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BIOCHIMICA

MEMBRANE BIOLOGICHE E TRASPORTO MOLECOLARE

La biochimica cerca di descrivere le leggi alla base


della vita degli organismi viventi, basi sull’unità
biologica rappresentata dalla cellula formata da:
membrane, nucleo e numerosi organelli.
La biochimica descrive le strutture e i meccanismi
che governano le funzioni cellulari scendendo nel
più intimo dettaglio per arrivare a vedere quelle che
sono le biomolecole.

MEMBRANE
Le membrane definiscono i confini delle cellule,
regolano il traffico delle molecole e dividono lo
spazio interno in compartimenti (negli eucarioti),
segregando in essi specifici componenti e processi
biologici.
Esse hanno la caratteristica di essere resistenti e flessibili, ma anche autosigillanti (formazione di
vescicole di endocitosi o di esocitosi che non permettono alla membrana di lasciare dei buchi
dopo la loro origine, ma di tenerla compatta).
Delimitano dei comparti (citosol, mitocondri…) che contengono una serie di proteine specializzate
(enzimi) che insieme collaborano in una specifica funzione o via metabolica cellulare.
In generale sono impermeabili alle molecole polari, ma possono essere selettivamente permeabili
ad alcuni di loro (Na, K, Ca), permettendo di accumularli all’interno della cellula (K, potenziale di
membrana) o in comparti cellulari (Ca, contrazione muscolare), e di rilasciarli per svolgere una
determinata funzione cellulare (K, propagazione dell’impulso lungo la membrana; Ca,
spostamento della tropomiosina → aggancio miosina).

Le proteine specializzate presenti sulle membrane sono:

• Trasportatori e canali: spostano da un lato all’altro della membrana o permettono il


passaggio di specifiche molecole cariche o piccoli ioni, che normalmente non la
attraverserebbero
• Recettori: interagiscono con specifici ligandi (ormoni, citochine…).
La loro interazione determina una cascata di eventi molecolari a catena che infine
produce modificazioni all’interno della cellula (es. insulina, glucagone → attivazione di una
specifica via metabolica; citochine, proliferazione cellulare)
• Molecole di adesione: tengono adese le cellule ad una matrice biologica (es. integrine
con il collageno)
• Complessi enzimatici (es. la catena di trasporto degli elettroni sulla membrana interna
mitocondriale)

Le membrane creano compartimenti che svolgono funzioni specialistiche, permettendo di:

o Separare vie metaboliche altrimenti non compatibili: la biosintesi dei lipidi avviene nel
citosol, ma la degradazione dei lipidi avviene nei mitocondri (in caso contrario si
innescherebbero cicli futili).
o Produrre proteine modificate (es. glicosilate): la biosintesi delle proteine cellulari avviene nel
citosol, ma quelle che debbono essere esportate (secrete o collocate sulla superficie
esterna della membrana citoplasmatica) vengono modificate all’interno del reticolo
endoplasmatico e dell’apparato di Golgi prima di essere riversate all’esterno della cellula.
o Creare gradienti chimici o elettrici (es. la doppia membrana che riveste i mitocondri crea
uno spazio in cui vengono immagazzinati i protoni necessari per la produzione di ATP)
I componenti delle membrane sono:

− Lipidi polari
− Proteine
− Carboidrati (sottoforma di glicoproteine e glicolipidi)

Lipidi polari
I lipidi polari (fosfolipidi) sono anfipatici e quando entrano in contatto con l’acqua si
dispongono con la porzione carica a contatto con essa e la porzione idrofobica il più
lontano possibile da essa, per formare un monostrato (micelle) o un doppio strato
(liposoma).
Le micelle sono catene idrofobiche degli acidi grassi sono sequestrate all’interno
della sfera, lontano dall’acqua.
I liposomi sono i lipidi si dispongono a doppio strato che racchiude una cavità
riempita d’acqua; all’interno del doppio strato le catene lipidiche sono protette
dall’interazione con l'acqua, mentre le loro teste polari entrano in contatto con essa.

La struttura delle membrane biologiche è un modello a mosaico fluido costituita da:

▪ I fosfolipidi formano una membrana a doppio strato lipidico.


▪ Le proteine sono immerse o appoggiate ad essa, sono
vincolate alla membrana.
▪ Le proteine e i lipidi sono liberi di muoversi lateralmente
nel piano del doppio strato (mosaico fluido), ma il
movimento da un foglietto all'altro è assai limitato.
▪ Gli zuccheri (glicoproteine e lipoproteine) di membrana
sono presenti solo sul lato extracellulare.

I costituenti più abbondanti nelle membrane sono i lipidi polari di membrana, in particolar modo
colesterolo e fosfolipide.
Il fosfolipide e incardinato su una molecola di glicerolo, formata da 3 atomi di
C, ciascuno dei quali è incatenato da un gruppo alcolico.
Nel fosfolipide a 2 funzioni alcoliche sono incatenate 2 molecole di acido
grasso saturo (catena lineare senza doppi legami) o insaturo (catena che
presenta insaturazioni, ovvero doppi legami), mentre la terza funzione
alcolica lega un gruppo polare rappresentato da un gruppo fosfato che può
essere la colina, l’etanolammina oppure la serina.
Il fosfolipide quindi è caratterizzato da una testa polare costituita da un
gruppo fosfato e code apolari.

Il colesterolo è una molecola molto simile al fosfolipide infatti presenta le stesse


porzioni fondamentali: la testa polare formata da un singolo idrossile, un corpo
formato da anelli steroidei ai quali è attaccata una coda apolare.
Il colesterolo è presente nel doppio strato lipidico e regola la fluidità della membrana
in un ampio intervallo di temperature (una sorta di anticongelante): aumenta la
fluidità alle T basse e riduce la fluidità alle T alte.

Gli organismi viventi cercano di mantenere costante la fluidità delle membrane biologiche al
variare della temperatura ambientale anche modificando le catene di acidi grassi nei fosfolipidi.

I fosfolipidi presenti sulla membrana sono confinati nel loro strato, quindi non
è possibile la diffusione trasversale spontanea, o meglio è molto lenta e
quindi non avviene.
Tuttavia è possibile che i fosfolipidi passino da uno strato all’altro tramite
l’utilizzo di enzimi immersi nel doppio strato lipidico che sfruttano l’energia
fornita dall’ATP per portare un fosfolipide dallo strato esterno a quello interno
(flippasi) o viceversa (floppasi) oppure che portano all’interno un fosfolipide
e un altro all’esterno (scramblasi).
Il trasporto dei fosfolipidi su 1 dei 2 foglietti del doppio strato è essenziale per
generare curvature della membrana.
La fusione tra membrane interessa molti processi cellulari.

La struttura di una molecola di ATP è formata da una base (adenina) legata


a una molecola di zucchero (ribosio) che, a sua volta, è legato a 3 molecole
di fosfato.

La distribuzione dei fosfo- e glicolipidi nel doppio strato è asimmetrica.


Nell’apoptosi l’esposizione di fosfatidilserina sul foglietto
extracellulare (flopping) indirizza la cellula alla distruzione per
morte programmata.
Nei trombi le piastrine si possono aggregare per formare il trombo
solo dopo esposizione extracellulare di fosfatidilserina.

Proteine di membrana
La membrana è costituita anche da proteine che possono essere definite
integrali o periferiche.
Le proteine integrali sono strettamente associate al doppio strato lipidico
e possono essere rimosse da detergenti e solventi organici che rompono
le interazioni idrofobiche.
Le proteine periferiche sono associate alla membrana, in contatto con le
proteine integrali attraverso legami deboli (interazioni elettrostatiche,
legami a H) oppure anfitropiche, in contatto con i lipidi della membrana,
anche attraverso legami forti.
Le proteine di membrana legate ai lipidi (anfitropiche) possiedono un
legame diretto con i lipidi di membrana (legame covalente) e di solito
sono presenti soltanto sul lato citosolico della membrana.

Le proteine integrali possono essere legate ad oligosaccaridi.


Sono delle proteine di transmembrana con una porzione centrale costituita da
aa fortemente lipofili che permettono alla proteine di restare nel doppio strato
lipidico, sono formante da una porzione N-terminale costituta da aa idrofilici e
sullo strato esterno della membrana troviamo sempre aa idrofilici ai quali
risultano essere legati covalentemente dei saccaridi.
Solitamente i recettori di membrana si presentano quindi sottoforma di
glicoproteine.
Le proteine integrali possono avere una o numerose sequenze idrofobiche ad
α-elica, lunghe abbastanza (20-25 aa) da attraversare la membrana.

TRASPORTO MOLECOLARE
Diffusione semplice
Nella diffusione semplice, per soluti apolari, il movimento netto di un soluto elettricamente neutro
avviene verso il lato a minore concentrazione, quindi secondo gradiente chimico di
concentrazione, fino all’equilibrio.
La velocità del movimento transmembrana (indicato dalle frecce) è proporzionale al gradiente di
concentrazione.
Nella diffusione semplice, per soluti polari, il movimento netto di un soluto elettricamente carico
avviene verso il lato a carica opposta, quindi secondo gradiente elettrico, fino all’equilibrio delle
cariche.

Canali
I canali non sono saturabili (se si aprono sono come l’autostrada), consentono il passaggio dei
soluti polari secondo gradiente e garantiscono flussi molto elevati (paragonabili alla diffusione
libera, sono gallerie scavate nella membrana).
Trasportatori
I trasportatori legano soluti polari e li veicolano attraverso la membrana (fanno il lavoro del boy-
scout che accompagna la vecchietta sulle strisce pedonali) e sono saturabili (entra una sola
persona per volta).
I trasportatori sono importanti per il metabolismo.
Le 3 classi generali di trasportatori sono:

1. Uniporto: consentono al soluto di attraversare la membrana in un solo senso


2. Simporto: consentono l’entrata simultanea di 2 tipi differenti di soluto
3. Antiporto: consentono il passaggio di soluti diversi in direzione opposta

A loro volta ognuno di loro si suddivide in:

➢ Trasportatori passivi (no ATP): diffusione soluti a favore di gradiente


➢ Trasportatori attivi (sì ATP)(primari e secondari): diffusione soluti contro gradiente

Trasportatore passivo
Un esempio di trasportatore passivo è lo scambiatore cloruro-bicarbonato
presente sulla membrana eritrocitaria.
Questo sistema di antiporto (secondo gradiente di concentrazione) permette
l'entrata di ioni Cl- e l'uscita di HCO3- (non modifica il potenziale di membrana).
La sua attività è importante perché acidifica il citosol del globulo rosso che ha un
effetto sul rilascio di O2 dall’emoglobina.

Un altro esempio è l’ATP-sintasi che sfrutta gradienti


protonici generati all’interno della doppia membrana che avvolge il
mitocondrio per ricaricare l’ADP trasformandola in ATP.
Ogni 4 H+ che passano viene prodotta una molecola di ATP.

Il trasportatore del glucosio nelle fibre muscolari è un ulteriore esempio di trasportatore passivo.
Sulla superficie cellulare, GLUT4 permette la diffusione
facilitata del glucosio circolante lungo il suo gradiente di
concentrazione in cellule muscolari e adipose.
L’insulina è in grado di stimolare, grazie al proprio recettore,
una cascata di segnali che determinano il trasporto di
vescicole presenti nel citoplasma della cellula muscolare che
sulla superficie presentano numerosi trasportatori per il
glucosio.
Queste vescicole vengono indirizzate a fondersi con la
membrana muscolare portando nuovi canali del glucosio
sulla membrana muscolare.
La fusione è indotta anche dalla partica sportiva.

Trasportatore attivo
Il trasportatore attivo consente il trasporto di una molecola di soluto contro gradiente di
concentrazione con utilizzo di energia non essendo un processo spontaneo.
Si definisce trasportatore primario una proteina in grado di far passare il soluto
e di scindere l’ATP in ADP, perciò possiede anche una componente ATPasica.
Si definisce trasportatore secondario un trasportatore primario abbinato ad un
trasportatore passivo, in un simporto.
Un esempio di trasportatore attivo primario è la pompa ATPasica Na/K che
permette lo scambio tra K+ e Na+ contro gradiente creando un gradiente
elettrochimico del Na+ e del K+ che provoca la polarizzazione della
membrana.
Mentre 3 molecole di Na escono dalla cellula, al contempo entrano in essa 2
molecole di K.
L’attività di questa pompa si definisce elettrogenica perché è in grado di
produrre sulla membrana, un potenziale elettrico, caratterizzato ad una
polarità positiva sul lato esterno e, di converso una polarità negativa sul lato
interno.
Quando la cellula muore, il potenziale di membrana si scarica e viene
depauperato, quindi le cellule vive richiedono una spesa energetica anche
soltanto per mantenere la differenza del potenziale di membrana.

Un esempio di trasportatore attivo secondario è rappresentato dalla


captazione del lattosio in E.coli.
Il lattosio entra all’interno delle cellule tramite l’utilizzo di una pompa
protonica che rappresenta un trasportatore primario con attività
ATPasica.
In questo modo il lattosio entra nella cellula e in contemporanea
entra anche il protone secondo gradiente.

Esistono numerosi tipi di trasportatori del


glucosio.
Nel rene, il trasporto attivo secondario del
glucosio avviene tramite il GLUT2 che
cotrasporta glucosio e Na (simporto): l’Na
(uscito grazie alla pompa Na/K ATPasica)
rientra nelle cellule secondo gradiente e
cotrasporta il glucosio contro gradiente.

I canali ionici sono più veloci dei trasportatori, non sono saturabili, sono aperti o chiusi in risposta a
eventi cellulari (ligandi, differenza di potenziale di membrana) → Es. Recettore canale
dell’acetilcolina,
Inoltre i canali ionici difettosi possono causare patologie.

MIOGLOBINA ED EMOGLOBINA

MIOGLOBINA
La mioglobina è una proteina muscolare globulare con una struttura terziaria.
La mioglobina è una proteina che lega l’O e ne facilita l’accumulo nelle cellule
muscolari a riposo e il suo rilascio rapido quando si contraggono.
È costituita da una catena di 153 aa e da un gruppo EME (ferroporfirinico)
posizionato all’interno di una tasca idrofobica e agganciato alla catena laterale
di una particolare istidina (His) presente nella catena proteica, mentre nell’altro
lato troviamo un’altra His importante per il meccanismo di captazione, cioè per
il meccanismo attraverso il quale l’O resta legato al gruppo EME.
Lo scheletro della mioglobina è costituito da 8 segmenti compatti di α-eliche destrorse (78% della
molecola) interrotte da ripiegamenti.

La maggior parte degli aa idrofobici si trova all’interno della


molecola (lontano dall’acqua).
La maggior parte degli aa polari si trovano alla superficie
della molecola tranne 2 His, molto importanti per il
meccanismo di cattura dell’O2.
Gruppo EME
Il gruppo EME è una protoporfirina presente in: mioglobina, emoglobina e citocromi.
Il Fe2+ forma 6 legami di coordinazione (in rosso), di cui 4 con gli atomi di N dell’anello tetrapirrolico
della protoporfirina, che sono disposti nel piano dell’anello; gli altri 2
sono perpendicolari ad esso (1 dei 2 lega l’N di un’His, mentre l’altro
lega una molecola di O).
L’His fa parte degli aa idrofilici, ma nonostante questo sono posti
all’interno della tasca idrofobica e una di queste permette al gruppo
EME di restare bloccato, tramite un legame covalente. nella tasca
idrofobica costituendo il gruppo prostetico della mioglobina.
Il gruppo EME è infossato all’interno della struttura globulare della
proteina in una tasca idrofobica che impedisce l’accesso alle molecole di acqua.
In questo modo il Fe2+ non ha contatti con l’acqua che lo ossiderebbe a Fe3+, una valenza che non
è in grado di legare l’O2.

Nella mioglobina (ma anche nell’Hb) l’O2 si lega al Fe, formando un


legame angolato rispetto al piano dell’EME e instabile.

Il CO (monossido di carbonio) si lega al Fe del gruppo EME


all’interno della tasca mioglobinica con una efficienza 200 volte
superiore all’O2 e irreversibilmente.

Un legame a H con l’His64 (E7) stabilizza il legame dell’O2 con il Fe del gruppo EME.

La mioglobina è una proteina di accumulo dell’O all’interno dei muscoli, dove è presente una
pressione (pO2), in condizioni di riposo, pari a 4 kPa.
Dal punto di vista biochimico è possibile verificare la capacità di una proteina di captare l’O
utilizzando semplici metodi che impegnano degli spettrofotometri.
La curva di legame o di saturazione dell’O2 alla mioglobina è un’iperbole rettangolare.
Il legame della Mb all’O2 è insensibile a piccole variazioni della [O2] disciolto (curva iperbolica).
Quando la pO2 è pari a 4 kPa, quasi il 100% di Mb è satura di O.
Funziona bene per il deposito, trattiene cioè l’O2 e lo cede, per la
respirazione cellulare (catabolismo ossidativo), solo quando la [O2]
citoplasmatica è molto bassa.
La frazione di siti di legame mioglobinici occupati dall’O (θ) è
riportata in funzione della pO2, pressione parziale di O presente
nell’aria in contatto con la soluzione → P50 = 0.26 kPa
Quindi la mioglobina cede la metà dell’O2 legato a 0.26 kPa pO2.

EMOGLOBINA
L’emoglobina è una proteina eritrocitaria trasportatrice di O2.
È satura in O2 al 98% nel sangue arterioso quando l’emoglobina raggiunge i polmoni, poi
raggiunge i tessuti rilasciando circa il 38% dell’O, ma il 60% di O legato all’emoglobina entra nel
sangue venoso.
Questo permette al nostro organismo di vivere in condizioni ipossiche come in alta montagna.
L’emoglobina, all’interno dei globuli rossi, rappresenta il 34% di tutte le proteine.
È una proteina multimerica formata da 4 subunità (monomeri), ognuna costituita da una catena
peptidica e da un gruppo EME.
Le catene proteiche si chiamano globine ed esistono in 2 tipi diversi: globina α e
globina β, (di 141 e 146 aa) e formano un tetramero α2β2 nell’HbA (A= adulto).
L’HbF (F= fetale) rappresenta il 100% dell’emoglobina presente nel feto e ha la
caratteristica di possedere 2 catene γ che permettono di dar origine ad
un’emoglobina molto più affine all’O permettendo al feto di sottrarre O dal
sangue della madre per alimentarsi; questo genere di emoglobina, in
percentuale molto bassa è possibile ritrovarla anche nell’individuo adulto.
La mioglobina ed un monomero dell’emoglobina hanno strutture
tridimensionali molto simili, ma differiscono per l’affinità nei confronti
dell’O2.

La curva di saturazione dell’O2 alla Hb è sigmoidea.


Questa curva evidenza che l’Hb nella captazione e nel rilascio dell’O è
diversa rispetto a quella della Mb, ciò sta a significare che queste 2
specie hanno capacità di interazione con l’O differenti.

A livello polmonare, quando la pO2 è pari a 13.3 kPa, il 98% di Hb è carica


di O, mentre la Mb sarebbe carica di O per il 100%.
A livello tissutale, laddove la pO2 è pari a 4 kPa, il 60% di Hb è carica di O,
ciò significa che l’Hb lega bene l’O nei polmoni, ma è anche in grado di
cederlo perciò ha un’affinità inferiore.

Le 4 subunità dell’Hb hanno un’attività cooperativa, quindi l’attività di una è in grado influenzare
l’attività dell’altra.
L’Hb esiste in 2 conformazioni con diversa affinità per l’O2 (stato T ed R).
L’Hb lega l’O2 nei polmoni (stato R, ad alta affinità) e lo rilascia nei tessuti (stato T, a bassa affinità).
Se l’Hb esistesse solo nello stato ad alta affinità si caricherebbe bene di O2 nei polmoni, ma non lo
rilascerebbe nei tessuti.

Le diverse curve di saturazione dell’Hb e della Mb con l’O2 indicano che il tetramero Hb non si
comporta come se fosse formato da 4 subunità indipendenti (cioè come se fosse formato da 4
subunità di Mb), ma queste collaborano per legare l’O2 → Effetto cooperativo

La struttura della globina in vicinanza del gruppo EME cambia


conformazione in seguito al legame con l’O.
Nello stato T la porfirina ha una forma a cupola (il Fe protrude verso
l’His F8); in seguito al legame con l’O2, l’EME diventa planare e
trascina l’His F8 e quindi l’elica F: questo spostamento innesca un
effetto domino che porta alla transizione da T a R (nel polmone) che
stabilizza l’interazione con l’O.
Le modificazioni strutturali in ciascun monomero modificano anche la
struttura del tetramero.

Analizzando la struttura della proteina (tetramero), il legame con l’O2


modifica la struttura da T a R.
Nella transizione dallo stato T a
R si perdono alcuni legami salini (His HC3 C-terminali delle
catene β si liberano da legami elettrostatici, ruotano verso
il centro, restringendo la tasca tra le subunità β).
Nel sito di regolazione allosterica dell’Hb (in giallo) si lega,
divaricando le subunità β e portando a passare dalla
struttura R a T, una molecola di BPG (2,3-bisfosfoglicerato).
La presenza del BPG consente all’Hb di diventare una molecola reversibile che è in grado sia di
legare sia di cedere l’O.

EFFETTO BOHR
Il meccanismo principe che permette il rilascio di O da parte dell’Hb è l’acidificazione del citosol
negli eritrociti presenti nel muscolo.
Il metabolismo muscolare genera della CO2, come sottoprodotto, che diffondendo, entra nei
globuli rossi acidificando l’ambiente; quindi a livello polmonare il pH sarà di circa 7.6, viceversa, a
livello tissutale il pH sarà di 7.2.
L’effetto Bohr consente di spiegare il rilascio di O dovuto
all’abbassamento di pH.
Questo ci permette di dimostrare che l’Hb ha una differente affinità
dell’O in base al pH della soluzione in cui si trova.

La CO2 (prodotta dal metabolismo ossidativo cellulare: ciclo di Krebs)


esce dai tessuti e diffonde nel sangue dove entra nei globuli rossi.
Nei globuli rossi:

1. Una piccola parte (meno dell’1%) si lega all’Hb come


carbammato.

2. Soprattutto viene idratata a bicarbonato:


CO2 + H2O ↔ H+ + HCO3- dall’anidrasi carbonica eritrocitaria.

La CO2 viene trasformata dall’anidrasi carbonica in HCO3- e H+.


A questo punto, visto che l’H2CO3 è un acido debole, HCO3- e H+
tenderebbero a riassociarsi senza provocare alcun spostamento
di pH nel citoplasma dell’eritrocita.
Lo scambiatore in antiporto, cloruro-bicarbonato, quando
l’eritrocita si trova nei tessuti, permette la fuoriuscita dello ione
HCO3- e l’entrata dello ione Cl- .
In questo modo si forma l’HCl che è un acido forte che, per
definizione chimica, è sempre dissociato nei suoi ioni.
Questo significa che all’interno dell’eritrocita si forma un pH più
acido dovuto alla maggior produzione di CO2 all’interno dei
tessuti.

L’acidificazione ovviamente fa sì che all’interno dell’eritrocita sia presente l’Hb che in ambiente
acido permette il rilascio di O.
Quando invece gli eritrociti si trovano a livello del polmone, i livelli di CO2 sono molto bassi, lo
scambiatore funziona al contrario quindi permette l’entrata di HCO3- e la fuoriuscita di Cl-, in questo
modo si riforma l’H2CO3 che grazie all’anidrasi carbonica torna a produrre H2O e CO2 che esce
dagli eritrociti e raggiunge i polmoni dove viene esalata attraverso il respiro con conseguente
ribasificazione del pH.

Il bicarbonato, una volta riversato nel plasma serve per mantenere l’omeostasi agendo come
sistema tampone mantenendo costante il pH del sangue a 7.4.

BPG
Il regolatore allosterico è una molecola che si lega ad un sito della proteina e innesca
modificazioni conformazionali che si trasmettono nella struttura della proteina e che
modificano l’attività di un altro sito (anche lontano) della proteina.

Il 2,3-bisfosfoglicerato (BPG) è un regolatore allosterico dell’Hb, importante per gli


sport di montagna permette l’adattamento all’alta quota (aria rarefatta).
Il BPG è presente in quantità elevata nei globuli rossi (5 mM), ma trascurabile negli altri
tessuti.
Il BPG deriva da un ramo accessorio della glicolisi che consente di trasformare una molecola di
glucosio in 2 molecole di piruvato.
Uno degli intermedi della glicolisi è l’1,3-bisffosfoglicerato
simile al 2,3-bisfosfoglicerato, dove cambia soltanto la
posizione di un gruppo fosfato che anziché essere legato al
C1 e al C3, è legato al C2 e al C3.
Questo spostamento avviene ad opera della BPG-mutasi, un
enzima capace di trasformare un sottoprodotto della glicolisi
in BPG.
Questo enzima nelle cellule solitamente è inattivo, ma in
condizioni ipossiche, quindi in mancanza di O l’attività di
questo enzima aumenta (da 5 mM a 8 mM).

Il 60% delle molecole di emoglobina non rilascia l’O2 a livello tissutale cioè è ancora carico di O2 (è
nella forma R) dopo il transito nei tessuti.
Il legame del BPG nella cavità centrale tra le subunità β dell’Hb la allarga consentendo ad una
ulteriore quota di molecole di Hb di passare dalla forma R alla forma T (meccanismo di regolazione
allosterica) permettendo cioè di rilasciare dall’Hb una ulteriore quota di O2.

− A livello del mare (5 mM BPG) → 13,3 kPa


L’Hb lega il 98% di O2 nei polmoni e il 60% nei tessuti.
La quota di O2 rilasciata è il 38% del totale legato all’Hb → (0.98 – 0.60 = 0.38).
− A 4500 metri di altitudine la pO2 dei polmoni scende a 7 kPa.
Nei polmoni si lega solo il 90% di O2 (e non il 98% come a
livello del mare).
La frazione di O2 rilasciata ai tessuti scende dal 38% al 30%.
Alcune ore dopo la concentrazione eritrocitaria di BPG
aumenta da 5 mM a 8 mM spostando la curva di legame
verso dx (in rosa) in quanto il BPG riduce l’affinità dell’Hb per
l’O.
− In presenza di 8 mM BPG, nei polmoni si lega solo l’82% di O2
(e non il 98% come a livello del mare, oppure il 90% come in
presenza di 5 mM BPG).
La riduzione di affinità fa sì che la quota di O2 legata all’Hb scenda al 45% nei tessuti.
La frazione di O2 rilasciata ai tessuti risale (dal 30%) al 37% (82% - 45%).

MUSCOLO

Il muscolo scheletrico è un organo poiché costituito da cellule di diversi tessuti (cellule del sistema
nervoso, del tessuto connettivo e del tessuto muscolare stesso).
È l’organo più grande, rappresenta il 40-50% del peso totale dell’essere umano ed è il più
rappresentato, infatti ce ne sono più di 600 in tutto il corpo umano.

Le funzioni principali dei muscoli sono:

• Funzione primaria è muovere le ossa dello scheletro alle quali i muscoli sono collegati
tramite i tendini (tessuto connettivo) per produrre il movimento del corpo
• Mantengono la postura
• Accumulano e mobilitano sostanze nel corpo
• Generano calore
STRUTTURA ANATOMICA
La struttura anatomica del muscolo è costituita da: tessuto connettivo,
vasi sanguigni, nervi e fasci di fibre muscolari.
3 strati separati di tessuto connettivo rinforzano e proteggono il muscolo:

1. Epimisio: più esterno, racchiude gruppi di fascicoli


2. Perimisio: avvolge ciascun fascicolo (questi sono formati da 10 a
100 fibre muscolari, le cellule muscolari)
3. Endomisio (sarcolemma): contorna ogni fibra muscolare

All’interno della fibra muscolare sono contenute le unità contrattili che


sono i microfilamenti.

Il numero delle fibre muscolari presenti in un singolo muscolo varia da diverse centinaia a più di un
milione.
La fibra muscolare ha una forma tipica (allungata-cilindrica) ed è costituita da: H2O (75%), proteine
(20%) e altre sostanze (5%, vitamine, minerali, ioni, aa, carboidrati e grassi).
Si estende per tutta la lunghezza del muscolo … lunghezza variabile a seconda del muscolo:

o Muscoli dell’occhio → Lunga pochi millimetri


o Muscoli della coscia → Lunga fino a 30 cm

Il muscolo inoltre è in grado di sopportare il metabolismo ossidativo e i mitocondri sono le unità


fondamentali e fungono da centrali elettriche per le cellule.
Contiene numerosi mitocondri in numero variabile a seconda del grado di allenamento della fibra.
È un sincizio plurinucleato (la cellula ha più di 100 nuclei) ed ha perso la capacità di replicare (per
mitosi).

La fibra muscolare è un sincizio plurinucleato derivato dalla fusione


di cellule mesodermiche (mioblasti).
Nella miogenesi (sviluppo embrionale), i mioblasti moltiplicano
quando sono presenti i fattori mitogeni (FGF, TGFβ e IGF).
Smettono di replicare quando viene prodotta la miogenina.
Fondono le membrane cellulari per formare un sincizio
trasformandosi in miotubi (che non possono più replicare).
Subiscono il processo di «differenziamento» (attivazione dei geni
che producono le proteine muscolari specifiche) diventando fibre
muscolari con la formazione delle miofibrille contrattili.

I mioblasti permangono anche durante la vita adulta nelle sembianze delle cosiddette cellule
satelliti.
Sono cellule mononucleate con capacità di replicazione che restano
quiescenti attorno alla fibra muscolare fino allo stimolo opportuno
(infortunio, allenamento intenso, ormoni).
Possono differenziare a fibre muscolari mature in condizioni di
infortunio o durante l’allenamento intenso, fondendo la loro membrana con quella della fibra
muscolare di cui entrano a farne parte (allungamento ed ingrossamento della fibra muscolare).

Il numero delle fibre muscolari contenute in un muscolo è stabilito alla nascita poiché la crescita
del muscolo che avviene dall’adolescenza all’età adulta è solamente dovuta all’aumento di
dimensioni delle fibre muscolari preesistenti.

L’aumento della dimensione delle fibre muscolari avviene grazie alla proliferazione di cellule
satelliti non è dovuto all’aumento del numero delle fibre, ma solo all’aumento della loro larghezza
e lunghezza.
Le cellule satelliti si moltiplicano e poi si fondono con la fibra muscolare per aumentarne le
dimensioni → Accrescimento della massa muscolare
La fibra muscolare è delimitata esternamente dal sarcolemma
(membrana plasmatica a doppio strato lipidico) che si infila all’interno
della fibra come tante dita.
I tubuli T o tubuli trasversi sono estremamente importanti nella
contrazione del muscolo, in quanto permettono al potenziale d’azione
di propagarsi all’interno delle fibre e di attivare tutto l’apparato
contrattile.

Il citoplasma delle fibre del muscolo scheletrico (sarcoplasma) contiene tutti gli organelli
subcellulari (mitocondri, nuclei, reticolo sarcoplasmatico...).
Contiene anche i depositi energetici come il glicogeno muscolare (la forma di deposito dei
carboidrati nelle cellule muscolari) e i trigliceridi muscolari (la forma di deposito dei grassi delle
cellule muscolari) così come una piccola quantità di ATP.
Inoltre contiene la proteina mioglobina, che funziona come deposito di O per i mitocondri che lo
utilizzano per la produzione di ATP e le miofibrille che sono la componente più abbondante.

Le fibre muscolari contengono numerose miofibrille (contrattili)


mediamente 2000 miofibrille per fibra muscolare adulta, il numero delle
miofibrille dipende dallo stato di allenamento o di inattività del muscolo →
IMP - durante l’inattività si riduce il numero delle miofibrille e non quello
delle fibre muscolari (una fibra persa non può essere recuperata, le
miofibrille sì).
Ogni miofibrilla è formata dalla ripetizione di unità
contrattili disposte in catena, i sarcomeri.

Le miofibrille ricordano una fune di acciaio.


Sono lunghe quanto la fibra muscolare e il loro numero è variabile (con lo
stato di allenamento).
Sono l’apparato contrattile della fibra muscolare poiché contengono le
proteine contrattili (che rappresentano l’85% del contenuto proteico totale):
l’actina, ripetuta in catene omopolimeriche, forma i filamenti sottili e la
miosina che forma i filamenti spessi.

I sarcomeri sono costituiti dai filamenti sottili e filamenti spessi


disposti tra loro parallelamente, i filamenti spessi ruotano e
avanzano sui filamenti sottili (come una vite) determinando la
contrazione del sarcomero.
La contrazione è un processo che richiede ATP.

Filamento spesso
Il filamento spesso è formato dalla miosina composto da 300 molecole di miosina disposte a
formare 2 porzioni simmetriche.
La molecola di miosina assomiglia a 2 mazze da golf attorcigliate tra loro.
Le molecole di miosina sono stabilizzate tra loro lungo l’asse
longitudinale del filamento dalla proteina titina.
La coda di miosina (cioè l’asta della mazza da golf) è orientata
verso il centro del sarcomero (linea M).
Le teste di miosina si proiettano verso l’esterno rispetto all’asse
(linea Z) definito dalla code di miosina, seguendo un andamento a spirale (come la filettatura di
una vite), sporgendosi verso 1 dei 6 filamenti sottili che circondano ogni singolo filamento spesso.
La molecola miosina è formata da 6 proteine:

▪ 2 catene pesanti della miosina (in rosso)(Myosin Heavy Chains -


MHCs) formate da una coda ad α-elica e da una testa globulare
che possiede attività ATPasica ed è in grado di legarsi ai
monomeri di actina dei filamenti sottili
▪ 4 catene leggere della miosina (in rosa)(Myosin Light Chains - MLCs)

Filamento sottile
Il filamento sottile è formato dalla actina che sono lunghi polimeri di actina in struttura ad elica.
L’actina contiene un dominio di legame con la miosina,
dove la testa di miosina può attaccarsi per iniziare la
contrazione muscolare, ma nel muscolo rilassato è coperto
dal filamento della tropomiosina che impedisce l’interazione
della testa di miosina.

Reticolo sarcoplasmatico
Il reticolo sarcoplasmatico è una rete di canali membranosi che
circonda la miofibrilla come una guaina e permette il deposito per gli
ioni Ca.
Il Ca2+ è la molecola che innesca la contrazione (interruttore
molecolare), ma il suo rilascio necessita di uno stimolo nervoso.

La contrazione muscolare viene innescata dall’uscita del Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico che
arriva nel sarcoplasma dove si trovano le miofibrille.
Il Ca2+ si lega alla troponina C che così cambia struttura e
sposta la tropomiosina scoprendo il sito di legame della
miosina presente sull’actina la testa di miosina si attacca al
filamento sottile innescando la contrazione muscolare.
La contrazione termina quando il Ca viene rimosso dal
sarcoplasma e viene riportato all’interno del reticolo
sarcoplasmatico.
Alla fine dell’esercizio fisico la pompa Ca-ATPasi del reticolo
sarcoplasmatico (SERCA), presente sulla sua membrana, riporta gli ioni Ca2+ nelle cisterne del
reticolo sarcoplasmatico.
L’assenza di Ca2+ rimodella la struttura della troponina C e la tropomiosina torna a nascondere il
sito per la miosina sul filamento sottile.

La contrazione muscolare richiede 4 attività funzionali coordinate e compartimentalizzate:

1) Eccitazione della membrana


2) Accoppiamento eccitazione/contrazione
3) Contrazione
4) Ripristino delle molecole energetiche

PROPAGAZIONE DELL’IMPULSO CONTRATTILE


La contrazione muscolare volontaria comincia con un impulso
nervoso che parte dalla corteccia motoria del cervello e si propaga
lungo il midollo spinale fino al motoneurone α.
I motoneuroni α sono cellule nervose poste nel midollo spinale con
assoni filiformi che si estendono fino ai gruppi di fibre muscolari e
innervano il muscolo senza prendere contatto diretto con esso (resta
uno spazio detto fessura sinaptica).
L’impulso nervoso corre lungo l’assone dei motoneuroni α fino al
suo terminale, il bottone sinaptico, dove causa il rilascio
dell’acetilcolina nella fessura sinaptica.

L’acetilcolina si lega al recettore dell’acetilcolina presente nella


regione del sarcolemma posta di fronte al bottone sinaptico
terminale, la placca motrice.
L’interazione dell’acetilcolina col suo recettore trasforma
quest’ultimo in un canale ionico aperto, che viene
percorso da un flusso di ioni Na+ che entra nella fibra
muscolare.
La faccia interna della fibra si carica positivamente (prima
era carica -) depolarizzando la membrana plasmatica e
andando a costituire il potenziale d’azione muscolare.

Il potenziale d’azione si propaga rapidamente lungo il sarcolemma ed arriva in profondità nel


muscolo grazie ai tubuli T, dove attiva il meccanismo della contrazione in tutte le miofibrille
contenute nella fibra muscolare.
L’enzima acetilcolinesterasi, attaccato alle fibre di collagene
della matrice extracellulare nella fessura sinaptica, degrada
rapidamente acetilcolina disinnescando la depolarizzazione
provocando la fine dell’impulso contrattile.
Per innescare una nuova contrazione è necessario che arrivi un
nuovo stimolo dalla corteccia motoria cerebrale.

Il potenziale d’azione giunto nei tubuli T causa un cambiamento conformazionale di un canale


voltaggio-dipendente noto come recettore della diidropiridina (DHP).
Questo cambiamento conformazionale induce l’apertura dei canali per il Ca presenti sulla
membrana del reticolo sarcoplasmatico, i recettori della rianodina (RyR).
La [Ca2+] nel reticolo sarcoplasmatico è pari a 10 mM, mentre la
[Ca2+] nel sarcoplasma misura 1 μM.
Il Ca2+ esce secondo gradiente elettrochimico attraverso i canali della
rianodina aperti ed arriva nel sarcoplasma dove stimola la
contrazione del sarcomero (meccanismo di scorrimento dei
filamenti).
Finito il potenziale d’azione i canali del Ca si richiudono e il Ca ritorna
nel reticolo sarcoplasmatico grazie all’azione della pompa Ca-ATPasi
del reticolo sarcoplasmatico (SERCA), dove resta in attesa che arrivi
un nuovo potenziale d’azione.

La contrazione muscolare coinvolge il legame delle teste di miosina ai filamenti di actina.


Lo scatto della testa della miosina determina lo scorrimento dei filamenti spessi e sottili uno
sull’altro, quelli spessi restano fermi al centro e quelli sottili (actina) vengono tirati verso il centro del
sarcomero: la lunghezza del sarcomero si riduce e le fibre muscolari si contraggono.

Nel muscolo a riposo la miosina non può legarsi all’actina perché la tropomiosina nasconde i siti di
legame per la miosina.
La tropomiosina è mantenuta in questa posizione da 3 troponine, una delle quali è la troponina C.
Nel muscolo in attività il Ca2+ rilasciato nel sarcoplasma si lega alla troponina C, ne altera la
struttura spostando la tropomiosina dal sito di legame per la miosina sul filamento di actina,
innescando un ciclo di contrazione-rilassamento (in 4 fasi):

0. Con l’arrivo del Ca2+ la miosina (forma ad angolo) si attacca all’actina (a)
1. L’ATP si lega alla miosina (solo quando la miosina è legata all’actina può legare ATP), la
quale si stacca dall’actina
2. L’enzima miosina-ATPasi idrolizza l’ATP legato alla miosina (in ADP e
fosfato inorganico che rimangono legati alla testa di miosina
impedendo il ritorno alla forma ad angolo), la quale si proietta in
avanti (forma distesa)
3. La miosina si attacca sull’actina (b) e il fosfato inorganico si stacca,
permettendo alla testa di miosina di inclinarsi e tornare alla forma
ad angolo (sviluppo di forza), che tira i filamenti di actina verso il
centro del sarcomero e permette lo scorrimento dei filamenti spessi
e sottili gli uni sugli altri.
4. Distacco della miosina dall’actina - alla fine dell’evento di sviluppo
di forza, la miosina rilascia l’ADP e rimane legata all’actina fino a
che una nuova molecola di ATP si lega alla miosina e un nuovo
ciclo di contrazione può iniziare (da 1).

Le teste della miosina «camminano» sui filamenti sottili.

Questo evento può essere paragonato all’azione del tiro della fune: il
movimento alternato delle teste di miosina permette di tirare a sé i filamenti
di actina (le linee Z di ambo i lati vengono portate verso il centro del
sarcomero, mentre il filamento spesso rimane fermo in centro).
La rotazione del filamento spesso permette alle teste di miosina
equidistanti tra loro (un giro l’elica) di prendere contatto con lo stesso
filamento di actina tirandolo verso l’asse del sarcomero (contrazione).

La contrazione consuma ATP ed è necessario che all’interno della


fibra sia presente un metabolismo adeguato a permettere il ricarico
dell’ATP consumata.

ETEROGENEITÀ DEL MUSCOLO


Il muscolo scheletrico è eterogeneo, poiché è formato da più tipi di fibre muscolari:

• Rosse (lente - ossidative)


• Bianche (rapide - ossidative)

La prevalenza di un tipo di fibra o dell’altro varia a seconda del tipo di


esercizio svolto.

Negli uccelli selvatici vengono utilizzati per


voli prolungati e vere e proprie maratone
(migrazioni).
Negli uccelli domestici vengono utilizzati
soltanto per brevi battute d’ala o corti voli.
Lo stesso vale per l’uomo.

Ogni fibra muscolare possiede la sua caratteristica isoforma MHC (catena pesante della miosina).

La caratterizzazione delle isoforme MCH è stata possibile grazie a prelievi bioptici che vengono
eseguiti su volontari soggetti a particolari programmi di allenamento, dopo anestesia locale e
sterilizzazione, utilizzando aghi PRECISA Needle 1410 e una cannula di inserzione lunga 100 mm.
Il campione bioptico è un cilindro con diametro di 0,8 mm, lunghezza di circa 8 mm e peso medio
di 2,8 mg.
I campioni bioptici prelevati vengono sciolti in una
soluzione denaturante in presenza di SDS, bolliti per alcuni
minuti e caricati nei pozzetti di un gel di poliacrilamide.
Le proteine, sottoposte ad un campo elettrico, migrano nel
gel e si separano in bande in base alle dimensioni.
Se analizzo un intero fascio muscolare sono presenti 3 isoforme MHC:
MHC 2X, MHC 2A e MHC 1.
Se analizzo una singola fibra muscolare è presente un solo tipo di
isoforma MHC.

MF = tessuto muscolare multi-fibra SF = singola fibra

Il tipo di MHC presente all’interno della fibra che la caratterizza funzionalmente, definendo la
capacità contrattile dipende dal neurone che la innerva.
Le differenze amminoacidiche nelle diverse isoforme di MHC riguardano:

o Regione COOH-terminale
o Regione a α-elica del collo
o Regione della testa della miosina, in prossimità del sito
di legame con l’ATP e con l’actina.

Le modifiche nella regione della testa permettono di ottenere isoforme con differente attività
ATPasica e con differente velocità di accorciamento.

INNERVAZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI


Il tipo di innervazione stabilisce il destino della fibra
muscolare:

▪ Le fibre lente sono innervate dal motoneurone di tipo I


▪ Le fibre rapide sono innervate dal motoneurone di tipo II

Il motoneurone stabilisce se la fibra innervata sarà di tipo


lento o veloce (esperimenti di innervazione crociata).
Gli esperimenti di innervazione crociata (nei quali si scambia l’innervazione
delle fibre diverse) hanno dimostrato che la fibra muscolare lenta si può
convertire a veloce o viceversa in funzione del motoneurone che la stimola.
Questi studi hanno quindi chiarito che è il tipo di nervo a determinare la
tipologia della fibra.

Ogni fibra muscolare esprime un solo tipo di isoforma MHC (da cui dipende la proprietà contrattile
della fibra).
Le fibre innervate dal motoneurone 1 esprimono la MHC 1, mentre le fibre innervate dal
motoneurone 2 possono esprimere 1 dei 2 differenti tipi di MHC 2: MHC 2A oppure MHC 2X.

Le fibre hanno differenti proprietà contrattili:

a) La fibra di tipo 1 è in grado di sollevare un peso massimo di 2-3 g.


La contrazione sotto stimolazione, riesce ad avvenire anche dopo 60 min di stimolazione,
perciò è una fibra in grado di sollevare il peso senza affaticarsi.
Inoltre è definita lenta perché il motoneurone di tipo 1 ha delle scariche lente.
b) La fibra di tipo 2X è in grado di sollevare un peso di 50-100 g.
È definita rapida perché è in grado di effettuare molte
contrazioni in minor unità di tempo, dopo circa 1 min è già
affaticata e la sua prestazione cala.
c) La fibra di tipo 2 ha caratteristiche intermedie tra le 2 fibre
precedenti.
È in grado di sollevare un peso massimo di 10-20 g ed è in
grado di sollevare il peso per 4-6 min.
Questa fibra si definisce rapida e non affaticabile nonostante sia innevata dallo stesso
motoneurone dalla fibra 2X e questa differenza è dovuta al diverso metabolismo presente
all’interno di essa.

Il recupero energetico dipende dallo specifico metabolismo attivo nella fibra muscolare.
FIBRE DI TIPO 1
La fibra di tipo 1 è presente nell’isoforma lenta della miosina-ATPasi, perciò idrolizza l’ATP a una
velocità lenta rispetto alle altre isoforme e le contrazioni avvengono ad una frequenza più lenta,
inoltre la forza massimale prodotta è piccola (rispetto alle fibre di tipo 2).
Possiede un diametro piccolo (sopportano piccoli carichi) e la produzione di ATP è sostenuta dal
metabolismo ossidativo (ossidazione completa di carboidrati e grassi) per cui necessitano di O:

− Sono rosse, per la presenza di mioglobina, che permette di trattenere l’O nei muscoli, ma
anche perché sono molto capillarizzate, per consentire un maggior afflusso di sangue
− Contengono grandi quantità di mitocondri, che consentono di produrre ATP in maniera
aerobica per lunghi periodi di tempo

Sono altamente resistenti alla fatica (utilizzano fonti energetiche durature) e sono attive durante gli
esercizi di resistenza, come la corsa della maratona o le gare ciclistiche.

FIBRE DI TIPO 2X
La fibra di tipo 2X è presente nell’isoforma veloce della miosina-ATPasi, quindi idrolizza l’ATP a
velocità elevata e le contrazioni avvengono ad una frequenza elevata, inoltre la forza massimale è
massima.
La produzione di ATP è sostenuta dal metabolismo anaerobico (fosfocreatina e glicolisi).
Ha pochissimi mitocondri, quasi privi di creste (non necessitano di O).
Sono di colore bianco poiché prive di mioglobina e ricche in depositi di glicogeno.
Sono le poco resistenti alla fatica tra tutte le fibre e sono attive durante gli esercizi che richiedono
la massima velocità di produzione di forza, come nello sprint e nel sollevamento pesi.
Queste fibre diventano ipertrofiche (cioè diventano più grandi) durante l’esecuzione di programmi
di allenamento intensi, grazie all’aumento del numero di miofibrille in seguito all’attivazione delle
cellule satellite.

FIBRE DI TIPO 2A
La fibra di tipo 2A è presente nella isoforma a velocità intermedia dell’enzima miosina-ATPasi che
idrolizza l’ATP a una velocità intermedia (3-5 volte maggiore a quella delle fibre di tipo 1, ma un
po’ meno veloce delle 2X).
La produzione di ATP sostenuta da metabolismo aerobico e anaerobico.
Sono di colore rosso pallido poiché contengono mioglobina e sono moderatamente resistenti alla
fatica poiché contengono mitocondri (anche se in quantità minore rispetto alle fibre di tipo 1).
Hanno un comportamento ibrido: essendo capaci di idrolizzare l’ATP velocemente producono una
forza maggiore di quella generata dalle fibre di tipo 1; ma sono meno veloci delle fibre 2X.
Ciò le rende particolarmente utili durante le attività muscolari ad alta intensità svolte in condizioni
di massima capacità aerobica (per esempio nella corsa dei 400-800 m).

Grazie al fenomeno della plasticità, le fibre 2X che sono quelle


originali, possono trasformarsi in fibre di tipo 2A e viceversa.
La trasformazione consiste nella perdita dell’espressione della
proteina MHC 2X e nell’accensione dei geni per la proteina MHC
2A e questa trasformazione dipenderà dall’allenamento.

In generale i nostri muscoli contengono tutte e 3 i tipi di fibre in distribuzione variabile a seconda di:

❖ Funzione da loro svolta


❖ Stato di allenamento (attività motoria o sedentarietà)
❖ Genetica individuale (il numero di fibre di tipo 1 e di tipo 2 è determinato alla nascita dalla
genetica)

Predisposizione genetica:

− Atleti di resistenza come i corridori e i ciclisti tendono ad avere una percentuale maggiore
di fibre di tipo I.
− Atleti degli sport di potenza/velocità come i sollevatori di pesi e i velocisti, hanno una
percentuale maggiore di fibre di tipo II (sono anche ipertrofiche).

ALLENAMENTO E PLASTICITÀ MUSCOLARE


Allenamento
L’allenamento trasforma il muscolo:

• Iperplasia: aumento del numero delle fibre.


Il numero è stabilito alla nascita e non può essere modificato (in
aumento).
• Ipertrofia: aumento del diametro delle fibre di tipo 2 dovuto
all’aumento del numero delle miofibrille (in seguito alla
proliferazione delle cellule satellite)
• Plasticità: converte un tipo di fibra 2 in un’altra attraverso
allenamenti specifici (2X ↔ 2A)

Atleti con maggior numero di fibre alla nascita tipo 2X saranno naturalmente predisposti per sport
di velocità/forza; quelli con maggior numero di fibre 1 saranno predisposti per sport di resistenza
(genetica).

Plasticità muscolare
A livello muscolare, nelle fibre veloci la stimolazione del
motoneurone 2 avviene ad alta frequenza ed ha breve durata
(stimolazione intermittente, fasica o clonica), mentre nelle fibre
lente la stimolazione del motoneurone 1 avviene a bassa
frequenza ed è più duratura (stimolazione prolungata o tonica).

A seconda del tipo di motoneurone coinvolto, la stimolazione


comporta un diverso rilascio di Ca2+ intracellulare nelle fibre
muscolari lente e veloci.
Nella fibra lenta vengono rilasciate maggiori quantità di Ca2+
intracellulare rispetto alla fibra veloce.
Nella fibra 2A il motoneurone di tipo 2 si è adattato a rilasciare
acetilcolina con la stessa frequenza del motoneurone di tipo 1.

Nel muscolo durante l’esercizio lento, le fibre veloci (2X) vengono ‘educate’ a contrarsi lentamente
come le fibre di tipo 1, perciò il motoneurone 2 adegua la sua frequenza di scarica e nella fibra
muscolare aumenta il rilascio di Ca intracellulare.
Possiamo quindi affermare che è l’aumento della [Ca2+] intracellulare nelle fibre 2X che le
trasforma in fibre 2A!

Nelle fibre veloci 2X l’aumento della quantità di Ca2+ intracellulare (in seguito all’esercizio lento)
attiva l’espressione dei geni che permettono di utilizzare il metabolismo ossidativo trasformandole
in fibre 2A e viceversa.
Espressione di nuovi geni: mioglobina, MHC differente (2A), proteine del metabolismo ossidativo,
da pochi a tanti mitocondri.

In particolari condizioni possiamo assistere all’interconversione delle fibre muscolari (2A → 2X):

1. Normali processi biologici dell’invecchiamento (es. perdita di unità motorie)


2. Specifici stili di vita (sedentarietà)
3. Lesioni spinali, malattie neurodegenerative

Comportano l’atrofia del muscolo, con riduzione della massa muscolare (riduzione
del numero delle miofibrille) e della forza.
Si assiste ad una perdita dell’organizzazione sarcomerica e progressiva sostituzione
delle fibre muscolari con tessuto adiposo e connettivo.
Nel muscolo atrofico avviene una progressiva trasformazione delle fibre 2A in fibre 2X.
Ipertrofia muscolare
L’allenamento determina l’aumento delle dimensioni muscolari aumentando la sezione trasversale
delle fibre.
Interessa tutti i tipi di fibre, ma soprattutto quelle veloci, per cui è utilizzato per migliorare la forza e
la velocità.
L’allenamento di forza “overload” provoca microlesioni dei fasci muscolari che inducono la
proliferazione dei miociti, in particolare delle cellule satellite, e aumentando la sintesi proteica.

Nel muscolo adulto persistono delle cellule staminali quiescenti (cellule


satellite) che sono cellule appiattite in stretto contatto con la cellula
muscolare, mantenute in uno stato di quiescenza, ma disponibili per
l’autorinnovamento.
Si attivano, iniziando a proliferare e poi a fondersi in risposta a fattori di
crescita (es. FGF) o in seguito ad un danno muscolare.

Il fattore di competenza (FGF), legato alla lamina basale che avvolge i fasci muscolari, viene
rilasciato dopo la lesione, agisce sulle cellule satelliti sbloccandole dallo stato di quiescenza.

Il fattore di progressione rappresentato da:

• IGF-1 (prodotto dal fegato in risposta all’ormone della crescita) è importante nello sviluppo
dell’individuo (bambino → adulto)
• mIGF-1 (prodotto dal muscolo in seguito all’allenamento) è responsabile dell’ipertrofia
conseguente all’allenamento (nell’adulto)

La combinazione di FGF e mIGF stimola la duplicazione delle cellule satelliti.

L’FGF inizialmente prodotto dall’esercizio overload, sveglia le cellule satellite rendendole


competenti, quindi capaci di iniziare la duplicazione.
Il conseguente rilascio di mIGF prodotto dal muscolo stesso, determina una proliferazione delle
cellule satellite che fondendosi con la fibra muscolare ne aumentano il diametro.

Per verificare che effettivamente l’aumento di massa muscolare dipenda dall’mIGF è stato
eseguito un esperimento su topi transgenici.
L’iperespressione di mIGF determina:

o Ipertrofia selettiva della muscolatura del tronco e degli arti (23,3 % di massa
muscolare in più)
o Aumento della forza muscolare (14,4 % in più)
o Se hanno arti danneggiati la riparazione è più veloce del danno muscolare

L’mIGF-1, legando il suo recettore (IGF-1R), innesca una


cascata di modificazioni intracellulari (es. fosforilazioni) che
modificano l’attività di numerose proteine.
Come conseguenza vengono attivate 2 vie distinte: una che
provoca l’espressione di proteine necessarie alla proliferazione
cellulare (A), l’altra che passa attraverso mTOR potenzia la
sintesi delle proteine in generale, quindi i ribosomi (B).

La maggiore efficienza nella sintesi delle proteine permette alle fibre muscolari di aumentare il
numero di miofibrille comportando un’ipertrofia delle fibre muscolari.
La sintesi proteica aumenta già dopo 40 min dal termine dell’esercizio fisico e si mantiene elevata
per ore (cioè durante la fase di recupero avviene la sintesi della nuova massa muscolare).

L’aumento della efficienza di sintesi proteica indotto dall’allenamento di


forza (attraverso mIGF-1) può essere ulteriormente incrementato da:

− Particolare nutrizione (supplemento di proteine o di aa essenziali


come la leucina)
− Stress ambientale (ipossia)
− Ormoni (tiroideo T3, GH, testosterone)

mTOR è una proteina ad attività enzimatica, che funge da sensore


cellulare della presenza di aa essenziali e non, in grado di aumentare la
sintesi proteica soprattutto se assumiamo dopo l’allenamento, una
particolare nutrizione.

L’aumento abnorme della massa muscolare viene evitato grazie alla miostatina, fondamentale
durante l’accrescimento corporeo, ma permette anche di bloccare la crescita in seguito ad un
esercizio overload.

La miostatina (MSTN) lega il suo recettore posto sulla


membrana della fibra muscolare e causa una cascata di
eventi che attiva l’espressione della proteina p21CIP1/WAF1 che
è un inibitore della proliferazione cellulare, quindi le cellule
satellite smettono di proliferare.

La muscolazione si realizza attraverso lo spostamento bilanciato di equilibri molecolari.

Evidenze da inibizione della miostatina:

a) Effetto delle mutazioni genetiche naturali che riducono l’espressione della


miostatina
Belgian blue e Piemontese possiedono masse muscolari abnormi (il
doppio del normale) e presentano mutazioni nel gene della miostatina.
b) Spegnimento del gene della miostatina nell’uomo
Nel 2004, in un bambino tedesco di 5 anni (Mighty Baby), è stato osservato uno
sviluppo abnorme della forza e della massa muscolare.
La forza muscolare del bambino era simile a quella di un adulto.
La madre del bambino era una sprinter professionista e alcuni dei suoi antenati
erano ricordati per la forza straordinaria.
Nel suo DNA era presente una mutazione nel gene per la miostatina.
c) Topi transgenici con inattivazione del gene della miostatina
I. Sviluppo muscolare superiore rispetto ai topi normali.
II. Dimensione corporea superiore del 30%
III. Muscolo ipertrofico
IV. Peso 2 o 3 volte maggiore rispetto alle cavie normali.
L'analisi istologica evidenzia un aumento della dimensione delle singole fibre
muscolari (ipertrofia).
d) L’esercizio fisico riduce i livelli di miostatina
Livelli dell’mRNA per la miostatina in ratti non allenati (A), oppure
dopo 7 h (B) e 24 h (C) dal primo allenamento
METABOLISMO ENERGETICO

Il muscolo è un dispositivo che consente di convertire l’energia


chimica rilasciata dall’idrolisi dell’ATP in lavoro meccanico, quindi in
contrazione muscolare.

L’adenosin trifosfato viene definita moneta


energetica perché la struttura di una
molecola di ATP è formata da una base
(adenina) legata a una molecola di
zucchero (ribosio) che, a sua volta, è legato a 3 molecole di fosfato.
La rottura di uno di questi legami è in grado di liberare 7,3 kcal/mol trasformando così l’ATP in ADP.

La rottura del legame tra gli ultimi 2 gruppi fosfato (legame γ) stacca un gruppo fosfato e fornisce
energia.
Questa reazione è reversibile (avviene anche nel senso inverso), cioè
l’ATP può essere sintetizzato a partire dall’ADP, ma solo nel caso in cui
nella cellula abbia energia sufficiente per creare un nuovo legame
anidridico.
L’energia necessaria viene fornita consumando la creatina fosfato,
oppure mediante la glicolisi anaerobica o il metabolismo ossidativo.

La quantità di ATP nella fibra muscolare è presente per 25 millimoli/kg di muscolo disidratato,
ovvero 40-50 g in totale nel muscolo scheletrico del corpo umano.
In una attività muscolare molto intensa l’ATP permettere di correre al massimo per 2-4 sec.
Se ci fosse abbastanza ATP potremmo correre sempre alla velocità massima assoluta, invece,
poiché la quantità di ATP nei muscoli è piuttosto limitata, abbiamo bisogno di ricaricare l’ATP in
modo continuativo durante l’esercizio fisico.

La contrazione muscolare richiede 4 attività funzionali coordinate e compartimentalizzate:

1. Eccitazione della membrana (fase velocissima)


2. Accoppiamento eccitazione/contrazione (fase velocissima)
3. Contrazione (dipende dal tipo di MHC, comunque fase veloce)
4. Ripristino delle molecole energetiche (velocità limitante)

La fase più lenta rallenta tutto il processo di contrazione (ricarica ATP rapida → atleta + veloce e
viceversa).

Ovviamente i tempi di ripristino dell’ATP devono essere rapidi per fornire l’energia necessaria alle
esigenze muscolari:

− Dovranno essere molto rapidi per esercizi come la corsa veloce (come i 100 m piani)
− Potranno essere più lenti nell’attività di resistenza (come una maratona)

All’’interno del muscolo in contrazione viene consumata, come prima


molecola energetica per ricaricare l’ATP, la creatina fosfato (PCr) che viene
consumata entro i primi secondi di attività muscolare (1-10 sec).
La seconda fonte energetica dove il muscolo può attingere per ricaricare
l’ATP è la glicolisi anaerobica che entra in gioco successivamente (10-60
sec) e rappresenta la demolizione del glucosio.
Successivamente subentra un terzo stadio rappresentato dal metabolismo
aerobico (ove possibile) che si attiva dopo i primi 60 sec di esercizio.
La fonte di energia utilizzata dipende dalla durata e dall’intensità dell’esercizio muscolare svolto:

• Nelle corse brevi (< 10 sec, 100 m) che richiedono


grande consumo energetico predomina il consumo di
creatina fosfato (PCr)
• Nella corsa sulla distanza di 200-400 m prevale la
glicolisi anaerobica
• Nella corsa sulle distanze più lunghe (> 800 m)
predomina il metabolismo aerobico

Chimicamente la creatina è una ammidina (un acido carbossilico contenente N)


presente in tutto il corpo, ma il 95% si concentra nel muscolo scheletrico.
È prodotta da fegato e pancreas (circa 1 g al giorno) a partire dagli aa arginina e
glicina, oppure viene introdotta con gli alimenti (pesce e carni rosse che ne sono
particolarmente ricchi).
La creatina viene convertita in creatina fosfato a seguito dell’unione con un gruppo
fosfato.
Questo legame è altamente energetico, può essere rotto facilmente e l’energia
liberata dalla rottura di tale legame può essere utilizzata dall’ADP per trasformarsi in
ATP.

La creatina fosfato ha un ruolo importante per i tessuti che necessitano di energia in modo rapido,
ma temporaneo: oltre ai muscoli, anche il cervello.
Costituisce uno degli integratori alimentari più utilizzati e di successo degli ultimi decenni, utilizzato
per migliorare la forza muscolare e le prestazioni atletiche in sport di breve durata (percorsi brevi)
che richiedono un elevato sforzo fisico come la corsa, il nuoto e il ciclismo su pista.

C’è ancora molta confusione in merito, tuttavia l’uso della creatina


non viene considerato doping e pertanto non è vietato.
Il CIO e la WADA lo considerano un integratore alimentare.
Il suo prodotto di degradazione (creatinina) viene ricercato nelle urine
e nel sangue come indice della funzionalità renale.

La creatina fosfato è la principale fonte energetica del muscolo durante le contrazioni intense e di
breve durata (es. nelle corse brevi fino a 100 m).
La creatina fosfato viene convertita in creatina ad opera dell’enzima creatina chinasi, attraverso
una reazione molto rapida che consente la massima velocità di ricarica dell’ATP in quanto il
gruppo fosfato della creatina fosfato si lega all’ADP formando ATP e creatina

La creatina fosfato rappresenta il serbatoio di breve durata e la quantità di PCr nelle fibre muscolari
è piuttosto limitata: 120 g in totale in un individuo di 70 kg.
Questa modalità di produzione di ATP è chiamata anaerobica alattacida perché non è necessario
l’O e non si produce acido lattico.
È fondamentale negli sport che richiedono energia massimale in tempi brevi (corsa veloce,
sollevamento pesi, sprint dove lo sforzo si esaurisce in 1 e 10 sec).

La PCr può essere rigenerata durante il recupero aerobico post-esercizio.


La PCr viene consumata nel citosol e l’enzima CK citosolica lo usa per rigenerare l’ATP (PCr → Cr).
La Cr viene riconvertita in PCr grazie alla CK mitocondriale (Cr → PCr) che preleva un gruppo
fosfato dall’ATP mitocondriale.
La produzione di ATP mitocondriale avviene grazie al metabolismo ossidativo (che richiede O per
funzionare → aerobico) che è più lento della velocità con cui viene
consumata la PCr che non viene rigenerata durante l’esercizio
intenso, si consuma (devo usare un’altra fonte di energia se voglio
continuare) e la sua risintesi necessita O.
Perciò durante l’esercizio intenso si consuma la PCr, mentre durante il
recupero aerobico si rigenera la PCr.

Se blocco il flusso di sangue ai muscoli dopo la contrazione (es. laccio


emostatico) la rigenerazione di PCr non è possibile.
Infatti il grafico mostra un rapido calo di PCr durante l’esercizio intenso, ma anche rapido recupero
possibile solo se un adeguato flusso di sangue ossigenato arriva al muscolo, perciò nel momento in
cui il laccio emostatico viene slegato.
La fase di recupero si caratterizza in 2 momenti:

o Momento iniziale: molto rapido, dove il recupero del 75% di PCr


avviene nel primo minuto
o Fase tardiva: più lenta, dove il recupero del restante 25% avviene in
altri 3-5 min.

La preparazione atletica degli sprinter necessita di intervallare sforzi intensi con momenti di
recupero a basso livello (cosiddetto recupero attivo) per ripristinare i livelli di PCr.

Quando finisce la PCr, è necessario ricorrere alla glicolisi anaerobica che contribuisce al bilancio
energetico durante la contrazione muscolare intensa per brevi tratti dai 100 ai 400 m (durata 10-60
sec).
Il glucosio viene convertito in glucosio 6-P ed usato per produrre ATP attraverso le 10 reazioni della
glicolisi.
Viene conservato nelle fibre muscolari sotto forma di glicogeno e in parte arriva col sangue
circolante.
All’inizio dell’attività muscolare il glucosio proviene dalle riserve di glicogeno.

Glicogeno → Glucosio 1-P → Glucosio 6-P → Piruvato + ATP

In condizioni anaerobiche, poi il piruvato viene trasformato in lattato,


molecola deleteria durante l’esercizio fisico poiché riduce l’efficienza
della glicolisi.

Le reazioni della glicolisi hanno luogo nel citoplasma, dove non è


richiesta la presenza di O, ed è per questo che tale via metabolica è
detta anaerobica (anaerobica lattacida dal momento che l’acido lattico
è il prodotto finale di demolizione del glucosio).
L’accumulo di acido lattico nella fibra muscolare abbassa il pH del
citoplasma (diventa più acido) rendendo meno efficiente la produzione
di energia attraverso questa via (affaticamento).

Il metabolismo ossidativo (aerobico) sostiene la produzione di energia in condizioni


aerobiche nel lungo periodo (più di un minuto - distanza maggiore di 800 m) necessita
della presenza di O (condizioni aerobiche), il quale agisce come accettore finale della
catena di trasporto degli elettroni che consente di fosforilare l’ADP in ATP.
Le reazioni avvengono nei mitocondri delle cellule.
Il ciclo fondamentale del metabolismo ossidativo è il ciclo di Krebs perché poi anche
la demolizione degli acidi grassi raggiunge, sotto forma di molecole di acetil CoA, nel
ciclo di Krebs.
L’energia viene prodotta dall’ossidazione completa del glucosio (il glucosio attraverso
la glicolisi viene scisso in piruvato che in condizioni anaerobiche diventa lattato,
mentre in condizioni aerobiche viene “risucchiato” all’interno del mitocondrio e
trasformato in acetil CoA), degli acidi grassi e degli aa a CO2, H2O e ATP.
Nelle attività aerobiche il contributo dei carboidrati e dei grassi nella
produzione di ATP dipende dal livello di intensità dell’esercizio.
Ad un livello di intensità pari al 25% VO2 max (es. durante una
camminata) l’energia consumata deriva dai grassi (80%), al 65% VO2
max (es. corsa a ritmo costante) il contributo dei grassi scende al 50%,
mentre all’85% VO2 max (es. corsa intensa, ma in condizione
aerobica) il contributo dei grassi scende al 25%.

Durante l’esercizio prolungato o il digiuno cala la glicemia e gli aa del


muscolo vengono utilizzati come fonte energetica (metabolismo
ossidativo solo lo scheletro carbonioso viene utilizzato) e i gruppi aminici
vengono spostati sul piruvato che diventa alanina.
L’alanina esce dal muscolo e entra nel circolo ematico per arrivare al
fegato.
A livello epatico viene convertita in glucosio, attraverso la
gluconeogenesi, che poi viene rilasciato nel sangue nel tentativo di
ripristinare la glicemia (ciclo del glucosio-alanina).

Il meccanismo di ricarica dell’ATP detta la velocità di contrazione della


fibra (e dell’atleta).
Le velocità massime dipendono dalla distanza percorsa.
Gli esseri umani possono mantenere una velocità massima di corsa per
circa 200 m.
Le velocità medie diminuiscono con l’aumentare della distanza.

Le velocità massime della corsa dipendono dall’impegno di


differenti fonti energetiche.
Massime velocità si ottengono con l’utilizzo della PCr come
fonte energetica e della glicolisi anaerobica, mentre
velocità più basse si hanno in presenza del metabolismo
aerobico.
Ogni metabolismo di ricarica dell’ATP ha la sua velocità che
dipende dal numero di reazioni coinvolte dal substrato
energetico fino alla produzione di ATP formata.
Minore è il numero di passaggi e maggiore è la rapidità di ricarica:

▪ PCr → 1 singola reazione


▪ Glicolisi anaerobia → 10 reazioni
▪ Glicolisi aerobica → 26 reazioni
▪ Metabolismo ossidativo degli acidi grassi → 90-100 reazioni

In condizioni anaerobiche la sintesi di ATP mediante l’uso di PCr è la più veloce in assoluto.
La glicolisi anaerobica rispetto alla glicolisi aerobica ha una velocità doppia di quella aerobica.
In generale il metabolismo anaerobico ricarica più velocemente l’ATP muscolare, ciò significa che
maggiore è l’ATP disponibile nell’unità di tempo, maggiore è la velocità di contrazione del
sarcomero e maggiore è la velocità della corsa.

In condizioni aerobiche i carboidrati ricaricano più velocemente l’ATP muscolare rispetto agli acidi
grassi ciò significa che maggiore è l’ATP disponibile nell’unità di tempo, maggiore è la velocità di
contrazione del sarcomero, maggiore è la velocità della corsa, quindi carboidrati sono consumati
in modo prioritario quando il ritmo è sostenuto.

Nelle gare di velocità la condizione di esercizio è anaerobica e le fonti energetiche utilizzate sono:
PCr e glicolisi anaerobica.
Non si può correre a velocità massima la maratona poiché:
❖ Il prodotto finale della glicolisi anaerobica è l’acido lattico e l’acidificazione dei muscoli
riduce l’efficienza della glicolisi aumentando l’affaticamento
❖ I depositi muscolari di PCr e di carboidrati nel muscolo e nel fegato (glicogeno) sono
relativamente limitati e finirebbero presto

La spesa energetica di una maratona è elevata perciò è


necessario l’apporto dell’ossidazione degli acidi grassi che
producono ATP in abbondanza con velocità minore, quindi la
velocità della corsa diminuisce, ma la distanza percorsa
aumenta.

In conclusione, nel muscolo possono essere utilizzate


differenti vie metaboliche per ricaricare l’ATP consumata
durante l’esercizio, da cui dipende la velocità di esercizio
dell’atleta.

VIE METABOLICHE

Le vie metaboliche avvengono nelle cellule e sono come le catene di montaggio dove ogni
postazione (enzima 1), aggiunge qualcosa al materiale che
arriva (substrato 1) trasformandolo in un altro (prodotto 1).
Il prodotto 1 della postazione precedente diventa il materiale
da lavorare (substrato 2) per la postazione successiva
(enzima 2) che lo trasforma nel prodotto 2.

Alcune reazioni sono reversibili cioè lo stesso enzima può essere


utilizzato nei 2 sensi di trasformazione (fa parte di 2 vie che lavorano in
senso opposto).
Es. la glicolisi che scinde il glucosio per ottenere energia e la gluconeogenesi che produce il
glucosio, hanno in comune 7 su 10 enzimi totali coinvolti in ciascuna via.

A livello cellulare le vie metaboliche sono finemente regolate da:


[substrati] e [prodotti].
La direzione catalizzata dall’enzima è scelta dalla molecola in eccesso
tra substrato e prodotto.

L’accensione della sequenza di reazioni, perciò la regolazione degli enzimi che catalizzano la via
metabolica può essere di 3 tipi:

1. Regolazione primaria (aperto/chiuso): una molecola prodotta solo da una specifica via
determina l’accensione o lo spegnimento dell’intera via
2. Regolazione secondaria (gradazione del flusso): effettuata su ogni tappa della via (enzima)
dal substrato o dal prodotto della reazione governata da quell’enzima, regolando il flusso di
reagenti attraverso l’intera via
3. Regolazione dei modulatori allosterici: un prodotto della via antagonista inibisce la via (es. il
malonil-CoA, prodotto durante la sintesi degli acidi grassi, funge da modulatore allosterico
dell’enzima di regolazione primaria della via per la degradazione degli acidi grassi)

Il metabolismo è caratterizzato fondamentalmente da un catabolismo, cioè cicli metabolici che


utilizzano vie metaboliche che hanno come substrati: zuccheri, lipidi e proteine, cioè molecole
complesse definite nutrienti energetici che vengono distrutte tramite
rottura dei singoli legami per raggiungere molecole finali che sono
dei componenti fondamentali rappresentati da: CO2, H2O e NH3.
Dalla rottura di tali legami è possibile produrre energia utilizzata
durante la fase di esercizio fisico.
L’anabolismo rappresenta la via opposta rispetto al catabolismo e
permette la produzione di molecole complesse come: proteine,
polisaccaridi, lipidi e acidi nucleici a partire da substrati come: aa, zuccheri, acidi grassi e basi
azotate.
Perciò l’anabolismo, attivo durante la fase di recupero post-esercizio, restituisce alla cellula ciò
che il catabolismo aveva consumato.
Se queste vie fossero attive simultaneamente si innescherebbe un «ciclo futile».

All’interno delle vie metaboliche si ha una trasformazione di alcune molecole in altre e


alcuni enzimi necessitano di energia chimica per poter trasformare il substrato in prodotto (es. ATP),
mentre altri strappano elettroni e protoni al substrato e necessitano di molecole speciali su cui
scaricarli (es. NAD → Nicotinammide Adenina Dinucleotide).

Il NAD è costituito da:

• Nicotinammide: anche nota come niacina (o vitamina


PP, Pellagra-Preventing, o vitamina B3), è capace di
donare/accettare atomi di H
• Adenina: presente negli acidi nucleici
• Di-nucleotide (3-4): coppia di nucleotidi contenenti un
gruppo fosfato ed uno zucchero, il ribosio

NAD+ + H+ + 2 e- ↔ NADPH

Il NADH è una molecola energetica molto importante perché i suoi elettroni e protoni vengono poi
ceduti alla catena di trasporto degli elettroni mitocondriali o ad enzimi particolari per produrre ATP,
quindi non è in grado di alimentare direttamente la contrazione, ma alimenta un processo
chiamato fosforilazione ossidativa, capace di caricare l’ADP trasformandolo in ATP.

A livello tissutale la coordinazione metabolica tra i diversi tessuti è attuata da fattori di crescita e
ormoni, che innescano cascate di trasduzione del segnale in grado di agire:

➢ Istantaneamente: modificando l’attività degli enzimi già esistenti (es.


fosforilazione/defosforilazione ACC innescata dall’azione di insulina o glucagone nella
coordinazione tra lipolisi e liposintesi)
➢ Dopo un certo tempo (minuti → ore): modificando la concentrazione degli enzimi (nuova
sintesi di enzimi oppure loro degradazione modificano il flusso di intermedi metabolici lungo
la via)

Le diverse vie metaboliche sono estremamente sincronizzate, controllate e ordinate.

GLICOSI
il glucosio occupa un ruolo centrale nel metabolismo di molti esseri viventi.
È un ottimo combustibile perché ricco di legami la cui rottura genera energia e permette il ricarico
dell’ATP (2840 kJ/mole).
È un precursore, fornisce moltissimi intermedi metabolici per la biosintesi di molecole complesse
(aa, nucleotidi, coenzimi, acidi grassi…)
Inoltre ha 4 destini principali:

1. Sintesi di polisaccaridi complessi destinati alla matrice


extracellulare
2. Immagazzinato nella cellula come scorta (glicogeno)
3. Via del pentosio fosfato, la alimenta per produrre ribosio-5-fosfato
(biosintesi dei nucleotidi) e NADPH (biosintesi dei lipidi)
4. Per produrre ATP, alimenta la glicolisi dove viene ossidato a
piruvato (3C)
La glicolisi avviene nel citoplasma in 10 tappe e si divide in 2 fasi:

a) Preparatoria (5 tappe): il glucosio viene trasformato,


consumando ATP, in 2 molecole di gliceraldeide fosforilate
b) Recupero energetico (5 tappe): le 2 molecole di gliceraldeide
sono ossidate a piruvato con formazione di 4 molecole di ATP e 2
molecole di NADH

Per ciascuna molecola di glucosio convertita in piruvato vengono


consumate 2 ATP nella fase preparatoria, ma vengono prodotte 4 ATP
nella fase di recupero energetico.
Sono prodotti anche 2 NADH (in condizioni aerobiche potrebbero essere
trasformati in altre 5 ATP della catena di trasporto degli elettroni
mitocondriale).

Le vie di alimentazione della glicolisi sono alimentate da glucosio, ma non solo, anche da altri
carboidrati quali:

• Monosaccaridi: fruttosio, mannosio e galattosio


• Disaccaridi: lattosio, maltosio e saccarosio
• Polisaccaridi: amido e glicogeno

Gli zuccheri semplici o monosaccaridi forniscono energia a breve termine, sono prontamente
assimilabili e richiedono tempi di digestione brevi.
Gli zuccheri complessi o polisaccaridi forniscono energia a medio e lungo termine e richiedono
tempi di digestione superiori.

I monosaccaridi entrano direttamente nella glicolisi.


L’inizio della glicolisi è il glucosio che entra come tale
nelle cellule grazie ad un trasportatore differente a
seconda del tipo cellulare di cui stiamo parlando, nel
caso del muscolo sono il GLUT-1, presente in tutte le
cellule, e il GLUT-4.
Il numero di trasportatori di GLUT-4 presenti sulla superficie
della fibra muscolare dipende dall’insulina.
Il fruttosio entra nella 3° tappa sotto forma di fruttosio-6-
fosfato, il mannosio entra anch’esso come fruttosio-6-
fosfato, mentre il galattosio può entrare sotto forma di glucosio-1-fosfato che a sua volta viene
convertito in glucosio-6-fosfato entrando così nella glicolisi.

I disaccaridi principali entrano nella glicolisi.


Il maltosio formato da 2 molecole di glucosio, in seguito a scissione all’interno dell’intestino viene
assorbito dall’epitelio intestinale e riversato nel sangue attraverso il quale viene dirottato nei tessuti.
Il lattosio, costituito da galattosio e glucosio, viene scisso da una lattasi intestinale e il galattosio
entra come glucosio-6-fosfato.
Il saccarosio formato da glucosio e fruttosio, viene scisso e il fruttosio entra nella glicolisi sotto
forma di fruttosio-6-fosfato.

I polisaccaridi come amido e glicogeno alimentari entrano attraverso il processo digestivo sotto
forma di glucosio, mentre il glicogeno contenuto nei muscoli può essere scisso, grazie alla
glicogenolisi e all’enzima glicogeno-fosforilasi in grado di scindere l’ultimo legame staccando
l’ultimo glucosio del polimero di glicogeno utilizzando del fosfato inorganico e generando
glucosio-1-fosfato prodotto direttamente nel citosol dove è presente la fosfogluco-mutasi una
proteina che converte un isomero in un altro, cioè converte il glucosio-1-fosato in glucosio-6-
fosfato.
Questa distinzione è molto importante perché durante la contrazione muscolare viene scelto
preferibilmente il glicogeno come fonte di glucosio, anziché lo zucchero prodotto dalla digestione
dei polisaccaridi per risparmiare l’utilizzo di una molecola di ATP che serve per trasformare, il
glucosio arrivato nella cellula in glucioso-6-fosfato.

Se il muscolo in contrazione consuma glicogeno, non si ha un abbassamento della glicemia,


l’atleta rimane lucido perché il glucosio ematico può raggiungere il tessuto neuronale, perciò il
cervello per consentirgli di funzionare.
Quando l’esercizio si protrae si attivano gli altri metabolismi, in particolare il metabolismo aerobico
che permette in una 1° fase di consumare glucosio con abbassamento della glicemia.

Amido e glicogeno
L’amido è costituito da polimeri lineari di α-glucosio
caratterizzati da legami α 1,4, mentre il glicogeno è formato da
polimeri ramificati di α-glucosio caratterizzati sia da legami α
1,4 sia da legami α 1,6.
Le ramificazioni del glucosio sono dovute alla formazione di
differenti legami, i legami α 1,6.

Il glucosio è costituito da 6 atomi di C e può essere α o β glucosio in


base alla posizione dell’ossidrile.
L’ossidrile sul C1 in basso caratterizza l’α-glucosio, mentre l’ossidrile sul
C1 in alto caratterizza il β-glucosio.

L’amido e il glicogeno (introdotto con gli alimenti) iniziano ad essere digeriti nella bocca poiché
l’α-amilasi salivare idrolizza i legami α 1,4 dell’amido e vengono prodotti dei polisaccaridi.
L’amilasi salivare viene poi inattivata dai succhi gastrici presenti nello stomaco e viene sostituita
dall’α-amilasi pancreatica che viene riversata nel duodeno e continua la digestione producendo
maltodestrine.
Le maltodestrine quindi non sono altro che il prodotto di digestione dell’amido.
Queste vengono poi trasformate in glucosio dagli enzimi sui microvilli degli enterociti (cellule
intestinali).

Il glucosio entra nelle cellule attraverso il trasportatore del glucosio che consente di ottenere flussi
ridotti rispetto ad un canale e un controllo migliore dell’entrata del glucosio all’interno delle cellule.
Ogni cellula di ogni tessuto contiene il sul tipo di trasportatore:

o GLUT-1: ubiquitario e nel fegato rimuove dal sangue l’eccesso di glucosio


o GLUT-2: presente in fegato, isole del pancreas e intestino, in particolare nel pancreas regola
il rilascio di insulina
o GLUT-3: presente nei neuroni
o GLUT-4: presente in muscolo, cuore e tessuto adiposo, la sua attività viene regolata
dall’insulina

Maltodestrine
Le maltodestrine sono carboidrati complessi, quindi polisaccaridi idrosolubili.
Sono costituiti da polimeri di α-glucosio di lunghezza variabile (2 < n <20) con
legami 1-4 α-glicosidici.
Si ottengono dall’idrolisi degli amidi dei cereali (mais, avena, frumento, riso) o
dei tuberi (patate, tapioca).

L’assorbimento dei carboidrati contenuti negli alimenti avviene sotto forma di glucosio, per cui se
ingeriti sotto forma di amido prima dell’esercizio richiederebbero tempi di digestione lunghi,
sottraendo energie alla contrazione muscolare.
Le maltodestrine invece vengono digerite molto rapidamente dall’intestino, anche più
velocemente dello zucchero (saccarosio).
Infatti, è possibile assumere le maltodestrine durante l’esercizio motorio (sono catalogati come
integratori alimentari).
Le maltodestrine, in ambito sportivo, hanno una funzione energetica:

− Digerite facilmente: possono essere utilizzate durante l’attività fisica senza appesantire
l’apparato gastrointestinale ed inficiare la performance.
La facilità del processo digestivo fa sì che meno sangue venga richiamato ai visceri e ve ne
sarà di più per i muscoli.
− Nelle attività aerobiche(prolungate): come nel ciclismo, caratterizzato da tappe di
centinaia di chilometri, o nella maratona, sono utili per prevenire l’ipoglicemia da attività
che potrebbe intaccare le proteine muscolari.
− Idratazione dei tessuti: non sono osmoticamente attive per cui se assunte prima, durante e
dopo l’allenamento consentono la corretta idratazione dei tessuti.
L’acqua bevuta, una volta arrivata al lume intestinale, utilizza un sistema passivo di
assorbimento determinato dalla pressione osmotica.
Gli zuccheri sono osmoticamente attivi e trattengono l’acqua nel lume intestinale
impendendo in suo assorbimento.
Il tempo ridotto di assorbimento della maltodestrine, riducendo la loro permanenza nel lume
intestinale, favorisce l’assorbimento intestinale dell’acqua.

Problematiche derivanti dall’utilizzo:

→ Difficoltà di digestione di alcuni soggetti per il mais o intolleranza verso il cereale da cui
sono state ricavate
→ Ipoglicemia reattiva causata dall’assunzione di alte dosi in poco tempo (non assumere alte
assunzioni prima dell’allenamento, meglio assumere dosi frazionate nel corso dello stesso)

Le maltodestrine possono essere impiegate in sport di resistenza (durante l’attività ciclisti su strada,
maratoneti) evitano di intaccare le proteine muscolari, assunte in particolar modo durante l'attività
per fornire un supporto energetico, oppure possono essere impiegate nel post-allenamento in sport
di forza/potenza (scatti, sollevamento pesi), assunte preferibilmente nel recupero post-esercizio per
facilitare il recupero del glicogeno.

Glicogeno
Il glicogeno è una forma molto efficiente di accumulo del glucosio.
È osmoticamente inattivo, quindi è la forma migliore per essere conservato e contenuto all’interno
delle cellule.
Esso contiene la maggiore quantità possibile di glucosio nel minore volume possibile.
Nel fegato è presente per circa il 2-7% del peso totale che rappresenta circa 100 g, mentre nel
muscolo è presente per circa l’1% del peso totale che rappresenta circa 300-500 g.

Il glicogeno è un polimero dell’α-glucosio, residui uniti in catene attraverso legami α 1,4.


Ogni 8-14 residui sono presenti ramificazioni laterali ottenute attraverso legami α 1,6.
Il glicogeno ha una struttura sferica e ogni sfera contiene più di 100 000 molecole
di glucosio.
Ogni sfera viene formata a partire da una proteina centrale rappresentata dalla
glicogenina, nucleo d’iniziazione della biosintesi del glicogeno.
I granuli contengono anche gli enzimi necessari per la sintesi e la degradazione
del glicogeno.

GLICOGENOLISI
La glicogenolisi rappresenta il processo che permette la demolizione del
glicogeno intracellulare nei muscoli e nel fegato.
La glicogeno fosforilasi scinde il legame α 1,4 utilizzando il fosfato
inorganico (Pi) per liberare glucosio-1-fosfato.
Successivamente il glucosio-1-fosfato viene convertito in glucosio-6-
fosfato, un intermedio della glicolisi, dall’enzima fosfogluco-mutasi.
La glicogeno fosforilasi rimuove molecole di glucosio fino a quando non
arriva a 4 residui di glucosio dalla ramificazione.
Arriva poi un enzima deramificante che in primo luogo sposta 3 molecole
di glucosio da una catena all’altra (attività transferasica) scindendo un
legame α 1,4 e formando un nuovo legame α 1,4, in secondo luogo
idrolizza un legame α 1,6 con formazione di glucosio libero (attività α 1,6
glucosidica).

Il glicogeno endogeno viene consumato prima del glucosio ematico


perché il glicogeno alimentare entra sotto forma di glucosio a livello della
parete intestinale e una volta distribuito nel sangue, raggiunge i tessuti e i
muscoli direttamente in forma di glucosio.
Il glicogeno endogeno invece viene staccato dalla glicogeno fosforilasi
come glucosio-1-fosfato che poi deve essere convertito in glucosio-6-
fosfato dalla fosfogluco-mutasi e questo processo permette di risparmiare
una molecola di ATP.

L’esercizio fisico aumenta il livello di adrenalina nel sangue


perché l’adrenalina rappresenta un attivatore della
glicogenolisi.
L’adrenalina è secreta dalla midollare del surrene durante
l’esercizio fisico (è anche un neurotrasmettitore sintetizzato
e secreto dai neuroni).

L’adrenalina si lega al proprio recettore presente sulla membrana della


cellula muscolare e l’interazione adrenalina-recettore permette il
reclutamento e l’attivazione della proteina G, la quale, a sua volta attiva
l’adenilato ciclasi che trasforma un ATP in cAMP (AMP ciclico) nel
citoplasma cellulare.
Il cAMP attiva quindi la PKA (protein kinasi A).

Tale meccanismo può essere innescato anche dal glucagone con la differenza che l’adrenalina
funziona nel miocita, mentre il glucagone nell’epatocita.

Dopo essere stata attivata, la PKA attiva la fosforilasi chinasi


(fosforilazione → viene attaccato un gruppo fosfato al glicogeno) che
a sua volta attiva la glicogeno fosforilasi, l’enzima regolatore della
glicogenolisi con conseguente liberazione di glucosio-1-fosfato
intracellulare dal glicogeno.

Se la glicogenolisi avviene nel muscolo il glucosio-1-fosfato alimenta la glicolisi per produrre


energia, se invece la glicogenolisi avviene nel fegato il glucosio-1-fosfato viene riversato nel
sangue sotto forma di glucosio per aumentare la glicemia e consentire allo zucchero contenuto
nel fegato di raggiungere il muscolo tramite il circolo sanguigno.

L’adrenalina (o glucagone) determina la fosforilazione della fosforilasi chinasi e la glicogeno


fosforilasi attivandole.
L’adrenalina (o glucagone) incrementa la demolizione del glicogeno.

La fosfatasi è una proteina (PP1) in grado di rimuovere il gruppo fosfato dagli enzimi inattivandoli.
L’insulina attiva la PP1 che inattiva la fosforilasi chinasi e la glicogeno fosforilasi (es. muscolo a
riposo).
L’insulina inibisce la glicogenolisi per favorire il processo opposto, la glicogenosintesi.
GLICOLISI

La glicolisi avviene nel citoplasma in 10 tappe e si divide in 2 fasi:

a) Preparatoria (5 tappe): il glucosio viene trasformato,


consumando ATP, in 2 molecole di gliceraldeide fosforilate
b) Recupero energetico (5 tappe): le 2 molecole di gliceraldeide
sono ossidate a piruvato con formazione di 4 molecole di ATP e 2
molecole di NADH

Per ciascuna molecola di glucosio convertita in piruvato vengono


consumate 2 ATP nella fase preparatoria, ma vengono prodotte 4 ATP
nella fase di recupero energetico.
Sono prodotti anche 2 NADH (in condizioni aerobiche potrebbero essere
trasformati in altre 5 ATP della catena di trasporto degli elettroni
mitocondriale).

FASE PREPARATORIA
La 1° fase della glicolisi è rappresentata dall’entrata del
glucosio, proveniente dal sangue, che raggiunge il citosol del
muscolo attraverso il trasportatore GLUT-4 e poi viene
immediatamente fosforilato da una esochinasi.
Questa fosforilazione è importante perché trasformando il
glucosio in glucosio-6-fosfato lo rende irriconoscibile al
trasportatore e quindi impedisce che il glucosio entrato possa
poi uscire in senso opposto dalla fibra muscolare.
È definita reazione di indirizzo perché vincola il glucosio
all’interno della cellula.

Nel muscolo, la fonte primaria di glucosio è il glicogeno che viene trasformato in glucosio-1-fosfato
e poi in glucosio-6-fosfato, quindi il glucosio ottenuto dalla doppia conversione del glicogeno
arriva all’interno della glicolisi sotto forma di glucosio-6-fosfato, bypassando così il 1° step che ha
dovuto affrontare il glucosio ematico che gli permette di risparmiare una molecola di ATP.

Il glucosio-6-fosfato, pur essendo un intermedio della glicolisi, non è ancora vincolato in questa via,
ma potrebbe prendere una via accessoria come la via del pentosio fosfato utile per la produzione
della biosintesi degli acidi grassi e dei nucleotidi.
Il glucosio-6-fosfato viene trasformato, dall’enzima fosfoesosio isomerasi, in un isomero, il fruttosio-6-
fosfato che se non prende la direzione della glicolisi può riconvertirsi in glucosio-6-fosfato, quindi
tale trasformazione è reversibile.

Il 1° vero intermedio della glicolisi è rappresentato dal fruttosio-1,6-bisfosfato, esclusivo della


glicolisi.
Quando la fosfofrutto-chinasi-1 (PFK-1) una volta che trasforma il fruttosio-6-fosfato attaccandogli
un gruppo fosfato in posizione 1 diventa fruttosio-1,6-bisfosfato.
Questo enzima, essendo una chinasi, attacca un gruppo fosfato recuperato dall’ATP, perciò
consuma una molecola di ATP.
A questo punto la molecola di fruttosio-1,6-bisfosfato viene scissa in 2 dall’azione dell’aldolasi,
formando così gliceraldeide-3-fosfato e diidrossiacetone fosfato.
La triosio fosfato isomerasi trasforma i triosi, quindi gliceraldeide-3-fosfato e diidrossiacetone
fosfato, l’uno nell’altro.
Alla fine della fase preparatoria della glicolisi, la molecola di glucosio iniziale è stata trasformata in
2 molecole di gliceraldeide-3-fosfato con consumo di 2 molecole di ATP.

La PFK-1 è un sensore del livello energetico presente all’interno della cellula muscolare ed è in
grado di capire se la cellula abbia bisogno di energia, aprendo la via, oppure non necessita di
energia, chiudendo la via.
La regolazione di questo enzima è di tipo allosterico, quindi ad esso si possono legare ATP, ADP o
AMP che ne modulano l’attività.
La presenza di alti livelli di ATP segnala alla cellula che la fibra non
è in contrazione, quindi l’ATP prodotto è in esubero, quindi ristagna
e aumenta il livello all’interno della cellula, perciò l’aumento di ATP
inibisce la PFK-1 chiudendo la via.
A riposo, quando sono presenti i sottoprodotti della degradazione
dell’ATP, quindi l’ADP oppure l’AMP, se si abbassano determinano
la chiusura della via bloccando l’attività della PFK-1; durante
l’attività fisica invece cala ATP e aumentano i livelli di ADP e AMP
iperconsumata fungendo da attivatori dell’enzima segnalandogli di entrare in attività per
consentire la produzione di nuova ATP destinata alla contrazione muscolare.

FASE DI RECUPERO ENERGETICO


La gliceraldeide-3-fosfato, nella fase di recupero energetico, viene trasformata in 2 molecole di
piruvato attraverso un processo formato da 5 tappe che vede la trasformazione di 2 molecole di
NAD+ in 2 molecole di NADH e la formazione di 2+2 molecole di ATP.

La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (G3PDH) è un enzima che utilizza del NAD+ presente nel
citosol delle fibre muscolari per scaricare elettroni e protoni che sottrae alla gliceraldeide-3-fosfato
trasformandolo in NADH.
In questo modo viene catalizzata una reazione reversibile, importante perché il NAD+ e NADH
presente a livello di una cellula muscolare è limitato, per cui è sempre necessario trasformare il
NADH in NAD+ affinché nuove molecole di glucosio possano continuare a fluire lungo la via,
possiamo quindi dire che questo sia uno step limitante che determina quante molecole possono
imboccare e percorrere questa via.

La gliceraldeide-3-fosfato (2 molecole), tramite la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, viene


trasformata in 1,3-bisfosfoglicerato, aggiungendo un gruppo fosfato al C1.
Essendo una molecola che presenta un legame P-O
molto energetico, l’1,3-bisfosfoglicerato può cedere un
gruppo fosfato all’ADP in modo da produrre ATP (2
molecole) e si forma il 3-fosfoglicerato che viene ben
presto trasformato nel suo isomero, il 2-fosfoglicerato che
perde una molecole di H2O e a sua volta viene
trasformato in fosfoenolpriuvato.
Il fosfoenolpriuvato possiede un legame P-O molto
energetico, in grado di cedere un gruppo fosfato all’ADP
che grazie all’azione della piruvato chinasi diventa ATP (2
molecole) e si forma il piruvato (2 molecole).

La piruvato chinasi è un enzima importante perché su di esso avviene la regolazione ormonale


della glicolisi, legata intimamente ad ormoni che controllano i livelli di glucosio nel sangue come
insulina e glucagone.

Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi → 2 Piruvato + 2 NADH + 2 H+ + 2 ATP + 2 H2O

Quando il glucosio deriva dal sangue vengono prodotte 2 molecole di NADH e 2 molecole di ATP,
mentre quando il glucosio deriva dal glicogeno sono prodotte 2 molecole di NADH e 3 molecole di
ATP.

NAD+ E NADH
La quantità di NAD+ presente in una cellula è di gran lunga inferiore a quella del glucosio
metabolizzato in pochi minuti.
La glicolisi si fermerebbe quasi subito se il NADH formato non venisse prontamente riciclato in NAD+.
Quando la glicolisi è svolta in condizioni anaerobiche il glucosio si trasforma in 2 molecole di
piruvato che viene trasformato in lattato.
Quando invece la glicolisi si svolge in condizioni aerobiche il piruvato viene convertito in acetil-
CoA, molecola importante perché alimenta il metabolismo ossidativo svolto all’interno dei
mitocondri.
Questa divergenza è dovuta al modo adottato dal NADH per scaricare gli elettroni, per produrre
NAD+.

Condizione aerobica
In condizione aerobica protoni ed elettroni del NADH vengono scaricati sulla catena di trasporto
degli elettroni nei mitocondri attraverso 2 meccanismi differenti a seconda del tessuto nel quale ci
troviamo:

1. Shuttle del glicerolo-3-fosfato: sistema adoperato, a livello delle cellule muscolari, dal
NADH per produrre NAD+
2. Shuttle del malato-aspartato: sistema adoperato, a livello di tutte le altre cellule eccetto i
neuroni, dal NADH per produrre NAD+

In condizioni aerobiche la catena di trasporto degli elettroni è sempre attiva, mentre in condizioni
anaerobiche non è mai attiva.

Sulla membrana interna dei mitocondri sono presenti le proteine, le attività enzimatiche che vanno
a costituire la catena di trasporto degli elettroni.
La catena di trasporto degli elettroni è formata da 4 complessi che
da sinistra verso destra sono: complesso 1, complesso 2, complesso 3
e complesso 4.
Gli elettroni fluiscono in modo differente tra i vari complessi, ma
l’accettore finale di questi elettroni è un O2 in modo che poi si possa
formare H2O.
Gli elettroni transitano per creare un gradiente protonico, cioè il
movimento degli elettroni consente alla matrice mitocondriale di raggiungere lo spazio di
intermembrana.

Nel muscolo, il NADH proveniente dalla glicolisi, perciò dal citosol, può cedere gli elettroni alla
catena di trasporto grazie allo shuttle del glicerolo-3-fosfato a livello dell’ubichinone che è un
trasportatore di elettroni dal complesso 1 o complesso 2 al complesso 3.
Nelle altre cellule invece, utilizzano lo shuttle del malato-aspartato grazie al fatto che il NADH
presente nel citoplasma è come se entrasse nel mitocondrio e potesse scaricare gli elettroni al
complesso 1.
Questo comporta un differente rendimento energetico perché il NADH può essere trasformato in
ATP.
La catena di trasporto degli elettroni è associata ad un enzima che consente la fosforilazione
ossidativa dell’ADP in ATP, reazione che avviene a livello della membrana mitocondriale.
La catena di trasporto degli elettroni permette il passaggio di 4+4+2 = 10 protoni, se invece gli
elettroni vengono scaricati dal NADH a livello dell’ubichinone è permesso il passaggio di 4+2 = 6
protoni.
I protoni scaricati a livello dello spazio di intermembrana permette di alimentare l’ATP sintasi, un
enzima che consente di produrre ATP e rappresenta un canale di passaggio per i protoni, ogni 4
protoni che attraversano il canale è possibile sintetizzare una molecola di ATP.
Quindi attraverso lo shuttle del glicerolo-3-fosfato è possibile produrre 1,5 molecole di ATP, mentre
attraverso lo shuttle del malato-aspartato è possibile ricavare 2,5 molecole di ATP.
Shuttle del glicerolo-3-fosfato
Esistono 2 enzimi rappresentanti dalla glicerolo-3-fosfato deidrogenasi citosolica (cGDP) dalla
glicerolo-3-fosfato deidrogenasi mitocondriale (mGDP).
La cGDP prende in prestito dalla glicolisi il diidrossiacetone fosfato e lo trasforma in glicerolo-3-
fosfato utilizzando 2 protoni e 2 elettroni di una molecola di NADH.
Successivamente il glicerolo-3-fosfato raggiunge il
mitocondrio dove incontra la mGDP che sottrae i 2
protoni e i 2 elettroni per caricarli su una sua molecola
simile al NAD, vincolata all’enzima, che è il FAD (Flavin
Adenina Dinucleotide) che carica diventa FADH2 e
automaticamente ritrasforma il gilcerolo-3-fosfato in
diidrossiacetone fosfato che torna nella glicolisi.
A questo punto Il FADH2 ritorna FAD cedendo i propri elettroni e protoni all’ubichinone che carico si
trasforma in ubichinolo che raggiunge il complesso 3 e il complesso 4 per generare un flusso
protonico che alimenta la fosforilazione ossidativa che porta alla formazione di ATP.

Lo shuttle del glicerolo-3-fosfato permette al NADH prodotto nel citosol dalla glicolisi di essere
ritrasformato in NAD+.
Gli elettroni rilasciati sulla catena di trasporto a livello dell’ubichinone (Q) contribuiscono alla
produzione di ATP (1,5 molecole) attraverso fosforilazione ossidativa che avviene nei mitocondri.

Il FAD è una molecola molto simile al NAD perché anch’essa è un


dinucleotide e svolge le stesse funzioni, ma la differenza tra queste 2
molecole è dovuta al fatto che il NAD è libero in soluzione, perciò è
libero di accettare elettroni e protoni in soluzione, mentre il FAD è legato
alla proteina, quindi funge da fattore coenzimatico per la catalisi della
reazione.

Shuttle del malato-aspartato


Nello shuttle del malato-aspartato attivo in fegato, reni, cuore, il NADH viene “trasferito” all’interno
dei mitocondri poiché scarica gli elettroni utilizzando un enzima che fa parte del ciclo di Krebs,
presente in 2 isoforme, una citosolica e una mitocondriale.
La malato deidrogenasi utilizza l’ossalacetato per
caricare i 2 elettroni e i 2 protoni strappati dal NADH
citosolico trasformandolo in malato e al contempo
permettendo al NAD+ di essere nuovamente liberato nel
citosol ed essere disponibile per l’attività della
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi e quindi per
processare altre molecole di glucosio attraverso la
glicolisi.
Il malato deve conferire i suoi elettroni alla catena di
trasporto mitocondriale, per cui passa attraverso un
trasportatore definito malato-α-chetoglutarato perché è un trasportatore passivo in antiporto.
Il malato all’interno del mitocondrio viene trasformato nuovamente in ossalacetato dallo stesso
enzima di prima nell’isoforma mitocondriale però questa volta, per trasferire i protoni e gli elettroni
ad una molecola di NAD+ che diventa NADH che poi scaricare gli elettroni a livello del complesso
1 della catena di trasporto degli elettroni mitocondriale.

Perciò in realtà non è il NADH ad essere trasferito nei mitocondri, ma si muovono solo i suoi protoni
ed elettroni, trasportati sul malato.

Condizione anaerobica
La catena di trasporto degli elettroni necessita di O2 come accettore finale, per cui in condizione
anaerobica non funziona.
Il potenziale riducente accumulato sul NADH non può essere ceduto al mitocondrio, quindi il NADH
viene convertito in NAD+ attraverso altre vie.
La lattato deidrogenasi (LDH) consente, trasformando il piruvato in
lattato, di consumare il NADH ritrasformandolo in NAD+.
Quando la respirazione mitocondriale non è possibile (eritrociti privi di
mitocondri) o è bloccata (ipossia: intenso sforzo muscolare, tumori solidi
non irrorati, batteri lattacidi), la trasformazione del piruvato in lattato
ripristina il NAD+ permettendo ad ulteriori molecole di glucosio di fluire
lungo la via della glicolisi.

Il lattato esce dai muscoli ed arriva nel


sangue attraverso il quale viene
convogliato al fegato che lo riconverte a glucosio
(gluconeogenesi), esce e ritorna al muscolo (ciclo di Cori).
Attraverso il ciclo di Cori fluisce anche il lattato proveniente dagli
eritrociti che può essere ritrasformato in glucosio utile per la
glicemia.

Ciclo di Cori
Il ciclo di Cori è un ciclo metabolico che, tramite la circolazione sanguigna, coinvolge fegato e
muscolo (o eritrociti).

In seguito allo sforzo muscolare intenso, l’O2 presente nel muscolo si esaurisce (ipossia).
Il NADH prodotto dalla glicolisi non può essere convertito a NAD+ dalla catena di trasporto degli
elettroni poiché questa necessita dell’O2 come accettore finale degli
elettroni.
L’assenza di NAD+ liberi bloccherebbe la glicolisi (l’unica via utile per la
produzione di energia in assenza di O2).

In condizioni di ipossia, la LDH muscolare trasforma il piruvato in lattato, una


reazione che consuma NADH e lo converte in NAD+.
Quest’ultimo torna ad essere disponibile per la glicolisi di una nuova
molecola di glucosio.
Il lattato esce nel sangue e attraverso il circolo sanguigno arriva al fegato.
Il lattato nel fegato viene riossidato dalla LDH epatica a piruvato che
alimenta la gluconeogenesi diventando glucosio, che il fegato reimmette
nel torrente circolatorio e ritorna al muscolo, dove può essere nuovamente utilizzato nella glicolisi
per produrre energia, oppure immagazzinato sottoforma di glicogeno.

PILLOLE DI GLICOLISI
Fosfofruttochinasi-1: recepisce lo stato energetico della cellula e regola l’attività della glicolisi

ATP ↑ = attività PFK-1 ↓ ADP o AMP ↑ = attività PFK-1 ↓

PFK-1 inattivo: il G6P e il F6P prendono altre vie (via dei pentosi fosfati);
PFK-1 attivo: essi vengono irreversibilmente trasformati in F1,6P → Glicolisi

NAD+ è limitante: NADH deve essere presto ritrasformato in NAD+ affinché la cellula possa
continuare a produrre ATP tramite la glicolisi.
In anaerobiosi, il PIR della glicolisi viene trasformato in lattato attraverso reazioni che consumano
NADH e rigenerano il NAD+.
In aerobiosi, il PIR viene trasformato in acetil-CoA che alimenta il ciclo di Krebs; in questo caso il
NADH viene ritrasformato in NAD+ cedendo i propri elettroni alla catena di trasporto mitocondriale
ora attiva e produce ulteriore ATP.

Ormoni coinvolti: glucagone, adrenalina e insulina nel muscolo che regolano il flusso del glucosio
attraverso la glicolisi
L’aumento del glucosio ematico comporta un rilascio, all’interno del sangue dell’insulina, prodotta
dalle cellule del pancreas, in grado di attivare la piruvato chinasi tramite defosforilazione da parte
di una defosfatasi.
In questo modo la maggior quantità di glucosio
ematico consente una maggior attività della glicolisi.
Nel caso opposto, quando la quantità di glucosio nel
sangue diminuisce, si innesca il glucagone,
sintetizzato dalle cellule del pancreas, che interagisce
con il suo recettore e comporta un signaling
attraverso il PKA che causa la fosforilazione della
piruvato chinasi, quindi la sua inattivazione.

L’insulina permette anche di aumentare la capacità recettiva delle cellule muscolari per il
glucosio, cioè l’insulina grazie al legame con il suo recettore è in grado di attivare una cascata dl
segnale che permette la produzione dello spostamento sulla membrana esterna della cellula
muscolare, di trasportatori del glucosio che si trovavano
in vescicole citosoliche.
In questo modo è possibile potenziare la contrazione
muscolare anaerobica perché l’insulina permette un
maggior afflusso di glucosio all’interno della cellula
muscolare.

Inoltre l’allenamento produce un aumento del rilascio


di adrenalina che attiva la glicolisi (meccanismo chiaro nel fegato, non chiaro nel muscolo).
Sicuramente eleva la quantità di glucosio (↑ glicogenolisi nel muscolo) e la glicemia (↑ glicogenolisi
nel fegato), rende disponibile in anticipo la fonte energetica (glucosio) necessaria a sostenere uno
scatto improvviso, ma non troppo duraturo.

Il problema della scarsità di NAD+/NADH spiega alcuni degli effetti indesiderati generati
dall’assunzione smodata di alcool.

CICLO DI KREBS

Tutte le reazioni del ciclo di Krebs avvengono nel mitocondrio.


Il ciclo di Krebs è un ciclo che permette al piruvato prodotto dalla glicolisi,
a partire dal glucosio, di produrre energia attraverso il ciclo dell’acido
citrico.
Non solo il glucosio è in grado di alimentare il ciclo di Krebs, ma anche i
grassi che convergono nella produzione di acetil-CoA a partire dal piruvato
tramite il complesso della piruvato deidrogenasi.
Il ciclo di Krebs non solo permette il catabolismo del glucosio, ma anche degli acidi grassi e degli
aa che compongono le proteine.
L’acetil-CoA, una molecola famata da 2 atomi di C dove un acetile è attaccato ad un coenzima,
ed è completamente degradata a CO2.
Gli elettroni stappati all’acetile sono utilizzati e caricati su dei coenzimi
rappresentati da NAD e FAD per produrre NADH e FADH2.

Il ciclo di Krebs integra il catabolismo di: aa, acidi grassi e carboidrati e


necessita di O2.

• Fase 1: il catabolismo di acidi grassi, glucosio, e alcuni aa produce


acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs
• Fase 2: l’ossidazione dei gruppi acetilici nel ciclo dell'acido citrico
comprende 4 tappe in cui vengono estratti elettroni e H+ e accumulati
sottoforma di NADH e FADH2
• Fase 3: il NADH e FADH2 cedono gli elettroni alla catena di trasporto degli elettroni sulla
membrana mitocondriale (catena respiratoria) che li trasferisce sull’O2 riducendolo ad H2O

Il flusso di elettroni permette di accumulare il gradiente elettrochimico necessario per la sintesi


dell’ATP (fosforilazione ossidativa).

Non solo il glucosio, ma anche gli acidi grassi che vengono scissi in pacchetti di molecole a 2
atomi di C che una volta coniugate al coenzima A
formano appunto l’acetil-CoA, quindi i lipidi degradati
dalla β-ossidazione producono acetil-CoA che
rappresenta uno dei carburanti del ciclo di Krebs.
Ulteriore carburante per il ciclo di Krebs è l’acetil-CoA
prodotto a partire dal piruvato.
Il catabolismo degli aa permette la scissione delle proteine
in scheletro di carbonio, meno il gruppo amminico
sganciato dalle transamminasi e trasformato in urea
attraverso il ciclo dell’urea che avviene solo nel fegato; alcuni aa diventano acetil-CoA ed
entrano nel ciclo di Krebs, mentre gran parte degli aa diventano degli intermedi del ciclo di Krebs.

Il 1° passaggio rappresenta la trasformazione del piruvato a livello del mitocondrio, grazie all’azione
dell’enzima piruvato deidrogenasi che non fa parte né della glicolisi né del ciclo di Krebs, ma
permette di convogliare i prodotti di degradazione del glucosio, perciò il piruvato, nel ciclo di
Krebs per ottenere un’ossidazione completa e perciò trasformarli in CO2 e H2O.
Una prima molecola di CO2 viene tolta dal piruvato grazie alla piruvato deidrogenasi che catalizza
la reazione in cui si rompe il legame con la porzione carbossilica del piruvato che esce sotto forma
di CO2 della molecola.
Gli elettroni presenti in questo legame sono ceduti al NAD che diventa NADH.
La reazione della piruvato deidrogenasi quindi comporta la produzione di un acetil-CoA, cioè una
molecola a 2 atomi di C in cui il 3° legame si è instaurato con un coenzima, il coenzima A che
possiede uno S alla sua estremità terminale e questo legame C-S è un legame altamente
energetico, perciò facilmente rotto per consentire ulteriori manipolazioni di tale molecola.
Il complesso della piruvato deidrogenasi è formato da 3 enzimi posti in serie in modo
estremamente coordinato e permettono, tramite dei passamani di trasformare il piruvato in acetil-
CoA.
I 3 enzimi che costituiscono il complesso della piruvato deidrogenasi impiegano 5 coenzimi
differenti.
4 coenzimi derivano dalle vitamine del complesso B (introdotte con la dieta):

1. Tiamina (TPP, vitamina B1)


2. Riboflavina (FAD, vitamina B2)
3. Niacina (NAD+, vitamina B3)
4. Pantotenato (CoA, vitamina B5)

L’unità funzionale della piruvato deidrogenasi (PDH) è formata dagli enzimi:

1. E1: piruvato deidrogenasi (gruppo prostetico: TPP)


2. E2: lipoato transacetilasi (gruppo prostetico: acido lipoico)
3. E3: lipoato deidrogenasi (gruppo prostetico: FAD)

Ognuno di questi enzimi utilizza un differente coenzima.


Gli altri 2 coenzimi sono rappresentati dal NAD e dal coenzima A.

Tiamina pirofosfato
La tiamina pirofosfato è un gruppo prostetico legato alla subunità E1
della PDH formata da un nucleo pirimidinico, un anello tiazolico che
contiene sia N sia S e attaccato ad esso c’è un gruppo pirofosfato.
La TPP lega il piruvato come etile diventato gruppo idrossietile.
Lipoato
Il lipoato o acido lipoico è legato in modo covalente alla catena laterale di un aa
rappresentato dalla Lys (lisina), attraverso un legame di tipo peptidico.
La parte terminale dell’acido lipoico, ultimo e terzultimo atomo di C possiedono
un legame con un sulfidrile.
Nella forma ossidata l’acido lipoico è rappresentato da un anello circolare,
mentre nella forma ridotta sono presenti di 2 disolfuri.
L’idrossietile liberato viene portato in vicinanza del lipoato dell’E2 e si lega
all’atomo di S portandosi con sé il gruppo acetile collegato al lipoato dell’E2.

FAD
Il FAD è un accettore di elettroni e protoni in grado di legare
a 2 atomi di N che fanno parte della flavina, di trasformarsi in
FADH2 legato in modo covalente alla proteina.

Coenzima A
Il coenzima A accoglie il gruppo acetile presente sull’E2 e si
lega ad esso per formare l’acetil-CoA, formato da un ADP
dove in 3I è agganciato un gruppo fosfato perciò è definito
ADP 3I fosfato.
Un gruppo OH dell’acido pantotenico è unito ad ADP 3I
fosfato, dall’altro estremo il suo gruppo COOH è collegato
con legame ammidico a β-mercaptoetilamina.
Il gruppo SH (tiolo) reagisce con l’acetato per formare un
tioestere, l’acetil-CoA, una molecola ad alto contenuto
energetico che cede facilmente il suo gruppo acetato.

NADH
Il NADH è un dinucleotide formato da:

✓ Nicotinammide: anche nota come niacina (o vitamina PP,


vit.B3), capace di donare/accettare atomi di H
✓ Adenina: presente negli acidi nucleici
✓ Dinucleotide (3-4): coppia di nucleotidi con un gruppo
fosfato ed un ribosio

Il NADPH è una molecola simile al NADH che presenta un gruppo


fosfato e un gruppo ossidrile, utilizzato soprattutto nelle biosintesi e
nel sistema tampone dei radicali liberi.

DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA
Il complesso della piruvato deidrogenasi catalizza una reazione dove l’E1 lega un gruppo a 2
atomi di C sotto forma di idrossietile consentendo ad una molecola di CO2 di liberarsi dal piruvato
che a sua volta si trasforma in una molecola a 2 atomi di C e non più a 3.
L’idrossiacetile esegue un passamano con il lipoato dell’E2 e a
questo punto sull’E2 arriva il coenzima A, nella sua forma
ridotta (CoA-SH), che essendo molto reattivo, reagisce per
formare acetil-CoA, il quale esce dall’enzima.
L’N ritorna nella forma ridotta e al termine della reazione il
anche il lipoato si trova nella forma ridotta.
Il NADH si forma grazie all’azione dell’E3 che funge da enzima
accessorio permettendo una sorta di “manutenzione” dell’E2,
trasformando il lipoato nella sua forma reattiva accettando i
suoi protoni ed elettroni provenienti dalla forma inattiva sul FAD, che si trasforma così FADH2.
A questo punto elettroni e protoni vengono ceduti dal FADH2 al NAD che caricandosi diventa
NADH, perciò il FADH2 ritorna poi ad essere FAD.
CICLO DI KREBS
Nella 1° fase del ciclo di Krebs l’acetil CoA si fonde con l’ossalacetato
per formare del citrato grazie all’azione della citrato sintasi, un enzima
che prende una molecola a 2 atomi di C (acetil CoA) e una molecola
a 4 atomi di C (ossalacetato) e le fonde insieme per ottenere una
molecola a 6 atomi di C (citrato).
Il citrato è un acido tricarbossilico e per questo il ciclo di Krebs è
anche definito ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA) o dell’acido
citrico; inoltre rappresenta un intermedio
esclusivo del ciclo di Krebs.

Il citrato, a sua volta, viene trasformato in isocitrato, perciò subisce


un’isomerizzazione.

Successivamente l’isocitrato, grazie all’azione della isocitrato


deidrogenasi che è un enzima molto importante perché su di esso
avviene la regolazione, viene trasformato in α-chetoglutarato.
Reazione che trasforma una molecola a 6 atomi di C (isocitrato) in una
molecola a 5 atomi di C (α-chetoglutarato) con conseguente
liberazione di una 1° molecola di CO2, perciò si dice che l’enzima
isocitrato deidrogenasi è in grado di provocare una decarbossilazione
ossidativa dell’isocitrato in α-chetoglutarato.
La perdita di un atomo di C causa che gli elettroni prima coinvolti nel
legame che viene perso vengono trasportati su una molecola in
grado di captarli, che è il NAD+ con conseguente sua trasformazione
di NADH.
L’isocitrato deidrogenasi esiste in 2 isoforme differenti ed entrambe catalizzano questa reazione di
trasformazione dell’isocitrato in α-chetoglutarato, ma differiscono nel fatto che gli elettroni ottenuti
dalla rottura di un legame con atomo di C presente sul citrato, sono donati ad una molecola di
NAD+ per produrre NADH (forma propriamente detta) oppure sono donati alla molecola di NADP+
per produrre NADPH.
Quest’ultima isoforma dell’enzima non fa parte del ciclo di Krebs, ma è importante perché è in
grado di rimuovere i radicali superossido prodotti in seguito all’esercizio fisico molto intenso.

L’eccessiva richiesta di ATP per la contrazione muscolare fa sì che tutte le vie che permettono di
produrre energia attraverso il ciclo di Krebs siano fortemente stimolate perché come prodotti finali
del ciclo di Krebs oltre a CO2 e H2O si ricavano anche molecole energetiche che sono il NADH e il
FADH2.
Queste molecole energetiche cedono i loro elettroni alla catena di trasporto degli elettroni
favorendo la formazione del gradiente protonico tra spazio di
intermembrana e matrice mitocondriale e in questo modo il flusso di
elettroni è in grado di generare ATP.
Se questo flusso di elettroni è molto stimolato, come lo è durante
l’esercizio intenso, sulla catena di trasporto degli elettroni passano
molti più elettroni rispetto a quelli che l’O2 (accettore finale degli
elettroni della catena di trasporto) presenta all’interno della
matrice, per cui l’O2 non viene trasformato in H2O, ma si forma un
radicare superossido (ROS) che può essere trasformato in perossido
di idrogeno (H2O2) dalla superossido dismutasi.
L’H2O2 è un ROS estremamente tossico che può danneggiare le membrane, anche quelle
mitocondriali, attraverso la reazione di Fenton che porta ad una lipoperossidazione delle
membrane che ne provoca la rottura.
Poiché questo composto è tossico, all’interno della cellula esistono 2 sistemi distinti in grado di
eliminare i radicali superossido e a livello mitocondriale esiste il sistema del glutatione (peptide
ciclico formato da 3 aa), costituito da 2 enzimi rappresentati dalla glutatione perossidasi e dalla
glutatione reduttasi.
La glutatione perossidasi possiede un glutatione ridotto in grado di assorbire l’H2O2 trasformando in
H2O e da glutatione ridotto si trasforma in glutatione ossidato con formazione di un legame
disolfuro.
È necessario che il glutatione ossidato ritorni poi alla sua forma ridotta e per fare ciò deve acquisire
protoni ed elettroni che gli vengono ceduti da una molecola di NADPH che poi si trasforma in
NADP+.
La isocitrato deidrogenasi NADP-dipendente ricarica di elettroni e protoni il NADP+ per poterlo
ritrasformare in NADPH.

L’α-chetoglutarato grazie all’azione dell’α-chetoglutarato deidrogenasi che strappa protoni ed


elettroni all’α-chetoglutarato, è trasformato in succinil-CoA.
L’α-chetoglutarato deidrogenasi è un complesso identico al complesso
della piruvato deidrogenasi.
Questa reazione consente di trasformare una molecola a 5 atomi di C (α-
chetoglutarato) in una molecola a 4 atomi di C (succinil-CoA).
Nell’α-chetoglutarato si rompe un legame con un atomo di C presente su
di esso che poi esce trasformandosi in CO2, entra una molecola di CoA
nella forma ridotta (CoA-SH), si genera il succinil-CoA e gli elettroni e i
protoni liberati in seguito alla rottura del legame con il C sull’α-
chetoglutarato, vengono caricati sul NAD+ che si trasforma in NADH.

Tutti gli intermedi del ciclo di Krebs sono a 4 atomi di C, per cui non
avviene altro che un rimaneggiamento dei vari legami per trasformare
il succinil-CoA in ossalacetato.

Piccolo aforisma: «Succede (succinato) che fumando (fumarato) ci si


ammala (malato) riducendoci in pelle e ossa (ossalacetato)».

Accade infatti che nel succinil-CoA si rompe il legame con il CoA e si


forma il succinato, inoltre la rottura di questo legame consente la
fosforilazione e la produzione di una molecola di GTP a partire dal GDP
e grazie ad un enzima è possibile convertire il GTP in ATP.

Il succinato si trasforma in fumarato utilizzando come enzima la succinato


deidrogenasi che rompe il legame tra un atomo di H e un atomo di C sul
succinato, gli strappa elettroni e protoni e lo trasforma in fumarato.
La succinato deidrogenasi carica poi elettroni e protoni strappati, sul FAD
che si trasforma in FADH2.
La succinato deidrogenasi rappresenta il complesso
2 della catena di trasporto degli elettroni.

Successivamente il fumarato viene trasformato in


malato tramite una reazione di idratazione catalizzata dalla fumarasi.

Infine il malato viene trasformato nuovamente in ossalacetato grazie all’azione


della malato deidrogenasi che permette anche la formazione di un’altra molecola di NADH.
Spesso il malato viene utilizzato per trasportare elettroni da un lato all’altro della membrana
mitocondriale.
Inoltre questa reazione viene anche utilizzata dalla gluconeogenesi.
Il ΔG di tale reazione è molto positivo (29.7 kJ/mol), ciò significa che la
reazione è molto sfavorita, ma è resa possibile grazie alla sottrazione del
prodotto stesso della reazione, quindi grazie alla reazione della citrato
sintasi che sottrae l’ossalacetato, utilizzato come substrato, e questo fa sì
che si crei una pendenza tale che il malato sia obbligato a scivolare e a
trasformarsi in ossalacetato.
I prodotti di un giro del ciclo di Krebs permettono una resa
energetica di NADH paria a 2,5 molecole di ATP e di FADH2
paria a 1,5 molecole di ATP.
Perciò dalla somma tra glicolisi, ciclo di Krebs e
fosforilazione ossidativa è possibile ottenere 30-32 molecole
di ATP.

TRANSAMMINASI
Oltre ad ossidare l’acetil-CoA, il ciclo di Krebs può degradare diversi aa.
Le transaminasi staccano il gruppo aminico e lo cedono all’α-chetoglutarato che
Lo scheletro di carbonio (α-chetoacido) entra quindi in punti diversi come intermedio del ciclo.

Gli aa che compongono le proteine muscolari possono essere transamminati


da una transamminasi che stacca il gruppo aminico spostandolo sull’α-
chetoglutarato producendo il glutammato, un aa.
Lo scheletro di ciascun aa viene bruciato all’interno del ciclo di Krebs per
produrre energia necessaria per la contrazione muscolare.
Il glutammato viene trasformato, per aggiunta di un ulteriore gruppo aminico,
in glutammina che esce ed entra nel sangue, arriva al fegato dove consegna
i gruppi aminici al ciclo dell’urea per trasformarli in una molecola inorganica
come l’urea.

Il ciclo di Krebs è una via anfibolica, cioè lo stesso ciclo viene


utilizzato sia in processi catabolici che anabolici per alimentare le
biosintesi di: aa, basi azotate, acidi grassi e glucosio.

REGOLAZIONE DEL CICLO DI KREBS


La regolazione del ciclo di Krebs dipende dalla disponibilità dei
substrati e dall’inibizione di enzimi chiave.
Un aumento nella [substrati] potenzia l’attività enzimatica dei vari
enzimi del ciclo di Krebs.
Una bassa [prodotti] favorisce la reazione catalizzata da quell’enzima.
La bassa disponibilità di substrato e l’alta [prodotti] causano il blocco della via per mancanza di
nutrizione e l’accumulo dei prodotti permette una sorta di effetto diga che impedisce di liberare il
sito catalitico dal prodotto che quindi è impedito nell’accettare una nuova molecola di substrato.

La regolazione del ciclo di Krebs è controllata anche dai livelli di ATP


e di Ca.
Esistono alcuni enzimi che sono regolati con questi criteri.

Complesso della piruvato deidrogenasi (PDH): regolazione in entrata


molto importante perché la PDH permette la produzione dell’acetil-
CoA.
Quando il glucosio diventa limitante perché sono state bruciate le
riserve di glicogeno e incomincia ad intaccare il glucosio ematico,
bisogna spegnere la glicolisi per abbassare il livello di glicemia per
favorire la produzione energetica da altre fonti come il catabolismo
degli acidi grassi.
Infatti il glucagone è in grado di spegnere l’attività della
piruvato chinasi e bloccare il consumo di glucosio, al
contempo attivando il catabolismo degli acidi grassi che
permette di trasformare gli acidi grassi in pacchetti formati da
2 atomi di C sotto forma di acetil-CoA.
Poter controllare l’afflusso di metaboliti che entrano nel ciclo
di Krebs è importante per evitare un sovraccarico.
Se è già attivo il catabolismo degli acidi grassi, è già presente
l’acetil-CoA, perciò è inutile produrre ulteriore acetil-CoA a partire dal piruvato che può essere
quindi destinato ad altre vie.
L’attività della PDH viene modulata dall’ATP, per effetto inibitorio, e da AMP e Ca, per effetto
attivatorio.

Complesso della citrato sintasi: produce il citrato che è prodotto


esclusivamente da questa via

Complesso della isocitrato deidrogenasi e dell’α-chetoglutarato


deidrogenasi: producono molecole energetiche sensibili ai livelli di
NADH presenti all’interno del mitocondrio e attivati dal NAD+.

L’ATP è in grado di inibire l’isocitrato


deidrogenasi e la citrato sintasi, mentre
l’α-chetoglutarato deidrogenasi viene
inibita dal NADH.
Tutti questi enzimi sono attivati dall’aumento dei livelli di Ca.

L’aumento della [Ca2+] citoplasmatico innesca la contrazione


muscolare e segnala un aumento della richiesta di ATP, perciò vengono
attivate la piruvato deidrogenasi, l’isocitrato deidrogenasi e l’α-
chetoglutarato deidrogenasi.

CATABOLISMO DEGLI AMMINOACIDI

Il catabolismo delle proteine avviene nel citosol della fibra muscolare e del muscolo.
La digestione di proteine derivate dal turnover proteico, la digestione delle proteine della dieta, le
condizioni di digiuno prolungato o l’attività muscolare duratura determinano la produzione di aa
all’interno delle cellule che possono essere utilizzati per produrre energia alimentando il
catabolismo degli aa.
L’attività muscolare duratura è in grado di degradare le proteine muscolari stesse.
Il muscolo scheletrico può arrivare a perdere il 30% delle sue proteine, il fegato fino al 50% e il
cuore solo il 3%; pertanto fegato e muscolo scheletrico possono servire da “riserva” di aa.
Il catabolismo degli aa, legato all’attività motoria è alimentato preferenzialmente dalle proteine del
fegato e del muscolo, oltre alle proteine introdotte con la dieta.

Le proteine introdotte con il cibo sono proteolizzate, cioè suddivise in pezzi peptidici sempre più
piccoli e vengono assorbite sotto forma di singoli aa o al massimo di dipeptidi e tripeptidi e sono
assorbite dalla parete intestinale.
Solo una piccolissima parte delle proteine non viene digerita ed eliminata attraverso le feci.

Nel tratto gastrointestinale le proteine introdotte con il bolo alimentare, attraverso l’esofago
raggiungono lo stomaco, dove determinano la secrezione della gastrina, un ormone secreto dalle
cellule della parete gastrica che stimola altre ghiandole della parete a secernere acido cloridrico
e un enzima nella sua forma inattiva che è il pepsinogeno.
L’ambiente acido dove si viene a trovare il pepsinogeno permette un
taglio proteolitico che lo trasforma in pepsina, una proteasi capace di
digerire le proteine tagliandole e frammentandole in sequenze
amminoacidiche più corte.
Successivamente il bolo alimentare attraversa il piloro ed entra nella C
duodenale che possiede un pH fortemente acido (2-3) che stimola il
pancreas esocrino, il cui dotto pancreatico arriva proprio alla C
duodenale, a produrre bicarbonato che va a neutralizzare l’acidità
riportando il pH acido della soluzione proteolizzate ad un pH neutro o
leggermente basico (7-7,2).
La presenza dei peptidi all’interno della C duodenale, stimola il pancreas esocrino a secernere 3
pro-enzimi, ossia 3 enzimi in forma inattiva (tripsinogeno, chimotripsinogeno e procarbossi
peptidasi).
La presenza di tripsinogeno, chimotripsinogeno e procarbossi peptidasi stimola le cellule della
parete intestinale a secernere l’enteropeptidasi, un enzima secreto nel lume che attiva tramite il
taglio di un pezzo inibitorio questi 3 pro-enzimi trasformandoli in enzimi attivi che rispettivamente
diventano tripsina, chimotripsina e carbossipeptidasi.
Questi 3 enzimi scindono ulteriormente le catene di aa rendendole sempre più corte.
Infine, sempre nel tratto intestinale, viene prodotto un altro enzima che è un’amminopeptidasi in
grado di strappare singole estremità amminiche di ogni peptide e trasformarle in singoli aa oppure
in dipeptidi e tripeptidi.
Questi ultimi possono poi essere assorbiti dagli enterociti presenti sui villi della mucosa intestinale,
entrano nel sangue tramite i capillari intestinali che confluiscono nella vena porta che poi li
trasporta fino al fegato.

Dal lume intestinale i singoli aa sono trasportati nell’enterocita grazie a trasportatori attivi secondari
Na-dipendenti.
Si tratta di un simporto in cui un aa può entrare grazie allo spostamento verso l’interno della cellula
di uno ione Na.
Questo spostamento avviene secondo gradiente di concentrazione che,
all’interno della cellula, viene creato dalla pompa ATPasica Na-K che
svuota il citoplasma della cellula di Na in modo che sia presente in essa
una bassa concentrazione di Na, solitamente nel lume intestinale la
concentrazione di Na è alta e quindi il Na può entrare in simporto con l’aa.
Quest’ultimo, all’interno dell’enterocita, può raggiungere i capillari
sanguigni grazie a canali specifici per ogni aa che possono attraversare
secondo gradiente di concentrazione.
I dipeptidi e i tripeptidi entrano nell’enterocita grazie ai trasporti attivi
secondari protone-dipendenti.
Il protone che entra all’interno dell’enterocita, a sua volta esce, attraverso uno scambiatore Na-H,
quindi l’H+ torna fuori ed entra del Na.
I dipeptidi e i tripeptidi sono idrolizzati a singoli aa dall’attività di dipeptidasi e tripeptidasi
enterocitiche.
I singoli aa fuoriescono dall’enterocita ed entrano nel sangue grazie a canali specifici per ogni
singolo aa.

Il digiuno, la dieta non adeguatamente ricca di carboidrati (low-carb, chetogeniche,


iperproteiche) e l’attività fisica prolungata determinano lo svuotamento delle riserve di glicogeno e
la conseguente ipoglicemia.
In condizioni così stressanti, l'organismo reagisce liberando alcuni ormoni catabolici specifici
(glucagone, varie catecolamine e, spesso, anche cortisolo) che facilitano sia la lipolisi che il
catabolismo proteico muscolare.

Durante l’esercizio fisico nel circolo ematico aumentano le catecolamine,


glucagone, GH e cortisolo, mentre i livelli di insulina diminuiscono.
Come conseguenza dell’aumento dell’adrenalina (ormone della fuga)
aumenta la glicogenolisi (che mette a disposizione glucosio) e aumenta la
lipolisi nel muscolo e nel tessuto adiposo (mobilizzazione dei lipidi dai
depositi).
Esaurito il glicogeno, il muscolo per continuare a contrarsi utilizza il glucosio
ematico che quindi cala (ipoglicemia).
L’ipoglicemia innesca la sintesi di glucagone che stimola il fegato
(gluconeogenesi) a produrre nuovo glucosio per ripristinare i livelli normali
di glicemia.
Questo ormone aumenta anche la degradazione proteica nel fegato e nel
muscolo (fonte di ATP alternativa allo zucchero).
L’effetto metabolico finale è il mantenimento della glicemia su valori costanti (100 mg/dL) per 60-
90 min circa, mentre al contempo aumentano gli acidi grassi, il glicerolo, i chetoni e gli aa che
possono essere utilizzati dal muscolo per produrre energia.

Gli aa vengono trasformati, infatti il gruppo aminico viene separato dallo scheletro carbonioso ad
opera di una transamminasi, ognuna specifica per ogni aa.
In questo modo si libera lo scheletro carbonioso che può alimentare il ciclo di Krebs per produrre
CO2 ed energia necessaria alla contrazione, oppure produrre acetil-CoA che può essere bruciato
nel ciclo di Krebs per produrre energia, o ancora può alimentare la biosintesi dei corpi chetonici
che sono pacchetti di energia di emergenza prodotti dal
fegato quando quest’ultimo ha esaurito l’energia e servono
quando non è possibile mantenere un livello di glicemia
sufficientemente elevato e permettono di inviare pacchetti
energetici a tessuti importanti come il tessuto nervoso che
consente di svolgere le funzioni essenziali, o produrre
glucosio nel tentativo di rifornire gli altri tessuti di fonti
energetiche.
Il gruppo aminico staccato dagli aa viene solitamente
convogliato sull’α-chetoglutarato per produrre un aa, il
glutammato che raccoglie tutti i gruppi aminici degradati all’interno della cellula per poi uscire da
essa sotto forma di glutammina, entrare nel circolo sanguigno e raggiungere il fegato dove i gruppi
aminici vengono consegnati al fegato stesso sotto forma di glutammina e vanno ad alimentare il
ciclo dell’urea.

L’NH3 (ammoniaca) è molto tossica, in particolare per il cervello ed essendo in grado di


attraversare facilmente la barriera ematoencefalica, un incremento dei livelli ematici (5-50 μM)
può indurre: stato comatoso, edema cerebrale e aumento della pressione intracranica.
Inoltre deve arrivare al fegato in una forma non tossica, infatti raggiunge il fegato sotto forma di
glutammato.
L’NH4+ (ione ammonio) accumulato nei tessuti, viene caricato sulla glutammina e smaltito nel
fegato attraverso il ciclo dell’urea.

La reazione catalizzata dalla transamminasi è molto semplice.


Le transamminasi sono presenti in qualsiasi tipo di cellula, anche se sono più
frequenti in fegato e muscolo dove avviene maggiormente il catabolismo
degli aa.
L’aminotransferasi utilizza un co-fattore enzimatico, il piridossal fosfato
(vitamina B6) che è in grado di fasi carico di un gruppo aminico per
trasferirlo, trasformandosi in piridossamina fosfato, ad un altro α-chetoacido.
In particolare le transamminasi convogliano il gruppo aminico sull’α-
chetoglutarato che entra a livello della tasca enzimatica, la piridossamina
fosfato cede il gruppo aminico all’α-chetoglutarato che si trasforma in
glutammato che esce dalla transamminasi.
Questa reazione è facilmente reversibile, per cui l’α-chetoacido può essere ritrasformato nell’aa
iniziale utilizzando un glutammato come donatore di gruppi NH2,
trasformandosi di nuovo in α-chetoglutarato.
La reazione delle transamminasi viene utilizzata in un verso per produrre
scheletri carboniosi necessari per la produzione di energia all’interno della
cellula, mentre nell’altro verso per la biosintesi degli aa.

Il piridossal fosfato è il gruppo prostetico delle transamminasi.


La piridossina prende il nome di piridossale quando il gruppo alcolico
viene trasformato in gruppo aldeidico e al C1 è agganciato un gruppo
fosfato per questo prende il nome di piridossal fosfato.
Questo gruppo aldeidico è molto reattivo e può legarsi ad un gruppo aminico per formare
un’amina trasformandosi così in piridossamina fosfato.
Il piridossal fosfato è legato in modo covalente ad una Lys nel sito attivo dell’enzima.

Le transamminasi catalizzano reazioni a doppio spostamento (meccanismo


a ping-pong) dove il primo aa si lega al sito attivo, dona l’NH2 al piridossal
fosfato ed esce come α-chetoacido (ciclo di Krebs), mentre l’α-
chetoglutarato si lega nel sito dove accetta l’NH2 per uscire come
glutammato.

I prodotti di degradazione degli aa alimentano il ciclo di Krebs, mentre altri entrano sotto forma di
aceti-CoA e piruvato, che viene trasformato in acetil-CoA, possono entrare a far parte del ciclo di
Krebs.
Nel fegato l’acetil-CoA prodotto può essere utilizzato per
produrre corpi chetonici.
Anziché essere bruciati per produrre energia, nel fegato, gli aa
possono essere trasformati in intermedi del ciclo di Krebs come
l’ossalacetato, importante nella gluconeogenesi.
Gli stessi scheletri carboniosi perciò possono subire destini
differenti, all’interno del muscolo nel ciclo di Krebs per produrre
energia, mentre nel fegato per la produzione di corpi chetonici e
nel ciclo di Krebs utilizzato per alimentare la gluconeogenesi.

L’NH4+ accumulato nei tessuti come glutammato viene


trasportato al fegato sotto forma di glutammina o di
alanina, e lì rimosso in modo definitivo attraverso il ciclo
dell’urea.
Nella maggio parte dei tessuti il gruppo aminico esce
dalle cellule sotto forma di glutammina.
Il fegato produce il glutammato direttamente nel luogo in
cui avviene la trasformazione del gruppo aminico in urea.
Nel muscolo in intensa contrazione il gruppo aminico esce
dalle cellule sotto forma di alanina.

Nei tessuti in generale e nel muscolo in condizioni di riposo gli aa derivati dal turnover sono
convogliati sul glutammato dall'attività delle transamminasi.
Il glutammato si prende in carico un ulteriore gruppo aminico grazie
all’enzima glutammina sintetasi e viene trasformato in glutammina.
La glutammina è in grado di uscire dalle cellule e attraverso il sangue
raggiunge il fegato dove scarica i gruppi aminici per produrre l’urea.
Successivamente la glutammina nel fegato viene riconvertita in glutammato
grazie all’azione della glutamminasi producendo una molecola di NH3.
Nel fegato poi il glutammato, grazie ad un secondo enzima, la glutammato
deidrogenasi viene trasformato in α-chetoglutarato con conseguente
liberazione di un altro gruppo aminico.
I 2 gruppi aminici liberati dalla glutammina vengono poi convertiti, all’interno
dei mitocondri, nel ciclo dell’urea.

CICLO DEL GLUCOSIO-ALANINA


Nel muscolo sottoposto ad esercizio fisico prolungato (ma anche durante il digiuno o nel diabete)
la riduzione dei livelli di glucosio ematico (disponibile) comporta l’attivazione del catabolismo
degli acidi grassi e degli aa.
L’attivazione del catabolismo degli acidi grassi e quindi della β-ossidazione, comporta la
produzione di elevate quantità di acetil-CoA, prodotto anche attraverso la glicolisi grazie all’azione
della piruvato deidrogenasi.
La piruvato deidrogenasi è inibita dall’acetil-CoA perché un eccesso di acetil-CoA segnala che
un’altra via che lo produce è attiva e lo sta già producendo, perciò il piruvato ristagna all’interno
della cellula.
Lo switch del metabolismo ha attivato anche la degradazione degli aa, i quali sono stati utilizzati
dalle transamminasi per produrre energia staccando gli scheletri carboniosi dai singoli aa
utilizzandoli per alimentare il ciclo di Krebs per produrre energia e
convogliando il gruppo aminico sull’α-chetoglutarato per produrre glutammato.
Tuttavia, in regime di contrazione prolungata, le riserve energetiche vanno via
via consumandosi, perciò ogni molecola diventa importante per produrre
energia.
In particolare il glutammato è stato prodotto dall’attività delle transamminasi
utilizzando l’α-chetoglutarato che è un intermedio del ciclo di Krebs, per cui
l'attività delle transamminasi ha sottratto un intermedio necessario per la
produzione di energia.
L’alanina amminotransferasi è in grado di liberare l’α-chetoglutarato utilizzando
il glutammato come aa che strappa il gruppo aminico per liberare l’α-
chetoglutarato e lo trasferisce su un piruvato trasformandolo in alanina che viene rilasciata nel
sangue ed arriva al fegato.
Nel fegato l’alanina viene convertita in piruvato e il gruppo aminico strappato all’alanina viene
ceduto all’α-chetoglutarato che diventa glutammato e si libera del piruvato utilizzato per formare
glucosio, attraverso il processo della gluconeogenesi.
Il glucosio neoformato viene rimesso in circolo per assicurare un apporto di zucchero al cervello.
Il gruppo aminico viene convertito in urea attraverso il ciclo omonimo e quindi escreto.

Il catabolismo degli aa consente di ottenere il 15% dell’energia necessaria, quindi il catabolismo


dei lipidi è molto importante nella produzione di energia perciò l’accumulo di lipidi nel corpo di
un’atleta non deve essere considerato un aspetto trascurabile.

I gruppi aminici se non vengono riciclati nella sintesi di nuovi aa o in altri componenti azotati
vengono convertiti in un unico prodotto finale di escrezione.
Nell’uomo l’ammoniaca è tossica anche a concentrazioni
piuttosto modeste, pertanto viene incorporata nell’urea così
da essere eliminata senza danni.
L’urea viene prodotta nel fegato, esce da esso ed entra nel
sangue per raggiungere i reni dove poi viene filtrata ed eliminata attraverso le urine.

CICLO DELL’UREA

CATABOLISMO DELLE PROTEINE


Nel catabolismo delle proteine derivanti dal cibo, quindi negli epatociti, gli aa vengono scissi in
scheletro di C e gruppo aminico.
Lo scheletro di C è utilizzato per alimentare differenti vie come il ciclo di Krebs, mentre il gruppo
aminico viene caricato sull’α-chetoglutarato che si trasforma
in glutammato, il quale entra nel mitocondrio e subisce il
ciclo dell’urea.
In caso di esercizio intenso o digiuno prolungato il
catabolismo delle proteine comporta sempre la scissione in
scheletro carbonioso e gruppo aminico, questa volta però il
glutammato che si viene a formare non entra nel
mitocondrio, ma il glutammato si carica di un ulteriore gruppo aminico trasformandosi in
glutammina, la quale raggiunge il sangue e poi il fegato, dove subisce il processo inverso cioè
rientra all’interno dell’epatocita trasformandosi nuovamente in glutammato che entra a far parte
del ciclo dell’urea.
Nel muscolo, in una fibrocellula muscolare, la degradazione delle proteine contrattili dà origine a
glutammato che si scarica dal gruppo aminico, grazie ad una transamminasi, e poi viene caricato
su un piruvato, il quale si trasforma in alanina che raggiunge il sangue e poi il fegato, dove subisce il
processo inverso grazie all’azione di un’alanina transamminasi che permette la ritrasformazione del
piruvato e il gruppo aminico viene ceduto ad un α-chetoglutarato che ritorna ad essere
glutammato.

L’N accumulato nei tessuti sotto forma di gruppo -NH2 nel glutammato deve arrivare nel fegato
(come alanina o glutammina) per essere smaltito nel ciclo dell’urea.

CICLO DELL’UREA
Il ciclo dell’urea avviene solo nel fegato.
Inizia all’interno dei mitocondri degli epatociti, ma 3 reazioni avvengono nel citosol.
In condizioni particolari gli enzimi del ciclo dell’urea devono lavorare più velocemente come nei
casi di:

• Dieta ricca di proteine perché deve essere smaltito un eccesso di gruppi aminici
• Digiuno e attività fisica prolungata che comporta una demolizione delle proteine del
muscolo (per energia) e del fegato (per nuovo glucosio)

La regolazione del ciclo dell’urea avviene a livello della carbamil fosfato


sintetasi I.
L’enzima è attivato allostericamente dall’N-acetil glutammato, sintetizzato
a partire da acetil-CoA e da glutammato in una reazione catalizzata
dall’N-acetil glutammato sintasi.
L’N-acetil glutammato è in grado di legarsi alla carbamil fosfato sintetasi I
potenziandone l’attività.
I rimanenti enzimi del ciclo dell'urea sono controllati dalla concentrazione
dei loro substrati e prodotti.

Nel ciclo dell’urea si smaltiscono i gruppi aminici arrivati


dai tessuti sotto forma di glutammina, dal muscolo in
esercizio sotto forma di alanina oppure prodotti da un
pasto ricco di proteine che hanno aumentato il livello di
glutammato a livello del fegato.
Per produrre una molecola di urea sono necessari 2 gruppi
aminici.

Se la molecola arrivata al fegato come trasportatore di gruppi amminici è la glutammina, allora


questa da una prima reazione di deamminazione, ossia di perdita di un gruppo aminico,
catalizzata dalla glutaminasi, viene trasformata in glutammato e gruppo ammonio.
L’altro atomo di N entra nel ciclo dell’urea grazie al glutammato che si è appena formato a partire
dalla glutammina, perciò il glutammato subisce una reazione di transaminazione con
l’ossalacetato, il quale si trasforma in aspartato, mentre il glutammato torna ad essere α-
chetoglutarato.
Questa reazione è catalizzata dall’aspartato amminotransferasi.

Se i gruppi aminici provengono da una dieta o un pasto particolarmente ricco in proteine, nel
fegato, l’accettore di gruppi aminici è il glutammato, perciò si innalza il livello di glutammato
presente nel fegato perché tutte le transamminasi trasferiscono i gruppi aminici strappati agli aa
all’α-chetoglutarato trasformandolo in glutammato.
In questo caso i gruppi aminici da smaltire provengono dal glutammato, il quale entra nel
mitocondrio e subisce 2 destini differenti:

1. Una molecola di glutammato viene deamminata grazie alla glutammato deidrogenasi,


perciò il gruppo aminico strappato si trasforma in ammoniaca, mentre il glutammato ritorna
ad essere α-chetoglutarato
2. La seconda molecola di glutammato invece, può essere transaminata grazie all’aspartato
amminotransferasi con l’ossalacetato per formare aspartato e α-chetoglutarato
I gruppi aminici, in condizioni di intensa attività fisica, arrivano al fegato sotto forma di alanina, la
quale entra nel fegato e subisce un processo di transamminazione che permette la trasformazione
dell’alanina in piruvato.
Il piruvato poi, all’interno del fegato, viene utilizzato per la gluconeogenesi, un processo che a
partire da 2 molecole di piruvato permette la risintetizzazione di glucosio all’interno del fegato, e
successivamente il glucosio viene reimmesso nel circolo per incrementare nuovamente la glicemia
e mantenerla a livelli costanti, tramite il ciclo del glucosio-alanina.
I 2 gruppi aminici ceduti all’α-chetoglutarato hanno formato 2 molecole di glutammato, quindi
l’alanina arrivata al fegato si trasforma in 2 molecole di glutammato, quindi l’alanina si comporta
esattamente come gli aa che sono stati degradati nel fegato dopo un pasto ricco di proteine.
Il primo atomo di N entra nel ciclo dell’urea attraverso la reazione catalizzata dalla carbamil fosfato
sintetasi I, grazie alla quale il gruppo ammonio viene trasformato in carbamil fosfato.
Questa reazione, esclusiva del ciclo dell’urea, utilizza ATP che si scinde in ADP e Pi e l’energia
liberata viene utilizzata per organicare la materia inorganica come lo ione ammonio e il
bicarbonato.
Il secondo atomo di N invece, entra sempre come aspartato.

Possiamo quindi affermare che all’inizio del ciclo dell’urea viene consumata una molecola di
ossalacetato che viene momentaneamente presa in prestito dal ciclo di Krebs e poi rigenerata e
quindi risostituita alla fine del ciclo dell’urea.

Successivamente il carbamil fosfato reagisce con una


molecola di ornitina per formare la citrullina.
Citrullina e aspartato escono dal mitocondrio ed entrano
nel citosol.
La citrullina reagisce con una molecola di aspartato per
formare una molecola di arginino succinato.
Per unire la citrullina all’aspartato entra una molecola di
ATP ed esce una molecola di AMP.
Questa reazione catalizzata dall’arginina succinato sintetasi,
attraverso una reazione a 2 step che prevede la formazione
di un composto intermedio instabile che si trasforma subito in
arginina succinato, consuma una molecola di ATP
trasformandola in AMP.
Perciò è come se questa reazione avesse consumato 2
molecole di ATP che si sono trasformate in ADP, ma in realtà
è stata consumata solo una molecola di ATP in cui sono stati
rotti 2 legami fosforici.
L’arginino succinato così formato viene successivamente scisso
in arginina e fumarato, grazie all’azione dell’enzima arginino
succinasi.
L’arginina, grazie all’enzima argininasi, viene immediatamente
scissa in ornitina e urea.
L’ornitina che si forma è quella che aveva alimentato la
reazione di fusione con il carbamil fosfato per produrre citrullina.
L’urea prodotta attraverso il sangue raggiunge i reni dove viene filtrata e poi escreta nelle urine.

Il fumarato invece rientra nel mitocondrio per tornare nel ciclo


di Krebs e subisce il cosiddetto shunt aspartato-
argininosuccinato.
Questo meccanismo permette al fumarato di essere
reintrodotto nel ciclo di Krebs e formare la molecola di
ossalacetato che gli era stata sottratta all’inizio del ciclo
dell’urea.
Il fumarato, grazie alla fumarasi citosolica, viene trasformato
in malato perché per rientrare nel mitocondrio c’è bisogno dell’aiuto di un trasportatore e il malato
è una molecola che possiede il suo trasportatore sulla membrana mitocondriale.
In questo modo il malato, all’interno del mitocondrio, grazie all’azione della malato deidrogenasi,
viene trasformato in ossalacetato e viene prodotto del NADH mitocondriale che può arrivare sulla
catena di trasporto degli elettroni a livello delle creste mitocondriali e cedere direttamente elettroni
e protoni al complesso 1 dando origine a 2,5 molecole di ATP.

Il costo energetico del ciclo dell’urea rappresenta il canone fisso di smaltimento di 2 gruppi aminici
in urea da pagare per poter utilizzare le proteine come fonte energetica:

− 2 molecole di ATP sono state consumate nella reazione catalizzata dalla carbamil fosfato
sintetasi I
− 2 molecole di ATP sono state consumate nella reazione catalizzata dall’arginino succinato
sintetasi

Viene però prodotta una molecola di NADH mitocondriale che corrisponde a 2,5 molecole di ATP.
Per produrre una molecola di urea sono state consumate 4 molecole di ATP e sono state prodotte
2,5 molecole di ATP, perciò il costo netto per la produzione di una molecola di urea è di 1,5 ATP:

2 NH4+ + HCO3- + 4 ATP + H2O → Urea + 4 ADP + 4 Pi

INTEGRAZIONE DI AMINOACIDI E SPORT

INTEGRAZIONE DI ARGININA NELLA PRATICA SPORTIVA


L'arginina nell'adulto è un aa semi-essenziale, diventa essenziale solo durante la fase di sviluppo.
L’arginina introdotta nel nostro corpo, oltre ad essere utilizzata come integratore durante le fasi
dello sviluppo, può avere anche un utilizzo di tipo sportivo poiché può migliorare la prestazione
sportiva.
Le funzioni dell'arginina sono molteplici:

✓ Sintesi delle proteine


✓ Precursore dell'ossido nitrico (proprietà vasodilatatorie e di stimolazione del sistema
immunitario): molto importante perché viene recepito dai vasi sanguigni determinando un
effetto vasodilatatorio, migliorando l’afflusso di sangue ai tessuti.
Se durante la prestazione sportiva è importante il metabolismo ossidativo, avere un
maggior flusso di sangue che raggiunge il muscolo consente di avere un maggior
rifornimento di O2, perciò di affrontare con maggior efficienza il metabolismo ossidativo per
produrre quantità di energia superiore.
Inoltre avere una vasodilatazione consente anche l’afflusso di nutrienti che sono portati dal
sangue, perciò è importante anche durante la fase di recupero perché consente un
afflusso maggiore delle sostanze necessarie per il ripristino energetico nel muscolo.
✓ Precursore della sintesi della creatina (fegato): miglioramento di gesti atletici basati sulla
velocità esplosiva e la forza
✓ Precursore del glucosio (gluconeogenesi)
✓ Stimola la sintesi del GH: solo in caso di infusione endovenosa o enterale

NB: viene rapidamente eliminata dalle arginasi prodotte nell’intestino (dai batteri) o nel fegato,
perciò è poco efficace l’integrazione per via orale

INTEGRAZIONE DI CIRTRULLINA NELLA PRATICA SPORTIVA


La citrullina è un α-amminoacido non ordinario (non è tra i 20 che compongono le proteine), non
essenziale (può essere sintetizzato dal nostro organismo, non solo nel ciclo dell’urea, ma anche
dalla ossido nitrico sintasi – NOS).
Svolge importanti funzioni nell'organismo umano come intermedio del ciclo dell'urea, per
l’eliminazione dei gruppi amminici provenienti dal catabolismo delle proteine.
Può essere assunta attraverso la dieta: ne è particolarmente ricco il cocomero, soprattutto
nell'involucro esterno verde.
La citrullina viene somministrata nella forma salificata con l’acido malico → citrullina malato
Il vantaggio di questa forma è che stabilizza la citrullina, ma al contempo, assunta sotto forma di
citrullina malato, all’interno dell’organismo la citrullina si separa dal malato, il quale può servire
come fonte energetica addizionale, quindi ha un maggiore potere ergogenico.
La citrullina, una volta entrata nell’organismo, attraverso il ciclo
dell’urea viene trasformata in arginina, che genera NO e determina la
vasodilatazione.
La citrullina consente di avere gli stessi effetti dell’arginina, ma in una
forma più vantaggiosa perché non viene degradata a livello intestinale
e quindi può arrivare in toto all’interno dell’organismo.
Rappresenta l’integratore orale ottimale perché non viene degradato.

Recenti evidenze scientifiche suggeriscono come l'integrazione di


citrullina, poiché viene convertita in arginina nel nostro organismo,
aumenta i livelli ematici di arginina.
L’arginina viene trasformata in ossido nitrico, un potente
vasodilatatore.
La vasodilatazione indotta dall'ossido nitrico promuove un
miglioramento della prestazione sportiva aumentando l’apporto di
sangue, e quindi di O2 e di nutrienti, ai tessuti impegnati nello sforzo.

NB: al contrario dell’arginina è efficace se somministrata per via orale poiché non viene eliminata
nell’intestino e giunge al fegato dove viene convertita in arginina.

L'aumentata biodisponibilità di arginina determina:

➢ Incremento della critical power: l’intensità massima di esercizio che un atleta può
mantenere per periodi di tempo compreso tra 20 e 60 min
➢ Miglioramento generalizzato della performance
➢ Aumento dei livelli del GH
➢ Riduzione dei tempi di recupero
➢ Riduzione dei marcatori di danno muscolare successivi all'allenamento fisico intenso

INTEGRAZIONE DI AMINOACIDI RAMIFICATI


Gli aa ramificati o a catena ramificata (in inglese BCAA=
Branched-Chain Amino Acid) è un gruppo di 3 aa essenziali:
leucina, isoleucina e valina, che presentano una catena
ramificata laterale.
La loro elevata presenza all'interno delle proteine muscolari, l'assenza di effetti collaterali degni di
nota ed il potenziale ruolo ergogenico e mioprotettivo, hanno promosso l'uso dei BCAA tra sportivi
di diverse discipline, sia di forza che di resistenza, e tra gli amanti della cultura estetica.

Gli alimenti di origine animale sono molto ricchi in BCAA: carni e carni trasformate (affettati), latte
di qualsiasi origine animale, formaggi e ricotte, pesce bianco, pesce azzurro, molluschi, uova.
Gli alimenti di origine vegetale sono più poveri in BCAA:
legumi, cereali (avena, frumento, segale, mais, riso, teff, orzo,
farro, sorgo…) e pseudocereali (amaranto, quinoa…)
apportano BCAA in quantità e rapporto meno rilevanti rispetto
ai cibi di origine animale.
La loro integrazione non sarebbe necessaria.

In ambito clinico, i BCAA vengono utilizzati in particolari condizioni patologiche (patologia


epatica, l'encefalopatia epatica e la broncopneumopatia cronica ostruttiva).

Dato l'elevato turn-over proteico dei tessuti in attiva rigenerazione, l’integrazione di BCAA viene
utilizzata nelle fasi di recupero dopo grandi traumi e ustioni, e in alcuni stati caratterizzati da un
progressivo decremento della massa magra (cachessia e sarcopenia).
I BCAA sono presenti in alta concentrazione nel muscolo scheletrico e cardiaco.
Il loro interesse nello sport è legato alla incapacità del fegato di metabolizzarli e pertanto essi
vengono dirottati e catabolizzati nel muscolo.

I BCAA assunti per via orale arrivano nel sangue e poi al muscolo, dove entrano e, se assunti in una
fase di recupero possono essere utilizzati nell’anabolismo delle proteine, quindi nella produzione di
nuove proteine, quindi nella fase di muscolazione post-esercizio.
La supplementazione di BCAA durante e dopo l'esercizio coi pesi ha dimostrato di aumentare
l’attività della proteina p70-S6K coinvolta nella sintesi proteica e quindi nella crescita muscolare.
Questi aa sono in grado di stimolare la proteina mTOR che attiva una cascata del segnale che
attiva la proteina p70-S6K, quindi l’attività dei ribosomi.
Se invece sono assunti durante la fase pre-esercizio
oppure durante l’esercizio questi 3 aa, una volta entrati
nel sangue, dopo aver raggiunto la fibra muscolare,
vengono transamminati per essere trasformati in
scheletro di C e in gruppo aminico che viene trasferito
sul glutammato, può essere trasferito all’alanina nel
muscolo in attività e poi l’alanina esce dal muscolo per
raggiungere il fegato e attivare il ciclo del glucosio-
alanina, oppure se il muscolo è a riposo il glutammato si
carica di un ulteriore gruppo aminico, si trasforma in glutammina e raggiunge il fegato per cedere i
gruppi amminici al ciclo dell’urea.
Nel muscolo in attività lo scheletro carbonioso proveniente dai BCAA viene utilizzato per produrre
energia, in modo preferenziale rispetto alle proteine muscolari che vengono preservate dalla
demolizione.
Questo accade perché i 3 aa sono già disponibili per essere transamminati, formare lo scheletro
carbonioso ed entrare nel ciclo di Krebs per produrre energia, rispetto alle proteine che devono
essere ancora degradate e frazionate nei singoli aa.
Questo comporta una maggior forza contrattile, cioè aver risparmiato la degradazione delle
proteine muscolari permette un recupero post-esercizio più rapido.

Il muscolo in attività causa sempre un catabolismo delle proteine


sottolineato dal rilascio di alanina che aumenta man mano che
l’esercizio risulta essere di lunga durata o di maggiore intensità e
ancor di più se l’esercizio si protrae in modo molto duraturo ed è di
grande intensità.
Pertanto un’integrazione di BCAA consente di preservare la massa
muscolare, evitando il catabolismo delle proteine e invece preferire il catabolismo degli aa
ramificati introdotti con l’integratore.

Lo scheletro di C prodotto dalla transamminasi dei 3 aa entra nel


ciclo di Krebs, in particolare la leucina entra sotto forma di
acetil-CoA, mentre isoleucina e valina arrivano attraverso una
via che li immette a livello del succinil-CoA.
In entrambi i casi comunque lo scopo finale è quello di produrre
energia attraverso il ciclo di Krebs.

In ambito sportivo vengono utilizzati:

• Come substrato energetico prima della prestazione


• Per ridurre il danno muscolare indotto dall'esercizio fisico intenso prima, durante e dopo la
prestazione (il muscolo in mancanza di carboidrati può consumarli in modo preferenziale
per produrre energia, preservando il tessuto contrattile)
• Per accelerare i tempi di recupero e ottimizzare la crescita muscolare dopo la prestazione
• Per ridurre la sensazione di fatica centrale prima, durante e dopo la prestazione, migliora il
carico di lavoro sopportabile
Il catabolismo degli aa a scopo energetico si verifica già nelle prime fasi dell'esercizio e acquisisce
sempre più importanza con il perdurare dello stesso:

o Come fonte energetica: l‘integrazione dei BCAA permette di ridurre il consumo delle
proteine muscolari che altrimenti verrebbero impiegate per produrre l’energia necessaria
alla contrazione
o Nel recupero: l’integrazione con i BCAA permette il ripristino strutturale/funzionale delle
miofibrille, dovuto in modo particolare alla leucina che potenzia la sintesi proteica in modo
proporzionale all'intensità dello sforzo muscolare affrontato

In commercio sono presenti integratori di BCAA di diverso tipo:

➢ Associati a vitamine del complesso B: importanti perché sono co-fattori di molti enzimi
coinvolti nei processi di sintesi dell’energia necessaria per la contrazione
➢ Con differente composizione quantitativa dei singoli aa:
→ BCAA 2:1:1 (Leucina : Isoleucina : Valina): con rapporti di leucina doppi rispetto a
isoleucina e valina
→ BCAA 4:1:1: con rapporti quadrupli per la leucina
→ BCAA 8:1:1: con quantità di leucina 8 volte superiori a quelle di isoleucina e valina

Le formulazioni con maggiori concentrazioni di leucina sono indicate per le discipline ad alta
intensità per migliorare il recupero muscolare post-esercizio.

L'attività fisica intensa determina citolisi e conseguente rilascio nel sangue di enzimi endocellulari
come la lattato deidrogenasi e creatina chinasi, che fungono da marcatori di danno muscolare.
Si è osservato che il BCAA assunto pre-allenamento riduce i livelli ematici dei 2 marcatori e quindi
ha un’azione citoprotettiva che riduce il danno muscolare indotto dall'esercizio fisico intenso.

La FAO consiglia di assumerli in rapporto di 2:1:1.


Per una persona di 70 kg corrispondono a 6 g/die.
Per un atleta il valore viene raddoppiato (10-12 g/die).

L'assunzione di BCAA viene frazionata così:

▪ Sport di potenza: 0,18-0,25 g\kg\die


Somministrazioni: prima, durante o dopo l'allenamento; prima del riposo notturno.
▪ Sport di resistenza (Endurance): 0,17-0,20 g\kg\die
Somministrazioni: 30-60' prima dell'attività; ogni 30' di attività; al termine dell'esercizio.
▪ Sport misti: 0,15-0,17 g\kg\die
Somministrazione: prima e dopo l'allenamento.

La razione pre-allenamento serve a fornire un supporto ergogenico necessario per ridurre il


catabolismo delle proteine muscolari associato all'allenamento intenso per cui svolge un ruolo
mioprotettivo e riduce la sensazione di fatica.
La razione post-allenamento è efficace nel sostenere la sintesi proteica e la ripresa
funzionale/strutturale del muscolo durante la fase di recupero.

I BCAA sono generalmente sicuri e ben tollerati.

NB: un recente studio, tuttavia, indica un aumento di mortalità in pazienti con sclerosi laterale
amiotrofica (SLA) sottoposti a terapia con elevate dosi di BCAA.

Controindicazioni: da non assumere in caso di ipersensibilità a qualsiasi componente


dell'integratore e nei rari casi di deficit enzimatici congeniti

Precauzioni per l'uso: l'uso dovrebbe avvenire sotto stretta supervisione medica durante la
gravidanza ed il successivo periodo di allattamento al seno e nei soggetti con encefalopatia
epatica, grandi ustioni, traumi estesi, insufficienza renale, epatopatie di grado severo e patologie
come la SLA.
Nonostante l'ampio uso degli integratori di BCAA in ambito sportivo, una dieta sana ed equilibrata
potrebbe agevolmente soddisfare anche i fabbisogni più esigenti, rendendo praticamente inutile
la supplementazione aggiuntiva.

INTEGRAZIONE DI TAURINA
La taurina è un aa, (acido amminoetansolfonico) isolato per la prima volta dalla bile di toro (da cui
il nome).
È essenziale per la sintesi degli acidi biliari (nel fegato), riversato con la bile
nell’intestino dove è fondamentale per la digestione dei grassi e delle
vitamine liposolubili.
Insieme allo zinco svolge inoltre un ruolo protettivo per il benessere della vista.
Non viene incorporata nelle proteine umane.
È particolarmente concentrata nell’organismo umano a livello del tessuto nervoso, cardiaco e
muscolare, nella retina, nei globuli bianchi e nelle piastrine.

Il nostro corpo è in grado di sintetizzarla nel fegato a partire da metionina e cisteina (in presenza di
vitamina B6).
Viene assunta con l’alimentazione attraverso i cibi di origine animale (uova, carne, pesce, frutti di
mare, latte e latticini); assente negli alimenti di origine vegetale.
In condizioni normali non è necessario assumerla con integratori.

In caso di carenza degli aa precursori o in particolari condizioni patologiche (malassorbimento,


ridotta sintesi per patologie di origine genetica, perdita eccessiva di acidi biliari, come in caso di
fibrosi cistica o diarrea da colera…) può rendersi necessaria l’integrazione.

Gli studi degli ultimi 20 anni hanno messo in luce l’importanza della taurina in molti processi
fisiologici, come: sintesi degli acidi biliari, metabolismo lipidico, omeostasi del Ca, protezione
cardiaca, controllo dell’ipertensione (pressione alta), regolazione dell’infiammazione e della
risposta immunitaria, regolazione del metabolismo del glucosio, azione antiossidante,
stabilizzazione della membrana cellulare.

La taurina è presente nelle bevande energetiche che non sono alcoliche, sono dotate di proprietà
stimolanti e usate per aumentare le performance fisiche e mentali.
La prima bevanda energetica commercializzata è stata immessa sul mercato austriaco nel 1987.
Il contenuto medio di taurina si aggira intorno 3,2 g/L (la RDA di taurina ritenuta sicura è di circa 3
g).
Gli effetti collaterali sono eventi cardiovascolari anche con esito infausto correlabili al consumo
eccessivo di bevande energetiche (spesso in associazione con alcolici o droghe, che possono
potenziarne l’effetto), principalmente imputabili all’alto contenuto di caffeina presente nelle
bevande.

La taurina è uno degli integratori maggiormente utilizzati da chi desidera implementare le proprie
performance sportive sia nel pre-gara che nel post, per accelerare i tempi di recupero.
La taurina sia è coinvolta nei meccanismi fisiologici di contrazione e rilascio muscolare è cosa
nota, così come il fatto che sia in grado di aumentare il volume delle cellule muscolari.
Studi condotti su atleti professionisti non hanno evidenziato un aumento della prestazione sportiva
a seguito della somministrazione di taurina.
L’integrazione di taurina favorisce la prestazione fisica solo nei soggetti non allenati, poiché i
soggetti allenati hanno già alti livelli muscolari di taurina e pertanto risultano meno sensibili
all’integrazione della stessa.

L’assunzione giornaliera di taurina in dosi da 3 a 6 g (2 bibite) per un anno non ha prodotto effetti
collaterali degni di nota, mancano studi a più lungo termine.
β-ALANINA E PRESTAZIONE SPORTIVA
La β-alanina ha cominciato a essere utilizzata in ambito sportivo, soprattutto negli sport anaerobici,
per migliorare le prestazioni fisiche.

La β-alanina è un aa naturale che viene sintetizzata nel corpo umano


dalla scissione dei nucleotidi.
Si trova in bassa quantità nella carne e nel pesce, ma è disponibile
come integratore alimentare.
È il precursore della carnosina.

La carnosina è un dipeptide che deriva dall’unione di un aa normale (istidina) con un β-aa (β-
alanina).
La carnosina si trova sia nelle fibre muscolari di tipo I sia di
tipo II, ma è presente in concentrazioni molto più elevate
nelle fibre di tipo II (veloci, metabolismo anaerobico), cioè
le più utilizzate negli allenamenti coi pesi ad alta intensità,
nonché le più sensibili alla crescita muscolare.

Il prodotto finale del metabolismo anaerobico lattacido nei muscoli è l'acido


lattico, che si dissocia in ioni H (H+) e lattato e pertanto provoca una
diminuzione del pH nel muscolo (acidificazione) da 7.2 a 6.5, con
conseguente minore efficienza degli enzimi della glicolisi, minor velocità di
produzione di ATP e affaticamento muscolare dovuto all’accumulo degli H+
sviluppati dall’acido lattico.
La carnosina tampona gli H+ prodotti durante l’esercizio anaerobico ad alta
intensità.

Il supplemento di β-alanina aumenta, soprattutto nei maschi, la


concentrazione di carnosina muscolare che permette di ottenere una minor
affaticabilità durante la fase di contrazione muscolare.

Se si sottopongono gli atleti ad un esercizio di forza isometrica, si ottiene un


aumento del tempo di esaurimento, cioè la capacità di sostenere il massimo
sforzo per un tempo massimo, perciò la β-alanina migliora la forza e riduce
l’affaticamento.

Nei soggetti anziani si è visto che l’integrazione con la β-alanina aumenta il


contenuto muscolare di carnosina e aumenta il tempo di esaurimento.

Il supplemento di β-alanina negli sport:

− Football: permette carichi di lavoro più pesanti (forza)


− Ciclismo: aumenta l’intensità dell’allenamento basato su intervalli di
sprint (forza)
− Nuoto: migliora le prestazioni a cronometro sui 100-200 m
− Canottaggio e corsa: migliora la prestazione per distanze brevi (inferiori a 1.000 m)

L'integrazione di β-alanina migliora la prestazione in sport svolti attraverso esercizi ad alta intensità
e brevi intervalli di recupero (metabolismo anaerobico).

CATABOLISMO DEGLI ACIDI GRASSI

Gli acidi grassi rappresentano una delle fonti energetiche più importanti per l’attività fisica, in
particolare per specifiche attività basate sulla lunghezza della distanza percorsa e dei tempi di
svolgimento.

Per metabolismo degli acidi grassi s’intende la demolizione dei triacilgliceroli o trigliceridi che sono
formati da una molecola di glicerolo sulla quale sono innestati 3 diversi acidi grassi.
I trigliceridi sono:

− Insolubili in acqua, cioè non alterano l’equilibrio osmotico della cellula e sono molto
compatti nelle gocce lipidiche di riserva che, diversamente dai carboidrati, sono prive
d’acqua d’idratazione
− Chimicamente inerti, non possiedono gruppi reattivi
− Altamente ridotti, infatti dalla loro ossidazione è possibile ricavare grandi quantità di energia
− Forniscono il 40% del fabbisogno energetico giornaliero soprattutto per: fegato, cuore e
muscolo scheletrico a riposo

L'ossidazione di un grammo di grassi sviluppa 9 kcal, più del doppio rispetto alla stessa quantità di
carboidrati e proteine.
I lipidi quindi rappresentano una fonte energetica nobile.

È possibile ricavare i lipidi dalla dieta poiché tramite la digestione e l'assorbimento dei lipidi
alimentari nell'intestino tenue, gli acidi grassi vengono poi consegnati a muscoli, fegato e tessuto
adiposo.

I trigliceridi contenenti acidi grassi a catena corta con un numero di atomi di C da 6 a 12 (MCT →
Medium Chain Triglycerides) hanno un assorbimento diverso da quelli contenenti acidi grassi a
catena lunga.
Gli MCT vengono idrolizzati dalla lipasi pancreatica e assorbiti a livello intestinale per essere
immessi nel flusso sanguigno, prima nei vasi mesenterici e poi nella vena porta, e arrivare
direttamente al fegato.

I trigliceridi con acidi grassi più lunghi di 12 C, a differenza di quanto fanno i


carboidrati e gli aa, non passano nei vasi sanguigni, ma vengono assorbiti dai vasi
linfatici.
La linfa assume un aspetto lattiginoso e viene chiamata chilo, per la presenza dei
chilomicroni.
Il chilo viene poi riversato nella vena succlavia avviando i chilomicroni verso il fegato.

Il cibo ingerito con la dieta, contente acidi grassi a catena lunga, arriva
nel lume intestinale e dove è presente una lipasi in grado di rompere i
legami diesterici tra glicerolo e acidi grassi.
Gli acidi grassi così liberati vengono assorbiti dagli enterociti dell’intestino
tenue, in modo particolare nel tratto definito digiuno e una volta entrati
negli enterociti vengono poi riassemblati in trigliceridi i quali, a questo
punto, vengono assemblati in particelle particolari definite chilomicroni.

Il chilomicrone è costituito, in superficie, da un singolo strato di fosfolipidi con la testa rivolta verso
l’esterno, cioè verso la fase acquosa.
Sulla superficie sono presenti poi delle apolipoproteine che sono di tipo diverso a
seconda del tessuto che li capterà e all’interno contengono il triacilglicerolo.
Questi chilomicroni si formano nello strato sottoepiteliale intestinale, vengono
accumulati nei vasi linfatici e distribuiti al sangue attraverso il quale raggiungono il
fegato.
Hanno forma sferica e dimensioni che variano dai 100 ai 500 nm, perciò sono abbastanza grandi.

I chilomicroni attraverso il sangue vengono poi distribuiti principalmente al fegato che li trasforma,
ma se siamo in attività fisica possono essere utilizzati anche dal muscolo stesso, oppure in
condizioni di riposo possono essere distribuiti al tessuto adiposo che li accumula.
Per cui il chilomicrone che arriva attraverso il flusso sanguigno al tessuto, incontra sulla superficie
interna dell’endotelio, una lipoproteina lipasi che viene attivata da un’apolipoproteina presente
sulla superficie dei chilomicroni, non fa altro che degradare i triacilgliceroli in acidi grassi liberi e
glicerolo che poi entrano all’interno dei tessuti.
A livello del tessuto adiposo, vengono nuovamente riassemblati per formare
triacilgliceroli posti in riserva all’interno di vescicole rivestite da una proteina di
perilipina.
A livello di un tessuto in attività invece, gli acidi grassi possono essere utilizzati
direttamente per produrre energia.

Gli acidi grassi possono essere messi in depositi disponibili, infatti in condizioni di
esercizio fisico protratto, all’interno dell’organismo si genera un’ipoglicemia che
determina la comparsa del glucagone secreto dal pancreas in risposta
all’ipoglicemia, oppure può determinare il rilascio dell’adrenalina.
Glucagone e adrenalina agiscono entrambi sui lipidi di deposito determinando la lipolisi, ossia la
mobilizzazione dei triacilgliceroli posti in deposito all’interno delle cellule, in particolar modo i
depositi veri e propri sono rappresentati dal tessuto adiposo.

LIPOLISI
Condizioni di ipoglicemia, digiuno prolungato, malnutrizione, attività motoria particolarmente
protratta nel tempo, determinano il rilascio di glucagone e adrenalina.
Questi ormoni agiscono su un recettore specifico, attivandolo e innescando così una cascata del
segnale che produce, come ultima istanza, la mobilizzazione dei lipidi delle vescicole presenti
all’interno della cellula.
Il recettore attivato, a sua volta determina l’attivazione di una proteina G che si lega ad un altro
enzima presente sulla membrana dell’adipocita, l’adenilato ciclasi,
che ha come unica funzione quella di trasformare l’ATP in cAMP.
Il cAMP funge da mediatore del segnale e permette all’ormone di
mobilizzare i lipidi contenuti nelle vescicole, in particolare attiva una
proteina chinasi, la protein-chinasi A (PKA) che quando è attiva è in
grado di svolgere numerose funzioni, una tra queste è attaccare un
gruppo fosfato ad una lipasi ormone-sensibile.
La PKA inoltre aggancia un gruppo fosfato alla perilipina, la proteina
che riveste le goccioline lipidiche contenute all’interno dell’adipocita.
La fosforilazione della perilipina determina un cambiamento di
conformazione tale che si aprono dei buchi sulla superficie della
vescicola lipidica e attraverso queste fessure può entrare la lipasi
ormone-sensibile, attivata dalla PKA.
In questo modo si liberano acidi grassi e glicerolo; il glicerolo liberato viene utilizzato dalla cellula
stessa e immesso nella glicolisi, mentre l’acido grasso esce dalla cellula grazie all’aiuto di
trasportatori, arriva al sangue dove si lega all’albumina sierica e poi può essere utilizzato dal
muscolo per produzione di energia o dal fegato per produzione dei corpi chetonici, utilizzati come
fonte energetica alternativa al glucosio.
L’acido grasso arrivato al miocita, entra all’interno di esso grazie al trasportatore degli acidi grassi e
subisce il processo di β-ossidazione che ha come obiettivo quello di produrre molecole di acetil-
CoA che verranno utilizzate come fonte di energia per alimentare il ciclo di Krebs all’interno dei
miociti stessi.

La perilipina è una proteina presente sulla membrana delle goccioline lipidiche contenute negli
adipociti.
Svolge un ruolo importante nella mobilizzazione e nell'accumulo di grasso.
Agisce come uno strato protettivo per prevenire l'azione di lipasi, come la lipasi ormone-sensibile,
che idrolizza i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi in un processo chiamato lipolisi.
La perilipina viene fosforilata su 6 residui di serina dall'enzima PKA, a sua volta attivato dopo
stimolazione da parte di recettori β-adrenergici o del glucagone.
La fosforilazione induce un cambiamento conformazionale, esponendo all'azione della lipasi
ormone-sensibile i trigliceridi accumulati nelle goccioline lipidiche.
Il 95% dell’energia ricavabile dai triacilgliceroli è contenuto nelle catene degli acidi grassi, mentre
il 5% dell’energia deriva dal glicerolo.

Il glicerolo entra nella glicolisi tramite una conversione in glicerolo-3-fosfato,


attraverso l’enzima glicerolo chinasi che attacca, ad una funzione idrossilica
del glicerolo, un gruppo fosfato preso da una molecola di ATP.
Il glicerolo-3-fosfato viene poi trasformato in diidrossiacetonefosfato
utilizzando la glicerolo-3-fosfato deidrogenasi.
Successivamente il diidrossiacetonefosfato essendo un intermedio della
glicolisi, può essere isomerizzato in gliceraldeide-3-fosfato e proseguire nella
via della glicolisi.

Gli acidi grassi liberi circolanti, rilasciati dal tessuto adiposo nel sangue, si legano all'albumina
sierica (molecola di trasporto) che li trasporta fino alle cellule bersaglio (cuore, muscolo scheletrico
e altre cellule tissutali) dove vengono usati come substrato energetico.

Per poter accedere alla matrice mitocondriale, dove avviene la loro ossidazione (β-ossidazione)
per la produzione di ATP: gli acidi grassi MCT (6-12 C) entrano nel mitocondrio per diffusione
passiva, mentre gli acidi grassi più lunghi di 14 C devono essere attivati e trasportati mediante le 3
reazioni enzimatiche dello shuttle della carnitina.

SHUTTLE DELLA CARNITINA


La carnitina è un aa non essenziale sintetizzato nel fegato e nei reni a partire da 2 aa essenziali, la
lisina e la metionina, in presenza di: niacina, vitamina B6, vitamina C e Fe.
L'attività più nota della carnitina è il suo ruolo come trasportatore di acidi
grassi a lunga catena nella matrice mitocondriale, sede nella quale gli acidi
grassi vengono convertiti in energia tramite il processo di β-ossidazione.

La carnitina è contenuta soprattutto negli alimenti di origine animale come la carne ed i prodotti
caseari.
Anche l'avocado ed i semi di soia fermentati sono fonti di carnitina.
Nei vegani si può manifestare deficit di carnitina.
Nei vegetariani, la concentrazione di carnitina è ridotta solo del 10% rispetto alla popolazione
onnivora.
Nei vegani e nei vegetariani i livelli di carnitina normali possono essere ripristinati grazie ad
integratori di L-carnitina.

L’acido grasso arrivato al tessuto, a seconda del tessuto in cui è arrivato, subisce un differente
destino.
Se l’acido grasso arriva nella fibra muscolare viene attivato sotto
forma di acil-CoA per poter entrare nel mitocondrio e tramite la β-
ossidazione essere trasformato in acetil-CoA, un pacchetto
energetico in grado di alimentare il ciclo di Krebs per la produzione
di energia.
Se l’acido grasso invece arriva al fegato, viene trasformato in corpi chetonici, particolari forme
energetiche alternative al glucosio, che vengono riversati nel sangue e possono raggiugere e
alimentare i tessuti (tra cui il muscolo), dove poi vengono disassemblati per produrre acetil-CoA.

Per attivare un acido grasso è necessario che la sua catena laterale reagisca
con una molecola di ATP, grazie all’enzima acil-CoA sintetasi che attacca,
all’estremo carbossi-terminale dell’acido grasso, un AMP.
In questo modo si forma un acil-AMP, un intermedio di reazione che grazie
all’entrata di un CoA-SH (CoA ridotto) esce l’AMP e il CoA si lega al gruppo acile
formando così acil-CoA.
Essendo stata trasformata l’ATP in AMP sono stati rotti 2 legami ad alta energia,
quindi per attivare un acido grasso e trasformalo in acil-CoA per permettergli di
entrare nel mitocondrio, è necessario consumare energia.
Successivamente il gruppo acile dell’acil-CoA viene trasferito sull’OH della
carnitina, esce il gruppo CoA e si forma l’acil-carnitina.
Questa reazione è catalizzata dalla carnitina acil transferasi 1 (CAT1),
presente sul lato citosolico della membrana mitocondriale esterna e
rappresenta l’enzima sulla quale avviene la regolazione della β-ossidazione.
La CAT1 oltre a regolare la velocità con cui gli acili entrano all’interno del mitocondrio per essere
bruciati, regola anche il processo di produzione dell’energia e questo enzima viene regolato dalla
presenza di una molecola che fa parte della via di biosintesi degli acidi grassi rappresentata dal
malonil-CoA.

Il malonil-CoA è in grado di regolare la formazione del complesso dell’acil-carnitina e rappresenta


il primo intermedio esclusivo della biosintesi degli acidi grassi.
Il malonil-CoA si lega alla CAT1 impedendone l’attività, quindi impedisce che acidi grassi appena
sintetizzati nel citosol possano entrare nel mitocondrio per essere nuovamente degradati.
Una volta formata l’acil-carnitina, questa entra all’interno della prima membrana, la carnitina
transferasi 1 funziona anche da veicolo per l’acil-carnitina attraverso la prima membrana
mitocondriale esterna, quindi l’acil-carnitina viene a
trovarsi all’interno dello spazio di intermembrana.
Non è ancora però del tutto entrata nel mitocondrio
e perché ciò accada ha bisogno di un’altra
proteina che è un trasportatore acil-
carnitina/carnitina, ossia un trasportatore in grado di
scambiare una molecola di acil-carnitina presente nello spazio di intermembrana, con una
molecola di carnitina che viene esportata dalla matrice mitocondriale sino alla membrana esterna
dove può fungere da ulteriore veicolo per una molecola di acil-CoA presente nel citosol.
L’acil-carnitina arrivata nel mitocondrio, viene nuovamente scissa in acil-CoA e carnitina grazie
all’azione dell’enzima carnitina acil transferasi 2.
Il trasportatore è una proteina in grado di trasportare le molecole da un lato all’altro della
membrana, ma è saturabile.

Carnitina e sport
Gli integratori di carnitina possono essere assunti liberamente dagli atleti e visto che il ruolo della
carnitina è quello di portare all’interno del mitocondrio le molecole di acido grasso dove possono
essere degradate, avere un maggior numero di trasportatori che consentono di alimentare la via è
possibile ottenere maggiori quantità di energia, per cui assumere della carnitina come integratore
può rappresentare un metodo per aumentare i livelli energetici in condizioni aerobiche.

L'esercizio fisico aerobico determina un graduale incremento delle concentrazioni ematiche di


acidi grassi.
La somministrazione di carnitina potrebbe migliorare la performance atletica, permettendo
l’afflusso di maggiori quantità di lipidi nel mitocondrio.
Tuttavia l'efficacia della supplementazione con carnitina in ambito sportivo non è stata provata,
anzi numerosi lavori scientifici hanno dimostrato che la supplementazione di L-carnitina non
migliora la prestazione atletica.

Questo accade perché l’entrata degli acidi grassi all’interno del mitocondrio non dipende soltanto
dall’attività della carnitina acil transferasi e in particolar modo dalla quantità di molecole di
carnitina, ma dipende dalla presenza limitata del trasportatore acil-carnitina/carnitina che
rappresenta la cruna dell’ago nella velocità di ossidazione degli acidi grassi.

β-OSSIDAZIONE
L’acido grasso, entrato sotto forma di acil-CoA all’interno della matrice mitocondriale, subisce la
vera e propria degradazione che è definita β-ossidazione.
La β-ossidazione sgancia i legami che tengono insieme l’acido grasso, a partire dal terminale
carbossilico, per produrre acetil-CoA che alimenta il ciclo di Krebs dove può
essere degradato per produrre molecole ridotte e energetiche che donando i
propri elettroni alla catena di trasporto degli elettroni presente sulla membrana
mitocondriale interna, può poi essere convertito in ATP.

L’obiettivo della β-ossidazione è quello di inserire, sul Cβ dell’acido grasso, un


atomo di O per trasformare il Cβ in un carbonile.
In questo modo, successivamente è possibile staccare ciò che resta, quindi
staccare acetil-CoA dall’acido grasso e ridurre la lunghezza dell’acido grasso
di 2 atomi di C.
Ogni rottura di legame consente di accumulare energia sotto forma di ATP o di
molecole energetiche come il FADH2 e il NADH.

La 1° reazione che avviene è catalizzata da una deidrogenasi in grado di staccare un H dal Cα e


un H dal Cβ per introdurre un doppio legame.
Elettroni e protoni sganciati, l’enzima li carica sul suo gruppo prostetico, che è un FAD per cui si
forma una molecola di FADH2 che scarica gli elettroni all’ubichinone per trasformarli in ATP.
Tra Cα e Cβ si crea un doppio legame, cioè l’acile si trasforma in enoile.
Successivamente un altro enzima inserisce una molecola di H2O all’interno del doppio legame e, il
gruppo OH viene agganciato al Cβ, mentre l’H viene agganciato al Cα.
Questo enoile perciò si trasforma in β-idrossiacile.
Il 3° enzima non fa altro che togliere atomi di H ed elettroni
dall’OH e dal H che poi vengono ceduti al NAD+ che diventa
NADH e si forma il doppio legame C=O.
A questo punto il β-idrossiacile diventa un β-chetoacile.
Il successivo enzima rompe il legame tra Cα e Cβ, quindi si
libera l’acetil-CoA a questo punto entra una molecola di
CoA che permette la formazione di acil-CoA più corto di 2
atomi di C.
Attraverso successivi cicli di β-ossidazione l’acil-CoA viene
completamente trasformato in acetil-CoA, ma questo
avviene soltanto se l’acido grasso ha un numero di atomi di C pari.
Negli acidi grassi con numero di atomi di C dispari, la β-ossidazione avviene allo stesso modo fino
a quando, arrivati ad avere soltanto 5 atomi di C, l’ultima β-ossidazione genera dell’acetil-CoA e
un acido grasso a 3 atomi di C legato al CoA che si chiama propionil-CoA.

Il propionil-CoA poi deve essere trasformato in succinil-CoA, tramite altre 3 reazioni.


Poi il succinil-CoA, essendo un intermedio del ciclo di Krebs, entra nel ciclo di Krebs.

In questo modo l’acido grasso può essere scisso in molecole di acetil-CoA che può entrare nel
ciclo di Krebs e produrre energia.
Nel ciclo di Krebs può entrare anche il derivato del glucosio.
Ossidando completamente una molecola di glucosio, attraverso la glicolisi sono prodotte 2
molecole di piruvato, le quali vengono poi ossidate dal ciclo di Krebs.
Dall’ossidazione completa di una molecola di glucosio a 6 atomi di C si ottengono circa 30-32
molecole di ATP.
Una molecola di acido grasso a 6 atomi di C (acido caproico),
sottoponendola alla procedura di β-ossidazione associata al ciclo
di Krebs, permette di ottenere una quantità di energia pari a 38 ATP.
Possiamo infine affermare che i grassi sono in grado di contenere
più energia dei glucidi, quindi rappresentano una fonte energetica
di primaria importanza per il fabbisogno energetico della
contrazione muscolare durante la prestazione sportiva.
CORPI CHETONICI

I corpi energetici rappresentano una funzione energetica alternativa al glucosio.

Il digiuno, il diabete non compensato, la dieta non adeguatamente ricca di carboidrati (low-carb,
chetogeniche, iperproteiche) e l’attività fisica prolungata determinano lo svuotamento delle
riserve di glicogeno e la conseguente ipoglicemia.
In condizioni così stressanti, l'organismo reagisce liberando alcuni ormoni catabolici specifici (tra
cui glucagone e adrenalina) che attivano sia la lipolisi che il catabolismo proteico muscolare.

In seguito all’attività fisica prolungata si determina un aumento


di adrenalina che attiva la lipolisi e si attiva anche il glucagone
come conseguenza della diminuzione della glicemia.
Entrambi gli ormoni, in particolar
modo il glucagone, esercitano
un’azione a livello dei vari tessuti, in
particolare nel tessuto adiposo, con attivazione della lipolisi che
attraverso una cascata del segnale attivano una lipasi ormone-sensibile
che degrada i triacilgliceroli contenuti nelle goccioline lipidiche
contenute negli acidi grassi liberi che escono e vanno nel sangue dove,
a cavallo dell’albumina sierica, raggiungono i tessuti che li utilizzano.
Gli acidi grassi liberati nel sangue arrivano al muscolo e al fegato, dove
vengono impiegati per generare energia (nel muscolo) oppure produrre
corpi chetonici (chetogenesi nel fegato, li riversa nel sangue → Chetosi).

La chetosi è un modo per fronteggiare la fame, il corpo funziona cambiando temporaneamente la


fonte primaria di energia cellulare da glucosio a grasso, consumando le riserve di grasso interno
per produrre chetoni che, riversati dal fegato nel sangue, alimentano i tessuti.

L’ipoglicemia provoca una secrezione, da parte del pancreas endocrino del glucagone, ormone
centrale in molti metabolismi poiché è in grado di attivare la gluconeogenesi, una via metabolica
anabolica che consente di produrre glucosio a livello del fegato.
La gluconeogenesi avviene nel fegato a partire dall’ossalacetato, un intermedio del ciclo di Krebs,
che viene utilizzato per la biosintesi del glucosio.
In questo modo però la gluconeogenesi sottrae al ciclo di Krebs l’ossalacetato, per cui in
condizioni di ipoglicemia generalizzata, la produzione di glucosio all’interno del fegato impedisce
alla citrato sintasi di funzionare, perciò il ciclo di Krebs è
bloccato come ciclo, tuttavia gli enzimi del ciclo di
Krebs, in condizioni di ipoglicemia funzionano comunque
poiché il glucagone, oltre ad attivare la gluconeogenesi,
è in grado di attivare anche il catabolismo delle proteine
per cui gli scheletri carboniosi derivati dalla
degradazione degli aa provenienti dalle proteine del
fegato vengono introdotti all’interno del ciclo di Krebs e
producono ossalacetato che tuttavia non serve per
chiudere il ciclo di Krebs, ma verrà sottratto in modo che
il fegato produca glucosio e si ripristini il livello normale di
glicemia intorno ai valori 90 e 100.
Inoltre il glucagone è in grado di attivare la lipolisi, perciò una maggior disponibilità di acidi grassi
nel fegato che subiscono la β-ossidazione per essere trasformati in acetil-CoA.
Poiché viene a mancare l’ossalacetato nel fegato, l’acetil-CoA non può entrare nel ciclo di Krebs
quindi si accumula e deve essere smaltito attraverso la chetogenesi, per formare dei chetoni.
Il glucagone agisce anche come inibitore della piruvato deidrogenasi e in questo modo il piruvato
proveniente dalla demolizione del glucosio viene completamente bloccato e nel muscolo
utilizzato per trasbordare il gruppo aminico dal glutammato all’alanina che, fuoriuscita nel sangue
attraverso la via del glucosio-alanina, raggiunge il fegato dove può essere trasformata in glucosio
attraverso la gluconeogenesi.
Nel fegato il piruvato non può essere trasformato in acetil-CoA poiché questo viene già prodotto
dalla lipolisi, per cui l’alanina proveniente dal catabolismo delle proteine può scaricare il suo
gruppo aminico al ciclo dell’urea che lo trasformerà in urea producendo piruvato che può essere
trasformato in ossalacetato, da una piruvato carbossilasi, per dar luogo a zucchero.
Quindi all’interno del fegato, in condizioni ipoglicemiche, il glucagone è in grado di dirottare
completamente il metabolismo del fegato e dal metabolismo di una cellula normale viene attivata,
come via preferenziale, la gluconeogenesi e, oltre alla lipolisi e alla β-ossidazione, l’acetil-CoA
viene dirottato per produrre chetoni.

I corpi chetonici escono dal fegato ed entrano nel sangue dove vanno ad aumentare la chetosi e
poi arrivano ai tessuti come approvvigionamento di molecole energetiche per il muscolo
scheletrico, il cuore e la corteccia renale, ma in modo particolare per il cervello che solitamente si
nutre di zucchero, ma in condizioni particolari di digiuno particolarmente prolungato utilizza i corpi
chetonici come fonte energetica.
I corpi chetonici sono fondamentalmente 3:

1. Acetone: un chetone che possiede un gruppo carbonilico


2. Acetoacetato: formato da un acido acetico nella forma ionica insieme ad
un radicale acetile derivante dall’acido acetico
3. β-idrossibutirrato: possiede un idrossile legato al Cβ e 4 atomi di C che
formano il butirrato

I corpi chetonici vengono prodotti nel fegato a partire dall’acetil-CoA e poi riversati
nel sangue.
Occorrono 2 molecole di acetil-CoA che vengono unite per formare un
acetoacetil-CoA, il quale poi viene trasformato, grazie ad una 3° molecole di
acetil-CoA, però alla reazione successiva esce un acetil-CoA, in una molecola
chiamata acetoacetato poiché esce il CoA.
L’acetoacetato viene poi trasformato in β-idrossibutirrato consumando un
NADH epatico caricando il potenziale riducente del NADH epatico sul β-
idrossibutirrato.
Quando il β-idrossibutirrato esce dal fegato arriva, attraverso il sangue nel
tessuto muscolare, subisce il processo inverso quindi carica un NADH a livello
muscolare che serve per alimentare la produzione di ATP a livello muscolare.
L’acetoacetato si può anche trasformare, per decarbossilazione, ossia
perdendo un gruppo CO, in acetone.
L’acetone in particolare quando i corpi chetonici sono particolarmente presenti, come nel
diabetico, che ha un metabolismo completamente spostato sull’utilizzo degli acidi grassi e delle
proteine, si ha un classico alito chetonico dovuto all’eliminazione attraverso i polmoni con la
respirazione, dell’acetone.
Il β-idrossibutirrato in eccesso viene eliminato attraverso le urine.

In condizioni fisiologiche, i corpi chetonici arrivano nei tessuti e


vengono riconvertiti in acetil-CoA, in particolare il β-idrossibutirrato
che, una volta raggiunti i muscoli, entra all’interno di essi, subisce la
riconversione in acetoacetato restituendo un NADH consumato nel
fegato, per cui questo NADH viene restituito come fonte di energia
perché questo può essere convertito, attraverso la catena di trasporto
degli elettroni abbinata alla fosforilazione ossidativa, in ATP utile per
continuare la contrazione muscolare.
L’acetoacetato viene a sua volta trasformato in acetoacetil-CoA
dall’enzima β-chetoacil-CoA transferasi che manca nel fegato poiché
egli non può consumare gli stessi corpi chetonici che produce.
L’acetoacetil-CoA viene a sua volta scisso in 2 molecole di acetil-CoA che raggiungono il ciclo di
Krebs per produrre energia.

Le diete ricche in acidi grassi aumentano i livelli ematici dei chetoni.


La dieta chetogenica è costituita da alti contenuti di lipidi e
proteine e basso contenuto di glucidi, in queste condizioni,
mentre nella dieta mediterranea l’elevata quantità di zuccheri
introdotti con gli alimenti aumentano la glicemia, il basso
apporto di glucidi fa sì che l’individuo viva in una condizione
pressoché di ipoglicemia, la quale determina una produzione di
glucagone che attiva la lipolisi e il catabolismo delle proteine
che permettono la degradazione di proteine e lipidi, soprattutto questi ultimi che permettono la
produzione dei corpi chetonici attraverso il processo di chetogenesi.
Questo tipo di dieta che si basa sull’aumento della chetogenesi è una dieta che consente di
limitare i livelli di glicemia, particolarmente utile in patologie legate all’iperglicemia, ma allo stesso
tempo ha un effetto anoressizzante perché gli alimenti ricchi in lipidi e proteine tendono a
diminuire il senso della fame e questo consente un notevole calo ponderale.

Tuttavia queste diete sono abbastanza pericolose se non vengono effettuate sotto stretto controllo
medico, difatti se la dieta non è stata ben organizzata sia in termini quantitativi sia in termini del
carico di lavoro fisico da associare alla dieta, è possibile che si accumulino corpi chetonici nel
sangue ad un livello tale che può provocare l’acidosi metabolica che è in grado di portare al
coma e persino alla morte.
Normalmente i corpi chetonici prodotti in eccesso vengono smaltiti attraverso la respirazione
(acetone) e attraverso le urine (β-idrossibutirrato).
Quando il carico della dieta non è ben bilanciato, l’eccessiva produzione di corpi chetonici può
comportare un aumento nel carico del lavoro dei reni.
Se la produzione di corpi chetonici oltrepassa la capacità di smaltimento dell'organismo, si
accumulano nel sangue abbassandone il pH e provocando l’acidosi metabolica, tipica dei
diabetici non trattati.
L'attività fisica moderata (aerobica) aumenta l'ossidazione dei corpi chetonici stessi opponendosi
al loro accumulo e agli effetti negativi che possono esercitare nell'organismo.

In alternativa, è stata proposta una dieta mediterranea rivista che non è altro che una dieta in cui
c’è un maggior contenuto di lipidi, intermedio tra la dieta
mediterranea classica e la dieta chetogenica, un ridotto
apporto di glucidi rispetto alla dieta mediterranea
classica e questo tipo di dieta mediterranea rivista
rappresenta un tipo di dieta più bilanciata rispetto agli
altri tipi di dieta.

INTEGRATORI DI CHETONI
Al Tour de France del 2018 alcune squadre hanno utilizzato degli integratori di chetoni e secondo
alcuni team:

➢ Team Jumbo: Visma: “I chetoni sono un integratore alimentare che può essere usato come
le vitamine. La sostanza non è nella lista delle sostanze proibite e sappiamo inoltre che
anche altre squadre li usano”.
➢ Team Sunweb: “Penso che ci dovrebbe essere maggiore chiarezza riguardo gli effetti sulla
salute degli atleti a lungo termine. Inoltre, ci sono dubbi riguardo l’efficacia. Ci sono studi
che mostrano che ha effetti negativi sulle prestazioni sportive e che sarebbe utile solo al
recupero. Voglio essere certo di non creare problemi ai nostri corridori”.

Si presume che 7 squadre partecipanti al Tour de France li abbiano utilizzati.


Gli integratori di chetoni sono basati su una miscela di corpi chetonici dove il 50% di questi sono
rappresentati dal β-idrossibutirrato.
Questi integratori sono stati sviluppati dagli scienziati dell'Università di Oxford nel 2003 in risposta ad
un progetto finanziato dall'esercito USA per creare il carburante più efficiente per i soldati
statunitensi sul campo di battaglia.
Testato in segreto su rematori e ciclisti in GB.
Fondamentalmente sono esteri dei chetoni, ossia sali dei chetoni.

I corpi chetonici sono prodotti nel fegato in condizioni di ridotta disponibilità di carboidrati e
servono come fonte alternativa ai carboidrati per i tessuti periferici tra cui cervello, cuore e
muscolo scheletrico, quindi sono particolarmente adatti per gare estenuanti (corse a tappe).
Vengono ossidati come fonte di carburante durante l'esercizio e in misura maggiore nei muscoli
scheletrici allenati perché in essi vi è una maggior quantità di enzimi del ciclo di Krebs (aumento
indotto dall’allenamento), quindi hanno un interessante utilizzo per quanto riguarda gli atleti
d’élite.
A differenza dalla dieta chetogenica che riduce la glicemia inducendo il catabolismo degli acidi
grassi e delle proteine (riduzione massa muscolare), l’assunzione diretta dei corpi chetonici
(integratore) previene il catabolismo delle proteine, migliorando i tempi di recupero dell’atleta.
Non si presenta l’ipoglicemia, quindi non si attiva il glucagone e di conseguenza né la lipolisi del
tessuto adiposo né la proteolisi nel muscolo scheletrico, perciò migliora i tempi di recupero.

Uno studio scientifico pubblicato nel 2019 ha verificato come un supplemento di esteri chetonici
potesse migliorare la pratica sportiva.
Questo studio ha coinvolto circa 20 ciclisti, divisi in 2 gruppi: ad un gruppo è stato somministrato
l’integratore di chetoni, l’altro invece ha adottato una dieta bilanciata con la stessa quantità di
calorie dell’altra classe.
Questo studio ha cercato di simulare la corsa a tappe del Tour de France facendo pedalare gli
atleti per 21 giorni con: intensità differenti, allenamenti basati sia sulla lunghezza, sia sullo sprint sia
sulla corsa in salita…
Nel gruppo a cui è stata somministrata l’integrazione di chetoni, hanno riscontrato un minor senso
di fatica dopo i 21 giorni di gare e dei tempi di
recupero più rapidi tra una gara e l’altra.
Il gruppo chetogenico è riuscito a sviluppare un
aumento del volume di allenamento del 15%
durante la 3° settimana di attività.
Inoltre nel gruppo chetogenico si è riscontrato un aumento del 15% nella prova a cronometro.
L’integrazione di chetoni attenua lo sviluppo di sintomi fisiologici di affaticamento e migliora le
prestazioni dell'esercizio di resistenza, indicando che l'assunzione di chetoni è una strategia
nutrizionale che permette di aumentare il carico di lavoro e di migliorare le prestazioni di esercizio
di resistenza (aerobico).

NB: L’eccesso di corpi chetonici può portare al coma e persino alla morte, per questo tipo di
integrazione è indispensabile l’ausilio del medico!!!

FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA

La fosforilazione ossidativa è quel processo che consente di trasformare un potenziale


elettrochimico sviluppato grazie ai vari metabolismi e accumulato nello spazio di intermembrana,
per produrre una fosforilazione da ADP ad ATP, quindi ripristinare i livelli di ATP necessari per la
contrazione.
La fosforilazione ossidativa permette di concretizzare la fatica svolta dai vari metabolismi e di
monetizzare, trasformando le varie molecole energetiche prodotte nei catabolismi, in ATP.

La fosforilazione ossidativa avviene all’interno dei mitocondri, i quali possono essere paragonati a
vere e proprie centrali energetiche che consentono di svolgere vari metabolismi e catabolismi che
permettono la produzione di energia, grazie alla catena di trasporto degli elettroni.
Poiché il sistema di trasferimento degli elettroni è localizzato sulla membrana interna mitocondriale,
i mitocondri delle cellule impegnate (es. nella contrazione muscolare, quindi nella fibra muscolare)
presentano molte creste, mentre i mitocondri presenti in altre cellule che
non abbisognano di grandi quantità di energia hanno delle creste in minor
quantità e più appiattite perché una maggior quantità di creste consente
una maggior superficie sulla quale collocare la catena di trasporto degli
elettroni, quindi consente di produrre maggiori quantità di ATP.
Sulla membrana interna di un epatocita sono presenti 10.000 unità, sistemi
di trasferimento degli elettroni; mentre nel muscolo ce ne sono 3 volte tanto
e questo dipende dalla quantità richiesta dalla cellula in cui il mitocondrio
viene a trovarsi.

Nel mitocondrio avviene la ricarica dell’ATP che però viene consumato all’interno del citosol delle
fibre muscolari durante la contrazione, quindi l’ATP viene trasformato in ADP nel citosol, però può
essere fosforilato in modo diretto dalla glicolisi, mentre in caso di metabolismo aerobico, l’ATP
viene prodotto a livello della matrice mitocondriale, per cui l’ADP consumato nel citosol deve
entrare nel mitocondrio.
Se la membrana esterna del mitocondrio è abbastanza permeabile alle molecole e
agli ioni, la membrana interna è molto selettiva, per cui è necessario che su
quest’ultima sia presente un trasportatore in antiporto, l’ATP-ADP traslocasi, che
permette l’entrata di un ADP nel mitocondrio e al contempo esportare una
molecola di ATP.
Questo consente di far sì che il pool di adenosin nucleotidi fosfati presenti nel citosol
e nel mitocondrio restino costanti.
Tutto ciò è necessario perché alcuni metabolismi permettono di produrre ATP soltanto all’interno
del mitocondrio, eccezion fatta per il ciclo di Krebs che in una reazione produce del GTP che può
essere assimilabile all’ATP.

La catena di trasporto degli elettroni fa pensare ad un filo elettrico all’interno del quale si muovono
gli elettroni, grazie a cofattori in grado di acquisire protoni ed elettroni per spostarli allo step
successivo della catena di trasporto degli elettroni.
Una tra queste è l’ubichinone formato da un anello aromatico in cui sono
presenti 2 gruppi chetonici e 2 gruppi carbonilici, a questo anello è poi
legata una catena di isoprene formata da un’unità ripetuta per 10 volte.
L’isoprene ha la caratteristica di essere liposolubile, perciò l’ubichinone
anche detto coenzima Q, può restare all’interno del doppio strato lipidico
perché è lipofilo, esattamente come le code dei lipidi, per cui l’ubichinone
consente di trasportare degli elettroni e dei protoni che vengono legati
all’anello aromatico, in particolar modo all’O che si trasforma in ossidrile
acquisendo un protone e un elettrone.
Quando l’ubichinone si trasforma in ubichinolo, tramite un passaggio intermedio che è un
semichinone radicale, è in grado di acquisire protoni ed elettroni, poi spostandosi all’interno dello
strato lipidico della membrana mitocondriale interna è in grado di trasportare ciò che ha reclutato
fino al complesso 3 della catena di trasporto.

Altre molecole in grado di trasportare gli elettroni sono i citocromi o porfirine che esistono in diverse
modalità, ma sono tutti caratterizzati da un anello
tetrapirrolico come quello della protoporfirina presente
anche nell’emoglobina e nella mioglobina: un Fe centrale si
lega agli atomi di N degli anelli tetrapirrolici della
protoporfirina.
Nell’Eme B questa funzione porta alla formazione di 2 gruppi
insaturi, mentre l’Eme A è attaccato alla protoporfirina dove
troviamo un gruppo insaturo e una coda di isoprene legata al
secondo gruppo insaturo.
L’Eme B è in grado di acquisire protoni ed elettroni per trasportarli e cederli, infatti nel complesso 2
svolge un’attività antiossidante evitando che il flusso di elettroni, quando è eccessivo possa
deragliare e in qualche modo li assorbe.
L’Eme C è legato all’anello della protoporfirina e contiene 2 gruppi insaturi che possono formare 2
legami con delle cisteine (Cys) di una proteina, quindi in un qualche modo essere bloccati
all’interno della proteina.
Nel citocromo C il gruppo EME è legato in modo covalente alla proteina attraverso 2 residui di Cys
presenti nella proteina stessa.

Il citocromo C è una piccola proteina solubile che contiene un


gruppo EME (Eme C) ma non lega l'O.
È libera di diffondere nello spazio di intermembrana dei mitocondri
ed è un componente essenziale della catena di trasporto degli
elettroni, subisce sia ossidazione che riduzione per trasferire gli
elettroni tra il complesso 3 e il complesso 4.

Altre molecole che servono per il passamano degli elettroni all’interno delle molecole e dei
complessi, sono i centri Fe-S.
In questi complessi che fanno parte della catena di trasporto degli elettroni sono presenti
numerose Cys che grazie al loro atomo di S nella catena laterale, sono in grado di prendere
contatto con il Fe e formare una struttura simile a quella che si costituiva quando il Fe era legato
alla protoporfirina.
In modo analogo quindi il Fe agisce come accettore e donatore di elettroni.
Possono essere presenti:

• Centro ferro-zolfo semplici (centro Fe, in a): con un singolo ione Fe centrale legato a 4
atomi di S facenti parte della catena laterale di 4 Cys della proteina.
• Centri ferro-zolfo complessi: in cui sono presenti sia atomi di S inorganico (centro 2Fe-2S, in
b; oppure centro 4Fe-4S, in c), legati alla proteina attraverso 4 atomi di S della catena
laterale di 4 Cys.
Più atomi di Fe sono presenti, maggiore è la
conducibilità e quindi anche la capacità del
complesso di trasferire gli elettroni allo step
successivo.

All’interno dei 4 complessi che costituiscono la


catena di trasporto degli elettroni, oltre alle
molecole accessorie come ubichinone e
citocromo C, sono presenti gruppi prostetici di
tipo differente, quasi sempre centri Fe-S oppure
basati sulla struttura protoporfirinico, per cui
contengono dei gruppi Eme utilizzati per captare
e trasferire elettroni da un complesso all’altro.

Il punto centrale della catena di trasporto degli elettroni è l’ubichinone che funziona come una
molecola in cui confluiscono tutti gli elettroni provenienti dai vari metabolismi, come il NADH
prodotto dal mitocondrio proveniente da β-ossidazione o ciclo di
Krebs che scarica i sui elettroni al complesso 1 tramite un accettore
di elettroni simile a quello che è presente nel gruppo FAD, poi questi
elettroni sono ceduti ai centri Fe-S e man mano che gli elettroni
possano all’interno del complesso 1 vengono trasferiti all’ubichinone
che diventa ubichinolo.
Altri elettroni possono arrivare dal ciclo di Krebs, infatti la succinato
deidrogenasi possiede un gruppo FADH2 che scarica i sui elettroni ad
altri centri Fe-S che permette agli elettroni di essere convogliati
sull’ubichinone che diventa ubichinolo.
Allo stesso modo dalla glicolisi, il NADH prodotto può versare i propri elettroni all’interno dello shuttle
del glicerolo-3-fosfato.
Il sistema shuttle del glicerolo fosfato permette al NADH sintetizzato nel citosol durante la glicolisi di
contribuire alla fosforilazione ossidativa che avviene nei mitocondri col fine di produrre ATP.
Altre molecole ridotte come il NADH e il FADH2 che sono prodotte dalla β-ossidazione convogliano i
loro elettroni a livello dell’ubichinone.
Il rendimento finale tra NADH e FADH2 è differente e questo accade perché entrano a livelli
differenti della catena di trasporto degli elettroni.

Nel complesso 1 gli elettroni ceduti dal NADH che ritorna ad essere NAD+,
per cui disponibile per altri cicli del metabolismo, vengono trasferiti
attraverso un passamano tra i vari centri Fe-S presenti nel complesso 1 e poi
trasferiti all’ubichinone che diventa ubichinolo.
Il passaggio degli elettroni attraverso questo complesso permette di
modificare temporaneamente la struttura della NADH deidrogenasi (solo
durante il passaggio degli elettroni).
In particolare ogni 2 elettroni che attraversano il complesso 1, 4 protoni
possono uscire dalla matrice mitocondriale allo spazio di intermembrana.

Nel complesso 2 gli elettroni si spostano dal FADH2


prodotto dal ciclo di Krebs tramite la succinato deidrogenasi,
all’ubichinone che diventa ubichinolo, attraverso 3 centri Fe-S.
Un sistema presente all’interno della succinato deidrogenasi che
rappresenta un sistema di protezione è la presenza di un Eme B che
consente di catturare gli elettroni in eccesso evitando di dar luogo a
patologie anche gravi.
Quando l’esercizio fisico diventa troppo intenso gli elettroni che fluiscono
attraverso la succinato deidrogenasi diventa molto intenso e può essere
assorbito da questo sistema che previene la formazione dei radicali
superossido.

Gli elettroni arrivati sull’ubichinone permettono la sua trasformazione in ubichinolo, il quale


scorrendo all’interno del doppio strato lipidico, arriva al complesso 3 dove, grazie a centri Fe-S, gli
elettroni vengono scaricati e caricati sul citocromo C che li trasporta al complesso 4.
Intanto il flusso di elettroni nel complesso 3 dà origine ad un temporaneo passaggio di 4 protoni
attraverso il complesso stesso.
Il citocromo C raggiunto il complesso 4 scarica i propri
elettroni all’O2, possiamo infatti dire che il complesso 4
funga da intermediario per la reazione tra il citocromo C e
l’O2 che in questo modo si trasforma in H2O ossidandosi.
All’interno del complesso 4, il flusso di elettroni consente
comunque il passaggio di 2 protoni dallo spazio della
matrice mitocondriale allo spazio di intermembrana.
In totale a partire dal complesso 1 escono 10 protoni, mentre se gli elettroni sono stati ceduti a
livello dell’ubichinone allora vengono esportati solo 6 protoni.

Questi protoni raccolti dallo spazio di intermembrana possono


rientrare all’interno del mitocondrio secondo gradiente di
concentrazione, quindi per diffusione passiva che avviene
grazie a particolari canali protonici che fanno parte dell’ATP
sintasi, la quale permette di sfruttare questo gradiente chimico
che viene trasformato in un legame ad alta energia che si
ottiene trasformando l’ADP in ATP, perciò questo gradiente
viene utilizzato per fosforilare l’ADP e formare nuova ATP.
L’ATP-sintasi mitocondriale è formata da una porzione F0 che è un canale che
permette ai protoni di entrare all’interno della matrice, attraverso un percorso che
permette di muovere la subunità F1, la porzione ATP-sintasica.
L’entrata dei protoni imprime un movimento rotatorio al complesso F1 che
permette all’attività enzimatica di aggiungere un gruppo fosfato all’ADP per
sintetizzare ATP.

Ogni 4 protoni che rientrano nel mitocondrio si forma una molecola di ATP, per cui quando il NADH
è la molecola che ha ceduto gli elettroni e i protoni al complesso 1 si formano 2,5 molecole di ATP;
mentre quando gli elettroni sono ceduti alla catena di trasporto degli elettroni dal FADH2 si formano
1,5 molecole di ATP.
Oltre all’ATP esistono altre molecole energetiche come NADH e FADH2 che possono essere
convertite in molecole di ATP tramite la catena di trasporto degli elettroni rigorosamente in
presenza di O2 che rappresenta l’accettore finale degli elettroni.

Durante l'esercizio fisico di tipo aerobico il consumo di O2 può aumentare fino a 20 volte e nel
muscolo scheletrico fino a 100 volte per permettere di aumentare la quantità di energia prodotta.
Un numero troppo grande di elettroni che percorrono la catena di
trasporto mitocondriale determina l’incompleta riduzione dell’O2 e la
conseguente produzione di ROS.
In definitiva gli elettroni che scappano possono essere caricati sull’O2
e produrre ROS, un O2 con un elettrone in più.
I radicali ROS sono prodotti in quantità elevata durante un
allenamento intenso, ma non eccessivo e questi ROS sono dannosi
per cui devono essere assorbiti da un sistema antiossidante che lo
trasforma in H2O2 tramite una superossido dismutasi e il H2O2 se non
viene smaltito si può trasformare in un ROS molto aggressivo rappresentato dal radicale idrossilico
che può danneggiare i lipidi delle membrane con conseguente morte della cellula, quindi
l’allenamento normalmente produce dei ROS che vengono tamponati dal sistema antiossidante
presente nelle cellule impedendo all’H2O2 di trasformarsi in radicale idrossilico e trasformarla in H2O
grazie al sistema del glutatione.
Quando l’attività fisica è svolta in modo razionale si ottengono degli aumenti dei ROS abbastanza
modesti, ma adeguati perché vengono controbilanciati e completamente assorbiti dai sistemi
antiossidanti endocellulari.

Le attività fisico-sportive spinte all’estremo, agonistiche o non agonistiche, generano elevate


concentrazioni di ROS non assorbibili dalle capacità antiossidanti dell’organismo.
Se tali circostanze persistono a lungo possono innescare meccanismi che in tempi più o meno
lunghi possono essere la causa di varie patologie.
Gli sportivi che praticano l’attività in modo regolare e/o intensivo avranno quindi un maggior
bisogno di antiossidanti se non desiderano la comparsa di problemi, tanto più se il loro consumo di
frutta e verdura è insufficiente.
È importante assicurare un’alimentazione varia, equilibrata, con un apporto sufficiente di frutta e
verdura.
Per prevenire gli effetti dannosi del troppo allenamento fisico è possibile assumere integratori
alimentari.

Gli integratori antiossidanti nell’alimentazione sono:

1. β-carotene (provitamine A): si trova nella frutta e nella verdura di colore arancione vivace,
come carote, albicocche, patate dolci, peperone rosso o mango.
2. Acido ascorbico (vitamina C): è presente nella maggior parte della frutta, come arancia,
ribes, fragole, ma anche in quantità molto importante nel peperone rosso.
3. Tocoferolo (vitamina E): si trova in abbondanza in germe di grano, olio di oliva, girasole,
noci, mandorle, avocado o tuorlo d’uovo.
4. Polifenoli: includono i flavonoidi (molto diffusi tra i vegetali), i tannini (in cacao, caffè, tè,
uva…) gli antociani (soprattutto nella frutta rossa) e gli acidi fenolici (in cereali, frutta e
verdura).

GLUCONEOGENESI

La gluconeogenesi è un processo che avviene in parte nel citosol e in parte nel mitocondrio.
Questo processo contente di sintetizzare glucosio a partire da precursori non saccaridici.
Avviene principalmente nel fegato, ma in piccola parte anche nella corteccia renale e
nell’intestino tenue.
La gluconeogenesi è un processo indispensabile per tutti i tessuti che utilizzano il glucosio come
unica (o la principale) fonte energetica (cervello, eritrociti, testicoli, rene, tessuti embrionali).

La glicolisi e la gluconeogenesi sono 2 vie antitetiche, una crea quella che l’altra distrugge.
La glicolisi distrugge il glucosio per ottenere 2 molecole di piruvato,
mentre la gluconeogenesi consente di produrre glucosio a partire da
2 molecole di piruvato.
La glicolisi è formata da 10 reazioni, anche la gluconeogenesi di cui
7 sono reazioni comuni ad entrambe le vie (reversibili), mentre 3
reazioni sono specifiche (irreversibili) per cui sono presenti enzimi
specifici in grado di svolgere la tappa essenziale.
Infatti nella glicolisi la trasformazione del fosfoenolpriuvato in piruvato
avviene grazie all’azione della piruvato chinasi, mentre nella
gluconeogenesi avviene tramite una serie di reazioni enzimatiche,
una delle quali è catalizzata dalla piruvato carbossilasi che
rappresenta l’enzima chiave sul quale avviene la regolazione e
l’apertura di questa via.
O ancora, nella gluconeogenesi, per la gliceraldeide-3-fosfato
deidrogenasi è limitante la quantità di NADH e NAD+ presente a livello
del citosol, così come lo era per la glicolisi.

La gluconeogenesi si attiva quando le scorte di glicogeno epatico finiscono e nel sangue il livello
di glicemia inizia a calare, come avviene durante un periodo di digiuno prolungato o uno sforzo
muscolare intenso e duraturo.

Quando si intraprende l’attività sportiva di tipo aerobico, il


muscolo in esercizio, inizialmente utilizza il glicogeno contenente
all’interno del muscolo, infatti la glicogenolisi viene attivata da
ormoni come l’adrenalina.
Il glicogeno viene consumato e trasformato in glucosio-1-fosfato
il quale viene isomerizzato a glucosio-6-fosfato che entra nella
glicolisi e si ottiene ATP.
Quando l’attività fisica continua e il glicogeno muscolare è
terminato, il fegato, con il suo glicogeno cerca di tamponare la
glicemia attivando la glicogenolisi.
Quando poi il glicogeno finisce, il glucosio ematico comincia ad
essere utilizzato dal muscolo in contrazione e questo permette
un abbassamento della glicemia, per cui si instaura
un’ipoglicemia, meccanismo attraverso il quale il pancreas
secerne glucagone.
Il glucagone agisce a livello epatico andando a bloccare la
glicolisi all’interno del fegato.
Il 1° punto di azione è l’inibizione dell’attività della piruvato
chinasi, quindi la glicolisi si blocca, perciò non viene più
prodotto piruvato e il fosfoenolpriuvato si accumula.
La piruvato chinasi è attiva quando è defosforilata, quando
invece viene fosforilata dalla PKA l’enzima si inattiva.
L’ipoglicemia scatena il glucagone che attiva la PKA, la quale diventa una chinasi perciò è in
grado di trasferire un gruppo fosfato sulla piruvato chinasi inattivandola.
Questo comporta uno stop nella conversione del fosfoenolpriuvato, nella glicolisi, in piruvato.

Arrivati al punto dell’ipoglicemia, in presenza di glucagone, nel fegato l’unico piruvato presente è
quello proveniente dall’alanina oppure dal lattato.
Se l’esercizio è svolto in condizioni aerobiche, l’alanina proveniente dai muscoli è in grado di
trasportare il piruvato fino al fegato dove poi viene convertito in zucchero, alimentando la
gluconeogenesi epatica.

In condizioni aerobiche, in seguito all’esercizio prolungato


si va incontro ad ipoglicemia che determina la
produzione di glucagone, il quale è in grado di attivare la
lipolisi, perciò di rifornire il muscolo di energia tramite gli
acidi grassi, ma è in grado di attivare anche il
catabolismo delle proteine e il possibile utilizzo delle
proteine come fonte energetica per la contrazione
muscolare.
Le proteine degradate sotto forma di singoli aa vengono
transaminate da diverse transaminasi che hanno in
comune l’accettore del gruppo aminico che viene
strappato dal generico aa che è l’α-chetoglutarato, il
quale viene trasformato in glutammato e gli α-chetoacidi
vengono inseriti all’interno del ciclo di Krebs sotto forma di
intermedi, quindi contribuiscono alla formazione di
energia grazie alle proteine muscolari.
Il glutammato successivamente viene a sua volta
transaminato sul piruvato per formare dell’α-
chetoglutarato che può rientrare all’interno del ciclo di
Krebs e soprattutto si forma l’alanina che è in grado di
trasportare i gruppi NH2 al fegato.

Il lattato è prodotto a partire dallo zucchero in condizioni anaerobiche, in particolar modo viene
prodotto per permettere al piruvato derivato dalla glicolisi di essere trasformato in lattato grazie
all’azione della lattato deidrogenasi per consentire di riciclare il NADH prodotto dalla glicolisi
trasformando il NAD+, essenziale in uno step centrale della glicolisi catalizzato dalla gliceraldeide-
3-fosfato.

Il lattato prodotto dal metabolismo anaerobico esce dai


muscoli ed arriva nel sangue attraverso il quale viene
convogliato al fegato dove viene nuovamente riconvertito in
piruvato grazie all’attività di una lattato deidrogenasi
epatica e a questo punto il lattato può entrare nella
gluconeogenesi.
Il lattato che arriva al fegato non deriva soltanto dal muscolo
in attività anaerobica, ma può derivare anche da tutte le
cellule che utilizzano obbligatoriamente lo zucchero e
quindi la glicolisi come fonte energetica.

Il privato proveniente dall’alanina grazie ad un’alanina transaminasi che lo riconverte in piruvato e


il gruppo aminico dell’alanina viene trasferito su un α-chetoglutarato che così forma del
glutammato che entra direttamente nel mitocondrio dove avviene il ciclo dell’urea; mentre il
piruvato proveniente dai muscoli o dagli eritrociti viene riconverto in piruvato ad opera della
lattato deidrogenasi.
Per cui il piruvato entra nel mitocondrio dove viene carbossilato e trasformato in ossalacetato
grazie all’attività della piruvato carbossilasi.
L’attività della piruvato carbossilasi dipende principalmente dalla presenza dell’acetil-CoA.
Nel fegato il glucagone, ha attivato il catabolismo degli acidi grassi, la
lipolisi e la β-ossidazione.
Il risultato di questa attivazione è l’accumulo di acetil-CoA che si lega alla
piruvato carbossilasi, attivandola.
Nel fegato il consumo di ATP è basso e il ciclo di Krebs funziona a basso
regime, perciò non consuma l’acetil-CoA che quindi si accumula.
Nel fegato gluconeogenico, poiché l’ossalacetato viene sottratto dal
mitocondrio per produrre dello zucchero, non è più disponibile per il ciclo
di Krebs, quindi la citrato sintasi non è attiva perché l’ossalacetato viene
continuamente tolto per essere esportato dal mitocondrio verso il citosol.
In questo modo l’acetil-CoA che proviene dalla β-ossidazione ristagna e poi viene convertito in
sostanze energetiche rappresentate dai corpi chetonici.

L’ossalacetato viene prodotto mediante la carbossilazione del piruvato, cioè viene aggiunto un
atomo di C al piruvato e la formazione del legame è garantita dall’energia sviluppata dalla
molecola di ATP, per cui si forma una molecola a 4 atomi di C.
L’ossalacetato che si trova nella matrice mitocondriale, in presenza della malato deidrogenasi, un
enzima reversibile che preferisce effettuare la catalisi inversa, trasforma l’ossalacetato che si
accumula nel mitocondrio, in malato e poiché non esiste un trasportatore dell’ossalacetato ma ne
esiste uno per il malato, quest’ultimo può uscire dal mitocondrio per entrare nel citosol.
A livello del citosol una malato deidrogenasi citosolica è in grado di convertire nuovamente il
malato in ossalacetato.
Attraverso questo procedimento, l’ossalacetato che inizialmente era
stato formato dalla piruvato carbossilasi, si è caricato, trasformandosi
in malato, di 2 elettroni e 2 protoni strappati da una molecola di NADH
mitocondriale per portarli fuori e cederli nuovamente ad una
molecola di NADH citosolica quando il malato è tornato ad essere
ossalacetato.
Questo NADH è importante perché se la glicolisi e la gluconeogenesi
sono 2 processi antitetici che avvengono in senso opposto e
ricordando che la glicolisi utilizza la gliceraldeide-3-fosfato
deidrogenasi, utilizzata anche dalla gluconeogenesi; nella glicolisi
questo enzima necessitava della presenza di NAD+ da trasformare in
NADH a cui cedere gli elettroni e i protoni strappati dalla gliceraldeide, al contrario la
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, quando lavora nel senso opposto, nella gluconeogenesi,
necessita di NADH.
Ciò che si ottiene è il trasbordo del potenziale riducente dall’interno del mitocondrio al citosol,
dove questo NADH viene utilizzato per produrre la molecola di glucosio, in particolare nello step
catalizzato dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi in cui l’1,3-bisfosfoglicerato viene
trasformato in gliceraldeide-3-fosfato grazie ad una molecola di NAD.

Il malato che è stato trasportato fuori dal mitocondrio viene riconvertito in


ossalacetato grazie alla malato deidrogenasi, si produce un NADH
utilizzato nella reazione della gliceraldede-3-fosfato deidrogenasi.
L’ossalacetato viene nuovamente decarbossilato per produrre il
fosfoenolpriuvato, il quale può essere convertito, attraverso una serie di
reazioni reversibili con gli stessi enzimi utilizzati dalla glicolisi, fino a
diventare fruttosio 1,6-bisfosfato che rappresenta il 1° substrato specifico
della glicolisi.

Il glucagone esercita anche un 2° punto di controllo sia sulla glicolisi sia


sulla gluconeogenesi a livello della fosfofrutto-chinasi-1 che permette la
conversione del fruttosio-6-fosfato in fruttosio 1,6-bisfosfato e la fruttosio-
bisfosfatasi, un enzima della gluconeogenesi, che converte il fruttosio 1,6-bisfosfato in fruttosio-6-
fosfato per risalire verso la produzione della molecola di glucosio.
La fruttosio 1,6-bisfosfatasi è espressa nei tessuti gluconeogenici.
Questa attività di controllo del glucagone è svolta grazie all’attivazione della PKA che determina la
fosforilazione di un enzima in grado di svolgere l’attività sia della fosfofrutto-chinasi-1 sia della
fruttosio-bisfosfatasi e questo enzima si chiama FPK-2/FBPasi-2.
Questo enzima quando lavora in un senso è in grado di trasformare il fruttosio-6-fosfato in fruttosio
2,6-bisfosfato, un sottoprodotto della glicolisi.
In modo analogo, essendo un enzima bifunzionale, quando è fosforilato funziona come fruttosio
bisfosfatasi, cioè è in grado di togliere un gruppo fosfato
dal fruttosio 2,6-bisfosfato e trasformarlo in fruttosio-6-
fosfato, mentre quando è defosforilato funziona
esattamente nel senso opposto.
Quando il glucagone è presente, all’interno del fegato, si
riduce il livello del fruttosio 2,6-bisfosfato che rappresenta
un regolatore allosterico della fosfofrutto-chinasi-1 e della
fruttosio-bisfosfatasi.
Il glucagone agendo a questo livello perciò è in grado
bloccare completamente la glicolisi e impedire che ciò
che viene prodotto attraverso la gluconeogenesi venga poi distrutto, innescando un ciclo futile,
dalla glicolisi.

Il fruttosio-6-fosfato viene isomerizzato in glucosio-6-fosfato e infine


nel fegato è presente la glucosio-6-fosfatasi che rimuove il gruppo
fosfato dal glucosio-6-fosfato trasformandolo in glucosio, il quale può
essere riconosciuto dal suo trasportatore e può fuoriuscire
dall’epatocita e raggiugere il sangue dove va a ripristinare i livelli di
glicemia.

Anche gli scheletri carboniosi degli aa provenienti dalle proteine del fegato alimentano la
gluconeogenesi epatica.
Il glucagone ha attivato la demolizione delle proteine degli
aa, gli scheletri carboniosi entrano nel ciclo di Krebs, mentre i
gruppi aminici caricati sul glutammato vengono direttamente
smaltiti grazie al ciclo dell’urea che avviene nel mitocondrio.
L’entrata degli scheletri carboniosi come intermedi del ciclo di
Krebs, attraverso gli enzimi che si succedono nel ciclo
omonimo, sono convertiti in malato, il quale esce dal
mitocondrio e raggiunge il citosol dove diventa ossalacetato
e poi fosfoenolpriuvato fino alla produzione del glucosio.
Ciò accade quando nel fegato si verifica una condizione di ipoglicemia.

Il glucagone attiva anche la lipolisi che determina la rottura del legame sterico che tiene uniti gli
acidi grassi al glicerolo.
Questi si liberano, nel fegato gli acidi grassi permettono
l’attivazione della β-ossidazione e convertiti in acetil-CoA che
viene utilizzato per la produzione dei corpi chetonici espulsi dal
fegato, mentre il glicerolo può essere convertito in zucchero.
Il glicerolo grazie ad una glicerolo chinasi può essere trasformato in
glicerolo-3-fosfato che viene trasformato in un intermedio della
glicolisi, il diidrossiacetone fosfato.
Gli acidi grassi provenienti dalla rottura del legame con il glicerolo
però non possono essere trasformati in glucosio perché non esiste un enzima in grado di
riconvertire l’acetil-CoA in piruvato.
La presenza del glucagone, attraverso una cascata del segnale, attiva la PKA che fosforila
l’enzima di comando della biosintesi degli acidi grassi, ossia l’acetil-CoA carbossilasi che quando
è attivo aggancia un atomo di C all’acetil-CoA
trasformandolo in malonil-CoA, il quale consente la biosintesi
degli acidi grassi.
In questo modo però l’acetil-CoA carbossilasi, una volta
fosforilata, si inattiva e cessa la produzione di malonil-CoA.
Il malonil-CoA è un regolatore allosterico in grado di legarsi
alla carnitina-acil transferasi 1 inattivandolo.
Quindi questo processo innescato dal glucagone, andando a
inattivare l’acetil-CoA carbossilasi determina una riduzione dei livelli di malonil-CoA, quindi un
distacco del malonil-CoA legato alla carnitina-acil transferasi 1 che si attiva e regola l’accensione
della β-ossidazione.

Il catabolismo degli acidi grassi produce acetil-CoA; i mammiferi


non possono usare l’acetil-CoA per produrre glucosio in quanto non
esiste un enzima analogo alla piruvato deidrogenasi (PIR → Acetil-
CoA) che possa ritrasformare l’acetil-CoA in PIR.

Nel fegato, la produzione di glucosio attraverso la gluconeogenesi,


può essere alimentata da molecole che derivano da: lattato e alanina che trasportano al fegato
del piruvato, scheletri di aa e glicerolo.

L’assunzione di notevoli quantità di alcool inibisce la gluconeogenesi.


L’etanolo ingerito viene assorbito da:

➢ <5% entra nell’epitelio della mucosa gastrica e del primo tratto gastrointestinale (lingua,
bocca, esofago e stomaco) in cui viene metabolizzato
➢ Il resto viene assorbito nell’intestino (diffusione passiva) ed entra nel sangue (↑ alcolemia).
L’85-98% dell’alcool ematico viene metabolizzato nel fegato, mentre il 2-15% viene escreto
attraverso polmoni (fiatella tipica) e reni.

L’alcool arriva al fegato dove viene rapidamente metabolizzato attraverso 2 deidrogenasi che
consumano del NAD+ citosolico, viene trasformato prima in acetaldeide e poi in acetato.
L’acetato viene convertito in acetil-CoA che serve per produrre acidi grassi all’interno del fegato.
Queste 2 reazioni però provocano un depauperamento del NAD+ contenuto all’interno del citosol
degli epatociti, essenziale per far avvenire la glicolisi che mantiene i livelli energetici che servono
al fegato per poter lavorare, per cui si attiva automaticamente
un sistema che vuole consumare il NADH che è la lattato
deidrogenasi, la quale consuma del piruvato presente
all’interno delle cellule e forma del lattato.
In questo modo si accumula, all’interno del fegato, del lattato e
quest’azione della lattato deidrogenasi permette di ripristinare i
livelli di NAD+.
Maggiore è la quantità di alcool che si assume, maggiore è la
quantità di NAD+ consumato, quindi di NADH prodotto e
maggiore è la quantità di lattato che viene prodotto, ma
soprattutto maggiore è la quantità di piruvato che viene
trasformato in lattato e sottratto alla gluconeogenesi.
Per cui nel fegato di un forte bevitore, queste reazioni
permettono di ridurre l’attività gluconeogenica del fegato stesso e questo può causare delle
ipoglicemie molto severe che possono essere il motivo dello svenimento e del coma etilico.

Lo stato di malnutrizione tipico degli alcolisti comporta un ridotto apporto di zuccheri con la dieta:
ciò determina un aumento dell’attività gluconeogenica del fegato nel tentativo di ripristinare il
livello ematico del glucosio.
Poiché l’alcol impedisce la gluconeogenesi, l’alcolista va in ipoglicemia e nei forti bevitori a
digiuno da 14-16 ore si ha ipoglicemia sintomatica e conseguente svenimento.
L’eccesso di acido lattico può provocare acidosi lattica che interferisce con l’escrezione renale
dell’acido urico e provoca la comparsa di gotta.
L’eccesso di NADH è un segnale di surplus energetico dove viene spenta la β-ossidazione degli
acidi grassi e viene attivata la loro biosintesi.
I grassi si accumulano nel fegato (steatosi) e inizia il danno epatico da alcol.

METABOLISMO DEL GLICOGENO

Il glicogeno è una forma molto efficiente di accumulo del glucosio perché permette di mantenere
la maggiore quantità possibile di residui di glucosio nel minore volume
possibile.
Inoltre è osmoticamente inattivo, perciò può essere conservato all’interno delle
cellule senza temere che possano richiamare dall’esterno dell’H2O che faccia
esplodere la cellula.
Nel fegato il glicogeno rappresenta circa il 2-7% del peso totale, perciò è una
componente molto importante, per un totale di circa 100 g.
Il fegato svolgendo il ruolo di tampone della glicemia deve contenere le riserve
necessarie al momento dell’attività fisica quando il consumo di glucosio
ematico dovuto all’attività muscolare determina un calo della glicemia e
quindi il fegato funge da batteria tampone della glicemia liberando il glucosio
tramite la demolizione del glicogeno.
Nel muscolo la quantità di glicogeno è minore e rappresenta circa l’1% del peso totale, per un
totale di circa 300-500 g.
Ciò accade perché il muscolo utilizza il glicogeno e ha a disposizione, perciò anche il glucosio
ematico e quello mantenuto all’interno del fegato da poter utilizzare.

Il glicogeno è una riserva di polisaccaride facilmente mobilizzabile, cioè essendo un polimero di


glucosio, ogni singola unità può essere rapidamente mobilizzata.
È particolarmente abbondante nel fegato, dove rappresenta fino al 7% del peso dell’organo.
Viene sintetizzato nel fegato dopo i pasti, in risposta all’insulina, e dal fegato viene degradato e
rilasciato come glucosio, in risposta al glucagone, durante il digiuno.
Questo permette di mantenere la glicemia entro valori normali (75-110 mg/100 ml).
È abbondante anche nel muscolo, dove però viene utilizzato solo per il muscolo (degradazione in
glucosio → glicolisi → ATP → contrazione muscolare).

Il glicogeno è un polimero dell’α-glucosio formato da residui uniti


in catene attraverso legami α 1,4.
Ogni 8-14 residui sono presenti ramificazioni laterali ottenute
attraverso legami α 1,6.
Queste ramificazioni permettono al glicogeno di avere una
struttura ramificata e di ottenere strutture che nascono da un
nucleo di polimerizzazione dato dalla proteina glicogenina per
formare il cosiddetto granulo di glicogeno di forma sferica.
La glicogenina è importante perché dà il punto d’inizio di
polimerizzazione del glicogeno, perciò permette la vera e propria
sintesi del glicogeno.
I granuli contengono anche gli enzimi
necessari per la sintesi (glicogenosintesi)
e la degradazione del glicogeno
(glicogenolisi).
Nel processo di formazione del glicogeno la glicogenina funge da nucleo
di iniziazione della catena.
GLICOGENOLISI
La glicogenolisi avviene durante l’esercizio fisico, al contrario della glicogenosintesi che avviene
dopo i pasti e durante le fasi di riposo.

La glicogenolisi inizia con l’azione della glicogeno fosforilasi che è in grado


di scindere il legame α 1,4 tra 2 residui di glucosio, partendo dall’estremità,
perciò tra ultimo e penultimo residuo di glucosio dell’estremità del glucosio.
La rottura produce del glucosio-1-fosfato, ma il gruppo fosfato non viene
preso dall’ATP, quindi questa reazione non comporta un consumo
energetico, bensì viene preso dal fosfato inorganico (Pi).
Il glucosio-1-fosfato viene poi trasformato nell’intermedio della glicolisi
grazie alla fosfoglucomutasi che, tramite una reazione che comporta la formazione di un
intermedio, trasforma il glucosio-1-fosfato in glucosio-6-fosfato.
La glicogenolisi può avvenire sia nel muscolo sia nel fegato: se avviene nel muscolo il glucosio-6-
fosfato è prontamente disponibile per la glicolisi, quindi per
sopportare il fabbisogno energetico del muscolo in contrazione;
se invece avviene nel fegato il glucosio-6-fosfato poiché nel
fegato è presente l’enzima della gluconeogenesi e nel fegato è
attiva questa via metabolica, la glicosio-6-fosfatasi trasforma il
gucosio-6-fosfato in glucosio per l’eliminazione del gruppo
fosfato e non essendo più targato dal gruppo fosfato che ne
impedisce l’accesso del trasportatore glucosio presente sulla
membrana dell’epatocita, ora il glucosio può essere
riconosciuto dal trasportatore ed uscire dalla cellula epatica
per esser riversato nel flusso sanguigno.
Il procedere dell’attività della glicogeno fosforilasi nella rottura dei diversi legami fino a quando
non arriva in prossimità di una ramificazione, in realtà si ferma in un punto ben preciso, infatti arriva
fino al quart’ultimo residuo e poi si ferma.
A questo punto interviene un enzima deramificante che interviene sul
legame α 1,6 rompendolo.
L’enzima deramificante ha un’attività transferasica e va a scindere
inizialmente gli ultimi 3 residui di glucosio della ramificazione e li riattacca
in coda all’altra estremità della ramificazione per creare una distanza
maggiore di 4 residui dalla ramificazione.
A questo punto l’enzima deramificante interviene con un’attività 1,6-
glucosidasica, perciò è in grado di tagliare il legame α 1,6 tra 2 zuccheri
legati attraverso il C1 e il C6 e in questo modo rimuove l’ultimo zucchero
rimasto che esce sotto forma di glucosio.
Infine la catena è stata ripristinata, è stato tolto lo scambio che non
permetteva alla glicogeno fosforilasi di procedere e così la glicogeno fosforilasi può continuare a
scindere i legami α 1,4 e liberare i suoi residui di glucosio-1-fosfato.

La glicogenolisi è attivata dall’attività motoria, dalla necessità di produrre ATP per sostenere la
contrazione muscolare dell’esercizio.
Come risposta adattativa all’esercizio fisico, il
corpo aumenta il livello di adrenalina secreta dalla
midollare del surrene e di glucagone nel sangue
secreto dalle cellule α del pancreas, mentre
diminuisce il livello di insulina secreta dalla cellule
β del pancreas.

Ciò che attiva la glicogenolisi sono adrenalina e glucagone, in


particolare l’adrenalina è un po’ più specifica per il muscolo, mentre il
glucagone è presente in modo più preponderante sul fegato.
L’adrenalina è in grado di aumentare la glicogenolisi durante uno stato di
stress, mentre il glucagone è in grado di aumentare la glicogenolisi in caso di fame.
Mentre l’adrenalina nel muscolo è in grado di attivare sia la glicogenolisi sia la glicolisi in situazioni
di stress, nel fegato essendo attiva la gluconeogenesi, la glicolisi risulta essere inibita.

Il glucosio-1-fosfato prodotto a partire dal glicogeno viene mutato in


glucosio-6-fosfato, grazie alla fosfoglucomutasi, ed entra direttamente
nella glicolisi saltando il passaggio obbligato del glucosio per entrare
nella glicolisi, cioè l’attività dell’esochinasi.
Il glucosio-1-fosfato essendo già fosforilato e mutato in glucosio-6-
fosfato, salta la tappa dell’esochinasi che consuma ATP, perciò il
consumo di glicogeno come fonte di glucosio garantisce maggiore
efficienza energetica rispetto all’utilizzo del glucosio libero nel sangue
(risparmia 1 ATP).
Per questo motivo al muscolo conviene consumare il glicogeno come
prima fonte energetica.

Nell’attivazione della glicogenolisi sia adrenalina sia glucagone svolgono la


stessa funzione, infatti reagiscono con il loro rispettivo recettore, il quale
attiva una proteina G che attiva l’adenilato ciclasi che a sua volta produce
il cAMP, il quale andandosi a legare alla PKA la attiva come chinasi.
A questo punto la PKA agisce sulla fosforilasi
chinasi inattiva che così diventa attiva tramite
fosforilazione, ossia aggancio di un gruppo
fosfato.
Questa chinasi va a fosforilare la glicogeno fosforilasi, l’enzima che
poi va a staccare l’ultimo glucosio dal glicogeno per liberare il
glucosio-1-fosfato.

Al contrario l’insulina va ad agire inibendo questo processo di attivazione


della glicogenolisi, perciò della glicogeno fosforilasi, perché l’insulina
viene secreta in situazioni di abbondante concentrazione di glucosio nel
sangue, andando così ad attivare la glicogenosintesi.
Per fare questo l’insulina va ad attivare la proteinfosfatasi (PP1) che
defosforila la glicogeno fosforilasi e la fosforilasi chinasi determinando
un’inattivazione e lo spegnimento della degradazione del glicogeno.

GLICOGENOSINTESI
La glicogenosintesi consente nell’addizione di residui di glucosio ad un terminale della
glicogenina, proteina sulla quale inizia la biosintesi del glicogeno e quest’addizione di singole unità
non avviene mediante addizione diretta di unità di glucosio, ma attraverso una forma modificata di
glucosio collegato all’uridina difosfato.
Perciò il mattone per la biosintesi di glicogeno non è il glucosio, ma
una molecola più grande rappresentata dall’UDP-glucosio in
questo modo si forma un legame ad alta energia che una volta
scisso libera energia e permette ad un’altra molecola di glucosio di
allungare la molecola di glicogeno nascente.
L’UDP-glucosio viene prodotto grazie alla UDP-glucosio pirofosforilasi, un enzima che utilizza il
glucosio-1-fosfato e una molecola di UTP per trasformarlo in UDP-glucosio + PPi.

L’UDP-glucosio viene utilizzato dalla glicogeno sintasi che attacca a


dei residui di glucosio, perciò la glicogeno sintasi prende l’UDP-
glucosio, scinde il legame ad alta energia tra glucosio e UDP e al
posto dell’UDP aggancia la catena di glucosio che si sta
sintetizzando.
In questo modo si ha un allungamento all’estremità, attraverso un
legame α 1,4, della catena di glicogeno.
Il primo aggancio non è tra 2 molecole di glucosio, ma tra una
molecola di UDP-glucosio e un residuo di tirosina della
glicogenina.
La formazione del legame, grazie all’azione della glicogeno
sintasi è il trasferimento del residuo di zucchero sul residuo di
tirosina con formazione della prima glicogenina glucosio.
Successivamente è possibile agganciare un altro residuo tramite
un legame α 1,4… per arrivare fino ad una certa lunghezza del
polimero in termini di numero di residui.
A questo punto, ogni 8-14 residui interviene l’enzima ramificante
che prende gli ultimi 7 residui e li va a posizionare sul residui -11,
lasciando soltanto 4 residui all’estremità che sta allungando.
Si forma un legame α 1,6 che permette di
ottenere una nuova ramificazione e la
glicogeno sintasi può continuare ad
aggiungere residui di glucosio per allungare i granuli per formare strutture
ramificate a ragnatela o ad albero.

Durante il recupero post-esercizio fisico, dopo aver consumato un


pasto ricco in carboidrati, l’insulina viene secreta dal pancreas in
risposta all’aumento della glicemia post-prandiale.

L’insulina secreta in risposta all’aumento della glicemia post-


prandiale si lega ad uno specifico recettore sulle cellule bersaglio innescando una catena di
modifiche all’interno della cellula.

Il recettore dell’insulina è una proteina costituita da 4 subunità:


2 subunità protrudono all’esterno della superficie cellulare e
legano l’insulina determinando la fosforilazione delle altre 2
subunità che diventano delle vere e proprie chinasi.
In particolar modo queste ultime diventano delle tirosin chinasi.
L’attività chinasica della porzione citoplasmatica del recettore
fosforila la proteina IRS-1 (Insuline Receptor Substrate) con
innesco della catena di eventi che portano all’attivazione della
glicogenosintesi.
L’IRS-1 fosforilata va a legarsi alla la Pi3K (fosfatidil inositolo-3-
chinasi) attivandola, la quale a sua volta va ad attivare l’Akt,
importante per la biosintesi delle proteine all’interno del
muscolo.
L’Akt va a fosforilare la proteina GSK3 (glicogeno sintasi chinasi 3) perciò è una chinasi in grado di
agganciare un gruppo fosfato alla glicogeno sintasi, l’enzima deputato all’allungamento delle
catene di glicogeno.
La GSK3 quando è attiva, cioè in assenza di insulina, fosforila la glicogeno sintasi e l’effetto che
produce è la sua inibizione, perciò la glicogenosintesi non è funzionante.
La cascata generata dall’interazione dell’insulina con il suo recettore, attiva l’Akt, il quale si lega
alla GSK3 inattivandola.
In questo modo si attiva la glicogeno sintasi andando a progredire con
la glicogenosintesi.

L’insulina agisce inibendo l’attività della GSK3 e poiché quest’attività


usa un gruppo fosfato preso dall’ATP, lo attacca alla glicogeno sintasi
fosforilandola.
Quando è fosforilata l’attività della GSK3 la rende inattiva, in questo
modo l’insulina impendendo alla GSK3 di lavorare, impedisce alla
glicogeno sintasi di essere fosforilata, quindi la mantiene nella
conformazione attiva.
L’insulina permette la glicogenosintesi perché agisce impedendo l’inibizione della glicogeno
sintasi.
L’insulina è però anche in grado di attivare la PP1 che fa riportare la glicogeno sintasi fosforilata da
GSK3, nella sua forma attiva.
La stessa attività della glicogeno sintasi è svolta anche dalla glucosio-6-fosfato e dal glucosio.
Questo è possibile poiché la presenza di glucosio e glucosio-6-fosfato segnala la disponibilità di
glucosio per poter effettuare la biosintesi del glicogeno.
La PP1 attivata dal glucosio è il segnale di attivazione della biosintesi del glicogeno.
Glucagone e adrenalina invece agiscono a livello inibitorio sulla PP1.

La stessa cascata innescata dall’interazione dell’insulina con


il proprio recettore, ed in particolare l’attivazione di Akt,
determina lo spostamento delle vescicole intracellulari
sensibili all’insulina sulla superficie cellulare, che fungono da
riserve a rapida mobilizzazione di GLUT4, con conseguente
aumento della numero dei trasportatori del glucosio sulla fibra
muscolare, garantendo maggiori flussi in entrata del glucosio
ematico.
Lo stesso segnale è stato in grado di divergere, ad un certo
punto, per andare da un lato ad attivare il metabolismo di
sintesi del glicogeno e dall’altro un meccanismo biochimico
che permette al substrato della glicogeno sintasi di entrare all’interno della cellula per essere
messo nei depositi di glicogeno.

VIA DEI PENTOSO FOSFATI

La via dei pentoso fosfati permette di rimpinguare i depositi di acidi grassi consumati durante
l’attività motoria, perciò questa via è importante nella fase di recupero e di ripristino dei tessuti
adiposi, per quanto riguarda la prestazione sportiva, ma è anche importante per la prevenzione
dello stresso ossidativo e la produzione di particolari aa e nucleotidi.
La via dei pentoso fosfati o del fosfogluconato è un processo metabolico che avviene interamente
nel citoplasma e in tutte le cellule.
La glicolisi utilizza come molecola iniziale il glucosio-6-fosfato, perciò la via dei pentoso fosfati è
una via che non può essere accesa quando è attiva la glicolisi poiché si consumerebbe ciò che
serve all’altra.
Esiste perciò una stretta regolazione delle 2 vie per fare in modo che non siano attive
contemporaneamente.

Le funzioni primarie di questa via metabolica sono:

• La generazione di NADPH, necessario per la biosintesi degli acidi grassi e per prevenire lo
stress ossidativo tamponando i ROS
• La produzione del ribosio-5-fosfato (R5P), un precursore per la sintesi di nucleotidi e acidi
nucleici
• La produzione di eritrosio-4-fosfato, un precursore nella sintesi degli aa e della vitamina B6
• Convertire gli zuccheri pentosi alimentari derivati dalla digestione degli acidi nucleici in
intermedi della glicolisi o della gluconeogenesi

La via dei pentoso fosfati è una via di catabolismo del glucosio-6-fosfato (G6P), cioè è una via che
consuma lo stesso substrato della glicolisi, ragion per cui viene definita una diramazione della
glicolisi e proprio perché avviene all’interno del citoplasma è necessaria una stretta regolazione
delle 2 vie poiché una consuma quello che consuma anche l’altra.
Il glucosio-6-fosfato in questa via viene ossidato (e decarbossilato) senza produzione di ATP per
formare zuccheri a 5 atomi di C (pentosi), quindi non ha funzione energetica (poco importante per
il muscolo durante la contrazione).
Questa via è molto importante per il fegato poiché circa la metà del glucosio metabolizzato dal
fegato entra nella via e il fegato è centrale per il metabolismo ossidativo, ma anche per il
metabolismo anaerobico in quanto è in grado di rilasciare dello zucchero dal glicogeno attraverso
la glicogenolisi ed è in grado di produrre corpi chetonici per alimentare le cellule.

Fondamentalmente consta di 2 fasi:

1. Fase ossidativa: il glucosio-6-fosfato si trasforma in una molecola a 5 atomi di C, il ribulosio-


5-fosfato
2. Fase non ossidativa: ritrasforma il ribulosio-5-fosfato in glucosio-6-fosfato

FASE OSSIDATIVA
Il primo passaggio è catalizzato dall’enzima regolatore della via.
La trasformazione del glucosio-6-fosfato in 6-fosfato-glucono-δ-
lattone avviane grazie alla glucosio-6-fosfato deidrogenasi, ossia un
glucosio in cui la funzione alcolica è diventata un chetone ed è
presente una struttura ciclica.
Da questa reazione viene prodotto il NADPH, cioè gli elettroni e
protoni strappati vengono caricati sul NADP+ che diventa NADPH e in
questo modo l’elettrone che resta sull’O e l’elettrone che resta sul C si
riuniscono per formare un doppio legame, perciò si forma un gruppo
carbonilico.
Questa reazione produce NADPH che rappresenta uno dei regolatori
allosterici dell’attività dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi.

Nel lattone la struttura è costituita da un estere ciclico caratterizzato da un


ponte che vede come intermedio un atomo di O ottenuto tramite
condensazione tra un alcol e un acido carbossilico presenti nella stessa
molecola.
Le lettere greche nei diversi lattoni indicano la dimensione dell'anello: δ-
lattone (catena di 6 atomi).
Il δ-lattone viene poi trasformato in 6-fosfo-gluconato attraverso una reazione
di idratazione che prevede la rottura della struttura del lattone e si ritorna alla
struttura con il carbossile e l’idrossile.

Successivamente il 6-fosfo-gluconato cede i suoi protoni ed elettroni,


questo comporta la formazione del doppio legame con ridistribuzione
degli elettroni che comporta anche la rottura del legame tra C1 e C2 e il
gruppo carbossile viene eliminato sotto forma di CO2.
In particolare da una molecola a 6 atomi di C si passa ad una molecola a
5 atomi di C rappresentata dal ribulosio-5-fosfato attraverso una reazione
che produce NADPH.

La reazione complessiva della fase ossidativa della via del pentoso fosfato è:

Glucosio-6-fosfato + 2 NADP+ + H2O → Ribulosio-5-fosfato + 2 NADPH + 2 H+ + CO2

Possiamo quindi affermare che si ha la produzione netta di 2 molecole di NADPH e di una molecola
di ribulosio-5-fosfato, partendo da una molecola di glucosio-6-fosfato.

FASE NON OSSIDATIVA


La fase non ossidativa ha come scopo quello di riconvertire il ribulosio-5-fosfato in glucosio-6-
fosfato grazie all’attività di 2 classi di enzimi: transchetolasi e transaldolasi.
Questi enzimi rimaneggiano le molecole.

La fase non ossidativa serve a rendere ciclica la via dei pentoso fosfati.
In questo modo l’unico scopo di questa via metabolica è quello di produrre NADPH.
Perciò fase ossidativa e fase non ossidativa lavorano come un ciclo unico in grado di sostenere la
produzione di NADPH utilizzato per la sintesi di acidi grassi, quindi nei tessuti che necessitano di
molto NADPH (es. tessuto adiposo e fegato), questa fase non ossidativa è molto attiva e collabora
con la fase ossidativa per rendere ciclica la via del pentoso fosfato e produrre grandi quantità di
NADPH.

La transchetolasi toglie pacchetti di 2 atomi di C da una molecola e li aggiunge all’altra, mentre la


transaldolasi toglie soltanto un atomo di C da una molecola e lo aggiunge all’altra.
Perciò queste 2 classi di enzimi differiscono soltanto per il numero di atomi di C che sono in grado
di togliere alle molecole di partenza per aggiungerle alle altre.

2 molecole di ribulosio-5-fosfato, per completare la fase non ossidativa, vengono lavorate dalla
transchetolasi che prende 2 atomi di C da 1 delle 2 molecole lasciandola con soli 3 atomi di C e i 2
atomi di C sottratti vengono aggiunti all’altra molecola che da 5 atomi di C passa ad averne 7.
Poi entra in gioco la transaldolasi che prende un atomo di C dalla molecola a 7 atomi di C
facendola diventare a 6 e l’atomo di C sottratto viene donato alla molecola che era rimasta con
soli 3 atomi di C facendola diventare a 4 atomi di C.
1 delle 2 molecole prodotte è il fruttosio-6-fosfato.
Questa reazione avviene nel citosol e attraverso
un’isomerasi comune sia alla gluconeogenesi sia alla
glicolisi, è in grado di trasformare il fruttosio-6-fosfato in
glucosio-6-fosfato e una molecola a 4 atomi di C che è
l’eritrosio-4-fosfato.
L’eritrosio-4-fosfato è la molecola necessaria da
ricordare per la sintesi degli aa e della vitamina B6.
A questo punto, l’eritrosio-4-fosfato insieme alla
molecola di ribulosio-5-fosfato, tramite una
transchetolasi si forma un'altra molecola di fruttosio-6-
fosfato che può essere isomerizzata a glucosio-6-fosfato
e una molecola a 3 atomi di C rappresentata dalla
gliceraldeide-3-fosfato.
Replicando tutto questo processo si formano
nuovamente 2 molecole a 6 atomi di C e 1 molecola a
3 atomi di C.
Perciò partendo da un totale di 6 molecole di ribulosio-
5-fosfato, otteniamo 4 molecole a 6 atomi di C e 2
molecole a 3 atomi di C.
La gliceraldeide-3-fosfato poi può essere trasformata in diidrossiacetone fosfato e assieme, grazie
all’enzima caratteristico sia della gluconeogenesi sia della glicolisi, riprodurre il fruttosio-6-fosfato
passando per il fruttosio 1,6-bisfosfato, andando perciò a produrre altro glucosio-6-fosfato.
In totale da 6 molecola a 5 atomi di C otteniamo 30 atomi di C suddivisi in 5 molecole a 6 atomi di
C, cioè da 6 molecole di ribulosio-5-fosfato, tramite la fase non ossidativa si ottengono 5 molecole
di glucosio-6-fosfato che una volta prodotte, possono essere utilizzate da un’altra fase ossidativa
per essere nuovamente ossidate a ribulosio-5-fosfato e produrre altro NADPH.
Questa fase non ossidativa è importante anche perché è proprio in questa fase che entrano i
pentosi di derivazione degli acidi nucleici alimentari che possono essere convertiti in intermedi
della gluconeogenesi e nuovamente convertiti in glucosio-6-fosfato utilizzato dall’organo.

Grazie alla via ossidativa che trasforma il glucosio-6-fosfato in


ribulosio-5-fosfato associata alla via non ossidativa che
mediante l’utilizzo di transchetolasi e transaldolasi trasforma il
ribulosio-5-fosfato in glucosio-6-fosfato è possibile consumare
tutti gli atomi di C contenuti all’interno del glucosio-6-fosfato
mediante cicli continui con perdita di CO2 ed è possibile
convertire il glucosio-6-fosfato in NADPH utilizzato per la
biosintesi degli acidi grassi (fegato, adipociti, ghiandole
mammarie), del colesterolo e degli ormoni steroide (fegato, surrene, gonadi) oppure per
contrastare gli effetti dannosi dei ROS nei tessuti esposti all’O2.
Le reazioni non ossidative permettono di ciclizzare la via dei pentoso fosfati che ha come unico
scopo quello di continuare a produrre NADPH.
Il ribulosio-5-fosfato se non continua nella fase non ossidativa della via può essere trasformato in
ribosio-5-fosfato che viene utilizzato per produrre: nucleotidi, coenzimi, DNA ed RNA.

Il NADPH viene utilizzato nella prevenzione dello stress


ossidativo per ricaricare il sistema del glutatione, o meglio
per ritrasformare il glutatione ossidato in glutatione ridotto.
Infatti la respirazione mitocondriale, le radiazioni ionizzanti,
i farmaci e gli erbicidi possono determinare la
trasformazione dell’O2 in radicale superossido che viene
immediatamente trasformato dalla superossido dismutasi
di H2O2 che deve essere eliminata per non oltrepassare la
capacità del sistema antiossidante di rimuoverli.

Il NADPH può anche essere utilizzato per la biosintesi degli


acidi grassi.

Se non è necessario, all’interno del tessuto, la produzione di


NADPH perché si è interrotta la biosintesi dell’acido grasso, in
questo caso il ribulosio-5-fosfato prodotto dalla via ossidativa,
non va all’interno della via non ossidativa, ma subisce una
trasformazione in ribosio-5-fosfato che può andare verso la
biosintesi dei nucleotidi, dei coenzimi, del DNA, dell’RNA…
Il ribosio-5-fosfato viene anche utilizzato come precursore di:
DNA, RNA, ATP, NADH, FADH2 e CoA nelle cellule in rapida
moltiplicazione (midollo osseo, pelle, mucosa intestinale,
tumori).

REGOLAZIONE DELLA GLUCOSIO-6-FOSFATO DEIDROGENASI


La glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PDH) è l'enzima di controllo della via ed è soggetta a
regolazione, infatti viene inibita da ADP e AMP e attivata da ATP.
Inoltre viene inibita dall’accumulo di NADPH nel citosol e attivata dal palmitoil-CoA perché la
presenza di questo particolare acido grasso segnala che la biosintesi degli acidi grassi è attiva e in
questo modo segnala che è necessario continuare a produrre NADPH per continuare nella
biosintesi.

La regolazione del glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PDH) viene


inibita da ADP e AMP e attivata da ATP, infatti le stesse molecole
hanno effetti opposti sulla PFK-1, che regola la glicolisi, che
agiscono come sensori della necessità o dell’esubero di
molecole energetiche e fanno sì che glicolisi e via dei pentoso
fosfati non siano attive contemporaneamente e consumano
entrambe il glucosio-6-fosfato.

Se il livello di ATP è troppo elevato esso


inibisce la PFK-1 e il glucosio-6-fosfato
viene spinto nella via del pentoso
fosfato e si produce NADPH utile nella
biosintesi degli acidi grassi.

La regolazione del glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PDH) viene


anche inibita dall’accumulo di NADPH nel citosol che segnala che la
biosintesi degli acidi grassi è spenta.
La regolazione del glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PDH), infine, viene attivata dal palmitoil-
CoA, il quale segnala che la biosintesi degli acidi grassi è attiva e necessita del NADPH prodotto
da questa via.

La metformina, un farmaco usato nella terapia del diabete di


tipo II, attiva la G6PDH con effetto secondario positivo, dato
che la via dei pentoso fosfati produce NADPH che rigenera il
glutatione, un antiossidante naturale che si abbassa nella
patologia diabetica.

Nel diabetico uno degli effetti della glicemia elevata che si ha nel sangue, determinano, a livello
tissutale, uno stress ossidativo che causano una maggior produzione, perciò maggior produzione
di ROS e di H2O2, la quale deve essere rimossa con l’eliminazione di una molecola di H2O per
azione del glutatione ridotto che viene dunque ossidato e poi ripristinato a glutatione ridotto
utilizzando del NADPH che si trasforma in NADP+.
In ultima istanza, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi ripristina i livelli di NADPH rendendo il sistema
capace di rispondere alla produzione di ROS.
In condizioni di glicemia elevata nel diabetico la produzione di H2O2 è molto più elevata, quindi
sono necessarie più quantità di NADPH per riuscire a rimuovere tutta l’H2O2 prodotta nei tessuti del
diabetico, perciò poiché la metformina è un attivatore della glucosio-6-fosfato deidrogenasi, può
permettere una miglior rimozione dei ROS e quindi ridurre anche lo stress ossidativo nei tessuti del
diabetico.
Questo è molto importante perché così facendo si dovrebbe prevenire gli effetti deleteri che alla
lunga si verificano nei tessuti del diabetico non compensato.

BIOSINTESI DEGLI ACIDI GRASSI

Dopo i pasti, gli zuccheri (ed alcuni aa) vengono degradati attraverso la via glicolitica per
produrre piruvato, convertito in acetil-CoA ad opera della PDH (decarbossilazione ossidativa) nel
mitocondrio.
L’acetil-CoA è il principale substrato in ingresso del ciclo di Krebs, con il fine ultimo di produrre ATP,
utile alle attività della cellula stessa.
Quando la cellula ha una sufficiente quantità di ATP, l'acetil-CoA viene utilizzato per produrre gli
acidi grassi, ma la biosintesi degli acidi grassi avviene nel citoplasma delle cellule del fegato e del
tessuto adiposo, per cui l'acetil-CoA sintetizzato all'interno del mitocondrio deve essere spostato nel
citoplasma.
Poiché l’acetil-CoA non è in grado di attraversare spontaneamente la doppia membrana
mitocondriale, questo può essere spostato nel citosol grazie alla sua trasformazione in citrato.

Il fegato fondamentalmente ha 2 compiti, poiché non necessita di grande produzione di energia


per consumo proprio, viene utilizzato per produrre zucchero e corpi chetonici.

In condizioni di esercizio la citrato sintasi è inibita poiché


l’ossalacetato viene utilizzato dalla gluconeogenesi per
produrre zucchero.
In questa circostanza l’acetil-CoA prodotto ristagna e
viene utilizzato per produrre corpi chetonici.

In condizioni di inattività fisica, perciò dopo il pasto, gli


zuccheri (ed alcuni aa) vengono convertiti a piruvato
dalla via glicolitica, poi trasformato in acetil-CoA ad
opera della PDH nel mitocondrio.
In questa circostanza l’acetil-CoA prodotto ristagna e
viene utilizzato per produrre acidi grassi.
Gli altri scheletri degli aa vengono comunque trasformati, tramite le transamminasi, entrano nel
ciclo di Krebs trasformandosi nei vari intermedi fino ad
arrivare a formare ossalacetato che è in grado di dirigere la
biosintesi del glucosio, il quale solitamente non viene
mantenuto nel fegato, ma in parte viene utilizzato da
quest’ultimo per ripristinare le riserve di glicogeno.
Poi il glucosio in eccesso viene ceduto al sangue per
raggiugere il tessuto adiposo dove può entrare, essere
convertito attraverso la glicolisi in piruvato e infine in acetil-
CoA.
Le proteine in eccesso ingerite vengono utilizzate per
produrre i lipidi all’interno o del fegato o del tessuto adiposo.

La biosintesi degli acidi grassi avviene nel citoplasma delle cellule del fegato e del tessuto adiposo
e necessita di acetil-CoA, il vero e proprio mattone aggregato per formare i polimeri formati da
atomi di C che si susseguono in modo lineare, e NADPH.
Poiché l'acetil-CoA viene sintetizzato all'interno del mitocondrio (la PDH è un enzima
mitocondriale), ma non è in grado di attraversare spontaneamente la doppia membrana
mitocondriale, la cellula deve attivare il trasporto della molecola all'esterno del mitocondrio.
Inoltre, poiché la biosintesi degli acidi grassi richiede NADPH, la cellula deve garantire la presenza
nel citoplasma di quantità sufficienti di NADPH per la biosintesi.

Il NADPH viene prodotto attraverso 2 principali meccanismi.


La via del pentoso fosfato è coinvolta da 2 passaggi enzimatici catalizzati dalla glucosio-6-fosfato
deidrogenasi e da un altro enzima che permette, a partire da glucosio-6-fosfato di formare
ribulosio-5-fosfato.
Inoltre durante la biosintesi degli acidi grassi, poiché il NADPH è
molto importante, la fase non ossidativa permette di riconvertire il
ribulosio-5-fosfato in glucosio-6-fosfato in modo tale che un’altra
molecola di glucosio-6-fosfato possa essere nuovamente
processata fino a ribulosio-5-fosfato per produrre altro NADPH
necessario per la biosintesi.
In condizioni di eccesso di molecole energetiche e quindi di
inattività fisica, il glucosio-6-fosfato non viene utilizzato per le
biosintesi energetiche, ma per produrre il potenziale riducente sotto forma di NADPH.
In alcune condizioni come nel caso in cui un atleta assuma delle diete particolare ricche di acidi
grassi e proteine, ma povere in carboidrati, la scarsità di zucchero fa si che il NADPH sia prodotto
grazie ad altre vie e in particolar modo grazie all’enzima malico che permette di produrre NADPH a
partire dal malato, un intermedio del ciclo di Krebs che può derivare dallo scheletro degli aa,
trasformandolo in piruvato attraverso una decarbossilazione ossidativa con perdita di una
molecola di CO2.

In condizione di riposo, all’interno del fegato, l’ATP


prodotto dalle reazioni energetiche non viene
consumato in gran quantità per cui i livelli di ATP
nel fegato sono sempre abbastanza alti.
Questa elevata concentrazione di ATP è un
inibitore allosterico, infatti impedisce all’isocitrato
deidrogenasi di esercitare la sua attività.
In questo modo l’isocitrato non può essere
trasformato in α-chetoglutarato, perciò il ciclo di
Krebs si spegne e l’isocitrato può ritornare ad
essere citrato che può essere dirottato verso la
produzione degli acidi grassi.
Il citrato che si accumula all’interno della matrice
mitocondriale esce dal mitocondrio attraverso il suo
trasportatore e raggiunge il citosol dove trova un enzima,
rappresentato da una citrato liasi citoplasmatica, che lo
ritrasforma in ossalacetato, il quale viene poi ritrasformato in
malato grazie alla malato deidrogenasi citoplasmatica per
essere riportato all’interno del mitocondrio attraverso 1 o 2
reazioni a seconda dello stato della dieta dell’individuo, e
acetil-CoA, il quale viene utilizzato per la biosintesi degli
acidi grassi.
Questo enzima opera in maniera completamente opposta
rispetto alla reazione catalizzata dalla citrato sintasi,
all’interno del mitocondrio che catalizzava la reazione tra
ossalacetato e acetil-CoA per formare il citrato.

All’interno del citosol l’acetil-CoA subisce una carbossilazione, ossia gli viene aggiunta un’altra
molecola di CO2 che in realtà entra come bicarbonato e in questo modo si forma il malonil-CoA
che ha 3 atomi di C.
Questa reazione è fondamentale, avviene soltanto nella biosintesi degli
acidi grassi e l’enzima che l’ha catalizzata prende il nome di acetil-CoA
carbossilasi (ACC), enzima di comando della via per la biosintesi degli
acidi grassi che risente alternativamente di insulina (attivazione
dell’enzima) e glucagone (inibizione dell’enigma).

L’acetil-CoA carbossilasi è formata da 3 domini, ossia 3 parti di proteina che svolgono una
determinata funzione:

a) Proteina trasportatrice della biotina: ad essa si lega una molecola di CO2 che poi verrà
attaccato all’acetil-CoA per produrre il malonil-CoA
b) Biotina carbossilasi: parte di enzima che consente il legame fisico
tra il gruppo carbossile strappato dal bicarbonato e la biotina
stessa, attivando la CO2 ed è un legame che si può rompere con
facilità perché possiede un alto contenuto energetico
c) Transcarbossilasi: prendendo una molecola di bicarbonato e
utilizzando una molecola di ATP si forma un legame tra il gruppo
carbossilico della molecola di bicarbonato e la biotina, perciò
l’energia prodotta dal terzo legame dell’ATP che esce dalla
reazione sotto forma di ADP, viene utilizzata per formare il legame
tra un N della biotina e il gruppo carbossilico.
Successivamente la biotina con agganciato il gruppo carbossilico
subisce una sorta di colpo di frusta, si sposta verso l’unità
transcarbossilasica.
In questa tasca del dominio transcarbossilasi dell’acetil-CoA
transcarbossilasi è entrato un gruppo acetile e la biotina con
agganciata la CO2 pone il gruppo carbossilico sull’acetil-CoA.
La prossimità tra queste 2 molecole consente di rompere il
legame con la biotina e di formare, al contempo un legame tra
gruppo carbossile e acetile, per cui si forma il malonil-CoA.
Il braccio di biotina dopo può tornare nella sua posizione iniziale
e raccogliere un’altra molecola di CO2 per poter produrre un’altra molecola di malonil-
CoA.

Il malonil-CoA è una molecola molto importante perché anche se nella biosintesi degli acidi grassi
si aggiungono pacchetti di 2 atomi di C alla struttura nascente dell’acido grasso, in realtà la
molecola iniziale dell’acido grasso in formazione era costituito da 3 atomi di C come il malonil-
CoA.
La rottura del terzo legame appena creato per generare il
malonil-CoA restituisce un pacchetto a 2 atomi di C che
viene agganciato all’estremità carbossilica dell’acido
grasso nascente con conseguente eliminazione di una
molecola di CO2.
Perciò il malonil-CoA non è altro che la forma attiva
dell’acetil-CoA idonea per produrre l’acido grasso.
Possiamo quindi affermare che con il malonil-CoA si
cominci il vero e proprio processo di biosintesi degli acidi
grassi.

Il complesso dell’acido grasso sintasi è simile alla giostra dei cavalli,


dove ogni cavallo è un enzima del complesso.
La ruota girando attorno all’asse a cui è legato l’acido grasso nascente
porta un enzima diverso in contatto con esso, che lo modifica a livello
molecolare.

La proteina ACP è formata dalla proteina vera e propria trasportatrice di acili attaccata alla catena
laterale di una serina alla quale è agganciata una catena di acido pantotenico che è lo stesso
presente all’interno del CoA e questa catena termina con
l’ammintioetile che è presente nel CoA che possiede un
gruppo SH terminale che è la porzione reattiva e nel CoA
permette di formare un legame con l’acetato per produrre
l’acetil-CoA, mentre in questo caso è la sommità del palo
attorno al quale ruota la giostra.
Al gruppo SH entrano e si legano i gruppi derivati dal
malonil-CoA.

Inizialmente una molecola di acetil-CoA o di propionil-CoA.


Se la prima molecola è un atomo a 2 atomi di C allora al termine della
reazione si produce un acido grasso con atomi di C in numero pari, mentre
se la prima molecola è un atomo a 3 atomi di C allora al termine della
reazione si produce un acido grasso con atomi di C in numero dispari.
Questo accade perché ad ogni giro di giostra vengono aggiunti sempre e
solo 2 atomi di C.
Perciò la 1° reazione che avviene è il legame tra una molecola di acetil-
CoA o di propionil-CoA alla prima subunità dell’enzima.
Il CoA si stacca dalla molecola e dona i suoi 2 o 3 atomi di C, perciò dopo
la 1° reazione si lega il gruppo acetile all’enzima 1, legato ad una cisteina dell’enzima.

A questo punto sulla sommità della proteina ACP entra l’altro gruppo SH
presente sull’acido pantotenico ed entra un gruppo malonil-CoA che
comporta l’uscita del CoA e il gruppo malonile si lega alla sommità, perciò al
termine della 2° reazione, 2 basi saranno piene, quella del complesso 1 alla
quale è legato il gruppo acetile e quella della sommità della giostra a cui è
attaccato un gruppo malonile.

Nella 3° reazione viene eliminato il gruppo carbossile attaccato al malonil-CoA e


l’energia prodotta dalla rottura di tale legame permette la formazione di un
legame che comporta la produzione di un β-chetoacido e l’eliminazione di una
molecola di CO2.
Le successive reazioni della biosintesi degli acidi grassi hanno come scopo quello
di rimuovere l’O dal Cβ.
Nella 4° reazione grazie ad una molecola di NADPH, 2 elettroni e 2 protoni
vengono ceduti al β-chetoacido, un H si lega all’O e un H si lega al C, perciò
il gruppo cheto diventa idrossi, quindi si forma un idrossiacido.
La catena nascente dell’acido grasso è sempre attaccato sulla proteina
ACP, per cui la modificazione avviene a livello della molecola agganciata
alla proteina ACP e gli enzimi, passando sotto, la modificano.

La 5° reazione è una reazione di deidratazione, l’OH presente sul Cβ va via con


un H legato al Cα, esce dell’H2O e gli elettroni lasciati liberi dal legame con l’H
e dal legame con l’idrossile si riuniscono a formare un doppio legame, perciò si
forma un acido grasso con un’insaturazione.

Nella 6° reazione l’acido grasso insaturo, prendendo 2 elettroni e 2 protoni grazie


all’attività enzimatica che viene a trovarsi in quel momento, sotto all’acido grasso,
si ottiene la saturazione dell’acido grasso, perciò si forma un acido grasso saturo
costituito da 2 pacchetti di atomi di C.

Nella 7° reazione l’acido grasso saturo viene trasferito nella posizione iniziale e
il ciclo di produzione dell’acido grasso è terminato.

L’acido grasso a sua volta può essere ulteriormente allungato


grazie all’entrata del malonil-CoA sulla sommità dell’ACP e
questo malonil-CoA andrà a formare un legame con l’acido grasso appena
sintetizzato.
Perciò ancora una volta si forma un β-chetoacido, si introduce un Cβ con attaccato
dell’O proveniente dal gruppo carbossilico dell’acetile di partenza.
Successivamente avvengono tutte le modificazione che portano all’eliminazione
dell’O e riprodurre un acido grasso saturo a 6 atomi di C e così via.
Ad ogni giro la lunghezza dell’acido grasso aumenta di 2 residui.

Per sintetizzare un acido grasso saturo come il palmitato, a 16 atomi di C, perciò è


formato da 8 pacchetti da 2 atomi di C e i legami da sganciare sono 7 nel caso in
cui venga utilizzato il palmitato da bruciare all’interno della β-ossidazione, mentre
il numero di pacchetti da assemblare nella biosintesi è pari a 8.

Per la biosintesi del palmitato quindi è necessaria una molecola iniziale di acetil-
CoA, poi per riuscire ad effettuare l’allungamento è necessario aggiungere altri 7
malonil-CoA sulla testa della proteina ACP, in questo modo si riesce a produrre
palmitato e 7 molecole di CO2 come sottoprodotto.

Acetil-CoA + 7 Malonil-CoA → Palmitato + 7 CO2

Per produrre 7 malonil-CoA dall’acetil-CoA occorrono 7 ATP e l’aggiunta di ogni malonil-CoA


richiede 2 NADPH.
Inoltre bisogna rimuovere 7 O da 7 Cβ che si vanno a formare dopo il legame del malonil-CoA con
l’acido grasso in allungamento, per cui occorre una quantità pari a 35 molecole di ATP sotto forma
di NADPH, perciò 14 molecole di NADPH e altre 7 molecole di ATP necessarie per produrre le 7
molecole di malonil-CoA a partire dall’acetil-CoA, per cui un totale di 42 molecole di ATP.

8 Acetil-CoA + 14 NADPH + 7 ATP → Palmitato

Bruciando però il palmitato all’interno della β-ossidazione si producono soltanto 28 molecole di


ATP, perciò come tutti i processi di biosintesi richiede una quantità di energia che non viene mai
ceduta completamente nella successiva fase del catabolismo, perciò l'anabolismo è un processo
costoso che può essere effettuato soltanto quando vi è un apporto energetico abbondante, come
dopo un pasto.
Soprattutto la biosintesi degli acidi grassi è un processo costoso, dal punto di vista energetico,
perché dall’energia utilizzata per sintetizzare la molecola viene ricavato solamente il 67%
dell’energia utile per produrre contrazione muscolare.

La regolazione della biosintesi degli acidi grassi avviene a livello dell’enzima acetil-CoA
carbossilasi, infatti questo enzima può essere regolato o dalla concentrazione di substrati e
prodotti, anche se non sono direttamente i suoi substrati e prodotti della reazione da essa
catalizzata, ma sono comunque delle molecole che segnalano o la disponibilità di precursori per
la biosintesi degli acidi grassi o segnalano che gli acidi grassi si stanno accumulando e non
venendo smaltiti in nessun modo è necessario terminare la biosintesi.
In particolar modo l’ACC viene regolata da alti livelli di citrato che la attivano
perché segnalano la disponibilità del citrato che può essere trasformato in uno
dei precursori, dei reagenti, dei substrati dell’ACC che è l’acetil-CoA formato
dalla trasformazione del citrato in acetil-CoA e ossalacetato grazie all’azione
della citrato liasi.
Questo perciò comporta un aumento nella velocità di esecuzione dell’ACC.
Un’eccessiva concentrazione di palmitato, poiché normalmente l’acido grasso
viene trasformato in triacilglicerolo, quindi viene esterificato con il glicerolo, un
accumulo di palmitato o comunque di acido grasso nella forma libera,
segnala una ridotta necessità di produrre triacilgliceroli, perciò il palmitato
agisce come riduttore della via andando a diminuire la velocità di attività
dell’ACC.

La regolazione coordinata tra il catabolismo e l’anabolismo degli acidi grassi è controllata


dall’attività di 2 ormoni: insulina e glucagone.
In particolare questi 2 ormoni vanno a regolare l’attività dei 2 enzimi di comando delle vie: l’ACC e
la CAT1.
Questi ormoni diventano importanti per regolare la glicemia nel sangue e vengono secreti in
condizioni di ipo o iperglicemia.
In condizioni di iperglicemia, come dopo il pasto, l’insulina prende il comando della situazione e va
a defosforilare l’ACC rendendola attiva.
L’attività dell’ACC permette di produrre il malonil-CoA che serve per la biosintesi degli acidi grassi
e rappresenta l’inibitore della CAT1, l’enzima di
comando della β-ossidazione.
In questo modo l’insulina segnala l’iperglicemia
presente nell’individuo e la necessità di grosse
disponibilità di molecole che possono essere trasformate
in acidi grassi accendendo così la via di biosintesi degli
acidi grassi.
Nel caso in cui si verifichi un’ipoglicemia, come in condizioni di digiuno o attività fisica abbastanza
duratura, si scatena la produzione del glucagone che va ad attivare la PKA che essendo una
chinasi va a fosforilare l’ACC rendendola inattiva.
In questo modo viene segnalato che non è più il momento per la cellula di produrre acidi grassi,
ma è il momento di renderli disponibili perché vi è un altro tessuto in attività, come il tessuto
muscolare, oppure i tessuti, in caso di digiuno, hanno bisogno di sostenersi.
In questo modo il malonil-CoA cala, quindi non può più essere prodotto l’acido grasso e si stacca
dal CAT1 che si attiva e gli acidi grassi arrivati al tessuto muscolare possono essere indirizzati verso
la β-ossidazione per produrre energia, oppure nel caso in cui siamo nel fegato, gli acidi grassi
possono essere degradati, tramite β-ossidazione ad acetil-CoA che poi viene utilizzato per la
biosintesi dei corpi chetonici, i quali, dopo essere stati rimessi in circolo vanno ad alimentare i vari
tessuti.

Fondamentalmente i lipidi vengono assorbiti a livello intestinale e i lipidi assorbiti vengono smontati
e riassemblati all’interno dei chilomicroni prodotti a livello intestinale andando a veicolare
trigliceridi e colesterolo introdotti con la dieta ai tessuti muscolare e adiposo.
Le particelle rimanenti sono rimosse dal fegato.
I chilomicroni sono presenti in circolo solo dopo il pasto, mentre in circolo solitamente sono
presenti:

− Lipoproteine a densità molto bassa o VLDL (Very Low Density Lipoprotein): vescicole che
trasportano i trigliceridi sintetizzati dal fegato per i tessuti.
Le VLDL vengono messe in circolo, assorbite dal muscolo e
dalle altre cellule che necessitano di carburante
energetico.
Quelle che non vengono assorbite ritornano al fegato dove
sono assorbite.
− Lipoproteine a bassa densità o LDL (Low Density
Lipoprotein): trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti.
Sono note come le lipoproteine del "colesterolo cattivo".
− Lipoproteine ad alta densità o HDL (High Density
Lipoprotein): recuperano il colesterolo dai tessuti e lo
trasportano al fegato.
Sono note come le lipoproteine del "colesterolo buono".

Le lipoproteine sono caratterizzate da strutture associate a proteine che portano sulla


superficie proteine specifiche che le caratterizzano.

L’ESERCIZIO AD ALTA INTENSITÀ (HIT)

L’esercizio fisico ad alta intensità (High-Intensity Training, HIT) è l’esecuzione dello sforzo massimo
per un tempo variabile, ma comunque breve (da pochi secondi a 1-2 min, es. ciclismo ad alta
velocità, nuoto su distanze tra 50-100 m, corsa alla massima velocità su distanze tra 60 e 200 m e
buona parte delle attività di campo dell’atletica, il pattinaggio di velocità…).
Lo sviluppo della velocità e della forza richiede una grande quantità di ATP e per ottenere uno
sviluppo massimale bisogna che l’organismo utilizzi i sistemi di ripristino di ATP che permettono di
erogare la maggior potenza nell’unità di tempo.

Nell’esercizio ad alta intensità viene specialmente utilizzato il sistema della fosfocreatina e la


glicolisi, perciò vengono attivate la scissione della creatina fosfato per ricavare ATP e la
glicogenolisi che consente di mobilizzare le riserve di glicogeno per fornirle sotto forma di glucosio
per la glicolisi anaerobica.
Il metabolismo anaerobico, rispetto al metabolismo aerobico, è un
sistema di produzione molto rapido dell’energia in quanto comporta
un numero abbastanza ridotto di reazioni biochimiche.
Nell’esercizio HIT la grande quantità di ATP viene prodotta dalle vie
più veloci nella sua produzione.
Nello svolgimento fisico dell’esercizio vengono reclutate dapprima le fibre che dispongono, come
sistemi di ricarica di ATP, un metabolismo anaerobico come le fibre 2X glicolitiche.

La creatina fosfato è un aa molto semplice e fosforilato che grazie all’azione della creatina chinasi
è in grado di traferire il gruppo fosfato presente sulla creatina fosfato per fosforilare l’ADP e
trasformarlo in ATP che viene bruciato all’interno del muscolo per consentire alla miosina di
effettuare una nuova modificazione strutturale capace di spostarla un monomero più avanti sul
filamento sottile.
La riserva della creatina fosfato è fondamentale negli sport
che richiedono energia massimale in tempi brevi (es. corsa
veloce, sollevamento pesi, sprint dove lo sforzo si esaurisce
in 1 e 10 s).

Durante l’esercizio ad alta intensità, in primis viene attivato il consumo della fosfocreatina e della
glicolisi.
In uno studio effettuato sulle variazioni dei metaboliti all’interno del muscolo durante sedute di
ciclismo veloce (Sprint) per tempi da 6 a 30 sec (Cheetham 1986) si è notato, tramite una biopsia
muscolare, che sono aumentati i livelli di acido lattico (250% a 6 sec, 1000% a 30 sec) a dimostrare
che la glicolisi diventa maggiormente attiva all’aumentare della durata dello sforzo (sprint).
Inoltre diminuiscono i livelli della PCr e del glicogeno muscolare (glicolisi), il PCr cala maggiormente
del glicogeno, perciò il PCr viene consumato prima.
Il contenuto in ATP si è dimezzato rispetto alla fase di
riposo, calando però meno del PCr e altri metabolismi
contribuiscono a ripristinarlo.

NB: l’ATP è la forma più rapida di energia, ma il completo consumo determinerebbe un’eccessiva
rigidità muscolare (rigor mortis) con danneggiamento delle fibre muscolari (ATP necessario per il
distacco delle teste di miosina dai filamenti sottili).

Un’erogazione così veloce di energia richiede l’attivazione di un metabolismo altrettanto veloce


rappresentata dal metabolismo anaerobico.
L’attivazione rapida non può utilizzare come attivatore degli ormoni perché genererebbe una
sequenza di eventi troppo lenta (devono essere secreti nel sangue, trasportati nei muscoli, quindi
devono legarsi alle molecole dei recettori e attivare le molecole di segnalazione).
Invece la regolazione allosterica è immediata, perciò nell’esercizio ad alta intensità prevale
l’importanza della regolazione allosterica.

In particolare, nell’esercizio HIT, il muscolo comincia la contrazione con energia e potenza


massima, per cui il consumo di ATP rispetto alle condizioni di riposo, aumenta di 100 volte la
velocità di utilizzo di ATP, dunque questa richiesta di ATP molto elevata determina un consumo
dell’ATP che si trasforma in ADP, perciò aumentano i livelli di ADP nel muscolo.
Questi alti livello di ADP vengono recepiti dall’enzima miochinasi che catalizza la reazione di
conversione tra 2 molecole di ADP in una molecola di ATP e una di AMP.

2 ADP → ATP + AMP

L’ATP così prodotto viene impiegato nella contrazione muscolare, mentre l’AMP segnala lo stato di
deficienza energetica intracellulare dovuta all’esercizio in corso di svolgimento.

L’HIT modifica l’attività degli enzimi chiave per la degradazione della PCr (CK), per la glicogenolisi
(glicogeno fosforilasi), la glicolisi (PFK) con produzione di acido lattico (LDH) e la reazione della
miochinasi.
Inoltre comporta modifiche immediate della concentrazione di ATP ↓, ADP ↑, AMP ↑, Pi ↑ e Ca2+ ↑
non appena il muscolo inizia la contrazione.

L’AMP è uno dei modulatori della glicogeno fosforilasi che catalizza la trasformazione del
glicogeno in glucosio-1-fosfato, il quale poi può essere isomerizzato a glucosio-6-fosfato che viene
trasformato in fruttosio-6-fosfato…
Sia la glicogeno fosforilasi sia la fosfofrutto chinasi sono regolati
da effettori allosterici come l’IMP o inosina monofosfato che è
un prodotto di degradazione che deriva direttamente
dall’AMP.
L’AMP perciò è un regolatore allosterico perché non solo
attiva la glicogenolisi, ma consente anche di attivare la via
glicolitica che permette la trasformazione del glicogeno in
piruvato che in condizioni di massiccio sviluppo di energia
viene poi trasformato in lattato.

L’AMP è in grado di attivare una proteina definita proteina chinasi attivata dall’AMP (AMPK) che si
attiva promuovendo adattamenti del metabolismo.
L’AMPK possiede differenti substrati ed è in grado di fosforilare differenti proteine, in particolar
modo è in grado di attivare differenti vie.
Una via permette un’attività insulino-mimetica in quanto è in grado di attivare un meccanismo
che consente alle vescicole di GLUT4, contenute all’interno della fibra muscolare, di fondersi con la
membrana e riversare sulla membrana stessa il trasportatore del glucosio muscolare e
conseguentemente, consente alla cellula che avverte il bisogno di produrre energia perché è
aumentato l’AMP, perciò la fibra muscolare sta consumando glucosio, di rifornirsi di maggiori
quantità di glucosio che possono essere bruciate attraverso la
glicolisi per continuare la contrazione, in tempi brevi.
Inoltre l’AMPK prepara la cellula ad utilizzare anche un
metabolismo di seconda battuta, più duraturo che è il
metabolismo aerobico in quanto va ad attivare la CAT1 che è
l’enzima responsabile del trasporto degli acili all’interno del
mitocondrio, in particolare degli acidi grassi a catena lunga,
ma allo stesso tempo attiva anche il trasporto degli acidi grassi
all’interno delle cellule permettendo la gemmazione anche di
altre vescicole contenute all’interno della cellula rivestite di
una proteina trasportatrice degli acidi grassi chiamata CD36.
Questa proteina dunque viene veicolata sulla membrana e può internalizzare maggiori quantità di
acidi grassi.
In preparazione allo sfruttamento del metabolismo aerobico, la velocità di sintesi dell’ATP è minore,
cala la potenza esplosiva e di conseguenza cala la velocità di corsa.

L’AMP, dopo aver svolto il suo lavoro viene poi rimosso dalla cellula.
La miochinasi prende 2 molecole di ADP e le trasforma in
una molecola di ATP e una molecola di ADP.
L’ATP viene utilizzato per la contrazione muscolare, mentre
l’AMP attiva l’AMPK e viene degradata in IMP e NH3.
L’NH3 esce e viene deamminata, arriva nel plasma e va a
contribuire alla puzza di ammoniaca della maglietta
fradicia di sudore dopo un allenamento molto intenso.
L’IMP viene poi convertita in inosina, si libera del Pi, l’inosina a sua volta viene trasformata in
ipoxantina che viene liberata nel plasma dove poi viene convertita, arrivata ai reni, in xantina e poi
in acido urico che viene eliminato con l’urina.
I livelli di ipoxantina che si ritrovano nel plasma sono maggiori quanto maggiore è l’attività della
miochinasi che produce l’AMP e l’attività della miochinasi è indice dell’esercizio fisico, ragion per
cui i livelli di ipoxantina sono proporzionali alla quantità di esercizio che l’atleta ha svolto o sta
svolgendo.

La concentrazione ematica di ipoxantina è direttamente proporzionale allo stato di allenamento.


Gli indicatori biologici comunemente usati per valutare la risposta dell’atleta all'esercizio e
l'adattamento muscolare, quali: VO2max, concentrazione plasmatica del lattato, frequenza cardiaca,
sembrano avere un'applicabilità limitata.
Secondo uno studio recente, la concentrazione plasmatica di ipoxantina prodotta dal catabolismo
dell'ATP in condizioni anaerobiche è un indicatore dello stato di allenamento negli atleti
professionisti di livello ("atleti d'élite") altamente allenati.

In uno studio effettuato da Parolin (1999) sono state misurate le sorgenti di energia utilizzate
nell’esercizio HIT di durata di 6, 15 e 30 s.
È stata calcolata la velocità di ripristino dell’ATP e il contributo della PCr,
della glicolisi e dell’ossidazione aerobica.
In funzione del tempo «diminuisce il contributo alla produzione di
energia da parte della PCr e della glicogenolisi con l’aumento della
durata dell’esercizio, aumentano quello dei processi ossidativi».
Il risultato è una diminuzione della velocità di riconversione dell’ATP.

Parolin (1999) ha misurato anche la potenza ottenibile in 30 sec di


esercizio massimale (test Wingate).
«Il picco di potenza viene ottenuto nei primi 5 sec, seguito da un declino
costante nei successivi 30 sec».
Si assiste ad un uso predominante di PCr nei primi 5 sec, poi un aumento
della glicolisi nei successivi 25 sec, ed infine un utilizzo del metabolismo
aerobico con ulteriore calo di potenza, dovuto alla velocità limitata di
produzione dell’ATP.

La sessione di esercizio ad alta intensità utilizza i carboidrati a una


velocità molto elevata (metabolismo anaerobico).
Il glicogeno muscolare diminuisce rapidamente nelle fibre di tipo 2X con produzione di glucosio.
Il glucosio nelle fibre di tipo 2X può indurre la fatica per accumulo del lattato come prodotto finale
della glicolisi anaerobia.
L’accumulo di acido lattico determina un’acidificazione del pH intracellulare che raggiunge valori
introno a 6.5, quando il pH normale è 7, e poiché gli enzimi funzionano bene ad un pH introno a 7,
ad un pH più acido funzionano in modo minore.
Con il progredire dello sforzo e il consumo di glucosio, quindi l’accumulo di acido lattico determina
una fatica nella produzione di ATP grazie alla glicolisi anaerobica e questo determina poi la fatica
finale che spegne lo sforzo muscolare.
Numerosi studi sostengono che la prestazione in un singolo sprint o in sprint ripetuti è generalmente
superiore dopo una dieta ad alto contenuto di carboidrati rispetto ad una a basso contenuto di
carboidrati.

La dieta ricca di carboidrati sembrerebbe quella ottimale perché ritarda il raggiungimento del
livello di fatica rispetto alla dieta povera di carboidrati (alto livello di carboidrati: 6,65 min; basso
livello di carboidrati: 3,32 min).
Inoltre la dieta di ricca in carboidrati (50%, circa 4,5 g/kg di massa corporea al giorno per 3 giorni)
rispetto a una dieta povera di carboidrati (5%), ha prodotto un picco di potenza più alto dell’8% in
un test di 30 s di Wingate.
Diete a contenuto di carboidrati tra 25-80% hanno incrementato il picco di potenza nella stessa
misura.
Diete a contenuto in carboidrati ≥ 25% garantiscono la miglior prestazione esplosiva in atleti
impegnati in un singolo esercizio ad alta intensità che duri tra 30 sec e 5 min.

Gli integratori che hanno un effetto positivo possono essere: creatina, caffeina, β-alanina e
alcalinizzatori.

CREATINA
La PCr è un’importante fonte di energia per esercizi fisici ad alta intensità e il suo deposito si
esaurisce rapidamente.
L’ingestione di creatina per 1-5 giorni aumenta la quantità di PCr nel muscolo scheletrico e migliora
la prestazione negli esercizi HIT ripetuti piuttosto che nel singolo esercizio (MacLaren, 2011).

CAFFEINA
Il rilascio di Ca2+ è necessario negli esercizi ad alta intensità ed è anche essenziale per la
contrazione muscolare.
Il rilascio del Ca2+ sarcoplasmatico, attraverso il recettore della rianodina, aumenta il Ca2+
citosolico e attiva la contrazione muscolare.
La ricaptazione del Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico avviene attraverso la pompa del Ca2+
(SERCA) per consentire il rilassamento dei muscoli.
La caffeina provoca un aumento di forza e durata della contrazione del muscolo scheletrico
mediante aumento del rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico facilitando i cambiamenti
conformazionali nel recettore diidropiridina.
L’ingestione di caffeina da 30-60 min prima dell’esercizio HIT aumenta la potenza.
Inoltre la caffeina stimola il sistema nervoso centrale (SNC) e aumenta l’attività cerebrale.
β-ALANINA
Il muscolo scheletrico possiede la carnosina come tampone intracellulare naturale dell’acidità
causata dal metabolismo anaerobico.
L’ingestione di β-alanina per un periodo di 4 settimane o più incrementa la quantità muscolare di
carnosina che migliora la prestazione HIT.

ALCALINIZZATORI
Il bicarbonato di sodio, normalmente presente nel sangue, e il citrato di sodio disciolti in soluzione
acquosa impartiscono un pH basico e sono detti alcalinizzatori.
L’ingestione di bicarbonato di sodio e il citrato di sodio 2 o 3 ore prima dello sforzo HIT aumenta la
prestazione HIT se la durata dell’esercizio è superiore a 30 s, cioè nel momento in cui l’apporto
energetico proviene in modo prevalente dalla glicolisi anaerobica.

Alcalinizzatori e β-alanina possono anche essere usati in modo sinergico.

L’allenamento allo sprint porta ad un aumento della capacità di eseguire


esercizi alla massima intensità.
Migliorano sia il picco di potenza che la potenza media.

ENZIMI ALLENABILI
L’allenamento HIT aumenta l’attività del metabolismo anaerobico.
In soggetti non allenati, periodi di allenamento HIT (sprint massimali per 5-30 sec intervallati da
periodi relativamente lunghi di riposo) hanno permesso di osservare un aumento della glicolisi
(+20%) e un aumento della capacità di generare potenza (+8%).
La quantità di PCr muscolare non viene alterata, ma aumenta l’attività della CK (produce ATP dalla
creatina-fosfato).

In soggetti ben allenati, l’allenamento ad alta intensità non modifica l’attività massima degli enzimi
glicolitici e della CK.
Tuttavia sono stati rilevati significativi cambiamenti nella prestazione, suggerendo che i
cambiamenti nelle attività di questi enzimi non sono cruciali per il miglioramento della prestazione.

In soggetti non allenati, l’attività dell’enzima CK è più alta se il gruppo segue un programma di
allenamento di sprint breve (corsa massimale di 6 s e da 1 min di recupero) piuttosto che un
programma di allenamento di sprint lunghi (corse di 30 s a una velocità che richiede circa il 130% di
VO2max).

In soggetti non allenati, l’allenamento HIT aumenta la concentrazione di glicogeno muscolare.


Tuttavia il glicogeno muscolare non è un fattore limitante negli esercizi brevi ad alta intensità.

L’ESERCIZIO DI RESISTENZA

L’esercizio di resistenza è un esercizio di intensità costante, prolungato, con una durata variabile
tra 4 minuti e 4 ore (Whyte, 2006).
Comprende attività sulla media distanza (es. ciclismo su pista, canottaggio e nuoto) e lunga
distanza (es. corsa della maratona e a lunghe tappe ciclistiche su strada, come quelle del Giro
d’Italia).
L’esercizio di ultra-resistenza ha una durata superiore alle 4 ore, comprende attività come il
triathlon dell’Ironman o l’ultra-maratona (es. 100 km del passatore).
L’intensità dell’esercizio è costante e lo scopo degli atleti è quello di allenarsi alla massima potenza
possibile per un tempo più lungo possibile.

Il ripristino dell’ATP impiega il metabolismo ossidativo di carboidrati e lipidi forniti da:

• Fonti intramuscolari: glicogeno muscolare e trigliceridi intramuscolari (IMTG)


• Fonti extramuscolari: acidi grassi liberi plasmatici (FFA → derivati dalla lipolisi del tessuto
adiposo) e glucosio plasmatico (dal glicogeno epatico o dal glucosio alimentare)
Le proteine (aa) contribuiscono solo per una piccola percentuale alla produzione di ATP durante
l’esercizio (5%).

La regolazione metabolica durante l’esercizio di resistenza


dipende dalla la disponibilità dei substrati controllati dalla dieta e
dagli ormoni chiave come catecolamine e insulina. dall’attività
degli enzimi chiave coinvolti nelle vie metaboliche o
dall'abbondanza dei trasportatori dei substrati attraverso le
membrane cellulari e mitocondriali.

I meccanismi che modicano l’attività delle differenti vie energetiche che controllano il catabolismo
di lipidi e carboidrati possono essere variabili, di:

o Regolazione immediata delle vie: modulano l’attività degli enzimi di comando delle vie di
produzione dell’energia come:
▪ Fosforilazioni e defosforilazioni degli enzimi principali
▪ Modulatori allosterici : ADP, AMP, IMP, Pi, Ca2+, H+
▪ Concentrazione dei substrati: un aumento li attiva
▪ Concentrazione dei prodotti: un aumento li inibisce
o Regolazione ormonale: avviene su un periodo più lungo e permette di avere una
regolazione incrociata tra diversi tessuti come fegato, muscolo e tessuto adiposo, quindi
l’importanza di insulina e adrenalina
o Adattamento al tipo di esercizio: allenamento

L’allenamento modifica il modo in cui la cellula si approvvigiona di energia andando quindi a


influenzare: intensità dell’esercizio, durata, stato nutrizionale e livello di allenamento.

Per definire l’intensità dell’esercizio viene utilizzata la percentuale di VO2max.


Il 100% di VO2max è la capacità cardiopolmonare e la potenza massima in grado di erogare il corpo
allo stato attuale.
Con l’allenamento è possibile modificare il valore di VO2max, ma ogni giorno il nostro stato
corrisponde sempre al 100% di VO2max.
Possiamo effettuare allenamenti di forza ad intensità pari al 130% della VO2max (allenamento HIT)
con uno sforzo sopra massimale e l’utilizzo preferenziale del metabolismo anaerobico, ma
possiamo anche effettuare allenamenti di resistenza che comportano
un valore percentuale minore di VO2max rispetto al massimo che si può
erogare in modo duraturo, e in particolare comporta un’intensità che
va dal 25 al 90% con uno sforzo sotto massimale e permettono
soprattutto di utilizzare il metabolismo aerobico.

MODIFICAZIONI METABOLICHE CAUSATE DALL’INTESITÀ DELL’ESERCIZIO


Il contributo dei carboidrati e dei lipidi nella produzione di ATP varia in
funzione dell’intensità dell’esercizio.
A basse intensità il contributo prioritario è dei lipidi (60%) rispetto ai
carboidrati (40%).
Ad alte intensità il contributo prioritario è dei carboidrati (40%) rispetto ai
lipidi (30%).
A maggiori intensità dell’esercizio, perciò a ritmi più elevati, che richiedono
grandi quantità di energia e contrazione alla massima velocità possibile,
predomina il contributo dei carboidrati mentre cala il contributo dei lipidi.

Il consumo dei carboidrati è una via che garantisce le maggiori velocità rispetto al consumo dei
lipidi, tant'è che le fibre di tipo 2 sono prevalentemente a consumo glicolitico.
Allo stesso modo, in condizioni aerobiche, maggior intensità di sforzo richiede un maggior
quantitativo di ATP prodotto e consumato dalla contrazione.
Analizzando il contenuto dei sottoprodotti dell’ATP, ossia ADP e AMP, tramite biopsia, all’interno del
muscolo dopo un esercizio di 10 minuti, si nota che con l’aumento dell’intensità dello sforzo,
aumenta la produzione di ADP e di AMP che confermano che c’è stata un’aumentata richiesta di
ATP per la contrazione più veloce.
Maggiore è l’intensità della contrazione più ATP viene
consumato e i livelli di ADP e AMP aumentano.
ADP e AMP però, oltre ad essere dei sottoprodotti
della glicolisi, sono anche degli attivatori allosterici
per la fosfofrutto chinasi, segnalano all’enzima che
qualcosa sta consumando ATP e quindi la cellula ha
bisogno che venga prodotto più ATP, perciò si attiva
la fosfofrutto chinasi che attiva la via della glicolisi
che permette, come ultimo prodotto, la formazione
del piruvato.
Questo è possibile verificarlo perché all’interno del
muscolo è aumentata l’attività della piruvato deidrogenasi, la quale è aumentata in maniera
proporzionale in base all’intensità dell’esercizio.
Poiché la piruvato deidrogenasi viene attivata solamente dall’aumento di piruvato, questo significa
che è aumentata la glicolisi all’interno del muscolo.
Inoltre segnala che è aumentata l’ossidazione aerobica del glucosio perché la piruvato
deidrogenasi è attiva soltanto in condizioni aerobiche.
L’aumento dell’intensità dell’esercizio determina un’aumentata ossidazione del glucosio.

Se da un lato aumenta il metabolismo del glucosio, con l’aumento dell’intensità


dell’esercizio, si riduce il consumo dei lipidi.
L’aumento del glucosio è dovuto, fondamentalmente, all’aumento della richiesta
energetica.
In condizioni basali, si osserva la presenza di acidi grassi liberi nel plasma che
tende ad aumentare man mano che aumenta l’intensità dell’esercizio.
Questi acidi grassi liberi vengono messi in circolo dal tessuto adiposo grazie alla
lipolisi che scinde i lipidi in acidi grassi e glicerolo.
Gli acidi grassi sono liberati dal tessuto adiposo e si associano all’albumina, una
proteina di trasporto, grazie alla quale raggiungono il muscolo dove poi vengono
liberati.
Il glicerolo prodotto invece, viene parzialmente utilizzato per necessità
energetiche del tessuto adiposo, per produrre energia all’interno della glicolisi e
in parte può uscire dalla cellula dove diffonde e viaggia libero nel sangue.
Quello che si osserva è che con l’aumentare dell’intensità dell’esercizio si osserva una strana
riduzione del livello degli acidi grassi liberi, all’85% di VO2max.
Tale riduzione degli acidi grassi liberi potrebbe essere dovuta ad una modificazione, da parte
dell’esercizio intenso, della lipolisi che avviene a livello del tessuto adiposo, cioè se il tessuto
adiposo rilascia meno acidi grassi è ovvio trovarne meno in condizioni di esercizio, ma non è così
perché quando aumenta il livello degli acidi grassi aumenta anche il livello di glicerolo, perciò
normalmente dovrebbero aumentare entrambi all’aumentare dell’intensità.
Invece, ciò che si osserva ad alta intensità, è una riduzione degli acidi grassi non accompagnata
dalla riduzione del glicerolo, il quale anzi aumenta, questo ci fa dedurre che anche in caso di
esercizio ad alta intensità, la lipolisi avviene.
La riduzione degli acidi grassi liberi si pensa essere dovuta ad una ridistribuzione del circolo a
seguito di un esercizio più intenso, cioè in caso di esercizio intenso il flusso ematico è dirottato
particolarmente a livello dei muscoli per sostenere la contrazione, quindi arriva poco sangue al
tessuto adiposo e visto che gli acidi grassi che escono dal tessuto adiposo necessitano
dell’albumina presente nel sangue allora bassi livelli di acidi grassi possono legarsi a questa
proteina e vengono presto riassorbiti.
Il glicerolo invece è libero di diffondere nel sangue.
Se da un lato l’aumento dell’intensità dell’esercizio riduce il quantitativo di acidi grassi liberi,
diminuisce anche l’ossidazione dei lipidi, attraverso la β-ossidazione, nelle fibre muscolari.
In particolare somministrando agli atleti un supplemento di oleato (lipide a 18 atomi di C) o
octanoato (lipide a 8 atomi di C).
L’oleato per entrare all’interno del mitocondrio necessita della presenza della carnitina per essere
trasportato all’interno del mitocondrio e bruciato nella β-ossidazione.
L’octanoato invece, essendo più corto di 12 atomi di C, può entrare normalmente all’interno del
mitocondrio.
L’assorbimento di oleato, nel caso di un esercizio al 40% di VO2max è circa del 70%, mentre l’atleta
impegnato in un esercizio ad intensità pari all’80% di VO2max, l’assorbimento diminuisce
drasticamente andando a raggiungere una percentuale di assorbimento di circa il 50%.
Ciò però non si verifica nell’octanoato, indipendentemente dallo stato d’intensità dell’esercizio
poiché i livelli di octanoato che entrano nel mitocondrio sono similari.
Questa ridotta entrata dell’oleato all’interno del
mitocondrio è dovuta al legame con la carnitina, quindi
all’attività dell’enzima CAT1.
Un ridotto assorbimento di oleato, aumentando l’intensità
di esercizio, fa pensare al fatto che sia determinato da un
calo dell’attività della CAT1.

Un aumento dell’intensità dell’esercizio determina un maggiore afflusso di piruvato proveniente dal


glucosio che aumenta l’attività di PDH, la quale determina l’aumento dell’acetil-CoA proveniente
dal glucosio.
Se la quantità smodata di acetil-CoA prodotta all’interno del mitocondrio non può essere bruciata
dal ciclo di Krebs, l’eccesso di acetil-CoA potrebbe inibire la PDH, perciò potrebbe essere
bloccata la via che consente di trasformare il piruvato che deriva dal glucosio necessario per
produrre ATP ad alti livelli, ragion per cui la
carnitina si fa carico di questo acetil-CoA e
si trasforma in acetil-carnitina che non può
uscire dal mitocondrio ed essere utilizzata
dall’enzima CAT1 per portare dentro una
molecola di acil-CoA.
Per evitare un accumulo momentaneo di
acetil-CoA che non viene utilizzato dal ciclo
di Krebs, la carnitina si fa carico di questo
prodotto e si trasforma in acetil-carnitina tramite un enzima.
La carnitina non può più fuoriuscire dal mitocondrio per essere riversata nel citosol, dove serve
come substrato per la CAT1 che grazie alla carnitina permette il trasporto degli acidi grassi nel
mitocondrio.
La ridotta entrata di acidi grassi nel mitocondrio comporta una ridotta β-ossidazione degli acidi
grassi, in particolare di quelli a catena lunga.

Con l’aumentare dell’intensità dell’esercizio aerobico, il livello di


carnitina va via via calando, mentre aumenta la quantità di acetil-
carnitina perché la carnitina cerca di assorbire l’eccesso di acetil-CoA
che viene prodotto da un maggiorato influsso di prodotti di
degradazione del glucosio, attraverso la glicolisi.
Se l’acetil-carnitina non è più carnitina, non è più in grado di essere un
substrato della CAT1, quindi cala la disponibilità di carnitina e si ha una
ridotta entrata di acili all’interno del mitocondrio, perciò un ridotto
rifornimento della β-ossidazione, la quale rallenta.

In definitiva, la biochimica ci insegna che: «Se aumento il ritmo di un esercizio di resistenza


consumo in modo preferenziale il glucosio».
Per cui prima di un allungo, se voglio sostenerlo, sarebbe consigliabile integrare con carboidrati
prima e durante l’esercizio.

MODIFICAZIONI METABOLICHE PRODOTTE DALLA DURATA DELL’ESERCIZIO


L’esercizio prolungato nel tempo, a intensità costante, aumenta
l’ossidazione lipidica e riduce la velocità di ossidazione dei carboidrati.
Oltre le 2 ore di esercizio, il contributo energetico dei lipidi per produrre
energia è prevalente, mentre risulta essere ridotto il consumo degli
zuccheri.

Questa riduzione è dovuta al fatto che il livello di


attività della PDH, all’aumentare del tempo, aumenta fino a 2 ore di
esercizio e poi cala progressivamente.
Il glicogeno muscolare ed epatico è ormai consumato ed è ridotta anche
l’attività gluconeogenica del fegato, alimentata solo dalla degradazione
delle proteine.
La difficoltà a mantenere i livelli glicemici adeguati crea un’ipoglicemia
che stimola la produzione di glucagone che blocca la PK impedendo la
produzione di piruvato.

L’esercizio prolungato nel tempo consuma il glucosio


che comporta una riduzione dei livelli di piruvato e una
riduzione dell’attività della PDH.
Si riduce il livello di acetil-CoA derivato dai carboidrati,
l’acetil-carnitina ritorna ad essere carnitina, perciò
ritorna ad essere disponibile come substrato per la
CAT1, quindi aumenta la β-ossidazione.
Attraverso questo sistema l’esercizio prolungato riesce a migliorare il consumo della β-ossidazione.
«Il muscolo inizia dal dolce, ma quando finisce…passa al salato».

MODIFICAZIONI METABOLICHE PRODOTTE DALLO STATO NUTRIZIONALE


Poiché l’apporto dei carboidrati o dei lipidi prevale a seconda della durata
dell’esercizio fisico, si usano strategie nutrizionali differenti a seconda della
distanza da percorrere.

Gli atleti impegnati in esercizi di resistenza adottano spesso un regime


dietetico di carico dei carboidrati, così da aumentare la scorta di glicogeno
muscolare.
Vengono svolti esercizi fino allo sfinimento intesi a esaurire le scorte di glicogeno, seguiti da una
dieta ricca di carboidrati per indurre una grande velocità di risintesi di glicogeno che arriva a livelli
maggiori rispetto alla situazione precedente.
Tale regime alimentare, assunto non solo in prossimità delle gare, permette di sostenere carichi di
lavoro maggiori anche durante gli allenamenti, aumenta
l’allenabilità dell’atleta.

Il metabolismo aumenta il consumo dei carboidrati, anche in


condizioni di esercizio < 65% VO2max in cui, in condizioni normali,
prevale il consumo dei lipidi.

In caso di esercizio di resistenza prolungata, l’ossidazione dei


carboidrati diventa meno importante e cresce l’importanza del
contributo dei lipidi.
Si usano strategie nutrizionali per aumentare la disponibilità di FFA e
l’ossidazione lipidica.
Tale strategia nutrizionale prende il nome di adattamento lipidico e
consiste in una dieta ad alto contenuto di grassi (e basso contenuto di
carboidrati, come la chetogenica) per un periodo fino a 2 settimane, durante il quale si esegue un
protocollo di allenamento normale per intensità e volume, seguito da una dieta per 13 giorni ad
alto contenuto di carboidrati accompagnata da una forte riduzione dell’allenamento.
In queste condizioni i carboidrati vengono trasformati in grassi.

La dieta a contenuto prevalente di lipidi (per 6 giorni) aumenta


l’ossidazione dei lipidi e riduce l’ossidazione dei carboidrati.
Durante l’esercizio svolto, nonostante sia stato ripristinato il livello dei
carboidrati, al giorno 6 si vede una netta riduzione nel consumo dei
carboidrati e si vede un aumento dell’ossidazione dei lipidi.
Nella dieta a carico lipidico il muscolo si è adattato ad utilizzare i lipidi
come fonte prevalente e di conseguenza permette un risparmio di
glicogeno.

Dopo una dieta a carico dei lipidi aumentano gli FFA e il glicerolo plasmatici, perciò aumenta la
lipolisi nel tessuto adiposo, aumenta il contenuto dei trigliceridi intramuscolari e aumenta l’attività
della HSL nel muscolo a riposo (aumento della lipolisi nel muscolo).
L’adattamento lipidico quindi, attraverso un aumento cronico della disponibilità di FFA plasmatici
(dovuto al consumo di una dieta ricca di grassi), aumenta la capacità muscolare di sintetizzare
trigliceridi e di metabolizzarli.

Il ridotto utilizzo dei carboidrati comporta una ridotta attività della PDH
anche durante l’esercizio e questo può rappresentare un problema.
Nei soggetti sottoposti all’adattamento lipidico i livelli di PDH sono più
bassi rispetto ai soggetti che hanno assunto una dieta ricca in
carboidrati.
Nel minuto di sprint finale, i livelli di PDH si sono mantenuti inferiori, per
cui l’attività della PDH è venuta a mancare nel momento in cui serviva
la disponibilità del glucosio.
Gare caratterizzate da lunghi tratti a ritmo lento, ma anche da brevi tratti di esercizio fisico ad alta
intensità (sprint) richiedono un’elevata velocità di ossidazione dei carboidrati (e quindi dell’attività
di PDH).

MODIFICAZIONI METABOLICHE PRODOTTE DALLO STATO DI ALLENAMENTO


L’allenamento di resistenza causa un elevato numero di adattamenti:

➢ Fisiologici: aumento dell’assorbimento massimale dell’O2, ritardo nel raggiungimento della


soglia del lattato
➢ Metabolici: aumento delle dimensioni e del numero dei mitocondri, per produrre ATP
attraverso il metabolismo ossidativo; aumento della densità capillare, delle proteine di
trasporto dei substrati, dell’attività degli enzimi coinvolti nelle principali vie metaboliche,
della capacità del muscolo scheletrico di depositare glicogeno e trigliceridi; riduzione
dell’uso dei carboidrati con un concomitante aumento dell’ossidazione lipidica

Metabolismo dei carboidrati


L’allenamento riduce l’uso del glicogeno.
Osservando il consumo di glicogeno nei primi 15 minuti di esercizio
all’80% di VO2max, eseguito prima (PRE) e dopo (POST) 7 settimane di
allenamento si è notata una riduzione della glicogenolisi rilevata dopo
l’allenamento, dovuta a meccanismi allosterici (ridotto contenuto di
ADP, AMP e Pi) che portano ad una ridotta attività della glicogeno
fosforilasi.
Questo è dovuto al fatto che l’allenamento riduce il consumo di glucosio
per riduzione dell’attività della glicolisi e della PDH.
Che l’allenamento riduca l’uso del glucosio è dimostrato anche
dai livelli di glucosio ematici (minor ipoglicemia da esercizio).
L’allenamento determina un abbassamento dei livelli di
glicemia e negli atleti allenati, dopo 31 giorni l’ipoglicemia è
inferiore rispetto agli atleti prima dell’allenamento e questo
dimostra che in seguito all’allenamento, il muscolo dell’atleta
impara a consumare meno glucosio e quindi sono meno
frequenti le ipoglicemie e l’atleta corre in modo più lucido visto che il cervello consuma zucchero
per funzionare.

Metabolismo dei lipidi


L’allenamento di resistenza sposta il consumo dai carboidrati ai lipidi (maggiore ossidazione dei
lipidi).
Gli atleti più allenati presentano un contenuto di acidi grassi
maggiori rispetto agli atleti nella condizione iniziale, quindi
l’allenamento aumenta il consumo di FFA plasmatici.
Tuttavia, durante la fase di attività fisica si ha un aumento di FFA
presenti nel sangue, ma nel caso del muscolo allenato questi
livelli di acidi grassi, pur essendo attiva la lipolisi, è più lento
negli atleti più allenati rispetto a quelli nella fase di pre-
allenamento, ciò significa che nel muscolo il ridotto livello di
acidi grassi nel sangue può essere dovuto ad un maggior
assorbimento degli acidi grassi da parte del muscolo.

Nella gamba allenata si ha un maggior assorbimento di acidi grassi,


cosa che non si verifica nella gamba non allenata, perciò
l’allenamento serve ad aumentare la captazione e l’assorbimento
muscolare degli acidi grassi, motivo per il quale aumenta il consumo
dei lipidi durante l’esercizio di resistenza.
Durante l’allenamento di resistenza incrementa il contenuto proteico
di FABPpm e FAT/CD36, 2 trasportatori degli FFA nel muscolo, e
aumenta la lipolisi dei depositi di trigliceridi intramuscolari (IMTG).

Il muscolo in seguito all’allenamento di resistenza esprime maggiori livelli


della lipasi dei trigliceridi del tessuto adiposo (ATGL) che incrementa la
lipolisi di IMTG.

Inoltre aumenta il trasporto degli FFA a catena lunga nel


mitocondrio, infatti la percentuale di oleato assorbito e
ossidato è più alta nei soggetti allenati rispetto a quelli
non allenati.
Al contrario, l’assorbimento e l’ossidazione di octanoato
non è diversa nei diversi stati di allenamento.

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