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Economie Gino Massullo nel presentare il primo numero di Glocale sottolineava le ragioni che avevano portato un gruppo di studiosi, i cui percorsi di vita e di ricerca si sono incrociati in una delle pi piccole e trascurate (storiograficamente parlando) regioni del nostro Paese, a dar vita ad una progetto che una volta tanto, partisse dalla periferia, per offrire occasioni di approfondimento su tematiche di carattere generale, o comunque rilevanti nellattuale dibattito storiografico. La scelta del primo tema di riflessione, quello delle identit locali, era stato per questo quasi obbligato e particolarmente impegnativo a partire da una regione come il Molise, che ha ancora oggi forti problemi identitari. Il risultato stato a nostro avviso interessante e in questo numero proviamo a spostare la riflessione sul piano delle economie locali. Un riconoscimento della propria identit appare, infatti, oggi ancora pi importante che in passato, perch la consapevolezza delle proprie peculiarit sia culturali, sia soprattutto produttive, potrebbe aiutare il nostro paese a trovare unalternativa al modello globalizzante ormai in crisi1. La ripresa del dibattito sullo sviluppo locale era avvenuta, tuttavia, ben prima che esplodesse questultima crisi, e anzi in Italia era stato semmai stimolato dalla crisi dei distretti industriali e di quello che era stato definito il modello italiano allindustrializzazione, modello che alla lunga non erano riuscito a tenere il passo di fronte al procedere della globalizzazione2. Laumento negli ultimi dieci anni delle ricerche sul tema del radicamento territoriale dello sviluppo economico italiano ha comunque contribuito a creare una particolare temperie che ora potrebbe rappresentare il presupposto per mettere alla prova quanto finoggi stato suggerito ed auspicato. Serge Latouche, una decina di anni fa, affermava in effetti che i danni causati dallestensione di una visione meramente economicistica delle relazioni sociali fra soggetti e fra paesi, cui si pu in fondo ricondurre seppur semplificando la
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Si vedano le riflessioni contenute in Jerry Mander e Edward Goldsmith, a cura di, Glocalismo. Lalternativa strategica alla globalizzazione, Arianna Editrice, Bologna 1998, gi pi di 15 anni fa quando molte di queste controindicazioni venivano considerate dai pi come infondate e passatiste. 2 Francesco Cossentino, Frank Pyke, Werner Sengenberger, (a cura di), Le risposte locali e regionali alla pressione globale: il caso dellItalia e dei suoi distretti industriali, Il Mulino, Bologna, 1997.

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globalizzazione o mondializzazione delleconomia, si potevano ricomporre solo attraverso un reinserimento delleconomico nel sociale, ovvero in un riradicamento locale3. Un processo che appariva, tuttavia, gi allora non facile n tantomeno rapido, perch un ritorno al locale, dopo anni di mortificazione dei valori che esso rappresentava, richiedeva prima di tutto una nuova rivoluzione culturale prima ancora che economica. Se vero, infatti, che ecologisti di fama mondiale come Edward Goldsmith ritenevano e ritengono evidente ed indiscutibile che leconomia globale emargina e impoverisce in larga misura una grande porzione della popolazione appartenente sia al mondo industrializzato, che ai c.d. paesi in via di sviluppo4, anche vero che un ben diverso convincimento ha ormai da decenni permeato a fondo la cultura occidentale e soprattutto le politiche economiche dei governi e delle istituzioni internazionali che da essi promanavano. Oggi per le cose sono cambiate e, in seguito agli effetti devastanti che in molti paesi ha avuto la crisi internazionale, lalternativa localista alla globalizzazione viene presa pi seriamente in considerazione. Ma si tratta di unalternativa ancora in gran parte da costruire a livello transnazionale, e soprattutto ovviamente a livello locale. Il caso molisano analizzato in questo numero della rivista offre in qualche misura una prova di tale difficolt, ma potrebbe offrire significativi spazi di riflessione per pianificare in modo pi appropriato il futuro di questa piccola regione. Entrando in medias res la prima considerazione che emerge dalla lettura dei contributi presentati in questo volume la constatazione del fatto che la ridotta partecipazione delleconomia molisana al globale, ha finito quasi per proteggerla dagli effetti negativi dalla crisi internazionale, anche se ora non pi possibile non accorgersi che anche le imprese molisane sono in sofferenza, e non solo loro. dunque finalmente iniziato nella regione un ragionamento a livello istituzionale su quelle che dovrebbero essere le strategie di intervento anticongiunturale, ma sarebbe auspicabile che la riflessione si allargasse, nei soggetti coinvolti come nei contenuti, anche allambito strutturale. La crisi potrebbe rappresentare, in altre parole, unopportunit di trasformare un modello di sviluppo locale spesso poco lineare e convincente, e sicuramente oggi non pi percorribile, in qualcosa di nuovo, partendo ad esempio da una rielaborazione delle vocazioni tradizionali del territorio. Lindustrializzazione, inseguita negli anni settanta attraverso la creazione dei tre grandi nuclei di sviluppo industriale (Termoli-Contrada del Re, Campobasso-Boiano, Isernia-Pettoranello), fu realizzata quasi esclusivamente grazie ad un consistente intervento statale e mostra oggi tutti i suoi peccati originari. Seppur con diverse argomentazioni, sembrano non a
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Sergie Latouche Prefazione, in J. Mander e E. Goldsmith, Glocalismo, cit., p. 19. P. Walker. E. Goldsmith, Una moneta per ogni comunit, ivi, p. 247.

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caso concordare su questo punto sia i rappresentanti delle istituzioni locali (Vitagliano), sia i rappresentanti del mondo imprenditoriale (di Laura Frattura, De Gregorio, Di Nucci), sia gli esponenti del mondo universitario, intellettuale e politico (Cannata, Lombardi, Mignelli) intervistati da Antonio Ruggieri in occasione della tavola rotonda su Il Molise e la cura della crisi pubblicata in questo numero. Il quadro delleconomia regionale, come emerge dai summenzionati interventi e anche dai contributi raccolti nella sezione di storia molisana (sezione che in questo numero risulta particolarmente ricca) appare infatti essersi trasformato soprattutto nellultimo mezzo secolo (o meglio negli ultimi trenta anni), senza tuttavia, mai realmente acquisire fino in fondo i tratti della modernit. Un modernizzazione incompleta sotto vari aspetti, ma soprattutto sotto il profilo dellacquisizione di una cultura industriale in grado di reggere il confronto con il mercato nazionale ed internazionale, o in alternativa di elaborare modelli diversi di sviluppo locale. I distretti, che si sono sviluppati in quegli stessi anni in aree contermini e molto simili come vocazioni produttive, non hanno trovato in fondo in Molise terreno fertile neanche negli anni passati5. La presenza di una grande impresa come la Fiat nella regione, se ha determinato unimpennata nel numero degli occupati nel settore industriale, sovvertendo una volta per tutte il primato del settore agricolo, non riuscita a trascinare con s uno sviluppo industriale con caratteri propri. La mancanza di un qualsiasi rapporto tra la debolissima tradizione manifatturiera locale e le produzioni delle nuove imprese non fu considerata allora rilevante, anche se, di fatto, rese pi difficile non solo la creazione di un indotto di qualche rilievo, cos come la costruzione di distretti industriali che avessero una tenuta maggiore di quella dellunica grande impresa, pi o meno assistita dallo Stato. Il contributo locale, soprattutto nel nucleo di Termoli, dove dominava la Fiat, si limit quasi esclusivamente alla fornitura di manodopera, ma non si riusc a creare un sistema produttivo n locale n tanto meno regionale integrato e auto-propulsivo. Al contrario la presenza di un nucleo di industrializzazione nel Basso Molise, nonostante la successiva ma meno efficace attivazione di altre due nuclei a Campobasso-Bojano e ad IserniaPettoranello, accentu il divario tra le aree interne e pi svantaggiate e le aree pi favorevoli allallocazione e quindi di fatto prescelte per questo processo di industrializzazione dallalto. ll permanere di questo forte dualismo territoriale e strutturale potrebbe, tuttavia, da limite trasformarsi in un vantaggio se si riuscisse a recuperare reinventandole parte delle tradizioni
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Lorenzo Zanni, Modelli imprenditoriali e processi di sviluppo aziendale nei Distretti Industriali: il caso delle imprese produttrici di ferri taglienti di Frosolone, Universit degli Studi del Molise, Dipartimento SeGeS, Quaderni di Studi aziendali, 1993.

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produttive locali non ancora scomparse. La ricerca di posizioni di nicchia gi operata da alcuni imprenditori molisani, come evidenziano sia Paolo di Laura Frattura, sia Rosa Fanelli, ha gi dato risultati positivi, ma questa scelta non dovrebbe rappresentare solo una strategia perseguita a livello individuale; essa dovrebbe piuttosto inquadrarsi in una programmazione di medio-lungo periodo delleconomia regionale. Valorizzare le specificit locali non significa ovviamente guardare indietro, come spesso i molisani hanno fatto nei momenti critici del passato, ma guardare avanti investendo comunque nella ricerca di processi innovativi sia sotto il profilo della produzione che della organizzazione della stessa. Su questo fronte la storia della regione ci racconta troppo spesso di una resistenza al cambiamento. In passato le difficolt a modificare le pratiche agricole e colturali, in tempi pi recenti quelle a modificare le forme di produzione. A parte poche eccezioni, le imprese molisane, anche quelle di medie dimensioni, hanno ad esempio in questultimo decennio, raramente puntato con convinzione sullinnovazione e soprattutto ancor pi raramente sono state in grado di proiettarsi in maniera convincente fuori dai confini regionali. Data la dimensione media molto piccola della maggior parte delle imprese locali, la loro storica difficolt a consorziarsi ha reso difficile il superamento di molti ostacoli, non ultimi quelli connessi allaccesso al credito. Emblematiche, seppur di segno opposto nelle scelte e nei risultati, delle incertezze strategiche di questa comunit industriale appaiono le esperienze imprenditoriali della Colavita s.p.a. e della Molisana di alcun anni fa, raccontate nelle interviste di Andrea Quintiliani e Maddalena Chimisso ad Andrea Colavita e a Gianfranco Carlone. Ma molti altri potrebbero essere gli esempi possibili di questo oscillare fra linternazionalizzazione spinta e il localismo estremo. Un tentativo di far ricostruire agli stessi interessati le ragioni di un percorso dimpresa ricco di suggestioni e di successi, ma purtroppo non sempre in grado di reggere nel tempo. Pi confortanti le testimonianze che provengono, non a caso, dal settore turistico, pi recente nel suo progressivo affermarsi e forse pi attento a tenere il passo con il mercato. Le vicende de La Piana dei Mulini, raccontate da Camillo Marracino, ne possono fornirne un esempio. Si tratta di un modo di fare turismo ancora poco diffuso fra gli operatori del settore. Infatti anche nel turismo, sul quale si punta oggi fortemente ai fini di una rilancio delleconomia regionale, continuano a prevalere le attivit gestite e pensate nel modo pi tradizionale possibile. E questo approccio passatista diffuso sia livello dei singoli imprenditori, che delle comunit che degli enti locali, con risultati che sono davanti agli occhi di tutti. Per questa ragione la costruzione di circuiti di valorizzazione e commercializzazione del territorio molisano nel suo complesso anche ancora in gran parte da realizzare e si pu solo auspicare che lo si faccia al pi presto

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con una progettualit condivisa tra soggetti istituzionali, attori privati, imprenditoria e, soprattutto, comunit locali. Solo una progettualit di questo tipo potr essere infatti in grado di proiettarsi verso scenari anche translocali, o come suggerisce Letizia Bindi, tenter di concretizzare percorsi transnazionali di cooperazione e interazione. La rivendicazione del valore del locale non deve significare infatti un atteggiamento di chiusura rispetto al globale, il quale pare invece una tentazione forte in una regione come il Molise che preferisce sempre giocare in difesa. un errore frequente quello di credere che la glocalizzazione ponga laccento soprattutto sul locale e la globalizzazione sul globale. Come ci ricorda persino Wikipedia la glocalizzazione, pur ponendo idealmente il micro gruppo alla base della sua analisi, cosciente che esso cresce, si sviluppa, interagisce con gli altri gruppi sempre pi complessi fino ad arrivare alle complesse realt globalizzanti di oggi, mentre Il significato della parola locale si espande di fatto inglobando senza confondere realt locali che rimangono a tutti gli effetti sottosistemi significanti. Restando in campo turistico, nonostante le dichiarazioni dintenti, appaiono oggi evidenti le difficolt a progettare in maniera integrata lofferta turistica regionale. Una curiosa ricorrenza di buoni propositi, di progetti, di iniziative episodiche e poco coordinate sembrano connotare la storia del turismo molisano dellultimo mezzo secolo. Quando Marinangela Bellomo ci propone la lettura delle relazioni prodotte negli anni del fascismo dagli esperti in materia turistica per realizzare lo sviluppo di localit come Capracotta, Agnone o Termoli, sembra di leggere stralci dei pi recenti piani regionali di sviluppo turistico. Identici i problemi (i trasporti, laccessibilit, i servizi), simili gli obiettivi (valorizzazione del molte risorse paesaggistiche, culturali e archeologiche), analoghi gli strumenti suggeriti (guide, pubblicazioni, pubblicit), speriamo solo diversi i risultati! E se per decollare la costa termolese si avvantaggi delle nuove leggi, emanate proprio durante gli anni trenta dal regime, per favorire lo sviluppo delle localit balneari italiane, anche vero che da allora lofferta turistica molisana non stata in grado di seguire neanche da lontano levoluzione della similare offerta turistica del costa adriatica. Oggi Termoli e dintorni, rischiano di perdere terreno e non solo rispetto a localit come Rimini o Riccione, che partirono subito con una marcia accelerata, ma anche nei confronti delle vicine localit abruzzesi e marchigiane. Come suggerisce Angelo Presenza, piuttosto che perseverare su modelli ormai superati, sarebbe ora di pensare ad unarticolazione del sistema di offerta turistica regionale che non si limiti al mare ma che si sforzi, con maggiore convinzione di quella che si dimostrata finora, di ampliare e diversificare territorialmente i suoi contenuti. La difesa dellesistente, che sembra essere il credo di molti operatori turistici molisani, e forse anche di alcuni politici, non la

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scelta migliore e rischia di fare danni ancora peggiori in futuro. Cos come poco efficaci sono gli interventi a pioggia. In realt leconomia molisana nel suo complesso appare ancora troppo condizionata da un modello di sviluppo di tipo assistenziale che si manifesta nel peso, fra i settori economici che producono ricchezza e danno occupazione, assunto dalla pubblica amministrazione dal secondo dopoguerra ad oggi (Petrocelli). Un peso preponderante sia se si considerano gli occupati nel suo ambito e il valore aggiunto realizzato, sia se si considera che la essa anche la principale destinataria/cliente dellattivit economica dei privati (di Laura Frattura). Pi che la crisi del sistema delle imprese sulleconomia regionale incominciano infatti a pesare oggi i tagli nei trasferimenti dallo Stato alle Regioni, oltre che tagli nei bilanci di molti enti pubblici. La rimodulazione della politica economica centrale ha infatti unimmediata ripercussione su una realt, come quella molisana, abituata a contare moltissimo sul sostegno diretto ed indiretto dello Stato. E che ora anche in campo agricolo subisce gli effetti della nuova linea adottata dalla Comunit Europea non pi improntata al sostegno dei prezzi, e quindi dei redditi agricoli, ma ad una maggiore razionalit delle scelte produttive, le difficolt del settore industriale si sommano a quelle del pubblico e a quelle del settore primario. Le preoccupazioni espresse da Massimiliano Crisci sul possibile ampliamento degli attuali flussi migratori verso altre aree del paese sono perci pi che fondate. Con le premesse di cui sopra, i giovani molisani si affacceranno con sempre maggiore difficolt sul mercato del lavoro regionale e la discrepanza tra le loro aspettative occupazionali e lofferta del mercato locale pu solo di accrescersi, in assenza di un qualche cambiamento di scenario. Il tentativo di frenare questa mobilit territoriale, oggi forse meno macroscopica che in passato ma comunque presente, passa necessariamente attraverso la costruzione di un progetto di sviluppo locale complessivo e concordato fra tutti gli attori coinvolti, dimenticando prima possibile il modello assistenziale di cui sopra e puntando sullinnovazione, sul miglioramento della dotazione infrastrutturale (nel senso pi ampio, che ricomprende le infrastrutture materiali, immateriali e sistema creditizio), sulla formazione e sulla qualificazione delle risorse umane, utilizzando al meglio quello che la regione gi possiede. Recuperando le suggestioni che scaturiscono dal contributo di Rossano Pazzagli sul rapporto tra sviluppo dei saperi tecnici e sviluppo dellagricoltura fra Ottocento e Novecento, non si pu non costatare che oggi in Molise su questo versante, ovvero quello appena ricordato dellinvestimento sul capitale umano e nellinnovazione, molto ancora resta da fare. Centocinquanta anni orsono le idee e le progettualit dispiegate a livello locale per il miglioramento delle rese dei suoli, per la scelta di rotazioni colturali pi adatte a rigenerare i terreni sfruttati dalla cerealicoltura diffusa, per il radicamento di mi-

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gliorie tecniche, anche elementari, soprattutto per convincere i proprietari alla necessit di investire maggiormente nei loro fondi, si scontrarono con la mentalit ristretta dei pi, ma soprattutto con la scarsit di capitali. Ostacoli aggravati, in molti casi, anche se non sempre, dalla inadeguatezza della classe politica chiamata a gestire e guidare questo delicato processo. Nel secolo successivo i ritardi dellagricoltura locale derivarono anche da questa occasione mancata di travasare nellagire quotidiano saperi tecnici pi moderni. Per questo il Molise, cos come altre realt meridionali, della fine degli anni settanta del Novecento, dopo quasi trentanni di riforma agraria e di investimenti statali in infrastrutture di base, presentava ancora unagricoltura con una percentuale di addetti pi che doppia rispetto a quella nazionale, con una permanente scarsa diffusione delle conoscenze tecniche, con una accentuata polverizzazione e frantumazione fondiaria. Solo nellultimo decennio lagricoltura molisana riuscita a recuperare parte del suo gap nei confronti del resto del Mezzogiorno e del paese, accelerando il suo sviluppo e costruendo pi adeguate filiere agro-alimentari. Tuttavia questa crescita non ha modificato gli indirizzi colturali prevalenti e la cerealicoltura continua a dominare il paesaggio agrario di gran parte delle campagne molisane. Ma soprattutto non si ridotto, anzi si accentuato, sia il dualismo strutturale tra aziende marginali e quelle che riescono a stare sul mercato, sia quello territoriale tra la collina litoranea e le aree interne. Gino Massullo si chiede se unagricoltura con questi caratteri possa essere in grado di gestire in maniera sostenibile le risorse ambientali, realizzando una governance integrata dello spazio rurale, come viene richiesto oggi dalla Comunit Europea. E la risposta molto probabilmente che non in grado di farlo. Tuttavia si tratta di nodi che vanno affrontati, e in tempi brevi se si ha a cuore il futuro del Molise. E vanno affrontati in maniera coerente e mirata perch influenzano a valle le filiere dellindustria agroalimentare locale, che ha dimostrato, invece, in questi stessi anni una significativa capacit di trasformarsi e di crescere, soprattutto in alcuni suoi settori (quello lattiero-caseario, quello dellolio e con alterne vicende quello della pasta). Nonostante la ridotta dimensione aziendale, la dispersione territoriale, la scarsa diffusione di marchi di qualit e la debolezza delle forme si associazionismo come rileva Rosa Fanelli lagricoltura molisana ha dimostrato una rilevante vocazionalit [] con una buona specializzazione a livello di produzione primaria e agroindustriale. I prodotti che escono in particolare dalle filiere lattiero casearie, dellolio e della pasta, pur presentando apprezzabili caratteristiche organolettiche, sono spesso destinati a piccole e piccolissime nicchie di mercato, un mercato talvolta solo potenziale. Tuttavia, la considerazione dei punti di forza e di debolezza delle filiere a tipicit regionale considerate, potrebbe rappresentare una buona base dalla quale partire per meglio impostare e calibrare le politiche regionali.

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Accanto allagro-alimentare, esauritisi in buona misura i sogni legati al decollo della grande industria, il Molise di oggi sembra offrire poche altre alternative sul piano industriale, fatta eccezione forse del settore edilizio. Uneccezione che non stupisce, per le radici antiche che ledilizia ha avuto nel panorama industriale della regione, come emerge gi dai censimenti industriali della fine dellOttocento, ma anche in anni pi recenti. Ed al settore edilizio che non a caso sta ritornando anche il dibattito storiografico nazionale, per la sua rilevanza nel panorama industriale italiano del passato e del presente. Come ricostruiscono, seppur con approcci diversi, sia Roberto Parisi che Gabriella Corona, lindustria edilizia ha cambiato profondamente il paesaggio del nostro paese, ma ha anche negli ultimi decenni recepito sempre pi la questione ambientale. Fino a pochi decenni fa lattenzione allambiente non rientrava se non marginalmente nelle strategie delle imprese, e spesso neanche nella progettazione degli architetti e degli urbanisti. Il Molise poco toccato dallo sviluppo industriale fino alla met degli anni settanta, con una dinamica demografica lenta e con un ridotta dimensione dei suoi centri urbani, si fino ad oggi in gran parte salvato dalla speculazione edilizia e dalla cementificazione selvaggia (a parte alcuni tratti costieri, che sono ancora i pi vulnerabili). Ma il rischio di cedere a questa tentazione in un momento come questo appare forte. Lattenzione alle questioni ambientali diventa viceversa cruciale proprio in una logica di rilancio delleconomia molisana, che nelle dichiarazioni fa leva sulla qualit dellaria, dellacqua, del territorio e del paesaggio. Fra i saggi che cercano di raccontare i punti di forza e di debolezza delleconomia molisana del passato e del presente non poteva mancare un contributo dedicato ai trasporti. La mancanza di una rete di trasporti efficiente appare purtroppo un dato di lunghissimo periodo nella storia della regione. Solo nella seconda met dellOttocento il Molise sembr avere una prima concreta possibilit di realizzare le strade, le ferrovie e non ultimo il porto di cui aveva bisogno, come ci ricorda Maria Iarossi. Ma molti comuni soprattutto quelli montani, hanno dovuto aspettare tempi molto pi recenti per integrarsi appieno nella rete di collegamenti regionali ed intra-regionali. Ancora oggi i collegamenti interni costituiscono un problema irrisolto. I grandi investimenti statali negli anni doro della Cassa del Mezzogiorno, come ricorda tra gli altri Ilenia Pasquetti, furono non a caso destinati inizialmente proprio alle infrastrutture di trasporto. Oggi il problema si pone nuovamente, perch se si punta ad uno sviluppo diffuso del territorio, su di un turismo che risalga dalle spiagge di Termoli verso i centri dellinterno, che segua le strade delolio piuttosto che quelle del vino, che porti i turisti nordeuropei a restare al mare anche quando lestate finita, necessario che ci sia una maglia integrata e funzionante di trasporti (che per secondo me non significa nuove e impattanti infrastrutture).

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Tra i molti temi affrontati in questo numero emergono, infine, quello delle fonti energetiche, in particolare lespansione incontrollata delle pale eoliche sui crinali del Molise, e quello dei rifiuti. Due questioni di rilevanza nazionale e addirittura planetaria, sollevate per lambito regionale da Antonio Ruggieri in occasione della tavola rotonda, ottenendo orientamenti convergenti da parte degli interlocutori. Tra questi, Giovanni Cannata segnala, ad esempio, che lenergia una questione fondamentale e che va affrontata con razionalit, decisione e chiarezza alla programmazione. Come daltronde andrebbero affrontate tutte le questioni che riguardano il futuro di un territorio, che, come Norberto Lombardi giustamente ricorda, ha visto molte scelte e molte risorse investite senza alcuna logica di medio-lungo termine. Oggi il futuro sviluppo delleconomia regionale richiede coerenza e condivisione di intenti e un impegno da parte di tutti, amministratori, imprenditori, societ civile. Un impegno che si vedr speriamo nei fatti, dato che negli intenti, proprio leggendo le pagine di questo numero di Glocale, sembra che tutti siano daccordo. Ilaria Zilli

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