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Bio Chi Mica
Bio Chi Mica
MEMBRANE
Le membrane definiscono i confini delle cellule,
regolano il traffico delle molecole e dividono lo
spazio interno in compartimenti (negli eucarioti),
segregando in essi specifici componenti e processi
biologici.
Esse hanno la caratteristica di essere resistenti e flessibili, ma anche autosigillanti (formazione di
vescicole di endocitosi o di esocitosi che non permettono alla membrana di lasciare dei buchi
dopo la loro origine, ma di tenerla compatta).
Delimitano dei comparti (citosol, mitocondri…) che contengono una serie di proteine specializzate
(enzimi) che insieme collaborano in una specifica funzione o via metabolica cellulare.
In generale sono impermeabili alle molecole polari, ma possono essere selettivamente permeabili
ad alcuni di loro (Na, K, Ca), permettendo di accumularli all’interno della cellula (K, potenziale di
membrana) o in comparti cellulari (Ca, contrazione muscolare), e di rilasciarli per svolgere una
determinata funzione cellulare (K, propagazione dell’impulso lungo la membrana; Ca,
spostamento della tropomiosina → aggancio miosina).
o Separare vie metaboliche altrimenti non compatibili: la biosintesi dei lipidi avviene nel
citosol, ma la degradazione dei lipidi avviene nei mitocondri (in caso contrario si
innescherebbero cicli futili).
o Produrre proteine modificate (es. glicosilate): la biosintesi delle proteine cellulari avviene nel
citosol, ma quelle che debbono essere esportate (secrete o collocate sulla superficie
esterna della membrana citoplasmatica) vengono modificate all’interno del reticolo
endoplasmatico e dell’apparato di Golgi prima di essere riversate all’esterno della cellula.
o Creare gradienti chimici o elettrici (es. la doppia membrana che riveste i mitocondri crea
uno spazio in cui vengono immagazzinati i protoni necessari per la produzione di ATP)
I componenti delle membrane sono:
− Lipidi polari
− Proteine
− Carboidrati (sottoforma di glicoproteine e glicolipidi)
Lipidi polari
I lipidi polari (fosfolipidi) sono anfipatici e quando entrano in contatto con l’acqua si
dispongono con la porzione carica a contatto con essa e la porzione idrofobica il più
lontano possibile da essa, per formare un monostrato (micelle) o un doppio strato
(liposoma).
Le micelle sono catene idrofobiche degli acidi grassi sono sequestrate all’interno
della sfera, lontano dall’acqua.
I liposomi sono i lipidi si dispongono a doppio strato che racchiude una cavità
riempita d’acqua; all’interno del doppio strato le catene lipidiche sono protette
dall’interazione con l'acqua, mentre le loro teste polari entrano in contatto con essa.
I costituenti più abbondanti nelle membrane sono i lipidi polari di membrana, in particolar modo
colesterolo e fosfolipide.
Il fosfolipide e incardinato su una molecola di glicerolo, formata da 3 atomi di
C, ciascuno dei quali è incatenato da un gruppo alcolico.
Nel fosfolipide a 2 funzioni alcoliche sono incatenate 2 molecole di acido
grasso saturo (catena lineare senza doppi legami) o insaturo (catena che
presenta insaturazioni, ovvero doppi legami), mentre la terza funzione
alcolica lega un gruppo polare rappresentato da un gruppo fosfato che può
essere la colina, l’etanolammina oppure la serina.
Il fosfolipide quindi è caratterizzato da una testa polare costituita da un
gruppo fosfato e code apolari.
Gli organismi viventi cercano di mantenere costante la fluidità delle membrane biologiche al
variare della temperatura ambientale anche modificando le catene di acidi grassi nei fosfolipidi.
I fosfolipidi presenti sulla membrana sono confinati nel loro strato, quindi non
è possibile la diffusione trasversale spontanea, o meglio è molto lenta e
quindi non avviene.
Tuttavia è possibile che i fosfolipidi passino da uno strato all’altro tramite
l’utilizzo di enzimi immersi nel doppio strato lipidico che sfruttano l’energia
fornita dall’ATP per portare un fosfolipide dallo strato esterno a quello interno
(flippasi) o viceversa (floppasi) oppure che portano all’interno un fosfolipide
e un altro all’esterno (scramblasi).
Il trasporto dei fosfolipidi su 1 dei 2 foglietti del doppio strato è essenziale per
generare curvature della membrana.
La fusione tra membrane interessa molti processi cellulari.
Proteine di membrana
La membrana è costituita anche da proteine che possono essere definite
integrali o periferiche.
Le proteine integrali sono strettamente associate al doppio strato lipidico
e possono essere rimosse da detergenti e solventi organici che rompono
le interazioni idrofobiche.
Le proteine periferiche sono associate alla membrana, in contatto con le
proteine integrali attraverso legami deboli (interazioni elettrostatiche,
legami a H) oppure anfitropiche, in contatto con i lipidi della membrana,
anche attraverso legami forti.
Le proteine di membrana legate ai lipidi (anfitropiche) possiedono un
legame diretto con i lipidi di membrana (legame covalente) e di solito
sono presenti soltanto sul lato citosolico della membrana.
TRASPORTO MOLECOLARE
Diffusione semplice
Nella diffusione semplice, per soluti apolari, il movimento netto di un soluto elettricamente neutro
avviene verso il lato a minore concentrazione, quindi secondo gradiente chimico di
concentrazione, fino all’equilibrio.
La velocità del movimento transmembrana (indicato dalle frecce) è proporzionale al gradiente di
concentrazione.
Nella diffusione semplice, per soluti polari, il movimento netto di un soluto elettricamente carico
avviene verso il lato a carica opposta, quindi secondo gradiente elettrico, fino all’equilibrio delle
cariche.
Canali
I canali non sono saturabili (se si aprono sono come l’autostrada), consentono il passaggio dei
soluti polari secondo gradiente e garantiscono flussi molto elevati (paragonabili alla diffusione
libera, sono gallerie scavate nella membrana).
Trasportatori
I trasportatori legano soluti polari e li veicolano attraverso la membrana (fanno il lavoro del boy-
scout che accompagna la vecchietta sulle strisce pedonali) e sono saturabili (entra una sola
persona per volta).
I trasportatori sono importanti per il metabolismo.
Le 3 classi generali di trasportatori sono:
Trasportatore passivo
Un esempio di trasportatore passivo è lo scambiatore cloruro-bicarbonato
presente sulla membrana eritrocitaria.
Questo sistema di antiporto (secondo gradiente di concentrazione) permette
l'entrata di ioni Cl- e l'uscita di HCO3- (non modifica il potenziale di membrana).
La sua attività è importante perché acidifica il citosol del globulo rosso che ha un
effetto sul rilascio di O2 dall’emoglobina.
Il trasportatore del glucosio nelle fibre muscolari è un ulteriore esempio di trasportatore passivo.
Sulla superficie cellulare, GLUT4 permette la diffusione
facilitata del glucosio circolante lungo il suo gradiente di
concentrazione in cellule muscolari e adipose.
L’insulina è in grado di stimolare, grazie al proprio recettore,
una cascata di segnali che determinano il trasporto di
vescicole presenti nel citoplasma della cellula muscolare che
sulla superficie presentano numerosi trasportatori per il
glucosio.
Queste vescicole vengono indirizzate a fondersi con la
membrana muscolare portando nuovi canali del glucosio
sulla membrana muscolare.
La fusione è indotta anche dalla partica sportiva.
Trasportatore attivo
Il trasportatore attivo consente il trasporto di una molecola di soluto contro gradiente di
concentrazione con utilizzo di energia non essendo un processo spontaneo.
Si definisce trasportatore primario una proteina in grado di far passare il soluto
e di scindere l’ATP in ADP, perciò possiede anche una componente ATPasica.
Si definisce trasportatore secondario un trasportatore primario abbinato ad un
trasportatore passivo, in un simporto.
Un esempio di trasportatore attivo primario è la pompa ATPasica Na/K che
permette lo scambio tra K+ e Na+ contro gradiente creando un gradiente
elettrochimico del Na+ e del K+ che provoca la polarizzazione della
membrana.
Mentre 3 molecole di Na escono dalla cellula, al contempo entrano in essa 2
molecole di K.
L’attività di questa pompa si definisce elettrogenica perché è in grado di
produrre sulla membrana, un potenziale elettrico, caratterizzato ad una
polarità positiva sul lato esterno e, di converso una polarità negativa sul lato
interno.
Quando la cellula muore, il potenziale di membrana si scarica e viene
depauperato, quindi le cellule vive richiedono una spesa energetica anche
soltanto per mantenere la differenza del potenziale di membrana.
I canali ionici sono più veloci dei trasportatori, non sono saturabili, sono aperti o chiusi in risposta a
eventi cellulari (ligandi, differenza di potenziale di membrana) → Es. Recettore canale
dell’acetilcolina,
Inoltre i canali ionici difettosi possono causare patologie.
MIOGLOBINA ED EMOGLOBINA
MIOGLOBINA
La mioglobina è una proteina muscolare globulare con una struttura terziaria.
La mioglobina è una proteina che lega l’O e ne facilita l’accumulo nelle cellule
muscolari a riposo e il suo rilascio rapido quando si contraggono.
È costituita da una catena di 153 aa e da un gruppo EME (ferroporfirinico)
posizionato all’interno di una tasca idrofobica e agganciato alla catena laterale
di una particolare istidina (His) presente nella catena proteica, mentre nell’altro
lato troviamo un’altra His importante per il meccanismo di captazione, cioè per
il meccanismo attraverso il quale l’O resta legato al gruppo EME.
Lo scheletro della mioglobina è costituito da 8 segmenti compatti di α-eliche destrorse (78% della
molecola) interrotte da ripiegamenti.
Un legame a H con l’His64 (E7) stabilizza il legame dell’O2 con il Fe del gruppo EME.
La mioglobina è una proteina di accumulo dell’O all’interno dei muscoli, dove è presente una
pressione (pO2), in condizioni di riposo, pari a 4 kPa.
Dal punto di vista biochimico è possibile verificare la capacità di una proteina di captare l’O
utilizzando semplici metodi che impegnano degli spettrofotometri.
La curva di legame o di saturazione dell’O2 alla mioglobina è un’iperbole rettangolare.
Il legame della Mb all’O2 è insensibile a piccole variazioni della [O2] disciolto (curva iperbolica).
Quando la pO2 è pari a 4 kPa, quasi il 100% di Mb è satura di O.
Funziona bene per il deposito, trattiene cioè l’O2 e lo cede, per la
respirazione cellulare (catabolismo ossidativo), solo quando la [O2]
citoplasmatica è molto bassa.
La frazione di siti di legame mioglobinici occupati dall’O (θ) è
riportata in funzione della pO2, pressione parziale di O presente
nell’aria in contatto con la soluzione → P50 = 0.26 kPa
Quindi la mioglobina cede la metà dell’O2 legato a 0.26 kPa pO2.
EMOGLOBINA
L’emoglobina è una proteina eritrocitaria trasportatrice di O2.
È satura in O2 al 98% nel sangue arterioso quando l’emoglobina raggiunge i polmoni, poi
raggiunge i tessuti rilasciando circa il 38% dell’O, ma il 60% di O legato all’emoglobina entra nel
sangue venoso.
Questo permette al nostro organismo di vivere in condizioni ipossiche come in alta montagna.
L’emoglobina, all’interno dei globuli rossi, rappresenta il 34% di tutte le proteine.
È una proteina multimerica formata da 4 subunità (monomeri), ognuna costituita da una catena
peptidica e da un gruppo EME.
Le catene proteiche si chiamano globine ed esistono in 2 tipi diversi: globina α e
globina β, (di 141 e 146 aa) e formano un tetramero α2β2 nell’HbA (A= adulto).
L’HbF (F= fetale) rappresenta il 100% dell’emoglobina presente nel feto e ha la
caratteristica di possedere 2 catene γ che permettono di dar origine ad
un’emoglobina molto più affine all’O permettendo al feto di sottrarre O dal
sangue della madre per alimentarsi; questo genere di emoglobina, in
percentuale molto bassa è possibile ritrovarla anche nell’individuo adulto.
La mioglobina ed un monomero dell’emoglobina hanno strutture
tridimensionali molto simili, ma differiscono per l’affinità nei confronti
dell’O2.
Le 4 subunità dell’Hb hanno un’attività cooperativa, quindi l’attività di una è in grado influenzare
l’attività dell’altra.
L’Hb esiste in 2 conformazioni con diversa affinità per l’O2 (stato T ed R).
L’Hb lega l’O2 nei polmoni (stato R, ad alta affinità) e lo rilascia nei tessuti (stato T, a bassa affinità).
Se l’Hb esistesse solo nello stato ad alta affinità si caricherebbe bene di O2 nei polmoni, ma non lo
rilascerebbe nei tessuti.
Le diverse curve di saturazione dell’Hb e della Mb con l’O2 indicano che il tetramero Hb non si
comporta come se fosse formato da 4 subunità indipendenti (cioè come se fosse formato da 4
subunità di Mb), ma queste collaborano per legare l’O2 → Effetto cooperativo
EFFETTO BOHR
Il meccanismo principe che permette il rilascio di O da parte dell’Hb è l’acidificazione del citosol
negli eritrociti presenti nel muscolo.
Il metabolismo muscolare genera della CO2, come sottoprodotto, che diffondendo, entra nei
globuli rossi acidificando l’ambiente; quindi a livello polmonare il pH sarà di circa 7.6, viceversa, a
livello tissutale il pH sarà di 7.2.
L’effetto Bohr consente di spiegare il rilascio di O dovuto
all’abbassamento di pH.
Questo ci permette di dimostrare che l’Hb ha una differente affinità
dell’O in base al pH della soluzione in cui si trova.
L’acidificazione ovviamente fa sì che all’interno dell’eritrocita sia presente l’Hb che in ambiente
acido permette il rilascio di O.
Quando invece gli eritrociti si trovano a livello del polmone, i livelli di CO2 sono molto bassi, lo
scambiatore funziona al contrario quindi permette l’entrata di HCO3- e la fuoriuscita di Cl-, in questo
modo si riforma l’H2CO3 che grazie all’anidrasi carbonica torna a produrre H2O e CO2 che esce
dagli eritrociti e raggiunge i polmoni dove viene esalata attraverso il respiro con conseguente
ribasificazione del pH.
Il bicarbonato, una volta riversato nel plasma serve per mantenere l’omeostasi agendo come
sistema tampone mantenendo costante il pH del sangue a 7.4.
BPG
Il regolatore allosterico è una molecola che si lega ad un sito della proteina e innesca
modificazioni conformazionali che si trasmettono nella struttura della proteina e che
modificano l’attività di un altro sito (anche lontano) della proteina.
Il 60% delle molecole di emoglobina non rilascia l’O2 a livello tissutale cioè è ancora carico di O2 (è
nella forma R) dopo il transito nei tessuti.
Il legame del BPG nella cavità centrale tra le subunità β dell’Hb la allarga consentendo ad una
ulteriore quota di molecole di Hb di passare dalla forma R alla forma T (meccanismo di regolazione
allosterica) permettendo cioè di rilasciare dall’Hb una ulteriore quota di O2.
MUSCOLO
Il muscolo scheletrico è un organo poiché costituito da cellule di diversi tessuti (cellule del sistema
nervoso, del tessuto connettivo e del tessuto muscolare stesso).
È l’organo più grande, rappresenta il 40-50% del peso totale dell’essere umano ed è il più
rappresentato, infatti ce ne sono più di 600 in tutto il corpo umano.
• Funzione primaria è muovere le ossa dello scheletro alle quali i muscoli sono collegati
tramite i tendini (tessuto connettivo) per produrre il movimento del corpo
• Mantengono la postura
• Accumulano e mobilitano sostanze nel corpo
• Generano calore
STRUTTURA ANATOMICA
La struttura anatomica del muscolo è costituita da: tessuto connettivo,
vasi sanguigni, nervi e fasci di fibre muscolari.
3 strati separati di tessuto connettivo rinforzano e proteggono il muscolo:
Il numero delle fibre muscolari presenti in un singolo muscolo varia da diverse centinaia a più di un
milione.
La fibra muscolare ha una forma tipica (allungata-cilindrica) ed è costituita da: H2O (75%), proteine
(20%) e altre sostanze (5%, vitamine, minerali, ioni, aa, carboidrati e grassi).
Si estende per tutta la lunghezza del muscolo … lunghezza variabile a seconda del muscolo:
I mioblasti permangono anche durante la vita adulta nelle sembianze delle cosiddette cellule
satelliti.
Sono cellule mononucleate con capacità di replicazione che restano
quiescenti attorno alla fibra muscolare fino allo stimolo opportuno
(infortunio, allenamento intenso, ormoni).
Possono differenziare a fibre muscolari mature in condizioni di
infortunio o durante l’allenamento intenso, fondendo la loro membrana con quella della fibra
muscolare di cui entrano a farne parte (allungamento ed ingrossamento della fibra muscolare).
Il numero delle fibre muscolari contenute in un muscolo è stabilito alla nascita poiché la crescita
del muscolo che avviene dall’adolescenza all’età adulta è solamente dovuta all’aumento di
dimensioni delle fibre muscolari preesistenti.
L’aumento della dimensione delle fibre muscolari avviene grazie alla proliferazione di cellule
satelliti non è dovuto all’aumento del numero delle fibre, ma solo all’aumento della loro larghezza
e lunghezza.
Le cellule satelliti si moltiplicano e poi si fondono con la fibra muscolare per aumentarne le
dimensioni → Accrescimento della massa muscolare
La fibra muscolare è delimitata esternamente dal sarcolemma
(membrana plasmatica a doppio strato lipidico) che si infila all’interno
della fibra come tante dita.
I tubuli T o tubuli trasversi sono estremamente importanti nella
contrazione del muscolo, in quanto permettono al potenziale d’azione
di propagarsi all’interno delle fibre e di attivare tutto l’apparato
contrattile.
Il citoplasma delle fibre del muscolo scheletrico (sarcoplasma) contiene tutti gli organelli
subcellulari (mitocondri, nuclei, reticolo sarcoplasmatico...).
Contiene anche i depositi energetici come il glicogeno muscolare (la forma di deposito dei
carboidrati nelle cellule muscolari) e i trigliceridi muscolari (la forma di deposito dei grassi delle
cellule muscolari) così come una piccola quantità di ATP.
Inoltre contiene la proteina mioglobina, che funziona come deposito di O per i mitocondri che lo
utilizzano per la produzione di ATP e le miofibrille che sono la componente più abbondante.
Filamento spesso
Il filamento spesso è formato dalla miosina composto da 300 molecole di miosina disposte a
formare 2 porzioni simmetriche.
La molecola di miosina assomiglia a 2 mazze da golf attorcigliate tra loro.
Le molecole di miosina sono stabilizzate tra loro lungo l’asse
longitudinale del filamento dalla proteina titina.
La coda di miosina (cioè l’asta della mazza da golf) è orientata
verso il centro del sarcomero (linea M).
Le teste di miosina si proiettano verso l’esterno rispetto all’asse
(linea Z) definito dalla code di miosina, seguendo un andamento a spirale (come la filettatura di
una vite), sporgendosi verso 1 dei 6 filamenti sottili che circondano ogni singolo filamento spesso.
La molecola miosina è formata da 6 proteine:
Filamento sottile
Il filamento sottile è formato dalla actina che sono lunghi polimeri di actina in struttura ad elica.
L’actina contiene un dominio di legame con la miosina,
dove la testa di miosina può attaccarsi per iniziare la
contrazione muscolare, ma nel muscolo rilassato è coperto
dal filamento della tropomiosina che impedisce l’interazione
della testa di miosina.
Reticolo sarcoplasmatico
Il reticolo sarcoplasmatico è una rete di canali membranosi che
circonda la miofibrilla come una guaina e permette il deposito per gli
ioni Ca.
Il Ca2+ è la molecola che innesca la contrazione (interruttore
molecolare), ma il suo rilascio necessita di uno stimolo nervoso.
La contrazione muscolare viene innescata dall’uscita del Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico che
arriva nel sarcoplasma dove si trovano le miofibrille.
Il Ca2+ si lega alla troponina C che così cambia struttura e
sposta la tropomiosina scoprendo il sito di legame della
miosina presente sull’actina la testa di miosina si attacca al
filamento sottile innescando la contrazione muscolare.
La contrazione termina quando il Ca viene rimosso dal
sarcoplasma e viene riportato all’interno del reticolo
sarcoplasmatico.
Alla fine dell’esercizio fisico la pompa Ca-ATPasi del reticolo
sarcoplasmatico (SERCA), presente sulla sua membrana, riporta gli ioni Ca2+ nelle cisterne del
reticolo sarcoplasmatico.
L’assenza di Ca2+ rimodella la struttura della troponina C e la tropomiosina torna a nascondere il
sito per la miosina sul filamento sottile.
Nel muscolo a riposo la miosina non può legarsi all’actina perché la tropomiosina nasconde i siti di
legame per la miosina.
La tropomiosina è mantenuta in questa posizione da 3 troponine, una delle quali è la troponina C.
Nel muscolo in attività il Ca2+ rilasciato nel sarcoplasma si lega alla troponina C, ne altera la
struttura spostando la tropomiosina dal sito di legame per la miosina sul filamento di actina,
innescando un ciclo di contrazione-rilassamento (in 4 fasi):
0. Con l’arrivo del Ca2+ la miosina (forma ad angolo) si attacca all’actina (a)
1. L’ATP si lega alla miosina (solo quando la miosina è legata all’actina può legare ATP), la
quale si stacca dall’actina
2. L’enzima miosina-ATPasi idrolizza l’ATP legato alla miosina (in ADP e
fosfato inorganico che rimangono legati alla testa di miosina
impedendo il ritorno alla forma ad angolo), la quale si proietta in
avanti (forma distesa)
3. La miosina si attacca sull’actina (b) e il fosfato inorganico si stacca,
permettendo alla testa di miosina di inclinarsi e tornare alla forma
ad angolo (sviluppo di forza), che tira i filamenti di actina verso il
centro del sarcomero e permette lo scorrimento dei filamenti spessi
e sottili gli uni sugli altri.
4. Distacco della miosina dall’actina - alla fine dell’evento di sviluppo
di forza, la miosina rilascia l’ADP e rimane legata all’actina fino a
che una nuova molecola di ATP si lega alla miosina e un nuovo
ciclo di contrazione può iniziare (da 1).
Questo evento può essere paragonato all’azione del tiro della fune: il
movimento alternato delle teste di miosina permette di tirare a sé i filamenti
di actina (le linee Z di ambo i lati vengono portate verso il centro del
sarcomero, mentre il filamento spesso rimane fermo in centro).
La rotazione del filamento spesso permette alle teste di miosina
equidistanti tra loro (un giro l’elica) di prendere contatto con lo stesso
filamento di actina tirandolo verso l’asse del sarcomero (contrazione).
Ogni fibra muscolare possiede la sua caratteristica isoforma MHC (catena pesante della miosina).
La caratterizzazione delle isoforme MCH è stata possibile grazie a prelievi bioptici che vengono
eseguiti su volontari soggetti a particolari programmi di allenamento, dopo anestesia locale e
sterilizzazione, utilizzando aghi PRECISA Needle 1410 e una cannula di inserzione lunga 100 mm.
Il campione bioptico è un cilindro con diametro di 0,8 mm, lunghezza di circa 8 mm e peso medio
di 2,8 mg.
I campioni bioptici prelevati vengono sciolti in una
soluzione denaturante in presenza di SDS, bolliti per alcuni
minuti e caricati nei pozzetti di un gel di poliacrilamide.
Le proteine, sottoposte ad un campo elettrico, migrano nel
gel e si separano in bande in base alle dimensioni.
Se analizzo un intero fascio muscolare sono presenti 3 isoforme MHC:
MHC 2X, MHC 2A e MHC 1.
Se analizzo una singola fibra muscolare è presente un solo tipo di
isoforma MHC.
Il tipo di MHC presente all’interno della fibra che la caratterizza funzionalmente, definendo la
capacità contrattile dipende dal neurone che la innerva.
Le differenze amminoacidiche nelle diverse isoforme di MHC riguardano:
o Regione COOH-terminale
o Regione a α-elica del collo
o Regione della testa della miosina, in prossimità del sito
di legame con l’ATP e con l’actina.
Le modifiche nella regione della testa permettono di ottenere isoforme con differente attività
ATPasica e con differente velocità di accorciamento.
Ogni fibra muscolare esprime un solo tipo di isoforma MHC (da cui dipende la proprietà contrattile
della fibra).
Le fibre innervate dal motoneurone 1 esprimono la MHC 1, mentre le fibre innervate dal
motoneurone 2 possono esprimere 1 dei 2 differenti tipi di MHC 2: MHC 2A oppure MHC 2X.
Il recupero energetico dipende dallo specifico metabolismo attivo nella fibra muscolare.
FIBRE DI TIPO 1
La fibra di tipo 1 è presente nell’isoforma lenta della miosina-ATPasi, perciò idrolizza l’ATP a una
velocità lenta rispetto alle altre isoforme e le contrazioni avvengono ad una frequenza più lenta,
inoltre la forza massimale prodotta è piccola (rispetto alle fibre di tipo 2).
Possiede un diametro piccolo (sopportano piccoli carichi) e la produzione di ATP è sostenuta dal
metabolismo ossidativo (ossidazione completa di carboidrati e grassi) per cui necessitano di O:
− Sono rosse, per la presenza di mioglobina, che permette di trattenere l’O nei muscoli, ma
anche perché sono molto capillarizzate, per consentire un maggior afflusso di sangue
− Contengono grandi quantità di mitocondri, che consentono di produrre ATP in maniera
aerobica per lunghi periodi di tempo
Sono altamente resistenti alla fatica (utilizzano fonti energetiche durature) e sono attive durante gli
esercizi di resistenza, come la corsa della maratona o le gare ciclistiche.
FIBRE DI TIPO 2X
La fibra di tipo 2X è presente nell’isoforma veloce della miosina-ATPasi, quindi idrolizza l’ATP a
velocità elevata e le contrazioni avvengono ad una frequenza elevata, inoltre la forza massimale è
massima.
La produzione di ATP è sostenuta dal metabolismo anaerobico (fosfocreatina e glicolisi).
Ha pochissimi mitocondri, quasi privi di creste (non necessitano di O).
Sono di colore bianco poiché prive di mioglobina e ricche in depositi di glicogeno.
Sono le poco resistenti alla fatica tra tutte le fibre e sono attive durante gli esercizi che richiedono
la massima velocità di produzione di forza, come nello sprint e nel sollevamento pesi.
Queste fibre diventano ipertrofiche (cioè diventano più grandi) durante l’esecuzione di programmi
di allenamento intensi, grazie all’aumento del numero di miofibrille in seguito all’attivazione delle
cellule satellite.
FIBRE DI TIPO 2A
La fibra di tipo 2A è presente nella isoforma a velocità intermedia dell’enzima miosina-ATPasi che
idrolizza l’ATP a una velocità intermedia (3-5 volte maggiore a quella delle fibre di tipo 1, ma un
po’ meno veloce delle 2X).
La produzione di ATP sostenuta da metabolismo aerobico e anaerobico.
Sono di colore rosso pallido poiché contengono mioglobina e sono moderatamente resistenti alla
fatica poiché contengono mitocondri (anche se in quantità minore rispetto alle fibre di tipo 1).
Hanno un comportamento ibrido: essendo capaci di idrolizzare l’ATP velocemente producono una
forza maggiore di quella generata dalle fibre di tipo 1; ma sono meno veloci delle fibre 2X.
Ciò le rende particolarmente utili durante le attività muscolari ad alta intensità svolte in condizioni
di massima capacità aerobica (per esempio nella corsa dei 400-800 m).
In generale i nostri muscoli contengono tutte e 3 i tipi di fibre in distribuzione variabile a seconda di:
Predisposizione genetica:
− Atleti di resistenza come i corridori e i ciclisti tendono ad avere una percentuale maggiore
di fibre di tipo I.
− Atleti degli sport di potenza/velocità come i sollevatori di pesi e i velocisti, hanno una
percentuale maggiore di fibre di tipo II (sono anche ipertrofiche).
Atleti con maggior numero di fibre alla nascita tipo 2X saranno naturalmente predisposti per sport
di velocità/forza; quelli con maggior numero di fibre 1 saranno predisposti per sport di resistenza
(genetica).
Plasticità muscolare
A livello muscolare, nelle fibre veloci la stimolazione del
motoneurone 2 avviene ad alta frequenza ed ha breve durata
(stimolazione intermittente, fasica o clonica), mentre nelle fibre
lente la stimolazione del motoneurone 1 avviene a bassa
frequenza ed è più duratura (stimolazione prolungata o tonica).
Nel muscolo durante l’esercizio lento, le fibre veloci (2X) vengono ‘educate’ a contrarsi lentamente
come le fibre di tipo 1, perciò il motoneurone 2 adegua la sua frequenza di scarica e nella fibra
muscolare aumenta il rilascio di Ca intracellulare.
Possiamo quindi affermare che è l’aumento della [Ca2+] intracellulare nelle fibre 2X che le
trasforma in fibre 2A!
Nelle fibre veloci 2X l’aumento della quantità di Ca2+ intracellulare (in seguito all’esercizio lento)
attiva l’espressione dei geni che permettono di utilizzare il metabolismo ossidativo trasformandole
in fibre 2A e viceversa.
Espressione di nuovi geni: mioglobina, MHC differente (2A), proteine del metabolismo ossidativo,
da pochi a tanti mitocondri.
In particolari condizioni possiamo assistere all’interconversione delle fibre muscolari (2A → 2X):
Comportano l’atrofia del muscolo, con riduzione della massa muscolare (riduzione
del numero delle miofibrille) e della forza.
Si assiste ad una perdita dell’organizzazione sarcomerica e progressiva sostituzione
delle fibre muscolari con tessuto adiposo e connettivo.
Nel muscolo atrofico avviene una progressiva trasformazione delle fibre 2A in fibre 2X.
Ipertrofia muscolare
L’allenamento determina l’aumento delle dimensioni muscolari aumentando la sezione trasversale
delle fibre.
Interessa tutti i tipi di fibre, ma soprattutto quelle veloci, per cui è utilizzato per migliorare la forza e
la velocità.
L’allenamento di forza “overload” provoca microlesioni dei fasci muscolari che inducono la
proliferazione dei miociti, in particolare delle cellule satellite, e aumentando la sintesi proteica.
Il fattore di competenza (FGF), legato alla lamina basale che avvolge i fasci muscolari, viene
rilasciato dopo la lesione, agisce sulle cellule satelliti sbloccandole dallo stato di quiescenza.
• IGF-1 (prodotto dal fegato in risposta all’ormone della crescita) è importante nello sviluppo
dell’individuo (bambino → adulto)
• mIGF-1 (prodotto dal muscolo in seguito all’allenamento) è responsabile dell’ipertrofia
conseguente all’allenamento (nell’adulto)
Per verificare che effettivamente l’aumento di massa muscolare dipenda dall’mIGF è stato
eseguito un esperimento su topi transgenici.
L’iperespressione di mIGF determina:
o Ipertrofia selettiva della muscolatura del tronco e degli arti (23,3 % di massa
muscolare in più)
o Aumento della forza muscolare (14,4 % in più)
o Se hanno arti danneggiati la riparazione è più veloce del danno muscolare
La maggiore efficienza nella sintesi delle proteine permette alle fibre muscolari di aumentare il
numero di miofibrille comportando un’ipertrofia delle fibre muscolari.
La sintesi proteica aumenta già dopo 40 min dal termine dell’esercizio fisico e si mantiene elevata
per ore (cioè durante la fase di recupero avviene la sintesi della nuova massa muscolare).
L’aumento abnorme della massa muscolare viene evitato grazie alla miostatina, fondamentale
durante l’accrescimento corporeo, ma permette anche di bloccare la crescita in seguito ad un
esercizio overload.
La rottura del legame tra gli ultimi 2 gruppi fosfato (legame γ) stacca un gruppo fosfato e fornisce
energia.
Questa reazione è reversibile (avviene anche nel senso inverso), cioè
l’ATP può essere sintetizzato a partire dall’ADP, ma solo nel caso in cui
nella cellula abbia energia sufficiente per creare un nuovo legame
anidridico.
L’energia necessaria viene fornita consumando la creatina fosfato,
oppure mediante la glicolisi anaerobica o il metabolismo ossidativo.
La quantità di ATP nella fibra muscolare è presente per 25 millimoli/kg di muscolo disidratato,
ovvero 40-50 g in totale nel muscolo scheletrico del corpo umano.
In una attività muscolare molto intensa l’ATP permettere di correre al massimo per 2-4 sec.
Se ci fosse abbastanza ATP potremmo correre sempre alla velocità massima assoluta, invece,
poiché la quantità di ATP nei muscoli è piuttosto limitata, abbiamo bisogno di ricaricare l’ATP in
modo continuativo durante l’esercizio fisico.
La fase più lenta rallenta tutto il processo di contrazione (ricarica ATP rapida → atleta + veloce e
viceversa).
Ovviamente i tempi di ripristino dell’ATP devono essere rapidi per fornire l’energia necessaria alle
esigenze muscolari:
− Dovranno essere molto rapidi per esercizi come la corsa veloce (come i 100 m piani)
− Potranno essere più lenti nell’attività di resistenza (come una maratona)
La creatina fosfato ha un ruolo importante per i tessuti che necessitano di energia in modo rapido,
ma temporaneo: oltre ai muscoli, anche il cervello.
Costituisce uno degli integratori alimentari più utilizzati e di successo degli ultimi decenni, utilizzato
per migliorare la forza muscolare e le prestazioni atletiche in sport di breve durata (percorsi brevi)
che richiedono un elevato sforzo fisico come la corsa, il nuoto e il ciclismo su pista.
La creatina fosfato è la principale fonte energetica del muscolo durante le contrazioni intense e di
breve durata (es. nelle corse brevi fino a 100 m).
La creatina fosfato viene convertita in creatina ad opera dell’enzima creatina chinasi, attraverso
una reazione molto rapida che consente la massima velocità di ricarica dell’ATP in quanto il
gruppo fosfato della creatina fosfato si lega all’ADP formando ATP e creatina
La creatina fosfato rappresenta il serbatoio di breve durata e la quantità di PCr nelle fibre muscolari
è piuttosto limitata: 120 g in totale in un individuo di 70 kg.
Questa modalità di produzione di ATP è chiamata anaerobica alattacida perché non è necessario
l’O e non si produce acido lattico.
È fondamentale negli sport che richiedono energia massimale in tempi brevi (corsa veloce,
sollevamento pesi, sprint dove lo sforzo si esaurisce in 1 e 10 sec).
La preparazione atletica degli sprinter necessita di intervallare sforzi intensi con momenti di
recupero a basso livello (cosiddetto recupero attivo) per ripristinare i livelli di PCr.
Quando finisce la PCr, è necessario ricorrere alla glicolisi anaerobica che contribuisce al bilancio
energetico durante la contrazione muscolare intensa per brevi tratti dai 100 ai 400 m (durata 10-60
sec).
Il glucosio viene convertito in glucosio 6-P ed usato per produrre ATP attraverso le 10 reazioni della
glicolisi.
Viene conservato nelle fibre muscolari sotto forma di glicogeno e in parte arriva col sangue
circolante.
All’inizio dell’attività muscolare il glucosio proviene dalle riserve di glicogeno.
In condizioni anaerobiche la sintesi di ATP mediante l’uso di PCr è la più veloce in assoluto.
La glicolisi anaerobica rispetto alla glicolisi aerobica ha una velocità doppia di quella aerobica.
In generale il metabolismo anaerobico ricarica più velocemente l’ATP muscolare, ciò significa che
maggiore è l’ATP disponibile nell’unità di tempo, maggiore è la velocità di contrazione del
sarcomero e maggiore è la velocità della corsa.
In condizioni aerobiche i carboidrati ricaricano più velocemente l’ATP muscolare rispetto agli acidi
grassi ciò significa che maggiore è l’ATP disponibile nell’unità di tempo, maggiore è la velocità di
contrazione del sarcomero, maggiore è la velocità della corsa, quindi carboidrati sono consumati
in modo prioritario quando il ritmo è sostenuto.
Nelle gare di velocità la condizione di esercizio è anaerobica e le fonti energetiche utilizzate sono:
PCr e glicolisi anaerobica.
Non si può correre a velocità massima la maratona poiché:
❖ Il prodotto finale della glicolisi anaerobica è l’acido lattico e l’acidificazione dei muscoli
riduce l’efficienza della glicolisi aumentando l’affaticamento
❖ I depositi muscolari di PCr e di carboidrati nel muscolo e nel fegato (glicogeno) sono
relativamente limitati e finirebbero presto
VIE METABOLICHE
Le vie metaboliche avvengono nelle cellule e sono come le catene di montaggio dove ogni
postazione (enzima 1), aggiunge qualcosa al materiale che
arriva (substrato 1) trasformandolo in un altro (prodotto 1).
Il prodotto 1 della postazione precedente diventa il materiale
da lavorare (substrato 2) per la postazione successiva
(enzima 2) che lo trasforma nel prodotto 2.
L’accensione della sequenza di reazioni, perciò la regolazione degli enzimi che catalizzano la via
metabolica può essere di 3 tipi:
1. Regolazione primaria (aperto/chiuso): una molecola prodotta solo da una specifica via
determina l’accensione o lo spegnimento dell’intera via
2. Regolazione secondaria (gradazione del flusso): effettuata su ogni tappa della via (enzima)
dal substrato o dal prodotto della reazione governata da quell’enzima, regolando il flusso di
reagenti attraverso l’intera via
3. Regolazione dei modulatori allosterici: un prodotto della via antagonista inibisce la via (es. il
malonil-CoA, prodotto durante la sintesi degli acidi grassi, funge da modulatore allosterico
dell’enzima di regolazione primaria della via per la degradazione degli acidi grassi)
NAD+ + H+ + 2 e- ↔ NADPH
Il NADH è una molecola energetica molto importante perché i suoi elettroni e protoni vengono poi
ceduti alla catena di trasporto degli elettroni mitocondriali o ad enzimi particolari per produrre ATP,
quindi non è in grado di alimentare direttamente la contrazione, ma alimenta un processo
chiamato fosforilazione ossidativa, capace di caricare l’ADP trasformandolo in ATP.
A livello tissutale la coordinazione metabolica tra i diversi tessuti è attuata da fattori di crescita e
ormoni, che innescano cascate di trasduzione del segnale in grado di agire:
GLICOSI
il glucosio occupa un ruolo centrale nel metabolismo di molti esseri viventi.
È un ottimo combustibile perché ricco di legami la cui rottura genera energia e permette il ricarico
dell’ATP (2840 kJ/mole).
È un precursore, fornisce moltissimi intermedi metabolici per la biosintesi di molecole complesse
(aa, nucleotidi, coenzimi, acidi grassi…)
Inoltre ha 4 destini principali:
Le vie di alimentazione della glicolisi sono alimentate da glucosio, ma non solo, anche da altri
carboidrati quali:
Gli zuccheri semplici o monosaccaridi forniscono energia a breve termine, sono prontamente
assimilabili e richiedono tempi di digestione brevi.
Gli zuccheri complessi o polisaccaridi forniscono energia a medio e lungo termine e richiedono
tempi di digestione superiori.
I polisaccaridi come amido e glicogeno alimentari entrano attraverso il processo digestivo sotto
forma di glucosio, mentre il glicogeno contenuto nei muscoli può essere scisso, grazie alla
glicogenolisi e all’enzima glicogeno-fosforilasi in grado di scindere l’ultimo legame staccando
l’ultimo glucosio del polimero di glicogeno utilizzando del fosfato inorganico e generando
glucosio-1-fosfato prodotto direttamente nel citosol dove è presente la fosfogluco-mutasi una
proteina che converte un isomero in un altro, cioè converte il glucosio-1-fosato in glucosio-6-
fosfato.
Questa distinzione è molto importante perché durante la contrazione muscolare viene scelto
preferibilmente il glicogeno come fonte di glucosio, anziché lo zucchero prodotto dalla digestione
dei polisaccaridi per risparmiare l’utilizzo di una molecola di ATP che serve per trasformare, il
glucosio arrivato nella cellula in glucioso-6-fosfato.
Amido e glicogeno
L’amido è costituito da polimeri lineari di α-glucosio
caratterizzati da legami α 1,4, mentre il glicogeno è formato da
polimeri ramificati di α-glucosio caratterizzati sia da legami α
1,4 sia da legami α 1,6.
Le ramificazioni del glucosio sono dovute alla formazione di
differenti legami, i legami α 1,6.
L’amido e il glicogeno (introdotto con gli alimenti) iniziano ad essere digeriti nella bocca poiché
l’α-amilasi salivare idrolizza i legami α 1,4 dell’amido e vengono prodotti dei polisaccaridi.
L’amilasi salivare viene poi inattivata dai succhi gastrici presenti nello stomaco e viene sostituita
dall’α-amilasi pancreatica che viene riversata nel duodeno e continua la digestione producendo
maltodestrine.
Le maltodestrine quindi non sono altro che il prodotto di digestione dell’amido.
Queste vengono poi trasformate in glucosio dagli enzimi sui microvilli degli enterociti (cellule
intestinali).
Il glucosio entra nelle cellule attraverso il trasportatore del glucosio che consente di ottenere flussi
ridotti rispetto ad un canale e un controllo migliore dell’entrata del glucosio all’interno delle cellule.
Ogni cellula di ogni tessuto contiene il sul tipo di trasportatore:
Maltodestrine
Le maltodestrine sono carboidrati complessi, quindi polisaccaridi idrosolubili.
Sono costituiti da polimeri di α-glucosio di lunghezza variabile (2 < n <20) con
legami 1-4 α-glicosidici.
Si ottengono dall’idrolisi degli amidi dei cereali (mais, avena, frumento, riso) o
dei tuberi (patate, tapioca).
L’assorbimento dei carboidrati contenuti negli alimenti avviene sotto forma di glucosio, per cui se
ingeriti sotto forma di amido prima dell’esercizio richiederebbero tempi di digestione lunghi,
sottraendo energie alla contrazione muscolare.
Le maltodestrine invece vengono digerite molto rapidamente dall’intestino, anche più
velocemente dello zucchero (saccarosio).
Infatti, è possibile assumere le maltodestrine durante l’esercizio motorio (sono catalogati come
integratori alimentari).
Le maltodestrine, in ambito sportivo, hanno una funzione energetica:
− Digerite facilmente: possono essere utilizzate durante l’attività fisica senza appesantire
l’apparato gastrointestinale ed inficiare la performance.
La facilità del processo digestivo fa sì che meno sangue venga richiamato ai visceri e ve ne
sarà di più per i muscoli.
− Nelle attività aerobiche(prolungate): come nel ciclismo, caratterizzato da tappe di
centinaia di chilometri, o nella maratona, sono utili per prevenire l’ipoglicemia da attività
che potrebbe intaccare le proteine muscolari.
− Idratazione dei tessuti: non sono osmoticamente attive per cui se assunte prima, durante e
dopo l’allenamento consentono la corretta idratazione dei tessuti.
L’acqua bevuta, una volta arrivata al lume intestinale, utilizza un sistema passivo di
assorbimento determinato dalla pressione osmotica.
Gli zuccheri sono osmoticamente attivi e trattengono l’acqua nel lume intestinale
impendendo in suo assorbimento.
Il tempo ridotto di assorbimento della maltodestrine, riducendo la loro permanenza nel lume
intestinale, favorisce l’assorbimento intestinale dell’acqua.
→ Difficoltà di digestione di alcuni soggetti per il mais o intolleranza verso il cereale da cui
sono state ricavate
→ Ipoglicemia reattiva causata dall’assunzione di alte dosi in poco tempo (non assumere alte
assunzioni prima dell’allenamento, meglio assumere dosi frazionate nel corso dello stesso)
Le maltodestrine possono essere impiegate in sport di resistenza (durante l’attività ciclisti su strada,
maratoneti) evitano di intaccare le proteine muscolari, assunte in particolar modo durante l'attività
per fornire un supporto energetico, oppure possono essere impiegate nel post-allenamento in sport
di forza/potenza (scatti, sollevamento pesi), assunte preferibilmente nel recupero post-esercizio per
facilitare il recupero del glicogeno.
Glicogeno
Il glicogeno è una forma molto efficiente di accumulo del glucosio.
È osmoticamente inattivo, quindi è la forma migliore per essere conservato e contenuto all’interno
delle cellule.
Esso contiene la maggiore quantità possibile di glucosio nel minore volume possibile.
Nel fegato è presente per circa il 2-7% del peso totale che rappresenta circa 100 g, mentre nel
muscolo è presente per circa l’1% del peso totale che rappresenta circa 300-500 g.
GLICOGENOLISI
La glicogenolisi rappresenta il processo che permette la demolizione del
glicogeno intracellulare nei muscoli e nel fegato.
La glicogeno fosforilasi scinde il legame α 1,4 utilizzando il fosfato
inorganico (Pi) per liberare glucosio-1-fosfato.
Successivamente il glucosio-1-fosfato viene convertito in glucosio-6-
fosfato, un intermedio della glicolisi, dall’enzima fosfogluco-mutasi.
La glicogeno fosforilasi rimuove molecole di glucosio fino a quando non
arriva a 4 residui di glucosio dalla ramificazione.
Arriva poi un enzima deramificante che in primo luogo sposta 3 molecole
di glucosio da una catena all’altra (attività transferasica) scindendo un
legame α 1,4 e formando un nuovo legame α 1,4, in secondo luogo
idrolizza un legame α 1,6 con formazione di glucosio libero (attività α 1,6
glucosidica).
Tale meccanismo può essere innescato anche dal glucagone con la differenza che l’adrenalina
funziona nel miocita, mentre il glucagone nell’epatocita.
La fosfatasi è una proteina (PP1) in grado di rimuovere il gruppo fosfato dagli enzimi inattivandoli.
L’insulina attiva la PP1 che inattiva la fosforilasi chinasi e la glicogeno fosforilasi (es. muscolo a
riposo).
L’insulina inibisce la glicogenolisi per favorire il processo opposto, la glicogenosintesi.
GLICOLISI
FASE PREPARATORIA
La 1° fase della glicolisi è rappresentata dall’entrata del
glucosio, proveniente dal sangue, che raggiunge il citosol del
muscolo attraverso il trasportatore GLUT-4 e poi viene
immediatamente fosforilato da una esochinasi.
Questa fosforilazione è importante perché trasformando il
glucosio in glucosio-6-fosfato lo rende irriconoscibile al
trasportatore e quindi impedisce che il glucosio entrato possa
poi uscire in senso opposto dalla fibra muscolare.
È definita reazione di indirizzo perché vincola il glucosio
all’interno della cellula.
Nel muscolo, la fonte primaria di glucosio è il glicogeno che viene trasformato in glucosio-1-fosfato
e poi in glucosio-6-fosfato, quindi il glucosio ottenuto dalla doppia conversione del glicogeno
arriva all’interno della glicolisi sotto forma di glucosio-6-fosfato, bypassando così il 1° step che ha
dovuto affrontare il glucosio ematico che gli permette di risparmiare una molecola di ATP.
Il glucosio-6-fosfato, pur essendo un intermedio della glicolisi, non è ancora vincolato in questa via,
ma potrebbe prendere una via accessoria come la via del pentosio fosfato utile per la produzione
della biosintesi degli acidi grassi e dei nucleotidi.
Il glucosio-6-fosfato viene trasformato, dall’enzima fosfoesosio isomerasi, in un isomero, il fruttosio-6-
fosfato che se non prende la direzione della glicolisi può riconvertirsi in glucosio-6-fosfato, quindi
tale trasformazione è reversibile.
La PFK-1 è un sensore del livello energetico presente all’interno della cellula muscolare ed è in
grado di capire se la cellula abbia bisogno di energia, aprendo la via, oppure non necessita di
energia, chiudendo la via.
La regolazione di questo enzima è di tipo allosterico, quindi ad esso si possono legare ATP, ADP o
AMP che ne modulano l’attività.
La presenza di alti livelli di ATP segnala alla cellula che la fibra non
è in contrazione, quindi l’ATP prodotto è in esubero, quindi ristagna
e aumenta il livello all’interno della cellula, perciò l’aumento di ATP
inibisce la PFK-1 chiudendo la via.
A riposo, quando sono presenti i sottoprodotti della degradazione
dell’ATP, quindi l’ADP oppure l’AMP, se si abbassano determinano
la chiusura della via bloccando l’attività della PFK-1; durante
l’attività fisica invece cala ATP e aumentano i livelli di ADP e AMP
iperconsumata fungendo da attivatori dell’enzima segnalandogli di entrare in attività per
consentire la produzione di nuova ATP destinata alla contrazione muscolare.
La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (G3PDH) è un enzima che utilizza del NAD+ presente nel
citosol delle fibre muscolari per scaricare elettroni e protoni che sottrae alla gliceraldeide-3-fosfato
trasformandolo in NADH.
In questo modo viene catalizzata una reazione reversibile, importante perché il NAD+ e NADH
presente a livello di una cellula muscolare è limitato, per cui è sempre necessario trasformare il
NADH in NAD+ affinché nuove molecole di glucosio possano continuare a fluire lungo la via,
possiamo quindi dire che questo sia uno step limitante che determina quante molecole possono
imboccare e percorrere questa via.
Quando il glucosio deriva dal sangue vengono prodotte 2 molecole di NADH e 2 molecole di ATP,
mentre quando il glucosio deriva dal glicogeno sono prodotte 2 molecole di NADH e 3 molecole di
ATP.
NAD+ E NADH
La quantità di NAD+ presente in una cellula è di gran lunga inferiore a quella del glucosio
metabolizzato in pochi minuti.
La glicolisi si fermerebbe quasi subito se il NADH formato non venisse prontamente riciclato in NAD+.
Quando la glicolisi è svolta in condizioni anaerobiche il glucosio si trasforma in 2 molecole di
piruvato che viene trasformato in lattato.
Quando invece la glicolisi si svolge in condizioni aerobiche il piruvato viene convertito in acetil-
CoA, molecola importante perché alimenta il metabolismo ossidativo svolto all’interno dei
mitocondri.
Questa divergenza è dovuta al modo adottato dal NADH per scaricare gli elettroni, per produrre
NAD+.
Condizione aerobica
In condizione aerobica protoni ed elettroni del NADH vengono scaricati sulla catena di trasporto
degli elettroni nei mitocondri attraverso 2 meccanismi differenti a seconda del tessuto nel quale ci
troviamo:
1. Shuttle del glicerolo-3-fosfato: sistema adoperato, a livello delle cellule muscolari, dal
NADH per produrre NAD+
2. Shuttle del malato-aspartato: sistema adoperato, a livello di tutte le altre cellule eccetto i
neuroni, dal NADH per produrre NAD+
In condizioni aerobiche la catena di trasporto degli elettroni è sempre attiva, mentre in condizioni
anaerobiche non è mai attiva.
Sulla membrana interna dei mitocondri sono presenti le proteine, le attività enzimatiche che vanno
a costituire la catena di trasporto degli elettroni.
La catena di trasporto degli elettroni è formata da 4 complessi che
da sinistra verso destra sono: complesso 1, complesso 2, complesso 3
e complesso 4.
Gli elettroni fluiscono in modo differente tra i vari complessi, ma
l’accettore finale di questi elettroni è un O2 in modo che poi si possa
formare H2O.
Gli elettroni transitano per creare un gradiente protonico, cioè il
movimento degli elettroni consente alla matrice mitocondriale di raggiungere lo spazio di
intermembrana.
Nel muscolo, il NADH proveniente dalla glicolisi, perciò dal citosol, può cedere gli elettroni alla
catena di trasporto grazie allo shuttle del glicerolo-3-fosfato a livello dell’ubichinone che è un
trasportatore di elettroni dal complesso 1 o complesso 2 al complesso 3.
Nelle altre cellule invece, utilizzano lo shuttle del malato-aspartato grazie al fatto che il NADH
presente nel citoplasma è come se entrasse nel mitocondrio e potesse scaricare gli elettroni al
complesso 1.
Questo comporta un differente rendimento energetico perché il NADH può essere trasformato in
ATP.
La catena di trasporto degli elettroni è associata ad un enzima che consente la fosforilazione
ossidativa dell’ADP in ATP, reazione che avviene a livello della membrana mitocondriale.
La catena di trasporto degli elettroni permette il passaggio di 4+4+2 = 10 protoni, se invece gli
elettroni vengono scaricati dal NADH a livello dell’ubichinone è permesso il passaggio di 4+2 = 6
protoni.
I protoni scaricati a livello dello spazio di intermembrana permette di alimentare l’ATP sintasi, un
enzima che consente di produrre ATP e rappresenta un canale di passaggio per i protoni, ogni 4
protoni che attraversano il canale è possibile sintetizzare una molecola di ATP.
Quindi attraverso lo shuttle del glicerolo-3-fosfato è possibile produrre 1,5 molecole di ATP, mentre
attraverso lo shuttle del malato-aspartato è possibile ricavare 2,5 molecole di ATP.
Shuttle del glicerolo-3-fosfato
Esistono 2 enzimi rappresentanti dalla glicerolo-3-fosfato deidrogenasi citosolica (cGDP) dalla
glicerolo-3-fosfato deidrogenasi mitocondriale (mGDP).
La cGDP prende in prestito dalla glicolisi il diidrossiacetone fosfato e lo trasforma in glicerolo-3-
fosfato utilizzando 2 protoni e 2 elettroni di una molecola di NADH.
Successivamente il glicerolo-3-fosfato raggiunge il
mitocondrio dove incontra la mGDP che sottrae i 2
protoni e i 2 elettroni per caricarli su una sua molecola
simile al NAD, vincolata all’enzima, che è il FAD (Flavin
Adenina Dinucleotide) che carica diventa FADH2 e
automaticamente ritrasforma il gilcerolo-3-fosfato in
diidrossiacetone fosfato che torna nella glicolisi.
A questo punto Il FADH2 ritorna FAD cedendo i propri elettroni e protoni all’ubichinone che carico si
trasforma in ubichinolo che raggiunge il complesso 3 e il complesso 4 per generare un flusso
protonico che alimenta la fosforilazione ossidativa che porta alla formazione di ATP.
Lo shuttle del glicerolo-3-fosfato permette al NADH prodotto nel citosol dalla glicolisi di essere
ritrasformato in NAD+.
Gli elettroni rilasciati sulla catena di trasporto a livello dell’ubichinone (Q) contribuiscono alla
produzione di ATP (1,5 molecole) attraverso fosforilazione ossidativa che avviene nei mitocondri.
Perciò in realtà non è il NADH ad essere trasferito nei mitocondri, ma si muovono solo i suoi protoni
ed elettroni, trasportati sul malato.
Condizione anaerobica
La catena di trasporto degli elettroni necessita di O2 come accettore finale, per cui in condizione
anaerobica non funziona.
Il potenziale riducente accumulato sul NADH non può essere ceduto al mitocondrio, quindi il NADH
viene convertito in NAD+ attraverso altre vie.
La lattato deidrogenasi (LDH) consente, trasformando il piruvato in
lattato, di consumare il NADH ritrasformandolo in NAD+.
Quando la respirazione mitocondriale non è possibile (eritrociti privi di
mitocondri) o è bloccata (ipossia: intenso sforzo muscolare, tumori solidi
non irrorati, batteri lattacidi), la trasformazione del piruvato in lattato
ripristina il NAD+ permettendo ad ulteriori molecole di glucosio di fluire
lungo la via della glicolisi.
Ciclo di Cori
Il ciclo di Cori è un ciclo metabolico che, tramite la circolazione sanguigna, coinvolge fegato e
muscolo (o eritrociti).
In seguito allo sforzo muscolare intenso, l’O2 presente nel muscolo si esaurisce (ipossia).
Il NADH prodotto dalla glicolisi non può essere convertito a NAD+ dalla catena di trasporto degli
elettroni poiché questa necessita dell’O2 come accettore finale degli
elettroni.
L’assenza di NAD+ liberi bloccherebbe la glicolisi (l’unica via utile per la
produzione di energia in assenza di O2).
PILLOLE DI GLICOLISI
Fosfofruttochinasi-1: recepisce lo stato energetico della cellula e regola l’attività della glicolisi
PFK-1 inattivo: il G6P e il F6P prendono altre vie (via dei pentosi fosfati);
PFK-1 attivo: essi vengono irreversibilmente trasformati in F1,6P → Glicolisi
NAD+ è limitante: NADH deve essere presto ritrasformato in NAD+ affinché la cellula possa
continuare a produrre ATP tramite la glicolisi.
In anaerobiosi, il PIR della glicolisi viene trasformato in lattato attraverso reazioni che consumano
NADH e rigenerano il NAD+.
In aerobiosi, il PIR viene trasformato in acetil-CoA che alimenta il ciclo di Krebs; in questo caso il
NADH viene ritrasformato in NAD+ cedendo i propri elettroni alla catena di trasporto mitocondriale
ora attiva e produce ulteriore ATP.
Ormoni coinvolti: glucagone, adrenalina e insulina nel muscolo che regolano il flusso del glucosio
attraverso la glicolisi
L’aumento del glucosio ematico comporta un rilascio, all’interno del sangue dell’insulina, prodotta
dalle cellule del pancreas, in grado di attivare la piruvato chinasi tramite defosforilazione da parte
di una defosfatasi.
In questo modo la maggior quantità di glucosio
ematico consente una maggior attività della glicolisi.
Nel caso opposto, quando la quantità di glucosio nel
sangue diminuisce, si innesca il glucagone,
sintetizzato dalle cellule del pancreas, che interagisce
con il suo recettore e comporta un signaling
attraverso il PKA che causa la fosforilazione della
piruvato chinasi, quindi la sua inattivazione.
L’insulina permette anche di aumentare la capacità recettiva delle cellule muscolari per il
glucosio, cioè l’insulina grazie al legame con il suo recettore è in grado di attivare una cascata dl
segnale che permette la produzione dello spostamento sulla membrana esterna della cellula
muscolare, di trasportatori del glucosio che si trovavano
in vescicole citosoliche.
In questo modo è possibile potenziare la contrazione
muscolare anaerobica perché l’insulina permette un
maggior afflusso di glucosio all’interno della cellula
muscolare.
Il problema della scarsità di NAD+/NADH spiega alcuni degli effetti indesiderati generati
dall’assunzione smodata di alcool.
CICLO DI KREBS
Non solo il glucosio, ma anche gli acidi grassi che vengono scissi in pacchetti di molecole a 2
atomi di C che una volta coniugate al coenzima A
formano appunto l’acetil-CoA, quindi i lipidi degradati
dalla β-ossidazione producono acetil-CoA che
rappresenta uno dei carburanti del ciclo di Krebs.
Ulteriore carburante per il ciclo di Krebs è l’acetil-CoA
prodotto a partire dal piruvato.
Il catabolismo degli aa permette la scissione delle proteine
in scheletro di carbonio, meno il gruppo amminico
sganciato dalle transamminasi e trasformato in urea
attraverso il ciclo dell’urea che avviene solo nel fegato; alcuni aa diventano acetil-CoA ed
entrano nel ciclo di Krebs, mentre gran parte degli aa diventano degli intermedi del ciclo di Krebs.
Il 1° passaggio rappresenta la trasformazione del piruvato a livello del mitocondrio, grazie all’azione
dell’enzima piruvato deidrogenasi che non fa parte né della glicolisi né del ciclo di Krebs, ma
permette di convogliare i prodotti di degradazione del glucosio, perciò il piruvato, nel ciclo di
Krebs per ottenere un’ossidazione completa e perciò trasformarli in CO2 e H2O.
Una prima molecola di CO2 viene tolta dal piruvato grazie alla piruvato deidrogenasi che catalizza
la reazione in cui si rompe il legame con la porzione carbossilica del piruvato che esce sotto forma
di CO2 della molecola.
Gli elettroni presenti in questo legame sono ceduti al NAD che diventa NADH.
La reazione della piruvato deidrogenasi quindi comporta la produzione di un acetil-CoA, cioè una
molecola a 2 atomi di C in cui il 3° legame si è instaurato con un coenzima, il coenzima A che
possiede uno S alla sua estremità terminale e questo legame C-S è un legame altamente
energetico, perciò facilmente rotto per consentire ulteriori manipolazioni di tale molecola.
Il complesso della piruvato deidrogenasi è formato da 3 enzimi posti in serie in modo
estremamente coordinato e permettono, tramite dei passamani di trasformare il piruvato in acetil-
CoA.
I 3 enzimi che costituiscono il complesso della piruvato deidrogenasi impiegano 5 coenzimi
differenti.
4 coenzimi derivano dalle vitamine del complesso B (introdotte con la dieta):
Tiamina pirofosfato
La tiamina pirofosfato è un gruppo prostetico legato alla subunità E1
della PDH formata da un nucleo pirimidinico, un anello tiazolico che
contiene sia N sia S e attaccato ad esso c’è un gruppo pirofosfato.
La TPP lega il piruvato come etile diventato gruppo idrossietile.
Lipoato
Il lipoato o acido lipoico è legato in modo covalente alla catena laterale di un aa
rappresentato dalla Lys (lisina), attraverso un legame di tipo peptidico.
La parte terminale dell’acido lipoico, ultimo e terzultimo atomo di C possiedono
un legame con un sulfidrile.
Nella forma ossidata l’acido lipoico è rappresentato da un anello circolare,
mentre nella forma ridotta sono presenti di 2 disolfuri.
L’idrossietile liberato viene portato in vicinanza del lipoato dell’E2 e si lega
all’atomo di S portandosi con sé il gruppo acetile collegato al lipoato dell’E2.
FAD
Il FAD è un accettore di elettroni e protoni in grado di legare
a 2 atomi di N che fanno parte della flavina, di trasformarsi in
FADH2 legato in modo covalente alla proteina.
Coenzima A
Il coenzima A accoglie il gruppo acetile presente sull’E2 e si
lega ad esso per formare l’acetil-CoA, formato da un ADP
dove in 3I è agganciato un gruppo fosfato perciò è definito
ADP 3I fosfato.
Un gruppo OH dell’acido pantotenico è unito ad ADP 3I
fosfato, dall’altro estremo il suo gruppo COOH è collegato
con legame ammidico a β-mercaptoetilamina.
Il gruppo SH (tiolo) reagisce con l’acetato per formare un
tioestere, l’acetil-CoA, una molecola ad alto contenuto
energetico che cede facilmente il suo gruppo acetato.
NADH
Il NADH è un dinucleotide formato da:
DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA
Il complesso della piruvato deidrogenasi catalizza una reazione dove l’E1 lega un gruppo a 2
atomi di C sotto forma di idrossietile consentendo ad una molecola di CO2 di liberarsi dal piruvato
che a sua volta si trasforma in una molecola a 2 atomi di C e non più a 3.
L’idrossiacetile esegue un passamano con il lipoato dell’E2 e a
questo punto sull’E2 arriva il coenzima A, nella sua forma
ridotta (CoA-SH), che essendo molto reattivo, reagisce per
formare acetil-CoA, il quale esce dall’enzima.
L’N ritorna nella forma ridotta e al termine della reazione il
anche il lipoato si trova nella forma ridotta.
Il NADH si forma grazie all’azione dell’E3 che funge da enzima
accessorio permettendo una sorta di “manutenzione” dell’E2,
trasformando il lipoato nella sua forma reattiva accettando i
suoi protoni ed elettroni provenienti dalla forma inattiva sul FAD, che si trasforma così FADH2.
A questo punto elettroni e protoni vengono ceduti dal FADH2 al NAD che caricandosi diventa
NADH, perciò il FADH2 ritorna poi ad essere FAD.
CICLO DI KREBS
Nella 1° fase del ciclo di Krebs l’acetil CoA si fonde con l’ossalacetato
per formare del citrato grazie all’azione della citrato sintasi, un enzima
che prende una molecola a 2 atomi di C (acetil CoA) e una molecola
a 4 atomi di C (ossalacetato) e le fonde insieme per ottenere una
molecola a 6 atomi di C (citrato).
Il citrato è un acido tricarbossilico e per questo il ciclo di Krebs è
anche definito ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA) o dell’acido
citrico; inoltre rappresenta un intermedio
esclusivo del ciclo di Krebs.
L’eccessiva richiesta di ATP per la contrazione muscolare fa sì che tutte le vie che permettono di
produrre energia attraverso il ciclo di Krebs siano fortemente stimolate perché come prodotti finali
del ciclo di Krebs oltre a CO2 e H2O si ricavano anche molecole energetiche che sono il NADH e il
FADH2.
Queste molecole energetiche cedono i loro elettroni alla catena di trasporto degli elettroni
favorendo la formazione del gradiente protonico tra spazio di
intermembrana e matrice mitocondriale e in questo modo il flusso di
elettroni è in grado di generare ATP.
Se questo flusso di elettroni è molto stimolato, come lo è durante
l’esercizio intenso, sulla catena di trasporto degli elettroni passano
molti più elettroni rispetto a quelli che l’O2 (accettore finale degli
elettroni della catena di trasporto) presenta all’interno della
matrice, per cui l’O2 non viene trasformato in H2O, ma si forma un
radicare superossido (ROS) che può essere trasformato in perossido
di idrogeno (H2O2) dalla superossido dismutasi.
L’H2O2 è un ROS estremamente tossico che può danneggiare le membrane, anche quelle
mitocondriali, attraverso la reazione di Fenton che porta ad una lipoperossidazione delle
membrane che ne provoca la rottura.
Poiché questo composto è tossico, all’interno della cellula esistono 2 sistemi distinti in grado di
eliminare i radicali superossido e a livello mitocondriale esiste il sistema del glutatione (peptide
ciclico formato da 3 aa), costituito da 2 enzimi rappresentati dalla glutatione perossidasi e dalla
glutatione reduttasi.
La glutatione perossidasi possiede un glutatione ridotto in grado di assorbire l’H2O2 trasformando in
H2O e da glutatione ridotto si trasforma in glutatione ossidato con formazione di un legame
disolfuro.
È necessario che il glutatione ossidato ritorni poi alla sua forma ridotta e per fare ciò deve acquisire
protoni ed elettroni che gli vengono ceduti da una molecola di NADPH che poi si trasforma in
NADP+.
La isocitrato deidrogenasi NADP-dipendente ricarica di elettroni e protoni il NADP+ per poterlo
ritrasformare in NADPH.
Tutti gli intermedi del ciclo di Krebs sono a 4 atomi di C, per cui non
avviene altro che un rimaneggiamento dei vari legami per trasformare
il succinil-CoA in ossalacetato.
TRANSAMMINASI
Oltre ad ossidare l’acetil-CoA, il ciclo di Krebs può degradare diversi aa.
Le transaminasi staccano il gruppo aminico e lo cedono all’α-chetoglutarato che
Lo scheletro di carbonio (α-chetoacido) entra quindi in punti diversi come intermedio del ciclo.
Il catabolismo delle proteine avviene nel citosol della fibra muscolare e del muscolo.
La digestione di proteine derivate dal turnover proteico, la digestione delle proteine della dieta, le
condizioni di digiuno prolungato o l’attività muscolare duratura determinano la produzione di aa
all’interno delle cellule che possono essere utilizzati per produrre energia alimentando il
catabolismo degli aa.
L’attività muscolare duratura è in grado di degradare le proteine muscolari stesse.
Il muscolo scheletrico può arrivare a perdere il 30% delle sue proteine, il fegato fino al 50% e il
cuore solo il 3%; pertanto fegato e muscolo scheletrico possono servire da “riserva” di aa.
Il catabolismo degli aa, legato all’attività motoria è alimentato preferenzialmente dalle proteine del
fegato e del muscolo, oltre alle proteine introdotte con la dieta.
Le proteine introdotte con il cibo sono proteolizzate, cioè suddivise in pezzi peptidici sempre più
piccoli e vengono assorbite sotto forma di singoli aa o al massimo di dipeptidi e tripeptidi e sono
assorbite dalla parete intestinale.
Solo una piccolissima parte delle proteine non viene digerita ed eliminata attraverso le feci.
Nel tratto gastrointestinale le proteine introdotte con il bolo alimentare, attraverso l’esofago
raggiungono lo stomaco, dove determinano la secrezione della gastrina, un ormone secreto dalle
cellule della parete gastrica che stimola altre ghiandole della parete a secernere acido cloridrico
e un enzima nella sua forma inattiva che è il pepsinogeno.
L’ambiente acido dove si viene a trovare il pepsinogeno permette un
taglio proteolitico che lo trasforma in pepsina, una proteasi capace di
digerire le proteine tagliandole e frammentandole in sequenze
amminoacidiche più corte.
Successivamente il bolo alimentare attraversa il piloro ed entra nella C
duodenale che possiede un pH fortemente acido (2-3) che stimola il
pancreas esocrino, il cui dotto pancreatico arriva proprio alla C
duodenale, a produrre bicarbonato che va a neutralizzare l’acidità
riportando il pH acido della soluzione proteolizzate ad un pH neutro o
leggermente basico (7-7,2).
La presenza dei peptidi all’interno della C duodenale, stimola il pancreas esocrino a secernere 3
pro-enzimi, ossia 3 enzimi in forma inattiva (tripsinogeno, chimotripsinogeno e procarbossi
peptidasi).
La presenza di tripsinogeno, chimotripsinogeno e procarbossi peptidasi stimola le cellule della
parete intestinale a secernere l’enteropeptidasi, un enzima secreto nel lume che attiva tramite il
taglio di un pezzo inibitorio questi 3 pro-enzimi trasformandoli in enzimi attivi che rispettivamente
diventano tripsina, chimotripsina e carbossipeptidasi.
Questi 3 enzimi scindono ulteriormente le catene di aa rendendole sempre più corte.
Infine, sempre nel tratto intestinale, viene prodotto un altro enzima che è un’amminopeptidasi in
grado di strappare singole estremità amminiche di ogni peptide e trasformarle in singoli aa oppure
in dipeptidi e tripeptidi.
Questi ultimi possono poi essere assorbiti dagli enterociti presenti sui villi della mucosa intestinale,
entrano nel sangue tramite i capillari intestinali che confluiscono nella vena porta che poi li
trasporta fino al fegato.
Dal lume intestinale i singoli aa sono trasportati nell’enterocita grazie a trasportatori attivi secondari
Na-dipendenti.
Si tratta di un simporto in cui un aa può entrare grazie allo spostamento verso l’interno della cellula
di uno ione Na.
Questo spostamento avviene secondo gradiente di concentrazione che,
all’interno della cellula, viene creato dalla pompa ATPasica Na-K che
svuota il citoplasma della cellula di Na in modo che sia presente in essa
una bassa concentrazione di Na, solitamente nel lume intestinale la
concentrazione di Na è alta e quindi il Na può entrare in simporto con l’aa.
Quest’ultimo, all’interno dell’enterocita, può raggiungere i capillari
sanguigni grazie a canali specifici per ogni aa che possono attraversare
secondo gradiente di concentrazione.
I dipeptidi e i tripeptidi entrano nell’enterocita grazie ai trasporti attivi
secondari protone-dipendenti.
Il protone che entra all’interno dell’enterocita, a sua volta esce, attraverso uno scambiatore Na-H,
quindi l’H+ torna fuori ed entra del Na.
I dipeptidi e i tripeptidi sono idrolizzati a singoli aa dall’attività di dipeptidasi e tripeptidasi
enterocitiche.
I singoli aa fuoriescono dall’enterocita ed entrano nel sangue grazie a canali specifici per ogni
singolo aa.
Gli aa vengono trasformati, infatti il gruppo aminico viene separato dallo scheletro carbonioso ad
opera di una transamminasi, ognuna specifica per ogni aa.
In questo modo si libera lo scheletro carbonioso che può alimentare il ciclo di Krebs per produrre
CO2 ed energia necessaria alla contrazione, oppure produrre acetil-CoA che può essere bruciato
nel ciclo di Krebs per produrre energia, o ancora può alimentare la biosintesi dei corpi chetonici
che sono pacchetti di energia di emergenza prodotti dal
fegato quando quest’ultimo ha esaurito l’energia e servono
quando non è possibile mantenere un livello di glicemia
sufficientemente elevato e permettono di inviare pacchetti
energetici a tessuti importanti come il tessuto nervoso che
consente di svolgere le funzioni essenziali, o produrre
glucosio nel tentativo di rifornire gli altri tessuti di fonti
energetiche.
Il gruppo aminico staccato dagli aa viene solitamente
convogliato sull’α-chetoglutarato per produrre un aa, il
glutammato che raccoglie tutti i gruppi aminici degradati all’interno della cellula per poi uscire da
essa sotto forma di glutammina, entrare nel circolo sanguigno e raggiungere il fegato dove i gruppi
aminici vengono consegnati al fegato stesso sotto forma di glutammina e vanno ad alimentare il
ciclo dell’urea.
I prodotti di degradazione degli aa alimentano il ciclo di Krebs, mentre altri entrano sotto forma di
aceti-CoA e piruvato, che viene trasformato in acetil-CoA, possono entrare a far parte del ciclo di
Krebs.
Nel fegato l’acetil-CoA prodotto può essere utilizzato per
produrre corpi chetonici.
Anziché essere bruciati per produrre energia, nel fegato, gli aa
possono essere trasformati in intermedi del ciclo di Krebs come
l’ossalacetato, importante nella gluconeogenesi.
Gli stessi scheletri carboniosi perciò possono subire destini
differenti, all’interno del muscolo nel ciclo di Krebs per produrre
energia, mentre nel fegato per la produzione di corpi chetonici e
nel ciclo di Krebs utilizzato per alimentare la gluconeogenesi.
Nei tessuti in generale e nel muscolo in condizioni di riposo gli aa derivati dal turnover sono
convogliati sul glutammato dall'attività delle transamminasi.
Il glutammato si prende in carico un ulteriore gruppo aminico grazie
all’enzima glutammina sintetasi e viene trasformato in glutammina.
La glutammina è in grado di uscire dalle cellule e attraverso il sangue
raggiunge il fegato dove scarica i gruppi aminici per produrre l’urea.
Successivamente la glutammina nel fegato viene riconvertita in glutammato
grazie all’azione della glutamminasi producendo una molecola di NH3.
Nel fegato poi il glutammato, grazie ad un secondo enzima, la glutammato
deidrogenasi viene trasformato in α-chetoglutarato con conseguente
liberazione di un altro gruppo aminico.
I 2 gruppi aminici liberati dalla glutammina vengono poi convertiti, all’interno
dei mitocondri, nel ciclo dell’urea.
I gruppi aminici se non vengono riciclati nella sintesi di nuovi aa o in altri componenti azotati
vengono convertiti in un unico prodotto finale di escrezione.
Nell’uomo l’ammoniaca è tossica anche a concentrazioni
piuttosto modeste, pertanto viene incorporata nell’urea così
da essere eliminata senza danni.
L’urea viene prodotta nel fegato, esce da esso ed entra nel
sangue per raggiungere i reni dove poi viene filtrata ed eliminata attraverso le urine.
CICLO DELL’UREA
L’N accumulato nei tessuti sotto forma di gruppo -NH2 nel glutammato deve arrivare nel fegato
(come alanina o glutammina) per essere smaltito nel ciclo dell’urea.
CICLO DELL’UREA
Il ciclo dell’urea avviene solo nel fegato.
Inizia all’interno dei mitocondri degli epatociti, ma 3 reazioni avvengono nel citosol.
In condizioni particolari gli enzimi del ciclo dell’urea devono lavorare più velocemente come nei
casi di:
• Dieta ricca di proteine perché deve essere smaltito un eccesso di gruppi aminici
• Digiuno e attività fisica prolungata che comporta una demolizione delle proteine del
muscolo (per energia) e del fegato (per nuovo glucosio)
Se i gruppi aminici provengono da una dieta o un pasto particolarmente ricco in proteine, nel
fegato, l’accettore di gruppi aminici è il glutammato, perciò si innalza il livello di glutammato
presente nel fegato perché tutte le transamminasi trasferiscono i gruppi aminici strappati agli aa
all’α-chetoglutarato trasformandolo in glutammato.
In questo caso i gruppi aminici da smaltire provengono dal glutammato, il quale entra nel
mitocondrio e subisce 2 destini differenti:
Possiamo quindi affermare che all’inizio del ciclo dell’urea viene consumata una molecola di
ossalacetato che viene momentaneamente presa in prestito dal ciclo di Krebs e poi rigenerata e
quindi risostituita alla fine del ciclo dell’urea.
Il costo energetico del ciclo dell’urea rappresenta il canone fisso di smaltimento di 2 gruppi aminici
in urea da pagare per poter utilizzare le proteine come fonte energetica:
− 2 molecole di ATP sono state consumate nella reazione catalizzata dalla carbamil fosfato
sintetasi I
− 2 molecole di ATP sono state consumate nella reazione catalizzata dall’arginino succinato
sintetasi
Viene però prodotta una molecola di NADH mitocondriale che corrisponde a 2,5 molecole di ATP.
Per produrre una molecola di urea sono state consumate 4 molecole di ATP e sono state prodotte
2,5 molecole di ATP, perciò il costo netto per la produzione di una molecola di urea è di 1,5 ATP:
NB: viene rapidamente eliminata dalle arginasi prodotte nell’intestino (dai batteri) o nel fegato,
perciò è poco efficace l’integrazione per via orale
NB: al contrario dell’arginina è efficace se somministrata per via orale poiché non viene eliminata
nell’intestino e giunge al fegato dove viene convertita in arginina.
➢ Incremento della critical power: l’intensità massima di esercizio che un atleta può
mantenere per periodi di tempo compreso tra 20 e 60 min
➢ Miglioramento generalizzato della performance
➢ Aumento dei livelli del GH
➢ Riduzione dei tempi di recupero
➢ Riduzione dei marcatori di danno muscolare successivi all'allenamento fisico intenso
Gli alimenti di origine animale sono molto ricchi in BCAA: carni e carni trasformate (affettati), latte
di qualsiasi origine animale, formaggi e ricotte, pesce bianco, pesce azzurro, molluschi, uova.
Gli alimenti di origine vegetale sono più poveri in BCAA:
legumi, cereali (avena, frumento, segale, mais, riso, teff, orzo,
farro, sorgo…) e pseudocereali (amaranto, quinoa…)
apportano BCAA in quantità e rapporto meno rilevanti rispetto
ai cibi di origine animale.
La loro integrazione non sarebbe necessaria.
Dato l'elevato turn-over proteico dei tessuti in attiva rigenerazione, l’integrazione di BCAA viene
utilizzata nelle fasi di recupero dopo grandi traumi e ustioni, e in alcuni stati caratterizzati da un
progressivo decremento della massa magra (cachessia e sarcopenia).
I BCAA sono presenti in alta concentrazione nel muscolo scheletrico e cardiaco.
Il loro interesse nello sport è legato alla incapacità del fegato di metabolizzarli e pertanto essi
vengono dirottati e catabolizzati nel muscolo.
I BCAA assunti per via orale arrivano nel sangue e poi al muscolo, dove entrano e, se assunti in una
fase di recupero possono essere utilizzati nell’anabolismo delle proteine, quindi nella produzione di
nuove proteine, quindi nella fase di muscolazione post-esercizio.
La supplementazione di BCAA durante e dopo l'esercizio coi pesi ha dimostrato di aumentare
l’attività della proteina p70-S6K coinvolta nella sintesi proteica e quindi nella crescita muscolare.
Questi aa sono in grado di stimolare la proteina mTOR che attiva una cascata del segnale che
attiva la proteina p70-S6K, quindi l’attività dei ribosomi.
Se invece sono assunti durante la fase pre-esercizio
oppure durante l’esercizio questi 3 aa, una volta entrati
nel sangue, dopo aver raggiunto la fibra muscolare,
vengono transamminati per essere trasformati in
scheletro di C e in gruppo aminico che viene trasferito
sul glutammato, può essere trasferito all’alanina nel
muscolo in attività e poi l’alanina esce dal muscolo per
raggiungere il fegato e attivare il ciclo del glucosio-
alanina, oppure se il muscolo è a riposo il glutammato si
carica di un ulteriore gruppo aminico, si trasforma in glutammina e raggiunge il fegato per cedere i
gruppi amminici al ciclo dell’urea.
Nel muscolo in attività lo scheletro carbonioso proveniente dai BCAA viene utilizzato per produrre
energia, in modo preferenziale rispetto alle proteine muscolari che vengono preservate dalla
demolizione.
Questo accade perché i 3 aa sono già disponibili per essere transamminati, formare lo scheletro
carbonioso ed entrare nel ciclo di Krebs per produrre energia, rispetto alle proteine che devono
essere ancora degradate e frazionate nei singoli aa.
Questo comporta una maggior forza contrattile, cioè aver risparmiato la degradazione delle
proteine muscolari permette un recupero post-esercizio più rapido.
o Come fonte energetica: l‘integrazione dei BCAA permette di ridurre il consumo delle
proteine muscolari che altrimenti verrebbero impiegate per produrre l’energia necessaria
alla contrazione
o Nel recupero: l’integrazione con i BCAA permette il ripristino strutturale/funzionale delle
miofibrille, dovuto in modo particolare alla leucina che potenzia la sintesi proteica in modo
proporzionale all'intensità dello sforzo muscolare affrontato
➢ Associati a vitamine del complesso B: importanti perché sono co-fattori di molti enzimi
coinvolti nei processi di sintesi dell’energia necessaria per la contrazione
➢ Con differente composizione quantitativa dei singoli aa:
→ BCAA 2:1:1 (Leucina : Isoleucina : Valina): con rapporti di leucina doppi rispetto a
isoleucina e valina
→ BCAA 4:1:1: con rapporti quadrupli per la leucina
→ BCAA 8:1:1: con quantità di leucina 8 volte superiori a quelle di isoleucina e valina
Le formulazioni con maggiori concentrazioni di leucina sono indicate per le discipline ad alta
intensità per migliorare il recupero muscolare post-esercizio.
L'attività fisica intensa determina citolisi e conseguente rilascio nel sangue di enzimi endocellulari
come la lattato deidrogenasi e creatina chinasi, che fungono da marcatori di danno muscolare.
Si è osservato che il BCAA assunto pre-allenamento riduce i livelli ematici dei 2 marcatori e quindi
ha un’azione citoprotettiva che riduce il danno muscolare indotto dall'esercizio fisico intenso.
NB: un recente studio, tuttavia, indica un aumento di mortalità in pazienti con sclerosi laterale
amiotrofica (SLA) sottoposti a terapia con elevate dosi di BCAA.
Precauzioni per l'uso: l'uso dovrebbe avvenire sotto stretta supervisione medica durante la
gravidanza ed il successivo periodo di allattamento al seno e nei soggetti con encefalopatia
epatica, grandi ustioni, traumi estesi, insufficienza renale, epatopatie di grado severo e patologie
come la SLA.
Nonostante l'ampio uso degli integratori di BCAA in ambito sportivo, una dieta sana ed equilibrata
potrebbe agevolmente soddisfare anche i fabbisogni più esigenti, rendendo praticamente inutile
la supplementazione aggiuntiva.
INTEGRAZIONE DI TAURINA
La taurina è un aa, (acido amminoetansolfonico) isolato per la prima volta dalla bile di toro (da cui
il nome).
È essenziale per la sintesi degli acidi biliari (nel fegato), riversato con la bile
nell’intestino dove è fondamentale per la digestione dei grassi e delle
vitamine liposolubili.
Insieme allo zinco svolge inoltre un ruolo protettivo per il benessere della vista.
Non viene incorporata nelle proteine umane.
È particolarmente concentrata nell’organismo umano a livello del tessuto nervoso, cardiaco e
muscolare, nella retina, nei globuli bianchi e nelle piastrine.
Il nostro corpo è in grado di sintetizzarla nel fegato a partire da metionina e cisteina (in presenza di
vitamina B6).
Viene assunta con l’alimentazione attraverso i cibi di origine animale (uova, carne, pesce, frutti di
mare, latte e latticini); assente negli alimenti di origine vegetale.
In condizioni normali non è necessario assumerla con integratori.
Gli studi degli ultimi 20 anni hanno messo in luce l’importanza della taurina in molti processi
fisiologici, come: sintesi degli acidi biliari, metabolismo lipidico, omeostasi del Ca, protezione
cardiaca, controllo dell’ipertensione (pressione alta), regolazione dell’infiammazione e della
risposta immunitaria, regolazione del metabolismo del glucosio, azione antiossidante,
stabilizzazione della membrana cellulare.
La taurina è presente nelle bevande energetiche che non sono alcoliche, sono dotate di proprietà
stimolanti e usate per aumentare le performance fisiche e mentali.
La prima bevanda energetica commercializzata è stata immessa sul mercato austriaco nel 1987.
Il contenuto medio di taurina si aggira intorno 3,2 g/L (la RDA di taurina ritenuta sicura è di circa 3
g).
Gli effetti collaterali sono eventi cardiovascolari anche con esito infausto correlabili al consumo
eccessivo di bevande energetiche (spesso in associazione con alcolici o droghe, che possono
potenziarne l’effetto), principalmente imputabili all’alto contenuto di caffeina presente nelle
bevande.
La taurina è uno degli integratori maggiormente utilizzati da chi desidera implementare le proprie
performance sportive sia nel pre-gara che nel post, per accelerare i tempi di recupero.
La taurina sia è coinvolta nei meccanismi fisiologici di contrazione e rilascio muscolare è cosa
nota, così come il fatto che sia in grado di aumentare il volume delle cellule muscolari.
Studi condotti su atleti professionisti non hanno evidenziato un aumento della prestazione sportiva
a seguito della somministrazione di taurina.
L’integrazione di taurina favorisce la prestazione fisica solo nei soggetti non allenati, poiché i
soggetti allenati hanno già alti livelli muscolari di taurina e pertanto risultano meno sensibili
all’integrazione della stessa.
L’assunzione giornaliera di taurina in dosi da 3 a 6 g (2 bibite) per un anno non ha prodotto effetti
collaterali degni di nota, mancano studi a più lungo termine.
β-ALANINA E PRESTAZIONE SPORTIVA
La β-alanina ha cominciato a essere utilizzata in ambito sportivo, soprattutto negli sport anaerobici,
per migliorare le prestazioni fisiche.
La carnosina è un dipeptide che deriva dall’unione di un aa normale (istidina) con un β-aa (β-
alanina).
La carnosina si trova sia nelle fibre muscolari di tipo I sia di
tipo II, ma è presente in concentrazioni molto più elevate
nelle fibre di tipo II (veloci, metabolismo anaerobico), cioè
le più utilizzate negli allenamenti coi pesi ad alta intensità,
nonché le più sensibili alla crescita muscolare.
L'integrazione di β-alanina migliora la prestazione in sport svolti attraverso esercizi ad alta intensità
e brevi intervalli di recupero (metabolismo anaerobico).
Gli acidi grassi rappresentano una delle fonti energetiche più importanti per l’attività fisica, in
particolare per specifiche attività basate sulla lunghezza della distanza percorsa e dei tempi di
svolgimento.
Per metabolismo degli acidi grassi s’intende la demolizione dei triacilgliceroli o trigliceridi che sono
formati da una molecola di glicerolo sulla quale sono innestati 3 diversi acidi grassi.
I trigliceridi sono:
− Insolubili in acqua, cioè non alterano l’equilibrio osmotico della cellula e sono molto
compatti nelle gocce lipidiche di riserva che, diversamente dai carboidrati, sono prive
d’acqua d’idratazione
− Chimicamente inerti, non possiedono gruppi reattivi
− Altamente ridotti, infatti dalla loro ossidazione è possibile ricavare grandi quantità di energia
− Forniscono il 40% del fabbisogno energetico giornaliero soprattutto per: fegato, cuore e
muscolo scheletrico a riposo
L'ossidazione di un grammo di grassi sviluppa 9 kcal, più del doppio rispetto alla stessa quantità di
carboidrati e proteine.
I lipidi quindi rappresentano una fonte energetica nobile.
È possibile ricavare i lipidi dalla dieta poiché tramite la digestione e l'assorbimento dei lipidi
alimentari nell'intestino tenue, gli acidi grassi vengono poi consegnati a muscoli, fegato e tessuto
adiposo.
I trigliceridi contenenti acidi grassi a catena corta con un numero di atomi di C da 6 a 12 (MCT →
Medium Chain Triglycerides) hanno un assorbimento diverso da quelli contenenti acidi grassi a
catena lunga.
Gli MCT vengono idrolizzati dalla lipasi pancreatica e assorbiti a livello intestinale per essere
immessi nel flusso sanguigno, prima nei vasi mesenterici e poi nella vena porta, e arrivare
direttamente al fegato.
Il cibo ingerito con la dieta, contente acidi grassi a catena lunga, arriva
nel lume intestinale e dove è presente una lipasi in grado di rompere i
legami diesterici tra glicerolo e acidi grassi.
Gli acidi grassi così liberati vengono assorbiti dagli enterociti dell’intestino
tenue, in modo particolare nel tratto definito digiuno e una volta entrati
negli enterociti vengono poi riassemblati in trigliceridi i quali, a questo
punto, vengono assemblati in particelle particolari definite chilomicroni.
Il chilomicrone è costituito, in superficie, da un singolo strato di fosfolipidi con la testa rivolta verso
l’esterno, cioè verso la fase acquosa.
Sulla superficie sono presenti poi delle apolipoproteine che sono di tipo diverso a
seconda del tessuto che li capterà e all’interno contengono il triacilglicerolo.
Questi chilomicroni si formano nello strato sottoepiteliale intestinale, vengono
accumulati nei vasi linfatici e distribuiti al sangue attraverso il quale raggiungono il
fegato.
Hanno forma sferica e dimensioni che variano dai 100 ai 500 nm, perciò sono abbastanza grandi.
I chilomicroni attraverso il sangue vengono poi distribuiti principalmente al fegato che li trasforma,
ma se siamo in attività fisica possono essere utilizzati anche dal muscolo stesso, oppure in
condizioni di riposo possono essere distribuiti al tessuto adiposo che li accumula.
Per cui il chilomicrone che arriva attraverso il flusso sanguigno al tessuto, incontra sulla superficie
interna dell’endotelio, una lipoproteina lipasi che viene attivata da un’apolipoproteina presente
sulla superficie dei chilomicroni, non fa altro che degradare i triacilgliceroli in acidi grassi liberi e
glicerolo che poi entrano all’interno dei tessuti.
A livello del tessuto adiposo, vengono nuovamente riassemblati per formare
triacilgliceroli posti in riserva all’interno di vescicole rivestite da una proteina di
perilipina.
A livello di un tessuto in attività invece, gli acidi grassi possono essere utilizzati
direttamente per produrre energia.
Gli acidi grassi possono essere messi in depositi disponibili, infatti in condizioni di
esercizio fisico protratto, all’interno dell’organismo si genera un’ipoglicemia che
determina la comparsa del glucagone secreto dal pancreas in risposta
all’ipoglicemia, oppure può determinare il rilascio dell’adrenalina.
Glucagone e adrenalina agiscono entrambi sui lipidi di deposito determinando la lipolisi, ossia la
mobilizzazione dei triacilgliceroli posti in deposito all’interno delle cellule, in particolar modo i
depositi veri e propri sono rappresentati dal tessuto adiposo.
LIPOLISI
Condizioni di ipoglicemia, digiuno prolungato, malnutrizione, attività motoria particolarmente
protratta nel tempo, determinano il rilascio di glucagone e adrenalina.
Questi ormoni agiscono su un recettore specifico, attivandolo e innescando così una cascata del
segnale che produce, come ultima istanza, la mobilizzazione dei lipidi delle vescicole presenti
all’interno della cellula.
Il recettore attivato, a sua volta determina l’attivazione di una proteina G che si lega ad un altro
enzima presente sulla membrana dell’adipocita, l’adenilato ciclasi,
che ha come unica funzione quella di trasformare l’ATP in cAMP.
Il cAMP funge da mediatore del segnale e permette all’ormone di
mobilizzare i lipidi contenuti nelle vescicole, in particolare attiva una
proteina chinasi, la protein-chinasi A (PKA) che quando è attiva è in
grado di svolgere numerose funzioni, una tra queste è attaccare un
gruppo fosfato ad una lipasi ormone-sensibile.
La PKA inoltre aggancia un gruppo fosfato alla perilipina, la proteina
che riveste le goccioline lipidiche contenute all’interno dell’adipocita.
La fosforilazione della perilipina determina un cambiamento di
conformazione tale che si aprono dei buchi sulla superficie della
vescicola lipidica e attraverso queste fessure può entrare la lipasi
ormone-sensibile, attivata dalla PKA.
In questo modo si liberano acidi grassi e glicerolo; il glicerolo liberato viene utilizzato dalla cellula
stessa e immesso nella glicolisi, mentre l’acido grasso esce dalla cellula grazie all’aiuto di
trasportatori, arriva al sangue dove si lega all’albumina sierica e poi può essere utilizzato dal
muscolo per produzione di energia o dal fegato per produzione dei corpi chetonici, utilizzati come
fonte energetica alternativa al glucosio.
L’acido grasso arrivato al miocita, entra all’interno di esso grazie al trasportatore degli acidi grassi e
subisce il processo di β-ossidazione che ha come obiettivo quello di produrre molecole di acetil-
CoA che verranno utilizzate come fonte di energia per alimentare il ciclo di Krebs all’interno dei
miociti stessi.
La perilipina è una proteina presente sulla membrana delle goccioline lipidiche contenute negli
adipociti.
Svolge un ruolo importante nella mobilizzazione e nell'accumulo di grasso.
Agisce come uno strato protettivo per prevenire l'azione di lipasi, come la lipasi ormone-sensibile,
che idrolizza i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi in un processo chiamato lipolisi.
La perilipina viene fosforilata su 6 residui di serina dall'enzima PKA, a sua volta attivato dopo
stimolazione da parte di recettori β-adrenergici o del glucagone.
La fosforilazione induce un cambiamento conformazionale, esponendo all'azione della lipasi
ormone-sensibile i trigliceridi accumulati nelle goccioline lipidiche.
Il 95% dell’energia ricavabile dai triacilgliceroli è contenuto nelle catene degli acidi grassi, mentre
il 5% dell’energia deriva dal glicerolo.
Gli acidi grassi liberi circolanti, rilasciati dal tessuto adiposo nel sangue, si legano all'albumina
sierica (molecola di trasporto) che li trasporta fino alle cellule bersaglio (cuore, muscolo scheletrico
e altre cellule tissutali) dove vengono usati come substrato energetico.
Per poter accedere alla matrice mitocondriale, dove avviene la loro ossidazione (β-ossidazione)
per la produzione di ATP: gli acidi grassi MCT (6-12 C) entrano nel mitocondrio per diffusione
passiva, mentre gli acidi grassi più lunghi di 14 C devono essere attivati e trasportati mediante le 3
reazioni enzimatiche dello shuttle della carnitina.
La carnitina è contenuta soprattutto negli alimenti di origine animale come la carne ed i prodotti
caseari.
Anche l'avocado ed i semi di soia fermentati sono fonti di carnitina.
Nei vegani si può manifestare deficit di carnitina.
Nei vegetariani, la concentrazione di carnitina è ridotta solo del 10% rispetto alla popolazione
onnivora.
Nei vegani e nei vegetariani i livelli di carnitina normali possono essere ripristinati grazie ad
integratori di L-carnitina.
L’acido grasso arrivato al tessuto, a seconda del tessuto in cui è arrivato, subisce un differente
destino.
Se l’acido grasso arriva nella fibra muscolare viene attivato sotto
forma di acil-CoA per poter entrare nel mitocondrio e tramite la β-
ossidazione essere trasformato in acetil-CoA, un pacchetto
energetico in grado di alimentare il ciclo di Krebs per la produzione
di energia.
Se l’acido grasso invece arriva al fegato, viene trasformato in corpi chetonici, particolari forme
energetiche alternative al glucosio, che vengono riversati nel sangue e possono raggiugere e
alimentare i tessuti (tra cui il muscolo), dove poi vengono disassemblati per produrre acetil-CoA.
Per attivare un acido grasso è necessario che la sua catena laterale reagisca
con una molecola di ATP, grazie all’enzima acil-CoA sintetasi che attacca,
all’estremo carbossi-terminale dell’acido grasso, un AMP.
In questo modo si forma un acil-AMP, un intermedio di reazione che grazie
all’entrata di un CoA-SH (CoA ridotto) esce l’AMP e il CoA si lega al gruppo acile
formando così acil-CoA.
Essendo stata trasformata l’ATP in AMP sono stati rotti 2 legami ad alta energia,
quindi per attivare un acido grasso e trasformalo in acil-CoA per permettergli di
entrare nel mitocondrio, è necessario consumare energia.
Successivamente il gruppo acile dell’acil-CoA viene trasferito sull’OH della
carnitina, esce il gruppo CoA e si forma l’acil-carnitina.
Questa reazione è catalizzata dalla carnitina acil transferasi 1 (CAT1),
presente sul lato citosolico della membrana mitocondriale esterna e
rappresenta l’enzima sulla quale avviene la regolazione della β-ossidazione.
La CAT1 oltre a regolare la velocità con cui gli acili entrano all’interno del mitocondrio per essere
bruciati, regola anche il processo di produzione dell’energia e questo enzima viene regolato dalla
presenza di una molecola che fa parte della via di biosintesi degli acidi grassi rappresentata dal
malonil-CoA.
Carnitina e sport
Gli integratori di carnitina possono essere assunti liberamente dagli atleti e visto che il ruolo della
carnitina è quello di portare all’interno del mitocondrio le molecole di acido grasso dove possono
essere degradate, avere un maggior numero di trasportatori che consentono di alimentare la via è
possibile ottenere maggiori quantità di energia, per cui assumere della carnitina come integratore
può rappresentare un metodo per aumentare i livelli energetici in condizioni aerobiche.
Questo accade perché l’entrata degli acidi grassi all’interno del mitocondrio non dipende soltanto
dall’attività della carnitina acil transferasi e in particolar modo dalla quantità di molecole di
carnitina, ma dipende dalla presenza limitata del trasportatore acil-carnitina/carnitina che
rappresenta la cruna dell’ago nella velocità di ossidazione degli acidi grassi.
β-OSSIDAZIONE
L’acido grasso, entrato sotto forma di acil-CoA all’interno della matrice mitocondriale, subisce la
vera e propria degradazione che è definita β-ossidazione.
La β-ossidazione sgancia i legami che tengono insieme l’acido grasso, a partire dal terminale
carbossilico, per produrre acetil-CoA che alimenta il ciclo di Krebs dove può
essere degradato per produrre molecole ridotte e energetiche che donando i
propri elettroni alla catena di trasporto degli elettroni presente sulla membrana
mitocondriale interna, può poi essere convertito in ATP.
In questo modo l’acido grasso può essere scisso in molecole di acetil-CoA che può entrare nel
ciclo di Krebs e produrre energia.
Nel ciclo di Krebs può entrare anche il derivato del glucosio.
Ossidando completamente una molecola di glucosio, attraverso la glicolisi sono prodotte 2
molecole di piruvato, le quali vengono poi ossidate dal ciclo di Krebs.
Dall’ossidazione completa di una molecola di glucosio a 6 atomi di C si ottengono circa 30-32
molecole di ATP.
Una molecola di acido grasso a 6 atomi di C (acido caproico),
sottoponendola alla procedura di β-ossidazione associata al ciclo
di Krebs, permette di ottenere una quantità di energia pari a 38 ATP.
Possiamo infine affermare che i grassi sono in grado di contenere
più energia dei glucidi, quindi rappresentano una fonte energetica
di primaria importanza per il fabbisogno energetico della
contrazione muscolare durante la prestazione sportiva.
CORPI CHETONICI
Il digiuno, il diabete non compensato, la dieta non adeguatamente ricca di carboidrati (low-carb,
chetogeniche, iperproteiche) e l’attività fisica prolungata determinano lo svuotamento delle
riserve di glicogeno e la conseguente ipoglicemia.
In condizioni così stressanti, l'organismo reagisce liberando alcuni ormoni catabolici specifici (tra
cui glucagone e adrenalina) che attivano sia la lipolisi che il catabolismo proteico muscolare.
L’ipoglicemia provoca una secrezione, da parte del pancreas endocrino del glucagone, ormone
centrale in molti metabolismi poiché è in grado di attivare la gluconeogenesi, una via metabolica
anabolica che consente di produrre glucosio a livello del fegato.
La gluconeogenesi avviene nel fegato a partire dall’ossalacetato, un intermedio del ciclo di Krebs,
che viene utilizzato per la biosintesi del glucosio.
In questo modo però la gluconeogenesi sottrae al ciclo di Krebs l’ossalacetato, per cui in
condizioni di ipoglicemia generalizzata, la produzione di glucosio all’interno del fegato impedisce
alla citrato sintasi di funzionare, perciò il ciclo di Krebs è
bloccato come ciclo, tuttavia gli enzimi del ciclo di
Krebs, in condizioni di ipoglicemia funzionano comunque
poiché il glucagone, oltre ad attivare la gluconeogenesi,
è in grado di attivare anche il catabolismo delle proteine
per cui gli scheletri carboniosi derivati dalla
degradazione degli aa provenienti dalle proteine del
fegato vengono introdotti all’interno del ciclo di Krebs e
producono ossalacetato che tuttavia non serve per
chiudere il ciclo di Krebs, ma verrà sottratto in modo che
il fegato produca glucosio e si ripristini il livello normale di
glicemia intorno ai valori 90 e 100.
Inoltre il glucagone è in grado di attivare la lipolisi, perciò una maggior disponibilità di acidi grassi
nel fegato che subiscono la β-ossidazione per essere trasformati in acetil-CoA.
Poiché viene a mancare l’ossalacetato nel fegato, l’acetil-CoA non può entrare nel ciclo di Krebs
quindi si accumula e deve essere smaltito attraverso la chetogenesi, per formare dei chetoni.
Il glucagone agisce anche come inibitore della piruvato deidrogenasi e in questo modo il piruvato
proveniente dalla demolizione del glucosio viene completamente bloccato e nel muscolo
utilizzato per trasbordare il gruppo aminico dal glutammato all’alanina che, fuoriuscita nel sangue
attraverso la via del glucosio-alanina, raggiunge il fegato dove può essere trasformata in glucosio
attraverso la gluconeogenesi.
Nel fegato il piruvato non può essere trasformato in acetil-CoA poiché questo viene già prodotto
dalla lipolisi, per cui l’alanina proveniente dal catabolismo delle proteine può scaricare il suo
gruppo aminico al ciclo dell’urea che lo trasformerà in urea producendo piruvato che può essere
trasformato in ossalacetato, da una piruvato carbossilasi, per dar luogo a zucchero.
Quindi all’interno del fegato, in condizioni ipoglicemiche, il glucagone è in grado di dirottare
completamente il metabolismo del fegato e dal metabolismo di una cellula normale viene attivata,
come via preferenziale, la gluconeogenesi e, oltre alla lipolisi e alla β-ossidazione, l’acetil-CoA
viene dirottato per produrre chetoni.
I corpi chetonici escono dal fegato ed entrano nel sangue dove vanno ad aumentare la chetosi e
poi arrivano ai tessuti come approvvigionamento di molecole energetiche per il muscolo
scheletrico, il cuore e la corteccia renale, ma in modo particolare per il cervello che solitamente si
nutre di zucchero, ma in condizioni particolari di digiuno particolarmente prolungato utilizza i corpi
chetonici come fonte energetica.
I corpi chetonici sono fondamentalmente 3:
I corpi chetonici vengono prodotti nel fegato a partire dall’acetil-CoA e poi riversati
nel sangue.
Occorrono 2 molecole di acetil-CoA che vengono unite per formare un
acetoacetil-CoA, il quale poi viene trasformato, grazie ad una 3° molecole di
acetil-CoA, però alla reazione successiva esce un acetil-CoA, in una molecola
chiamata acetoacetato poiché esce il CoA.
L’acetoacetato viene poi trasformato in β-idrossibutirrato consumando un
NADH epatico caricando il potenziale riducente del NADH epatico sul β-
idrossibutirrato.
Quando il β-idrossibutirrato esce dal fegato arriva, attraverso il sangue nel
tessuto muscolare, subisce il processo inverso quindi carica un NADH a livello
muscolare che serve per alimentare la produzione di ATP a livello muscolare.
L’acetoacetato si può anche trasformare, per decarbossilazione, ossia
perdendo un gruppo CO, in acetone.
L’acetone in particolare quando i corpi chetonici sono particolarmente presenti, come nel
diabetico, che ha un metabolismo completamente spostato sull’utilizzo degli acidi grassi e delle
proteine, si ha un classico alito chetonico dovuto all’eliminazione attraverso i polmoni con la
respirazione, dell’acetone.
Il β-idrossibutirrato in eccesso viene eliminato attraverso le urine.
Tuttavia queste diete sono abbastanza pericolose se non vengono effettuate sotto stretto controllo
medico, difatti se la dieta non è stata ben organizzata sia in termini quantitativi sia in termini del
carico di lavoro fisico da associare alla dieta, è possibile che si accumulino corpi chetonici nel
sangue ad un livello tale che può provocare l’acidosi metabolica che è in grado di portare al
coma e persino alla morte.
Normalmente i corpi chetonici prodotti in eccesso vengono smaltiti attraverso la respirazione
(acetone) e attraverso le urine (β-idrossibutirrato).
Quando il carico della dieta non è ben bilanciato, l’eccessiva produzione di corpi chetonici può
comportare un aumento nel carico del lavoro dei reni.
Se la produzione di corpi chetonici oltrepassa la capacità di smaltimento dell'organismo, si
accumulano nel sangue abbassandone il pH e provocando l’acidosi metabolica, tipica dei
diabetici non trattati.
L'attività fisica moderata (aerobica) aumenta l'ossidazione dei corpi chetonici stessi opponendosi
al loro accumulo e agli effetti negativi che possono esercitare nell'organismo.
In alternativa, è stata proposta una dieta mediterranea rivista che non è altro che una dieta in cui
c’è un maggior contenuto di lipidi, intermedio tra la dieta
mediterranea classica e la dieta chetogenica, un ridotto
apporto di glucidi rispetto alla dieta mediterranea
classica e questo tipo di dieta mediterranea rivista
rappresenta un tipo di dieta più bilanciata rispetto agli
altri tipi di dieta.
INTEGRATORI DI CHETONI
Al Tour de France del 2018 alcune squadre hanno utilizzato degli integratori di chetoni e secondo
alcuni team:
➢ Team Jumbo: Visma: “I chetoni sono un integratore alimentare che può essere usato come
le vitamine. La sostanza non è nella lista delle sostanze proibite e sappiamo inoltre che
anche altre squadre li usano”.
➢ Team Sunweb: “Penso che ci dovrebbe essere maggiore chiarezza riguardo gli effetti sulla
salute degli atleti a lungo termine. Inoltre, ci sono dubbi riguardo l’efficacia. Ci sono studi
che mostrano che ha effetti negativi sulle prestazioni sportive e che sarebbe utile solo al
recupero. Voglio essere certo di non creare problemi ai nostri corridori”.
I corpi chetonici sono prodotti nel fegato in condizioni di ridotta disponibilità di carboidrati e
servono come fonte alternativa ai carboidrati per i tessuti periferici tra cui cervello, cuore e
muscolo scheletrico, quindi sono particolarmente adatti per gare estenuanti (corse a tappe).
Vengono ossidati come fonte di carburante durante l'esercizio e in misura maggiore nei muscoli
scheletrici allenati perché in essi vi è una maggior quantità di enzimi del ciclo di Krebs (aumento
indotto dall’allenamento), quindi hanno un interessante utilizzo per quanto riguarda gli atleti
d’élite.
A differenza dalla dieta chetogenica che riduce la glicemia inducendo il catabolismo degli acidi
grassi e delle proteine (riduzione massa muscolare), l’assunzione diretta dei corpi chetonici
(integratore) previene il catabolismo delle proteine, migliorando i tempi di recupero dell’atleta.
Non si presenta l’ipoglicemia, quindi non si attiva il glucagone e di conseguenza né la lipolisi del
tessuto adiposo né la proteolisi nel muscolo scheletrico, perciò migliora i tempi di recupero.
Uno studio scientifico pubblicato nel 2019 ha verificato come un supplemento di esteri chetonici
potesse migliorare la pratica sportiva.
Questo studio ha coinvolto circa 20 ciclisti, divisi in 2 gruppi: ad un gruppo è stato somministrato
l’integratore di chetoni, l’altro invece ha adottato una dieta bilanciata con la stessa quantità di
calorie dell’altra classe.
Questo studio ha cercato di simulare la corsa a tappe del Tour de France facendo pedalare gli
atleti per 21 giorni con: intensità differenti, allenamenti basati sia sulla lunghezza, sia sullo sprint sia
sulla corsa in salita…
Nel gruppo a cui è stata somministrata l’integrazione di chetoni, hanno riscontrato un minor senso
di fatica dopo i 21 giorni di gare e dei tempi di
recupero più rapidi tra una gara e l’altra.
Il gruppo chetogenico è riuscito a sviluppare un
aumento del volume di allenamento del 15%
durante la 3° settimana di attività.
Inoltre nel gruppo chetogenico si è riscontrato un aumento del 15% nella prova a cronometro.
L’integrazione di chetoni attenua lo sviluppo di sintomi fisiologici di affaticamento e migliora le
prestazioni dell'esercizio di resistenza, indicando che l'assunzione di chetoni è una strategia
nutrizionale che permette di aumentare il carico di lavoro e di migliorare le prestazioni di esercizio
di resistenza (aerobico).
NB: L’eccesso di corpi chetonici può portare al coma e persino alla morte, per questo tipo di
integrazione è indispensabile l’ausilio del medico!!!
FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
La fosforilazione ossidativa avviene all’interno dei mitocondri, i quali possono essere paragonati a
vere e proprie centrali energetiche che consentono di svolgere vari metabolismi e catabolismi che
permettono la produzione di energia, grazie alla catena di trasporto degli elettroni.
Poiché il sistema di trasferimento degli elettroni è localizzato sulla membrana interna mitocondriale,
i mitocondri delle cellule impegnate (es. nella contrazione muscolare, quindi nella fibra muscolare)
presentano molte creste, mentre i mitocondri presenti in altre cellule che
non abbisognano di grandi quantità di energia hanno delle creste in minor
quantità e più appiattite perché una maggior quantità di creste consente
una maggior superficie sulla quale collocare la catena di trasporto degli
elettroni, quindi consente di produrre maggiori quantità di ATP.
Sulla membrana interna di un epatocita sono presenti 10.000 unità, sistemi
di trasferimento degli elettroni; mentre nel muscolo ce ne sono 3 volte tanto
e questo dipende dalla quantità richiesta dalla cellula in cui il mitocondrio
viene a trovarsi.
Nel mitocondrio avviene la ricarica dell’ATP che però viene consumato all’interno del citosol delle
fibre muscolari durante la contrazione, quindi l’ATP viene trasformato in ADP nel citosol, però può
essere fosforilato in modo diretto dalla glicolisi, mentre in caso di metabolismo aerobico, l’ATP
viene prodotto a livello della matrice mitocondriale, per cui l’ADP consumato nel citosol deve
entrare nel mitocondrio.
Se la membrana esterna del mitocondrio è abbastanza permeabile alle molecole e
agli ioni, la membrana interna è molto selettiva, per cui è necessario che su
quest’ultima sia presente un trasportatore in antiporto, l’ATP-ADP traslocasi, che
permette l’entrata di un ADP nel mitocondrio e al contempo esportare una
molecola di ATP.
Questo consente di far sì che il pool di adenosin nucleotidi fosfati presenti nel citosol
e nel mitocondrio restino costanti.
Tutto ciò è necessario perché alcuni metabolismi permettono di produrre ATP soltanto all’interno
del mitocondrio, eccezion fatta per il ciclo di Krebs che in una reazione produce del GTP che può
essere assimilabile all’ATP.
La catena di trasporto degli elettroni fa pensare ad un filo elettrico all’interno del quale si muovono
gli elettroni, grazie a cofattori in grado di acquisire protoni ed elettroni per spostarli allo step
successivo della catena di trasporto degli elettroni.
Una tra queste è l’ubichinone formato da un anello aromatico in cui sono
presenti 2 gruppi chetonici e 2 gruppi carbonilici, a questo anello è poi
legata una catena di isoprene formata da un’unità ripetuta per 10 volte.
L’isoprene ha la caratteristica di essere liposolubile, perciò l’ubichinone
anche detto coenzima Q, può restare all’interno del doppio strato lipidico
perché è lipofilo, esattamente come le code dei lipidi, per cui l’ubichinone
consente di trasportare degli elettroni e dei protoni che vengono legati
all’anello aromatico, in particolar modo all’O che si trasforma in ossidrile
acquisendo un protone e un elettrone.
Quando l’ubichinone si trasforma in ubichinolo, tramite un passaggio intermedio che è un
semichinone radicale, è in grado di acquisire protoni ed elettroni, poi spostandosi all’interno dello
strato lipidico della membrana mitocondriale interna è in grado di trasportare ciò che ha reclutato
fino al complesso 3 della catena di trasporto.
Altre molecole in grado di trasportare gli elettroni sono i citocromi o porfirine che esistono in diverse
modalità, ma sono tutti caratterizzati da un anello
tetrapirrolico come quello della protoporfirina presente
anche nell’emoglobina e nella mioglobina: un Fe centrale si
lega agli atomi di N degli anelli tetrapirrolici della
protoporfirina.
Nell’Eme B questa funzione porta alla formazione di 2 gruppi
insaturi, mentre l’Eme A è attaccato alla protoporfirina dove
troviamo un gruppo insaturo e una coda di isoprene legata al
secondo gruppo insaturo.
L’Eme B è in grado di acquisire protoni ed elettroni per trasportarli e cederli, infatti nel complesso 2
svolge un’attività antiossidante evitando che il flusso di elettroni, quando è eccessivo possa
deragliare e in qualche modo li assorbe.
L’Eme C è legato all’anello della protoporfirina e contiene 2 gruppi insaturi che possono formare 2
legami con delle cisteine (Cys) di una proteina, quindi in un qualche modo essere bloccati
all’interno della proteina.
Nel citocromo C il gruppo EME è legato in modo covalente alla proteina attraverso 2 residui di Cys
presenti nella proteina stessa.
Altre molecole che servono per il passamano degli elettroni all’interno delle molecole e dei
complessi, sono i centri Fe-S.
In questi complessi che fanno parte della catena di trasporto degli elettroni sono presenti
numerose Cys che grazie al loro atomo di S nella catena laterale, sono in grado di prendere
contatto con il Fe e formare una struttura simile a quella che si costituiva quando il Fe era legato
alla protoporfirina.
In modo analogo quindi il Fe agisce come accettore e donatore di elettroni.
Possono essere presenti:
• Centro ferro-zolfo semplici (centro Fe, in a): con un singolo ione Fe centrale legato a 4
atomi di S facenti parte della catena laterale di 4 Cys della proteina.
• Centri ferro-zolfo complessi: in cui sono presenti sia atomi di S inorganico (centro 2Fe-2S, in
b; oppure centro 4Fe-4S, in c), legati alla proteina attraverso 4 atomi di S della catena
laterale di 4 Cys.
Più atomi di Fe sono presenti, maggiore è la
conducibilità e quindi anche la capacità del
complesso di trasferire gli elettroni allo step
successivo.
Il punto centrale della catena di trasporto degli elettroni è l’ubichinone che funziona come una
molecola in cui confluiscono tutti gli elettroni provenienti dai vari metabolismi, come il NADH
prodotto dal mitocondrio proveniente da β-ossidazione o ciclo di
Krebs che scarica i sui elettroni al complesso 1 tramite un accettore
di elettroni simile a quello che è presente nel gruppo FAD, poi questi
elettroni sono ceduti ai centri Fe-S e man mano che gli elettroni
possano all’interno del complesso 1 vengono trasferiti all’ubichinone
che diventa ubichinolo.
Altri elettroni possono arrivare dal ciclo di Krebs, infatti la succinato
deidrogenasi possiede un gruppo FADH2 che scarica i sui elettroni ad
altri centri Fe-S che permette agli elettroni di essere convogliati
sull’ubichinone che diventa ubichinolo.
Allo stesso modo dalla glicolisi, il NADH prodotto può versare i propri elettroni all’interno dello shuttle
del glicerolo-3-fosfato.
Il sistema shuttle del glicerolo fosfato permette al NADH sintetizzato nel citosol durante la glicolisi di
contribuire alla fosforilazione ossidativa che avviene nei mitocondri col fine di produrre ATP.
Altre molecole ridotte come il NADH e il FADH2 che sono prodotte dalla β-ossidazione convogliano i
loro elettroni a livello dell’ubichinone.
Il rendimento finale tra NADH e FADH2 è differente e questo accade perché entrano a livelli
differenti della catena di trasporto degli elettroni.
Nel complesso 1 gli elettroni ceduti dal NADH che ritorna ad essere NAD+,
per cui disponibile per altri cicli del metabolismo, vengono trasferiti
attraverso un passamano tra i vari centri Fe-S presenti nel complesso 1 e poi
trasferiti all’ubichinone che diventa ubichinolo.
Il passaggio degli elettroni attraverso questo complesso permette di
modificare temporaneamente la struttura della NADH deidrogenasi (solo
durante il passaggio degli elettroni).
In particolare ogni 2 elettroni che attraversano il complesso 1, 4 protoni
possono uscire dalla matrice mitocondriale allo spazio di intermembrana.
Ogni 4 protoni che rientrano nel mitocondrio si forma una molecola di ATP, per cui quando il NADH
è la molecola che ha ceduto gli elettroni e i protoni al complesso 1 si formano 2,5 molecole di ATP;
mentre quando gli elettroni sono ceduti alla catena di trasporto degli elettroni dal FADH2 si formano
1,5 molecole di ATP.
Oltre all’ATP esistono altre molecole energetiche come NADH e FADH2 che possono essere
convertite in molecole di ATP tramite la catena di trasporto degli elettroni rigorosamente in
presenza di O2 che rappresenta l’accettore finale degli elettroni.
Durante l'esercizio fisico di tipo aerobico il consumo di O2 può aumentare fino a 20 volte e nel
muscolo scheletrico fino a 100 volte per permettere di aumentare la quantità di energia prodotta.
Un numero troppo grande di elettroni che percorrono la catena di
trasporto mitocondriale determina l’incompleta riduzione dell’O2 e la
conseguente produzione di ROS.
In definitiva gli elettroni che scappano possono essere caricati sull’O2
e produrre ROS, un O2 con un elettrone in più.
I radicali ROS sono prodotti in quantità elevata durante un
allenamento intenso, ma non eccessivo e questi ROS sono dannosi
per cui devono essere assorbiti da un sistema antiossidante che lo
trasforma in H2O2 tramite una superossido dismutasi e il H2O2 se non
viene smaltito si può trasformare in un ROS molto aggressivo rappresentato dal radicale idrossilico
che può danneggiare i lipidi delle membrane con conseguente morte della cellula, quindi
l’allenamento normalmente produce dei ROS che vengono tamponati dal sistema antiossidante
presente nelle cellule impedendo all’H2O2 di trasformarsi in radicale idrossilico e trasformarla in H2O
grazie al sistema del glutatione.
Quando l’attività fisica è svolta in modo razionale si ottengono degli aumenti dei ROS abbastanza
modesti, ma adeguati perché vengono controbilanciati e completamente assorbiti dai sistemi
antiossidanti endocellulari.
1. β-carotene (provitamine A): si trova nella frutta e nella verdura di colore arancione vivace,
come carote, albicocche, patate dolci, peperone rosso o mango.
2. Acido ascorbico (vitamina C): è presente nella maggior parte della frutta, come arancia,
ribes, fragole, ma anche in quantità molto importante nel peperone rosso.
3. Tocoferolo (vitamina E): si trova in abbondanza in germe di grano, olio di oliva, girasole,
noci, mandorle, avocado o tuorlo d’uovo.
4. Polifenoli: includono i flavonoidi (molto diffusi tra i vegetali), i tannini (in cacao, caffè, tè,
uva…) gli antociani (soprattutto nella frutta rossa) e gli acidi fenolici (in cereali, frutta e
verdura).
GLUCONEOGENESI
La gluconeogenesi è un processo che avviene in parte nel citosol e in parte nel mitocondrio.
Questo processo contente di sintetizzare glucosio a partire da precursori non saccaridici.
Avviene principalmente nel fegato, ma in piccola parte anche nella corteccia renale e
nell’intestino tenue.
La gluconeogenesi è un processo indispensabile per tutti i tessuti che utilizzano il glucosio come
unica (o la principale) fonte energetica (cervello, eritrociti, testicoli, rene, tessuti embrionali).
La glicolisi e la gluconeogenesi sono 2 vie antitetiche, una crea quella che l’altra distrugge.
La glicolisi distrugge il glucosio per ottenere 2 molecole di piruvato,
mentre la gluconeogenesi consente di produrre glucosio a partire da
2 molecole di piruvato.
La glicolisi è formata da 10 reazioni, anche la gluconeogenesi di cui
7 sono reazioni comuni ad entrambe le vie (reversibili), mentre 3
reazioni sono specifiche (irreversibili) per cui sono presenti enzimi
specifici in grado di svolgere la tappa essenziale.
Infatti nella glicolisi la trasformazione del fosfoenolpriuvato in piruvato
avviene grazie all’azione della piruvato chinasi, mentre nella
gluconeogenesi avviene tramite una serie di reazioni enzimatiche,
una delle quali è catalizzata dalla piruvato carbossilasi che
rappresenta l’enzima chiave sul quale avviene la regolazione e
l’apertura di questa via.
O ancora, nella gluconeogenesi, per la gliceraldeide-3-fosfato
deidrogenasi è limitante la quantità di NADH e NAD+ presente a livello
del citosol, così come lo era per la glicolisi.
La gluconeogenesi si attiva quando le scorte di glicogeno epatico finiscono e nel sangue il livello
di glicemia inizia a calare, come avviene durante un periodo di digiuno prolungato o uno sforzo
muscolare intenso e duraturo.
Arrivati al punto dell’ipoglicemia, in presenza di glucagone, nel fegato l’unico piruvato presente è
quello proveniente dall’alanina oppure dal lattato.
Se l’esercizio è svolto in condizioni aerobiche, l’alanina proveniente dai muscoli è in grado di
trasportare il piruvato fino al fegato dove poi viene convertito in zucchero, alimentando la
gluconeogenesi epatica.
Il lattato è prodotto a partire dallo zucchero in condizioni anaerobiche, in particolar modo viene
prodotto per permettere al piruvato derivato dalla glicolisi di essere trasformato in lattato grazie
all’azione della lattato deidrogenasi per consentire di riciclare il NADH prodotto dalla glicolisi
trasformando il NAD+, essenziale in uno step centrale della glicolisi catalizzato dalla gliceraldeide-
3-fosfato.
L’ossalacetato viene prodotto mediante la carbossilazione del piruvato, cioè viene aggiunto un
atomo di C al piruvato e la formazione del legame è garantita dall’energia sviluppata dalla
molecola di ATP, per cui si forma una molecola a 4 atomi di C.
L’ossalacetato che si trova nella matrice mitocondriale, in presenza della malato deidrogenasi, un
enzima reversibile che preferisce effettuare la catalisi inversa, trasforma l’ossalacetato che si
accumula nel mitocondrio, in malato e poiché non esiste un trasportatore dell’ossalacetato ma ne
esiste uno per il malato, quest’ultimo può uscire dal mitocondrio per entrare nel citosol.
A livello del citosol una malato deidrogenasi citosolica è in grado di convertire nuovamente il
malato in ossalacetato.
Attraverso questo procedimento, l’ossalacetato che inizialmente era
stato formato dalla piruvato carbossilasi, si è caricato, trasformandosi
in malato, di 2 elettroni e 2 protoni strappati da una molecola di NADH
mitocondriale per portarli fuori e cederli nuovamente ad una
molecola di NADH citosolica quando il malato è tornato ad essere
ossalacetato.
Questo NADH è importante perché se la glicolisi e la gluconeogenesi
sono 2 processi antitetici che avvengono in senso opposto e
ricordando che la glicolisi utilizza la gliceraldeide-3-fosfato
deidrogenasi, utilizzata anche dalla gluconeogenesi; nella glicolisi
questo enzima necessitava della presenza di NAD+ da trasformare in
NADH a cui cedere gli elettroni e i protoni strappati dalla gliceraldeide, al contrario la
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, quando lavora nel senso opposto, nella gluconeogenesi,
necessita di NADH.
Ciò che si ottiene è il trasbordo del potenziale riducente dall’interno del mitocondrio al citosol,
dove questo NADH viene utilizzato per produrre la molecola di glucosio, in particolare nello step
catalizzato dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi in cui l’1,3-bisfosfoglicerato viene
trasformato in gliceraldeide-3-fosfato grazie ad una molecola di NAD.
Anche gli scheletri carboniosi degli aa provenienti dalle proteine del fegato alimentano la
gluconeogenesi epatica.
Il glucagone ha attivato la demolizione delle proteine degli
aa, gli scheletri carboniosi entrano nel ciclo di Krebs, mentre i
gruppi aminici caricati sul glutammato vengono direttamente
smaltiti grazie al ciclo dell’urea che avviene nel mitocondrio.
L’entrata degli scheletri carboniosi come intermedi del ciclo di
Krebs, attraverso gli enzimi che si succedono nel ciclo
omonimo, sono convertiti in malato, il quale esce dal
mitocondrio e raggiunge il citosol dove diventa ossalacetato
e poi fosfoenolpriuvato fino alla produzione del glucosio.
Ciò accade quando nel fegato si verifica una condizione di ipoglicemia.
Il glucagone attiva anche la lipolisi che determina la rottura del legame sterico che tiene uniti gli
acidi grassi al glicerolo.
Questi si liberano, nel fegato gli acidi grassi permettono
l’attivazione della β-ossidazione e convertiti in acetil-CoA che
viene utilizzato per la produzione dei corpi chetonici espulsi dal
fegato, mentre il glicerolo può essere convertito in zucchero.
Il glicerolo grazie ad una glicerolo chinasi può essere trasformato in
glicerolo-3-fosfato che viene trasformato in un intermedio della
glicolisi, il diidrossiacetone fosfato.
Gli acidi grassi provenienti dalla rottura del legame con il glicerolo
però non possono essere trasformati in glucosio perché non esiste un enzima in grado di
riconvertire l’acetil-CoA in piruvato.
La presenza del glucagone, attraverso una cascata del segnale, attiva la PKA che fosforila
l’enzima di comando della biosintesi degli acidi grassi, ossia l’acetil-CoA carbossilasi che quando
è attivo aggancia un atomo di C all’acetil-CoA
trasformandolo in malonil-CoA, il quale consente la biosintesi
degli acidi grassi.
In questo modo però l’acetil-CoA carbossilasi, una volta
fosforilata, si inattiva e cessa la produzione di malonil-CoA.
Il malonil-CoA è un regolatore allosterico in grado di legarsi
alla carnitina-acil transferasi 1 inattivandolo.
Quindi questo processo innescato dal glucagone, andando a
inattivare l’acetil-CoA carbossilasi determina una riduzione dei livelli di malonil-CoA, quindi un
distacco del malonil-CoA legato alla carnitina-acil transferasi 1 che si attiva e regola l’accensione
della β-ossidazione.
➢ <5% entra nell’epitelio della mucosa gastrica e del primo tratto gastrointestinale (lingua,
bocca, esofago e stomaco) in cui viene metabolizzato
➢ Il resto viene assorbito nell’intestino (diffusione passiva) ed entra nel sangue (↑ alcolemia).
L’85-98% dell’alcool ematico viene metabolizzato nel fegato, mentre il 2-15% viene escreto
attraverso polmoni (fiatella tipica) e reni.
L’alcool arriva al fegato dove viene rapidamente metabolizzato attraverso 2 deidrogenasi che
consumano del NAD+ citosolico, viene trasformato prima in acetaldeide e poi in acetato.
L’acetato viene convertito in acetil-CoA che serve per produrre acidi grassi all’interno del fegato.
Queste 2 reazioni però provocano un depauperamento del NAD+ contenuto all’interno del citosol
degli epatociti, essenziale per far avvenire la glicolisi che mantiene i livelli energetici che servono
al fegato per poter lavorare, per cui si attiva automaticamente
un sistema che vuole consumare il NADH che è la lattato
deidrogenasi, la quale consuma del piruvato presente
all’interno delle cellule e forma del lattato.
In questo modo si accumula, all’interno del fegato, del lattato e
quest’azione della lattato deidrogenasi permette di ripristinare i
livelli di NAD+.
Maggiore è la quantità di alcool che si assume, maggiore è la
quantità di NAD+ consumato, quindi di NADH prodotto e
maggiore è la quantità di lattato che viene prodotto, ma
soprattutto maggiore è la quantità di piruvato che viene
trasformato in lattato e sottratto alla gluconeogenesi.
Per cui nel fegato di un forte bevitore, queste reazioni
permettono di ridurre l’attività gluconeogenica del fegato stesso e questo può causare delle
ipoglicemie molto severe che possono essere il motivo dello svenimento e del coma etilico.
Lo stato di malnutrizione tipico degli alcolisti comporta un ridotto apporto di zuccheri con la dieta:
ciò determina un aumento dell’attività gluconeogenica del fegato nel tentativo di ripristinare il
livello ematico del glucosio.
Poiché l’alcol impedisce la gluconeogenesi, l’alcolista va in ipoglicemia e nei forti bevitori a
digiuno da 14-16 ore si ha ipoglicemia sintomatica e conseguente svenimento.
L’eccesso di acido lattico può provocare acidosi lattica che interferisce con l’escrezione renale
dell’acido urico e provoca la comparsa di gotta.
L’eccesso di NADH è un segnale di surplus energetico dove viene spenta la β-ossidazione degli
acidi grassi e viene attivata la loro biosintesi.
I grassi si accumulano nel fegato (steatosi) e inizia il danno epatico da alcol.
Il glicogeno è una forma molto efficiente di accumulo del glucosio perché permette di mantenere
la maggiore quantità possibile di residui di glucosio nel minore volume
possibile.
Inoltre è osmoticamente inattivo, perciò può essere conservato all’interno delle
cellule senza temere che possano richiamare dall’esterno dell’H2O che faccia
esplodere la cellula.
Nel fegato il glicogeno rappresenta circa il 2-7% del peso totale, perciò è una
componente molto importante, per un totale di circa 100 g.
Il fegato svolgendo il ruolo di tampone della glicemia deve contenere le riserve
necessarie al momento dell’attività fisica quando il consumo di glucosio
ematico dovuto all’attività muscolare determina un calo della glicemia e
quindi il fegato funge da batteria tampone della glicemia liberando il glucosio
tramite la demolizione del glicogeno.
Nel muscolo la quantità di glicogeno è minore e rappresenta circa l’1% del peso totale, per un
totale di circa 300-500 g.
Ciò accade perché il muscolo utilizza il glicogeno e ha a disposizione, perciò anche il glucosio
ematico e quello mantenuto all’interno del fegato da poter utilizzare.
La glicogenolisi è attivata dall’attività motoria, dalla necessità di produrre ATP per sostenere la
contrazione muscolare dell’esercizio.
Come risposta adattativa all’esercizio fisico, il
corpo aumenta il livello di adrenalina secreta dalla
midollare del surrene e di glucagone nel sangue
secreto dalle cellule α del pancreas, mentre
diminuisce il livello di insulina secreta dalla cellule
β del pancreas.
GLICOGENOSINTESI
La glicogenosintesi consente nell’addizione di residui di glucosio ad un terminale della
glicogenina, proteina sulla quale inizia la biosintesi del glicogeno e quest’addizione di singole unità
non avviene mediante addizione diretta di unità di glucosio, ma attraverso una forma modificata di
glucosio collegato all’uridina difosfato.
Perciò il mattone per la biosintesi di glicogeno non è il glucosio, ma
una molecola più grande rappresentata dall’UDP-glucosio in
questo modo si forma un legame ad alta energia che una volta
scisso libera energia e permette ad un’altra molecola di glucosio di
allungare la molecola di glicogeno nascente.
L’UDP-glucosio viene prodotto grazie alla UDP-glucosio pirofosforilasi, un enzima che utilizza il
glucosio-1-fosfato e una molecola di UTP per trasformarlo in UDP-glucosio + PPi.
La via dei pentoso fosfati permette di rimpinguare i depositi di acidi grassi consumati durante
l’attività motoria, perciò questa via è importante nella fase di recupero e di ripristino dei tessuti
adiposi, per quanto riguarda la prestazione sportiva, ma è anche importante per la prevenzione
dello stresso ossidativo e la produzione di particolari aa e nucleotidi.
La via dei pentoso fosfati o del fosfogluconato è un processo metabolico che avviene interamente
nel citoplasma e in tutte le cellule.
La glicolisi utilizza come molecola iniziale il glucosio-6-fosfato, perciò la via dei pentoso fosfati è
una via che non può essere accesa quando è attiva la glicolisi poiché si consumerebbe ciò che
serve all’altra.
Esiste perciò una stretta regolazione delle 2 vie per fare in modo che non siano attive
contemporaneamente.
• La generazione di NADPH, necessario per la biosintesi degli acidi grassi e per prevenire lo
stress ossidativo tamponando i ROS
• La produzione del ribosio-5-fosfato (R5P), un precursore per la sintesi di nucleotidi e acidi
nucleici
• La produzione di eritrosio-4-fosfato, un precursore nella sintesi degli aa e della vitamina B6
• Convertire gli zuccheri pentosi alimentari derivati dalla digestione degli acidi nucleici in
intermedi della glicolisi o della gluconeogenesi
La via dei pentoso fosfati è una via di catabolismo del glucosio-6-fosfato (G6P), cioè è una via che
consuma lo stesso substrato della glicolisi, ragion per cui viene definita una diramazione della
glicolisi e proprio perché avviene all’interno del citoplasma è necessaria una stretta regolazione
delle 2 vie poiché una consuma quello che consuma anche l’altra.
Il glucosio-6-fosfato in questa via viene ossidato (e decarbossilato) senza produzione di ATP per
formare zuccheri a 5 atomi di C (pentosi), quindi non ha funzione energetica (poco importante per
il muscolo durante la contrazione).
Questa via è molto importante per il fegato poiché circa la metà del glucosio metabolizzato dal
fegato entra nella via e il fegato è centrale per il metabolismo ossidativo, ma anche per il
metabolismo anaerobico in quanto è in grado di rilasciare dello zucchero dal glicogeno attraverso
la glicogenolisi ed è in grado di produrre corpi chetonici per alimentare le cellule.
FASE OSSIDATIVA
Il primo passaggio è catalizzato dall’enzima regolatore della via.
La trasformazione del glucosio-6-fosfato in 6-fosfato-glucono-δ-
lattone avviane grazie alla glucosio-6-fosfato deidrogenasi, ossia un
glucosio in cui la funzione alcolica è diventata un chetone ed è
presente una struttura ciclica.
Da questa reazione viene prodotto il NADPH, cioè gli elettroni e
protoni strappati vengono caricati sul NADP+ che diventa NADPH e in
questo modo l’elettrone che resta sull’O e l’elettrone che resta sul C si
riuniscono per formare un doppio legame, perciò si forma un gruppo
carbonilico.
Questa reazione produce NADPH che rappresenta uno dei regolatori
allosterici dell’attività dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi.
La reazione complessiva della fase ossidativa della via del pentoso fosfato è:
Possiamo quindi affermare che si ha la produzione netta di 2 molecole di NADPH e di una molecola
di ribulosio-5-fosfato, partendo da una molecola di glucosio-6-fosfato.
La fase non ossidativa serve a rendere ciclica la via dei pentoso fosfati.
In questo modo l’unico scopo di questa via metabolica è quello di produrre NADPH.
Perciò fase ossidativa e fase non ossidativa lavorano come un ciclo unico in grado di sostenere la
produzione di NADPH utilizzato per la sintesi di acidi grassi, quindi nei tessuti che necessitano di
molto NADPH (es. tessuto adiposo e fegato), questa fase non ossidativa è molto attiva e collabora
con la fase ossidativa per rendere ciclica la via del pentoso fosfato e produrre grandi quantità di
NADPH.
2 molecole di ribulosio-5-fosfato, per completare la fase non ossidativa, vengono lavorate dalla
transchetolasi che prende 2 atomi di C da 1 delle 2 molecole lasciandola con soli 3 atomi di C e i 2
atomi di C sottratti vengono aggiunti all’altra molecola che da 5 atomi di C passa ad averne 7.
Poi entra in gioco la transaldolasi che prende un atomo di C dalla molecola a 7 atomi di C
facendola diventare a 6 e l’atomo di C sottratto viene donato alla molecola che era rimasta con
soli 3 atomi di C facendola diventare a 4 atomi di C.
1 delle 2 molecole prodotte è il fruttosio-6-fosfato.
Questa reazione avviene nel citosol e attraverso
un’isomerasi comune sia alla gluconeogenesi sia alla
glicolisi, è in grado di trasformare il fruttosio-6-fosfato in
glucosio-6-fosfato e una molecola a 4 atomi di C che è
l’eritrosio-4-fosfato.
L’eritrosio-4-fosfato è la molecola necessaria da
ricordare per la sintesi degli aa e della vitamina B6.
A questo punto, l’eritrosio-4-fosfato insieme alla
molecola di ribulosio-5-fosfato, tramite una
transchetolasi si forma un'altra molecola di fruttosio-6-
fosfato che può essere isomerizzata a glucosio-6-fosfato
e una molecola a 3 atomi di C rappresentata dalla
gliceraldeide-3-fosfato.
Replicando tutto questo processo si formano
nuovamente 2 molecole a 6 atomi di C e 1 molecola a
3 atomi di C.
Perciò partendo da un totale di 6 molecole di ribulosio-
5-fosfato, otteniamo 4 molecole a 6 atomi di C e 2
molecole a 3 atomi di C.
La gliceraldeide-3-fosfato poi può essere trasformata in diidrossiacetone fosfato e assieme, grazie
all’enzima caratteristico sia della gluconeogenesi sia della glicolisi, riprodurre il fruttosio-6-fosfato
passando per il fruttosio 1,6-bisfosfato, andando perciò a produrre altro glucosio-6-fosfato.
In totale da 6 molecola a 5 atomi di C otteniamo 30 atomi di C suddivisi in 5 molecole a 6 atomi di
C, cioè da 6 molecole di ribulosio-5-fosfato, tramite la fase non ossidativa si ottengono 5 molecole
di glucosio-6-fosfato che una volta prodotte, possono essere utilizzate da un’altra fase ossidativa
per essere nuovamente ossidate a ribulosio-5-fosfato e produrre altro NADPH.
Questa fase non ossidativa è importante anche perché è proprio in questa fase che entrano i
pentosi di derivazione degli acidi nucleici alimentari che possono essere convertiti in intermedi
della gluconeogenesi e nuovamente convertiti in glucosio-6-fosfato utilizzato dall’organo.
Nel diabetico uno degli effetti della glicemia elevata che si ha nel sangue, determinano, a livello
tissutale, uno stress ossidativo che causano una maggior produzione, perciò maggior produzione
di ROS e di H2O2, la quale deve essere rimossa con l’eliminazione di una molecola di H2O per
azione del glutatione ridotto che viene dunque ossidato e poi ripristinato a glutatione ridotto
utilizzando del NADPH che si trasforma in NADP+.
In ultima istanza, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi ripristina i livelli di NADPH rendendo il sistema
capace di rispondere alla produzione di ROS.
In condizioni di glicemia elevata nel diabetico la produzione di H2O2 è molto più elevata, quindi
sono necessarie più quantità di NADPH per riuscire a rimuovere tutta l’H2O2 prodotta nei tessuti del
diabetico, perciò poiché la metformina è un attivatore della glucosio-6-fosfato deidrogenasi, può
permettere una miglior rimozione dei ROS e quindi ridurre anche lo stress ossidativo nei tessuti del
diabetico.
Questo è molto importante perché così facendo si dovrebbe prevenire gli effetti deleteri che alla
lunga si verificano nei tessuti del diabetico non compensato.
Dopo i pasti, gli zuccheri (ed alcuni aa) vengono degradati attraverso la via glicolitica per
produrre piruvato, convertito in acetil-CoA ad opera della PDH (decarbossilazione ossidativa) nel
mitocondrio.
L’acetil-CoA è il principale substrato in ingresso del ciclo di Krebs, con il fine ultimo di produrre ATP,
utile alle attività della cellula stessa.
Quando la cellula ha una sufficiente quantità di ATP, l'acetil-CoA viene utilizzato per produrre gli
acidi grassi, ma la biosintesi degli acidi grassi avviene nel citoplasma delle cellule del fegato e del
tessuto adiposo, per cui l'acetil-CoA sintetizzato all'interno del mitocondrio deve essere spostato nel
citoplasma.
Poiché l’acetil-CoA non è in grado di attraversare spontaneamente la doppia membrana
mitocondriale, questo può essere spostato nel citosol grazie alla sua trasformazione in citrato.
La biosintesi degli acidi grassi avviene nel citoplasma delle cellule del fegato e del tessuto adiposo
e necessita di acetil-CoA, il vero e proprio mattone aggregato per formare i polimeri formati da
atomi di C che si susseguono in modo lineare, e NADPH.
Poiché l'acetil-CoA viene sintetizzato all'interno del mitocondrio (la PDH è un enzima
mitocondriale), ma non è in grado di attraversare spontaneamente la doppia membrana
mitocondriale, la cellula deve attivare il trasporto della molecola all'esterno del mitocondrio.
Inoltre, poiché la biosintesi degli acidi grassi richiede NADPH, la cellula deve garantire la presenza
nel citoplasma di quantità sufficienti di NADPH per la biosintesi.
All’interno del citosol l’acetil-CoA subisce una carbossilazione, ossia gli viene aggiunta un’altra
molecola di CO2 che in realtà entra come bicarbonato e in questo modo si forma il malonil-CoA
che ha 3 atomi di C.
Questa reazione è fondamentale, avviene soltanto nella biosintesi degli
acidi grassi e l’enzima che l’ha catalizzata prende il nome di acetil-CoA
carbossilasi (ACC), enzima di comando della via per la biosintesi degli
acidi grassi che risente alternativamente di insulina (attivazione
dell’enzima) e glucagone (inibizione dell’enigma).
L’acetil-CoA carbossilasi è formata da 3 domini, ossia 3 parti di proteina che svolgono una
determinata funzione:
a) Proteina trasportatrice della biotina: ad essa si lega una molecola di CO2 che poi verrà
attaccato all’acetil-CoA per produrre il malonil-CoA
b) Biotina carbossilasi: parte di enzima che consente il legame fisico
tra il gruppo carbossile strappato dal bicarbonato e la biotina
stessa, attivando la CO2 ed è un legame che si può rompere con
facilità perché possiede un alto contenuto energetico
c) Transcarbossilasi: prendendo una molecola di bicarbonato e
utilizzando una molecola di ATP si forma un legame tra il gruppo
carbossilico della molecola di bicarbonato e la biotina, perciò
l’energia prodotta dal terzo legame dell’ATP che esce dalla
reazione sotto forma di ADP, viene utilizzata per formare il legame
tra un N della biotina e il gruppo carbossilico.
Successivamente la biotina con agganciato il gruppo carbossilico
subisce una sorta di colpo di frusta, si sposta verso l’unità
transcarbossilasica.
In questa tasca del dominio transcarbossilasi dell’acetil-CoA
transcarbossilasi è entrato un gruppo acetile e la biotina con
agganciata la CO2 pone il gruppo carbossilico sull’acetil-CoA.
La prossimità tra queste 2 molecole consente di rompere il
legame con la biotina e di formare, al contempo un legame tra
gruppo carbossile e acetile, per cui si forma il malonil-CoA.
Il braccio di biotina dopo può tornare nella sua posizione iniziale
e raccogliere un’altra molecola di CO2 per poter produrre un’altra molecola di malonil-
CoA.
Il malonil-CoA è una molecola molto importante perché anche se nella biosintesi degli acidi grassi
si aggiungono pacchetti di 2 atomi di C alla struttura nascente dell’acido grasso, in realtà la
molecola iniziale dell’acido grasso in formazione era costituito da 3 atomi di C come il malonil-
CoA.
La rottura del terzo legame appena creato per generare il
malonil-CoA restituisce un pacchetto a 2 atomi di C che
viene agganciato all’estremità carbossilica dell’acido
grasso nascente con conseguente eliminazione di una
molecola di CO2.
Perciò il malonil-CoA non è altro che la forma attiva
dell’acetil-CoA idonea per produrre l’acido grasso.
Possiamo quindi affermare che con il malonil-CoA si
cominci il vero e proprio processo di biosintesi degli acidi
grassi.
La proteina ACP è formata dalla proteina vera e propria trasportatrice di acili attaccata alla catena
laterale di una serina alla quale è agganciata una catena di acido pantotenico che è lo stesso
presente all’interno del CoA e questa catena termina con
l’ammintioetile che è presente nel CoA che possiede un
gruppo SH terminale che è la porzione reattiva e nel CoA
permette di formare un legame con l’acetato per produrre
l’acetil-CoA, mentre in questo caso è la sommità del palo
attorno al quale ruota la giostra.
Al gruppo SH entrano e si legano i gruppi derivati dal
malonil-CoA.
A questo punto sulla sommità della proteina ACP entra l’altro gruppo SH
presente sull’acido pantotenico ed entra un gruppo malonil-CoA che
comporta l’uscita del CoA e il gruppo malonile si lega alla sommità, perciò al
termine della 2° reazione, 2 basi saranno piene, quella del complesso 1 alla
quale è legato il gruppo acetile e quella della sommità della giostra a cui è
attaccato un gruppo malonile.
Nella 7° reazione l’acido grasso saturo viene trasferito nella posizione iniziale e
il ciclo di produzione dell’acido grasso è terminato.
Per la biosintesi del palmitato quindi è necessaria una molecola iniziale di acetil-
CoA, poi per riuscire ad effettuare l’allungamento è necessario aggiungere altri 7
malonil-CoA sulla testa della proteina ACP, in questo modo si riesce a produrre
palmitato e 7 molecole di CO2 come sottoprodotto.
La regolazione della biosintesi degli acidi grassi avviene a livello dell’enzima acetil-CoA
carbossilasi, infatti questo enzima può essere regolato o dalla concentrazione di substrati e
prodotti, anche se non sono direttamente i suoi substrati e prodotti della reazione da essa
catalizzata, ma sono comunque delle molecole che segnalano o la disponibilità di precursori per
la biosintesi degli acidi grassi o segnalano che gli acidi grassi si stanno accumulando e non
venendo smaltiti in nessun modo è necessario terminare la biosintesi.
In particolar modo l’ACC viene regolata da alti livelli di citrato che la attivano
perché segnalano la disponibilità del citrato che può essere trasformato in uno
dei precursori, dei reagenti, dei substrati dell’ACC che è l’acetil-CoA formato
dalla trasformazione del citrato in acetil-CoA e ossalacetato grazie all’azione
della citrato liasi.
Questo perciò comporta un aumento nella velocità di esecuzione dell’ACC.
Un’eccessiva concentrazione di palmitato, poiché normalmente l’acido grasso
viene trasformato in triacilglicerolo, quindi viene esterificato con il glicerolo, un
accumulo di palmitato o comunque di acido grasso nella forma libera,
segnala una ridotta necessità di produrre triacilgliceroli, perciò il palmitato
agisce come riduttore della via andando a diminuire la velocità di attività
dell’ACC.
Fondamentalmente i lipidi vengono assorbiti a livello intestinale e i lipidi assorbiti vengono smontati
e riassemblati all’interno dei chilomicroni prodotti a livello intestinale andando a veicolare
trigliceridi e colesterolo introdotti con la dieta ai tessuti muscolare e adiposo.
Le particelle rimanenti sono rimosse dal fegato.
I chilomicroni sono presenti in circolo solo dopo il pasto, mentre in circolo solitamente sono
presenti:
− Lipoproteine a densità molto bassa o VLDL (Very Low Density Lipoprotein): vescicole che
trasportano i trigliceridi sintetizzati dal fegato per i tessuti.
Le VLDL vengono messe in circolo, assorbite dal muscolo e
dalle altre cellule che necessitano di carburante
energetico.
Quelle che non vengono assorbite ritornano al fegato dove
sono assorbite.
− Lipoproteine a bassa densità o LDL (Low Density
Lipoprotein): trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti.
Sono note come le lipoproteine del "colesterolo cattivo".
− Lipoproteine ad alta densità o HDL (High Density
Lipoprotein): recuperano il colesterolo dai tessuti e lo
trasportano al fegato.
Sono note come le lipoproteine del "colesterolo buono".
L’esercizio fisico ad alta intensità (High-Intensity Training, HIT) è l’esecuzione dello sforzo massimo
per un tempo variabile, ma comunque breve (da pochi secondi a 1-2 min, es. ciclismo ad alta
velocità, nuoto su distanze tra 50-100 m, corsa alla massima velocità su distanze tra 60 e 200 m e
buona parte delle attività di campo dell’atletica, il pattinaggio di velocità…).
Lo sviluppo della velocità e della forza richiede una grande quantità di ATP e per ottenere uno
sviluppo massimale bisogna che l’organismo utilizzi i sistemi di ripristino di ATP che permettono di
erogare la maggior potenza nell’unità di tempo.
La creatina fosfato è un aa molto semplice e fosforilato che grazie all’azione della creatina chinasi
è in grado di traferire il gruppo fosfato presente sulla creatina fosfato per fosforilare l’ADP e
trasformarlo in ATP che viene bruciato all’interno del muscolo per consentire alla miosina di
effettuare una nuova modificazione strutturale capace di spostarla un monomero più avanti sul
filamento sottile.
La riserva della creatina fosfato è fondamentale negli sport
che richiedono energia massimale in tempi brevi (es. corsa
veloce, sollevamento pesi, sprint dove lo sforzo si esaurisce
in 1 e 10 s).
Durante l’esercizio ad alta intensità, in primis viene attivato il consumo della fosfocreatina e della
glicolisi.
In uno studio effettuato sulle variazioni dei metaboliti all’interno del muscolo durante sedute di
ciclismo veloce (Sprint) per tempi da 6 a 30 sec (Cheetham 1986) si è notato, tramite una biopsia
muscolare, che sono aumentati i livelli di acido lattico (250% a 6 sec, 1000% a 30 sec) a dimostrare
che la glicolisi diventa maggiormente attiva all’aumentare della durata dello sforzo (sprint).
Inoltre diminuiscono i livelli della PCr e del glicogeno muscolare (glicolisi), il PCr cala maggiormente
del glicogeno, perciò il PCr viene consumato prima.
Il contenuto in ATP si è dimezzato rispetto alla fase di
riposo, calando però meno del PCr e altri metabolismi
contribuiscono a ripristinarlo.
NB: l’ATP è la forma più rapida di energia, ma il completo consumo determinerebbe un’eccessiva
rigidità muscolare (rigor mortis) con danneggiamento delle fibre muscolari (ATP necessario per il
distacco delle teste di miosina dai filamenti sottili).
L’ATP così prodotto viene impiegato nella contrazione muscolare, mentre l’AMP segnala lo stato di
deficienza energetica intracellulare dovuta all’esercizio in corso di svolgimento.
L’HIT modifica l’attività degli enzimi chiave per la degradazione della PCr (CK), per la glicogenolisi
(glicogeno fosforilasi), la glicolisi (PFK) con produzione di acido lattico (LDH) e la reazione della
miochinasi.
Inoltre comporta modifiche immediate della concentrazione di ATP ↓, ADP ↑, AMP ↑, Pi ↑ e Ca2+ ↑
non appena il muscolo inizia la contrazione.
L’AMP è uno dei modulatori della glicogeno fosforilasi che catalizza la trasformazione del
glicogeno in glucosio-1-fosfato, il quale poi può essere isomerizzato a glucosio-6-fosfato che viene
trasformato in fruttosio-6-fosfato…
Sia la glicogeno fosforilasi sia la fosfofrutto chinasi sono regolati
da effettori allosterici come l’IMP o inosina monofosfato che è
un prodotto di degradazione che deriva direttamente
dall’AMP.
L’AMP perciò è un regolatore allosterico perché non solo
attiva la glicogenolisi, ma consente anche di attivare la via
glicolitica che permette la trasformazione del glicogeno in
piruvato che in condizioni di massiccio sviluppo di energia
viene poi trasformato in lattato.
L’AMP è in grado di attivare una proteina definita proteina chinasi attivata dall’AMP (AMPK) che si
attiva promuovendo adattamenti del metabolismo.
L’AMPK possiede differenti substrati ed è in grado di fosforilare differenti proteine, in particolar
modo è in grado di attivare differenti vie.
Una via permette un’attività insulino-mimetica in quanto è in grado di attivare un meccanismo
che consente alle vescicole di GLUT4, contenute all’interno della fibra muscolare, di fondersi con la
membrana e riversare sulla membrana stessa il trasportatore del glucosio muscolare e
conseguentemente, consente alla cellula che avverte il bisogno di produrre energia perché è
aumentato l’AMP, perciò la fibra muscolare sta consumando glucosio, di rifornirsi di maggiori
quantità di glucosio che possono essere bruciate attraverso la
glicolisi per continuare la contrazione, in tempi brevi.
Inoltre l’AMPK prepara la cellula ad utilizzare anche un
metabolismo di seconda battuta, più duraturo che è il
metabolismo aerobico in quanto va ad attivare la CAT1 che è
l’enzima responsabile del trasporto degli acili all’interno del
mitocondrio, in particolare degli acidi grassi a catena lunga,
ma allo stesso tempo attiva anche il trasporto degli acidi grassi
all’interno delle cellule permettendo la gemmazione anche di
altre vescicole contenute all’interno della cellula rivestite di
una proteina trasportatrice degli acidi grassi chiamata CD36.
Questa proteina dunque viene veicolata sulla membrana e può internalizzare maggiori quantità di
acidi grassi.
In preparazione allo sfruttamento del metabolismo aerobico, la velocità di sintesi dell’ATP è minore,
cala la potenza esplosiva e di conseguenza cala la velocità di corsa.
L’AMP, dopo aver svolto il suo lavoro viene poi rimosso dalla cellula.
La miochinasi prende 2 molecole di ADP e le trasforma in
una molecola di ATP e una molecola di ADP.
L’ATP viene utilizzato per la contrazione muscolare, mentre
l’AMP attiva l’AMPK e viene degradata in IMP e NH3.
L’NH3 esce e viene deamminata, arriva nel plasma e va a
contribuire alla puzza di ammoniaca della maglietta
fradicia di sudore dopo un allenamento molto intenso.
L’IMP viene poi convertita in inosina, si libera del Pi, l’inosina a sua volta viene trasformata in
ipoxantina che viene liberata nel plasma dove poi viene convertita, arrivata ai reni, in xantina e poi
in acido urico che viene eliminato con l’urina.
I livelli di ipoxantina che si ritrovano nel plasma sono maggiori quanto maggiore è l’attività della
miochinasi che produce l’AMP e l’attività della miochinasi è indice dell’esercizio fisico, ragion per
cui i livelli di ipoxantina sono proporzionali alla quantità di esercizio che l’atleta ha svolto o sta
svolgendo.
In uno studio effettuato da Parolin (1999) sono state misurate le sorgenti di energia utilizzate
nell’esercizio HIT di durata di 6, 15 e 30 s.
È stata calcolata la velocità di ripristino dell’ATP e il contributo della PCr,
della glicolisi e dell’ossidazione aerobica.
In funzione del tempo «diminuisce il contributo alla produzione di
energia da parte della PCr e della glicogenolisi con l’aumento della
durata dell’esercizio, aumentano quello dei processi ossidativi».
Il risultato è una diminuzione della velocità di riconversione dell’ATP.
La dieta ricca di carboidrati sembrerebbe quella ottimale perché ritarda il raggiungimento del
livello di fatica rispetto alla dieta povera di carboidrati (alto livello di carboidrati: 6,65 min; basso
livello di carboidrati: 3,32 min).
Inoltre la dieta di ricca in carboidrati (50%, circa 4,5 g/kg di massa corporea al giorno per 3 giorni)
rispetto a una dieta povera di carboidrati (5%), ha prodotto un picco di potenza più alto dell’8% in
un test di 30 s di Wingate.
Diete a contenuto di carboidrati tra 25-80% hanno incrementato il picco di potenza nella stessa
misura.
Diete a contenuto in carboidrati ≥ 25% garantiscono la miglior prestazione esplosiva in atleti
impegnati in un singolo esercizio ad alta intensità che duri tra 30 sec e 5 min.
Gli integratori che hanno un effetto positivo possono essere: creatina, caffeina, β-alanina e
alcalinizzatori.
CREATINA
La PCr è un’importante fonte di energia per esercizi fisici ad alta intensità e il suo deposito si
esaurisce rapidamente.
L’ingestione di creatina per 1-5 giorni aumenta la quantità di PCr nel muscolo scheletrico e migliora
la prestazione negli esercizi HIT ripetuti piuttosto che nel singolo esercizio (MacLaren, 2011).
CAFFEINA
Il rilascio di Ca2+ è necessario negli esercizi ad alta intensità ed è anche essenziale per la
contrazione muscolare.
Il rilascio del Ca2+ sarcoplasmatico, attraverso il recettore della rianodina, aumenta il Ca2+
citosolico e attiva la contrazione muscolare.
La ricaptazione del Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico avviene attraverso la pompa del Ca2+
(SERCA) per consentire il rilassamento dei muscoli.
La caffeina provoca un aumento di forza e durata della contrazione del muscolo scheletrico
mediante aumento del rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico facilitando i cambiamenti
conformazionali nel recettore diidropiridina.
L’ingestione di caffeina da 30-60 min prima dell’esercizio HIT aumenta la potenza.
Inoltre la caffeina stimola il sistema nervoso centrale (SNC) e aumenta l’attività cerebrale.
β-ALANINA
Il muscolo scheletrico possiede la carnosina come tampone intracellulare naturale dell’acidità
causata dal metabolismo anaerobico.
L’ingestione di β-alanina per un periodo di 4 settimane o più incrementa la quantità muscolare di
carnosina che migliora la prestazione HIT.
ALCALINIZZATORI
Il bicarbonato di sodio, normalmente presente nel sangue, e il citrato di sodio disciolti in soluzione
acquosa impartiscono un pH basico e sono detti alcalinizzatori.
L’ingestione di bicarbonato di sodio e il citrato di sodio 2 o 3 ore prima dello sforzo HIT aumenta la
prestazione HIT se la durata dell’esercizio è superiore a 30 s, cioè nel momento in cui l’apporto
energetico proviene in modo prevalente dalla glicolisi anaerobica.
ENZIMI ALLENABILI
L’allenamento HIT aumenta l’attività del metabolismo anaerobico.
In soggetti non allenati, periodi di allenamento HIT (sprint massimali per 5-30 sec intervallati da
periodi relativamente lunghi di riposo) hanno permesso di osservare un aumento della glicolisi
(+20%) e un aumento della capacità di generare potenza (+8%).
La quantità di PCr muscolare non viene alterata, ma aumenta l’attività della CK (produce ATP dalla
creatina-fosfato).
In soggetti ben allenati, l’allenamento ad alta intensità non modifica l’attività massima degli enzimi
glicolitici e della CK.
Tuttavia sono stati rilevati significativi cambiamenti nella prestazione, suggerendo che i
cambiamenti nelle attività di questi enzimi non sono cruciali per il miglioramento della prestazione.
In soggetti non allenati, l’attività dell’enzima CK è più alta se il gruppo segue un programma di
allenamento di sprint breve (corsa massimale di 6 s e da 1 min di recupero) piuttosto che un
programma di allenamento di sprint lunghi (corse di 30 s a una velocità che richiede circa il 130% di
VO2max).
L’ESERCIZIO DI RESISTENZA
L’esercizio di resistenza è un esercizio di intensità costante, prolungato, con una durata variabile
tra 4 minuti e 4 ore (Whyte, 2006).
Comprende attività sulla media distanza (es. ciclismo su pista, canottaggio e nuoto) e lunga
distanza (es. corsa della maratona e a lunghe tappe ciclistiche su strada, come quelle del Giro
d’Italia).
L’esercizio di ultra-resistenza ha una durata superiore alle 4 ore, comprende attività come il
triathlon dell’Ironman o l’ultra-maratona (es. 100 km del passatore).
L’intensità dell’esercizio è costante e lo scopo degli atleti è quello di allenarsi alla massima potenza
possibile per un tempo più lungo possibile.
I meccanismi che modicano l’attività delle differenti vie energetiche che controllano il catabolismo
di lipidi e carboidrati possono essere variabili, di:
o Regolazione immediata delle vie: modulano l’attività degli enzimi di comando delle vie di
produzione dell’energia come:
▪ Fosforilazioni e defosforilazioni degli enzimi principali
▪ Modulatori allosterici : ADP, AMP, IMP, Pi, Ca2+, H+
▪ Concentrazione dei substrati: un aumento li attiva
▪ Concentrazione dei prodotti: un aumento li inibisce
o Regolazione ormonale: avviene su un periodo più lungo e permette di avere una
regolazione incrociata tra diversi tessuti come fegato, muscolo e tessuto adiposo, quindi
l’importanza di insulina e adrenalina
o Adattamento al tipo di esercizio: allenamento
Il consumo dei carboidrati è una via che garantisce le maggiori velocità rispetto al consumo dei
lipidi, tant'è che le fibre di tipo 2 sono prevalentemente a consumo glicolitico.
Allo stesso modo, in condizioni aerobiche, maggior intensità di sforzo richiede un maggior
quantitativo di ATP prodotto e consumato dalla contrazione.
Analizzando il contenuto dei sottoprodotti dell’ATP, ossia ADP e AMP, tramite biopsia, all’interno del
muscolo dopo un esercizio di 10 minuti, si nota che con l’aumento dell’intensità dello sforzo,
aumenta la produzione di ADP e di AMP che confermano che c’è stata un’aumentata richiesta di
ATP per la contrazione più veloce.
Maggiore è l’intensità della contrazione più ATP viene
consumato e i livelli di ADP e AMP aumentano.
ADP e AMP però, oltre ad essere dei sottoprodotti
della glicolisi, sono anche degli attivatori allosterici
per la fosfofrutto chinasi, segnalano all’enzima che
qualcosa sta consumando ATP e quindi la cellula ha
bisogno che venga prodotto più ATP, perciò si attiva
la fosfofrutto chinasi che attiva la via della glicolisi
che permette, come ultimo prodotto, la formazione
del piruvato.
Questo è possibile verificarlo perché all’interno del
muscolo è aumentata l’attività della piruvato deidrogenasi, la quale è aumentata in maniera
proporzionale in base all’intensità dell’esercizio.
Poiché la piruvato deidrogenasi viene attivata solamente dall’aumento di piruvato, questo significa
che è aumentata la glicolisi all’interno del muscolo.
Inoltre segnala che è aumentata l’ossidazione aerobica del glucosio perché la piruvato
deidrogenasi è attiva soltanto in condizioni aerobiche.
L’aumento dell’intensità dell’esercizio determina un’aumentata ossidazione del glucosio.
Dopo una dieta a carico dei lipidi aumentano gli FFA e il glicerolo plasmatici, perciò aumenta la
lipolisi nel tessuto adiposo, aumenta il contenuto dei trigliceridi intramuscolari e aumenta l’attività
della HSL nel muscolo a riposo (aumento della lipolisi nel muscolo).
L’adattamento lipidico quindi, attraverso un aumento cronico della disponibilità di FFA plasmatici
(dovuto al consumo di una dieta ricca di grassi), aumenta la capacità muscolare di sintetizzare
trigliceridi e di metabolizzarli.
Il ridotto utilizzo dei carboidrati comporta una ridotta attività della PDH
anche durante l’esercizio e questo può rappresentare un problema.
Nei soggetti sottoposti all’adattamento lipidico i livelli di PDH sono più
bassi rispetto ai soggetti che hanno assunto una dieta ricca in
carboidrati.
Nel minuto di sprint finale, i livelli di PDH si sono mantenuti inferiori, per
cui l’attività della PDH è venuta a mancare nel momento in cui serviva
la disponibilità del glucosio.
Gare caratterizzate da lunghi tratti a ritmo lento, ma anche da brevi tratti di esercizio fisico ad alta
intensità (sprint) richiedono un’elevata velocità di ossidazione dei carboidrati (e quindi dell’attività
di PDH).