Sei sulla pagina 1di 46
MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA 1. San Torpé Fanno ormai venticinque anni da che Roberto Ridolfi pubblicava sulla « Bibliofilia » tre inediti, uno dei quali, segnalatogli da Jean-Jac- ques Marchand, di mano di Niccold Machiavelli! Sul retro di una Iettera che i Dieci avevano mandato al loro segretario in data 28 maggio 1512, mentre egli si trovava a Pisa per sovraintendere ai provvedimenti da adottare per la guardia della roca e delle porte di quella citta, Machiavelli prese degli strani appunti: san turpe pisano? / Nerone fecie un cielo p(er) commandarli fecie sa(n) / turpé pisano cascarlo: fe scoppiare la colo/(n)na morire el (pre)fecto co(n)vertire assai / et fu poi i(n)fine decapitato p(er) ire i(n)cielo, A-queste poche righe segue, separata da un breve tratto ondulato, un’ottava relativa al medesimo argomento: Silentio udite et udirete qua(n)to dispiaccia disupe(s)bia adio ogni acto vedrete un cielo ruuinare? tucto qua(n)to 1. Cf. R.Rivourr, Qualche inedito: un’ottava del Machiavelli, una lettera del Giannotti e una di Bartolomeo Cavalcanti, in « La Bibliofilia », xxiv 1972, pp. 91-100. Dell’auto- grafo machiavelliano (BNCF, Carte Machiavelli, V 157) aveva dato notizia O. Tom- Masini (La vita e gli scritti di Niccold Machiavelli, Roma, Loescher, ro1t, 11 p. 1365), ma cosi sommaria («Nel dorso della carta appunti vari ¢ versi, di mano del M.») che giustamente il Ridolfi poté dire che quella stanza autografa del Machiavelli « dovet- te esser veduta dal Tommasini tot ma forse nemmeno letta, nonché capita ». 2. La sillaba iniziale — pi — sopra il rigo; dopo pisano, nello stesso-tigo, quasi do- vesse scrivere un’altra parola (di cui tuttavia non vergasse che I’ iniziale), una 5. 3. ILRidolfi legge invece ruinare, precisando (p. 94 n.9): « Devo anche aggiunge- re che nel ruinare del y. 3 il M. sembra aver ripetuto due volte la sillaba iniziale rm» e rinviando, per un caso analogo, a P. Gurctisni, La grafia del Machiavelli studiata negli autografi, Firenze, Olschki, 1969, p.134 n. 45; ma ruvinare ha anche la Legenda di san Turp? in prosa, p. 61.25: «E fatta I oratione, incontenente langelo di Dio venne co molti nuvili e con tuoni ¢ lanpadi ¢ ruvinare lo detto cielo ¢ quatro de le colonne che'l sosteneano ». L’editore Gd infra, lan.9) emenda la e precedente ruvinare in a. 21 MARIO MARTELLI da nerone p(er) sup(er)bia‘ et gloria facto vedrete oltra di q(ue)sto turpe santo ire al martiro$ volu(n)tario et rapto Et dopo molti miracoli et segni godersi lieto necelesti regni.® Nessun dubbio il Ridolfi, chiestosi se Machiavelli si fosse limitato a trascrivere quest ottava 0 fosse stato lui a comporla, ebbe ad attri- buirgliela; e, constatando come essa nient’altro fosse se non la pri- ma di una sacra rappresentazione, ne concluse che ad essa, almeno nel progetto, dovevano seguirne altre, e non poche, quante appunto ne fossero bastate a completare un’ opera di quel genere: se poi il Machiavelli le avesse scritte, il Ridolfi, pur non escludendolo, am- metteva tuttavia di ritenere, nonché poco probabile, ma difficil- mente congetturabile. Della perentoria attribuzione dell’ottava a Machiavelli il Ridolfi addusse due principali ragioni: « Prima, perché i versi non conten- gono proprio nulla di peregrino o d’ingegnoso che potesse averlo invogliato a notarseli. Seconda e principalissima, perché la stanza, come s’é detto e s’é visto, non fa che sviluppare in parte gli appunti precedenti: ai quali, se i versi fossero soltanto copiati e non gia com- posti da lui, sarebbe molto difficile trovare una plausibile spiegazio- ne».’ Queste, le due ragioni prodotte dal Ridolfi. Ma, oltre a quelle da lui addotte, ce n’é forse una terza, e come ignota allo studioso, cos{ pitt profonda. A lui fu, in verita, caro un Machiavelli molto umano ¢ molto, come dire?, familiarmente quotidiano, della cui fa- miliare ¢ quotidiana umanita non avrebbe potuto non far parte an- ‘intervento non sembra necessario: ruvinare & manifestamente inteso come infini- to sostantivato, senza tuttavia fargli perdere la capaciti di reggere un accusativo: ‘[...] Pangelo di Dio venne con molte nuvole ¢ con tuoni ¢ con lampie con rovinfo del detto cielo e di quattro colonne [...]. 4. La p tagliata su precedente 6. 5. Ridolfi: martirio. 6. Le trascrizioni sono diplomatiche (ad eccezione, nella prosa, degli a capo se- gnati mediante barra); fta parentesi tonde gli elementi in abbreviazione. 7. Rivoxti, op. cit., pp. 94-95. 242 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE PORTA che una indubbia ¢ sincera, per quanto non sempre apertamente manifestata, fede religiosa; sicché un Machiavelli che addirittura progettasse di scrivere una sacra rappresentazione dovette fare al Ridolfi, come quello che confermava la sua lettura del personaggio, non poco piacere.® Certo, cosi facendo, il Ridolfi non tanto ritraeva il Machiavelli, quanto, nel Machiavelli, specchiava se stesso; ma chi ardira, per sentirsi senza peccato, scagliare la prima pietra? Nessuno di noi, anche se la cosa avviene in modi pit o meno rozzi, sa evitare di allungare la propria ombra sul personaggio studiato. E anch’io — che Dio mi perdoni ~ mi accingo qui a correre lo stesso rischio, in- terpretando la minuzia di questo pezzo, finora inevitabilmente as- sente ¢ da antologie e da biografie e da studi critici, alla luce della mia interpretazione generale di Machiavelli. Inevitabile ho detto, fino ad ora, il silenzio di antologisti, biografi € critici intorno a questa ottava, perché tutt’altro che sicura é l’attri- buzione dell’ottava a Machiavelli. Sei anni dopo il ritrovamento, Mahmoud Salem Elsheikh, pubblicando alcuni testi relativi a san Torpé (una leggenda prosastica che traduceva il testo latino della passio, una lauda in forma di ballata, tre sonetti) si occupava anche, tra Paltro, dell’ ottava fatta conoscere dal Ridolfi; e, con la stessa ra- pida sicurezza con cui il Ridolfi laveva assegnata al Machiavelli, lElsheikh gliela ritoglieva, anche lui facendo forza su due fonda- mentali ragioni: in primo luogo, che i versi erano «di modestissimo livello», tanto che in nessun modo gli sembrava «credibile che il 8. Elo ammetteva ~ certo senza avere cosciente coscienza di ammetterlo ¢, co- munque, presentando la causa della diagnosi come la conclusione che ne traeva~il Ridolfi stesso, quando, all’attribuzione dell’ ottava ¢ all’ipotesi della progettata sa- cra rappresentazione, faceva seguire quest’altre parole: « Ci restano in ogni modo quei versi, ci resta quel proposito. Singolare proposito. Che diamine: questo “ateo” che scrisse I’ Fsortazione alla penitenza, che nel suo scrittoio tracciava pie formule nelle minute ¢ poi le faceva sparire negli originali per rispetto umano e per fedelta al suo personaggio, il cristiano di tante lettere familiari che si preparava a divenire (secondo certi interpreti) un “anticristo” nei Discorsi e nel Principe, scientificamente trattando degli effetti politici del cristianesimo sui regni di questo mondo, si appre- stava dunque allora a poetare di “celesti regni” in una sacra rappresentazione di San Torpé pisano? Ma guarda, ma guarda» (ivi, p. 95). 213 MARIO MARTELLI Machiavelli bamboleggiasse a guisa di canterino di poche lettere, sctivendo endecasillabi cost mediocti e pet giunta bislunghi»;9 e, in secondo luogo, che impossibile gli sembrava pensare ad un Machia- velli che, sul punto di scrivere i Discorsi e il Principe, progettasse di comporre una sacra rappresentazione.!? Che, dunque, I’ ottava non fosse di Machiavelli e che Machiavelli Pavesse trascritta da un altro testo quattrocentesco a noi non perve- nuto ¢ ricantante in forma drammatica la leggenda di san Torpé, PElsheikh non nutriva dubbi; e se non ne aveva piti di quanti ne avesse avuti il Ridolfi per affermare la paternita machiavelliana del- Pottava, questo non dipendeva dal fatto che egli avesse, come il Ri- dolfi, un suo proprio ritratto di Machiavelli da salvare, dacché a lui bastava, in fondo, quello consegnatoci dalla tradizione; ma anche lui qualcosa da salvare aveva, ed era la continuita in Pisa della leg- genda di san Torpé. Egli aveva, infatti, due manoscritti, ambedue pi- sani ~ il n° 42 dell’Archivio Capitolare, copia trecentesca di un pit antico esemplare (della fine del Duecento) e il ne 569 della Bibliote- ca Universitaria, datato 1368 ~, che trasmettevano la leggenda prosa- stica di san Torpé; e un altro manoscritto ~ il Capponiano 200 della Biblioteca Apostolica Vaticana, dall’Elsheikh assegnato ad un tempo di poco successivo all’8 dicembre 1371, probabilmente agl inizi del 1372 — che trasmetteva a sua volta la ballata, Fra Trecento e Seicento, 9. Cft. Leggenda di San Torpe, a cura di M. Satem Exsnerkn, Firenze, presso Ac- cademia della Crusca, 1977, p.22. Nessun verso mi sembra bislungo, dacché era nel- le abitudini di Machiavelli, secondo un uso ancora vivo nella pratica scrittoria del suo tempo, non effettuare i troncamenti, lasciandone la cura al lettore. Quanto al v. 2, che allo studioso sembrava « difficilmente riducibile », bastera considerare bisilla- bo, secondo la scansione fiorentina quattrocentesca, l'incontro di tre vocali Dio o-, per recuperarne la corretta misura. 10, Leggenda, ecc., cit., p.22: «E come si pud pensare che lo scrittore dei Discorsi ¢ del Principe, uomo della “realta ¢ della teorizzazione”, il “cristiano di tante lettere fa- miliari che si preparava a divenire (secondo certi interpreti) un ‘anticristo’..,come rileva giustamente il Ridollfi, si apprestasse a poetare di ‘celesti regni’ in una rappre~ sentazione sacra di San Torpé?». Quanto a me, non capisco se l’Elsheikh non si ac- corgesse dell'acre ironia con cui il Ridolfi aveva detto quello che aveva detto, o se fosse lui che ironicamente fingeva di prendere sul serio quello che ben si rendeva conto sul serio dal Ridolfi non essere stato detto. 214 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA purtroppo, il vuoto: ma un vuoto, che veniva colmato dalla provvi- denziale ottava di mano de] Machiavelli; essa, infatti—ma solo a pat- to che non fosse stato lui a comporla -, attestava aver circolato in Pi- sa, oltre alla ballata ¢ alla leggenda, anche una sacra rappresentazio- ne; e poiché la sua prima ottava era, ¢ per lo stile e (come vedremo tra un momento) per la citazione dell’attacco polizianeo, chiara- mente quattrocentesca, essa, quasi venendo a gettare un ponte tra fine Duecento e primo Seicento, dava anche piti corpo al culto di san Torpé in Pisa nel corso dei secoli e, conseguentemente, ad ac- crescere un po’ il pregio e 'importanza dei testi pubblicati dall’El- sheikh. Il nuovo ed a noi sconosciuto individuo prendeva cosf corpo sot- to gli occhi e sotto la penna dello studioso: il compositore della stanza aveva scritto la sua sacra composizione in ottave non gia per- ché in ottave si scrivessero di norma le sacre rappresentazioni, ma perché ne avrebbe preso l’idea dalle stanze della lauda che consta- vano di otto versi: «anche se », onestamente aggiungeva, «va stibito rilevato che Pautore prendeva avvio sull’incipit della Favola di Orfeo del Poliziano: Silenzio. Udite. El fu gid un pastore»;" d’altronde, che egli conoscesse la lauda si poteva provare anche attraverso qualche spunto che sembrava averne dedotto: tale la dittologia occorrente e al v. 389 della lauda («Volendo dire i miracoli e’ segni») e in clausola al v. 7 dell’ ottava: «Et dopo molti miracoli et segni»;'2 tale ! osservazio- 11. Forse, un’altra citazione dall’ Orfeo - v. 287: «si gode in cielo il suo bel Gani- mede »—pud essere identificata nell’ ultimo verso dell’ ottava: « godersi lieto ne’ ce- lesti regni». 12. Chr. Legenda, ecc.,cit., p. 21; ed aggiungeva che anche nella lauda, pochi versi dopo (v. 393), c'era un molti riferito ai due membri della medesima dittologia. A proposito della quale si dovra, tuttavia, ricordare che essa @ comunissima in testi sia religiosi che non religiosi. Il che si pud evincere anche a starcene al GDLI, dove {sub voc. segni, 9) se ne ptoducono esempi dal Cavalca, da Zanobi da Strada, dal Frezzi. Né c’é da stupircene, se essa si trova gia nella Scrittura (cfr. Eccli., 36 9: « In- nova signa et immuta mirabilia »; Dan.,3 99, 6 27, 14 42); € se, per di pid, ne traduce al- tre (signa et portenta; signa et prodigia; signa et monstra), anch’esse con numerosissime occorrenze nella Scrittura (Deut, 4 34, 6 8, 719, 26 8, ecc.; 2 Esdr., 9 10; Ps, 134 9; Sap., 88, 10 16; ler, 32 21; Bar2 11; Matth,,24 24; Marc, 13 43 loan. 4 48; Act.2 43, 4 30, § 12,6 8, ecc.; 2 Cor, 12 12). 215 MARIO MARTELLI ne sullo slancio con cui il santo si era recato al martirio presente cost nell ottava (v. 6: «ire al martiro voluntario et rapto ») come nella lau- da (v. 143: « tutto fervente al martirio venia»): «pochi elementi», am- metteva l’Elsheikh; «ma», concludeva «abbastanza eloquenti, e di- rei decisivi per provare che, oltre alla lauda di San Torpé, vera un’altra composizione in versi, rifatta sulla lauda trecentesca, ed era ancora in circolazione a Pisa nel 1512, quando cioé il Machiavelli vi fece la sua visita »3 Questo, a tutt’oggi, lo stato della apparentemente trascurabile questioncella, Né mi sembra che ci siano ragioni sufficienti per diri- merla in un senso o nell’altro, in quello, cio2, dell’autenticita o in quello dell’apocrifia. Certo mi sembra che lottava sia del tardo Quattro o dell’incipiente Cinquecento, con ogni probabilita di am- biente laurenziano o della cultura laurenziana né ignaro né imme- more; € non solo per l’attacco polizianeo (e per l’altro probabile ri- cordo dell’ Orfeo, al quale ho accennato poco fa),!4 ma anche per cer- te caratteristiche stilistiche: ? anadiplosi — udite e udirete — al v. 1; la doppia dittologia in clausola ai vv. 6 ¢ 7; la rima equivoca quanto (av- verbio interrogativo al v. 1 e indefinito, in unione con tucto, al v. 3): artifici, tutti, che sanno di rimatore abbastanza esperto. Degno, tut- tavia, di speciale attenzione é, in ambito lessicale, un lemma come voluntario, usato in funzione avverbiale di predicativo del soggetto. Sulla voluntas, coincidente, in tema di amore divino, con la necessitas insisterono a lungo il Ficino e Lorenzo; ma quello che qui interessa @ che il punto dottrinario aveva dato luogo al recupero di una voce come volontario, del tutto assente, se non fosse per la «volontaria morte» della petratchesca Fenice (Rvf, 135 7), dalla tradizione lirica italiana, Bastera ripensare a pezzi ficiniani come il Dialogus inter Deum et animam theologicus, inviato in forma d’epistola a Michele Mercati alla fine degli anni Cinquanta (« Quam rursus voluntaria huiusmodi necessitas est, cum nihil magis voluntarium sit quam bo- 13. Leggenda, ecc., cit., p. 22. 14. Cir. sopra, n. 11. 216 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE PORTA num [...]!»),!5 0 la lettera che lo stesso Ficino invid a Giovanni Cavalcanti il 30 gennaio 1477: « Nulla vel necessitas magis volunta- ria, vel voluntas necessaria magis quam amatoria. Quidnam magis voluntarium est quam amor? ».!6 E Lorenzo, nella selva breve parla~ va (13 3) di «volontario fren» e (16 8) di «volontaria violenzia»; alla quale ultima espressione ricorreva anche attaccando la sirma del son. Che 2 quel ch’io veggo dentro agli occhi belli (xxv dell’ed. Zana- to).17 La necessitas per eccellenza era, naturalmente, quella della mor- te; ma essa diveniva voluntaria necessitas, quando l’anima si elevava verso Dio e nello slancio desiderava liberarsi dal corpo. Ed anche per san Torpé la necessitas del martirio si trasformava nella voluntas con cui egli rapto, senza esitazioni o incertezze, vi correva incon- tro.18 Come si vede, a differenza dei due preopinanti, io non ritengo priva d’ingegnosa peregrinita l’ottava 0, tanto meno, mi sembra opera di un bamboleggiante canterino di modestissimo livello.E re~ stano aperte ambedue le possibilita: che l ottava fosse la prima di una sacra rappresentazione che Machiavelli, tanto piti se quelle che dovevano seguirla erano dello stesso valore e dello stesso sapore, pensé utile trascrivere per suo uso e consumo sul verso della lettera dei Dieci; o che fosse lui stesso, quel Machiavelli che il Poliziano volgare conobbe assai bene (fino al punto di riprendere per una sua composizione, la Serenata, il titolo con cui un notissimo rispetto 15. Clr. M. Ficino, Lettere, 1. Epistolarum familiarium liber I, a cura di S. Genrte, Firenze, Olschki, 1990, p. 16. 16. Cf. M. Frcini Frorentint [ cus Petri, 1576, p. 741. 17. Cft. L. pe’ Mepict, Stanze, a cura di R. CastacNota, Firenze, Olschki, 1986, pp. 67 ¢ 68; Ip., Canzoniere, a cura di T. ZanaTo, ivi, id., 1992, 11 p. 492. Su questa ma- teria si potra vedere il primo paragrafo (« La libera servitd ») del mio Préodos ed epi- stroph® nella seconda selva di Lorenzo de’ Medic, im Filologia umanistica. Per Gianvito Re- sta, a cura di V. Fera e G. Ferrad, Padova, Antenore, 1997, 11 pp. 1247-88 (alle pp. 1247-56); ¢ la nota di Paolo Orvieto (L. pz’ Mepic1, Tutte le opere, a cura di P. Orviz~ To, Roma, Salerno Editrice, 1992, 1 pp. 168-70) al citato son. Lxxv1. 38. Credo che questo sia il signitheato di rapto; non saprei, tuttavia, del tutto escludere che la voce sia qui usata col valore di part. pass. dal verbo rapire, come in Ruf, 193 7: «Rapto per man d’Amor». ] Opera et quae hactenus extitere, Basilea, Henri- 217 MARIO MARTELLI continuato polizianeo era andato a stampa),!? a comporla, proget- tando certo (come pensa il Ridolfi) di fargliene seguire non poche altre, quante cioé sarebbero bastate a completare una sacra rappre- sentazione di san Torpa. Né, forse, le ragioni - cosi, se d’ altri, per trascriverla, come, se sua, per comporla ~ gli sarebbero mancate. Quello, infatti, che il Ridolf non si chiese fu perché mai a Machiavelli venisse il ghiribizzo di scrivere una sacra rappresentazione su san Torpé in un momento cosf drammatico per la repubblica soderiniana, mentre si trovava impegnato in una missione irta di difficolta ¢ di responsabilita quale era quella pisana; né l’Elsheikh, a sua volta, si fermé sul perché, pro- prio in quel momento, Machiavelli avrebbe dovuto tanto interessar- sia san Torpé, da annotare le linee generali della sua leggenda e da trascrivere la prima ottava di una sacra rappresentazione a lui dedi- cata. Rinfreschiamoci, allora, un poco i ricordi. Machiavelli si era reca- to a Pisa pitt volte tra la fine del rsrre Ja prima meta del 1512. Era ap- pena rientrato dalla missione in Francia (10 settembre-2 novembre 111), che i Dieci lo mandarono a Pisa, dove il 5 di quel mese si sareb- be aperto il Concilio scismatico promosso per iniziativa del re Cri- stianissimo contro Giulio II. Che a Pisa il Concilio dovesse essere ospitato, aveva imposto, contro il parere dei Signori fiorentini e contro la volonta del popolo cos{ fiorentino come pisano, il fratello del gonfaloniere, cardinale Francesco Soderini, che, con quella er- ronea mossa politica stava dando l'ultima spinta per la definitiva ca- duta della sua famiglia. E a Pisa, all’arrivo dei cardinali scismatici, erano sorti problemi di non trascurabile importanza: a parte quelli relativi all’ alloggio e al vitto di tanto numero di persone, il nodo pitt aggrovigliato da sciogliere era costituito dall’ostilita del clero, che 19, Il titolo Serenata di Messer Ang. Politiano hanno le sedici ottave del rispetto O triomphante sopra ogni altra bella nella « edizione priva di frontespizio e di note tipo grafiche, di solito registrata nei cataloghi sv. “Lorenzo de’ Medici" » (cfr. A. Pou- z1ano, Rime, ed. critica a cura di D. Detcorno Branca, Firenze, Accademia della Crusca, 1986, p. 92), assegnata a Firenze, Bartolomeo de’ Libri, 1495 ca. (il titolo del rispetto a p. 93). 218 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA aveva sbarrato le porte del duomo impedendovi l’accesso ai padri conciliari, e del popolo pisano, che si rifiutava d’intervenire alle funzioni. D'altra parte, a quel che sembrava, i rettori fiorentini, quando i cardinali erano arrivati a Pisa, non erano andati loro incon- tro né li avevano onorati come sarebbe stato doveroso. I cardinali se ne lamentavano vivacemente con i rappresentanti del governo fio- rentino, i quali dal canto loro, non sapendo come comportarsi ed ostili anche loro al Concilio, trasmettevano le lagnanze a Firenze. E i Dieci di Liberta ¢ Pace restavano perplessi ¢ consultavano gli orga nismi della Repubblica onde riceverne lumi. La mattina del 2 di no- vembre, lette nel Consiglio degli Ottanta piti lettere giunte da Pisa = del capitano (Piero del Nero) del podesta (Niccold Zati) dei com- missari (Rosso Ridolfi e Antonio Portinari) ~, domandarono consi- glio su tre principali questioni Primo: se ¢ rectori nostri di Pisa hanno a andare a udire le messe et divi- ni offitii di questi Reverendissimi Cardinali per principio del Concilio, es- sendone da loro richiesti, et quello che sia in benefitio della cicta vostra da fare circa questo. 20: s’egl’& a proposito della cicta vostra operare che il clero pisano ten- gha aperte le chiese dove hanno a celebrare decti Cardinali queste messe et divini offitii; et che gli serva de’ paramenti loro perché possino celebrare decti offitii, et quello sia circa questo da ffare. 3°: egl’é bene per la cicta vostra concorrere alla condocta de’ baroni di Roma insieme con la Christianissima Maesta, secondo ne richiede.?° Fu in questo frangente che i Dieci, dandone preannuncio ai rettori, mandarono a Pisa, con tanto di commissione e con l’incarico di condurre in quella citta 300 fanti, Niccolé Machiavelli. Mossa non gradita ai rappresentanti ufficiali del governo fiorentino in Pisa, che, sentendosene esautorati, ne fecero qualche rimostranza ai Dieci.1 20. Cft. Consulte e pratiche 1305-1512, a cura di D. Factaro, Geneve, Librairie Droz, 1988, p. 249. a1. 113 novembre Piero del Nero ¢ Niccold Zati scrivevano ai Dieci: « Intendia~ mo la venuta di Niccolé Machiavelli con e fanti, che & provvedimento necessario, et venire con commissione: il che non ci dispiace, perché haviamo caro ci sia levato briga»; cose analoghe dovettero scrivere il Rosso Ridolfi e Antonio Portinari, se i 219 MARIO MARTELLI Fortunatamente il Concilio lev presto le tende da Pisa, appena una settimana dopo che vi si era aperto, trasferendosi in Lombardia e to- gliendo davvero briga a Firenze. Non per questo, a Pisa le acque do- vettero calmarsi d’un tratto. Non per niente Machiavelli vi fu man- dato, e pid volte, dal governo soderiniano; anche, come credo, con- statandovi una volta di pit la verita di quel che sapeva fin troppo be- ne e che avrebbe scritto di lf a breve nel capitolo quinto del Principe, che cioé « chi diviene patrone di una citta consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella: perché sempre ha per refugio, nella rebellione, el nome della liberta e gli ordini an- tichi suoi; li quali, né per lunghezza di tempo né per benefizii mai si dimenticano », Né forse fu senza il ricordo, tra gli altri, di quei gior- ni che vi avrebbe citato proprio l’esempio di Pisa, aggiungendo: «E per cosa che si faccia o si provegga, se non si disuniscono o dissipano gli abitatori, non dimenticano quello nome né quegli ordini, ¢ subi- to in ogni accidente vi ricorrono: come fe’ Pisa dopo cento anni che la era suta posta in serviti da’ Fiorentini». In effetti, insieme con l’accidente del Concilio a qualche pisano doveva essere parso che si avanzasse anche I’ Occasio di ausonica me- moria ad offtir loro di riconquistare la perduta e rimpianta liberta. I Dieci ne scrivevano, il 5 novembre, al capitano e al podesta: E cié suto referito da qualcuno che viene di costa come da certi di quelli venuti o con li cardinali o con li signori franzesi é suto usato qualche parola non conveniente, come é dire: Noi caveremo questi Pisani della servitui de” Fiorentini. Il che quando fussi ci dispiacerebbe; ma perché noi siamo certi che, s’ella fussi cosa da tenerne conto o respecto alla qualita delle persone o delle parole, voi ce ne haresti scripto, perd non ne teniamo molto conto; pure, sia come si voglia, ve ne habbiamo volsuto scrivere, ad cid vi advertia- Dieci, in data 5 novembre, rispondevano: « Parci che voi vi risentiate della mandata di costi di Niccolé Machiavelli: cosa che ci dispiace, havendolo facto ad buon fine et piti per conto de’ fanti che peraltro, et perché voi li potessi commectere quello vi accadeva, et valervene in coteste occurentie, bisognando; non vi sendo necessaria Popera sta, lo rimanderete in qua, che ce ne rimettiamo al tutto in voi, sendo facto per comodiea vostra et non per altro » (cft. N. Macutavettt, Legazioni e commissarie, a cura di S. Berrzxut, Milano, Feltrinelli, 1964, 1 pp. 1464-65 © 1468-69). 220 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE PORTA te et, riscontrandone cosa alcuna, possiate farne quella opera che vi parra et con li cardinali et con Monsignor di Lutrech, iudicandolo di bisogno et non altrimenti2? Infatti, per ridurre almeno, se non per evitare i rischi, accogliendo la raccomandazione di molti fra gli intervenuti alla Consulta del 2 no- vembre,23 i Dieci avevano ordinato il trasferimento a Firenze di tut- ti quei Pisani che potessero destar sospetti, onde neutralizzare uo- mini pericolosi ed aver in mano preziosi ostaggi. Cosf Machiavelli ebbe a tornare a Pisa fra maggio e giugno; e fu in quell’ occasione che prese quegli appunti e scrisse quell’ottava su san Torpé. Né a me sembra del tutto fantasioso pensare che dietro a quel paio di cosi gracili documenti ci fosse lo scenario dello scontro politico-religio- so che opponeva ancora i Fiorentini e il pontefice e che poteva co- stituire un accidente pericolosissimo per Firenze, come quello del quale i Pisani potevano approfittare per riconquistare o per tentare di riconquistare la non mai dimenticata liberta. E avrebbe potuto ben darsi che Machiavelli venisse a conoscenza di un’ abbastanza re- cente sacra rappresentazione su un santo pisano (0 che tale veniva ritenuto) 24 e che egli, onde fornire qualche prova della religiosita indomita di quel popolo, ne volesse far parte a qualche amico o, ad- dirittura, a qualche personaggio del governo, o servirsene per una qualche sua opera. Ma avrebbe potuto anche darsi —e sarebbe ipote- 22, Ibid., p. 1469. 23. Ecco, ad esempio, quello che nel suo intervento aveva detto Ghirigoro ‘Ubertini a nome dei Gonfalonieri: « Richorderebbono anchora che, se vi fussi alcu- no Pisano, 0 altri scandolosi o di chi si potessi sospectare, che fussi bene di fargli ve~ nire qui perché non potessino nuocere alle cose nostre; et provedere Pisa di tucto quello bisognasse per essere superiori contra chi volessi machinare cosa alcuna ». Nello stesso tenore si pronunciavano Lorenzo Bini, Piero de’ Nerli, Giovan Vitto- rio Soderini, messer Marco degli Asini ¢ quasi tutti quelli che presero la parola (cft. Consulte e pratiche, ec. cit., pp. 249 seh 24. Cft. le notizie fornite dall’Elsheikh nel suo citato lavoro (p. 8): pé sono state ventilate varie ipotesi: alcuni hanno creduto di vedere nel nome di ‘Torpé una deformazione di quello della vergine spagnola Treptes, venerata ad Ecija il 4 aprile; altri invece sostengono che si tratta di un santo della Provenza (esiste in- fatti il golfo e la localita di St. Tropez), ove un omonimo martire o eremita di nome Tropes gode di un culto alquanto MARIO MARTELLI si ai miei occhi ben pit attraente ~ che egli, in quel pericoloso mo- mento, ritenesse non disutile alla politica fiorentina lusingare I’ or- goglio patriottico dei Pisani celebrando in una sacra rappresentazio- ne, genere fiorentino per eccellenza, il loro santo cittadino: né certo, se otto anni prima aveva messo insieme in quindici giorni i pitt che cinquecento versi del Decennale onde propagandare T’istituzione dell’ ordinanza, gli avrebbe creato qualche problema fabbricarne ora altrettanti per cercare di tener buoni i non mai domiti Pisani. D’al- tra parte, anche un grande uomo di stato come Lorenzo de’ Medici aveva, decidendo di appoggiare il Savonarola ed a lui d’appoggiarsi, composto una sacra rappresentazione come quella dei Santi Giovan- nie Paolo, che Machiavelli ben conosceva ed apprezzava25 Non sappiamo da quale testo egli venisse a conoscenza della leg- genda, dacché non credo che vi accedesse in nessuna delle due reda- zioni, né in quella prosastica né in quella poetica, pubblicate dal- lElsheikh: né P'una né Paltra, infatti, parla, come invece fa Machia- velli, di una colonna scoppiata, limitandosi ovviamente a dire ! una che essa «cadde subitamente », l’altra che Cristo la « cacié per ter- ra»;26 né Satellico, il personaggio a cui Nerone, nell’atto di partire 2s. Non so se valga la pena ricordare che due versi proprio dalla sacta rappresen- tazione laurenziana (99 7-8) sono citati nei Discorsi, 1 29. 26. Cfr. ed. cit., p. 60: « Allora Satellico li fece dare molte gotate e fecelo legare nudanato [cos{ ’edizione; ¢ dovrebbe trattarsi, ove non sia una menda del ms., di un’assimilazione per nudo nato] a una colonna, la quale era nel messo del merchato de la citta, la quale si chiamava la Colunna Aventina, ¢ in exemplo e terrore de li Cristian’ i'l fece duramente flagellare. E allora santo Torpé si ord e disse: “Signor mio, priegoti che tu non dilunghi il tuo aiuto da me”. Et essendo cusi battuto, lo sangue suo scia del corpo suo d’ogne lato sf come l'acqua d’una fontana. E'l beato messer santo Torpé levd con grande fidansa li occhi suoi in cielo e disse: “lo mi ri- cordo, Singnor mio, di cid che tu mi mandasti dicendo per l'angiulo tuo. Singnor mio, fae vendetta del mio sangue”. E quando egli ebbe compiuta l'orasione, la co- luna altissima a la quale elli era legato cadde subitamente ¢ comprése ¢ uccise li homini iniqui che "I tormentavano infine indel numero di cinquanta; e’l detto Sa- tellico, che ’l facea tormentare, cadde morto subitamente ¢ incontenente sotto la colupna »; ¢ p. 8 (vv. 253-58 =st. 32, vv. 1-6): « Facto quel prego a Cristo, di presente / Quella colona e tutto lo 'deficio / Cacié per terra, et pit di quella giente / Molti cacid all'infernale hospicio, / Satellico co lor, perché l’officio / Faceva crudelmente € con rapina», 222, MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA per Roma, lascia la somma delle cose in Pisa, risulta né nella leggen- da in prosa, dove viene detto uno dei « collaterali» dell’ imperatore, appartenente al suo «parentado» ¢ lasciato in Pisa come « giudice » (p. 59 1.16: « Siedi per giudice e tieni lo nostro hiogo »; p. 59 r. 28: «E sedendo a modo di giudice »), né nella lauda in forma di ballata, do- ve viene detto «vicario di Nerone » (v. 182; ¢ cft. v. 198: «rispose san ‘Torpé a que vicaro »), essere, come invece lo dice Machiavelli, « pre- fecto». Nessuno di questi particolari trova riscontro nei testi con- tenuti negli Acta sanctorum;27 e neppure, lo trova, nei quaranta esa- metri dedicati a san Torpé da Flodoardo nel primo libro de Christi triumphis apud Italiam, dove, « delapsa», la colonna «premit» non un Satellicum, ma significativamente un satellitem (evidente lezione ori- ginaria, indicante il ruolo del personaggio, donde si produsse la ba- nalizzazione Satellicus, indicante invece il suo nome), incaricato da Nerone di svolgere le funzioni di censor. E poiché Flodoardo forni- sce una versione che, per tacere del tutto dell’artificioso cielo fatto costruire da Nerone oltre che per altri dati, differisce da quella vul- gata, non mi sembra inutile riportare i suoi esametri: Clarus in officio renitebat honore tyranni Torpes, quem docuit divina Antonius heros, Fonte sacrans divo, qui, dogmate presbyter oris Doctus apostolici, Christum memorabat aperte. At Nero, percipiens Torpetem sacra subisse, 7 Addicit lanio cogendum ad fana profano; Cumaue fide fixus cogi ad scelerata nequiret, Praecipit hunc, alapa crepitante satellitis?® ictum, 27. Non Rabano Mauro (per cui la colonna « cecidit » e Satellico é « cognatus » di Nerone), non Adone (per cui la colonna « cadens oppressit itdicem », e Satellico — oltre che come si vede index é un « propinquus» di Nerone), non Usuardo, le cui pochissime notizie non comprendono quelle che qui c’interessano (cfr. Acta Sancto- rum, decima septima Maji). 28, Se le cose stessero cos{ come racconta Flodoardo, bisognerebbe concludere che tutta la restante tradizione ha origine da un testimone perduto gia mendoso per quell’errore, che di un satellite di Nerone faceva un Satellico. Ma si tenga anche presente che, al v.14, gli uccisi dal crollo della colonna sono quaranta, e non, come nella versione prosastica pubblicata dall’Elsheikh, cinquanta. 223 MARIO MARTELLI Morte furens vinciri altae vastaeque columnae, Verbericbwsque agitat crebris; dum corpore guttis Elicitur sanguis, terram pluvia horrida tingit; Expavit crudele nefas, subitoque columna Censorem saevos pariter delapsa sodales Quadraginta premit; patris post filius ultor Victori insigni tormenta rotantia ponit, Moliturque necem, belvisque ferocibus offert: Mitescit sine mora furor, servatur honore Divino, trepidantque ferae contingere dente Quem lacerat homo crudelior ore ferino. Huius virtutem inspiciens Evellius unus Consiliis dura fautorum lege Neronis, Corde fidem Christi capit ac baptismate lotus, Lucis honore coronatur non tempore longo, Post Romae coelum pretio cervicis adeptus. At sanctum Domini Torpetem Silvius urbem Extra Pisanam duci, patris impius haeres Delegat, diroque iubet mucrone feriri Exsultat martyr iugulo sumpsisse coronam, Sanctum lictor atrox corpus scelerisque ministri Naviculae iniiciunt, carie atque teredine tritae, Cum cane parricidali cumque alite dantes Mergendum tapidi vitreas sub fluminis undas. Matronae fidei venerandae mittitur aulae Incola mox superae Celerinae, praecipit atque Martyris inquirat pia membra, levetque locetque. Quod celeri accelerare studet Celerina sequela, Sarcofago dedens corpus venerabile mundo, Basilicamque super culta componit amoeno. Felix Nuceriae simul ac Constantia passi Tune, nec non variis quam multi partibus orbis2? celeri accelerare... Celerina, 224 15 25 30 35 40 I versi del canonico Flodoardo testimoniano una diversa tradizione della leggenda, probabilmente la sua versione originaria, sulla quale 29, Cf, PL oxxxv, cc. 601-4. Mia l'integrazione al v.10; ho altres{ corretto, al v.34 il Celeninae della stampa, ritenendolo, alla luce del Celerina del v. 36, non altro che tun refuso.E che, nel v. 36, Celerina, non Celenina sia la lezione corretta é dimostrato dalla medievalissima paronomasi MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA dovette innestarsi, per quel fenomeno di superfetazione cosi fre- quente nella tradizione di simili opere, episodio del cielo e del suo crollo. Quanto a Machiavelli, egli, naturalmente ignaro di questa tradizione, sembra essersi accostato piuttosto alla versione trasmes- sa dalla lauda che non a quella testimoniata dalla prosa: mentre que- sta, infatti, non attribuisce a san Torpé il crollo del cielo, ma solo allo sdegno del Signore, la lauda, come Machiavelli (« fecie san Turpé pi- sano cascarlo»), ne fa invece responsabile il santo; il quale viene le- gato alla colonna che regge il cielo e che crolla in seguito alla pre- ghiera del santo. Questo, quanto di luce ci é dato per ora gettare sul singolare epi- sodio. Ma, forse, c’é ancora una cosa da aggiungere. L’occasione esterna per tanto interesse di Machiavelli nei confronti di san Torpé credo, come dicevo, che vada ricercata nella situazione storica che ho tentato di riassumere nelle pagine precedenti. Ma interessan- te, indipendentemente da quell’ occasione, dovette apparirgli in se stessa la figura di Nerone, che la leggenda di san Torpé diceva aver edificato quel cielo per accrescere il suo prestigio presso i Pisani. Ai quali Machiavelli evidentemente si riferiva col pronome enclitico, quando, riassumendo l’argomento della leggenda, scriveva: « Nero- ne fece un cielo per commandarli». Ed anche, con questa frase, mo- strava di attribuire a Nerone l’intenzione di servirsi della religione come strumento di regno. Se non sbaglio, anche da queste poche osservazioni si pud intrav- vedere quali caratteri — ove Pottava fosse opera di Machiavelli — avrebbe avuto la progettata sua sacra (e, certamente, non piti sacra che politica) rappresentazione. Quanto basta, in verita, per dolerci o che egli non l’abbia scritta o che essa a noi non sia pervenuta. 2. Le «VIE EXTRAORDINARIE > DI AMORE Nella lettera del 16 gennaio 1515, Francesco Vettori parla dell’a- mote di Machiavelli. La lettera @ responsiva ad una, a noi non per- venuta, in cui Machiavelli doveva aver rivelato al Vettori — secondo che, nella lettera del 3 agosto 1514, gli aveva detto avrebbe voluto 225 MARIO MARTELLI dirgli — quali princfpi quell’amore avesse avuto, con quali reti Amo- te lo avesse preso, dove le avesse tese, di che qualita fossero state. A proposito di questo amore penso il Ridolfi trattarsi della sorella del vicino in villa di Machiavelli, Niccold Tafani, per la quale, abbando- nata dal marito, il Machiavelli aveva scritto una letterina —I’ unica la- tina di tutto il suo epistolario - al Vettori, onde costui perorasse la sua causa presso chi di dovere ed ottenesse un qualche prowvedi- mento per cui l’uomo fosse costretto 0 a ritornare presso la moglie © a restituire la dote e risolvere legalmente il vincolo coniugale. Scrisse il Ridolfi: [.-.] il carteggio col Vettori si ravvivava. Nel giro di due giorni, due lettere andarono da Sant'Andrea alla volta di Roma; oltre a quella gia deta in rac- comandazione del Tafani, o piuttosto della sorella di lui, la quale, abbando- nata dal marito, voleva in un modo o nell’altro risolvere il suo caso coniu- gale: ¢ nessuno mi leva di testa che proprio costei fosse la bella del nostro Segretario. Qua nihil est in hoc nostro rure suavius, sono infatti parole della commendatizia riferite alla famiglia Tafani; ma é una specie di sineddoche, si capisce, nella quale il tutto @ posto per la parte: al Machiavelli doveva es- sere soave soprattutto un membro di quella famiglia. Delle due lettere che ho detto, mandate in due giorni, una fu per domandare certo stamettio az- zurro per un paio di calze; e ben faceva l'amico a scrivere di non voler do- mandare a chi fosse destinato, anche perché non ci voleva molto a capir- Jo!30 Nella lettera latina,> infatti, il Machiavelli, spiegando perché fosse cost sollecito in questa raccomandazione, diceva ad un certo punto: «Movet enim nos cum iustitia, quae causam hanc nostram fovet, tum presentis viri totius familie alacritas, qua nihil est in hoc nostro rure suavius ». La congettura del Ridolfi mi appare poco approvabi- le; e prima di tutto perché nient’affatto sicuro sembra che Machia- velli fosse invischiato in un amore eterosessuale, molte cose, al con- trario, concorrendo, gia in questa lettera del Vettori, a farci sospetta- 30. Cf. R. Ripous, Vita di Niccolo Machiavelli, Firenze, Sansoni, 19693, pp. 250-ST. 31. Vedila nella mia edizione di Tutte le opere di Niccold Machiavelli, Firenze, Sansoni, 1971 (d'ora in poi citata con il semplice Opp), p. 1180a-b. 226 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA, re, se non concludere con certezza, che egli si fosse invaghito d’un giovinetto: «E’ sono pitt mesi che io intexi benissimo in che modo amavis, dice il Vettori. Ci si chiede che cosa significhi quell’ «in che modo»; ¢ se impossibile &, certo, scartare spiegazioni di altro tipo, che l’espressione cioé debba riferirsi alla profonda intensita ed alla furiosa violenza di una passione per una persona dell’altro sesso; es- sa, tuttavia, sembra ben pid appropriata se usata non in relazione al- la appassionata forza, bensf alla particolare natura di quell’amore; ¢ potrebbe far pendere, almeno un po’, la bilancia a favore di questa interpretazione quell’«e’ sono piti mesi che io intexi benissimo», decisamente allusivo a qualcosa che solo allora gli era stato esplici- tamente rivelato, ma di cui si era ben accorto da tempo; ¢ questo potrebbe con qualche difficolta riferirsi alla intensita della passione. Peccato, viene spontaneo di recriminare, che la sorte ci abbia sot- tratto la missiva di Machiavelli a cui questa del Vettori era respon- siva. La missiva di Machiavelli, comunque, manca; e il sospetto sulla natura dell’amore di cui in essa si parlava resta per ora un semplice sospetto, anche se non proprio una mera possibilita. Ecco infatti che, subito dopo, il Vettori cita il v. 69 della seconda egloga virgiliana — «A, Corydon, Corydon, quae te dementia cepit! » -, in cui Ja follia di Coridone & quella, amorosa, per il giovane Alessi, da cui il pastore & travolto. Certo, neppur questo é decisivo; ma il sospetto si addensa: sicché, se non mi sbaglio, quella che pur poco fa avevamo negato es- sere una mera possibilita assume ora i pur vaghi contorni di una probabilita: I’ha fatto senza pensarci, il Vettori, di citare una frase di Coridone? oppure, con tanta poesia amorosa a disposizione, Orazio Catullo Properzio e qualcuno di questi poeti minori come Ovidio e Tibullo, gli @ invece sembrato ben a proposito non tirare in ballo se non Virgilio, ¢ il Virgilio della seconda egloga? Che se, infatti, vole- va restare a Virgilio e alle Bucoliche e accusar di pazzia Machiavelli, perché non volle apostrofare l’amico identificandolo, invece che in un Coridone innamorato d’Alessi, in un Gallo innamorato di Lico- tide, utilizzando, dalla decima egloga, il primo emistichio del v. 22: «Galle, quid insanis? »? 227 MARIO MARTELLI Poi — continua il Vettori -, pensando intra me medesimo che questo mon- do non é altro che amore, o, per dir piti chiaro, foia, mi ritenni; e sono ito considerando quanto li huomini in questo caxo son dischosto chol chuore a quello dicono cholla bocha, Ha un padre il fighuolo, e dice volerlo nutrire honesto: non di meno gli chomincia a dare un maestro che tutto di stia con lui et che habbi commodita farne a suo modo, ¢ gli lascia leggere qualchoxa da fare risen- tire un morto. La madre lo pulisce, lo veste bene, accid che piaccia pit. Quando chomincia crescere, gli da una camera terrena, dove sia cammino e tutte le altre commodita, perché possa sguazzare a modo suo, e menarvi ¢ condurvi chi gli pare. E tutti facciamo coxt, et errano in questo piti quelli a’ quali pare essere ordinati: ¢ perd non @ da maraviglarsi ch’e nostri giova~ ni sieno tanti lascivi quanto sono, perché questo procede dalla pessima educatione. Ef voi ¢ io, anchor che siamo vechi, riteniamo in qualche parte e chostu- mi presi da giovani, et non ¢ rimedio. Duolmi non essere chosti, perché potes- simo parlare insieme di queste coxe et di molte altre.* Strana, in verita, ed ambigua prosa, questa del Vettori. Che cosa vuol dire, ad esempio, quando dice che un maestro, stando tutto il giorno con un giovinetto, ha commodita farne a suo modo? Si riferisce forse al- la possibilita che ha il maestro di educare il ragazzo secondo che crede meglio e in maniera da risvegliare in lui il desiderio sessuale? E possibile; bisognera, tuttavia, convenire che l’espressione sareb- be ben altrimenti appropriata se il Vettori avesse inteso alludere ad un maestro che — come d’altronde allora, e in quell’ambiente, se non assai frequente, cra almeno tutt’altro che eccezionale — abusas- se del giovinetto affidato alla sua educazione. Senza andare a cerca- re molto lontano, bastera tornare alla lettera che lo stesso Vettori aveva mandato al Machiavelli il 18 gennaio di quel medesimo 1514, € tileggere come Filippo Casavecchia, tanto interessato ai giovinetti quanto alieno dalle femmine, si comportava col quattordicenne fra- tello della bella Gostanza onde dar principio all’espugnazione di quell’adolescenziale fortezza: « Filippo anchora chol maschio non si stava, con certe parolette acomodate, chol domandare se studiava, se havea maestro e, per entrare piti a drento, interrogava se dormiva chon esso, in modo che spesso il vergognoso fanciullo abassava il viso sanza risponder- 32. Cfr. Opp., pp. 189b-90a. 228 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE PORTA liv33 A questo, immancabilmente, si fa capo quando si tratta di maestro e di fanciullo. D’altronde, anche quando parla delle cure poste dalla madre nel pulire il figliolo e nel vestirlo bene, acid che piaccia pit, non tanto il Vettori sembra alludere ad una bellezza ca- pace di attirare lo sguardo delle donne — tanto piti perché queste cu- re al ragazzo sono dedicate prima che egli cominci a crescere e, quindi, ad avere un’eta adatta per piacere alle donne — quanto quello degli uomini. Né si potra negare come sia tutta la pagina a suscitare que- st’impressione d’ambiguita, che il Vettori stia parlando di una non decisamente differenziata sessualita, di una trafila insomma che, alla maniera delle civilta precristiane, preveda un’iniziazione, per cosi dire, passiva, ed una continuazione attiva, non necessariamente e non solamente eterosessuale. E sulla spinta di queste osservazioni che ci chiediamo se — quando Machiavelli, nella lettera del 3 agosto 1514, aveva scritto al Vettori: «Et non crediate che Amore a pigliarmi habbia usato modi ordinarii, perché, conoscendo non li sarebbono bastati, tenne vie extraordina- tie» ~, parlando della eccezionalita dei modi e dei mezzi con cui Amore lo aveva catturato, si riferisse alle qualita eccezionali dell’ og- getto amato, o non piuttosto ad altra eccezionaliti e, insomma, al sesso di quell’ oggetto; e ci viene il dubbio che non proprio di un semplice ed innocente modo di definire quest’ oggetto si trattasse, quando Machiavelli ad esso si era riferito, non con un deciso fem- minile «donna», ma con quella sorta di neutro che & creatura: « per- ché, standomi in villa, io ho riscontro in una creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile », ecc.; ¢ andiamo anche riflettendo che un regalo di calze ~ e il Machiavelli aveva chiesto al Vettori (come risulta dalla lettera di quest’ultimo del 15 dicembre 1514) dello sta- metto azzurro per regalarne un paio ~ era piti frequente per un uo- mo che non per una donna.3+ 33. Ibid., p. 1166b. 34. Anzi, ai latori di una buona notiziauomini, di norma, non donne-,si usava regalare appunto tn paio di calze (che con questo termine s'indicassero le calze ve~ re € propri¢ 0, come ritiene il GDLI, sub voc. calze, 14, i calzoni): donde, il proverbio «Non é nuova da calze », come risulta anche dallo stesso Machiavelli (C! 229 MARIO MARTELLI Ma, in questa lettera, quello che, in ordine al problema che qui mi occupa, pitt ci colpisce la doppia espressione Modi ordinarii e vie extraordinarie. Nell’ ambito del linguaggio erotico, al cui studio Jean Toscan ha dato con i suoi quattro volumi un primo contributo con risultati di eccezionale importanza,%5 il sostantivo modo, unito ad un aggettivo che indichi la norma, I uso, la legge, 0, viceversa, insolito, Pabnorme, Pillecito, si riferisce al tipo di rapporto amoroso, secon- do o contro natura. E ne produrré un paio d’esempi, non ricordati dal Toscan. Atteso che la pioggia, la nebbia, il vento e, in genere, il maltempo sono simboli di cui l’operatore si serve per indicare il periodo me- struale,3¢ il primo verso e la conclusione di un sonetto caudato di Francesco d’Altobianco degli Alberti non lasciano dubbi sul loro si- gnificato: se nella coda del sonetto il pocta c’ informa come e perché egli si astenga con ogni cura da rapporti secondo natura, e, per in- formarcene, usa due nomi parlanti, ’ uno dei quali gia introdotto dal Boccaccio e l’altro di boccacciana ascendenza% (« Né gnun ci é che s’appressi / Verso Montificalli e Cavigliano, / Perché ce’| vieta il tem- po orrido e strano»), la causa denunziata nell’ ultimo verso era gia stata anticipata nel primo verso del sonetto: «Noi ci stiam mézzi mézzi al modo usato»; che é come dire che, al modo usato, ove cio’ il rapporto sia secondo natura, ’effetto é di stare mézzi mézzi, ?'inzup- parsi. Non diversamente, nel ritornello di una ballata di Lorenzo, la cui amphibolatio studiai io stesso qualche anno fa, un marito dichia- rava alla moglie, che se ne doleva, di essere deciso a non cambiare mai modo, quello cioé di sodomizzarla, ripetendo questa sorta di pa « Andianne in casa, ¢ fa’ questa imbasciada tu a questa povera fanciulla, che non fia da calze»). 35. Cfr.J. Toscan, Le carnaval du langage. Le lexique érotique des pottes de léquivoque de Burchiello a Marino (XV'-XVLI siécles), Lille, Presses univ. de Lille, 1981. 36. Ibid., 1 pp. 263-66. 37. Per Montificali, cfr. Ninfale fiesolano, 245 1-2: « Ma poi che messer Mazzone ebbe avuto / Montificalli»; quanto a Cavigliano, esso ¢ toponimo, probabilmente im- maginario, formato sul sostantivo caviglia, nel significato di ‘membro maschile’ (cfr. Decameron, Conclusione dell'autore, 5), € sul suffisso -ano, importantissimo in topono- mastica. 230 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA rola-chiave nell’ultimo verso: «Tu dirai quel che dico io: / Che sia questo il miglior modo».38 Non sara necessario, invece, portare e- sempi per l’analogo vie extraordinarie, bastando rinviare al Toscan e alle citazioni che egli fa di vie strette (ben si capisce, in opposizione a vie larghe, quali esse siano), di vie sicure e nette, di vie buone, ec. I modi ordinari € le vie extraordinarie ci portano insomma verso Pambito gergale e allusivo del linguaggio erotico, a quello stesso linguaggio gergale ed allusivo che tanta parte ha nelle lettere di questo gruppo especialmente in quella del 25 febbraio 1514 a Fran- cesco Vettori con la relazione sulla strabiliante metamorfosi ¢ sul- Pavventura notturna di Giuliano Brancacci.3? Né 0 il Machiavelli o il Vettori hanno ’aria di scandalizzarsi o di meravigliarsi di fronte alle abitudini sessuali di un ser Sano o di un Filippo Casavecchia. Dvaltronde, per quanto ci si sia dati da fare, né io saprei né altri, cre- do, saprebbe spiegare altrimenti se non come dichiarazione di pre- ferenza accordata ai modi extraordinari la frase su cui richiamé l’at- tenzione Roberto Ridolfi nel corso di una nota che, dedicata alla questione che qui c’interessa e scaturita dall’affermazione che a Machiavelli « vizi notabili non possono essere imputati, se non libi- dine di femmine», sara utile riferire per intero: Nessuno ch’io sappia ha mai sospettato il M. di aver ceduto al vizio del tempo ¢ del luogo, “il vizio fiorentino”. Qualche dubbio in proposito po- trebbe essere suscitato dalla sua canzonetta Se avessi arco e ale, / Giovinetto sgiulio, da certe parole di una lettera a Francesco Vettori (dove, fingendo fa- cetamente spavento per una delle famose prediche di frate Francesco da Montepulciano, scrive: «Io avevo andare questa mattina a starmi con la Riccia, ¢ non vi andai, ma io non so gia se io avessi avuto a starmi con il Riccio se io avessi guardato a quello») e infine a una generica affermazio- ne del pettegolo ¢ maledico Busini (Lettere a B. Varchi ecc., Firenze, Le Monnier, 1860, p. 84) che egli fu « disonestissimo nella sua vecchiaia ». Ma 38. Cfr.M. Maret, Un caso di « amphibolatio »: la canzone a ballo ‘Ragionavasi di sodo’,in AAVV., Lorenzo de’ Medici. Studi,a cura di G.C. Garracnint, Firenze, Olsch- ki, 1992, pp. 309-37. 39. Toscan, Le camaval, ecc., cit., 1 pp. 1583-86 (par. 1145-46), dove si decodifica- minutamente e, tuttavia, non completamente ~ il gergo di cui si serve Machiavelli. 231 MARIO MARTELLI @altra parte nelle sue opere vediamo deprecata la soddomia; molti docu- menti ce lo mostrano tutto volto alle femmine e altri ci testimoniano che Iacopo Salviati, odiatore acerrimo di quel vizio (cfr. Busini, op. cit., p. 89 sg.), desiderava sommamente Niccolé per segretario del figliolo cardinale, cui proprio negli stessi giorni (maggio 1512) rimproverava acerbamente di tollerare nella sua corte chi di soddomie si compiacesse, se non altro, parla- re: sopra di che tornerd quando con la narrazione sard venuto a quel tem- po. Bisogna dunque concludere, senza escludere certamente la possibilita di qualche singola curiosita ed esperienza, che il M. fosse, quasi solo fra i stoi amici (fra i quali, perd, eccedevano Donato del Corno e Giuliano Brancacci), affatto netto di questo vizio. Tanto piti che, considerando bene la molto generica espressione del Busini, la quale almeno in qualche parte comprende anche il vizio della gola, sembra si debba piuttosto riferitla ai suoi senili amori per la Barbera, che gli furono rimproverati in quegli anni anche da altri contemporanei. La canzonetta, poi, pud anche essere stata scritta a istanza di qualche amico (forse proprio di quel Donato del Corno, che alquanto lo sovveniva), come egli altre volte compiacentemente fece: anzi, ¢a stanza della Barbera », ne scrisse persino in persona di una femmi- na, per intrattenere e vezzeggiare un giovane innamorato! E quelle parole della lettera al Vettori, che paiono Pindizio pitt grave, non possono manife- stamente bastare da sole a infamare un uomo che tante volte cogliamo nel- lato spavaldo di farsi grande, con gli amici, di vizi che manifestamente non ebbe. Anche in quel caso del Riccio non deve essergli spiaciuto di ostentarsi intinto in quella pegola che tutti invischiava intorno a lui, tanto pitt che era il gioco delle parole a tentarvelo ed a condurvelo. Non del tutto sicuro delle sue conclusioni dovette essere il Ridolfi stesso, se neppur lui si sentf di escludere la possibilita di qualche sin- gola curiosita ed esperienza. Convincente, infatti, quel che egli di- ceva della ballata mezzana, che poté effettivamente (anche se, vero- similmente, non lo fu) essere stata scritta su commissione, del tutto insufficiente a raggiungere lo scopo prefisso era la spiegazione della frase sulla preferenza che tra Riccia ¢ Riccio, e a parita di condizio- ni, Machiavelli esplicitamente accordava al garzone e negava alla femmina: non si vede perché Machiavelli avrebbe dovuto vantarsi di qualcosa che condannava; e, se tanto era lontano dal condannarlo che egli addirittura se ne vantava, come escludere che il vanto fosse tutt’altro che ingiustificato? Vero é l’opposto: una volta ammesso 232 MACHIAVELLI POLITICO AMANTE POETA che egli potesse vantarsi di questa sua abitudine senza averla, non si vede pitt la ragione di forzare il piano senso della frase per negare che egli quella abitudine avesse davvero. E davvero, Machiavelli |’aveva, e non contenuta entro i limiti di del tutto eccezionali e sperimentali curiosita. E lui stesso che —nep- pur rivelandolo, ma semplicemente ricordandolo, come cosa risa- puta ed ovvia ed a lui ben nota, al Vettori — lo rivela, invece, a noi: ché, tutti, ricordiamo il gruppo di lettere che I’ oratore fiorentino a Roma e |’ex mannerino del Soderino si scambiarono tra fine ’13 € inizio ’14. Nella prima fra quelle che qui c’interessano, scritta la vi- gilia di Natale del 1513, il Vettori informava Machiavelli delle cri- tiche che due amici, Filippo Casavecchia e Giuliano Brancacci, gli muovevano: quello, incallito omosessuale, per ammettere, usanza disdicevole ad un ambasciatore, ogni sorta di cortigiane in casa sua e disonorare cosf se stesso, l’ufficio e la patria; questo, sensibile invece alle grazie femminili e (almeno fino a quel momento) disdegnoso di quelle efebiche, per frequentare un troppo noto pederasta come ser Sano; poi concludeva il Vettori questo capitolo della sua lettera, chiedendo al Machiavelli quale dei due amici gli sembrasse ripren- derlo con maggiore ragione, e non gia per ascoltarne il monito, ché era fermamente deciso, lui che si dilettava di femmine, a vivere co- me sempre era vissuto e a cogliere quel che di buono il caso gli met- teva davanti, ma solo per la curiosita di ascoltare il parere del suo corrispondente. EPoccasione di filosofare sul quesito postogli, Machiavelli non se la lascid sfuggire: gli uomini, scriveva al Vettori, sempre pronti a condannare, e senza riserve, i vizi non loro, non esitano a scusare le colpe in cui anche loro incorrono; Filippo Casavecchia, verbigrazia, era pronto a levare al cielo una frequentazione come quella di ser Sano, Giuliano Brancacci niente avrebbe trovato da biasimare se a casa l’ambasciatore si fosse dato convegno tutto il bordello di Valen- za. Voleva il magnifico oratore la controprova dell’ assunto? che pro- vasse ad immaginare quel che sarebbe accaduto, se, fingendo di se- guire i precetti dell’ uno e dell’altro amico, chiusa la porta di casa ea ser Sano e alle dame, si fosse dato ad una vita grave e cogitativa: 233 MARIO MARTELLI F’ non sarebbono a verun modo passati quattro df ~ andava il Machiavelli congetturando sul sicuro -, che Filippo arebbe cominciato a dire: « Che & di ser Sano? Che vuol dire che non ci capita piti? Egli @ male che non ci venga; a me pare egli uno huomo dabbene: io non so quel che queste bri- gate si cicalano, et parmi che egli habbia molto bene i termini di questa corte, et che sia una utile bazzicatura. Voi doverreste, ambasciadore, man- dare per lui». Né Paltro riprensore, mutato quel che mutato doveva essere, sareb- be stato da meno: II Brancaccio non vi dico se si sarebbe doluto et maravigliato della absen- zia delle dame, et, se non ve lo havessi detto mentre che egli havesse tenu- to volto il culo al fuoco, come harebbe fatto Filippo, e’ ve lo harebbe detto in camera da voi a lui, Queste, dunque, le reazioni che il Machiavelli immaginava avreb- bero avuto i due amici nella ipotetica disposizione del Vettori alla pensosa gravita: l’uno di essi, omosessuale, si sarebbe lamentato del- Passenza di un omosessuale; I’altro, puttaniere, lamentato si sarcb- be, invece, della latitanza di puttane. Machiavelli, tuttavia, non si ferma nella sua ipotesi a questi due casi opposti, ma, ad essi, ne fa se- guire un terzo; ed & quello suo proprio: Et per chiarirvi meglio, bisognava che in tal vostra disposizione austera io fussi capitato costi, che focco e attendo a femmine; subito avvedutomi della co- sa, io harei detto: Ambasciadore, voi ammalerete; e’ non mi pare che voi pigliate spasso alcuno; qui non ci @ garzoni, qui non sono femmine, che casa di cazzo & questa? Vien fatto, a prima vista, d’intendere quel tocco come strettamente legato ad attendo, e dai due verbi, and yowot, far dipendere il com- plemento a femmine.#° Ma una tale interpretazione é del tutto in- soddisfacente: se solo a femmine Machiavelli avesse atteso, perché avrebbe pensato di dovere aggiungere a quello del Brancacci, che, 40. G, Bardazzi (N. Macutavet, Dieci lettere privare,a cura di G. Barpazzi, Ro- ma, Salerno Editrice, 1992, p. 109), dando a tocco il significato di ‘ho rapporti carnali’, sembra intendere in questo modo. 234

Potrebbero piacerti anche