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Sotto il nome generico di "Siria" è compreso il territorio, chiamato dai

Babilonesi "Amurru", che confina a nord con i monti Amano e Tauro, limiti
della Cilicia e della Cappadocia, ad est con l'Eufrate e il deserto, a sud con
l'Arabia e il cui territorio con i suoi abitanti Nabatei costituiva il ponte di
passaggio con l'Arabia; questi sono i confini che aveva la Siria al tempo
dell'Impero Romano (Nota di Lunaria: e che avrebbe fatto meglio a
mantenere...).

Più particolarmente diamo il nome di Aram a quella regione che si stende


dalla catena dell'Antilibano verso il deserto della Siria e l'Eufrate e che
comprendeva anche lo Stato di Palmira; il nome di Fenicia al territorio tra il
Libano e il mare e il nome di Canaan al paese limitato a est dai monti a
oriente del Giordano e a ovest dal Mediterraneo.

Gli scavi di Gerico con i loro venti strati sovrapposti (Nota di Lunaria: il libro
è del 1953; possiamo immaginare che nei decenni successivi gli archeologi
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avranno scoperto molto di più) hanno dimostrato che già da 6000 anni a.C
vivevano su quella collina gruppi umani di civiltà mesolitica e già fin dal
Terzo Millennio l'Egitto fa sentire la sua supremazia sulla regione siro-
palestinese politicamente divisa in principati. Altri popoli che stazionarono
in questa zona furono i Cananei, gli Aramei, Hittiti e Assiri (che se la
contesero), Persiani. Nel 333 divenne provincia con a capo Alessandro
Magno e nel 64 provincia romana. Fu nel 632 che venne occupata dagli
Arabi e questo segna il passaggio dal politeismo a monoteismo islamico.

Per quel che riguarda la religione degli Aramei, notizie le troviamo nei libri
storici e profetici della Bibbia (Nota di Lunaria: ovvero troviamo
mistificazioni e calunnie sui culti Aramei che probabilmente non
scopriremo mai nella loro essenza veritiera, dal momento che è noto che
la bibbia diffama qualsiasi cosa appartenesse ai popoli politeisti...); vanno
anche ricordate le iscrizioni assiro-aramiche di Nimrud e Kuyungik (Ninive)
che contengono nomi teofori, le stele di Zakir e l'iscrizione di Sugin (VIII
secolo) e le iscrizioni di Zingirli (sec. IX-VIII), Teima (V secolo) e Palmira.
Abbiamo poi il trattato di Luciano (De Dea Syria) e la stele di Mesha dov'è
menzionato il nome del Dio Kemosh, Dio supremo dei Moabiti.

Analogamente per i Fenici abbiamo gli scavi di Ras Shamra con 5 poemi
mitologici in lingua protofenicia e in caratteri cuneifomi

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I primi segni fenici, in confronto con altri alfabeti

I poemi mitologici sono intitolati: Il ciclo di Baal, Il Poema degli Dei graziosi
e belli, l'Inno alla Dea Nikal, La leggenda di Keret, la Leggenda di Aqhat,
figlio di Danel.

Abbiamo inoltre la Cosmogonia Fenicia di Filone di Biblo e una Cosmogonia


Fenicia di Damascio, ma non sono fonti pure perché forse corrotte da
elementi neoplatonici.

Comunque, in generale, possiamo dire che per Cananei, Nabatei,


Palmireni, Fenici, il Dio principale era El, chiamato con gli attributi di
"Signore, Padrone", Baal (*), "Re", Malek (**), "Signore" (Adon) (***)

(*) Infatti Baal non è il nome del Dio in sé, ma un suo attributo, come del
resto succedeva per il dio ebraico appellato con attributi e aggettivi ma
mai col "nome vero", sempre ammesso che poi l'avesse avuto o lo si fosse
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davvero conosciuto.

(**) Vedi il nome di Allah, Al Malik (il Re), ‫ اﻟﻤﻠﻚ‬che si usa anche oggi.

(***) Nome rimasto poi per il dio ebraico: Adonai, "Mio Signore"

El, quindi, questo Dio Supremo comune a più popoli, dominava nel cielo
(Baal-samin) e sulla terra; conforme allo stato sociale delle divinità, gli Dei
erano adorati specialmente sulle colline (*)

(*) sì, i Bamoth, i "Luoghi Alti", e lo sappiamo anche dalla bibbia, perché
agli ebrei era stato proibito di andare "sulle colline" e nei "luoghi edificati
in alto" dove si adoravano gli Dei cananei ecc., specialmente della fertilità.
Per questo la storia della figlia di Iefte che "va a piangere sui monti la sua
verginità" può essere letta anche così, per chi conosce le forme di culto
che si tributavano ai tanti Baal, ovvero gli Dei Signori della fertilità:

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"Piangere sui monti la verginità..."

La forma materiale in cui la divinità veniva effigiata era quella della pietra
rozza considerata come la dimora del Dio Bait-el da cui i Greci derivarono il
Betile: i sassi di forma rozza, piantati a terra, a mo' di fallo, singoli, a coppia
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o in file,

Menhir; la sua variante semita è il Masseboth.

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Betile pre-islamico: il culto alla Dea Al Uzza

La forma è sempre grezza, ricavata dal sasso

costituivano un elemento importante del culto Cananeo (*) accanto


all'Asherah (vedremo più sotto chi era Asherah e come era celebrata. Nota
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di Lunaria)

(*) Scopiazzato in pieno dagli ebrei: vedi questo commento di Mircea


Eliade tratto da "Trattato di Storia delle religioni"

"Zimmern ha mostrato che "Beth-el", ‘casa di Dio’, è insieme nome divino


e appellativo della pietra sacra, del betilo. Giacobbe s'è addormentato
sopra una pietra, nel punto dove il Cielo e la Terra sono in comunicazione;
era un ‘centro’ corrispondente alla ‘Porta dei Cieli’. Ma il Dio che appare in
sogno a Giacobbe è il Dio di Abramo, come rileva il testo biblico, o è una
divinità locale, il dio di Bethel, come credeva nel 1921 il Dussaud? I testi di
Ras Shamra, che sono preziosi documenti per la vita religiosa dei Semiti
premosaici, dimostrano che "El" e "Bethel" sono i nomi equivalenti di una
stessa divinità. In altri termini, Giacobbe nel suo sogno ha visto il Dio dei
padri e non una divinità locale. Per consacrare il luogo ha eretto un betilo,
venerato in seguito dagli indigeni come una certa divinità, Bethel. Le
"élites" monoteiste fedeli al messaggio di Mosè hanno sostenuto lunghe
lotte contro quel ‘dio’, quelle lotte che Geremia ricorda. ‘Si può tenere per
dimostrato che, nel famoso racconto della Visione di Giacobbe,... il dio di
Bethel non era ancora il dio Bethel. Ma l'identificazione e la confusione
poterono avvenire piuttosto rapidamente negli ambienti popolari’. Dove
Giacobbe vide secondo la tradizione - la SCALA degli angeli e la casa di
Dio, i contadini palestinesi vedevano IL DIO BETHEL.
Ma è bene ricordare che, quale che fosse il dio riconosciuto in Bethel dalle
popolazioni autoctone, la PIETRA rappresentava tuttavia soltanto un
SEGNO, una casa, una teofania. La divinità si MANIFESTAVA per il tramite
della pietra, oppure - in alcuni rituali - doveva ATTESTARE e santificare
un patto concluso nelle sue vicinanze. Questa TESTIMONIANZA
consisteva, per la coscienza popolare, nell'incarnazione della divinità in un
sasso, e per le "élites", in una trasfigurazione del sasso mediante la
presenza divina. Dopo aver concluso il patto fra Jahvè e il suo popolo,
Giosuè ‘prese una grossissima pietra, la collocò sotto la quercia che era nel
santuario del Signore, e disse a tutto il popolo: ‘Questa pietra sarà in
testimonianza per voi, che avete udito tutte le parole dettevi dal Signore,
affinché non avvenga che voi vogliate negare...’ . Dio è ‘testimonio’ anche
nelle pietre erette da Labano in occasione del suo patto di amicizia con
Giacobbe. Simili pietre-testimoni furono probabilmente adorate dalle
popolazioni
cananee in quanto manifestazioni della divinità.
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La lotta delle "élites" monoteiste mosaiche era condotta contro la
confusione frequente fra il SEGNO della presenza divina e
l'INCORPORAZIONE della divinità in un qualsiasi ricettacolo. ‘Non vi farete
idolo né scultura, non erigerete pilastri ("masseba", ‘pietra sacra’), né
porrete nella vostra terra segnali cospicui ("maskit", ‘pietra figurata’) per
adorarli’. E nei "Numeri" (33, 52) Dio ordina a Mosè di distruggere le pietre
cultuali che avrebbe incontrato in Canaan:
‘Spezzate i pilastri scolpiti ("maskitim"), fate in bricioli le statue,
distruggete tutti gli altari dei luoghi alti’. Qui assistiamo non a un conflitto
fra la fede e l'idolatria, ma al combattimento di due teofanie, di due
momenti dell'esperienza religiosa: da una parte la concezione arcaica, che
identificava la divinità con la materia e la adorava, quale che fosse il luogo
o la forma dell'apparizione divina; d'altra parte una concezione sorta
dall'esperienza di un'"élite", che riconosceva la presenza divina soltanto
nei luoghi consacrati (l'arca, il tempio, eccetera) e in certi riti mosaici, e
cercava di confermare questa presenza nella coscienza stessa del
credente.
Come per solito avviene, le antiche forme e oggetti cultuali, una volta
modificato il loro significato e il loro valore religioso, furono adottati dalla
riforma religiosa. Nell'Arca dell'Alleanza, ove secondo la tradizione si
conservavano le Tavole della Legge, erano state forse racchiuse in origine
certe pietre cultuali consacrate dalla presenza divina. I riformatori
accettavano questi oggetti, valorizzandoli entro un complesso religioso
diverso, conferendo loro un contenuto completamente differente. Ogni
riforma, insomma, viene fatta contro una degradazione dell'esperienza
originaria; la confusione fra SEGNO e DIVINITA' si era aggravata negli
ambienti popolari, e appunto
per eliminare il pericolo di tali confusioni, le "élites" mosaiche
distruggevano I SEGNI (le pietre figurate, le immagini scolpite, eccetera) o
ne trasformavano il significato (‘Arca dell'Alleanza’). La confusione che
rapidamente ricompariva sotto altre forme, determinava nuove riforme,
vale a dire una nuova proclamazione del significato originario."

Mircea Eliade parla a fondo anche del culto dei sassi: "Ricerche recenti
hanno dimostrato che gli Arabi preislamici veneravano certe pietre
chiamate dai Greco-latini "baytili", parola di origine semitica che significa
‘casa di Dio’. Del resto tali pietre sacre non furono venerate soltanto nel
mondo semitico, ma anche dalle popolazioni dell'Africa del nord, anche
prima dei loro contatti con i Cartaginesi. Ma i betili non furono mai adorati
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in quanto SASSI, lo furono soltanto nella misura in cui manifestavano una
PRESENZA DIVINA. Rappresentavano la ‘casa’ di Dio, erano il suo segno, il
suo emblema, il ricettacolo della sua forza o il testimonio incrollabile di un
atto religioso compiuto in suo nome [...] Per la coscienza religiosa del
primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una
ierofania. Non v'è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza
della sua forza, e non v'è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia
maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. IL SASSO,
ANZITUTTO, E'. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante
di tutte, COLPISCE. Ancor prima di afferrarla per colpire, l'uomo urta
contro la pietra, non necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo
sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza.
La roccia gli rivela qualche cosa che trascende la precarietà della sua
condizione umana: un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua
inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani:
attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua
grandezza e nella sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l'uomo
incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo DIVERSO da quel
mondo profano di cui fa parte."

Le stesse lapidi cristiane potrebbero essere considerate una litolatria o


una superstizione di magalite funerario, in quanto pietra che si carica di
sacralità (la tomba, il ricordo della morte di un vivente). Nota di Lunaria

I "sassi" che per i cristiani sono sacri...


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Oltre ai "Luoghi Alti", sui quali si sta più vicino alla Divinità, i Semiti di Siria
avevano attribuito un valore divino a tutto ciò che nella natura manifesta
la potenza feconda della vita: alberi, fonti, laghi e hanno veduto nei
fenomeni grandiosi dell'atmosfera il gesto e la voce del Dio che domina
sugli uomini, correndo fra le nubi del cielo.

Nota di Lunaria: altra cosa scopiazzata dagli ebrei: "egli arma le mani di
folgori e le scaglia contro il bersaglio; lo annunzia il suo fragore, riserva d'ira
contro l'iniquità, udite udite il rumore della sua voce, il fragore che esce dalla
sua bocca, il lampo si diffonde sotto tutto il cielo e il suo bagliore giunge ai
lembi della terra, dietro di essi brontola il tuono, mugghia con il suo fragore
maestoso e nulla arresta i fulmini..." (Giobbe, XXXVI, 32 - XXXVII,7)

Insomma, il solito scopiazzamento ebraico preso da Teshub o Ishkur, tanto


per restare lì, in zona pre-semita...

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Gli Dei Sumeri Ishkur e Adad (adorato a Damasco, chiamato anche
Rimmon o Addu dagli Amorriti) e l'Hittita Teshub, Dei che servirono da
modello per il dio ebraico: anche loro maneggiano fulmini e tuoni. Altro
Dio del fulmine era Reshep (Palestinese), poi importato in Egitto (come la
Dea Anat)

Shamash/Shemesh, Dio Solare. Riferimenti solari e lunari li si trova anche

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nella bibbia e nel corano.

Altro Dio del Sole è Dushara, assimilabile a Dioniso. La sposa di Dushara era
Manat

o, nella Triade pre-islamica:

che insieme a Qaysha (legata alle tombe a i luoghi di sepoltura) formavano


una Triade

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Sahar/Sin, il Dio Lunare

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Stella (Venere), Luna, Sole: una costante che compare su quasi tutti i
reperti storici
Ricordo del culto a Sin lo si trova nel nome del monte Sinai (poi
"ebracizzato" dal monoteismo ebraico) e nel deserto di Sin a sud di
Canaan.

Dagon era un altro Dio, non molto definito: dovrebbe essere il Dio
supremo dei Fenici e dei Cananei, forse assimilabile al Crono dei Greci. In
seguito fu adorato dai Filistei; la bibbia ovviamente lo cita in modo da
diffamarlo (e quindi diffamare anche i popoli che lo adoravano) nel Libro
del Re.

(I Re, v. 3-5)

A Palmira, poi, ad essere adorata era una Triade di Dei: Bel (Baal), Yarhibol
(una sorta di Sol Invictus), Aglibol (Divinità Lunare)

I Pantheon sono così simili perché gli scambi commerciali delle carovane
permettevano che anche gli Dei e le Dee venissero esportati e fusi con i
precedenti o le Divinità locali in un sincretismo e imitazione che ne
rendono lo studio più complicato: e così la semita-elamita Nanaia (la Nane

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Armena) è connessa ad Artemide cacciatrice

come Azzanathkona e altre Dee e Dei misterici (Syria, Mithra)

Il Pantheon fenicio è uguale a quello siro e cananeo; i Fenici erano


commercianti erranti per tutti i mari e anche loro avevano Baal e Melek
vari, con le rispettive Dee compagne del Dio in questione; il più importante
era il Dio nazionale Melkart "Re della città", il cui culto era diffuso dai
fenici che emigravano in colonie nei paesi lontani; la Bibbia lo diffama
associandolo a Moloch e al sacrificio dei fanciulli. Altri Dei erano Eshmun,
analogo ad Asclepio e Sakun (assimilato ad Ermete); Arsu e Azizu erano i
protettori delle carovane.

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La Dea Atargatis, assisa in trono tra due leoni e il Dio Hadad;

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Il Dio Aphlad in piedi su due grifoni alati, rivestito di corazza: nella sinistra
ha lo scettro, nella destra il fulmine e accanto a lui un fedele gli offre una
libagione;

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Azzanathkona, assimilabile ad Artemide.

Così Mircea Eliade parla di Atargatis:

"Ben inteso che, nelle civiltà ove le Grandi Dee hanno cumulato le virtù
della Luna, della Terra e della Vegetazione, il fuso e la rocca con cui filano i
destini degli uomini diventano, con tanti altri, loro attributi. Così la Dea col
fuso trovata a Troia, dell'epoca compresa fra il 2000 e il 1500 avanti Cristo.
Questo tipo iconografico è diffuso in Oriente: troviamo il fuso in mano a
Ishtar, alla grande Dea hittita, alla Dea siriana "Atargatis", a una divinità
cipriota primitiva, alla Dea di Efeso. Il destino, filo della vita, è un periodo
più o meno lungo di TEMPO. Quindi le Grandi Dee diventano in seguito
padrone del Tempo, dei destini che plasmano secondo la loro volontà. In
sanscrito il tempo si chiama "kala", termine che somiglia molto al nome
25
della Grande Dea, Kali (sì che avvicinamenti sono stati fatti fra le due
parole) . Kala significa anche ‘nero’, ‘oscurato’, ‘macchiato’. Il tempo è
nero perché duro, irrazionale, senza pietà. Chi vive sotto il dominio del
tempo è soggetto a sofferenze di ogni specie e la sua
liberazione consiste anzitutto nell'abolizione del tempo, nell'evadere dal
mutamento universale. Secondo la tradizione indiana, l'umanità si trova in
questo momento nel "Kaliyuga", cioè nell'‘epoca buia’, epoca di tutte le
confusioni e di totale decadenza spirituale, ultima tappa di un ciclo
cosmico che si chiude."

Astarte: si noti il grande triangolo pubico sul ventre e i capelli che formano
una rudimentale Omega, già rappresentata dai Sumeri per Ninhursag

26
poi usata dai cristiani

anche se era un simbolo di Ninhursag e Hathor

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Dea Fenicia, statuetta in bronzo, in stile egittizzante, II millennio a.C, da
Faqra, Libano. Si notino le corna che la collegano a Iside o Hathor.

Astarte Fenicia:

29
si noti il simbolo che ricorda l'Omega, che la Dea porta al collo e che è
stato trovato anche nelle pitture rupestri italiane:
il "pendaglio ad occhiale", dalla doppia spirale

Per saperne di più vedi il pdf "Arte Rupestre"

30
o leggi

di Massimo Centini

Nota di Lunaria: la singer dei Madness of the Night, Abir Blackshadow,


viene da Lebanon

31
ASTARTE/ISHTAR, LA MASSIMA DIVINITà FEMMINILE SEMITICA:

Signora e Regina della fecondità, chiamata con molti nomi: Athtar,


Atargatis (rappresentata in trono tra due leoni);

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le erano sacre le colombe e i pesci (altri due simboli rubati dai cristiani: le
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prime attribuite allo spirito santo/maria, i secondi a gesù cristo)

Ad Ascalon, dove Astarte era adorata sotto il nome di Derketo, la Dea era
rappresentata a corpo di pesce e il tempio stava sulla riva di un lago ricco
di pesci.

Due volte all'anno i pellegrini portavano in processione l'acqua nel suo


tempio e ritualmente ve la versavano e la Dea veniva portata al mare.
Questo carattere acquatico della Dea significava l'irrigazione fecondatrice
delle campagne.

L'Astarte Fenicia: la Dea della fertilità porge ai due caproni le spighe di


frumento maturo

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Si veda la stessa posa, le braccia flesse verso l'esterno che reggono fascine
o altri oggetti in:

e Tanit (Dea cartaginese adorata dai fenici cartaginesi e assimilabile ad


Astarte)

Mezzaluna sulla testa, e mani che stringono brocche o fascine dalle quali
fuoriescono frutti; si riconosce la vite
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dai cristiani poi attribuita al loro gesù...

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39
per uno studio completo su Tanit vedi:

http://www.roth37.it/COINS/Tanit/storia.html

Tanit sembra essere la Virgo Caelestis (Vergine Celeste) dei Romani che la
descrivevano in epoca imperiale, attribuendole un valore più lunare che
non della fecondità; Eliogabalo la fece "sposare" al suo Dio Sole, unendo il
culto romano a quello punico; questa Tanit, comunque, a Cartagine era
sposata a Baal-Hammon, del quale Diodoro racconta che gli si
sacrificavano i fanciulli: più probabilmente gli ebrei avevano in mente
questo Baal e non tanto Dagon. I Romani lo assimilarono a Saturno
divoratore dei figli.

Anche Anahita/Ahurani/Anahit sono Dee (Persiane/Armene) connesse al


fluire delle acque:

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Anahita poi, essendo legata allo scorrere perpetuo delle acque fresche,
era considerata già Immacolata e Sempre Pura prima ancora che nascesse
il cristianesimo cattolico... e appiccicasse questo attributo alla loro
"vergine maria"...

41
Astarte era anche conosciuta come Naamah (*), "La Buona Astarte" e
come "Qrnaim" (**) , "Astarte Cornuta" a causa del crescente lunare che
aveva sulla fronte e che gli Egizi identificarono con Hathor. Gad era
l'Astarte degli Aramei: nella bibbia Isaia deplora i banchetti fatti in onore di
Gad.

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L'Hathor Egizia:

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HATHOR-ASTARTE/ISHTAR

(*) Naamath/Naamah è un'altra Dea corrotta e denigrata dal monoteismo


giudaico:
nella tradizione ebraica, è una demonessa sorella di Tubal Cain (figura di
un fabbro inventore delle armi, fratello di Jubal - inventore degli strumenti
musicali - e di Jabral: i discendenti di Lamech, bisnipote di Caino. è
presente nell'etiopico "Libro di Adamo" (sec. I A.C) e nel Libro di Enoch,
mentre nella Genesi è citato in qualche riga. Naamath nella Genesi è
ritenuta figlia di Lamech.
Naamath è considerata con Lilith una delle prime donne accoppiatesi con
Adamo; Eva ne fu solo l'ultima, e la più remissiva e docile (per questo fu
scelta come "compagna ufficiale").
Dall'unione di Adamo con Naamath e Lilith nacquero molti demoni tra cui
Asmodeo. L'idea che fu Adamo (e spesso le sue eiaculazioni) a generare i
demoni è presente anche nello Zohar.
Comunque, in una cultura pre-ebraica, Naamath e Lilith erano due Dee e
come tali avevano Sacerdotesse, dedite a riti di Prostituzione Sacra
(impersonando la Dea in terra, si congiungevano con l'uomo ritenuto
rappresentante del Dio in terra). Quasi certamente Lilith deriva da Inanna
o comunque da Ishtar.
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(**) Anche appellativo islamico di Alessandro Magno, detto "Il Bicorne"

Astarte era adorata con culto sessuale; celebri erano i templi a Tiro,
Sidone, Biblo (ne abbiamo una descrizione pervenutaci da Luciano) ; i
Greci la identificarono come Afrodite Urania. Come in Babilonia il culto di
Ishtar era congiunto con quello di Tammuz, in Fenicia il culto di Astarte era
strettamente collegato con quello di Adon (Adonis in greco), simbolo della
vegetazione che muore stagionalmente.

Fibule e pendenti fenici, in oro e bronzo (XV secolo a.C)

Anath è la forma guerriera di Astarte/Ishtar, importata poi in Egitto,


conosciuta anche come Kadishat/Qadesh ( Vedi l'approfondimento a fine
scritto).

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Re di Damasco o notabile antico, VIII sec. A.C

Gli scavi di Ras Shamra ci hanno dato una miglior conoscenza della
religione fenicia nel secondo millennio a.C:

le figure divine sono oltre 25, tra Dei e semidei: El/Dagon, Asherah/Asherat
(la Grande Dea Madre, compagna di El e adorata anche dagli Ebrei prima
del rigorosmo monoteismo di stampo jahivista) ;

50
Baal, figlio di El, anche chiamato Hadad/Adad, Dio dei fenomeni
atmosferici, pioggia, tuono, fulmine, Aliyan Baal, Dio delle acque terrestri,
fratello di Anat, vergine guerriera e Dea dell'amore (anche se a prevalere
nel culto fu il suo aspetto guerriero).

Altra Dea Fenicia era Shapash, Dea del Sole

51
come l'Hittita Arrinna

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Mot, Dea sotterranea protettrice della vegetazione, in antitesi a Baal.
Secondo una fonte, quella di Filone di Biblo, (fonte non molto attendibile)
sarebbe il Fango Primordiale (associabile al Mut egizio). Mot nacque dal
Caos Aeriforme e generò tutti gli esseri.

Gli Dei erano adorati in templi decorosi e serviti da un personale addetto a


capo del quale stava il sommo sacerdote. Anche le donne erano
Sacerdotesse, per esempio la madre di Eshmunazar, re di Sidone, si
dichiarava Sacerdotessa di Astarte (e anche le stesse concubine dei re
israeliti lo erano); Le Divinità ricevevano oblazioni di acqua, vino, latte e
sacrifici di tori, capre, pecore, agnelli.

Infine, la religione nabatea presentava parecchi santuari a cielo aperto, tra


cui il più insigne è quello di Petra; il mesgid era una sorta di stele
colonniforme scolpita in rilievo dentro una nicchia che doveva servire ad
indicare il soggetto davanti al quale pregare. Nell'islam è rimasta
l'abitudine a inginocchiarsi verso la mecca, per pregare.

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Il Tempio di Astarte a Biblo, riprodotto su una moneta di Macrino

Il re Yehawmilk reca offerte alla "Signora di Bibl" (V-VI sec. a.C)

55
La Dea, in testa, porta il disco solare tra le corna, esattamente come
Hathor

Anche gli alberi erano adorati: terebinto, quercia, acacia (culto di Al Uzza);
di questi alberi si facevano le rappresentazioni simboliche dette asherah, i
tronchi o pioli sacri citati puntualmente dalla bibbia, con l'ordine di
tagliarli, abbatterli o proibendo di fabbricarli; ovviamente gli asherah
erano connessi specialmente al culto della Dea, Astarte/Asherah, la Grande
Madre Semita.

Gli oggetti rinvenuti negli scavi hanno portato alla luce le figurine
antropomorfe (anche di tipo femminile) che la bibbia chiama "Theraphim",
e alcune coppe, portaincensi, amuleti e un serpente di bronzo.

(Nota di Lunaria: ovviamente il serpente fenicio è stato scopiazzato nella


bibbia, nella storiella del caduceo di mosè, già di per sé scopiazzamento di
Asclepio/Hermes)

56
Dai ritrovamenti archeologici di ossa di vecchi e fanciulli sappiamo che i
sacrifici umani ci sono stati, almeno nel primo periodo come del resto ci
furono tra gli ebrei (la figlia di Iefte sacrificata dal padre dopo la battaglia e
Achaz che fa bruciare suo figlio; Mesha invece sacrificò suo figlio alle mura
della città per liberarla dagli israeliti).

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La risibile giustificazione che ne fanno i cattolici...

e la versione geovista della storiella, a lieto fine:

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per loro la figlia di Iefte non viene sgozzata come olocausto da offrire a
Jahvè, ma deve "rinunciare al suo diritto a sposarsi" venendo segregata
ma non uccisa...

mentre per i cattolici è proprio sgozzata come un capretto!

59
Pendenti e amuleti fenici in pasta di vetro, da Cartagine.

60
Stele tombale in pietra calcarea da Hauran

Sarcofago Fenicio a forma di mummia e il sarcofago del re Ahiram di Biblo,

61
in pietra calcarea (Arte Fenicia del 1000 a.C)

Stele funeraria palmirena detta di Zabdallah (136 d.C)

62
Stele funeraria palmirena a busto femminile (II secolo d.C)

Geni di tipo egizio in un avorio siriaco di Arslan-Tash. Al centro, la Dea

63
egiziana della giustizia Ma'at su un calice di loto

Pilastro del tempio di Biblo: anche qui, nella forma dei capelli, ritorna
l'Omega sumero!

Le donne ebree adoravano le Dee dei Cananei, Fenici ecc. ?

Sì, anche se di nascosto e in forme diverse e meno visibili. Nella bibbia,


leggiamo in Geremia che si invocava una "Regina del Cielo"
(Asherah/Astarte), e le donne ebree le offrivano particolari focacce.

è divertente vedere come certi cattolici ingenui, quando capitano su

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queste pagine, credono che qui si parli della madonna (!!!) che oggigiorno
viene proprio appellata così...

Clone di Ashera: "maria" appare su un alberello, quindi è legata al legno, al


tronco, come l'antica Asherah ebraica; accanto a lei le pecorelle, ovvero
piccoli capri , da sempre animale associato al culto della fertilità; l'aura
luminosa, come un sole intorno alla testa, è preso dalle Dee del Sole
Shapash e Arinna; le stelline che le fanno da corona sono prese da Ishtar.

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Anche qui, lo scopiazzamento è evidente: c'è l'albero, antica sede degli Dei
nel politeismo e sede anche dello Jahwè ebraico ("Il roveto ardente") .
Esattamente come Asherah, impersonificata nel legno degli alberi sacri e
dei pioli.

66
Ancora più evidente: la capretta è posta proprio sotto l'alberello: capra =
attributo del Dio maschile e della sua virilità; alberello = simbolo di
Asherah, Dea Madre. Uniti simboleggiano il culto sessuale.

C'è anche la stella di Ishtar sulla veste azzurra, poco sopra i piedi.

67
"Regina del cielo": il clone contraffatto di Astarte, la prima Regina del
Cielo (insieme ad Inanna e Asherah) e di Anahita (la prima Dea
Immacolata); la colomba poi è animale di Astarte, Afrodite, Kupaba; la
corona è attributo delle Dee (Kupaba, Atargatis, Cibele...)

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Il segno che poi fa con le mani è copiato dal Solve et Coagula

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"Regina del cielo"... la fantasia cattolica mariolatra...

ovvero il clone di Astarte-Inanna-Asherah

Regine del Cielo secoli prima che il cristianesimo nascesse

tanto che il titolo "Regina del Cielo" è PROPRIO USATO NELLA BIBBIA

PER RIFERIRSI AL CULTO DI ASTARTE/ASHERAH, PRATICA PROIBITA DAL


MONOTEISMO EBRAICO.

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APPROFONDIMENTO SU ANATH
TRATTO DA UBERTO PESTALOZZA

71
Tratto da "Nuovi saggi di religione mediterranea" di Uberto
Pestalozza

La "Signora degli animali" arricchita di un tratto spiccatamente agricolo


(gli avambracci flessi all'esterno e le mani stringenti fasci di spighe),

Anat/Astarte

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ritorna nel rilievo siriaco con le caratteristiche note minoiche dell'ampia
gonna a balze successive sin oltre il ginocchio, del busto nudo, dei seni
vistosi, degli egagri rampanti ai suoi lati; ma il capo adorno di un alto e
spesso berretto dell'identica stoffa della gonna, arieggiante ad una tiara.
La terra di Canaan, l'Arabia yemenita a sud di essa e la Siria a nord,
furono i tre originari centri del suo culto che si affermò con particolare
vigore, dando origine a testi religiosi e letterari, nella Siria settentrionale
a Ugarit. Gli Israeliti, occupata la valle del Giordano, ne assorbirono con
grande facilità i culti preesistenti. Dovettero ben presto venire a
conoscenza della Dea, come pure della sua compagna Qedesh, e delle due
Divinità Femminili dei "luoghi alti cananei": Ashtartu ed Asherah.
Fiorentissimo era il culto di Anat a Beth-shan (l'odierna Beisan) città
della Galilea meridionale, nella valle di Esdrelon, presso la riva destra del
Giordano dove gli scavi condotti da archeologi americani rivelarono ben
nove strati di cui il più profondo è anteriore all'ingresso degli Israeliti
reduci dall'Egitto in Canaan.
Dal libro di Giosuè raccogliamo che fra le città assegnate a Manasse v'era
Beth-shan coi suoi villaggi dove i figli di lui si stanziarono più ospiti che
conquistatori e quando crebbero in forza reserò i Cananei tributari, ma
non ne fecero strage. Si inizia così insieme con un sincretismo di costumi
- i matrimoni misti - un sincretismo religioso coincidenti l'uno e l'altro
con l'inizio di un periodo di prosperità nel quale gli Israeliti applicavano le
arti agricole dei Cananei. E poiché questi attribuivano la fertilità dei
campi all'azione vigila della loro Divinità, fu facile agli Israeliti
persuadersi che, oltre a jahvè, era pur lecito rendere culto alle divinità
delle popolazioni locali:

(Nota di Lunaria: la ben nota ossessione di jahvè: "Io sono il signore dio
tuo/non avrai altro dio all'infuori di me/io sono un dio geloso" che lascia
intendere pienamente che questo dio, per poter essere geloso di altri Dei,
doveva ammettere implicitamente la loro esistenza...!)

Ora tra queste Dee locali cananee era indubbiamente Anat (il cui nome
ritorna in toponimi quali Bet-Anat vicino ad Hebron, Anatot a nord di
Gerusalemme ed è persino il nome della madre di uno dei Giudici d'Iraele,
Samgar, detto "figlio di Anat" che con un vomero uccise 600 filistei) (*)

Le donne straniere, poi, entrando come mogli e concubine negli harem


israeliti (vedi la storia di Salomone) vi portavano le loro divinità femminili
73
e spesso le facevano trionfare nei singoli gruppi famigliari. E così, mentre
Salomone ergeva il Tempio di Gerusalemme e lo consacrava affinché jahvè
venisse ad abitarlo, popolava i dintorni di Gerusalemme di "luoghi alti"
dove i vari culti stranieri venivano riccamente installati.
Quanto gli Israeliti fossero attaccati al culto cananeo di Anat è
dimostrato da un ben significante episodio rivelatoci dai "Papiri di
Elefantina", dove una dinastia fa ergere un tempio dedicato a Jahu/Jahvè
ma in cui vi trovavano posto anche altre divinità. In alcune forme di
giuramento troviamo che Anat fa coppia con Jahu (Anat-Janu) dove il dio
è subordinato alla potenza generatrice di Anat. Che javhè potesse essere
subordinato a una Divinità Femminile, che contava sacre etere fra le sue
ministre, era una sacrilega bestemmia agli occhi di uno jahvista puro.

(Nota di Lunaria: vedi la storia dell'israelita Zamri e della sua amante


madianita Cozbi che vengono trapassati da una lancia manovrata dal
nipote di Aronne, in Giudici III, 5)

Dalla "humus" medesima da cui germinò Anat in Palestina e in Siria,


germinò la Dea nell'Arabia yemenita, popolata da tribù nomadi.
La Dea appare connessa con il leone. Anat e Qedesh furono, insieme con
Ashtartu, le divinità femminili che gli Egizi fecero proprie. Anat veniva
rappresentata in Egitto come una Dea guerriera, seduta con la lancia o lo
scudo nella mano destra, mentre brandisce con la sinistra alzata una
mazza di battaglia; o in piedi, vestita di una pelle di pantera, lo scettro
papiraceo nella mano destra, il simbolo della vita nella sinistra. In capo,
sempre l'alta tiara bianca fiancheggiata da due ricche piume e talora un
paio di corna alla base.

74
75
Gli Egizi, come si vede, di Anat tennero soprattutto il carattere guerriero,
a cui dedicarono un santuario a Tebe, mentre Ramses II chiamò sua figlia
"figlia di Anat".
Un'altra Dea che fu assunta dagli Egizi con particolare entusiasmo è
Qedesh, "Onnipotente propagatrice dell'amore", non diversamente da
Inanna-Ishtar. Qadesh è rappresentata sopra un gioiello da Ras Shamra,
nuda, stante sopra un leoncino, le braccia piegate e alzate a reggere due
rami di loto con due serpenti che la fiancheggiano scendendo paralleli alle
gambe. Veniva anche rappresentata completamente nuda, in piedi a una
leonessa e portante in capo un crescente lunare e un disco.

(Nota di Lunaria: si veda il confronto con Lilith)

Più tardi, assume l'acconciatura hatorica, si adorna di collana e veste con


un abito aderentissimo che la fa apparire nuda, tenendo in mano fiori di
loto e un cerchietto (uno specchio?) con due serpentelli nella mano
sinistra.

(Notare come la Dea abbia per sgabello un leone, animale noto per la
76
forza e l'ardore, quasi a incrementare il potere della Dea che doma il leone
e lo rende suo poggiapiedi)

Collegamenti è possibile farli con Bast (Dea Gatta) e Sekhet (Dea


Leonessa), rappresentate vestite in modo attilato, con le mani reggenti il
sistro e lo scettro di papiro (per Bast) serpenti (Sekhet)

Anche Atargatis (Dea Siriana) era rappresentata su un leone, o in trono,


con due leoni che l'affiancano.

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Anat aveva anche un aspetto sanguinario, e la si immaginava mentre
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faceva dei veri e propri bagni di sangue:

"Ella, la Vergine, si lava le mani, ella, la Sorella del Principe, si lava la


dita; si deterge le mani dal sangue dei soldati, si deterge le dita dal sangue
rappreso dei guerrieri"

(e per questo aspetto, andrebbe assimilata a Kali/Morrigan e a Artemis


Orthia, "La Dea che suscita la virilità" che veniva celebrata con sacrifici
umani maschili, sostituiti poi da flagellazioni. La Dea era avida di sangue
maschile irrorante l'altare perché accresceva e rafforzava i suoi poteri
autonomi di generatrice. Che poi si credesse, nei tempi antichi, che il
sangue fosse l'alimento da donare agli Dei "per non farli morire" era
credenza anche azteca: "Per quanto riguarda i sacrifici, gli Aztechi erano
convinti che niente fosse più necessario che assicurare al Sole il
nutrimento: il sangue umano, che nutriva il Sole e permetteva il suo
ritorno. Il Sole esigeva sangue, gli stessi Dei lo avevano donato.
Comunque c'è da ricordare che all'epoca si riteneva un grande onore
sacrificarsi per gli Dei."(Jacques Soustelle)
Nota di Lunaria)

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(*) Anche il padre di Gedeone era un adoratore di Baal, a cui aveva elevato
un altare con una roccia "fallica" dedicata al dio, la Massebhah, che
poteva arrivare da uno a tre metri circa,
mentre ad Asherah si dedicavano alberi sfrondati o pali.
Anche Erodoto parla di pietre rizzate a mo' di fallo e Mircea Eliade ne
parla a fondo della litolatria e dei culti fallici connessi ai sassi in "Trattato
di Storia delle Religioni". Anche la figlia di Iefte probabilmente adorava
sui monti il dio Baal, quando "va a piangere la propria verginità" nelle
selve montuose prima di essere sacrificata.

"I sassi o i meteoriti magici, sacri, le case del Dio/Dea o con proprietà
taumaturgiche in grado di guarire o "creare" la gravidanza. Erano anche
associati all'eternità, alla partenogenesi - li si riteneva "nati da sé" - e
all'organo maschile (infatti venivano "oliati" e tale pratica la si ritrova
scritta persino nella Bibbia a testimonianza che gli stessi Ebrei, per un
periodo della loro storia, non solo adoravano gli alberi - "il roveto ardente"
- ma persino le pietre).
Anche la Kaba islamica in realtà rientra nel culto della pietra, e Mircea
Eliade ipotizza che all'inizio fosse persino dedicato a una Dea. Per quanto
riguarda i cristiani, hanno assimilato il culto delle pietre nelle loro chiese:
nella chiesa di san Volfango c'è una cappella - eretta nel 1713! - che ospita
80
all'interno "la pietra sacra", ovvero un masso calcareo - si pensa - toccato
dal santo.
Nella chiesa di Maria Schnee (nell'ex Boemia tedesca) c'è un grande
masso diviso da una profonda spaccatura centrale (riferimento
concettuale alla Yoni induista, il culto della Vagina: i popoli protostorici
dell'India consideravano le pietre forate un emblema del "Yoni", e l'azione
rituale di passare per il buco implicherebbe rigenerazione per mezzo del
Principio Cosmico Femminile) e nella cavità venivano offerti cereali e ceri;
Nella cappella di San Nicolò si trova l'"Handstein" (pietra della mano): ci
si infila la mano per ottenere la guarigione."

Da "Trattato di Storia delle Religioni" di Mircea Eliade

Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la


permanenza della materia sono una ierofania. Non v'è nulla di più
immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v'è
nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di
granito audacemente eretto. IL SASSO, ANZITUTTO, E'. Rimane sempre
se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, COLPISCE. Ancor prima
di afferrarla per colpire, l'uomo urta contro la pietra, non
necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo
modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La roccia gli rivela
qualche cosa che trascende la precarietà della sua condizione umana: un
modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue
proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una
presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella
sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l'uomo incontra una realtà
e una forza appartenenti a un mondo DIVERSO da quel mondo profano di
cui fa parte.
Non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi.
La devozione del primitivo si riferisce sempre, in ogni caso, a qualche cosa
di diverso, che la pietra incorpora ed esprime. Una roccia, un ciottolo,
sono oggetto di rispettosa devozione perché rappresentano o imitano
QUALCHE COSA, perché vengono da QUALCHE POSTO. Il loro valore
sacro è dovuto esclusivamente a questi qualche cosa e qualche posto, mai
alla
loro stessa esistenza. Gli uomini hanno adorato i sassi soltanto nella
misura in cui rappresentavano UNA COSA DIVERSA dai sassi. Li hanno
adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come
81
centri di energia destinati alla difesa propria
o a quella dei loro morti. E ciò avveniva, è bene dirlo subito, perché le
pietre con incidenza cultuale erano in maggioranza utilizzate come
STRUMENTI: servivano a ottenere qualche cosa, ad assicurarne il
possesso. La loro funzione era magica più che
religiosa. Fornite di certe virtù sacre dovute all'origine o alla forma, erano
non adorate ma utilizzate (...) Leenhardt scrive che ‘i sassi sono lo spirito
pietrificato degli antenati’. La formula è bella, ma non si deve prendere
alla lettera. Non si tratta di spirito pietrificato, ma di rappresentazione
concreta, di un'‘abitazione’ provvisoria o simbolica dello spirito. Del resto
lo stesso Leenhardt confessa: ‘che si tratti di spirito, dio, totem del clan,
tutti questi concetti hanno in realtà una rappresentazione concreta, che è
il sasso’. I Khasi dell'Assam credono che la Grande Madre del clan sia
rappresentata dai dolmen ("maw-kynthei", ‘i sassi femmina’), e che il
Grande Padre sia presente nei menhir ("maw-shynrang", ‘i sassi maschi’).
In altre zone culturali i menhir incarnano addirittura la divinità suprema
(uranica). Abbiamo già visto che in molte tribù africane il culto del dio
supremo del Cielo comprende menhir (a cui si fanno sacrifici) e altre
pietre sacre (...) La pietra, la roccia, il monolito, il dolmen, il menhir
DIVENTANO sacri grazie alla forza spirituale di cui portano il segno (...)
A Decines (Rodano), ancora in tempi recenti, le donne si ponevano a
sedere sopra un monolito che sta in un campo nella località Pierrefrite. A
Saint-Renan (Finisterra) la donna che desiderava un figlio si coricava per
tre notti consecutive sopra una grande roccia, ‘la cavalla di Pietra’.
Parimenti i novelli sposi, nelle prime notti dopo le nozze, venivano a
strofinare il ventre contro quella pietra. La pratica si ritrova in molte
regioni. Ancora nel 1923 le contadine che venivano a Londra
abbracciavano le colonne della cattedrale di San Paolo per avere figli (...)
Numerosi megaliti favoriscono i primi passi dei bambini o assicurano loro
buona salute. Nel cantone di Amance c'è una ‘Pietra forata’; le donne le si
inginocchiano davanti e la pregano per la salute dei figli, gettando una
moneta nel buco. I genitori portavano il neonato alla ‘pietra forata’ di
Fovent-le-Haut e lo facevano passare per il foro. ‘Era, in un certo senso, il
battesimo della pietra, destinato a preservare il bambino dai malefìci e a
portargli fortuna’.
A Natale e il giorno di San Giovanni Battista (cioè ai due solstizi), si
ponevano candele accanto a certe pietre forate, e si spandeva sulle pietre
dell'olio, che poi veniva raccolto e usato come rimedio. La Chiesa ha
lungamente combattuto queste usanze . La loro sopravvivenza malgrado
le pressioni del clero, e specialmente malgrado un secolo di razionalismo
82
antireligioso e antisuperstizioso, è una nuova prova del vigore di queste
pratiche (...) Oggi la credenza non è più basata su nessuna
considerazione teorica, ma è giustificata da leggende recenti o da
interpretazioni sacerdotali (un santo si è riposato su quella roccia; sopra
il menhir c'è la croce, eccetera).

Un esempio suggestivo della multivalenza simbolica della pietra è dato


dalle meteoriti. La Pietra Nera della Mecca e quella di Pessinunte,
immagine aniconica della Grande Madre dei Frigi, Cibele, portata a Roma
durante l'ultima guerra punica, sono le più illustri meteoriti. Il loro
carattere sacro era dovuto anzitutto alla loro origine celeste. Ma erano
insieme immagini della Grande Madre, cioè della divinità tellurica per
eccellenza. E' difficile credere che la loro origine uranica sia stata
dimenticata, perché le credenze popolari attribuiscono questa
discendenza a tutti gli strumenti preistorici di pietra chiamati ‘pietre del
fulmine’. Probabilmente le meteoriti divennero immagini della Grande
Dea perché si credettero inseguite dal fulmine, simbolo del Dio uranico.
Ma, d'altra parte, la Ka'ba era considerata il ‘centro del mondo’, cioè non
soltanto il centro della terra: sopra di essa, nel centro del cielo, doveva
trovarsi la ‘Porta del Cielo’. Evidentemente, cadendo dal cielo, la Pietra
Nera della Ka'ba bucò il firmamento, e attraverso quel foro può avvenire
la comunicazione fra Terra e Cielo (vi passa l'‘Axis Mundi’) (...) ‘Gli Arabi
adorano le pietre’, scriveva Clemente Alessandrino (...) si può supporre
che al tempo di Clemente la maggioranza degli Arabi ‘adorassero’ i sassi.
Ricerche recenti hanno dimostrato che gli Arabi preislamici veneravano
certe pietre chiamate dai Greco-latini "baytili", parola di origine semitica
che significa ‘casa di Dio’ (55). Del resto tali pietre sacre non furono
venerate soltanto nel mondo semitico, ma anche dalle popolazioni
dell'Africa del nord, anche prima dei loro contatti con i Cartaginesi. Ma i
betili non furono mai adorati in quanto SASSI, lo furono soltanto nella
misura in cui manifestavano una PRESENZA DIVINA. Rappresentavano
la ‘casa’ di Dio, erano il suo segno, il suo emblema, il ricettacolo della sua
forza o il testimonio incrollabile di un atto religioso compiuto in suo
nome. Qualche esempio scelto nel mondo semitico farà comprendere
meglio il loro significato e la loro funzione.
In viaggio per la Mesopotamia, Giacobbe attraversò Haran:

"Giunto a un certo luogo, volendovi riposare dopo il tramonto del sole,


prese delle pietre che vi si trovavano, e postele sotto il suo capo, ivi dormì.
E vide in sogno una scala rizzata sulla terra, la cui cima toccava il cielo;
83
gli angeli di Dio salivano e discendevano per essa; e il Signore, appoggiato
alla scala, gli diceva: ‘Io sono il Signore Dio d'Abramo tuo padre e il Dio
d'Isacco; la terra nella quale dormi, la darò a te e alla tua stirpe...’...
Svegliatosi Giacobbe dal suo sogno disse:
‘Veramente, il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo!’ e intimorito
così continuò: ‘Quanto è terribile questo luogo! altro non è che la casa di
Dio e la porta del cielo’. Alzatosi
dunque al mattino, Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva posato il
capo e la alzò in memoria, versandovi olio sopra. E mise nome Bethel a
quel luogo."

Astarte è una della Dee più antiche; era adorata dai Cananei, dai Sumeri,
dai Babilonesi, dagli Assiri, dai Fenici, persino dagli Ebrei, anche se
ovviamente nel loro caso il culto di Astarte veniva stroncato nel sangue.
La Dea era chiamata Astarte, e ancor prima, Inanna, poi Ishtar; e ancora
Ashtoreth, Astoreth, Astarith, Ashtaroth; in particolare, per questi nomi
subì una metamorfosi al maschile, e poi fu denigrata come "demone"
(Astaroth, appunto) come già toccò a Lilith e Naamath.

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85
Era una Dea molto amata; simboleggiava l'amore, la fertilità e la passione
amorosa, e quindi anche la guerra (come Ishtar)
La possiamo collegare a Venere/Afrodite (che era l'amante del Dio della
guerra Marte/Ares).

Astarte era l'amante del Dio Baal, altro Dio amatissimo, e come tale,
stroncato e soppresso dagli Ebrei, quando imposero il culto del dio unico
javé.

Sia Astarte che Baal avevano una propria classe di Sacerdotesse e


Sacerdoti, che spesso si univano in Connubio, rappresentando le Nozze
Sacre della Dea col Dio.

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Riporto un interessante brano su Astarte, tratto da "Storia della Magia" di
Louis Chochod. Il libro è vecchiotto - 1971 - e uscì per Dellavalle Editore;
non credo sia stato ristampato - io l'ho trovato al mercatino dell'usato -
ma se vi capitasse di trovarlo leggetelo perché ne vale la pena.

"La Baalit Hasctoreth o Astarte, la Luna, "Regina delle cose umide",


chiamata anche Derceto - L'Aperta - ricettacolo del Fuoco, Sposa di
Moloch il Sole-Re, il Baal. Tale era la coppia adorata che personifica i due
poli della vita cosmica, l'energia proiettiva e l'energia ricettiva, il maschio
e la femmina, l'uomo e la donna e quindi l'Amore (con tutte le ebrezze che
porta con sé).
L'assioma che tutto nell'Universo risulta dalla compenetrazione e dalle
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reazioni reciproche di due principi dinamici, uno positivo e raggiante,
l'altro ricettivo ed assorbente, costituisce uno dei primi e più importanti
principi della magia.
Lo ritroviamo alla base di tutti i sistemi teogonici e cosmogonici del
vecchio Oriente. In Egitto, ove traspare nel mito di Iside e Osiride, in Cina
ove è schematizzato nella figura di Thai-Cuc, nell'India ove ha ispirato il
concetto di Shakti, o controparte femminile emanata da ogni dio maschio.
(La Madre Suprema è Adi-Shakti, madre della Trimurti quindi di tutti gli
Dei e di tutte le cose. Nota di Lunaria). Presso gli Ebrei sembra siano stati
simbolizzati da due segni tracciati sul pettorale del gran sacerdote e che
testi indicano col nome di "Urim" e "Thumim". Quali erano questi segni?
Non abbiamo nessuna informazione e nonostante numerose ricerche non
si è potuti giungere fino ad ora a una chiarezza in proposito. Comunque
sia, il tempio di Salomone, a detta degli antichi, era un edificio a carattere
completamente simbolico. Si accedeva ad un santuario - "Heykahl" -
attraverso un portone la cui porta era sostenuta da due colonne di bronzo
chiamate "Boaz" e "Jakin". In lingua ebraica "Boaz" esprime l'idea della
forza e "Jakin" esprime l'idea di fondare, di costruire. Le due parole riunite
significano quindi: "Dio costruisce nella forza il tempio e la religione di
cui Egli è il centro".
Tale è la spiegazione degli esegeti cattolici; i Cabalisti (in particolare
Albert Pike nel suo "Sepher-ha-Debarim") ne danno un'altra. "Jakin" era
una rappresentazione emblematica del pene in erezione nell'uomo e
"Boaz" il simbolo del vigore potente e brutale di quest'organo quando sta
per raggiungere la matrice. L'insieme, la coppia Jakin-Boaz, le due
colonne del Tempio, avrebbero dunque molto prosaicamente significato
l'amplesso dell'uomo e della donna. Si ha ragione di credere che Jakin e
Boaz ricordassero agli iniziati che vi erano ancora in Fenicia delle
Sacerdotesse cortigiane, le "Gedes-Choth", le "Consacrate". Sotto tende
lussuosamente intessute queste donne ricevevano gli adoratori e le
adoratrici della Dea Asherah (Nota di Lunaria: la "moglie" di javè, prima
che il suo culto fu distrutto dalla classe sacerdotale maschile) e
prodigavano loro gioie che non avevano che lontani rapporti con le pure
soddisfazioni morali risultanti dalla stretta osservanza delle prescrizioni
levitiche sulla castità. L'aura voluttuosa dei culti erotici della Fenicia
(nota di Lunaria: quelli che la Bibbia per tutto l'Antico Testamento
chiama "commettere prostituzione" ovvero adorare Dei e Dee che non
fossero il solo javè, all'inizio) non poteva mancare di impressionare
fortemente, nella mentalità israelita, una lubricità appena sopita."

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Lo stesso re Salomone (XVII secolo a.C) sul finire della vita, si diede
all'idolatria e alla "stregoneria" (probabilmente "ritornò" ai culti politeisti
visto che gli Ebrei contrariamente a quello che la storia fa passare, erano
politeisti. Il culto del dio unico javè fu imposto dai sacerdoti di tale dio,
che in questo modo accerchiarono tutto il potere sociale-economico nelle
loro mani). Si pensa che Salomone giacque anche con "demoni" (ovvere
Dee, visto che gli Ebrei demonizzavano gli Dei degli altri): Lilith,
Naamath, Aguereth, Mahala, generando "demoni". Lilith e Naamath
furono anche le amanti di Adamo; Eva fu solo l'ultima, e quella più docile
e sottomessa.
Salomone, che ebbe un migliaio di spose, tra cui 700 principesse, sposò
anche donne fedeli al culto di Astarte/Haschtoreth e quindi
probabilmente Sacerdotesse.
In realtà, pur appartenendo a un popolo che "aveva orrore della magia",
Salomone la praticò (vedi l'anello di Salomone con i segni combinati e la
Clavicola di Salomone) oltre che praticare la Necromanzia. A lui è
associato il Sigillo di Salomone, il Magen David, i due triangoli che si
intersecano.

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ASHERAH, AL UZZA, ALLAT, MANAT

(Tratto dal web) http://www.centrostudilaruna.it/

Pensare ad un culto della dea madre all’interno della religione ebraica


potrebbe a prima vista sembrare completamente insensato: in fondo
stiamo parlando della religione monoteistica per eccellenza, che non
ammette altra divinità all’infuori di Jahweh e che condanna senza
remissione ogni pur velata forma di deviazione politeistica. Le cose
stanno certamente così, ma solo se ci riferiamo all’Ebraismo post-
mosaico, mentre, in realtà, poco o nulla si può sapere con certezza sulla
natura di culto ebraico prima della migrazione dall’Egitto e quel poco che
riusciamo a ipotizzare su basi razionali sembra andare decisamente
contro la visione classica dell’Israelitismo. Nella storia ebraica, Abramo
adora una divinità chiamata “Elohim” (e vedremo che questo termine ha
una enorme importanza, essendo il plurale di “El”), che viene anche
chiamato “El Shaddai” (“l’onnipotente”) o con un paio di altre varianti,
mentre l’uso del “tetragrammon” si sviluppa solo dopo l’incontro di Mosé
con Dio sul Monte Sinai. Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe è, per altro,
un Dio che vuole sacrifici di animali ed espiazioni regolari, che si
intromette sulla vita umana con repentinità sorprendente e che richiede
atti spesso assurdi ai suoi fedeli. Il corretto rapporto umano verso questo
Dio è l’obbedienza e addirittura la prima storia dell’umanità è una storia
di persone oscillanti tra autonomia e obbedienza incondizionata a questo
Dio antropomorfico, in cui abbondano le qualità umane e che spesso si
91
mostra adirato verso il suo popolo. Il Dio della Genesi è, inoltre,
chiaramente bisessuale, venendo alternativamente indicato con termini
sia femminili che maschili: ad esempio si parla di una sua maternità (e
non, come erroneamente tradotto in seguito, paternità), di un suo “parto
con doglie” dell’umanità, mentre viene indicato come “padre” solo due
volte in tutto il primo libro della Torah. (Nota di Lunaria: leggendo Isaia
ci sono un paio di frasucole ridicoli indicanti "un dio che partorisce il suo
popolo" ben lontano dal concetto di Dea dove per "Dea" intendiamo una
manifestazione divina dotata di corpo femminile)
Sulla base delle discrepanze tra visione divina pre-mosaica e post-
mosaica, alcuni studiosi hanno concluso che un vero e proprio rigido
monoteismo sia iniziato solo dopo l’Esodo, tra il 1300 e il 1200 a.C., mentre
in precedenza, non diversamente dagli altri culti semiti, la religione
ebraica era animista, cioè basata sul culto delle forze della natura,
magistica, cioè sviluppata su pratiche di magia imitativa, e
sostanzialmente antropomorfica, con un culto del trascendente che
apparirà solo in un secondo tempo. Soprattutto (e qui sta certamente
l’elemento più stupefacente) era una religione politeistica, in cui singole
tribù probabilmente adoravano divinità diverse. E’ soprattutto questa
ipotesi che ha mosso le ire di letteralisti sia ebrei che cristiani, che hanno
accusato i suoi sostenitori di trarre conclusioni fondate sul nulla e
relative ad epoche su cui nessuna fonte ci può informare correttamente.
Lasciando da parte il fatto che la stessa obiezione può essere rivoltata
proprio contro i letteralisti, dal momento che non un solo versetto della
Genesi ci conferma che un Dio nazionale esistesse già al tempo dei
patriarchi, in effetti qualche prova a sostegno di una teoria politeista
esiste e deriva da una lettura attenta della Bibbia. Cancelliamo per un
istante tutta la costruzione teologica che è diventata parte del nostro
substrato culturale e poniamo, anche solo per assurdo, come mera
ipotesi, l’assunto che la religione ebraica non si sia sviluppata
singolarmente ma derivi da un più ampio nucleo religioso-mitologico
mediorientale, da cui derivano tutte le religioni del Mediterraneo
orientale, incluse quelle sumeriche e greco-arcaiche. Sarebbe possibile
trovare elementi a sostegno di questa idea?
Effettivamente sì. Solo per fare qualche esempio e senza scendere nei
particolari, è impossibile non notare la quasi perfetta sovrapponibilità del
racconto di Noè e del diluvio universale con quello del diluvio di
Gilgamesh o di quello di Deucalione e Pirra; la somiglianza delle vicende
di Eva con quelle di Pandora; la sovrapponibilità del racconto di Sodoma e
92
Gomorra con il mito di Enki ed Enlil. Ma, soprattutto, una teoria di
questo genere renderebbe ragione di alcuni elementi davvero oscuri della
Tanakh:
- in Geremia 10:11 troviamo: “«Così direte loro: ‘Gli dèi che non hanno fatto
i cieli e la terra scompariranno dalla terra e da sotto il cielo’»“, che,
evidentemente, implica l’esistenza di più dei anche se con ruoli diversi;
- in Genesi 1:2 abbiamo “In principio Dio creò il cielo e la terra“, che a
prima vista potrebbe effettivamente sembrare un’affermazione molto
monoteista, ma in cui, come accennato, se si legge l’originale ebraico, Dio
è designato con la parola “Elohim” che è plurale (dei) di “El” o “Eloha”
(dio), risultando come “il principio gli dei crearono…”, né vale riferirsi al
verbo al singolare, visto che esso può tranquillamente indicare un
collettivo (l’insieme degli dei) o pensare ad una variazione linguistica
intervenuta nel corso del tempo, perché fino almeno a Genesi 2:4 “Elohim”
viene usato per indicare dei (stranieri) al plurale;
- in Esodo 22:28 leggiamo, nell’originale ebraico, “non bestemmierai
contro gli dei e non maledirai il principe del tuo popolo“, che, ancora una
volta, implica l’esistenza di più dei, né è fondata l’obiezione di alcuni che
qui ci si riferisca a dei stranieri e falsi, perché non avrebbe alcun senso
una proibizione di bestemmiare contro di loro;
- in Salmi 136:1, infine, si recita “Lodate il Dio degli dei: perché la sua
misericordia dura per sempre“, che ha poco senso se non pensando ad un
pantheon di divinità di cui uno degli dei è a capo (un po’ come Zeus in
Grecia o come in tutti i casi di politeismo antropomorfico).
(Nota di Lunaria: idem dicasi per gesù "signore dei signori, re dei re": si
potrebbe benissimo intendere come se gesù fosse a capo di una
moltitudine di altri dei solari tipo Mithra)
Insomma, l’eventualità che in epoca mosaica si sia passati, attraverso
canali usuali di inglobamento di divinità tribali minori da parte di divinità
di tribù vincenti, da un politeismo di radice indo-europea al classico
monoteismo ebraico e che tracce sparse del culto precedente siano
rimaste all’interno della Tanakh esiste e appare non così remota. E’
all’interno di questo quadro che va inserita la possibilità, in fondo
piuttosto ovvia se si parte dal presupposto di un origine comune per le
varie religioni mediterranee, di esistenza di una dea madre all’interno
dell’antica religione israelita. In questo senso, qualche anno fa, ha fatto
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piuttosto scalpore un testo scritto dal celebre storico e antropologo ebreo
Raphael Patai in cui l’autore ha sostenuto che la religione ebraica non
solo storicamente avrebbe avuto elementi di politeismo, ma che tali
elementi si sono concentrati specialmente sull’adorazione di Dee e, in
primo luogo, su un culto della Dea Madre. Il libro sostiene tale teoria
attraverso l’interpretazione di numerosissime e difficilmente oppugnabili
fonti archeologiche e testuali che non è qui il caso di ripercorrere e, in
effetti, risulta assolutamente evidente che numerosi esseri divini
femminili siano da tempi immemorabili presenti nel folklore ebraico e
nelle rappresentazioni artistiche semitiche, da Astarte ad Anath, da
Ashima o Asherah ai cherubini (che nell’originale ebraico sono “le
cherubine”) nel Tempio di Salomone, da Matronit (Shekhinà), alla Sposa
dello Shabbat, con, tra l’altro, ben precisi rituali ad esse legati, quali quelli
di unione (“Yichudim”) di Dio con la sua Shekinah.

Proviamo a dare una rapida scorsa ad alcune di tali poco conosciute


presenze femminili nella cultura ebraica.

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Ashima (in ebraico ‫ )אֲ שִׁ ימָ א‬era una delle divinità protettrici delle singole
città della Samaria menzionate espressamente nella Bibbia ebraica, in un
passo di 2 Re 17:30 in cui il processo di assorbimento delle divinità locali
da parte della divinità nazionale Yahweh risulta piuttosto chiaro. In
origine Ashima era una Dea semitica occidentale della sorte legata alla
dea accadica Shimti (“destino”), ma appare come “Ashim-Yahu” e “Ashim-
Beth-El” nel tempio ebraico a Elefantina in Egitto[5].

Nel ciclo ugaritico di Baal / Hadad Anath, invece, è una violenta Dea della
guerra, una vergine guerriera che, in riferimenti più tardi, diventa amante
di Baal, figlio di El, oppure una delle sue mogli dal momento che nella
cultura semitica nord-occidentale era permesso avere più mogli e legami
al di fuori del matrimonio erano normali per le divinità in tutti i pantheon.

Nota di Lunaria: anche Al Uzza, Dea pre-islamica, era una vergine


guerriera:

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Nella nord-cananea “Leggenda di Aqhat”, all’appena nato Aqhat, figlio del
giudice Daniel, viene dato un meraviglioso arco con frecce creato per
Anath dal dio artigiano Kothar-wa-Khasis. Quando Aqhat cresce la Dea
Anath cerca di ottenere l’arco da lui, offrendogli in cambio anche
l’immortalità, ma Aqhat rifiuta. Come Inanna nell’Epopea di Gilgamesh (i
richiami tra i due racconti sono piuttosto palesi), Anath si lamenta con El
che le concede di riprendersi l’arco con la forza ma quando Anath invia
contro Aqhat il suo aiutante Yatpan, il figlio di Daniel rimane ucciso
(innescando una sorta di faida tra la sorella di Aqhat e Yatpan) e l’arco
viene perduto in mare. Lo studioso Gibson, in una ipotesi a lungo
osteggiata da altri antropologi culturali, ha riconosciuto in Atath una
delle mogli di El, non a caso spesso definita nei poemi ugarici
semplicemente “Elat” (“la Dea” per eccellenza, in quanto moglie del dio
per eccellenza). Di fatto, sebbene Anath non venga mai menzionata nelle
Scritture ebraiche come Dea, il suo nome è apparentemente conservato
nei nomi delle città Beth Anat e Anathoth, che fanno pensare ad una
antica presenza di templi a lei dedicati e, tra l’altro, l’eroe Shamgar, figlio
di Anath, è menzionato in Giudici 3:31 e in Giudici 5:06, facendo pensare
alla possibilità di una sua interpretazione come semidio, sebbene John
Day abbia pensato piuttosto ad un uomo posto sotto la protezione della
Dea. Infine, è attestato che, verso il 410 a.C., i mercenari ebrei di
Elefantina (l’odierna Assuan) adorassero una Dea chiamata Anat-Yahu
(Anath-Jahvè), venerata nel tempio originariamente costruito dai
profughi della conquista babilonese della Giuda. Se per Ashima e Anath
possiamo parlare, comunque, di divinità in qualche modo straniere,
retaggi periferici (samaritani e cananei) di culti precedenti, pienamente
appartenente alla tradizione giudaica è la figura sacra della Shekhinah.

Il termine Shekhinah deriva dal verbo ebraico “‫”שכן‬, con il significato


letterale di “stabilirsi, abitare” (ed è in questo senso molto presente nella
Tanakh, ad esempio in Esodo 40:35, Genesi 09:27 e 14:13, Salmi 37:3,
Geremia 33:16) e può significare anche “regalità” o “residenza regale”
(come nel Salmo 132:5): conseguentemente, nel classico pensiero ebraico,
la Shekhinah si riferisce ad una abitazione o a una dimora della presenza

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divina, nel senso che, mentre in prossimità della Shekhinah, la
connessione a Dio è più facilmente percepibile.

Ciò che risulta più interessante è la personificazione della Shekhinah con


attributi femminili presente nel Talmud, che ha fatto pensare ad un
retaggio culturale riferito ad una divinità arcaica, una sorta di “sposa di
Dio”, la cui antropomorfizzazione sembra riemergere in ambito
cabbalistico, in particolare negli scritti di Isaac Luria, nel cui celebre
“Inno dello Shabbat” troviamo:

“Io canto inni per entrare nel cancello del Campo di mele santo. Una
nuova tavola ci prepariamo per Lei, un candelabro getta la sua bella luce
su di noi. Ondeggiando a destra e sinistra la sposa si avvicina, in gioielli
sacri e vestimenti per festa … “

Allo stesso modo, un paragrafo nello Zohar inizia così: “Si deve preparare
un comodo sedile con cuscini ricamati […] come uno che prepara un
baldacchino per una sposa, perché essa è regina e sposa per lo Shabbat
[…] È per questo che i maestri della Mishna erano soliti uscire alla vigilia
di Shabbat per riceverla sulla strada, e dicevano: ‘Vieni sposa, vieni
sposa’. E si deve cantare e gioire a tavola in suo onore […] si deve ricevere
la Dama con molte candele accese, tanta gioia, bei vestiti, e una casa
abbellita …“

Proprio su queste basi Patai e molti altri dopo di lui hanno visto in questa
figura, chiaramente simbolica, il riassorbimento post-mosaico di un culto
tribale riferito ad una Dea della conoscenza, a sua volta, come accennato,
antropomorfizzazione di un sentire comune probabilmente simile
all’eggregoro. Tra le divinità del pantheon semitico e dell’Israelitismo pre-
mosaico, comunque, la più importante doveva essere quella che più da
vicino riguarda il nostro discorso sul femminino sacro: Asherah (in
ebraico ‫)אֲ שֵׁ ָרה‬, la Dea madre semitica per eccellenza, il cui culto doveva
essere diffusissimo in tutta l’area del Mediterraneo orientale se, pur con
nomi leggermente diversi, la ritroviamo anche area accadica (Ashratum /
Ashratu), ittita (Asherdu, Ashertu) e ugarica (Athirat) (più esattamente
trascritto come A irat)

Nella letteratura ebraica la troviamo in particolare nel “Libro di Geremia”


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scritto intorno al 628 a.C. (Ger. 7:18 e Ger. 44:17-19, 25), in cui ci si
riferisce a Asherah come “regina del cielo”(‫)לִ מְ לֶ כֶ ת הַ שָּׁ מַ יִם‬.

(Nota di Lunaria: qui i cattolici più ingenui credono che si parli della
madonna!)

In precedenza, nei testi di Ugarit (prima del 1200 a.C.) Athirat è quasi
sempre definita come “Colei che cammina sul mare” ma, soprattutto,
come “la creatrice degli dei (Elohim)”, essendo la consorte del dio El (e,
infatti, tra i suoi appellativi figura anche “Elat”, forma femminile di El),
caratteristica che mantiene anche in ambito ittita (Asherdu è sposa di
Elkunirsa, “El il Creatore della Terra”). Ciò che stupisce è come figurine
identificata con Asherah siano sorprendentemente comuni nella
documentazione archeologica dell’area palestinese, ad indicare la
popolarità del suo culto fin dai primi tempi dell’esilio babilonese e come
siano state trovate numerose iscrizione che collegano Yahweh e Asherah:
un ostracon dell’VIII secolo a.C., rinvenuto dagli archeologi israeliani a
Kuntillet Ajrud nel 1975, ad esempio, recita “io ho pregato su di voi la
benedizione di YHVH nostro custode e della sua Asherah“, mentre una
iscrizione di Khirbet el-Kom vicino a Hebron, reca impresso “Sia
benedetto il Signore e la sua Ashera, che dai suoi nemici che lo hanno
salvato!”. Allo stesso modo, tenendo presente che il simbolo di Ashera era
normalmente una stele liscia, una colonna o un albero, è impossibile non
notare la quantità di raffigurazioni di questo tipo trovare in Israele e
come “pali sacri” siano citati in Esodo, Deuteronomio, Giudici,
2Cronache, Isaia, Geremia e Michea. Sia le prove archeologiche che i
documento dei testi biblici dimostrano, dunque, tensioni in periodo
monarchico tra gruppi che supportavano adorazione del Signore accanto
a divinità locali come Ashera e quelli che imponevano il culto del solo
Yahweh: la fonte deuteronomista dà certamente prova di un forte partito
monoteista durante il regno di re Giosia, alla fine del VII secolo a.C., ma
la forza e la prevalenza del culto monoteistico in periodi precedenti è
ampiamente dibattuta, sulla base delle interpretazioni di come gran parte
della storia del Deuteronomio sia basata su fonti anteriori e di quanto tali
fonti possano essere state rielaborate da redattori deuteronomistici per
sostenere il loro punto di vista teologico.

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E’ in questo quadro che un certo numero di studiosi, tra cui gli archeologi
William G. Dever e Judith Hadley sostengono che, in un quadro di diffuso
politeismo arcaico, Asherah, vista come Dea Madre Creatrice e,
conseguentemente, come trasposizione religiosa della fertilità e della
fecondità, rappresentasse una Dea consorte del Signore nella religione
israelita popolare del periodo monarchico e fosse venerata come la Regina
del Cielo. Altri (da Mark S. Smith a John Day e Andre Lemaire) pur non
obiettando sull’esistenza di un culto politeista e sulla presenza di divinità
femminili nell’Israelitismo arcaico, negano che nell’Età del Ferro si
potesse parlare di determinazioni sessuali femminili paritarie in campo
teologico e ritengono che, piuttosto, in un progressivo passaggio verso il
monoteismo, il culto di Asherah rappresentasse una forma di mediazione
subordinata al Signore.

Recentemente, infine, in un documentario della BBC, la Dott.ssa


Francesca Stavrakopoulou, Senior Lecturer presso l’Università di Exeter
ha dichiarato: “La maggioranza dei biblisti di tutto il mondo ormai
accetta come prova convincente che Dio una volta avesse una consorte” e,
intervistato nel medesimo documentario riguardo alla possibilità che gli
Ebrei fossero monoteisti, avendo quindi una religione distinta dalla
religione cananea, il Prof. Herbert Niehr dell’Università di Tubinga ha
dichiarato: “Tra il X secolo e l’inizio del loro esilio nel 586 a.C. il
politeismo era la religione normale in tutta Israele; solo in seguito le cose
cominciarono a cambiare e molto lentamente. Direi che è corretto parlare
di monoteismo solo per gli ultimi secoli, forse solo dal periodo dei
Maccabei, cioè solo a partire dal II secolo a.C.“.

Ecco, allora, che l’ipotesi di un culto primario atavico mediorientale della


Dea Madre associato ad un culto maschile e proveniente da un nucleo
primario diffuso in tutto bacino mediterraneo comincia a prendere sempre
più corpo e con esso l’ipotesi che, ancora una volta, in Israele come in
molte altre civiltà antiche, solo l’impulso di una società progressivamente
sempre più androcratica abbia portato allo schiacciamento di tale culto
primario e naturale, sviluppando un monoteismo maschile capace di
assorbire completamente le istanze religiose precedenti ma, a quanto
pare, non di cancellarne completamente le tracce.

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Lilith e Naamath sono due esempi di Divinità Femminili trasformate in
male dal patriarcato misogino.

Iniziamo da Naamath. Nella tradizione ebraica, è una demonessa sorella


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di Tubal Cain (figura di un fabbro inventore delle armi, fratello di Jubal -
inventore degli strumenti musicali - e di Jabral: i discendenti di Lamech,
bisnipote di Caino. è presente nell'etiopico "Libro di Adamo" (sec. I A.C) e
nel Libro di Enoch, mentre nella Genesi è citato in qualche riga. Naamath
nella Genesi è ritenuta figlia di Lamech).

Naamath è considerata con Lilith una delle prime donne accoppiatesi con
Adamo; Eva ne fu solo l'ultima, e la più remissiva e docile (per questo fu
scelta come "compagna ufficiale").
Dall'unione di Adamo con Naamath e Lilith nacquero molti demoni tra
cui Asmodeo. L'idea che fu Adamo (e spesso le sue eiaculazioni) a
generare i demoni è presente anche nello Zohar.
Comunque, in una cultura pre-ebraica, Naamath e Lilith erano due Dee e
come tali avevano Sacerdotesse, dedite a riti di Prostituzione Sacra
(impersonando la Dea in terra, si congiungevano con l'uomo ritenuto
rappresentante del Dio in terra). Quasi certamente Lilith deriva da
Inanna o comunque da Ishtar.

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Ora, come potevano essere viste due Dee (e le relative Sacerdotesse,
ovvero "Donne di potere") dai misogini, patriarcali antichi ebrei, gli alfieri
del Dio unico? Ma ovviamente, potevano vedere queste due Dee
(soprattutto Lilith e le Sacerdotesse di Lilith o Ishtar) solo come qualcosa
di negativo e da distruggere, o meglio ancora, denigrare.
Ecco che, una volta acquisito potere gli antichi ebrei iniziano a
distruggere gli Dei delle popolazioni soggiogate, inquinando le fonti e
denigrando i significati originari (il Serpente, per esempio, simbolo
positivo in gran parte delle culture).

Ecco che Lilith, da simbolo di un Potere Femminile Autonomo diventa


demone, nemica del loro dio javé, strangolatrice, assassina.

Nelle fonti babilonesi Lilith è al servizio della Dea semitica Anath o


Anthat (Dea che fu adorata anche dagli Egizi), Dea assisa in Trono,
nell'atto di reggere nella mano sinistra una lancia e nella destra una
mazza con la lama. Da notare che anche Ishtar era connessa alla guerra!

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Comunque, in qualsiasi modo la si voglia vedere (Dea della Notte -
accompagnata dalle civette -, compare della Dea Anath, o prima moglie di
Adamo), Lilith (che appare anche in un mito della Dea Inanna, ed è legata
al Salice) rappresenta una Sessualità Femminile Forte, Orgasmica, Attiva,
Potente, Indipendente. Lilith non si piega passivamente al rapporto
sessuale con l'Adamo arrogante che la vuole sotto. Lilith scappa dal
"paradiso" perché non vuole essere prigioniera in questa gabbia dorata e
crea un suo regno, con dei suoi figli, liberamente accettati quando vuole
lei e con chi vuole lei. è sempre questo il tratto di Lilith: che non è succube
all'altrui volontà (Adamo-javè) ma è amante di se stessa, della propria
volontà.

Queste stesse caratteristiche sono presenti anche nella Dea Pomba Gira,
se andiamo in Brasile, nella Dea Erzulie nel Voodoo e nell'associazione di
Lilith al Nero, con Kali. Sia Kali che Pomba Gira inoltre sono a seno nudo,
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in piedi!, esattamente come Lilith! E questa è l'iconografia anche della
Dea dei Serpenti Minoica: a seno nudo, in piedi, e con lo sguardo fiero.

Emblematico poi il confronto tra Lilith e la madonna cattolica:


accetta una gravidanza che non ha chiesto lei, bensì le viene imposta
dall'alto. Accetta di essere strumento passivo di tale volontà patriarcale.
Lilith al contrario accetta di essere Madre di numerosi figli quando vuole
lei e con chi vuole lei. Non è rappresentata nell'atto di allattare figli: segno
che in lei la funzione materna/casalinga è solo una delle tante funzioni e
ipotesi, e non certamente la prima o l'unica. Lilith ha capelli selvaggi, ed è
rappresentata in piedi su due leoni. Maria ha un velo, è costantemente a
testa bassa, in preghiera verso l'Altro: Dio, Gesù Cristo, Spirito Santo.
Lilith è affermazione di Sé, del proprio corpo. è nuda, vive il sesso, il
piacere del sesso, perché si rifiuta di essere un gingillo passivo sottoposto
ad Adamo. Maria (ovviamente sempre per la fantasia cattolica e non su
base esegetica scritturiale) accetta di negare il suo corpo nella gioia
sessuale: è eternamente vergine, inconsapevole del piacere sessuale dato e
ricevuto.
è la negazione totale della Donna come individuo autonomo: non è un in-
sé e un per-sé ma un "per l'altro": umiltà, negazione di sé per far posto
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all'Altro (la volontà del Dio Padre/il feto di Cristo dentro di sé), attesa,
poche parole/silenzio (parla solo per dire "sì"), abnegazione, rinuncia.

Si capisce se si hanno gli occhi bene aperti sulle dinamiche concettuali di


stampo ebraico/cristiano, come l'archetipo di Lilith sia stato esorcizzato
e demonizzato, per meglio imporre la docilità alle donne in terra; basti
pensare che gli antichi ebrei - e poi i cristiani -erano forse tra gli unici
popoli di quel periodo e di quella zona geografica a non avere Dee e a non
avere Sacerdotesse: la Sacerdotessa è, per definizione, CoLei che guida e
che amministra il Sacro.

Non è un caso che Lilith sia stata ripresa nei culti Neo-Matriarcali e Neo-
Pagani, anche se la ritroviamo di frequente nei culti satanici, che la
considerano come moglie di Satana.
(da notare comunque che spesso lo stesso Satanismo Spiritualista pecca
di fallocentrismo: scagliandosi contro il "dio cristiano padre geova-javè"
in realtà vanno a caricare di maschilità Satana (ne sono un esempio il
Satanismo alla "Joy of Satan", che chiama questo Satana esattamente con
gli epiteti cristiani di "padre"...): quindi cambia poco, in un certo senso,
tra cristianesimo e questo genere di Satanismo: in ambedue c'è un ricorso
e un approccio alla figura paterna di divino, anche se rispetto al
cristianesimo, almeno nel Satanismo abbiamo comunque un minimo
111
riferimento a Lilith, vista come Potere Femminile... ben poca cosa
comunque, rispetto alla Wicca Dianica).

Comunque, a mio parere, Lilith resta da analizzare più dal punto di vista
psicologico, come archetipo, o modello femminile, e di emancipazione per
la donna attuale, che non in campo esoterico.

Lilith, Pomba Gira, Erzulie, Kali, Anat, Ishtar sono tutte Dee (e quindi
archetipi) del Femminile Selvaggio, "Brutto" (in certe rappresentazioni,
Lilith è ricoperta di peli: in fondo "depilarsi" è sottostare a un diktat di
seduzione per piacere ai maschi... anche Kali è "brutta", non curandosi
affatto di piacere al marito Shiva...), Indomabile, Indipendente. Lilith ha
artigli.
Le figure cristiane femminili hanno le mani congiunte in preghiera, nei
confronti del dio padre. Lilith (o Pomba Gira, Erzulie o Ishtar...) non
pregano nessuno.

Lilith è principalmente l'archetipo di una donna capace di sedurre e


amante del suo proprio piacere, della sua propria bellezza - scollegata dal
diktat maschile di estetica -, una donna capace quindi di vivere il sesso
senza dover sottostare alla gravidanza, una donna capace di essere
leader, fiera e orgogliosa della sua indipendenza. Tutte cose che nella
nostra società,
per quanto una certa retorica voglia far credere il contrario, non ci sono, e
sebbene oggi qualche donna riesca a sganciarsi da questo modello
tradizionale mariano di femminile, siamo ancora lontane - e questo per
nostra colpa - da una riabilitazione dell'Aspetto Sacro del Divino
Femminile: quante donne, quando si rapportano alla Spiritualità,
concepiscono un Divino al Femminile? Quante donne sentono poi il
desiderio di costituire una Leadership tutta al Femminile?

Una minoranza, purtroppo, rispetto alla totalità delle donne. Altrimenti


non si spiegherebbe perché le donne Wiccan Dianiche siano una
minoranza, rispetto alle donne cristiane.

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Dopo Goethe, che cita di sfuggita Lilith nel "Faust", anche Friedrich
Christoph Johannes Wedde dedica un'opera a Lilith:

"Lilith. Die Lösung des Welträtsel – ausgeplaudert durch den Jüngling von
Sais." (1867)

Qui la traduzione del canto di vittoria di Lilith:

"Come sbigottisce il Signore, come piange il Cristo!


Come mi spalanco io trionfante
e stritolo chi si oppone
coi miei denti di diamante.
[…]
E svanisce ciò che fu, è e sarà,
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e sollevo il velo della temporalità
e lo spazio diventa vuoto, chiaro, inconsistente
perché io sono la negazione, io sono eternamente."

"Wie glotzt da der Gott, wie jammert der Christ!


Wie will triumphierend ich gähnen,
Und scharf zerknirschen, wer trotzig ist,
Mit den diamanten Zähnen.
[...]
Und es schwindet, was sein wird, ist und war,
Und den Schleier der Zeitheit heb ich
Und der Raum wird körperlos, gaslos, klar,
Denn die Neinheit bin ich, bin ewig."

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Infine una citazione anche per la Dea Scorpione Egizia, Selkit

(tratto dal web)

Selkis (o anche Serket, Selqet, Selket, Selkit, Serqet) era, nella religione
egizia, la Dea Scorpione della magia.

Dea funeraria insieme a Iside, Nefti e Neith, aveva il compito di


proteggere uno dei vasi canopi: Qebeshenuf, dalla testa di falco, che
conteneva gli intestini. Era rappresentata con l’immagine stilizzata di un
pungiglione di scorpione sul capo più raramente con l'immagine di un
scorpione con il volto da donna. Proteggeva inoltre l'apparato
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riproduttore e le vie urinarie, soprattutto quelle maschili, che erano
individuate per la "somiglianza" con uno scorpione.

Nella sfera medica proteggeva dalla puntura dello scorpione, degli insetti
velenosi e dei serpenti.

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