cfr., sul battesimo nel primo cristianesimo, Peter Cramer, Baptism and
Clwnge in the f.arly Middle A_ges, c. 200-1150, New York, Cambridge Univel'­
sity Press, 1993.
1 5 Giustino, Prima Apologia, 61, citato da S. Giustino, Le due apologie, dt.,
p. 111.
1 6 Ibid., p. 11 0.
1 7 A.H. Armstrong, The Ancient and Con tin uing Pieties of the Greek World,
in Id. (a cura di), Classical Mediterranean Spirituality, London, SCM Press,
1989, pp. 66-101.
18 Felix Buffiere, Les Mythes d'Homère et la pensée grecque, Paris, Société
d'édition, 1956, cap. V, pp. 136-154; cfr., per un'intrigante analisi delle tarde
reinterpretazioni di Omero, Robert Lamberton, Homer the Theologian,
Berkeley, University of California Press, 1989.
19 Giustino, Prima Apologia, 5 passim, citato da S. Giustino, I.e due apolo­
gie, cit., p. 48.
20 Cfr., per un'ottima analisi di Giustino e degli altri apologisti, H. Wey,
Die Funktionen der bèisen Geisten bei den griechischen Apologeten des zweiten
fahrhunderts nach Christus, Wintermur, Keller, 1957, pp. 3-32 (su Giustino).
21 Giustino, Prima Apologia, 25, da dt., p. 71.
22 Ibid ., 43, da cit., p. 95.
23 Giustino, Dialogo con Trifone, VIII, 5, cit., pp. 106.
24 Giustino, Prima Apologia, 14, da cit., pp. 57-58.
25 Ibid., 1 5, da cit., p. 59.
26 Ibid. , 1 6, da cit., p. 60.
'2'l lbid., 61, da cit., p. 111 .
28 lbid., 27, da dt., p. 74.
29 lbid., 28, da dt., p. 75.
30 lbid., 12, da ctt., p. 54.
31 Elaine Pagels, Christian Apologist and the «Fall of the Angels»: An Attack
on Roma n Imperlai Power?, in «Harvard Theological Review», 78 (1985), pp.
301-325.
32 Cfr. P. de Labriolle, la rt!action patenne: Étude sur la polhnique antichré­
tienne du "Jt au Ivt' siècle, 2a ed., Paris, 1 948; Ramsay MacMullen, Enemies of
the Roman Order, dt.
l3 Plinio, Epistulae, 10,%. Per l'analisi della lettera di Plinio, cfr. Robert
L. Wilken, The Christians As the Romans Saw Them, cit., pp. 15-17; A.N.
Sherwin, Tlie Letters of Pliny: An Historical a11d Socilll Commen tary, Oxford,
Oxford University Press, 1966.
Note 231

3' Cfr. Giustino, Prima Apologia, 5, da dt., p. 48.


35 Ibid., 1, da dt., p. 43.
36 Ibid., 14, da dt., p. 57.
37 Cfr. Giustino, Seconda Apologia, 2, da dt., pp. 124-126.
38 Ibid., 1, da cit., p. 123.
39 Musurillo, Ads of the Christian Mmtyrs, cap. 5, «Martyrdom of Justin
and His Companions•.
«> Fergus MiI1ar, The Emperor in the Roman N:irld, 31 B.C. - 337 A.D., ltha·
ca, Comell University Press, 1977.
41 P.A. Brunt, Marcus Aurelius and the Christians. Cfr. anche Id., Marr:us Au­
relius and His Meditations, in «Joumal of Roman Studies», 64 (1974), pp. 1-.20 e
Robert L Wilken, The Christians as the 'Romlms 5aw Them, dt, pp. 48-67.
42 Marco Aurelio, I ricordi, 1.17.S, a cura di Francesco Cazzanini Mussi,
Torino; Einaudi, 1960, p. 14; cfr., su Marco Aurelio in generale, la biografia
di A. Birley, Marr:us Aurelius, Boston, Little Brown, 1966.
43 Cfr. nota 18 a questo capitolo.
44 André-Jean Voelke, L'ldie de oolontl dans le Stolì:isme, Paris, Presses
Universitain!s de France, 1973, pp. 109-112.
45 Marco Aurelio, op. dt., 4.5, dt., p. 43.
46 Ibid., 4.44-45, cit., pp. 52-53.
lii lbid., 3.2, dt., p. 30.
48 Jbid., 2.16, dt., p. 25.
49 Cfr. Ibid., 1214, dt., p. 183.
50 Ibid., 211, dt., p. 22.
51 Jbid., 3.16, dt., p. 37.
52 Ibid., 8.49, cit., p. 123.
53 Ibid., 9.40, dt., p. 140.
54 Cfr. ibid., 11 .34, dt, pp. 1 74-1 75.
55 Jbid., 4.1 5, dt., p. 45.
56 Jbid., 4.49, dt., p. 54.
57 Ibid., 1 0.5, dt., p. 146.; cfr. anche 5.1, cit., pp. 59-60.
58 Jbid., 7.9, ctt., pp. 94-95.
59 Hans Dieter Betz, The Greek Magical Papyri, Chicago, University of
Chicago Press, 1986; John G. Gager, Curse Tablets 11nd Binding Spells, New
York, Oxford University Press, 1992.
60 Apuleio, L'asino d'oro, Xl, 15, trad. it. di Massimo Bontempelli, Torino,
Einaudi, 1973, p. 417.
61 Cfr. Wayne A. Meeks, The Moml World of the First Christians, Phila­
delphia, Westminster Press, 1986.
b2 Taziano, Orazione ai greci, rv, 1, citato da Tatian, Oratio ad Graeros and
fm8f!1ents, Oxford, Claredon Press, 1982, p. 8.
63 Jbid.
64 Jbid., vn, 3, citato da Thtian, op. dt., p. 14.
65 Jbid., XVI, 2, citato da Tatian, op. cit. , p. 32
66 Cfr. lbid., XV, 1, citato da Tatian, op. cit., pp. 28-30.
67 Cfr. lbid.
68 Jbid., VJ, 2, citato da Tatian, op. dt., p. 12.
flj lbid., vm, 1, citato da Tatian, op. cit., p. 14.
232 Satana e i suoi angeli

70 lbid., IX, 2, citato da Tatian, op. cit., p. 18.


71 Jbid., XI, 1-2, citato da Tatian, op. cit., pp. 20-22.
72 Cfr., per un esame del cambiamento delle roncezioni dell'Ellenismo
nell'impero d'Oriente, Glen W. Bowersock, Hellenism in Late Antiquity, Ann
Arbor, University of Michigan Press, 1990.
73 Taziano, Orazione ai greci, XXIll, 1-2, citato da Tatian, op. cit., p. 47.
74 Georges Villes, op. cit., pp. 395-397; Alan Cameron, Circus Factions: The
Blues and the Greens at Rame and By7Jmtium, Oxford, Oaredon Press, 1976;
Carlin Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and the Mon­
ster.
75 Taziano, Orazione ai greci, XXVIll, 1, citato da Tatian, op. cit., p. 52.
76 Cfr. Henri Crouzel, Origen: The Life and Thought of the First Great Theo­
logian, San Francisco, Harper &t Row, 1989; cfr. anche l'interpretazione di
Origene in Peter Brown, The Body and Society: Men, Women and Sexual Re­
nunciation in Early Christianity, New York, Columbia University Press, 1988,
pp. 160-177.
77 Origene, Esortazione al martirio, Milano, Rusconi, 1985.
78 Cfr. Origene, Contro Celso, Torino, Utet, 1971.
79 Cfr. lbid., vm, 68, p. 652
80 lbid., I, 1, cit., p. 44.
81 Jbid., I, 31, cit., p. 77.
82 Jbid., I, 27, dt., p. 71 .
83 lbid., I, 29, cit., p. 74-75.
84 Jbid., IY, 22, cit., p. 3 1 7.
� lbid., VII, 68, cit., p. 652
86 Jbid., vn, 68, cit., p. 652; cfr. anche Vlll, 31-32, cit, pp. 687-689.
ffl lbid., VII, 68, cit., p. 653.
88 Ramsay MacMullen, Christianizing the Roman Empire, dt., p. 21.
89 Marco Aurelio, Rirordi, 6.44, cit., pp. 86-87.
90 Tacito, Storie, V, 5, Milano, Garzanti, 1991, p. 449.
91 Origene, Contro Celso, VI, 42, cit , pp. 530-531.
.

92 Jbid., VII, 2, cit., p. 658.


93 Ibid., VIII, 28, cit., p. 683.
94 Jbid ., VIII, 33, cit., p. 689.
95 Jbid., VIII, 39, dt., p. 694.
96 Jbid., VIII, 43, dt ., p. 699.
97 lbid., VIII, 44, dt., p. 700.
98 Jbid.
99 Origene, Contro Celso, VII, 65, cit., p. 648.
1 00 lbid. vm 73, ctt., p. 733.
,
10 1 Jbid.
1 02 Tertulliano, Apologetico, 42, ctt., pp. 156-159.
103 Jbid., 24, ctt., pp. 118-119. Cfr. anche Prima Apologia, 28 (citato da S.
Giustino, Le due apologie, cit., p. 75).
1 04 Origene, Contro Celso, I, 1, cit., p. 44.
Note 233

VI. n nemico all'interno: la demonizzazione degli eretici


1 Tertulliano, Apologetico, 37, cil, pp. 138-139.
2 Jbid., 3, cit., pp. 16-17.
3 David L. Balch, Let Wives Be Submissive: The Domestic Code in 1 Peter,
Chico CA, Scholars Press, 1981 . Cfr. anche John H. Ell iott, A Home for the
Homeless: A Sociological Exegesis of 1 Peter, lts Situation and Strategy, Phila­
delphia, Fortress Press, 1981 . Per un'appassionante discussione delle diver­
se descrizioni di Paolo, cfr. Dennis Ronald MacDonald, 11te Legend and the
Apostle: The Battle for Paul in Story and Canon, Philadelphia, Westminster
Press, 1983.
4 Per un'analisi, cfr. Karlmann Beyschlag, Clemens Romanus und der
FrUhkatholizismus, Tiibingen, Mohr, 1966; su Clemente II, Karl Paul Donfried,
The Setting ofSecond Clement in Early Christianity, Leiden, E.J. Brill, 1974.
5 San Clemente romano, Lettera ai Corinti, I, citato da I padri apostolici,
Milano, Edizioni Paoline, 1965, p. 128.
6 Jbid.
7 lbid., XL, citato da I padri apostolici, cit., p. 147.
8 Jbid., XXXVII, citato da I padri apostolici, cit., p. 145.
9 I.A Didaché. Dottrina del S ignore insegnata ai gentili per mezzo dei dodici
apostoli, I, citato da I padri apostolici, cit., p. 39.
1 0 lbid., I, citato da I padri apostolici, cit., p. 41.
1 1 Jbid., Il, citato da I padri apostolici, dt., pp . 41-42.
1 2 Lettera di Barnaba, XVIII, citato da I padri apostolici, cit., p. 99.
1 3 Jbid., XXII 1-2, 19, citato da I padri apostolici, dt., p. 99.
14 lbid, XVIII 2; cfr. anche II 1 e IV 9.
1 5 lbid., II, citato da I padri apostolici, cit., p. 81 .
16 Jbid.
17 lbid . , IX 9, cita to da I padri apostolici, cit., p. 87.
18 Jbid., XVIII, citato da I padri apostolici, cit., p. 99.
19 Ireneo, op. cit., I, pref., p. 49.
20 Ibid. , l, pref., p. 50.
21 Jbid., I, 27.4, p. 107.
22 Jbid., I, 6.3, p. 62.
23 Per un'analisi, cfr. Elaine Pagels, I Vangeli gnostici, cit.
24 ZA Testimonianza di Verità (NHC IX, 3), 3.29.6., citato da AA.W., 111e
Nag Hammadi Library in English , translated by members of the Coptic Gno­
stic Library Project of the lnstitute for Antiquity and Cristianity, Leiden,
E.J. Brill, 1977, p. 406.
25 Jbid., 29,9-1 0., cita to da AA.W., 11te Nag Hammadi Library, cit., pp. 406-
407.
26 Ibid., 30.2-4, citato da AA.W., The Nag Hammadi Library, cit., p. 4(]7.
27 Jbid., 30,18-19, citato da AA.W., The Nag Hammadi Library, cit., p. 4(]7,
28 Jbid., 44.30-45.4, citato da AA.W., 11te Nag Hammadi Library, cit., p. 411 .
29 Jbiti., 41 .4-7, citato d a AA.W., The Nag Hammadi Library, cit., p. 410.
30 Ibid., 43.29-44.16, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, cit., pp.
410-411.
31 Giustino, Pri ma apologia, 29, cit., p. 77.
234 Satana e i suoi angeli

32 La Testimonianza di Veriti> (NHC IX, 3), 29.15-17, dtato da AA.VV., The


Na Hammadi Library, cit., p. 407.
t
Ibid., 41.3-4, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, cit., p. 410.
34 Jbid., 41 .28-42.14, citato da AA. VV., The Nag Hammadi Library, dt., p.
410.
35 lbid., 47.5-6, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, cit., p. 412
36 Jbid., 47.14-30, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, dt., p. 412.
'57 Ibid., 41 .4, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Ubmry, cit., p. 410.
38 Ipostasi degli arconti (NHC Il, 4), 86.26-27, citato da AA.VV., The Nag
Hammadi Library, cit., p. 153.
39 lbid., 86.27-31 , citato da AA.VV., TI1e Nag Hammadi Library, dt., p. 153.
40 lbid., 86.31-87.4 e 94.22-95.13, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Li-
brary, cit., p. 153 e p. 158.
41 Jbid., 91 .7-11 , citato da AA.VV. , The Nag Hammadi Library, dt., p. 157.
42 Jbid., 96.17-27, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, cit., p. 159.
43 Sulla «generazione indomita», cfr. Michael Williams, The lmmaveable
Race: A Gnostic Designation and the Theme of Stability in Late Antiquity, Lei­
den, E.J. Brill, 1985.
44 Apocrifo di Giovanni, (NHC II, 1 ), 24.15-27, citato da M.VV., The Nag
Hammadi Library, dt., p. 112.
45 Jbid., 28.11-14, dtato da AA.VV., The Nag Hammadi Ubrary, dt., p. 114.
46 Jbid., 28.21-29, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, dt., p. 114.
47 Jbid., 29.1 7-20, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, dt., p. 115.
48 Ibid., 29.32-30.7, citato da AA.VV., The Nag Hammadi Library, cit. , p. 115.
49 Tertulliano, Sulla prescrizione contro gli eretid, 5, citato da Tertulliano,
Opere scelte, a cura di C. Moreschini, Torino, Utet, 1974, p. 124.
&i Jbid., 6, citato da Tertull iano, Opere scelte, cit., p. 124.
51 Tertulliano, Contro i Valentiniani, 4, citato da Tertulliano, Opere scelte,
cit., pp. 904-905.
5i Tertulliano, Sulla prescrizione contro gli eretici, 7, citato da Tertulliano,
Opere scelte, cit., p. 126.
53 Jbid., 8, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., p. 129.
54 Jbid., 11, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., p. 133.
55 lbid., 13-16, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., pp. 134-137.
56 lbìd., 18, citato da Tertulliano, Opt>re scelte, cit. , p. 138.
'51 Jbid., 37, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., p. 161 .
58 lbid., 40 , citato d a Tertulliano, Opere scelte, cit., p . 165.
59 Cfr. ll1id., 38, citato da Tertulliano, Opere scelte, dt., p. 163.
60 Cfr. Ibid., 39, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., pp. 1 64- 165.
61 Tertull iano, Contro i Valentiniani, 4, citato da Tertulliano, Opere scelte,
p.
d\f 903-904.
lbid., 4, citato da Tertulliano, Opere scelte, cit., p. 904.
63 Walther Volker (a cura di ) , Quelùm zur Geschichte der Christlichen Gnosis,
Tilbingen, J .C.B. Mohr, 1932: «Die Fragmente Valentins•>, Fragment 7, p. 59.
64 Ippolito, Refu tatio om'1ium haeresium, VIII, 15.1-2, ed. by Miroslav
Marcovich, Berlin-New York, W. De Gruyter, 1986, p. 335.
65 Teodoto, in Clemente di Alessandria, Estratti da Teodoto, 78.2., citato
Note 235

da Oément d'Alexandrie, Extraits de Théodote, Paris, F.ditions du Cerf, 1948,


p. 202.
66 Vangelo di Filippo, 115, citato da Marcello Craveri (a cura di), I Vangeli
apocrifi, Torino, Einaudi, 1969, p. 536.
67 Cfr., per un'analisi, Elaine Pagels, The fohannine Gcspel in Gnostic Exe­
gesis, Nashville, Tenn., Abingdon Press, 1 993, pp. 83-97.
68 Ireneo di Lione, op. cit, I, 6, 2, p. 61 .
tD Tertulliano, Sulla prescrizione contro gli eretici, 3, citato da Tertulliano,
Opere scelte, cit., p. 120.
70 Ireneo di Lione, op. cit, m, 1 5 . 2, p. 261 .
71 lbid., I 11, 1, pp. 75-76; I 2 1, 3, pp. 95-96.
71. Jbid., IV 33, 7, p. 377.
73 Cfr. lbid., I 6, 2-3, pp. 61-62
74 Jbid., I 13, 5 e 7, p. 80.
75 lbid., I 13.3, p. 79.
76 Jbid.
77 Cfr., per esempio, Ger 2, 1-3.5; Os 2, 1-4.19; ls 60.1 .
78 Walther Volker (a cura di), op. dt., Fragment 2, p. 58.
79 Vangelo della Verità, 25, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt., p.
558.
80 Cfr., per un'analisi più approfondita, Elaine Pagels, The Mystery of
l e in the Gospel of Philip, Revisited, in Birger A. Pearson (a cura di), The
Mllrrilg
Future of Early Christillnity: 'Essl:lys in Hcmor of Helmut Koester, Minneapolis,
Fortress Press, 1991.
81 Cfr., per un'ottima analisi , Klaus Koschorke, Die «Namen» in Philippus-­
evangelium: Beobachlungen zur Auseinandersetzung zwischen gnostischem und
kirchlichlem Christentum, in «Zeitschrift fiir neutestamentliche Wissen­
schaft», 64 (1973), pp. 307-322.
82 Vangelo di Filippo, 94, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt., p.
531 .
83 Jbid., 119, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt., p. 537.
84 Jbid., 62, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 523.
85 Cfr. Ibid., 110-118, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., pp.
534-536.
86 lbid., 118, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 536.
87 Jbid.
BB Jbid., 94, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 530.
89 lbid., 123, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 539.
90 lbid.
91 Jbid., 123, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. dt., pp. 539-540
92 Jbid., 17, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 513.
93 Jbid.
94 Jbid., 6, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 510.
95 Jbid., 59, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 522.
96 Jbid., 60, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 522
fil lbid., 1 08, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 534.
98 Jbid., 67, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit., p. 525.
236 Satana e i suoi angeli

99 Vangelo di Tummaso, 6, citato da Marcello Craveri (a cura di), op. cit.,


5
p. 48 .
100 Ireneo di Lione, op. cit., IV 26, 3, p. 361.
101 Jbid., IV 26, 2, p. 316.
102 Jbid., V 26, 2, p. 463.
1 03 lbid., IV 33, 8, p. 371.

Conclusioni
1 Atanasio, Vita di Antonio, 28, 1-2, Milano, Mondadori, 1974, p. 63.
2 Jbid., 41 ,5-6 - 42,1-4, pp. 87-89.
Ringraziamenti

Questo libro è basato su ri cerche per lo più già presentate in pub­


blicazioni accademiche (citate all'inizio delle note a ciascun capito­
lo) e rielaborate per renderle più accessibili. Nel corso dei sei anni
in cui le ho svolte e formulate per iscritto, mi sono consultata con
molti studiosi e amici. Anzitutto vogl io ringraziare John Gager, Ro­
semary Reuther e I<rister Stendahl, i cui lavori accademici e i cui in­
segnamenti sono stati molto importanti per spiegare questi temi. In
particola re esprimo la mia gratitudine a quei colleghi e amici che
hanno letto il mio dattiloscritto e vi hanno apportato correzioni e
osservazioni: Glen Bowersock, Elizabeth Diggs, Howard Clark
Kee, Kent G reenawalt, Wayne Meeks, Sharon Olds, E ugene
Schwartz, Alan Segai, Peter Stern e S. David Sperling; e a coloro
che hanno dato la loro opinione e hanno commentato parti
dell'opera, mentre vi stavo lavorando, fra cui John Gager, Vernon
Robbins e James Robinson, che hanno letto le parti sulle fonti neo­
testamentarie; Steven Mullaney, che ha letto e commentato le fonti
presentate nel capitolo I; John Collins, Louis FeJdman, Paul Han­
son, Martha Himmelfarb, Helmut Koester, Doron Mendels e Geor­
ge N ickelsburg, che hanno letto e commentato le fonti presentate
nel capitolo II; e Peter Brown, che ha letto e commentato larticolo
su cui si basa parte del capitolo VI. Senza dubbio tutti questi colle­
ghi si dissoceranno da alcune delle conclusioni a cui giungo e per
le quali mi devo assumere personale responsabilità.
Ho cominciato le ricerche per questo libro nel 1990-1991 , quando
sono stata ospitata alla School of Historical Studies presso l'lnstitu­
te for Advanced Study, e le ho rip rese, sempre li, nel 1994-95. Sono
profondamente grata ai membri di quella scuola per la loro cortese
ospitalità e per avermi accolto, come molti altri, nell ambiente sere­
no e collegiale che l'Istituto offre. Devo un ringraz iamento partico­
'

lare a Ruth Simmons, vicerettore della Princeton University, a Jef­


frey Stout, presidente del Dipartimento di Religione, e a Robert
Gunning, preside della facoltà, per avermi concesso un congedo
238 Satana e i suoi angeli

nel 1994-95 perché completassi le ricerdte e la stesura dei miei con­


tributi, e al National Endowment for the Humanities per per la bor­
sa di studio di cui ho beneficiato quell'anno.
Desidero ringraziare i colleghi del Dipartimento di Religione
dell'Università di Princeton, per gli scambi di opinioni che mi han­
no molto aiutata nel lavoro e per la loro gentilezza e comprensione
in questi anni, nonché i miei laureati che hanno lottato insieme a
me con i testi greci nel nostro seminario: Gideon Bohack, Robert
Cro, Nicola Denzey, Obery Hendricks, Anne Merideth, Sharon He­
fetz e Joel Walker.
Ci sono persone senza il cui aiuto non avrei potuto neppure pen­
sare di scrivere questo libro. Mi sento fortunata e privilegiata per
aver lavorato con l'editore Jason Epstein, e ho profondamente ap­
prezzato l'intuizione, l'acutezza e la passione per la chiarezza che
ha manifestato nel corso del lavoro, oltre al suo entusiastico soste­
gno. Helaine Randerson, straordinariamente preparata sui mano­
scritti, ha seguito il testo fin dall'inizio, facendomi osservazioni in­
cisive e dandomi consigli editoriali. John Brockman e Katinka
Matson mi hanno incoraggiato in quest'opera fin dal principio e mi
hanno aiutata in diversi modi. Sono grata inoltre ad Anne Meri­
deth per la sua collaborazione nella ricerca dei materiali, come per
il suo eccellente giudizio su molte questioni che abbiamo affronta­
to. Ho avuto piacere e apprezzato di lavorare con Virginia Avery, i
cui consigli redazionali hanno migliorato il testo; e ringrazio inoltre
Joy de Menil per il suo valido contributo.
Infine, sono grata ai numerosi amici la cui presenza e il cui sup­
porto personale nel modo che ciascuno di loro sa mi hanno aiutata
in questi anni difficili che hanno seguito la morte di mio marito. In
particolare vorrei ricordare Malcolm Diamond, Elizabeth Diggs,
Sarah Duben-Vaughn, Kent Greenawalt, mio fratello e mia cognata
Ralph e Jane Hiesey, Kristin Hughes, Elizabeth e Nicola Khuri,
Emily McCulley, Sharon e David Olds, Albert Raboteau, Kathy
Murtaugh e Margot Wilkie.
Indice dei nomi

Abele, 25, 103, 191 Caifa, 1'19


Abramo, 49-51 , 67, 71 , 76, 99, 164 Caino, 191
Agostino d'Ippona, 213 Caligola, Gaio Giulio Cesare Germa­
Agrippa n, re ebraico, 130 nico, imperatore romano, 43
Albino, 130, 131 Caracalla, Marco Aurelio Antonino,
Alessandro Magno, 20, 60, 66 imperatore romano, 163, 169
Ambrogio .Alessandrino, 164, 173 Catchpole, David, 115
Ananus II, 130 Celso, 165, 168, 170, 171, 173, 174
Andrea, apostolo, '19, 36, 86 Ciro, re di Persia, 58
Anna, 1'19 Gemente, vescovo, 179-181, 195
Antioco IV Epifane, 60, 61 Collins, John, 67
Antipa, 14 Commodo, Mal'CO Awelio, Imperato­
Antonino Pio, imperatore romano, re romano, 161 , 162

149, 150, 152


Antonio, 203, 204, 212
Apuleio, Lucio, 156 Daniele, 72, 73
Aristotele, 61 , 158 Davide, re d'Israele, 31, 57-59, 96, 98
Armstrong, A. H., 144 Decio, imperatore romano, 165, 172
Atanasio, santo, 204 Dodd, C. H., 132

Balaam, 55, 56 Eddy, Mary Baker, 184


Bakh, David, 178 Elia, profeta, 90, 111
Barabba, 42 Eliogabalo, Marco Aurelio Antonino
Barachia, 25, 103 detto, imperatore romano, 163
ben Matthias, Joseph, vedi Giuseppe Eliseo, profeta, 1 1 1
Flavio Epitteto, 1 54, 155
ben Zakkai, Johanan, 94 Erode, re di Giudea, 97-100, 1 10, 112,
Bemfield, Simon, 10 1 1 6, 1 17, 134, 138
Betz, Hans Oieter, 156 Esiodo, 152
Blinzler, Josef, 1 0
Brown, Raymond, 43, 45, 1 15, 122-124
Buber, Martin, 4, 6 Faustina , moglie di Marco Aurelio,
Bultmann, Rudolph, 124-126 154
Felix. 185
240 Indice dei nomi

Filippo l'Arabo, imperatore romano, Johnson, Luke, 103, 104


164, 165 Jung, Carl Gustav, 6
Filone di Alessandria, 21, 26, 43, 46, 74
Flavio Giuseppe, 13-21, 24, 30, 37, 43,
46, 74, 77, 130 Kierkegaard, SOren, 8
Forsyth, Neil, 6, 54 KimeJman, Reuven, 120
Fox, George, 184 King, Martin Luther, 215
Francesco d'Assisi, 184, 215 Koester, Helmut, 87
Fuller, Reginald, 127

Leonida, santo,161-163
Levenson, Jon, 53
Gager, John, 1 56
Lindars, Bamabas, 9
Gamalial Il , 1 20
Loisy, Allred, 119
Geremia, 200
Lutero, Martin, 184, 187, 21 1
Gershom, 51, 52
Gesù bar Ananias, 131
Geta, Lucio, 163 MacMullen, Ramsay, 169
Giacobbe, 99 Macrino, Marco Opellio, imperatore
Giacomo il Giusto, 82, 130 romano, 163
Giacomo, apostolo, 29, 36 Marcia, 161, 162
Giobbe, 56, 57 Marco Aurelio, imperatore romano,
Giosuè, 59 149, 151-156, 158, 159, 161, 168, 169
Giovanni .Battista, 31, 90, 99, 102 Marco, maestro valentiniano, 199, 200
Giovanni di Giscala, 14 Maria Maddalena, 86
Giovanni, apostolo, 29, 36 Martyn, Louis, 120, 127
Giuda Iscariota, 23, 25, 37, 106, 1 1 0, Marx, Karl, 214
1 1 2, 1 13, 124, 127-129, 134 Massimino, Gaio Giulio Vero detto,
Giuda Maccabeo, 20, 60 imperatore romano, 164
Giulia Mamea, 164 Mattatia, 27, 60, 61
Giuseppe di Arimatea, 133 Matteo, apostolo, 90
Giustino, santo, 4, 139-151, 1 57, 160, McGinny, B. C., 45
162, 167, 174, 195, 21 1, 185, 1 86 Meeks, Wayne, 84
Gordiano Il, imperatore romano, 164 Millar, Fergus, 1 0, 129
Green, William, 7 Milton, John, 64
Mosè, 50, 51 , 67, 71 , 75, 98

Hanson, PauJ, 59
Hillel, 104, 105 Nerone, Lucio Domizio, impera tore
Hoennecke, Gustave, 122 romano, 14, 15, 137
Husband, Richard, 130 Newsome, Carol, 77
Nickelsburg, George, 66, 68, 69, 81,
103
Ireneo di Lione, vescovo, 88, 89, 183, Nicodemo, 122, 133
195, 198-200, 207, 208 Ni neham, Dennis, 132
Isacco, 50, 71, 99 Norea, 190
Isaia, 97, 1 1 0, 180, 200
Jsmaele, 50
C>rnero, 3, 149, 152, 159
Indice dei nomi 241

Origene, 139, 161-168, 171-174, 185, Shammai, 104


186, 211 Simone, apostolo, 29
Osea, 200 Smallwood, Mary, 26, 44, 94
Ovennan, Andrew, 134 Smith, Jonathan Z, 7
Socrate, 149, 150, 164
Sofocle, 3, 61
Paolo di Tarso, 19, 40, 82-84, 88, 109, Sperling, Oavid, 76
137, 139, 144, 171, 177-180, 1 82, 188, Stauffer, E., 45
192, 194, 195, 201-203, 207, 210, 215 Stefano, 1 30
Pietro, apostolo, 17, 34, 36, 40, 41, 82, Stendhal, Krister, 83
86, 88, 90, 1 13, 1 19, 124, 178, 1 79 Suter, David, 66
Pilato, Ponzio, 1 7 , 18, 2 1 , 22, 38-47,
106, 107, 1 15-1 17, 1 19, 125, 130-13.3,
138, 140 Tacito, Cornelio, 17, 140, 170
Pitagora, 167 Taziano, 4, 139, 157-161, 167
Platone, 61 , 140-142, 144, 167 Tcherikover, Victor, 60-62
Plinio il Vecchio, 74 Tertulliano, Quinto Settimio Floren-
Plinio, governatore di Bitinia, 148 zio, 139, 173, 174, 176, 177, 192-195,
Plutarco, (amico di Origene), 163 207
Poppea Sabina, 14 Teuda, 195
Porfirio di Tuo, 150 Tiberio, Claudio Nerone, imperatore
Prisco, padre di Giustino, 149 romano, 43, 45, 46
Protocteo, lM Timoteo, vescovo, 178-180
Tito <Tito Flavio Vespasiano), impera­
tore romano, 13, 15, 16
Redfield, Robert, 7
Tommaso, apostolo, 87, 88, 90
Reuther, Rosemary, 130
Robinson, James, 9, 28
Rufo, Musonio, 152
Russel, Jeffrey Burton, 6 Valentino, 184, 195-199, 208
Rustico, prefetto romano, 151, 157 Vespasiano, Tito Flavio, imperatore
ro1nano, 13, 15, 93, 94
Villes, Georges, 160
Saffo, 152
Samael, 189
Sandmel, Samuel, 126 Wilken, Robert L, 138
Schneider, Heinrich, 126 Wink, Walter, 6
Schweitzer, Albert, 9 Winter, Paul, 10, 47, 13.3
Severo Alessandro, Marco Aurelio,
imperatore romano, 163, 164
Severo, Ludo Settimio, imperatore ro­ Zaccaria, 25, 103
mano, 162, 163 Zanone, 140

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