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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN STORIA E SCIENZE SOCIALI

TESI DI LAUREA IN
STORIA DELL’INDUSTRIA

L’INDUSTRIA DEL VIDEOGIOCO:


UN PASSATEMPO TECNOLOGICO.

Relatore:
Chiar.mo Prof. Federico Pirro

Laureanda:
Rita Diliddo

Anno Accademico 2017-2018

1
2
3
Alla passione,
motore portante di ogni impresa

4
5
INDICE

Introduzione…………………………………………………………………………………
………………………………1

CAPITOLO 1: DALLA NASCITA DEL VIDEOGIOCO SINO AGLI ANNI ‘80

1.1 1947-1961: dal prototipo di Goldsmith-Mann a


Spacewar!..........................................................2
1.2 Gli anni ’70: la nascita di una nuova
industria…………………………………………………………………………..5
1.3 Dal plagio al successo:
Atari………………………………………………………………………………………………
……..8
1.4 Intellivision e il 1979: la prima console
war…………………………………………………………………………….15

6
1.5 ColecoVision e il 1982: console giusta, anno
sbagliato……………………………………………………………17
1.6 La grande crisi del
1983………………………………………………………………………………………………
………….20
1.7 Un nuovo futuro nipponico:
Nintendo……………………………………………………………………………………26
1.8 L’apparizione di un nuovo competitor:
SEGA………………………………………………………………………….29
1.9 Sega e Nintendo: una nuova console
war……………………………………………………………………………….30

CAPITOLO 2: GLI ANNI ’90 E IL NUOVO MILLENNIO


2.1 Mega Drive e Super Nintendo: lo scontro tra due
colossi……………………………………………………….35
2.2 L’entrata in scena di un nuovo
competitor……………………………………………………………………………..41
2.3 Dreamcast: dal sogno al
fallimento…………………………………………………………………………………………48
2.4 Due mercati a sé stanti: Cina e
Russia…………………………………………………………………………………….53

CAPITOLO 3: UNA VIRTUALITÀ A 360°


3.1 Il videogiocatore diventa il
controller……………………………………………………………………………………..55
3.2 Una realtà sempre più
virtuale……………………………………………………………………………………………….5
9
3.3 Operazione
nostalgia………………………………………………………………………………………………
………………65
3.4 L’industria videoludica in
Italia……………………………………………………………………………………………….68

7
CONCLUSIONI………………………………………………………………………………
…………………………………..70

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………
…………………………………….72

SITOGRAFIA………………………………………………………………………………
…………………………………….72

RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………………
…………………………………75

8
INTRODUZIONE

Il seguente lavoro intende delineare le linee fondamentali che hanno


contribuito alla nascita dell’industria videoludica. Nella prima parte
vengono trattate le tappe vitali che hanno reso possibile la nascita
del concetto di videogioco, dagli anni ’40 agli anni ’70. Console e
videogiochi, una volta delineatisi in tutte le loro caratteristiche,
subiscono un processo di evoluzione, adattandosi alle nuove
tecnologie: dalla ricerca di una maggiore potenza grafica che non
lascia spazio all’immaginazione, in un percorso in cui il primo
soggetto su cui ricade l’evoluzione scientifica è il videogioco, sino
all’era attuale dove a mutare è l’approccio del videogiocatore verso
la realtà virtuale. Viene evidenziata l’evoluzione delle strategie atte
ad attirare i compratori, il cui punto focale varia in ogni generazione
di console. Tali temi vengono affrontati negli ultimi due capitoli, ove

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sono evidenti i profondi cambiamenti che ha subito l’industria,
rendendo videogiochi e console nella forma totalmente differenti
rispetto a come si presentavano agli albori, ma nella sostanza,
sempre orientati verso lo stesso scopo: offrire una forma di
intrattenimento che stia al passo con le nuove tecnologie.

CAPITOLO 1:
DALLA NASCITA DEL VIDEOGIOCO SINO AGLI ANNI ‘80

1.1 1947-1961: dal prototipo di Goldsmith-Mann a Spacewar!


La primissima tappa che portò alla nascita di quello che attualmente
viene chiamato videogioco1 risale al 1947. In tale anno due
ingegneri, Thomas T. Goldsmith Jr. e il suo collega Estle Ray Mann
svilupparono un sistema che attraverso l’utilizzo di otto valvole
termoelettriche, collegate ad una apparecchio televisivo a tubo
catodico, permettesse di visualizzare su di esso un missile. Il
videogiocatore attraverso l’uso di due manopole che permettevano
di regolare la traiettoria e la velocità con cui il missile avrebbe
viaggiato, mirava contro dei bersagli, simulati dai due ingegneri
attraverso l’applicazione sullo schermo del televisore di alcuni fogli
1 Videogioco: Dispositivo elettronico (chiamato anche con il corrispondente ingl. videogame), costituito da
un generatore di impulsi video per la simulazione su schermo televisivo o su un apposito monitor di giochi o
competizioni sportive, i quali possono essere praticati da due concorrenti in competizione o anche una sola
persona, mediante l’azionamento di tasti o di un joystick, pad o controller. Fonte:
http://www.treccani.it/vocabolario/videogioco/ consultato in data 25/03/18

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di pellicola trasparente. Mancano nel sistema i bersagli, la cui
assenza è da imputare alle primitive conoscenze dell’epoca,
tradottesi nell’assenza dei concetti di componentistica complessa e
di software. La richiesta di deposito di paternità dell’invenzione fu
consegnata presso l’Ufficio brevetti il 25 gennaio 1947 e accettata il
14 dicembre 1948, col numero 2 455 992; il progetto seppur
brevettato, a causa degli alti costi di produzione non fu mai
commercializzato.
Il grande pubblico potette fruire di una primissima forma rudimentale
di videogioco nel 1951 presso la Fiera della Scienza di South
Kensigton, dove l’azienda britannica Ferranti International per
dimostrare le capacità di calcolo dei suoi computer, mise a
disposizione degli spettatori un prototipo. Dotato di una riproduzione
di un passatempo logico, Nim, il computer venne rinominato Nimrod.
Scopo del gioco era di trasportare, spostandone uno alla volta, degli
oggetti da una stanza all’altra: vinceva chi sarebbe riuscito a
svuotare la propria stanza per primo. Nel caso di Nimrod, un utente
umano sfidava il computer, che riproduceva gli oggetti spostati
attraverso delle luci posizionate sul calcolatore. La partita sarebbe
stata vinta da chi, per primo tra calcolatore e umano avesse spento
tutte gli indicatori luminosi. Anche in questo caso il prodotto in
questione non fu commercializzato, anche se contrariamente al
prototipo Goldsmith-Mann, fu fruibile seppur per un tempo limitato,
al pubblico.
Un ulteriore passo in avanti verso la nascita del videogioco si è
compiuto nel 1958, quando il fisico statunitense William
Higinbotham mise a disposizione dei visitatori del Brookhaven
National Laboratory Tennis For Two, un computer che attraverso un
oscilloscopio dotato di un rudimentale controller in alluminio,

11
simulava il gioco del tennis tramite una manopola per regolare
l’angolazione del tiro e di un pulsante per colpire la palla; tale
dispositivo rappresentava un punto di congiunzione col concetto di
videogioco per come è attualmente conosciuto, in quanto alla base
del suo sviluppo vi era il puro intento di intrattenere i visitatori della
fiera, per evitare che si annoiassero durante le lunghe file d’attesa.
Tennis For Two fu sviluppato utilizzando un computer Donnel Model
30: gli sviluppatori rappresentarono il gioco con una visuale non
dall’alto, come sarà successivamente prassi, bensì di lato, in modo
tale che il videogiocatore vedesse solo la palla rimbalzare da un lato
all’altro del campo, rispettando le leggi della fisica, e una piccola
linea centrale da scavalcare, rappresentate la rete. Il dispositivo non
era dotato di un sistema di punteggi, né di un regolamento, ma
nonostante ciò centinaia di visitatori del laboratorio si misero in fila
per provarlo: anche in questo caso, il dispositivo fu fruibile per un
breve lasso, senza mai essere commercializzato, né distribuito su
larga scala.
Il primo congegno che ricalca alla perfezione le caratteristiche di un
videogioco fu sviluppato per puro divertimento da tre giovani
studenti del MIT nel 1961. Steve Russel, Martin Graetz e Wayne
Wiitanen utilizzando un PDP-1 in dotazione al MIT, in circa 200 ore
di programmazione svilupparono Spacewar!. Il videogioco traeva
ispirazione dai fumetti di fantascienza ove il videogiocatore
attraverso uno schermo collegato al computer visualizzava su di
esso delle astronavi immerse nell’iperspazio, guidate dall’utente
attraverso un controller. L’obbiettivo era abbattere la navicella
avversaria, controllata anche essa da un giocatore umano. I
movimenti degli oggetti erano regolati dalle leggi della fisica, data la
posizione al centro della schermata di gioco di un Sole che

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esercitava attrazione gravitazionale sulle navicelle; apparivano
inoltre dei puntini disposti casualmente sullo schermo, per
rappresentare le stelle. Il gioco ebbe grande successo e si diffuse
rapidamente, a titolo gratuito, nelle università e negli istituti in cui era
presente un modello di PDP-1. Spacewar! rappresentava un buon
punto di partenza per quella che sarà l’industria videoludica del
futuro: esso aveva tutte le caratteristiche che rendono un videogioco
tale e soprattutto un sistema di norme. Spacewar! ispirerà i due
padri della futura industria, Ralph Baer e Nolan Bushnell.

1.2 Gli anni ’70: la nascita di una nuova industria

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A cogliere l’intuizione che avrebbe reso le piccole conquiste dei
programmatori amatoriali, la base di una fiorente industria fu Ralph
Baer: ingegnere capo della Sanders Associates, qui si occupa di
realizzare progetti militari e sistemi di sicurezza, lavorando a stretto
contatto con televisori a tubo catodico e microprocessori. L’idea di
Baer di sviluppare un apparecchio che permetta l’interazione uomo-
macchina nasce dalla ricerca di un uso diverso per i televisori a tubo
catodico: nel 1966 Baer presentò la sua idea al collega Bill Harrison,
e insieme svilupparono un sistema in grado di trasferire le immagini
sullo schermo televisivo. Seppur in maniera molto rudimentale, il
sistema presentava una barra e una pallina rappresentata da un
puntino che avrebbe cambiato colore ad ogni colpo. Il progetto, per i
tempi era all’avanguardia, ma mancava di una costante
fondamentale affinché esso potesse essere definito un videogioco,
ossia la possibilità di intrattenere chi vi interagiva; per cui Baer ed
Harrison inclusero nel loro team il collega Bill Rush che, data
l’impossibilità di sviluppare un sistema di intelligenza artificiale,
consigliò di indirizzare lo sviluppo verso una serie di giochi multi
giocatore. Nel 1967 il primo prototipo fu completato: denominato
Brown Box, la console era dotata di una serie di switch posti sul
fronte e utilizzabili per poter selezionare il gioco desiderato tra gli 8
disponibili, incluso un gioco di mira per cui era necessario un fucile
ottico. Brown Box presentava un grande difetto: le cartucce, non
avevano in dotazione una memoria ROM, ossia un comparto
dedicato al gioco memorizzato, ma solo dei jumper che indicavano
quali movimenti far eseguire alle tre luci riprodotte sullo schermo. A
ciò si aggiungeva la necessità di dotare l’apparecchio di una serie di
fogli acetati decorati, diversi per ogni gioco. Il prototipo venne
presentato ai grandi produttori di televisori in quanto Sanders

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Associates, azienda per cui Baer lavorava, si dimostrò poco
interessata alla produzione del prodotto: a farsi avanti fu Magnavox,
azienda produttrice di apparecchi televisivi che ottenne da Sanders
il brevetto di
Brown Box in
licenza. Magnavox
avrebbe prodotto
l’apparecchio,
battezzato
Magnavox
Odyssey, definito
la prima console della storia. L’accordo tra le due parti fu stipulato
nel 1971 e la produzione assieme alla messa in commercio avvenne
l’anno successivo. Nel solo 1972 Odyssey vendette 100.000 unità e
sino al 1975, anno in cui fu terminata la produzione, furono vendute
in totale 330.000 unità. I dati di vendita se confrontati con quelli delle
console attuali potrebbero apparire deludenti, ma è necessario
prendere in considerazione diversi fattori: prima di tutto, a causa di
un equivoco, gli acquirenti credevano che la console funzionasse
solamente sui televisori Magnavox, inoltre sino ad allora non erano
mai state immesse delle console sul mercato, per cui gli acquirenti
entravano in contatto con un nuovo prodotto. Infine, la console era
venduta solamente nei negozi ufficiali Magnavox.
Nello stesso anno in cui Ralph Baer e Sanders stipularono l’accordo
commerciale che portò alla nascita dell’Odyssey, un altro ingegnere,
Nolan Bushnell iniziò a muovere i primi passi all’interno della
nascente industria videoludica, concentrandosi sullo sviluppo dei
coin-op2. Punto di partenza per Bushnell fu Spacewar! videogioco
2 Coin-op: macchina per videogiochi che funziona inserendo una moneta; anche, di videogioco a cui si può
giocare su questo tipo di macchina. Deriva dall’ingl. Coin-operated machine, macchina che funziona a

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sino ad allora fruibile solo su computer PDP-1 e diffusosi in forma
gratuita tra gli studenti degli istituti e università possessori di tale
apparecchio. Ai tempi Bushnell lavorava per conto della Ampex
Corporation, ma contemporaneamente assieme al collega Ted
Dabney sviluppò per conto della Nutting Associates una nuova
arcade machine. L’impresa per entrambi si dimostrò ardua in quanto
Spacewar! nella sua versione per computer, presentava una grafica
scarne e le astronavi si muovevano con estrema lentezza, motivo
per cui i due realizzarono un nuovo videogioco, ispirato al suo
predecessore, ma con una nuova grafica, adatta alla versione
arcade. Prese così vita Computer Space, le cui meccaniche vennero
inserite, all’interno di cabinati in vetroresina decorati con colori
sgargianti glitterati. Nutting, entusiasta del risultato ordinò la
produzione di 1500 pezzi, numero spropositato rispetto alle unità
che saranno vendute: per quanto si presenti come innovativo e
futuristico, Computer Space non ebbe sul pubblico un grande
impatto, ma rappresentava grazie ai bassi costi di produzione, un
esempio per coloro che intendevano sviluppare nuovi cabinati.
Nonostante lo scarso successo, Bushnell non si arrese e nel 1972
propose ai colleghi di fondare una loro azienda, per poter entrare
autonomamente nel business senza dipendere da altre compagnie;
Bushnell e Ted Dabney investendo un capitale iniziale di 250 dollari,
fondano Syzygy, ma essendo il marchio già registrato, i due
dovettero optare per un’altra denominazione. La scelta ricadde Atari
Inc. nome derivante dal giapponese, indissolubilmente legato alla
nascita dei videogiochi, nonostante Baer con Odyssey abbia
preceduto Atari. La giusta chiave di lettura risiede nel successo

moneta. Fonte: https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=coin-op consultato in data 25/03/18.

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ottenuto: il volgere degli eventi dimostrerà come il marchio Atari sarà
in grado di affermarsi sul mercato, seppur per breve tempo.
Il primo passo mosso dalla neonata azienda porta con sé il nome di
Allan Alcorn, assunto per poter sviluppare una versione casalinga di
un gioco basato sul ping-pong. Il lavoro finale sarebbe stato
presentato a Bally, azienda con cui Dabney e Bushnell avevano
stretto un accordo commerciale affinché essa fornisse il necessario
per poter coprire le spese aziendali a patto che Atari presentasse le
sue invenzioni al suo partner commerciale. Alcorn in tre mesi
sviluppò il videogioco, mostrandolo inizialmente solo ai due fondatori
dell’impresa, che non solo ne rimasero entusiasti, e decisero di
installare il cabinato alla Andy Capp’s Tavern prima di presentarlo a
Bally. Fatto ciò, Bushnell si diresse a Chicago per poter stipulare
con Midway e Bally un contratto sulla produzione del coin-op di
Pong. Un’improvvisa chiamata di Bill Gattis, proprietario del bar,
fece saltare ogni accordo: egli lamentava un guasto nel coin-op,
dovuto dalla presenza di troppe monete all’interno della cassettiera;
senza alcun dubbio, Pong aveva riscosso un successo inaspettato.
Quanto accaduto spinse Bushnell a far saltare gli accordi con le due
aziende, decidendo di produrre i cabinati di Pong in proprio.

1.3 Dal plagio al successo: Atari


Ottenendo un prestito di 50.000 dollari dalla Wells Fargo, Atari
potette dotarsi di un grande stabilimento in cui lavoratori non
specializzati avrebbero assemblato i cabinati di Pong; le
meccaniche molto semplici e a basso costo, permettevano a
qualunque operaio di poterne assemblare il cabinato. Il piano di
Bushnell di produrre in proprio i suoi prodotti funzionò: il cabinato,
costruito nel 1972, nel 1973 vendette 2500 unità, per passare alle

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8000 del 1974. Il successo e l’attrattiva che la nuova macchina
esercitava, erano tali da spingere aziende più note, tra cui Midway e
Bally a plagiare il prodotto Atari, producendone di propri: l’errore di
Bushnell fu di non brevettare Pong, motivo per cui le aziende
avversarie, lecitamente, potettero copiare la sua idea. La neonata
azienda, in contro risposta puntò sull’innovazione, sviluppando
nuove arcade machine: nacquero così Trak 10, primo racing game
della storia e Gotcha, primo maze game/gioco di labirinto. La
compagnia riuscì ad affermarsi sul mercato degli arcade grazie alla
sua forza innovatrice, permettendo a Bushnell di dedicarsi allo
sviluppo di una Pong console domestica, che si collegasse ai
televisori. Il denaro necessario per l’investimento fu trovato grazie
ad un accordo con la Sears, che finanziò la produzione, la
distribuzione e il piano vendita di 150.000 unità. Completata nel
1975, la console fu immessa sul mercato col nome di Tele-Games e
fu distribuita dalla divisione sportiva dei magazzini SEARS; questa
offrì ad Atari 55$ per ogni appacchio, oltre alla possibilità di poter
apporre il proprio logo solamente sul tasto di accensione. Le unità
prodotte furono vendute in una sola stagione, liquidando Odyssey,
che nel primo anno di commercializzazione, il 1972, vendette

100.000 unità. Risulta


vincente in tale caso la decisione di SEARS di rendere disponibili le
console nei negozi non di elettronica, bensì di articoli sportivi, scelta
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giusta in quanto negli anni ’70 il pubblico dedito all’uso di prodotti
affiliati all’elettronica/computeristica era molto ridotto.
I grandi introiti3 permisero ad Atari nel 1976 di poter
commercializzare una propria versione di Pong, recante il suo
marchio ossia, Home Pong. In questo caso il denaro necessario per
la produzione in proprio sono stati trovati grazie alla collaborazione
della venture capitalist di Don Valentine, che coinvolgendo altri
capitalisti di ventura raccolse per 630.000$ a cui vanno aggiunti i
guadagni al netto del 1975, pari a 3,5 milioni di dollari, rendendo
disponibile un grande capitale da investire nella produzione di Home
Pong.
Il successo sia di Tele-Games che di Home Pong spinsero Ralph
Baer, ad un duro scontro con Nolan Bushnell sulla paternità di Pong:
Baer non solo aveva depositato il brevetto della sua console, ma
l’aveva introdotta sul mercato con tre anni di anticipo rispetto ad
Atari; inoltre, Bushnell affidò ad Alcorn il compito di sviluppare un
gioco arcade basato sul tennis dopo che nel Maggio del 1972 aveva
assistito ad una dimostrazione pubblica di Odyssey e la versione
arcade di Pong giunse nei bar e nei locali nel Settembre dello stesso
anno. I numeri davano ragione a Baer, che attraverso Sanders,
azienda che deteneva i brevetti dell’Odyssey, nel 1976 intentò
causa a tutte le aziende che avevano leso i diritti della sua
invenzione: l’idea era che tutti coloro che producevano dei dispositivi
fonte di intrattenimento attraverso il movimento di alcuni oggetti sullo
schermo, indipendentemente dalla loro forma, stessero violando i
diritti sul brevetto di Baer. Alcune compagnie pagarono la licenza
d’uso, altre portarono la questione in tribunale, perdendo. Le due

3 Il bilancio Atari del 1975 registra delle entrate pari a 39 milioni di dollari, con un utile netto pari a 3,5 milioni
di dollari. Fonte: https://www.nytimes.com/1976/09/08/archives/warner-signs-pact-to-purchase-atari-cash-
and-debenture-transaction.html consultato in data 27/03/2018.

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parti principalmente coinvolte, Atari e Sanders, giunsero ad un
accordo nel giugno del 1976: Atari avrebbe pagato i diritti sui
prodotti commercializzati in quell’anno, versando nelle casse di
Sanders 750.000 dollari a titolo di indennizzo. Per l’anno seguente
Bushnell escogitò uno stratagemma astuto: sino al 1977 l’azienda
non avrebbe pubblicato alcun titolo, continuando a vendere
unicamente ciò che era stato sviluppato sino ad allora. Nonostante i
tentativi di Sanders e Baer di limitare la presenza sul mercato di
dispositivi simili a Pong, nel 1976 erano presenti sul mercato ben 76
diverse versioni casalinghe della console.
Un nuovo passo in avanti fu inaspettatamente compiuto nel 1976
dalla Fairchild Camera and Instrument, azienda produttrice di
transistor, immettendo sul mercato il Fairchild Channel F, console
presentante una caratteristica allora avveniristica: i videogames non
erano pre-caricati, come era in uso sino ad allora, ma accessibili
attraverso delle cartucce intercambiabili, ognuna contenente giochi
tra loro diversi, dai classici tennis e tris sino a giochi sulla falsa riga
di Computer Space, o basati sulla logica e sulla matematica, o
ambientati all’interno di labirinti. Fairchild riusciva ad offrire quella
varietà che solo i cabinati sino ad allora riuscirono a mettere a
disposizione: inoltre, per attrarre i collezionisti le cartucce erano
dotate non di un titolo, bensì di un numero che le catalogasse, come
delle riviste, spingendo i collezionisti a possedere l’intero parco titoli.
Altra caratteristica che rendeva la console innovativa era la
presenza dei colori, realmente elaborati dalla console; un passo in
avanti del genere fu permesso dalla struttura stessa dell’azienda,
che si occupava della produzione di transistor, motivo per cui le fu
possibile disegnare e produrre da sé il microprocessore F8, cuore
dalla console, che la rendeva una sorta di minicomputer in grado di

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calcolare e generare gli impulsi grafici inviati dalle ROM presenti
sulle cartucce. Piazzata sul mercato nel Natale del 1976 al prezzo di
170$, vendette sino al 1983, anno in cui fu terminata la produzione,
250.000 unità: a incidere sulle vendite, fu soprattutto la grafica molto
rudimentale, ma nonostante ciò il prodotto rappresenta un passo
importante verso il concetto di console che permetterà all’industria
videoludica di diffondersi e affermarsi a livello globale.
Atari nel 1975 stava segretamente sviluppando una console a
cartucce intercambiabili, dal nome in codice Stella. La macchina
avrebbe avuto tre caratteristiche giudicate importanti da Bushnell:
velocità, potenza e prezzo contenuto, caratteristica di cui il Channel
F peccava. Inoltre, l’apparecchio doveva essere massicciamente
presente sul mercato, in modo tale che le compagnie avversarie,
che erano solite copiare le idee di Atari, non avrebbero potuto
acquisire notorietà. Rendere il mercato saturo significava
incrementare la produzione e Atari non disponeva né delle risorse
economiche, né di una catena di produzione adatta ai grandi
numeri, motivo per cui l’azienda il 7 settembre del 1976 fu venduta
alla Warner Communications per 28 milioni di dollari 4. Sotto la
dirigenza della Warner, il progetto Stella fu completato, portando alla
luce una nuova console tecnologicamente avanzata per l’epoca,
l’Atari VCS (Video Computer System), meglio nota come Atari 2600.
Caratteristica fondamentale della nuova console era la sua CPU,
una sorta di microcomputer dotato di un processore in grado di
elaborare immagini ad 8 bit, una novità per i tempi. VCS fu lanciato
sul mercato nel settembre del 1977 a 199$ per unità; all’esordio la
console non ebbe un grande impatto sul mercato a causa
dell’esiguo parco titoli, lasciando dopo il Natale del ’77 un avanzo
4 Fonte: https://www.nytimes.com/1976/09/08/archives/warner-signs-pact-to-purchase-atari-cash-and-
debenture-transaction.html consultato in data 28/03/18

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nei magazzini di 400.000 pezzi. Ciò allarmò la Warner che cercò in
un primo momento di vendere Atari, per poter recuperare parte del
grande investimento; ma Manny Gerard, uno dei collaboratori di
Warner, era riuscito a portare Ray Kassar, allora vice-presidente
dell’azienda tessile Burlington, a diventare consulente
nell’organizzazione del business di Atari. Kassar si sarebbe
occupato della divisione e della vendita dell’azienda, per poi
ritrattare la sua intenzione dopo aver intuito il potenziale del VCS.
Dietro al fallimento del primo lancio della console vi era la mancata
organizzazione del reparto marketing, di fatto inesistente: per cui
Kassar puntò sulla pubblicizzazione della console, trasformandola in
un prodotto di massa. Affinché ciò fosse possibile, era necessaria
approntare una sezione dell’azienda che analizzasse le tecniche di
mercato ed elaborasse un piano di lavoro aziendale, procedure sino
ad allora inesistenti in Atari. Secondo Bushnell, l’introduzione di
procedure standard in azienda ne avrebbe minacciato la creatività.
La nuova politica aziendale, allontanò molto il suo co-fondatore, che
nel novembre del 1978 propose di chiudere la divisione flipper di
Atari, l’unica in grado di tenere in piedi l’intera compagnia dopo il
lancio rovinoso del 2600, per concentrare i fondi sullo sviluppo di
una nuova console, abbandonando il VCS e svendendo a basso
prezzo le unità rimaste in magazzino. Il piano fu ritenuto folle da
Kassar e Gerard, il presidente della Warner, che nello stesso mese
licenziò Bushnell. Il contratto di licenziamento includeva una
clausola contrattuale che avrebbe tenuto Nolan lontano da Atari sino
al 1983, permettendo a Kassar di diventare CEO dell’azienda. Col
nuovo piano aziendale e la campagna marketing guidata dal nuovo
amministratore delegato, il Natale del 1978 registrò vendite
entusiasmanti: le 400.000 unità rimaste invendute lo scorso anno

22
erano state completamente liquidate. La mossa di Kassar si era
dimostrata astuta: abbassando i prezzi della console, l’azienda
otteneva maggiori guadagni dalla vendita delle cartucce, riuscendo
al contempo a liquidare le unità in magazzino.
Manny Gerard dopo il buon esito delle vendite, aveva deciso di
mantenere l’azienda, puntando sullo sviluppo di nuovi giochi: sua
sarà l’idea rivoluzionaria che renderà Atari il simbolo dell’industria
videoludica. Gerard propose agli inizi del 1979 a Kassar di
negoziare con Midway per ottenere la licenza di Space Invaders5 per
svilupparne una cartuccia per VCS; Midway accettò e nel 1980 negli
USA fu commercializzata la prima versione casalinga di Space
Invaders. Il successo era stato tale da portare alla nascita del
concetto di killer application, termine con cui si indica un gioco che
esercita sugli acquirenti un fascino tale da spingerli ad acquistare la
console per cui è stato programmato: con Space Invaders Atari nel
1980 vendette al prezzo di 200$, 2 milioni di console, mentre le
cartucce vendute ammontavano a 2,5 milioni; inoltre, con tale
mossa Atari inaugurò una nuova mossa strategica, ossia lo sviluppo
di videogiochi su cartuccia ispirati alle versioni arcade. Ray Kassar
aveva raggiunto il suo scopo, rendendo il VCS e i videogiochi, un
prodotto di massa.
Tabella 1. Dati di vendita Odyssey, Atari Pong, Fairchild Channel F.
Odyssey Atari Pong Faichild Channel F
Console 0,33* 0,15 0,25

*valori espressi in milioni


Fonte: http://vgsales.wikia.com/wiki/First_generation_of_video_games

5 Coin-op sviluppato da Toshihiro Nishikado e lanciato dall’azienda giapponese TAITO nel Giugno del 1978.
I dati di vendita ne dimostrano il dilagante successo: nel solo ’78 TAITO aveva venduto 350.000 unità,
allargando di molto il pubblico dei videogiocatori. Fu esportato e distribuito in America alla fine del ’78 da
Midway.

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1.4 Intellivision e il 1979: la prima console war
Col termine console war viene indicato in ambito videoludico lo
scontro tra due o più aziende, che ambiscono a conquistare il
mercato, puntando su punti strategici quali la potenza grafica del
proprio apparecchio, la produzione dei relativi giochi da parte di
aziende di terze parti e in alcuni casi i dati inerenti alle vendite.
Il lancio sul mercato nel maggio del ‘79 della console prodotta dalla
Mattel, Intellivision, decreta l’inizio della prima console war: Atari con
la sua creatività e nuova organizzazione interna era riuscita a
rendere le console un prodotto adatto ad un vasto pubblico, ma la
longevità del VCS lo rendeva obsoleto rispetto alla console Mattel.
Dotato di un’architettura basata sul microprocessore CP1610 di
General Instruments, in grado di generare una potenza grafica pari
a 16 bit, contro gli 8 prodotti dall’Atari 2600 a cui si accompagnano
due co-processori dedicati al video e all’audio e una memoria RAM
di 2kb contro i 128 byte della console avversaria. La battaglia
coinvolse anche gli spot pubblicitari, in cui Intellivision metteva in
risalto il suo comparto sonoro, migliore rispetto a quello del VCS, e i
videogiochi sportivi, gli unici in grado di dimostrare la fluidità e la
velocità del motore grafico della console; Atari dalla sua parte aveva
un esteso e variegato parco titoli, a cui va aggiunta la particolarità
del microprocessore MOS6507 che raggirava la mancanza di un
potente motore grafico in cui memorizzare l’immagine da riprodurre,
attraverso un processo con cui la schermata invece di essere
memorizzata e aggiornata, veniva rigenerata dalla console 60 volte
al secondo, permettendo anche di riprodurre 128 colori contro i 16
dell’Intellivision.

24
Il 1980 registra delle vendite pari a 300.000 unità, contro i 2 milioni
del VCS; il merito è anche del miglioramento del parco titoli Mattel,
in grado di riprodurre egregiamente i giochi arcade presenti nelle
sale giochi. Per di più, Activision6 che sino ad allora aveva
sviluppato giochi esclusivamente per Atari, strinse un accordo
commerciale con Mattel per produrre giochi in licenza;
inconsapevolmente Activision aveva dato vita al concetto di gioco
multipiattaforma, che rendeva gli stessi videogiochi disponibili su
console diverse.

6 I fondatori di Activision avevano lavorato come sviluppatori per Atari sino al 1979, che sotto la guida di Ray
Kassar sminuiva il lavoro dei programmatori a cui non spettavano royalties in base al numero di cartucce
vendute.

25
Mattel per trainare le vendite, rese disponibili per la console una
serie di periferiche esterne: ne sono esempio Play Cable, primo
esemplare di periferica che attraverso la connessione alla TV via
cavo, permetteva col pagamento di un canone mensile di poter
scaricare in memoria i giochi disponibili per Intellivision, con l’unica
differenza, rispetto agli attuali abbonamenti on-line, che con lo
spegnimento della console, i giochi scaricati andavano persi;
Intellivoice, che consentiva di utilizzare una rudimentale sintesi
vocale dei giochi a cui poteva essere abbinata; Keyboard
Component, periferica annunciata nel 1981 e dotata di una tastiera
che attraverso una memoria RAM di 16kb espandibili sino ad 8MB
rendeva Intellivision un computer, con le relative funzioni e cartucce
utili alla didattica.

Figura 3. Partendo da sinistra: Playcable, Intellivoice, Keyboard Component correlato anche di un


Intellivision con entrambi i controller. Fonte:http://thedoteaters.com/?attachment_id=2240
http://gaming.wikia.com/wiki/Intellivoice_Voice_Synthesis_Module?file=Mattel_Intellivoice.jpg,
https://vignette.wikia.nocookie.net/retroconsoles/images/5/5b/Intellivision_with_Keyboard_component_.jp
g/revision/latest?cb=20130528161941, consultati il 30/03/2018.

Gli alti costi di produzione assieme alle difficoltà poste dalla


fabbricazione su larga scala, portò a un grande ritardo nel lancio
della periferica, sino all’intervento nel 1982 della Commissione
Federale Statunitense che inflisse un’ammenda di 10.000$ per ogni
giorno trascorso dal lancio ufficiale sul mercato; ciò costrinse Mattel
a rendere la periferica disponibile solo per corrispondenza, dopo
aver prodotto 4.000 unità. Ad essa seguì il lancio di una periferica
simile, ECS, con costi di produzione inferiori rispetto a Keyboard
26
Component. L’Intellivision ha avuto anche un successore,
l’Intellivision II, immesso sul mercato nel 1983: la console era di
qualità inferiore, e ha goduto di un successo inferiore rispetto al suo
predecessore, al punto tale che nel 1984 Mattel chiuse il comparto
dedicato alle console elettroniche.
A seguire, i dati relativi al numero di titoli sviluppati per ciascuna
console e le relative vendite.
Tabella 2. Dati di vendita Atari 2600 e Intellivision
Atari 2600 Intellivision
Console 30* 3
Videogioc 550** 125
hi
sviluppati
*Valori spressi in milioni
** Espressi in singole unità
Fonti:http://www.dizionariovideogiochi.it/doku.php?id=mattel_intellivision
http://vgsales.wikia.com/wiki/Second_generation_of_video_games

1.5 ColecoVision e il 1982: console giusta, anno sbagliato


Fondata nel 1932 come azienda produttrice di scarpe e borse in
pelle dai fratelli Greenberg, CoLeCo a partire dal 1968 cambiò
radicalmente aspetto: con l’acquisto della Eagle Toys, azienda
produttrice di flipper e giochi elettronici, CoLeCo si inserì nel
mercato delle console. Nel 1976 aveva lanciato sul mercato la sua
prima pong console, Telstar; dotata di sei giochi incentrati sullo sport
e con diversi livelli di difficoltà, erano presenti sul mercato 13
versioni della console. Le unità vendute ammontarono ad 1 milione,
ma nonostante ciò, Telstar non era riuscita ad affermarsi sul
mercato. Inizialmente, l’azienda si era dedicata alla produzione e
vendita di console portatili, in concorrenza con Mattel, per poi
passare alla produzione dei tabletop, riproduzioni da tavolo in scala,
dei cabinati più diffusi all’epoca: il prodotto ha avuto un successo
maggiore rispetto al precedente Telstar, fornendo a CoLeCo i fondi

27
necessari per poter assumere Michael Kratz, allora sotto contratto
da Mattel, offrendogli il posto di vicepresidente della divisione
elettronica. Greenberg propose a Kratz lo sviluppo di una console
che riuscisse a reggere il confronto con i giochi arcade, in modo tale
da poter usufruire in casa degli stessi titoli collocati nelle sale giochi.
CoLeCo aveva già avuto esperienza con i tabletop, per cui nel 1981
mentre il reparto Ricerca e Sviluppo si dedicava alla creazione del
nuovo apparecchio, l’azienda si occupava della produzione di
cartucce per altri dispositivi. Nell’Agosto del 1982 la nuova console
targata CoLeCo, il CoLeCoVision approdò sul mercato: con un costo
pari a 175$, grazie al processore Zilog Z80, che elaborava assieme
a due microprocessori Texas Instruments, dedicati alla grafica e al
sonoro, permettevano la riproduzione di suoni polifonici a 3 voci.
Infine, una memoria RAM da 16kb consentiva al CoLeCoVision di
poter essere paragonato ai cabinati. CoLeCo era stata in grado di
acquisire una buona fetta di mercato lanciando la console assieme
alla conversione su cartuccia del videogioco, Donkey Kong.
Presente sul mercato dal 1981, commercializzato in versione arcade
dall’azienda giapponese Nintendo7, sino ad allora operante solo in
Giappone. Qui la compagnia aveva già riscosso successo grazie al
cabinet di Radarscope, permettendole di approdare in America
grazie a Minoru Arakawa, genero del presidente dell’azienda; ma
Radarscope negli USA non aveva raccolto lo stesso successo avuto
in Giappone, motivo per cui al designer Shigeru Miyamoto era stato
commissionato lo sviluppo di un nuovo videogioco, ossia Donkey
Kong. Il successo del lavoro di Miyamoto fu straordinario in termini
di vendita: dai soli 1000 cabinati al mese di Radarscope venduti,

7 Azienda fondata nel 1933 da Fusajiro Yamauchi come produttrice di carte da gioco giapponesi Hanafuda e
dedita dal 1977 alla produzione e allo sviluppo di videogiochi. Fonte: https://www.nintendo.it/Chi-
siamo/Storia-di-Nintendo/Storia-Nintendo-625945.html consultata in data 07/04/2018

28
Nintendo era passata alla vendita di oltre 4000 cabinati al mese di
Donkey Kong, per un totale negli USA di 70.000 unità vendute, che
fruttarono a Nintendo 300 milioni di dollari.
Con dei tassi di vendita così alti nel solo 1981, Donkey Kong
rappresentava una ottima killer application per CoLeCo, che nel
1981 si era accordata con Nintendo per poter produrre una versione
su cartuccia del gioco per ogni
console disponibile. Il lancio del
videogioco in versione domestica
sarebbe avvenuto nel 1982, a patto
che nei primi sei mesi l’unica versione
in commercio fosse solo quella per ColecoVision, venduta in bundle8
assieme alla console, con esiti prolifici: nel solo 1982 gli utili erano
pari a 500 milioni di dollari. La fortuna della console derivava anche
dal carattere innovativo, vista la presenza di tre periferiche esterne
che permettevano di aggiungere un volante dotato di pedaliera da
utilizzare nei giochi automobilistici, o di trasformare la console in un
vero e proprio home computer. Questi ultimi negli anni ’80 godettero
di particolare successo, in virtù dell’utilizzo sia didattico che
videoludico, portando ad una lenta affermazione sul mercato. La
periferica più controversa è Module #1, che permetteva attraverso
l’aggiunta di uno slot per cartucce diverso, di leggere i videogiochi
per Atari 2600; la periferica destò grande clamore, spingendo Atari a
denunciare CoLeCo e a portare la questione in tribunale. La vendita
di Module #1, non venne bloccata e le unità vendute ammontarono
a 150.000 unità.

8 Termine indicante nel linguaggio commerciale, pacchetto, confezione di prodotti di diverso tipo che
vengono venduti insieme a un prezzo vantaggioso. Fonte: https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?
q=bundle consultato in data 07/04/2018

29
CoLeCoVision nell’insieme si presenta come una console
innovativa, in grado di reinventarsi e di offrire intrattenimento
attraverso dei moduli esterni, che arricchivano l’offerta della console;
nonostante ciò ebbe vita breve, a causa della crisi che colpì
l’industria videoludica nel 1983, appena un anno prima del lancio sul
mercato della console.
Nel suo breve ciclo di vendite, CoLeCoVision piazzò in totale 6
milioni di unità, restando largamente al di sotto di Atari, che anche in
questo caso ma superando Mattel, come dimostra la tabella che
segue:
Tabella 3. Dati di vendita Atari 2600, Intellivision e CoLeCoVision
Atari 2600 Intellivision CoLeCoVision
Console 30* 3 6

*Valori espressi in milioni


Fonti:http://www.dizionariovideogiochi.it/doku.php?id=colecovision
http://www.dizionariovideogiochi.it/doku.php?id=mattel_intellivision
http://vgsales.wikia.com/wiki/Second_generation_of_video_games

1.6 La grande crisi del 1983


Il 1983 è noto come l’anno della grande crisi dell’industria
videoludica, scatenata da fattori di diversa natura.
Atari era riuscita a contrastare, vincendo, lo scontro con Mattel e
CoLeCo: l’allontanamento di Nolan Bushnell e l’elezione a CEO di
Ray Kassar, avevano notevolmente ingrandito l’azienda in termini di
ricavo e di operai assunti, passando da volumi di vendita pari a 75
milioni e 1500 dipendenti del 1978 ai 2,2 miliardi di dollari e 12mila
operai del 1983; tali volumi erano troppo grandi persino per Kassar.
Il grande errore compiuto dal CEO, risiedeva nei contratti stipulati
con i programmatori, figure da cui dipendeva il successo
dell’azienda: i programmatori di Atari non ricevevano alcuna
royalties sui videogiochi sviluppati. Quando Alan Miller, David

30
Crane, Bob Whitehead e Larry Kaplan, ai tempi sviluppatori di
punta, chiesero di essere inseriti in un sistema di royalties, al rifiuto
dell’azienda, si licenziarono, fondando nel 1979 Activision. Malgrado
i trascorsi con Atari, la nuova software house continuava a
sviluppare giochi per VCS, la cui qualità era superiore al punto da
riuscire a trascinare le vendite della console. La situazione peggiorò
quando negli anni ’80 altri sviluppatori lasciarono l’azienda; ciò
spinse Kassar a varare un programma di royalties. La decisione
negli anni a venire si ritorcerà contro la compagnia: avendo gli
sviluppatori migliori abbandonato Atari, non restava che investire
nelle licenze d’uso, rivendendo una versione per 2600 di qualunque
videogioco fosse in grado di attirare il grande pubblico. Così
facendo, l’azienda si privava della creatività che l’aveva sempre
caratterizzata, e ciò era ben visibile anche al suo interno, ove il
reparto Ricerca e Sviluppo, precedentemente cuore trainante della
compagnia, era stato surclassato dal reparto marketing: non
importava quale videogioco vendere, ma quanti venderne, in un
sistema in cui la quantità toglieva spazio alla qualità, infestando il
mercato con numerose cartucce il cui pregio lasciava a desiderare.
Il culmine era stato raggiunto nel 1982 quando Kassar acquistò la
licenza d’uso di Pac-Man9 per poterne sviluppare una versione per
VCS: la scelta del programmatore che avrebbe lavorato sul nuovo
videogioco cadde su Tod Frye, scelto non per le sue abilità, bensì
perché la scelta dei programmatori avveniva in maniera sistematica,
attraverso uno schema organizzato in turni, una follia se si pensa
che Frye prima di lavorare su Pac-Man fosse sull’orlo del
licenziamento. Inoltre, Kassar decise di produrre 12 milioni di

9 Videogioco arcade di grande successo sviluppato e prodotto da Namco in Giappone ed esportato da


Midway in USA nel 1980: vendette nel primo anno 400 mila unità in tutto il mondo, con ricavi pari a 2 miliardi
di dollari

31
cartucce, per 10 milioni di console vendute sino ad allora,
pronosticando che Pac-Man avrebbe spinto altri 2 milioni di
videogiocatori ad
acquistare la console.
Le stime di Kassar si
rivelarono totalmente
errate: non solo il
videogioco
programmato da Frye
era di scarsa qualità, totalmente lontano dalla versione arcade, ma
delle 12 milioni di cartucce prodotte, 5 milioni rimasero invendute,
producendo per Atari guadagni pari a 200 milioni di dollari ma
deludendo 7 milioni di acquirenti, gettando le basi per la perdita di
fiducia nei confronti della compagnia.
Sul mercato erano presenti troppe console: nel 1982 se ne possono
contare 12, ognuna con un grande parco titoli, delle volte
presentanti dei giochi in comune. Inoltre, molte aziende senza
alcuna conoscenza nel settore iniziarono a sviluppare videogiochi
distribuiti in licenza d’uso, ma spesso questi erano di scarsa qualità;
all’acquirente era permesso restituire al venditore il gioco
indesiderato, ricevendone un altro in cambio, ma gran parte delle
volte nonostante il reso, il compratore si ritrovava tra le mani un
gioco di scarsa qualità. Tale meccanismo nel lungo termine, da una
parte rese il mercato saturo, dall’altra allontanò sia i potenziali
clienti, sia coloro che già possedevano una console.
Tra le cause della crisi figurano anche gli home computer, sino ad
allora prodotto alla portata di pochi esperti di elettronica e
programmazione che avevano a loro disposizione un budget
elevato. A partire dal 1982 il prezzo dei computer, grazie

32
all’abbassamento dei costi di produzione dei microprocessori, calò
sensibilmente: tale anno è noto per il lancio sul mercato di alcune
pietre miliari del settore informatico, quali Commodore 64, venduto
in tutto il mondo, Sinclair ZX Spectrum presente soprattutto in
Inghilterra. Inoltre, gli home computer erano venduti anche nei
supermarket, negozi di giocattoli e grandi centri commerciali,
offrendo forti sconti a coloro che per acquistare un computer
rottamavano la loro vecchia console. I prezzi seppur competitivi,
restavano superiori a quelli delle console ma a ciò aveva posto
rimedio la duplice funzionalità degli home computer, presentati negli
spot pubblicitari come prodotti utili soprattutto all’apprendimento
didattico, piuttosto che allo svago; il prezzo superiore era comunque
giustificato dalla potenza e dalla qualità, migliore rispetto a quella
delle console.
Tra i giochi colpevoli di aver contribuito alla perdita di prestigio di
Atari, contribuiva anche la versione per VCS di E.T. L’Extraterrestre,
gioco ispirato al film di Steven Spielberg di cui Steve Ross, CEO di
Warner, aveva acquistato nel luglio del 1982 la licenza d’uso al
costo di 25 milioni. Per poter recuperare il grande investimento, il
videogioco doveva essere pronto prima di Natale, periodo molto
prolifico per le vendite; per tale motivo era necessario sviluppare,
produrre e organizzare in soli tre mesi una campagna marketing,
operazione molto difficile in tempi così ristretti, che solitamente
richiedeva dai sei mesi ad un anno. La programmazione del
videogioco era stata affidata ad un solo sviluppatore, Howard Scott
Warshaw, che aveva a sua disposizione solamente poche
settimane. In tempi così brevi era difficile realizzare un prodotto in
grado di esercitare una grande attrattiva sugli clienti, specie se si
tiene conto delle grandi aspettative che Atari fomentava tra il grande

33
pubblico, in relazione al successo che la pellicola di Spielberg aveva
avuto. Inoltre, affinché fosse possibile recuperare i costi di sviluppo
e acquisto della licenza era necessario vendere almeno 5 milioni di
cartucce, quantità effettivamente prodotta; ma di queste, solamente
1,5 milioni erano state vendute. Atari aveva creato un flop: il gioco
risultava lento, difficile da comprendere, troppo in linea con la trama
del film ed esercitava una scarsissima attrazione sugli acquirenti, al
punto tale da essere indicato come il peggior videogioco della storia.
L’insuccesso era
stato tale da
spingere Atari
nell’anno successivo
a seppellire le
cartucce invendute
di E.T. L’Extraterrestre nel deserto di Alamogordo, in Nuovo
Messico: per anni la vicenda fu ritenuta leggendaria, per poi rivelarsi
reale grazie agli scavi finanziati da Microsoft e Zak Penn. Il 26 aprile
2014 i lavori di recupero dimostrarono l’effettiva presenza di migliaia
di cartucce nel sottosuolo.
E.T. per Atari 2600 rappresentava uno dei punti di non ritorno della
grande crisi che nel 1983 si abbatterà sull’industria videoludica: la
compagnia trascinò con sé anche le aziende concorrenti, lasciando
il mercato dell’intrattenimento videoludico nelle mani dei produttori
degli home computer. La perdita di prestigio di Atari nel dicembre
del 1982 si trasformò in realtà anche per gli analisti di Wall Street.
Le previsioni sui guadagni dell’ultimo trimestre del 1982 riportavano
una crescita pari al 50%, dato basato sugli ordini reali: Atari infatti,
pretendeva che i distributori effettuassero i loro ordini con un anno di
anticipo, e questi per evitare di restare senza scorte, avevano

34
effettuato grandi ordini, in un momento in cui il mercato dei
videogiochi era solido. Il 7 dicembre, alle 15.04 Atari annunciava
che le previsioni di crescita erano calate drasticamente, dal 50%
pronosticato sino ad allora, al 10%: ciò aveva portato anche
all’improvviso calo del valore delle azioni Warner, proprietaria della
compagnia dal 1976, determinando una perdita del 30% del loro
valore.
In una sola giornata, Atari aveva perso gran parte del suo valore,
avviandosi verso il definitivo declino, trascinando con sé tutta
l’industria videoludica; crollavano con anche Mattel e CoLeCo, e i
riparti di sviluppo dei videogiochi elettronici delle aziende che se ne
occupavano. Mattel nello stesso anno chiuse la sua divisione
elettronica, in passivo di 201 milioni di dollari, provocando il
licenziamento del 37% dei dipendenti del reparto, sui 1800 sino ad
allora presenti; Activision perse tra i 3 e i 5 milioni di dollari, mentre
Bally, azienda attiva nel settore dei cabinati, perse l’85% dei suoi
guadagni. Atari accusava il colpo maggiore: il 1982 chiudeva con
perdite pari a 356 milioni di dollari, destinate a crescere nel corso
del 1983, arrivando ai 538 milioni nel 1984. Il deficit spinse Warner a
vendere Atari, che venne acquistata da Jack Tramiel 10. L’accordo
non prevedeva uno scambio di denaro, bensì, la ricezione per
Warner di 240 milioni di dollari in obbligazioni a lungo termine e
warrant per il 32% di interesse nella nuova impresa di Tramiel, la
Tramel Technologies Ltd. che in cambio, riceveva warrant che gli
permettevano di acquistare 1 milione di azioni ordinarie della
Warner a 22 dollari l’una.

10 Fondatore di Commodore, azienda produttrice del famoso home computer Commodore 64, acquistò Atari
dopo essere stato estromesso dall’azienda da lui fondata; l’acquisizione di Atari avvenne attraverso la sua
nuova azienda, la Tramel Technology Ltd. Fonte: https://www.nytimes.com/2012/04/11/technology/jack-
tramiel-a-pioneer-in-computers-dies-at-83.html consultato in data 09/04/18

35
Per l’intero settore il 1983 fu un anno tragico: CoLeCo nel 1984
dismise la produzione e distribuzione del ColecoVision mentre Atari
perdeva grandi quantità di denaro; il mercato, saturo e uniforme
aveva allontanato del tutto i potenziali compratori, delusi dalle grandi
aspettative spesso non rispettate delle aziende.

1.7 Un nuovo futuro nipponico: Nintendo


La grande crisi del 1983 aveva messo in ginocchio il mercato
videoludico americano, senza che il mercato giapponese e quello
europeo ne avvertissero gli effetti; ciò avvenne a causa della diversa
natura dei mercati, che nel caso del Giappone era concentrato sui
coin-op, già diventati prodotti di massa, mentre in Europa
videogiochi e console non avevano ancora raccolto grande
successo. Una delle aziende sopravvissute alla crisi era Nintendo, la
cui sede principale era situata in Giappone. La compagnia grazie
specialmente al cabinato di Donkey Kong aveva avuto successo in
Giappone e negli USA. Prima di estendere le proprie vendite al di
fuori del Sol Levante, Nintendo aveva commercializzato nel 1977,
cinque apparecchi domestici appartenenti alla schiera delle Pong
Consoles, pubblicizzati col nome di TV Color Game, seguiti da un
numero indicante le varianti di Pong presenti su di esse. Nonostante
le buone vendite della serie, che si attestano all’incirca a 3 milioni di
unità, la compagnia decise di non cimentarsi nella produzione in
serie di console domestiche, in attesa del momento propizio per
farlo. L'occasione perfetta si verificò nel luglio del 1983 quando
l’azienda lanciò sul mercato giapponese il Famicom, abbreviazione
di Family Computer; l’assenza negli USA di competitor avrebbe reso
più agevole in futuro il lancio della console negli Stati Uniti, territorio

36
in cui gli apparecchi videoludici ancora suscitavano scarso interesse
dopo la grande crisi del 1983.
Il Famicom si dimostrò nettamente diverso dalle console americane:
dotato di un co-processore grafico in grado di elaborare 48 colori,
pochi rispetto ai 128 del VCS, si differenziava per la possibilità di
poter muovere contemporaneamente sullo schermo 64 oggetti
indipendenti, conferendo alla console Nintendo una fluidità che la
avvicinava di molto ai coin-op, ancora in voga in Giappone. Era
presente anche un co-processore audio in grado di gestire 5 voci
contemporaneamente, oltre alla memoria RAM di 2KB; l’innovazione
del Famicom era rappresentata dall’hardware aggiuntivo presente
nelle cartucce, che permetteva alla macchina di esplicare una
maggiore potenza grazie al lavoro congiunto di console e cartuccia.
Il corpo console del Famicom non era di molto diverso rispetto alle
console avversarie, mentre la novità risiedeva nel controller, dotato
di un particolare innovativo, la croce direzionale11, ottenuta
dall’unione dei 4 tasti direzionali posti l’uno di fronte all’altro e uniti
per formare una croce a cui si aggiungono due tasti azione, A e B,
dall’uso pratico e intuitivo. Il Famicom grazie alle sue caratteristiche
rivoluzionarie, determinate anche dall’abbassamento dei costi di
produzione rispetto alle console precedenti, al primo anno di debutto
era stato in grado di vendere nel solo Giappone, 500.000 unità; i
risultati spinsero il presidente Hiroshi Yamauchi a cercare un partner
commerciale che distribuisse la console in America, direzionando la
ricerca verso Atari. L’azienda aveva subito ingenti perdite durante la
grande crisi dell’industria videoludica del 1983, ma riuscì a
sopravvivere grazie ai profitti degli anni precedenti, al punto tale da

11 Ideata da Gunpei Yokoi. Particolare già presente nella linea “Game & Watch” di Nintendo,
commercializzata nel 1977 e formata da mini sveglie dotate di schermo su cui erano presenti dei giochi pre-
installati, diverso per modello.

37
sviluppare una nuova console, Atari 7800: motivo per cui Kassar,
ancora CEO della società, propose a Nintendo un contratto secondo
cui Atari avrebbe lanciato la sua macchina e se le vendite di questa
avrebbero avuto un buon impatto, Atari avrebbe puntato sulla sua
console, lasciando poco margine sul mercato a Nintendo; in caso
contrario, Atari avrebbe distribuito e pubblicizzato il Famicom. Era il
1984, e Kassar ottenne anche l’esclusività su Donkey Kong: ma una
volta giunto il momento di firmare l’accordo, Atari fu venduta da
Warner a Jack Tramiel, co-fondatore di Commodore, che licenziò
Kassar, facendo saltare gli accordi pregressi. Il presidente
Yamauchi, affidò il lancio ai manager di Nintendo America, divisione
presente sul suolo americano dal lancio del coin-op di Donkey Kong;
questi nel 1985 presentarono al Consumer Electronic Show una
versione del Famicom destinata al mercato americano, ma non
attirò distributori. Malgrado ciò, il presidente della divisione
americana di Nintendo, Minoru Arakawa decise di proporre la
vendita ai singoli distributori, da cui acquisterà tutti i prodotti
invenduti dopo la stagione di vendite del Natale 1985. Grazie a tale
vantaggioso accordo, il NES, abbreviazione di Nintendo
Entertainment System venne venduto nella sola area di New York,
raggiungendo le 50.000 unità vendute; un dato positivo che spinse
l’azienda a commissionare a Shigeru Miyamoto lo sviluppo di un
nuovo videogioco per NES, di cui ne sarà il prodotto di punta.
Appartiene a Miyamoto la paternità di Donkey Kong, gioco in cui il
titolo indica l’avversario da sconfiggere, non il nome del personaggio
mosso dal giocatore, chiamato Jumpman; lo sviluppatore creò un
gioco incentrato su tale figura, dandogli il titolo di Super Mario Bros,
facendone il protagonista del videogioco venduto in bundle col NES
nel 1986. La console, dall’aspetto allora nuovo, con dei controller

38
innovativi e comodi, dotata di un videogioco appositamente studiato
per esplicarne la potenza, totalmente diverso rispetto ai
predecessori, sarà un
successo: nel solo 1986 in
America erano state
vendute 3 milioni di unità. I
dati di vendita potrebbero
apparire deludenti, ma il
mercato e i consumatori dimostrarono come negli anni successivi
alla grande crisi, i videogiochi non esercitavano alcuna attrazione
sugli acquirenti poiché erano visti come poco seri, o noiosi, sul suolo
americano; da grande prodotto di massa quali erano
precedentemente, erano quasi finiti nel dimenticatoio. Merito di
Nintendo in questo caso è l’aver presentato la console come un
giocattolo, abbinandogli un’immagine accattivante e un videogioco
fuori dagli schemi precedenti, ripristinando negli acquirenti la fiducia
persa dopo la grande crisi del 1983. Nintendo si era dimostrata
anche lungimirante, dotando il NES di un chip, il 10NES, che agiva
bloccando la lettura dei giochi senza marchio di licenza Nintendo,
una protezione sia contro la saturazione del mercato, che contro
l’abbassamento della qualità dei videogiochi, fattori che avevano
strangolato le finanze di Atari.

1.8 L’apparizione di un nuovo competitor: SEGA


Gli anni ’50 assistono alla nascita del principale competitor di
Nintendo, SEGA. Il fondatore dell’azienda era Marty Bromley, attivo
nelle basi militari hawaiane con la sua azienda, la Standard Games,
per occuparsi dell’installazione e manutenzione delle slot machine.
Quando nel 1952 gli Stati Uniti resero illegali le slot machine,

39
Bromley acquistò dal governo gli apparecchi e li distribuì in
Giappone attraverso una seconda azienda da lui fondata, Service
Games. Negli stessi anni l’imprenditore americano David Rosen
fondava in Giappone, la Rosen Enterprices che esportava flipper
dagli USA immettendoli nel mercato nipponico; Rosen e Bromley
operavano dunque su due settori tra loro simili, motivo per cui nel
1964 le due società si unirono, assumendo il nome di SEGA
Enterprices Ltd. di cui Rosen ne era CEO. Nonostante entrambi
fossero americani, la sede principale di SEGA era situata in
Giappone ed è da qui che l’azienda iniziò ad esportare i primi
cabinati; il primo esemplare, Periscope, lanciato sul mercato nel
1966 era uno sparatutto ambientato sott’acqua. Malgrado le notevoli
dimensioni del cabinato, esso ebbe un buon impatto sul mercato
nipponico, al punto tale che SEGA aveva iniziato ad esportare i suoi
cabinati anche sul suolo americano. Il successo attirò il gruppo Gulf
+ Western che acquistò l’azienda nel 1967.
Per restare al passo col nascente mercato dei coin-op, SEGA
acquisì Gremlin Industries per poter produrre da sé i microchip
necessari per fabbricare gli arcade. Grazie a tale acquisizione,
SEGA riuscirà ad espandersi sia sul mercato giapponese che su
quello nordamericano, resistendo anche al calo delle vendite del
1982 che colpì generalmente l’industria videoludica nipponica; nel
caso del Giappone, ad essere affermato era il mercato degli arcade,
che nel 1982 risentì di un improvviso calo delle vendite, motivo per
cui i due principali competitor, SEGA e Nintendo, potettero mettere
in secondo piano il mercato dei coin-op per poter impiegare le
proprie risorse nello sviluppo delle console domestiche.

1.9 Sega e Nintendo: una nuova console war

40
Mentre in America imperversava la crisi del 1983, che investì il
settore delle console fisse, contemporaneamente in Giappone la
crisi degli arcade dell’anno precedente era stata superata grazie al
lancio sul mercato di due console: il Famicom di Nintendo, che
giungendo in America nel 1985, riavvicinerà gli acquirenti americani
al mercato dei videogiochi, e SG-1000, console di SEGA presente
sul solo mercato nipponico. Entrambe le console vennero lanciate lo
stesso giorno, il 15 luglio 1983, ad un prezzo pari a 15.000¥ per la
console SEGA e 14.800¥ per il Famicom. Le componenti della
console SEGA contrariamente a quelle del Famicom erano già
datate: SG-1000 montava lo stesso processore del ColecoVision, lo
Zilog Z80, motivo per cui la console mancava di quella ventata
rivoluzionaria, potente e colorata di cui era dotato l’apparecchio di
Nintendo. Risentirono di tale mancanza le vendite, che spinsero il
gruppo Gulf + Western a rivendere l’azienda, proponendone
l’acquisto al CEO, Rosen, per 38 milioni di dollari. Rosen non
disponeva di tale cifra, per cui la società venne infine acquisita da
un gruppo di investitori, in cui le somme maggiori provenivano da
Rosen, Nakayama e Isao Okawa, presidente del gruppo CSK
Holding. L’acquisto fu seguito anche dal ricambio dei vertici
aziendali: Nakayama diventò CEO della sede principale di SEGA,
ubicata in Giappone, mentre Rosen sarebbe rientrato nel consiglio
di amministrazione di SEGA America, divisione estera che avrebbe
curato ed esportato i prodotti della casa madre sul suolo
statunitense.
Con i nuovi vertici aziendali, SEGA tentò di mantenere ancora viva
la linea SG-1000, creando nuovi modelli quali SG-1000 II e SC-
3000; il primo era dotato di una periferica a forma di tastiera che
trasformava la console in un personal computer, riprendendo la

41
tendenza inaugurata dal Commodore 64. Il passo successivo fu
compiuto nel 1985 quando SEGA mise sul mercato l’ultimo modello

della linea SG-1000 ossia SC-3000 conosciuto anche come SEGA


Mark III, trampolino di lancio per esportare le console domestiche
SEGA in occidente, dove Mark III, venne rinominato e ridisegnato
per il mercato occidentale e presentato col nome di Master System.
la commercializzazione della console avvenne in America nel 1986,
mentre giunse in Europa nel 1987.
Punto di forza della console era la potenza grafica, evidenziata da
alcuni videogiochi nati per poterla dispiegare; il Master System
vantava una innovativa grafica simil-3D, ideata dallo sviluppatore Yo
Suzuki, che creò per la console videogiochi quali Hang-On e Space
Harrier. Il piano marketing di SEGA prevedeva la presentazione del
Master System come una console per adulti, grazie anche
all’architettura dei suoi videogiochi, che presentavano trama e
grafica accattivanti, avvicinandosi ai gusti dei videogiocatori più
maturi; inoltre il Master System non era presente solamente nei
negozi di giocattoli, come il NES, e ciò contribuì nel dare alla
console un aspetto più allettante per gli acquirenti. Dal canto suo, la
console Nintendo poteva contare su un esteso parco titoli e su dei
videogiochi di punta con cui la console poteva identificarsi: Super
Mario Bros. e The Legend Of Zelda, video game i cui protagonisti
erano delle vere e proprie mascotte. Infine, Nintendo grazie al suo
marchio di qualità poteva contare su videogiochi sempre all’altezza

42
della sua console, contrariamente a SEGA che a parte pochi titoli
degni di nota, non ebbe dagli sviluppatori terze parti lo stesso
appoggio che poteva vantare Nintendo. Ciò che essenzialmente
mancava al Master System era un prodotto con cui la console
potesse identificarsi, trascinando le vendite; Nintendo grazie a
Super Mario Bros, la cui cartuccia era venduta in bundle con la
console nel 1986, riuscì ad innalzarle, poiché il piano marketing di
Nintendo prevedeva di investire sui giochi, piuttosto che sulle
console. L’azienda nipponica tenendo conto del passato e di quanto
accaduto ad Atari, che concedeva a chiunque la possibilità di
sviluppare cartucce per VCS, senza controllarne la qualità, permise
solo ai videogiochi oltre un certo standard, di poter essere sviluppati
per NES: inoltre, Nintendo acquistava l’esclusiva sui prodotti e in
altri casi stipulava contratti di vendita che vincolavano gli sviluppatori
all’azienda per due anni. Non deve dunque meravigliare che SEGA
nel 1986 abbia pubblicato, il videogioco Alex Kidd in The Miracle
World, titolo dal successo tale che da spingere i consumatori a
credere che il protagonista, Alex Kidd, fosse la mascotte ufficiale
SEGA; l’azienda, nonostante in seguito abbia pubblicato altri capitoli
della saga, non seppe sfruttare a pieno il fascino che la pseudo-
mascotte esercitò sugli acquirenti. Non fu mai proposta una versione
bundle della console col gioco, e SEGA si limitò a pubblicare nel
1990 una seconda versione della console, il Master System II, su cui
il videogioco Alex Kidd In The Miracle World era precaricato.
SEGA non era stata in grado di sfruttare a pieno le potenzialità della
console e ciò è dimostrato dai dati di vendita che mostrano come,
NES abbia venduto 61 milioni di unità in tutto il mondo, dal 1983 al
1995, triplicando le vendite del Master System, fermo a 20 milioni di
unità. Analizzando a fondo i dati, si evince come la console

43
Nintendo abbia avuto un forte impatto in America, dove si diffuse la
cosiddetta Nintendomania: del totale delle unità liquidate, 34 milioni
di esse erano state vendute negli USA, mentre 19 milioni delle
console totali erano state vendute in Giappone, ove il NES era
rivenduto col nome di Famicom. Sul mercato europeo la situazione
si ribalta: qui la console Nintendo seppur di poco, vendette meno
unità rispetto al Master System, per un totale di quasi 6.95 milioni di
unità vendute nell’Europa Occidentale, contro le 5.98 milioni di unità
del NES. Tale differenza è da attribuire all’avvenuto ritardo nel
lancio della console Nintendo, avvenuto nel 1987, assieme ad una
campagna marketing molto approssimativa in Europa. In totale, le
vendite del NES fruttarono a Nintendo, sino alla dismissione della
console nel 1993, 3,34 miliardi di dollari. Infine, vanno evidenziati i
dati di vendita inerenti al Brasile, dove le vendite del NES furono
così poco rilevanti al punto tale da non essere registrate, mentre il
Master System registrò un vero e proprio boom di vendite, arrivando
a 8 milioni di unità, dato raggiunto anche grazie alla longevità della
console, distribuita in Brasile da Tectoy sino al 2010.
Tabella 4. Dati di vendita Master System e Famicom/NES.
Master System Famicom/NES
Brasile 8* -**
Europa 6,95 5,98
Giappone 2,52 19
Nord America 2 34
Corea del Sud 0,7 0,3

Totale 34,7 61
*Dati espressi in milioni
**Dato ufficiale non disponibile
Fonti: http://vgsales.wikia.com/wiki/Third_generation_of_video_games

Alla fine degli anni ’80 il bilancio complessivo poneva in testa alla
lotta alle migliori vendite Nintendo, che grazie alla sua martellante
campagna marketing negli USA riuscì ad avere un grande vantaggio

44
sulle console SEGA; gli anni ’90 erano alle porte e SEGA avrebbe
stravolto il mercato, rendendo popolari le console a 16 bit.

CAPITOLO 2:
GLI ANNI ’90 E IL NUOVO MILLENNIO

2.1 Mega Drive e Super Nintendo: lo scontro tra due colossi


Negli anni ‘80 il videogioco era stato in grado di affermarsi sul
mercato, rinascendo dalle sue ceneri dopo la grande crisi del 1983.
SEGA e Nintendo avevano dimostrato come i videogiochi, se
accompagnati da buone tecniche di mercato e leggi volte a
regolarne la produzione, erano in grado di attestarsi come prodotto
di massa, destinato a rimanere permanentemente sugli scaffali.
Nel decennio seguente, le aziende volte alla produzione di materiale
videoludico potettero dimostrare al mondo, con i loro prodotti, il vero
volto, potendosi ora muovere su un mercato che difficilmente
sarebbe crollato.
Il primo passo fu compiuto da SEGA, lanciando nel 1988 nel solo
Giappone la sua nuova console, SEGA Mega Drive, dotata di una
potenza in termini di bit doppia rispetto ai suoi predecessori. Il
motore grafico di Mega Drive verteva attorno al processore Motorola
68000, lo stesso montato sugli home computer Apple, in grado di
conferire velocità e fluidità ai videogiochi ad essa dedicati;
nonostante la rinnovata potenza, il nuovo prodotto venne accolto
tiepidamente, registrando in Giappone vendite pari a 400.000 unità.
Punto debole della campagna marketing SEGA era la mancanza di
45
una mascotte; già negli anni ’80 la compagnia risentiva di tale
assenza, non riuscendo a sfruttare a pieno il successo che aveva
ottenuto Alex Kidd, visto da molti giocatori come la mascotte
ufficiale, nonostante la compagnia non avesse mai confermato, né
reso tale il personaggio. Nell’anno successivo il Mega Drive
raggiunse gli USA, dove venne ribattezzato Sega Genesis. La
nuova console fu accompagnata da una campagna marketing
aggressiva, mirata allo sbeffeggiamento di Nintendo, derisa nelle
pubblicità con slogan quali “Genesis Does What Nintedon’t”, mentre
per quanto concerne lo sviluppo dei videogiochi, avendo Nintendo
stretto accordi di terze parti con gran parte delle migliori software
house, SEGA potette investire nell’unico settore non toccato dalla
sua avversaria, il settore sportivo. Tom Kalinske, CEO di Sega
America, strinse un accordo commerciale col fondatore di Electronic
Arts, Trip Hawkins, a cui fu permesso di produrre per SEGA una
serie di videogiochi incentrati sugli sport più seguiti negli USA,
sponsorizzati da sportivi di successo: la collaborazione porterà allo
sviluppo di videogiochi quali Joe Montana Football, Ayrton Senna’s
Super Monaco GP e Muhammad Ali Heavywaight Boxing. Passo
successivo nell’acquisizione dei settori tralasciati da Nintendo è lo
sviluppo, assieme alla software house U.S. Gold di cartucce il cui
protagonista appartiene al mondo della musica: un grande lavoro
degno di nota in è questo caso il videogioco Michael Jackson’s
Moonwalker, lanciato sul mercato nel 1990. Le due strategie di
SEGA ebbero un buon impatto, come dimostrano le vendite:
osservando i dati si può notare come dalle 400.000 unità vendute
nel 1988, SEGA in Giappone sino al 1990 abbia venduto 1,9 milioni
di unità, mentre negli USA i volumi di vendita passano dalle 500.000
mila unità dell’anno del lancio, a 1,5 milioni di pezzi del 1990,

46
mentre in Europa, dove la console giunse nel 1990, le vendite
raggiunsero un totale di 600.000 unità.
I dati mostrano come SEGA abbia aumentato il numero di
consumatori fidelizzati; il passo successivo fu la creazione di un
soggetto in cui l’azienda avrebbe potuto identificarsi, la tanto
agognata mascotte. Il grafico Naoto Oshima creò un personaggio
simile ad un porcospino blu, con delle scarpe rosse che
richiamassero quelle di Michael Jackson. Inizialmente la mascotte
venne chiamata Mr. Needlemouse, ma in virtù della sua principale
caratteristica che lo distingueva da tutti i personaggi precedenti, si
decise di ribattezzarlo Sonic The Hedgehog. Ciò che avrebbe reso
la mascotte SEGA diversa dagli altri personaggi era la straordinaria
capacità che il motore grafico della console assieme alle
caratteristiche di gioco gli conferivano; Sonic faceva apparire gli altri
videogiochi lenti ed obsoleti, lanciando il videogiocatore in una
frenetica sessione di gioco all’insegna della velocità. Venne
approntato il Sonic Team, un gruppo che si sarebbe occupato per
tutto il 1990 dello sviluppo di un titolo con protagonista la mascotte.
Il gioco venne completato nel 1991 e i vertici dell’azienda preferirono
attendere il Consumer Electronic Show di Las Vegas per presentarlo
al pubblico: sino ad allora sarebbe rimasto un segreto.
Nintendo aveva ben compreso quanto il NES nonostante le ottime
vendite, fosse tecnologicamente obsoleto, motivo per cui era
necessario sviluppare una nuova console a 16 bit. Ad occuparsi
della progettazione fu il Research and Development Team 2,
capeggiato da Masayuki Uema; la console nel 1990 era pronta per
essere commercializzata in Giappone, col nome di Super Famicom.
La novità del nuovo apparecchio Nintendo era il chip Mode 7
Graphics, in grado di dare l’illusione di un panorama di gioco

47
profondo, rasentante il 3D, effetto possibile grazie ai 32.000 colori in
grado di elaborare la console, contro i 512 del Mega Drive. Come da
prassi, il Super Famicom venne lanciato inizialmente in Giappone,
ove registrò grazie ai soli preordini vendite pari a 1,5 milioni;
sarebbe stata presentata al mondo al Consumer Electronic Show di
Las Vegas del 1991, evento a cui sarebbe seguita la vendita globale
della console.
La conferenza di Las Vegas fu il primo campo di battaglia in cui le
due macchine si scontrarono: il Super Famicom venne presentato
nella sua variante europea, il Super Nintendo Entertainment
System, detto anche SNES, accompagnato dal nuovo videogioco
della mascotte Nintendo, Super Mario World; i nuovi prodotti della
casata giapponese furono accolti con entusiasmo dai giornalisti
presenti all’evento. Quando fu SEGA a presentare i suoi prodotti, gli
stessi giornalisti andarono in visibilio: essi potettero assistere al
porcospino blu, Sonic, sfrecciare sui grandi schermi, ad una velocità
coinvolgente, mai portata sino ad allora su nessuna piattaforma
domestica. SEGA con un solo gioco, Sonic The Hedgehog, era
riuscita a creare una mascotte, che avrebbe avvicinato e fidelizzato
nuovi compratori, mentre Nintendo ora aveva un avversario alla sua
altezza, con cui competere. La prima stagione di vendita, il 1991, si
concluse con un leggero vantaggio del Mega Drive, scaturito
dall’anno di anticipo da cui la console era sul mercato, che permise
a SEGA di conferire al suo apparecchio un parco titoli contante 150
videogiochi, contro i 12 di Nintendo all’uscita di SNES: in America lo
scarto era pari a 1,1 milioni di unità, avendo Mega Drive venduto 3,1
milioni di console contro le 2 milioni di SNES, mentre in Europa,
dove il prodotto Nintendo era giunto nel 1992, accompagnato da
una campagna marketing approssimativa e superficiale, ad imperare

48
era SEGA, con quasi 2 milioni di pezzi venduti, di cui 400.000 in
Italia.
La lentezza di Nintendo nel pubblicare titoli era giustificata dalla
complessità degli stessi: nel 1992 per SNES fu lanciato A Link To
The Past, terzo titolo della saga di Legend Of Zelda, mascotte semi-
ufficiale di Nintendo. Il videogioco, dalla lunga giocabilità, collegava
tra sé una serie di mondi, coinvolgendo il giocatore in una lunga
avventura, dimostrando come Nintendo preferisse puntare sulla

qualità dei suoi prodotti, contrariamente a SEGA che puntava sulla


quantità. Il prodotto che determinò nel lungo termine il sorpasso di
Nintendo, è frutto del lavoro dei fratelli Stamper, titolari della
software house Rare Ltd. che grazie alla stipulazione di un contratto
potettero sviluppare titoli per le console Nintendo; primo frutto del
lavoro di Rare Ltd. fu la pubblicazione nel 1994 di Donkey Kong
Country, videogioco in grado di sfruttare al massimo le potenzialità
grafiche di SNES, immergendo il videogiocatore in una realtà
poligonale, che andava oltre il simil-3D dei giochi sino ad allora
pubblicati. Con i soli preordini vennero vendute 500.000 unità,
raggiungendo negli anni un totale di 9 milioni di unità acquistate dai

49
videogiocatori. Il successo del titolo Rare permetterà alla software
house di diventare uno degli sviluppatori di punta di Nintendo, dando
inizio ad una collaborazione più che decennale. SEGA per
recuperare ricorse alla stessa strategia adottata nel 1990, creando
videogiochi su personaggi di successo già esistenti: in questo caso
volse i suoi
interessi verso il
mondo Disney,
sviluppando su
licenza titoli basati
sui film
d’animazione e
sui fumetti della compagnia statunitense; grazie a tale proficuo
accordo videro la luce videogiochi quali Aladdin, The Lion King,
Quackshot, Castle of Illusion: Starring Mickey Mouse e molti altri, in
grado di avvicinare alla console SEGA anche le fasce d’età meno
mature.
L’ultima strategia di SEGA per risollevare le vendite prevedeva
l’evoluzione dell’hardware, sviluppando degli add-on12 che
snaturarono l’estetica della console, creando una gran confusione
nei giocatori, costretti, per possedere gli ultimi videogiochi in uscita,
ad acquistare hardware aggiuntivi, con prezzi simili a quelli di una
console: il primo add-on, 32X, commercializzato nel 1994 aveva un
prezzo pari a 150$, ma lo scarso successo della periferica ne
decretò il crollo del prezzo, venduto pochi anni dopo a poco meno di
20$. Tra gli altri add-on vanno segnalati Mega CD 1 e Mega CD 2,
dispositivi aggiuntivi che permettevano alla console di leggere anche

12 Add-on: s. m. inv. Hardware aggiuntivo capace di ampliare le funzionalità di un applicativo. Fonte:


http://dizionari.repubblica.it/Italiano/A/addon.php consultato in data 13/06/18

50
i CD-ROM, nuovi dispositivi di memorizzazione il cui uso venne
inaugurato nel 1988 dal TurboGrafx-CD.
La produzione delle due console terminò nel 1997 per il Mega
Drive/Genesis e nel 1998 per il Super Nintendo. Le vendite
dimostrano come negli anni SNES abbia recuperato lo svantaggio
creatosi dall’anticipata commercializzazione del Mega Drive.

Di seguito, i dati di vendita delle due console.


Tabella 5. Dati di vendita MegaDrive e Super Nintendo.
MegaDrive/Genesis Super Famicom/Super Nintendo
Nord America 22,1* 23,5
Europa 9,1 5
Giappone 3,5 17,1
Altre nazioni - 3,5

Totale 34,7 49,1


*Valori espressi in milioni
Fonte: http://vgsales.wikia.com/wiki/Fourth_generation_of_video_games

Tabella 6. Dati totali cartucce vendute.


Videogiochi Venduti
MegaDrive/Genesis 576*
Super Famicom/Super Nintendo 379
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://vgsales.wikia.com/wiki/Fourth_generation_of_video_games

Osservando le cartucce piazzate dalle due compagnie, si può notare


il sorpasso di SEGA; a tal riguardo è opportuno segnalare che il
60% delle cartucce vendute da SEGA erano destinate all’affitto,
concessione che Nintendo non concedeva frequentemente. In
termini di guadagno, le due aziende raggiunsero traguardi simili, con

51
guadagni pari a 1,7 miliardi di dollari nel Nord America per SEGA e
1,4 miliardi per Nintendo.

2.2 L’entrata in scena di un nuovo competitor


Il 1994 getta le basi per l’entrata nel mercato videoludico di un
nuovo attore, il colosso giapponese Sony, approcciatosi ai
videogiochi grazie ad una collaborazione pregressa con Nintendo.
Nel 1992 le due aziende avevano stipulato ed annunciato
pubblicamente una partnership mirata alla produzione di un add-on
per SNES, che avrebbe permesso alla console di supportare anche
il formato CD-ROM; Sony, esperta nella produzione di apparecchi
per la riproduzione dei dischi, avrebbe in larga parte contribuito allo
sviluppo della nuova periferica mentre Nintendo avrebbe
rappresentato per Sony un trampolino di lancio nel mercato dei
videogiochi. L’anno successivo all’annuncio il presidente di Nintendo
Hiroshi Yamauchi, temendo da parte del partner commeciale un
tentativo di spionaggio industriale, interruppe la collaborazione,
nonostante il progetto fosse quasi completo. Il CEO di Sony, Norio
Ohga dovette prendere una decisione, scegliendo tra il mettere da
parte il lavoro di quasi due anni o ultimarlo senza la collaborazione
di Nintendo, lanciando sul mercato non un add-on, bensì una
console targata Sony: Ohga scelse questa ultima via, concedendo al
team che aveva collaborato con Nintendo, di continuare i lavori sulla
nuova console, presentata nel 1994 al primo Electronic
Entertainment Expo di Los Angeles, col nome di Sony PlayStation.
Dismessa la produzione del Genesis/Megadrive, nel 1992 SEGA
diede inizio ai lavori di sviluppo di una nuova console, Sega Saturn,
progettata per supportare principalmente il formato CD-ROM, a cui
si accompagnava un supporto di lettura per le cartucce. Presentata
52
assieme alla Sony PlayStation all’E3, la console era dotata di una
architettura a 32 bit divisi su due CPU, di cui uno dedito
all’elaborazione di effetti grafici in 2D, a cui si aggiungeva il lavoro
del secondo processore in grado di completare la schermata di
gioco, generando poligoni tridimensionali, creando un effetto simile
al 3D. La complessa struttura della console rendeva difficoltosa per
le software house estranee a SEGA di sviluppare videogiochi in
grado di sfruttare al massimo le potenzialità della console,
contrariamente a PlayStation che poteva vantare non solo una
potenza grafica superiore, in quanto in grado di elaborare dei
poligoni perfetti, ma anche una struttura semplice, sfruttabile nel
pieno delle sue capacità anche dagli sviluppatori di terze parti. Sony
aveva dalla sua parte anche un folto numero di sviluppatori esterni,
attratti dalle royalties inferiori che l’azienda tratteneva per sé,
fornendo un maggiore guadagno alle software house; tale mossa
permise a Sony di potersi avvalere della collaborazione di 100
compagnie.
Entrambe le console furono mostrate al mondo nel giugno del 1994,
all’E3 di Los Angeles: in virtù della nuova struttura,
tecnologicamente avanzata rispetto agli apparecchi della
precedente generazione, i prezzi di vendita erano decisamente
maggiori. Sega Saturn aveva un prezzo pari a 399$, mentre il
prezzo di PlayStation, 299$, mandò in visibilio il pubblico presente:
l’architettura semplice, il design elegante e il prezzo competitivo,
fecero entrare di diritto Sony nello scenario videoludico, che ora
coinvolgeva principalmente tre competitor.
La contromossa di Nintendo alle novità di SEGA e Sony giunse nel
1996 dopo la fallimentare commercializzazione del Virtual Boy13. La
13 Virtual Boy: Console ibrida commercializzata nel 1995, che riuniva in sé le caratteristiche delle console
domestiche e portatili. A causa dello scarso supporto nelle terze parti, delle difficoltà incontrate nello

53
compagnia giapponese per recuperare le fette di mercato perse con
la precedente console, puntò sull’innovazione tecnologica per
riavvicinare i videogiocatori ai suoi prodotti: il risultato di tale
strategia fu la commercializzazione del Nintendo 64, console a 64
bit in grado di elaborare una potenza doppia rispetto a quella del
Saturn e della Playstation, grazie ai 100.000 poligoni al secondo
generati, rendendo la macchina la più potente fra le tre che si
contendevano il mercato. Punto di disaccordo per i consumatori, era
il controller, progettato per permettere movimenti in un ambiente 3D,
ma ritenuto poco confortevole da molti acquirenti; la forma del
joystick ricordava lontanamente un tridente, con i tasti d’azione
situati sulla destra, i tasti di movimento sulla sinistra, mentre al
centro era presente uno stick analogico utilizzato per orientare la
visuale, espediente necessario nei videogiochi con ambientazioni
3D; inoltre va segnalato l’uso delle cartucce, invece dei CD-ROM,
preferite da Nintendo in quanto difficilmente piratabili contrariamente
al formato disco.

Figura 14. Da sinistra verso destra: un modello di Playstation, Saturn e Nintendo64. Fonte:
https://assets.vg247.com/current/2015/09/playstation_one_original.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/95/Sega-Saturn-JP-Mk1-Console-Set.jpg
https://purenintendo.com/wp-content/uploads/2015/04/ninteno64featured.jpg

La commercializzazione di nuove console condusse allo sviluppo di


nuovi videogiochi e relative saghe videoludiche, il cui obbiettivo

sviluppo dei videogiochi e dei bassi costi di produzione che incisero sulla qualità, la console rappresenta un
fallimento, motivo per cui la produzione cessò nel 1996, dopo aver venduto 700mila unità.

54
principale era quello di dimostrare la potenza che i nuovi apparecchi
erano in grado di elaborare. Sony per restare in linea con le altre
compagnie, costruì un videogioco attorno ad una mascotte creata
appositamente, dando alla luce la serie di Crash Bandicoot, saga
articolata in tre capitoli, con protagonista Crash, un bandicoot
arancione antropomorfo, raffigurato sempre in jeans e scarpe da
basket; personaggio scanzonato, divertente ma muto, volto a creare
una interazione empatica con il videogiocatore. Il videogioco venne
lanciato assieme alla console e la scelta si rivelò prolifica: il primo
capitolo della saga, Crash Bandicoot, piazzò sul mercato 6,8 milioni
di copie, di cui 3,2 milioni in Nord America, 2,3 in Europa,
900.000mila in Giappone e 300.000 nelle restanti parti del mondo,
mentre l’intera saga totalizzò vendite pari a quasi 21 milioni di copie.
Altro grande successo di Sony è rappresentato dalla saga di Tomb
Raider, composta da 5 capitoli e prodotta da Eidos Interactive e
Core Design. Il titolo rappresenta uno strano caso in ambito
videoludico: il gioco, fu sviluppato sia per Saturn che per
PlayStation, ma la conversione per questa ultima colpì i
videogiocatori al punto tale da consacrare la protagonista della
serie, l’archeologa Lara Croft, sinonimo di videogioco e personaggio
identificativo di Sony, vendendo in tutto il mondo 16 milioni di copie.
Altra saga di successo è Gran Turismo, esclusiva Sony e primo
simulatore di guida della storia. Novità del titolo è la grande scelta di
vetture a disposizione del giocatore, circa 290, riproduzioni reali di
modelli realmente esistenti, di cui sono riportate fedelmente le
caratteristiche tecniche. La formula conferì al titolo una grande
longevità, permettendo al videogiocatore di addentrarsi in sfide
diverse in ogni sessione di gioco. Il primo capitolo della saga, Gran
Turismo, pubblicato nel 1997 detiene il record di videogioco più

55
venduto per PlayStation, con un totale di 10,9 milioni di copie
vendute in tutto il mondo, di cui 4 milioni in Nord America, 3,8 milioni
in Europa e 2,5 milioni di copie in Giappone. Confrontando i dati di
vendita delle saghe più celebri con il totale delle console vendute
sino alla dismissione avvenuta nel 2006, si può notare una grande
incongruità tra i numeri tenendo in considerazione la quantità di
console vendute in tutto il mondo, ammontanti a 102,4 milioni. I
numeri discordanti sono il risultato della grande pirateria a cui furono
soggetti i videogiochi per la console, il cui formato CD permetteva
molto facilmente di poter produrre delle copie fac-simile.
Di seguito, i dati di vendita della console:
Tabella 6. Dati di vendita Playstation per aree di mercato.
PlayStation
Nord America 40,78*
Europa 40,12
Asia 21,49

Totale 102,4
*Espressi in milioni
Fonte:http://web.archive.org/web/20110524023857/http://www.scei.co.jp/corpor
ate/data/bizdataps_e.html

La situazione muta radicalmente se si prendono in considerazione le


vicende della console SEGA, Saturn. La struttura complessa, il
costo superiore rispetto a quello della PlayStation, lo scarso
supporto delle software house esterne portò ad un lento
allontanamento dei clienti fidelizzati dal marchio giapponese.
Nonostante SEGA abbia sviluppato titoli in linea con le serie più
importanti, di cui ne sono esempio Sonic 3D: Flickies' Island o Virtua
Fighter, i risultati ottenuti furono deludenti, come dimostra la tabella
di seguito riportata:
Tabella 7. Dati di vendita Sega Saturn per aree di mercato.
Saturn
Giappone 5,8*

56
Nord America 1,83
Europa 1,12
Altre nazioni 0,07

Totale 8,82
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

Le scarse vendite produssero un debito pari a 309 milioni di dollari;


SEGA dal 1998 smise di produrre titoli per Saturn, concentrando le
risorse rimaste sullo sviluppo di una nuova console.
A contendersi il mercato videoludico assieme a Sony, che ne
deteneva il 47%, rimaneva solo Nintendo, aggiudicatasi il 40%; a
SEGA restava solo il 12%.
Alla radice del successo del Nintendo64 vi sono una fortunata serie
di videogiochi, in gran parte sviluppati da Nintendo, rimasta quasi
sola a causa dell’allontanamento provocato dall’uso per la console
del formato cartuccia, che richiedeva maggiori sforzi durante la
programmazione: saghe pubblicate da sempre solo su console
Nintendo quali Castlevania edita da Konami e Final Fantasy di
Square, abbandonarono Nintendo per essere pubblicate in esclusiva
sulle console Sony. Rimase con Nintendo Rare LTD. produttrice
assieme di altri titoli importanti per la console, tra cui figurano Banjo-
Kazooie e GoldenEye 007, oltre ad un nuovo capitolo della serie
Donkey Kong, Donkey Kong64, e della serie Super Mario, Super
Mario64, venduto in formato bundle. Altro titolo di grande successo
è la saga di Legend of Zelda di cui vennero pubblicati due
videogiochi per Nintendo64, Ocarina of Time e Majora’s Mask. Nel
complesso le vendite produssero buoni risultati, che permisero a
Nintendo di continuare ad essere un riferimento in ambito
videoludico, seppur occupando il secondo posto sul mercato.
Di seguito i dati sulle vendite della console:
Tabella 8. Dati di vendita del Nintendo64 per aree di mercato.
57
Nintendo64
Nord America 20,11*
Giappone 5,54
Europa 6,35
Altre nazioni 0,93

Totale 32,93
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

Tabella 9. Dati di vendita per aree di mercato PlayStation, Nintendo64 e


Saturn.
PlayStation Nintendo64 Saturn
Nord America 40,78* 20,11 1,83
Giappone -** 5,54 5,8
Europa 40,12 6,35 1,12
Asia 21,49 - -
Altre nazioni - 0,93 0,07

Totale 102,4 32,93 8,82


In percentuale 47% 40% 12%***
*Valori espressi in milioni
**Dato non disponibile
***Lo scarto risultante dalla somma dei dati risulta posseduto da compagnie
videoludiche di minore importanza
Fonte:http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/
http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

2.3 Dreamcast: dal sogno al fallimento


Le vendite del Saturn si rivelarono fallimentari, motivo per cui SEGA
investì le proprie energie nello sviluppo di una nuova console. La
compagnia giapponese fece degli errori del passato i punti di forza
del suo nuovo apparecchio, Dreamcast, lanciato sul mercato nel
1998. Dotato di un sistema operativo creato ad hoc da Microsoft, il
cui obbiettivo era di rendere agevole anche per le software house di
terze parti lo sviluppo di nuovi titoli. Dreamcast portò con sé
numerose novità sul mercato videoludico: la console permetteva ai
videogiocatori di navigare su internet grazie al modem 56k integrato,
di leggere CD-ROM e di sprigionare una potenza pari a 128-bit
grazie al processore Hitachi SH4, doppiando la potenza del
Nintendo64 fermo a 64-bit e triplicando quella di Playstation e
58
Saturn, pari a 32-bit. Inoltre, Dreamcast introdusse un nuovo
formato, il GD-ROM detto anche Gigadisc, con una capacità di
memorizzazione di 1,2GB, il doppio rispetto ai normali CD-ROM;
Gigadisc per lo più rendeva maggiormente difficoltosa la creazione
di copie pirata dei videogiochi. Come di consueto, il lancio della
console avvenne prima in Giappone, nel 1998, mentre nel resto del
mondo la commercializzazione iniziò nel 1999. Le vendite nel Sol
Levante diedero buoni esiti salvando momentaneamente SEGA dal
rischio bancarotta. La distribuzione di Dreamcast in Nord America
produsse buoni risultati nel primo anno, grazie alle di 2,5 milioni di
unità piazzate; di tale passo SEGA avrebbe superato in termini di
vendite trimestrali anche PlayStation, ormai longeva. Tuttavia, nel
marzo del 2000 giunse da Sony un annuncio che fece vacillare i
vertici SEGA: negli ultimi due anni, in gran segreto l’azienda aveva
lavorato alla progettazione di una nuova console, PlayStation 2, il
cui lancio sarebbe avvenuto nell’Ottobre dello stesso anno. Le
vendite del Dreamcast subirono un blocco improvviso: i
videogiocatori preferivano attendere qualche mese per avere a loro
disposizione una console migliore rispetto a quelle già in vendita.
La stangata definitiva per SEGA giunse sette giorni dopo l’annuncio
della PlayStation 2, quando Microsoft dopo aver collaborato con la
compagnia giapponese per sviluppare il sistema operativo di
Dreamcast, intuì di avere le potenzialità per inserirsi nel mercato
videoludico; in gran segreto l’azienda di Bill Gates progettò una
propria console, Xbox, dalle caratteristiche tecniche
sorprendentemente al di sopra di quelle della PlayStation 2, grazie
alla sua architettura simile a quella di un personal computer di alta
fascia e un sistema operativo costruito appositamente per essa.

59
Appurato che tutte e tre le console fossero in grado di sviluppare
una ottima grafica 3D, che allora rappresentava una novità, la
competizione verteva attorno allo sviluppo di videogiochi allettanti.
Dreamcast poteva vantare sia titoli ispirati a serie già esistenti come
Sonic Adventure le cui vendite ammontano a 2,42 milioni di unità, o
videogiochi sportivi, in linea con la strategia adottata ai tempi del
Sega Genesis/Megadrive, quale ad esempio NFL 2K che piazzò sul
mercato 1,81 milioni di pezzi, che nuove serie di successo: si
possono annoverare Crazy Taxi, simulatore di guida quick time
event14 il cui scopo è guidare un taxi trasportando più clienti possibili
nelle destinazioni indicate, attraverso una spericolata corsa da
terminare entro tempistiche mano a mano più brevi, e Shenmue 1 e
Shenmue 2, che introdusse il genere F.R.E.E. (Full Reactive Eyes
Entertainment) caratteristica che permetteva al giocatore di inserirsi
a pieno nell’ambiente di gioco, interagendo con tutti gli oggetti e i
personaggi presenti. I titoli citati risultarono essere una buona
riuscita: Crazy Taxi vendette 1,81 milioni di unità, mentre entrambi i
capitoli di Shenmue ottennero vendite pari a 1,33 milioni. Le vendite
dei singoli videogiochi potrebbero apparire deludenti, ma bisogna
considerare il numero di console piazzate: in totale Dreamcast
liquidò 8,20 milioni di unità.
Seguono i dati di vendita di Dreamcast:
Tabella 10. Dati di vendita del Dreamcast per aree di mercato.
Dreamcast
Nord America 3,90*
Giappone 2,25
Europa 1,81

Totale 8,20
*Valori espressi in milioni

14 Quick Time Event: Trad. evento di velocità, evento breve, locuzione utilizzata nei videogiochi, è un
momento del gioco che mette alla prova i riflessi del giocatore nel premere uno o più pulsanti con il giusto
tempismo. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Quick_time_event consultato in data 15/06/18.

60
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

La dismissione della console avvenne nel 2001, quando SEGA


aveva accumulato debiti tali da portarla in bancarotta: Dreamcast
era una ottima macchina, con un buon parco titoli, ma la
concorrenza risultò schiacciante. A ciò vanno aggiunte anche le
perdite provocate dal Saturn. L’azienda per sottrarsi alla
dichiarazione di bancarotta, nel 2002 abbandonò la produzione delle
console per dedicarsi esclusivamente allo sviluppo di videogiochi;
Dreamcast, la macchina dei sogni, fu l’ultima console prodotta da
SEGA.
Il mercato risultava diviso tra PlayStation 2, in vendita dal 2000 e
Xbox, commercializzata negli USA dal novembre 2001. Al lancio, la
console Microsoft presentava uno scarto di 10 milioni di unità
vendute rispetto a PlayStation 2; questa ultima avendo un largo
bacino di utenti fidelizzati, nonostante avesse caratteristiche
tecniche inferiori rispetto a Xbox attirava maggiormente i clienti.
Punto di forza di entrambe le console erano i videogiochi: Sony
poteva contare sulla saga Gran Theft Auto, il cui capitolo GTA –
San Andreas risulta essere il titolo più venduto per PlayStation 2 con
20,81 milioni di copie vendute, che giungono sino a 53,6 milioni se si
prendono in considerazione tutti gli episodi della saga pubblicati.

Figura 15. Da sinistra verso destra: un modello di Dreamcast, PlayStation 2, Xbox e GameCube. Fonte:
https://www.ecosia.org/images?q=dreamcast#id=741B783559EB73437557CA1ECF7CF87D1402489B,
https://images.ecosia.org/E660rvFNq9vh7SYmNuzA2PTVeo4=/0x390/smart/https%3A%2F
%2Fwww.technobuffalo.com%2Fwp-content%2Fuploads%2F2014%2F06%2Fsony-playstation-2-
470x310%402x.jpg, https://www.ecosia.org/images?
q=xbox+primo+modello#id=28CCB940D5E810E693733EFD44B4367FA4477FA5,
https://www.ecosia.org/images?q=gamecube#id=23BCF36B505F3C252B4AF4FBFB7CC2FC8D841112.
Consultati in data 16/06/18.

61
La serie Crash Bandicoot ha totalizzato vendite pari a sole 5,42
milioni di unità, mentre la serie sportiva Gran Turismo ripetette il
successo ottenuto con i capitoli per PlayStation, vendendo 24,64
milioni di pezzi. Da segnalare anche la collaborazione con Disney,
che portò alla nascita della serie Kingdom Hearts, comprendente
due capitoli, le cui vendite raggiunsero in totale 10,73 milioni di
copie. PlayStation 2 detiene il record di console più venduta nella
storia, grazie alle 157,68 milioni di unità vendute in tutto il mondo. Le
vendite dei singoli videogiochi raggiunsero l’impressionante cifra di
1,66 miliardi di unità, stabilendo anche in questo caso un record.
Seguono i dati di vendita di PlayStation 2:
Tabella 11. Dati di vendita PlayStation 2 per aree di mercato.
PlayStation 2
Nord America 53,65*
Europa 55,28
Altre nazioni 25,57
Giappone 23,18

Totale 157,68
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

Le vendite di Xbox non realizzarono i grandi volumi raggiunti da


Sony: nonostante la console offrisse una potenza simile a quella dei
personal computer da gaming, ma ad un prezzo ridotto, le vendite si
fermarono a 24,65 milioni di unità. La console Microsoft è nota
anche per aver introdotto Xbox Live, servizio online a pagamento
che permette al giocatore non solo di giocare in multiplayer15 ma
anche di accedere a contenuti di gioco aggiuntivi, sfidare e
scambiare messaggi con altri giocatori attraverso la connessione di
rete. Titoli legati alla prima console Microsoft sono i due capitoli

15 Multiplayer: Aag. inv. Di videogame che prevede la partecipazione di più giocatori collegati in rete. Fonte:
http://dizionari.repubblica.it/Italiano/M/multiplayer.php consultato in data 16/06/2018.

62
della serie Halo, in testa alla classifica dei giochi più venduti per
Xbox con 14,92 milioni di unità liquidate in tutto il mondo.
Seguono i dati di vendita di Xbox:
Tabella 12. Dati di vendita Xbox per aree di mercato.
Xbox
Nord America 15,77*
Europa 7,17
Altre nazioni 1,18
Giappone 0,53

Totale 24,65
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

Fanalino di coda nelle vendite e nell’impatto avuto sul pubblico è


GameCube di Nintendo, presentato al E3 del 2000. La console
aveva caratteristiche totalmente differenti rispetto alle avversarie: il
design cubico, semplice, dai colori sgargianti, accompagnato da
videogiochi colorati adatti ad un pubblico adolescenziale, non
raccolsero molti consensi tra gli acquirenti. Scoraggiava le vendite
anche la difficoltà di produrre copie pirata dei videogiochi per la
console, visto l’uso di Nintendo degli Optical Disc, formato
proprietario che conferiva ai CD-ROM delle dimensioni ridotte
rispetto ai dischi standard.
Delle quattro console che si contendevano il mercato dopo il
fallimento di SEGA, GameCube incassò la peggiore performance
con vendite ferme a 21,74 milioni di unità in tutto il mondo.
Segue un confronto sulle vendite delle quattro console trattate:
Tabella 13. Dati di vendita per aree di mercato di Dreamcast, PlayStation
2, Xbox e GameCube.
Dreamcast PlayStation2 Xbox GameCu
be
Nord America 3,90* 53,68 15,67 12,55
Giappone 2,25 23,18 4,04
0,57
Europa 1,91 55,28 4,44
7,17
Altre nazioni 0,14 25,57 0,71

63
1,18

Totale 8,20 157,68 21,74


24,65
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

2.4 Due mercati a sé stanti: Cina e Russia


Il mercato videoludico sebbene radicato in gran parte del globo non
toccava due grandi nazioni, Cina e Russia e le nazioni sotto l’orbita
di quest’ultima. Per tale motivo si formarono all’interno delle due
aree dei mercati videoludici i cui prodotti erano totalmente estranei
al di fuori dei confini di esse. Nel caso della Russia la console che
dominava il mercato era il Dendy, un famiclone16 prodotto in Taiwan
e distribuito da Steepler dal 1992 al 1996. Allo stesso modo del
NES, il Dendy in Russia divenne un prodotto cult, molto ambito dai
giovani acquirenti, totalmente ignari della reale natura della console,
di cui era possibile, nonostante fosse una copia pirata di un prodotto
Nintendo, visualizzarne pubblicità ad essa dedicate in TV. Non
esistono stime ufficiali, ma gli unici dati esistenti riportano degli indici
di vendita totali, nei 4 anni in cui è stata presente sul commercio, di
circa 2 milioni di unità vendute sul suolo russo. Furono prodotte due
versioni: il Dendy Classic e il Dendy Junior.
In Cina nacque un vero e proprio mercato interno di famiclone, la
maggior parte facenti capo all’azienda cinese Subor. L’azienda,
ancora in attività, produsse una linea di cloni delle console più in
voga, dal NES al Master System, senza godere di alcuna licenza;
pubblicizzati come dispositivi utili sia allo studio che
all’intrattenimento, spesso avevano l’aspetto del Famicom, di cui ne
riproduceva anche le periferiche, soprattutto il Family Basic,
16 Famiclone: unione delle parole Famicom, la prima console Nintendo a cartucce intercambiabili, versione
Giapponese del NES e “clone” . Il termine indica una console non ufficiale, che riprende l’aspetto estetico e i
videogiochi della prima console Nintendo, il NES.

64
espansione a forma di tastiera che rendeva la console Nintendo un
home computer con cui era possibile
giocare e studiare.
Nel caso delle
console Subor,
queste erano
prodotte sia
riprendendo l’aspetto esteriore del Famicom, sia sotto forma di
tastiera in cui era possibile inserire le cartucce, anche esse versioni
pirata dei videogiochi allora più famosi. L’azienda nei suoi spot
pubblicitari si avvaleva di testimonial del calibro di Jackie Chan, i
famiclone dei prodotti di massa.

CAPITOLO 3:
UNA VIRTUALITÀ A 360°

3.1 Il videogiocatore diventa il controller


La disastrosa campagna di vendita del GameCube, spinse lo storico
presidente di Nintendo, Hiroshi Yamauchi, a lasciare il suo posto a
Satoru Iwata che assunse la presidenza di Nintendo nel 2002. Per
Iwata, rendere una console accattivante non significava spingerla al
massimo della potenza: un apparecchio di successo avrebbe dovuto
avere caratteristiche accattivanti in grado di attirare nuovi giocatori,
di ogni sesso e fascia d’età. Sony e Microsoft proponevano console
65
indirizzate soprattutto agli hardcore gamers, ossia videogiocatori
esperti, solitamente uomini, la cui fascia d’età è compresa tra i 14-
35 anni; se Nintendo avesse seguito tale esempio avrebbe seguito
un modello d’espansione verticale, in cui difficilmente avrebbe
potuto allargare i propri volumi di mercato. L’intuizione innovativa di
Satoru consisteva nel seguire un modello d’espansione orizzontale,
orientando la nuova console verso i casual gamers, ossia quei
giocatori che sino ad allora non si erano mai approcciati al mondo
videoludico, perché poco interessati o poco attratti dal modello
standard di videogiochi proposti. Le informazioni rilasciate da
Nintendo sino alla presentazione al E3 di Los Angeles del 2005,
lasciavano giornalisti e appassionati confusi: era noto solo che la
nuova console avrebbe dato inizio alla Nintendo Revolution,
permettendo a tutti di avvicinarsi al mondo videoludico, sia grazie al
prezzo ridotto che alle sue caratteristiche. La rivelazione della
console avvenne il 17 maggio del 2005: Wii, questo il suo nome,
sdogana il medium interattivo, permettendo al giocatore di
trasformarsi nel controller, grazie al suo joypad chiamato WiiMote.
Dotato di pochi tasti essenziali, la novità del nuovo gamepad
consiste nei sensori di movimento, grazie ai quali il giocatore non
necessita dei tasti presenti sul controller, bensì ha la possibilità di
riprodurre col proprio corpo le azioni da compiere sul campo di
gioco. Wii inaugurava un sistema di gioco che va al di là del puro
intrattenimento videoludico: grazie alle sue killer-application quali
Wii Sports, Wii Sports Resort e Wii Fit, il giocatore poteva utilizzare
la console per poter eseguire attività motoria e mantenersi in forma
grazie ad un insieme di videogiochi basati sull’attività fisica e sul
movimento, che spingevano il giocatore a migliorare i propri risultati.
Per di più, grazie alla sua architettura grafica semplice, inferiore a

66
quella del GameCube, per le software house di terze parti risultava
molto facile sviluppare titoli per Wii; a ciò vanno aggiunte sia la
piena retro compatibilità che permetteva al giocatore di poter
giocare i titoli del GameCube utilizzando i dischi originali, che di
accedere attraverso il servizio on-line Virtual Console, ai titoli delle
precedenti macchine Nintendo, permettendo all’utente di potersi
approcciare nuovamente ai videogiochi della sua infanzia. La
strategia di mercato inaugurata da Nintendo si rivelò vincente: alla
sua dismissione, avvenuta nel 2013, Wii aveva venduto in tutto il
mondo 101,64 milioni di unità.

Tabella 14. Dati di vendita Wii per aree di mercato.


Wii
Nord America 45,51*
Europa 33,88
Altre nazioni 12,17
Giappone 9,48

Totale 101,64
*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

Sony e Microsoft mantennero un approccio tradizionale, puntando


sulla potenza e mantenendo il tradizionale joypad analogico.
Durante l’E3 di Los Angeles anche Sony aveva presentato la sua
nuova console, PlayStation 3, mentre Microsoft giocando d’anticipo
aveva reso noto il suo nuovo apparecchio, Xbox 360, il 12 maggio
2005 negli studi di MTV America. Sostanzialmente le due console
detenevano una potenza simile, ma ciò che avvantaggiava Microsoft
era il prezzo inferiore rispetto a quello di PlayStation 3, un buon
numero di titoli che accompagnava l’uscita della console, oltre alla
commercializzazione in anticipo di un anno rispetto a quella, che
vantava come caratteristica aggiuntiva la possibilità di leggere DVD

67
Blue-Ray, un nuovo formato che permetteva di contenere 40 volte i
dati immagazzinabili in un normale DVD.

Figura 17. Da sinistra verso destra: un modello di Wii, PlayStation 3 e Xbox360. Fonte:
http://www.gamessystems.co.uk/ekmps/shops/gamessystems/images/wii-console-white-boxed--
%5B4%5D-6800-p.jpg,http://media.engadget.com/img/product/3/2ek/sony-playstation-3-3ej-800.jpg,
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/40/Xbox-360-Pro-wController.jpg/1200px-Xbox-
360-Pro-wController.jpg. Consultati in data 18/06/2018

La dotazione del lettore Blue-Ray ebbe conseguenze disastrose per


Sony nei primi anni di vendita: Xbox 360 aveva un prezzo pari a
299$, mentre PlayStation 3 era venduta a 499$, ma nonostante
l’alto prezzo, per ogni unità venduta Sony incorreva in una perdita
pari a 200$, provocando nel bilancio del 2007 perdite per 2 miliardi
di dollari. Solamente i successivi tagli al prezzo, e l’acquisizione
sulla vendita di alcuni titoli esclusivi, risollevarono il bilancio
dell’azienda.
I dati sulle vendite del 2009 rivelavano l’epocale sorpasso di Wii
sulle concorrenti: Nintendo aveva piazzato 80 milioni di console in
tutto il mondo, Xbox 360 30 milioni di unità mentre PlayStation 3 era
ferma a 23 milioni. L’ultimo tentativo di Sony e Microsoft per cercare
di conquistare fette di mercato maggiori giunse sugli scaffali nel
2010; entrambe dotarono le proprie console di periferiche esterne
volte a trasformare il giocatore in controller, emulando quanto fatto
da Nintendo precedentemente. Per Xbox 360, era stata progettata
Kinect, una barra sensoriale in grado di captare i movimenti del
giocatore senza che egli avesse in mano alcun controller, mentre
68
PlayStation 3 si avvaleva di PlayStation Move, controller simile a
quello di cui era dotato Wii, i cui movimenti erano captati da una
telecamera esterna, PlayStation Eye.

Figura 18. A sinistra un modello di PlayStation Move e PlayStation Eye, a destra un modello di Kinect.
Fonte: http://sgfm.elcorteingles.es/SGFM/02/63/3/97575102633/97575102633000p01011.jpg,
http://leviathyn.com/wp-content/uploads/2012/04/kinect_360.jpg. Consultati in data 18/06/2018.

A nulla valsero i tentativi di Sony e Microsoft: lo scarto creatosi con


le console Nintendo vendute era troppo grande. PlayStation 3
doveva accontentarsi di 86,90 milioni di unità vendute, superando di
poco Xbox 360 ferma a 85,80 milioni. I grandi numeri raggiunti
durante tale generazione di console sono da imputare sia alla
capillare diffusione degli apparecchi videoludici che all’elevata
longevità delle stesse: Xbox 360 è rimasta sul mercato per 8 anni,
mentre Wii e PlayStation 3 per 7 anni.

Tabella 15. Dati di vendita per aree di mercato di Wii, PlayStation 3 e


Xbox360.
Wii PlayStation 3 Xbox360
Nord America 45,51* 29,42 49,11
Europa 33,88 34,55 25,87
Giappone 12,77 10,47 1,66
Altre nazioni 9,48 12,46 9,16

Totale 101,64 86,90 85,80


*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/analysis/platform_totals/

3.2 Una realtà sempre più virtuale

69
La generazione di console successiva a Wii, PlayStation 3 e
Xbox360, ruota attorno all’innovazione e ai nuovi modi di percepire
la virtualità videoludica. La potenza non è più il punto focale delle
console; a determinare ciò sono le architetture interne delle stesse,
all’avanguardia, in linea con gli ultimi traguardi innovativi. Non
potendo presentare grafiche rivoluzionarie, ormai giunte al massimo
della potenza attualmente raggiungibile, le strategie di mercato
puntano sull’esclusività dei titoli o su nuove periferiche che mutano
l’esperienza di gioco o su nuovi modi di concepire le console,
proponendo modelli ibridi adatti sia all’ambiente casalingo che
all’ambiente esterno. La nuova era videoludica ha inizio nel
novembre del 2013, col lancio di PlayStation 4 e Xbox One: la prima
è stata annunciata al PlayStation Meeting di Manhattan nel febbraio
2013, la seconda al Xbox Reveal di Redmond, nel maggio del 2013.
Le componenti interne delle console sono molto simili: entrambe
sono dotate di un processore AMD Jaguar, accompagnato da una
memoria RAM DDR5 da 8 gigabyte su PlayStation 4 e DDR3 da 8
gigabyte su Xbox One. Il leggero scarto della console Microsoft è
recuperato grazie alla memoria ESRAM da 32 megabyte presente,
ma ciò non le consente, prendendo in considerazione i teraFLOPS17
di raggiungere i livelli di PlayStation 4, in grado di elaborare 1,84
teraFLOPS al secondo, contro il valore di Microsoft, fermo a 1,31. I
dati evidenziano una differenza in termini di potenza minimi,
difficilmente

17 TeraFLOPS: Unità indicante i dati elaborati da un personal computer in un secondo in virgola mobile, pari
a un trilione di FLOP. Fonte: https://www.collinsdictionary.com/it/dizionario/inglese/teraflops consultato e
tradotto in data 20/06/2018.

70
Figura 19: A sinistra un modello di PlayStation 4, a destra un esemplare di Xbox One. Fonte:
https://cdn.wccftech.com/wp-content/uploads/2016/09/PS4-Slim-Xbox-One-S.png consultato in data
20/06/2018

visibili in maniera evidente; per cui nel valutare l’impatto che le


console hanno avuto sul pubblico è necessario considerare la
quantità di videogiochi sviluppati, il numero di titoli disponibili
all’uscita della console e le relative periferiche.

I titoli che accompagnano PlayStation 4 al day-one ammontano a


31, mentre Xbox One conta 23 titoli; Microsoft inoltre dota la sua
console, sin dal primo giorno, del Kinect One, successore
aggiornato della periferica nata per Xbox 360, mentre Sony all’uscita
non dota la sua console di nessun accessorio aggiuntivo. Le vendite
del primo anno di vendita, dimostrano come la disponibilità di una
libreria titoli allargata, conferisca maggiore potere d’acquisto:
PlayStation 4 vanta rispetto a Xbox One uno scarto di circa 1,3
milioni di unità.

Tabella 16. Dati di vendita PlayStation 4 e Xbox One nel primo anno di
vendita.
PlayStation 4 Xbox One
Unità globali 4,43* 3,07

*Valori espressi in milioni


Fonte: http://www.vgchartz.com/yearly/2013/Global/

71
La labile differenza esistente tra le due console è destinata col
tempo, ad aumentare. Nonostante la console di Microsoft
nonostante possa strutturalmente competere con Sony, ha a sua
disposizione uno scarso numero di videogiochi: PS4 può contare su
105 giochi in esclusiva assoluta, 395 giochi in esclusiva console e
30 giochi in esclusiva temporanea, mentre Xbox One annovera 34
giochi in esclusiva assoluta, 115 giochi in esclusiva console. La
scarsa dotazione di titoli produce una grande ricaduta sulle vendite:
nel 2015, anno precedente alla commercializzazione del PlayStation
VR, le unità di PlayStation 4 vendute ammontano a quasi il doppio
delle console vendute da Microsoft.

Tabella 17. Dati di vendita PlayStation 4 e Xbox One sino al 2015.


PlayStation Xbox One
4
Vendite 2014 14,56* 7,90

Unità totali sino al 2015 36,66 19,64


*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/yearly/2014/Global/ e
http://www.vgchartz.com/yearly/2015/Global/.

La scarsità di titoli di cui gode Xbox è da imputare all’atteggiamento


di Microsoft: la compagnia piuttosto che acquisire esclusive,
sviluppare nuovi videogiochi o stringere accordi con le software
house di terze parti, lentamente abbandona lo sviluppo di nuovi titoli,
lasciando ai videogiocatori poca scelta o portandoli ad acquistare la
console concorrente, in grado di offrire una maggiore quantità di
videogiochi. Inoltre, Microsoft ha annunciato nel 2017 la dismissione
di Kinect One, periferica anche essa quasi abbandonata e povera di
titoli.
Diversa è la condotta di Sony, che acquisisce esclusive, sviluppa
titoli e progetta nuove periferiche: la compagnia si differenzia per il

72
continuo supporto innovativo offerto ai suoi clienti, culminato nel
2016 con la commercializzazione di PlayStation VR, visore per la
realtà virtuale dotato di uno schermo interno OLED da 5,7’, in grado
di immergere a pieno il videogiocatore nell’ambiente di gioco grazie
all’utilizzo di immagini stereoscopiche in 3D. Dotato di sensori di
movimento, captati attraverso PlayStation Camera, tramite l’utilizzo
di PlayStation Move il giocatore assume pieno controllo
dell’ambiente di gioco senza l’ausilio del controller.

Figura 20. Un modello di PlayStation VR completo di Move e Camera. Fonte:


https://media.playstation.com/is/image/SCEA/psvr-lockup-new-camera-2?$TwoColumn_Image$
consultato in data 20/06/2018.

La formula rivoluzionaria ha avuto un buon impatto sulle vendite


nell’anno successivo al lancio del PlayStation VR: il trend di crescita
registra un aumento delle vendite pari al 17%, dopo due anni in cui
lo stesso valore si aggirava attorno al 1%.

Tabella 18. Dati di vendita PlayStation 4 e Xbox One sino al 2017.


PlayStation Xbox One
4
Vendite 2016 17,59* 8,36

Unità totali sino al 2017 73,63 35,57


*Valori espressi in milioni
Fonte: http://www.vgchartz.com/yearly/2016/Global/ e
http://www.vgchartz.com/yearly/2017/Global/

73
I dati di vendita aggiornati al 2 Giugno 2018, mostrano il definitivo
sorpasso di Sony, che continua a mantenere il dominio nel mercato,
come dimostra la tabella che segue:
Tabella 19. Dati di vendita PlayStation 4 e Xbox One aggiornati al 2 Giugno
2018.
PlayStation 4 Xbox One
Unità totali 79,7* 37,6

*Valori espressi in milioni


Fonte: http://www.vgchartz.com/

Nintendo si inserisce nel mercato dell’ultima generazione di console


nel marzo del 2017, in largo ritardo rispetto alle console avversarie.
Le ragioni di tale ritardo sono dovute dalla fallimentare
commercializzazione di Wii U, erede di Wii. Lo scarso supporto e i
problemi tecnici della console ne decretarono il breve ciclo vitale,
durato 6 anni e conclusosi con 13,56 milioni di unità vendute.
Mentre Wii U era ancora in commercio, trapelarono da Nintendo
delle informazioni riguardanti un nuovo apparecchio definito
rivoluzionario e destinato a cambiare il concetto di console
domestica, il cui progetto era denominato NX. La presentazione alla
stampa avvenne nell’ottobre del 2016, mentre per il lancio è stato
necessario attendere sino al Marzo 2017. Switch, questo il nome
dell’apparecchio, riforma il concetto di portabilità: sino al suo lancio
le console potevano dividersi in portatili, quindi di dimensioni ridotte,
schermo integrato, alimentate con una batteria ricaricabile o con
delle pile, solitamente caratterizzate da un comparto comandi
scarne e potenza grafica molto bassa rispetto alle console
domestiche, che necessitano di una presa di corrente elettrica per
poter essere accese, e di una TV per poterne visualizzare le
immagini. Switch unisce la portabilità e lo schermo ridotto delle
console portatili, con la potenza e la comodità dei controller delle
74
console domestiche, in una unica soluzione. La console può essere
utilizzata in casa attraverso una docking station alimentata tramite
presa elettrica, che funge anche da trasmettitore del segnale video
sulla TV a cui è collegata, o in modalità portatile, scollegandola dalla
docking station. Altro elemento rivoluzionario sono i controller,
chiamati Joy-Con: se usati insieme permettono al videogiocatore di
avere a sua disposizione, indipendentemente dall’uso portatile o
domestico, tutti i pulsanti in dotazione sui normali controller analogici
delle console casalinghe, permettendo al videogiocatore di avere
anche un’esperienza di gioco hardcore. Inoltre, i Joy-Con sono
dotati di sensori di movimento, permettendo di avere una esperienza
di gioco casual come su Wii, grazie ai videogiochi appositamente
studiati per tale funzione. I Joy-Con possono essere utilizzati nella
modalità portatile agganciando gli stessi ai lati della console, mentre
in modalità domestica si può ottenere una configurazione simile a
quella dei consueti controller, utilizzando Joy-Con Grip, una base a
cui agganciare entrambi i joypad in dotazione. Nonostante Switch
cerchi di emulare la potenza di cui godono le attuali console
casalinghe, le ridotte dimensioni non le permettono di raggiungere
tale obbiettivo, motivo per cui il parco titoli Nintendo in questo caso
resta ancorato a titoli studiati appositamente per la console, come 1-
2 Switch, un insieme di mini-giochi studiati per sfruttare a pieno le
caratteristiche dei Joy-Con, a cui si aggiungono i consueti titoli con
protagonisti Super Mario e Link di The Legend Of Zelda. Seppure
non sia in grado di elaborare una potenza all’altezza delle
avversarie, Switch resta fedele all’idea di videogioco che
caratterizza Nintendo, che vede le console come un oggetto ogni
volta rivoluzionario, che permette al giocatore di approcciarsi in
modo diverso ad esso, seppur a discapito della potenza.

75
Figura 21. A sinistra, Switch nel suo assetto domestico, a destra nell’assetto portatile. Fonte:
http://cdn02.nintendo-
europe.com/media/images/10_share_images/systems_11/nintendo_switch_1/H2x1_NintendoSwitch.jpg
consultato in data 20/06/2018.

Nintendo, paga le conseguenze del ritardo nel lancio e della volontà


di presentare una console riformatrice, dovendosi accontentare a
più di un anno dal lancio, di 17,5 milioni di unità vendute,
posizionandosi all’ultimo posto nelle classifiche di vendita delle
console di ultima generazione.

3.3 Operazione nostalgia

L’industria videoludica, la cui nascita avviene nel 1971 con la


commercializzazione del Odyssey Magnavox, seppur può essere
definita un’industria giovane, abbraccia una larga fascia di utenti di
età diversa. Tra i videogiocatori figurano anche coloro il cui primo
approccio al videogioco è avvenuto durante la propria infanzia, tra
gli anni 80’ e 90’ quando i videogames si presentavano sotto forme
totalmente diverse da quelle attuali. Al giorno d’oggi è possibile
recuperare le console del passato, ma spesso tale fenomeno è
relegato solo a pochi collezionisti, disposti a spendere grandi cifre.
Inoltre, al prezzo della console va aggiunto il prezzo dei singoli
videogiochi che il giocatore intende recuperare e la possibilità, data
la longevità, di dover riparare la console in questione, restringendo
76
ulteriormente il campo di coloro che potrebbero approcciarsi al
collezionismo. A ciò vanno aggiunti problemi di natura tecnica: il
formato video delle vecchie console, studiato per i televisori CRT,
spesso risulta disturbato o impossibile da visualizzare sulle attuali
TV a LED, costringendo il videogiocatore a cercare adattatori e
spinotti di collegamento diversi dagli originali, districandosi in un
mondo dove gli esperti del settore sanno muoversi agevolmente.
Spesso tali difficoltà allontanano chi intende approcciarsi al mondo
del collezionismo: se da una parte ci sono dei veri e propri cultori
delle console, dall’altra vi sono videogiocatori desiderosi di rigiocare
i titoli della propria infanzia, senza doversi inoltrare in un labirinto
fatto di riparazioni, adattatori e lunghe, dispendiose, ricerche.
Le compagnie videoludiche attuali, hanno ben compreso negli ultimi
anni tale bisogno dei videogiocatori, mutando radicalmente
atteggiamento nei confronti delle console del passato, sino ad allora
schivate e cadute nel dimenticatoio; la prima mossa proviene da
Nintendo che nel novembre 2016 lancia sul mercato la linea
Nintendo Classic Mini: Nintendo Entertainment System, una
versione modernizzata e miniaturizzata della prima console della
compagnia giapponese, NES. La versione mini della presenta lo
stesso aspetto estetico dell’originale, controller inclusi, con la
differenza che su di essa sono presenti 30 giochi precaricati, scelti
dal parco titoli Nintendo, che ha selezionato i giochi di maggior
successo e che meglio identificano il brand giapponese. Inoltre,
attraverso il collegamento video HDMI, per il giocatore non sarà
necessario cercare cavi o adattatori aggiuntivi, permettendogli di
avere un’esperienza di gioco immediata sulle nuove LED TV. Il
successo è stato immediato: della console furono prodotte 2 milioni
di unità, esaurite nel primo anno di commercializzazione.

77
Nonostante le numerose richieste, al di sopra delle unità prodotte,
Nintendo nell’Aprile 2017 ha annunciato la temporanea fine della
produzione della console, per dedicarsi alla creazione del suo
successore, Super Nintendo Mini, versione miniaturizzata di SNES,
la seconda console commercializzata dalla compagnia giapponese.
SNES Mini presenta la stessa formula del suo predecessore, con la
differenza che i titoli precaricati ammontano a 20+1, come indicato
da Nintendo: dei 21 titoli, 20 sono giochi ufficiali già pubblicati,
mentre il ventunesimo è StarFox 2, videogioco sviluppato ma mai
pubblicato sulla console negli anni ’90.

Figura 22. A sinistra, un MiniNES confrontato con l’originale degli anni ’80. A destra un MiniSNES
confrontato con l’originale degli anni ’90. Fonte: https://www.jvfrance.com/wp-
content/uploads/2016/11/nintendo-nes-mini-04.jpg e
https://cdn.hobbyconsolas.com/sites/navi.axelspringer.es/public/styles/gallery_big/public/media/image/201
7/08/snes-classic-mini_7.jpg?itok=eaeePR25 consultati in data 20/06/2018.

Con SNES Mini Nintendo doppia il successo ottenuto con la console


precedente, vendendo 4 milioni di unità, grazie anche alla
produzione di un maggior numero di apparecchi, scelta presa dopo
le vicende di NES Mini, di cui è stata annunciata la ripresa della
produzione nel gennaio 2018.
Sony lancia la sua contromossa nel giugno 2016 annunciando al E3
la pubblicazione su PlayStation 4 di Crash Bandicoot N.Sane
Trilogy remake dei primi tre episodi della trilogia pubblicata sulla
prima console PlayStation. Il titolo è approdato sul mercato nel
giugno 2017, vendendo in tutto il mondo 4,15 milioni di unità,
78
numero destinato ad aumentare, data la concessione di Sony a
Nintendo e Microsoft di pubblicare lo stesso titolo su Switch e Xbox
One, il cui lancio avverrà nel giugno 2018.

3.4 L’industria videoludica in Italia


Spesso si associano all’industria videoludica grandi nazioni estere
quali Stati Uniti, Giappone o Inghilterra. In realtà, seppur per pochi
sporadici episodi, anche l’Italia può vantare un posto nella storia
dell’industria dei videogiochi, sia per quanto riguarda il settore
hardware, che per ciò che concerne i software.
Il primissimo approdo dell’Italia nella nuova industria avvenne
nell’ottobre del 1977, quando Zanussi, azienda leader nella
produzione di elettrodomestici, commercializzò la sua pong console,
chiamata Ping-O-Tronic.

Figura 22. Fronte e retro di Ping-O-Tronic. Da notare, a sinistra, la dicitura “Made In Italy” unica console su
cui essa è presente. Fonti: http://www.nightfallcrew.com/wp-content/gallery/zanussiseleco-ping-o-tronic-
1nd-edition-1975/IMG_0455.jpg e https://c1.staticflickr.com/3/2925/14095214338_4fe5d61654_c.jpg
consultati in data 21/06/2018.

Console semplice, offriva a due giocatori la possibilità di sfidarsi


giocando a Pong, Squash e un gioco in cui l’unico scopo è di far
rimbalzare la palla sul muro. Prodotta su licenza per concessione di
Sanders Associates, le informazioni sulle vendite sono discordanti: i
dati ufficiali parlano di 21 mila unità vendute nel trimestre 1° ottobre-
79
31 dicembre 1977, mentre voci di corridoio riportano vendite pari ad
1 milione di unità vendute tra gli anni ’70 e gli anni ’80.
Tra le software house italiane va annoverata N.A.P.S. TEAM,
fondata a Messina nel 1993 da Fabio Capone e Domenico Barba. Il
nome del team è legato soprattutto a Shadow Fighter, picchiaduro
ad incontri pubblicato per personal computer Amiga. Altro titolo di
successo sviluppato è Gekido, picchiaduro a scorrimento disponibile
in versione fisica per la prima PlayStation e in formato digitale per
Switch e PlayStation 4.
Sul territorio italiano è anche presente VIGAMUS, primo museo
italiano completamente dedicato al videogioco, fondato a Roma nel
2013 e dedicato alla preservazione, ricerca e divulgazione del
materiale videoludico. Suddiviso in nuclei tematici che percorrono le
tappe fondamentali della storia dei videogiochi, il museo espone 440
pezzi integrati da 100 pannelli esplicativi. L’attuale direttore del
museo è Marco Accordi Rickards, in carica dal 2013, anno della
fondazione del museo di cui Accordi ne è anche fondatore.

80
CONCLUSIONI

Il lavoro affrontato evidenzia come il contributo maggiore alla nascita


del concetto di videogioco provenga dal singolo individuo o da un
ristretto gruppi di individui, immersi in una realtà dove poche menti
pensanti sono in grado di elaborare il concetto di un sistema di
intrattenimento mentre in un secondo momento, quando ormai il
videogioco è nato ma l’industria deve ancora definire le sue forme,
la partecipazione allo sviluppo di nuove forme di intrattenimento
continua ad essere relegata ad un ristretto gruppo di persone.
Questo è ciò che accade sino a prima della grande crisi degli anni
’80: dopo, l’industria videoludica perde gradualmente il suo volto
umano, per essere rilegata in una dimensione aziendale, dove le
nuove tecnologie vengono attribuite non ad un singolo o ad un
ristretto gruppo di individui, ma ad un brand a cui fanno riferimento
un grande numero di persone. L’esito di ciò è dovuto anche
dall’avanzamento tecnologico, che in un primo momento, nelle sue
forme più semplici poteva essere gestito da uno o pochi essere
umani, mentre attualmente il lavoro che si cela dietro lo sviluppo di
nuove forme di intrattenimento richiede una divisione del lavoro tale
in cui l’individualità si disperde.

Oltre alla perdita del volto umano, l’evoluzione dell’industria


videoludica porta con sé anche al mutamento dei punti strategici su
cui deve puntare una compagnia affinché produca un prodotto di
successo: nella primissima fase, all’inizio degli anni ’70, gli
acquirenti erano interessati soprattutto al prezzo del prodotto
acquistato, data la somiglianza tra le console presenti sul mercato.
Con la nascita delle console a cartucce intercambiabili, acquisiscono
81
importanza titoli, periferiche di gioco e potenza sprigionata dalle
console: ciò spingerà le industrie a produrre videogiochi e
periferiche di scarsa qualità, determinando la violenta crisi che
colpisce il settore negli anni ’80. Le aziende sopravvissute alla
grande crisi, facendo tesoro dei precedenti errori, saranno in grado
di costruire un’industria ove fondamentale diventa l’importanza data
al pubblico: si cerca di veicolare i prodotti e il pubblico verso delle
caratteristiche fondamentali, capi saldi di ogni generazione o
console war. Si può notare come SEGA e Nintendo negli anni ’80
puntassero su delle mascotte in cui identificare le console, mentre
dagli anni ’90 in poi ritornano in primo piano titoli che
accompagnano ogni apparecchio, a cui va unita la potenza degli
stessi. L’avvento di PlayStation pone l’accento sulla potenza,
stabilendo il grande passaggio dalla dimensione a 2D a quella 3D,
sdoganando al contempo i videogiochi dalla loro dimensione
infantile. Il passo epocale viene compiuto da Wii, che inaugura un
nuovo modo di approcciarsi al videogioco, allargando la base degli
utenti e fornendo forme alternative di intrattenimento: il
videogiocatore non è più rinchiuso nella sua stanza buia, seduto,
innanzi allo schermo col suo controller in mano, ma necessita di
dover compiere una serie di movimenti col suo corpo per poter
giocare, che sia esso in compagnia o da solo. Infine, PlayStation 4
allarga ulteriormente il concetto di virtualità: il giocatore è immerso
non solo col corpo nell’ambiente di gioco, come accadeva con Wii,
ma grazie al visore per la realtà virtuale ne è totalmente immerso,
avendo la sensazione di muoversi al suo interno, vivendo
un’esperienza di gioco virtuale a 360° che abbraccia tutti i sensi.

82
BIBLIOGRAFIA

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Roma: Carocci Editore.

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85
RINGRAZIAMENTI

È doveroso, al raggiungimento di tale traguardo ringraziare delle figure che si


sono rivelate fondamentali durante questo percorso.

Ringrazio innanzitutto il professor Pirro, per avermi concesso la possibilità di


lavorare su un argomento poco trattato in ambito accademico, permettendomi
di potermi dedicare ad un lavoro che coniuga in sé le mie più grandi passioni,
la storia e i videogiochi. I suoi consigli sono stati fondamentali, la calma
infusa ad ogni colloquio di grande aiuto, specie nei momenti finali del mio
percorso di studi.

Ringrazio Pia: amica, coinquilina, sorella, parte importantissima di questo


percorso, condiviso pienamente per momenti brevi ma indelebili. La sua
calma, i suoi incoraggiamenti e l’innata capacità di far sorridere di cuore
chiunque le parlasse, sono stati il dolce miele di questo percorso così irto.
Difficilmente avrei superato delle prove o dei momenti difficili senza la sua
fondamentale presenza: le parole racchiuse in queste poche righe, non
possono esprimere la mia riconoscenza per ogni risata di cuore che ha
alleggerito il mio animo nel momento del bisogno.

Ringrazio Margherita, la cui amicizia è nata grazie alle difficoltà poste da un


esame per me altrimenti insuperabile: fondamentale è stato il suo aiuto, sia
nella preparazione di ben 3 esami, che nell’accogliere ogni lacrima,
dispensando consigli e incoraggiamenti innanzi alle problematicità poste dallo
studio. Senza il suo aiuto, non avrei concluso nelle attuali tempistiche il mio
percorso di studi, e avrei maturato un giudizio personale poco razionale della
mia carriera universitaria.

86
Ringrazio Silvia e Marianna, lontane fisicamente gran parte dei giorni
dell’anno, ma vicine nel momento del bisogno: le risate, i bei momenti e i
consigli dispensati, si sono rivelati un toccasana.

Ringrazio Ilaria e Donatella, amiche da tempi lontani, con cui ho condiviso i


banchi delle scuole superiori, il collegio ADISU e l’esperienza universitaria.
Quando ho condiviso con loro due e Pia il collegio universitario, mi hanno
accolta, rendendo quel posto una seconda casa per me e regalandomi uno
degli anni più belli. Nei momenti di irrazionale ansia, specie concerni la
preparazione della tesi hanno dispensato preziosi suggerimenti, mettendo a
disposizione l’esperienza da loro maturata.

Ringrazio il mio amico Francesco, rivelazione barese della mia esperienza


universitaria: insieme abbiamo passato momenti divertenti e disagianti, tra un
libro, un esame consigliato e mille sigarette fumate. Il suo apporto è stato
importante, umanamente parlando, in un periodo difficile ove molte certezze
vacillavano sotto i miei piedi.

I thank my cousin, sister, American, Sabrina: we only got to see each other
twice during our lives, but the moments lived together are unforgettable. With
its enthralling enthusiasm and the protection it can offer, despite the almost
7000km that divide us, all the affection and its strength come here, thanks to
their immense power.

Ringrazio inoltre i miei amici, compagni, tutti coloro che con la loro
compagnia e le loro parole, anche inavvertitamente hanno addolcito le lunghe
sessioni estive, regalandomi un sorriso inaspettato, festeggiando e brindando
o consolandomi dopo l’esito di un esame.

Ringrazio infine, i miei famigliari: la loro presenza per ultimi non ne indica la
scarsa importanza.

87
Ringrazio mamma e papà per tutto il supporto, prima di tutto materiale, senza
cui mai avrei potuto pensare di iniziare il mio percorso universitario; con i loro
sacrifici, hanno reso possibile ciò. Papà, il mio gigante buono dallo spirito
goliardico, sempre pronto a spronarmi e ad alzare l’asticella ad ogni prova e a
farmi sorridere quando, in lacrime gli annunciavo l’esito negativo di un
esame. Mamma, grande donna, dotata di tantissima pazienza che spesso ha
dovuto sopportare i miei scatti di ira e nervosismo dovuti dallo studio intenso:
nonostante il mio comportamento, non ha mai smesso di tranquillizzarmi e
appoggiarmi, spronandomi sempre a fare il meglio ed esultando con me per
ogni esame con esito positivo.

Ringrazio i miei fratelli Savino, Francesco e mia sorella Rosita: i miei fratelli,
avendo vissuto l’esperienza universitaria prima di me, sono sempre stati di
grande ispirazione. Mi hanno mostrato la via, dato consigli importantissimi,
che solo un fratello che ha condiviso la tua stessa esperienza è in grado di
dare. Mi hanno mostrato i loro errori e i loro meriti, pregandomi sempre di
imitarne i secondi e imparare dai primi. L’amore che ho per lo studio, deriva
anche da loro, che con i modi più strani mi hanno avvicinata sia al mondo
delle scienze che della cultura umanistica.

Rosita, compagna delle serate solitarie, quando ancora vivevamo sotto lo


stesso tetto, rappresentava l’unica persona con cui divertirsi dopo una
giornata abbastanza stressante. Le sigarette fumate vicino alla solita finestra,
alla solita ora, guardando gli stessi programmi, il buon umore e le storie
divertenti che raccontava, allietavano le mie giornate, ora diverse e più tristi
da quando vive lontana da casa.

Ringrazio la passione, quella passione bruciante, motrice, che smuove


l’animo e fa lavorare la mente al massimo delle sue possibilità; quella
passione totalizzante che fa apprezzare i sacrifici e ciò su cui è fondata la
propria vita. La passione ha reso vivi i momenti più bui, gli argomenti più

88
ostici: ha guidato questa impresa, ricordandomi sempre il motivo principale
per cui ho deciso di affrontare gli studi universitari.

Ringrazio infine, ma non per importanza, mio nonno Savino, che purtroppo
non appartiene più al mondo dei viventi. Nonno è sempre stato un uomo di
poche parole, deditissimo al lavoro, un grande esempio per tutti. Gli ultimi
giorni della sua vita e la dipartita hanno sottratto giorni fondamentalissimi allo
studio, facendomi correre il rischio di rinviare nuovamente la tanto attesa
laurea. L’unico modo che ho avuto di omaggiarlo è stato il cercare di imitarlo:
lui ci ha sempre mostrato come, al di là delle possibilità del corpo, la volontà
trascende da tutto e ci permette di raggiungere qualunque obbiettivo. Grazie
al nonno, con grandissimi sforzi e sacrifici negli ultimi due mesi ho terminato
gli esami e completato la tesi di laurea. Ho sempre avuto lui come esempio
nella mia mente in quei due mesi e seppur nemmeno lontanamente io sia
come lui, sento di doverlo ringraziare per la grande eredità che ha lasciato a
tutti coloro che hanno avuto l’onore di incontrarlo: egli ci ha dimostrato come
un animo dedito al raggiungimento di un obbiettivo, devoto al lavoro, sia in
grado di svolgere qualunque azione, al di là delle possibilità che possono
derivare da una mente stressata o da un corpo stremato. Lo stoicismo con
cui ha affrontato la sua vita rappresenta un faro, per cui non mi resta che
ringraziarlo, sperando che queste parole giungano nell’eternità da cui ora
spero mi sia osservando.

89

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