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Giuse Neorealismo
Giuse Neorealismo
Il NEOREALISMO ITALIANO
Negli anni Cinquanta i gravi problemi lasciati dal passaggio della seconda grande
guerra al nostro Paese portò gravi problemi economici e tensioni politiche.
Fu proprio in questi anni, tra il 1945 e il 1954, che prese forma il Neorealismo.
Foto in bianco e nero di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti durante un
confronto per mettere in evidenza le condizioni drammatiche dell’Italia durante e dopo la
guerra. Con i loro film furono i “padri capostipiti” del Neorealismo.
ORIGINI:
Se sul fronte letterario il Neorealismo è una conseguenza del Realismo tardo-
ottocentesco e in particolare del Verismo di Giovanni Verga e Luigi Capuana, dal
punto di vista cinematografico un primo vagito del neorealismo risale in un film del
1914, perduto dopo che l’unica copia esistente fu sottratta dai nazisti nell’autunno
del 1943, dalla Cineteca del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma,
durante la fuga dei tedeschi dalla capitale. Si tratta di "Sperduti nel buio", film
diretto da Nino Martoglio e Roberto Danesi e prodotto dalla Morgana Film,
considerato da molti critici di cinema come Guido Aristarco e Callisto Cosulich
come il capostipite del filone neorealistico italiano. Il Neorealismo riaffiorò
successivamente negl’anni trenta con Sole, un film di Alessandro Blasetti (1929) ma
ha la sua massima affermazione dal 1945 al 1955: questa tendenza di tipo
cinematografico si sviluppò nel secondo dopoguerra intorno a un circolo di critici
cinematografici che ruotavano attorno alla rivista Cinema (un quindicinale di critica
cinematografica di cui direttore era Vittorio Mussolini, figlio di Benito Mussolini).
Copertina del primo numero di Cinema uscito a Roma il 10 luglio 1936.
Immagine tratta dal film “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini (1943) nella quale viene
rappresentato l’uso dei telefoni economici in bachelite.
In opposizione alla scarsa qualità di questi film commerciali, alcuni critici fra cui
Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Gianni Puccini, Giuseppe De Santis, e
Pietro Ingrao, ritenevano che il cinema dovesse rivolgersi agli scrittori veristi di
inizio secolo: ci fu la necessità sociale di riportare una forte connessione con la
realtà, tramite un cinema che cerca di parlare della vita quotidiana di persone
comuni. Il cinema italiano doveva quindi ripartire da zero: se da una parte il
neorealismo cinematografico vuole allontanarsi dalla retorica del ventennio fascista,
che aveva influenzato il cinema di propaganda del Cinegiornale e l’Istituto Luce,
dall’altra parte la stessa Italia vuole dare un immagina di prosperità e di forza.
Dunque, secondo questa interpretazione storiografica, il neorealismo fu concepito
tramite la necessità di riappropriarsi di uno sguardo nuovo, privo di quella
monumentalità del cinema precedente, in modo da trovare un nuovo modo di
esprimersi in quanto anteriormente a questo, ci si esprimeva in relazione ai discorsi
fascisti.
Perciò tramite un approccio sociale questi registi cercano di allontanarsi dal cinema
d'epoca fascista che aveva il compito di divertire le persone per limitarne la
riflessione.
Alcuni storiografi definiscono ciò come un processo di falsificazione
cinematografica in quanto si evitava di affrontare delle tematiche reali e comuni: un
cinema di finzione che raggirava il problema tramite la commedia, il divertimento e
il lusso che distoglieva l’attenzione dal reale stato economico e sociale dell’Italia.
L’istituto Luce, fu istituito nel 1925 e reso ancora più potente da Benito Mussolini.
Grazie all’istituto Luce, Benito Mussolini fu il primo dittatore a documentare la cultura, la
politica, la società e la modernizzazione dell’Italia.
Secondo diverse interpretazioni questa prima vera rottura degli schemi del cinema
degli anni del fascismo è data dal film “Ossessione” di Luchino Visconti nel 1942
poiché mostrava un’Italia cupa e violenta, lontana dalla propaganda del regime,
mostrando la realtà della società e non la finzione.
Questo film ebbe un impatto tale da essere il primo film definito neorealista, in
particolar modo fu il commento di Mario Serandrea nella rivista cinema nominata
precedentemente.
L’impatto che difatti ebbe fu tale da considerare il neorealismo come forma d’arte
impegnata socialmente: Secondo Gian Piero Brunetta nel suo libro intitolato "il
cinema neorealista italiano, da Roma città aperta a i soliti ignoti" Grazie al
Neorealismo lo schermo diventò proiezione dell'anima collettiva, "punto di perfetta
fusione tra i corpi e il sangue degli spettatori e quelli dei personaggi" tanto che la
gente ritrova la speranza che la guerra ha disperso, "per sentir parlare dei propri
problemi, per vedere dei personaggi con i quali si identifica del tutto".
Era l’otto settembre 1943. Dopo l’armistizio l’Italia è allo sbaraglio, i teatri di posa
di Cinecittà sono distrutte o usati come riparo per gli sfollati, le attrezzature tecniche
sono state portate dai tedeschi in ritirata a Venezia al suo cine villaggio.
Da questo momento storico si inaugura il nuovo cinema dedicato agl’italiani, una
stagione che può essere diviso in due parti: una prima fase dove i soggetti si
concentrano su fatti degli ultimi di guerra (Roma Città aperta) e una seconda fase in
cui si racconta la lenta e difficoltosa ripresa dell’Italia (Ladri di biciclette di Vittorio
De Sica).
Scena tratta dal film “roma Città Aperta” di Roberto Rossellini (1943).
Il Cinema neorealista italiano fu una svolta dal punto di vista cinematografico per
diversi aspetti: fu la risultante di conseguenze fisiche, economiche e ripercussioni
sociali della guerra che plasmarono l’anima dei registi, ma anche ls combinazione
del sentimento popolare di ripartire da zero, di voler avere un nuovo slancio e
fiducia nel cambiamento, di speranza nel futuro. Il Neorealismo si presentò dunque
al pubblico in maniera molto impattante, con diverse novità tra cui delle novità
stilistiche che cambieranno il cinema di tutto il mondo. Si evolve in tal modo un
cinema di stampo realista che rappresenta il simbolo di riscatto del popolo italiano,
di quella società povera ma vitale che il cinema d’epoca fascista aveva rimosso.
Una prima analisi a livello contenutistico del cinema Neorealista ci porta subito a
riflettere sulla rottura dei tabù: il neorealismo vuole rappresentare la realtà più
sincera di quei tempi e per farlo ha bisogno di rompere quelle leggi morali che ne
limitano la rappresentazione. In relazione a questo, i film neorealisti presentano alle
volte dei contenuti crudi e indiscutibilmente c’è all’interno di questi fil dei temi
solitamente evitati (o meglio, evitati in quel periodo in quanto era presente un tipo di
cinema che rinnegava la verità) come la prostituzione, le torture, le bande di
criminali, l’inganno, l’estorsione, le violenze o ancora il suicidio, “un Italia senza
veli retorici, senza falsità” come descrive Pier Paolo Pasolini.
Si può inoltre aggiungere che il Neorealismo nasce dal bisogno di comunicare, ossia
di mettere in comune tramite l’immagine, di documentare gli avvenimenti pre e post
bellici con un’attenzione centrata sulle classi operarie; dal punto di vista narrativo, la
novità fu la capacità di questi film di proiettare una contemporaneità assoluta, dove
lo spettatore si poteva riconoscere, tanto che questi film sono considerati delle vere e
proprie pellicole storiche anche perché i set di posa non erano disponibili come detto
in precedenza e dunque le riprese avvenivano all’esterno: venivano riprese le
macerie della guerra, gli edifici distrutti, le strade e le piazze della città dopo la
pressione bellica.
Immagine estrapolata dal fil “Ladri di Biciclette” di Vittorio De Sica (1948), dove sono
rappresentati i due protagonisti.
Immagine estrapolata dal fil “Umberto D” di Vittorio De Sica (1952) ove è rappresentato il
protagonista. Ciò a indicare uno dei nuovi soggetti del Neorealismo cinematografico ossia un
anziano pensionato, ovviamente con gravi problemi economici.
Come già sottolineato, il Neorealismo raccontava la realtà dell’Italia e in quanto la povertà era
all’ordine del giorno, indubbiamente è anche uno dei macrotemi del Neorealismo.
I film del Neorealismo descrivevano criticamente la situazione difficile attraversata dall'Italia,
in un modo così fedele alla realtà che alcuni di quei film possono oggi essere visti come
documentari storici: non solo le tecniche cinematografiche sono simili a quelle dei
documentari come l'editing molto minimale, quasi assente, ma anche gli attori non sempre
erano professionisti: si preferiva utilizzare ciò che André Bazin definì “la tecnica
dell’amalgama”ossia mescolare attori non professionisti ai grandi divi dell’epoca, quali Anna
Magnani e Aldo Fabrizi per aumentare la veridicità delle espressioni e delle scene.
Si dice che il cinema diventa una sorta di specchio: lo spettatore non è più soltanto
destinatario dell’opera ma è pure protagonista dell’opera stessa tanto che le scene di
maggior spicco sono scene di quotidianità; per questa ragione qui, i film
neorealistici vengono soprannominati di visione antropocentrica, ossia che narra e
racconta dell’uomo, una novità assoluta in quegl’anni.
IL NEOREALISMO FOTOGRAFICO:
Oltre che il cinema, un’altra forma di arte a stampo neorealistico emerse dalle
macerie dell’Italia, portando novità contenutistiche simile al neorealismo
cinematografico.
Il Neorealismo fotografico lo si descrive come una "tendenza" o come un’
"immagine" nuova nella produzione fotografica italiana.
Se l’immagine dunque ha lo scopo di persuadere, il Neorealismo fotografico ebbe
una centralità nel permettere un nuovo sguardo che si allontanasse dal gigantismo
fascista: la necessità di riscoprire la quotidianità in tutte le sue sfaccettature, di
ridimensionare anche l’arte in quanto la dittatura fascista schiacciò ogni forma di
libertà ed iniziativa spontanea in nome dell’esaltazione del regime e di un’idea
rigorosamente organicistica della nazione.
Secondo diverse interpretazioni gli anni del dopoguerra furono necessari per una
nuova manifestazione della creatività, personalità e identità italiana: le prime foto
neorealistiche infatti hanno come soggetti le truppe americane: essendoci la
prevalenza di un sentimento che allontanava il fascismo (anche negli intellettuali), le
immagini che immortalavano il fallimento del fascismo risollevavano l’animo della
popolazione unendo così insieme cultura e popolo.
Successivamente, come successe nel neorealismo cinematografico, l’attenzione si
spostò nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni, nel comune, in ciò in cui la gente
si poteva riconoscere: uno specchio di ciò che era la situazione economica e sociale
italiana: le città rappresentate non sono più sfondo per le parate e non sono più
immortalate delle piazze importanti ma piccoli borghi e scalinate poco conosciute,
rioni poveri e città autosufficienti.
Alfredo Camisa, una donna nei campi.
Il ruolo cruciale del Neorealismo fotografico italiano. Una grande mostra a New
York - ArtsLife
BIBLIOGRAFIA: