Il GUSTO e l’OLFATTO
Il senso del gusto è mediato da un’unità fondamentale, che trasduce gli stimoli
gustativi, che è il bottone gustativo. Il bottone gustativo è ospitato in 3 tipi di
strutture, chiamate papille gustative. Quindi esistono 3 diversi tipi di papille gustative:
circumvallata, fogliata e fungiforme, che sono distribuite in vario modo sia sulla
superficie della lingua, sia nel palato, nel faringe e nel primo terzo dell’esofago; ma
nonostante la differenza anatomica e strutturale, di fatto l’unità fondamentale dove
sono ospitate le cellule deputate alla trasduzione del gusto è sempre la stessa ed è il
bottone gustativo. Quindi la differenza tra i 3 tipi di papille è una differenza solo dal
punto di vista morfologico, perché di fatto la funzione sensoriale è svolta da un unico
tipo di struttura. I bottoni gustativi sono disposti in maniera diversa a seconda del tipo
di papilla: la caratteristica fondamentale di tutte è che il bottone gustativo è aperto
verso l’esterno, quindi è in comunicazione con il velo di saliva che bagna tutta la
cavità orale e quindi permette alle varie sostanze, che devono essere recepite, di
arrivare fino alle cellule che si occupano della trasduzione.
Noi possiamo riconoscere diverse centinaia di sapori diversi che sono tutti riconducibili
a 4 sapori base, quindi sono 4 classi di composti che danno origine a 4 sapori base,
che sono: acido, salato, dolce e amaro. Perciò tutti i sapori percepiti di fatto nascono
dalla combinazione, in varia proporzione, di questi 4 sapori fondamentali.
ACIDO
Per quanto riguarda il sapore acido, questo è fornito direttamente dalla concentrazione
dei protoni nel cibo e nei liquidi ingeriti. Quindi l’intensità del sapore acido che viene
percepita è direttamente proporzionale al Log della concentrazione dei protoni (Log
[H+]), quindi al pH. Il pH è l’antilogaritmo della concentrazione dei protoni, quindi
l’intensità della sensazione di acido è, in qualche modo, direttamente proporzionale al
pH di ciò che in quel momento viene a contatto con i bottoni gustativi.
SALATO
Il sapore salato è prodotto da sali in forma ionica, che devono essere dissociati,
perché i sali associati non danno origine a nessun tipo di sapore salato. Una
caratteristica particolare del sapore salato è che i cationi e gli anioni (cioè gli ioni
positivi e gli ioni negativi) danno origine, pur essendo entrambi dei sali in forma
ionizzata, a 2 gusti diversi. Quindi è vero che il gusto di salato è dovuto ai sali in
soluzione in forma ionizzata, però di fatto il gusto percepito è diverso a seconda che si
tratti di ioni positivi (cationi) o ioni negativi (anioni).
DOLCE
Il sapore dolce deriva da zuccheri, glicoli, alcoli, aldeidi, chetoni, amidi, esteri e alcuni
metalli pesanti tra cui il piombo (Pb). Il piombo è capace e dà origine alla sensazione
di dolce: non è l'unico metallo pesante in grado di dare la sensazione di dolce ma è
quello che più marcatamente ha un connotato dolce.
AMARO
Il sapore amaro è dovuto quasi esclusivamente a composti organici. Quindi mentre
l'acido e il salato sono dovuti a composti inorganici, il dolce è dovuto a composti
organici ma anche a metalli pesanti, l'amaro è dovuto a composti organici: in
particolare quelli ricchi di azoto, oppure gli alcaloidi. Perché questa differenza? Il
sapore amaro, tra i 4 tipi di sapori fondamentali, è quello più spiacevole e c'è una
correlazione tra questo e il fatto che sia dovuto ai composti organici, perché
potenzialmente i composti più pericolosi per l'individuo (es. neuro-tossine) sono tutti
composti organici; quindi il sapore amaro è una sensazione spiacevole, proprio per
avvertire che il composto organico in questione è potenzialmente tossico per
l'organismo e quindi, se possibile, non va ingerito. Questo è il motivo per cui
solamente i composti organici che appartengono ad alcune categorie (es. chinino,
nicotina, caffeina -in elevate quantità-). Quindi il sapore amaro è una caratteristica di
protezione dell'organismo nei confronti di composti potenzialmente molto dannosi. E'
per questo motivo che alcuni composti organici danno origine alla sensazione di
amaro.
Da questo deriva anche che la concentrazione soglia oltre alla quale si avverte uno dei
sapori è diversa a seconda del tipo di composto:
- acido: pH 3
- salato: 0.01 M NaCl
- dolce: 0.01 M saccarosio
- amaro: 8 10-5 moli/l chinino (sostanza molto amara)
Per avere una netta sensazione di ACIDO il pH deve scendere a 3, quindi si inizia a
sentire il sapore di acido quando il pH della soluzione che viene a contatto con i
bottoni gustativi scende attorno al valore di 3.
Per quanto riguarda il SALATO la soglia è più elevata, sono 10 millimoli/l di NaCl.
Il DOLCE più o meno ha la stessa soglia del salato.
L’AMARO invece è quello che ha la soglia più bassa di tutte: bastano 8 10-5 moli/l di
chinino per dare origine alla sensazione di amaro. Questo ha senso se ricordiamo
quello che abbiamo appena detto: siccome l’amaro è dovuto a composti organici
potenzialmente dannosi, la soglia per avvertire l’amaro è molto bassa, in modo tale
che non appena vengano presentate delle piccolissime concentrazioni di questi
composti potenzialmente tossici, ecco che il sapore amaro è riscontrabile e avverte
che potenzialmente c’è qualcosa di pericoloso (es. le neuro-tossine agiscono a
concentrazioni molto basse sui canali ionici).
Il bottone gustativo
SALATO: è il più semplice e più immediato. Il salato è dovuto alla presenza di sali in
forma ionizzata, in particolar modo il NaCl. La trasduzione è dovuta al fatto che sulla
membrana delle ciglia delle cellule che compongono il bottone gustativo, esistono dei
canali ionici che lasciano passare il Na e che rimangono aperti. Sono dei canali link
selettivi per il Na. Se noi ingeriamo qualcosa di salato, la concentrazione esterna del
Na, localmente, aumenta; per un gradiente elettrochimico entrerà una quantità
maggiore di Na nella cellula. Questo porta ad una corrente entrante maggiore che
depolarizza la cellula e quindi dà origine ad un potenziale d’azione che poi trasmette
l’informazione.
Il senso dell’OLFATTO
L’organo dell’olfatto è situato nelle cavità nasali posteriori e nell’uomo ormai è ridotto
ad una zona di circa 5 cm2 (negli animali occupa una zona molto più grande!).
Le cellule deputate alla trasduzione degli odoranti si trovano al di sotto della placca
cribrosa dell’etmoide. Queste cellule sono dei neuroni veri e propri che hanno un
dendrite che si affaccia sul tetto della fossa nasale e ognuno dà origine a circa 6 ciglia
(200 m), che escono dal pavimento di muco che ricopre la cavità nasale. L’assone di
questi neuroni entra nei fori della placca cribrosa dell’etmoide e prende contatto
sinaptico con i glomeruli olfattivi a livello dei 2 bulbi olfattivi, che sono 2 espansioni
dirette dell‘encefalo. Le ciglia sono ricoperte da uno strato di muco, funzionale alla
trasduzione degli odoranti, perché questo muco lega le sostanze odoranti e le
trasporta fino alle ciglia.
La Trasduzione
Le vie olfattive
Sono importanti perché il loro arrangiamento e la loro costruzione rispecchia, 1) la
filogenesi dei sensi chimici, come l’olfatto; 2) l’esperienza comune che tra tutte le
modalità sensoriali l’odore è quello che evoca le risposte emozionali e viscerali più
intense. Questo è dovuto al fatto che le vie olfattive hanno delle connessioni
particolari ed uniche rispetto alle altre modalità sensoriali.
Eccezione delle vie olfattive è che NON passano dal talamo e vanno direttamente in
regioni dell’encefalo ben precise.
L’olfatto, come senso chimico, è stato il primo senso ad essere filogeneticamente
sviluppato (a partire da animali unicellulari) quindi ha connessioni con le strutture più
antiche dell’encefalo. Nell’uomo esistono 2 vie di comunicazione tra il bulbo olfattivo e
l’encefalo: sono il tratto mediale e il tratto laterale della via olfattiva.
Il TRATTO MEDIALE è quello filogeneticamente più antico e proietta verso le aree
filogeneticamente più antiche dell’encefalo, che sono le aree deputate al controllo delle
risposte viscerali, che servono a mantenere l‘omeostasi dell‘organismo.
Il TRATTO LATERALE invece è quello più evoluto ed è associato alle aree corticali più
evolute. Le informazioni che scorrono nel tratto laterale mediano a risposte
comportamentali degli odoranti, quindi qualcosa che è successivo al mantenimento
dell’omeostasi. Queste risposte comportamentali, di relazione implicano parti del
cervello più evolute con livelli di astrazione più alti e che mediano le risposte
relazionali tra l’individuo e quello che lo circonda.
Esiste poi un TRATTO RECENTE che non inizia nel bulbo olfattivo, ma parte dal talamo
(a cui arrivano alcune delle vie) ed è un tratto talamo-corticale: dal talamo va verso la
corteccia orbito-frontale. Questa sarebbe la via attraverso cui noi abbiamo la
sensazione cosciente degli odori. Le altre 2 non danno direttamente coscienza degli
odori, mentre questo dà anche l’aspetto cosciente della presenza degli odori.
Quali sono queste connessioni che le vie olfattive hanno con le regioni meno evolute
dell’encefalo? Sono quelle con la corteccia piriforme, l’amigdala e la corteccia
entorinale, in particolar modo con le ultime due.
L’amigdala presiede a tutta la parte emozionale dell’analisi dell’informazione
dell’encefalo, presiede alle risposte di carattere emozionale. Mentre la corteccia
entorinale è la via d’ingresso all’ippocampo che ha a che fare con l’apprendimento e
con la memoria. Sono entrambe evolutivamente molto antiche, che controllano i
comportamenti di base dell‘individuo. In più l’amigdala proietta a sua volta verso
l’ipotalamo, che controlla le omeostasi del corpo. La corteccia piriforme è una regione
evolutivamente antica e media gli aspetti viscerali. Il tubercolo olfattivo è una
struttura interposta tra il bulbo olfattivo e la corteccia vera e propria ed ha un’origine
molto antica. Queste (corteccia piriforme, tubercolo e amigdala) poi proiettano al
talamo e alla corteccia orbito-frontale e questa via è proprio il tratto recente. Quindi la
via olfattiva, il bulbo olfattivo, è l’unica modalità sensoriale tra tutte che proietta
direttamente a strutture come l’amigdala e la corteccia entorinale, che di solito non
sono collegate direttamente al “nucleo periferico” che produce la sensazione, ma lo
sono sempre attraverso il talamo. Per quanto riguarda la via olfattiva il tratto mediale
proietta direttamente all’amigdala e alla corteccia entorinale, che sono 2 regioni
sottocorticali che in genere non ricevono questo tipo di innervazione. La spiegazione
del fatto che l’olfatto è la modalità sensoriale più evocativa dei ricordi sta nel fatto che
l’informazione non è filtrata dal talamo, ma arriva direttamente all’amigdala e
all’ippocampo, che presiedono il controllo delle emozioni e della memoria
(ippocampo).
La VISTA
La vista è un senso molto complesso, gli aspetti più fini della trasduzione degli stimoli
luminosi e quindi della costruzione dell’immagine visiva non sono del tutto chiari.
Per capire come funziona la vista, dobbiamo fare un passo indietro alla fisica con due
nozioni di ottica: la legge della rifrazione, che è la legge su cui si basa la funzione del
cristallino. Questa legge dice che: se un raggio di luce passa da un ambiente con un
certo indice di rifrazione ad un altro con un indice di rifrazione diverso, non continua in
linea retta ma viene deviato. L’entità di questa deviazione è data dalla legge di Snell:
n1/n2 = sinθ2/sinθ1
Dove n1 e n2 sono i due indici di rifrazione e θ1 e
θ2 sono gli angoli di incidenza e di uscita del
raggio luminoso rispetto alla normale (l’interfaccia
tra i 2 ambienti). Attenzione che numeratore e
denominatore sono invertiti!
Quindi se un ambiente è vuoto con n=1 e l’altro è
acqua con n=1.33, θ1 e θ2 non saranno uguali,
ma diversi. Questo è il principio su cui si basa la
rifrazione ed il funzionamento delle lenti, anche del cristallino. Perché avviene questo
fenomeno? Perché passando dall’aria, che ha un indice di rifrazione praticamente
uguale a 1, ai liquidi che compongono le strutture dell’occhio che sono assimilabili
all’acqua, che hanno un indice di rifrazione pari a 1.33, il raggio luminoso si piega e si
porta più vicino alla normale del piano? Ce lo spiega questo grafico:
v=c/n
n (λ)
L’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda della luce incidente. Ad esempio
non è formalmente corretto dire che l’indice di rifrazione dell’acqua è 1.33, perché
bisognerebbe specificare a quale lunghezza d’onda si fa riferimento. 1.33 è un indice
di rifrazione medio per la luce bianca (che è la somma di tutte le varie componenti).
Di fatto l’indice di rifrazione dell’acqua e di ogni mezzo è diverso a seconda della
lunghezza d’onda della radiazione che stiamo considerando. L’effetto più evidente di
questo è la formazione dell’arcobaleno da parte ad esempio di un prisma: questo
perché l’indice di rifrazione aumenta man mano che diminuisce la lunghezza d’onda,
quindi i raggi rossi (le lunghezze d’onda lunghe, 600/700 nM) avranno un indice di
rifrazione apparente inferiore a quello della luce blu (che ha una lunghezza d’onda
intorno ai 350/360 nM). Questo significa che il seno di θ2 sarà diverso per ciascuna
lunghezza d’onda, ecco perché la luce bianca viene scomposta. I raggi rossi saranno
quelli riflessi di meno, perché il loro indice di rifrazione sarà inferiore rispetto a quelli
blu, che saranno quelli rifratti di più. Quindi maggiore è l’indice di rifrazione, minore è
l’angolo θ2.
Facendo i conti per l’occhio ridotto emmetrope (occhio normale) la distanza tra il
fondo della lente e il fondo dell’occhio, cioè la retina, è di 17mm. Allora 1/F diventa
1/17mm (F viene sempre espresso in metri) perciò 1/F = 1/0.017m = 59 diottrie.
Quindi nell’occhio emmetrope il cristallino accomodato per la visione all’infinito dà un
potere diottrico del sistema occhio di 59 diottrie. I ¾ di queste 59 diottrie non sono a
carico del cristallino (a carico suo è solo ¼, in condizioni di riposo), ma sono a carico
della cornea, perché questa è la prima struttura che la luce incontra quando entra
dall’aria. L’interfaccia tra aria e cornea è quella che ha la maggiore differenza di indice
di rifrazione ed è quindi quella che maggiormente fa piegare i raggi di luce.
Trasduzione dell’immagine
La luce entra nell’occhio, attraversa tutto il sistema ottico e produce l’immagine che
copre tutta la retina, non tutta la retina però è disponibile per trasdurre la luce.
Esistono 2 regioni con delle caratteristiche diametralmente opposte: la regione del
disco, dove non si trovano fotorecettori perché in questa regione si trovano tutti gli
assoni delle cellule nervose (ganglionari) che danno origine al nervo ottico. Per contro
c’è una regione sull’asse visivo dell‘occhio, che si chiama fovea, che è quella dove noi
possiamo ottenere la miglior risoluzione spaziale possibile. Quindi sul fondo dell’occhio
abbiamo una regione cieca, dove le immagini provenienti dal mondo esterno non
possono essere trasdotte (regione del disco) e una che dà invece un’immagine molto
precisa (fovea).
Tutto il resto della retina dà invece un’informazione che, vedremo, non è proprio
aderente alla realtà.
Altri numeri:
Diametro retina = 32 mm
Area retina = 1094 mm2
Diametro fovea = 1.5 mm
Diametro disco ottico = 1.8 mm
Ci sono poi circa 3-4 mm tra la fovea e la zona cieca dell’occhio, che ha quasi una
dimensione di 2 x 2 mm: di fatto una buona parte della scena visiva non viene vista
perché cade su questa regione della retina.
Le cellule recettoriali presenti sulla retina sono coni e bastoncelli però non sono in
egual numero e non sono disposti con la stessa densità. In particolare nella regione
della fovea ci sono solamente coni (circa 17000 coni in media nella retina umana) e
l’organizzazione della fovea è talmente complessa che di fatto non prima del quarto
anno di età una persona riesca ad avere la stessa acuità visiva di un adulto.
In questi 1094 mm2 di retina ci sono 6.400.000 coni, quasi tutti concentrati nella
fovea e intorno ad essa e 125.000.000 di bastoncelli. Però essendoci nella fovea solo
coni, la vista come noi la intendiamo è a carico solamente dei 6.400.000 coni.