Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
RIASSUNTO Il Museo Nella Storia. Maria Teresa Fiorio
RIASSUNTO Il Museo Nella Storia. Maria Teresa Fiorio
Teresa Fiorio
Arte
Università degli Studi di Firenze
71 pag.
Museografia: termine che compare per la prima volta nel 1727 nel titolo del volume di Caspar
Friedrich Neickel, mercante di Amburgo che si propone di censire le principali raccolte europee
d’arte e di “rarità”; era l’inizio dell’Età dei Lumi, quando si veniva affermando l’idea che le grandi
collezioni avessero finalità di pubblica educazione, ma ancora non si era compiuto il passo verso
l’istituzione di musei accessibili a tutti. Neickel distingue le varie tipologie di raccolta ed individua
le classi di Naturalia ed Artificialia; nel suo trattato si possono intravedere concezioni del museo che
sono tuttora attuali, come il ruolo didattico del museo, la necessità di un catalogo, di pareti chiare,
di luce diffusa in modo uniforme. La museologia ancora non è stata definita precisamente ma si può
dire che ha a che fare con il logos e privilegia gli aspetti teorici del museo e della sua storia, delle
sue finalità, del suo ruolo; la museografia invece riguarda l’aspetto pratico, quindi le tecniche
espositive, le soluzioni illuminotecniche, il sistema di comunicazione, i problemi di sicurezza (tutto
ciò che riguarda il corretto funzionamento del museo). La museologia dà un ordine concettuale agli
oggetti mentre la museografia aiuta il museologo a tradurre fisicamente l’ordinamento, collocando
gli oggetti nello spazio. È una disciplina recente che viene insegnata nelle università a partire dagli
anni ’70 e si sviluppa in seguito alla nascita del museo moderno/pubblico, che nasce nel ‘700 grazie
al pensiero illuminista come luogo in cui le opere acquistano un nuovo significato: divengono
strumento di conoscenza. Dal ‘700 nasce una riflessione sul significato del museo per la società. Il
museologo sceglie il percorso di visita, seleziona le opere e sceglie come accostarle, che contenuti
comunicare; il museografo realizza poi concretamente questi progetti. L’esposizione museale
avviene tramite l’ordinamento degli oggetti. Il museo parla tramite l’esposizione (l’ordinamento
non è mai casuale).
La parola musaeum deriva dal termine greco mouseion (tempietto, sacrario, luogo delle Muse: figlie
di Mnemosine, divinità preposta alla memoria di un popolo); nella cultura greca indicava santuari
dedicati alle Muse, dove si cominciava a sviluppare il legame tra luogo sacro e cultura, e venne
utilizzato da Strabone per definire un ambiente porticato nella Biblioteca d’Alessandria d’Egitto
(creata da Tolomeo I nel IV sec) dove si riuniva una comunità di dotti e di filosofi a replica del
modello di cultura ateniese, ma dove non venivano esposte opere d’arte: al di là del nome quindi
non ci sono affinità con il museo moderno. Vi venivano probabilmente esposti oggetti, mentre
nell’antica Roma l’arte veniva perlopiù esposta all’interno dei templi. La parola museo viene
recuperata nell’Italia rinascimentale, dove si assiste al recupero di modelli collezionistici del mondo
antico; il termine veniva usato per indicare ambienti dove si svolgeva un’attività intellettuale, sotto
l’egida di Apollo e delle Muse.
Vasari nelle sue Vite usa questa parola per descrivere una fondamentale collezione: la villa di Paolo
Giovio sul lago di Como. Giovio aveva costruito una villa sul modello delle antiche ville romane e
aveva creato un museo con le immagini dei viri illustri, una raccolta di ritratti molto imitata (anche
Cosimo la prese a modello per la Gioviana, i ritratti nella fascia sotto alle volte degli Uffizi).
L’ICOM, organismo fondato nel 1946 con lo scopo di coordinare i musei di tutto il mondo, da varie
definizioni di museo:
1948: La “parola” museo comprende tutte le collezioni aperte al pubblico di oggetti artistici, tecnici,
scientifici, storici o archeologici, ivi compresi gli zoo o gli orti botanici, ma ad esclusione delle
biblioteche, eccetto quelle dotate di sale dedicate ad esposizioni permanenti.
Statuto Icom 1951, articolo 2: La parola museo designa tutte le istituzioni permanenti, amministrate
nell’interesse generale allo scopo di conservare, studiare, valorizzare attraverso diverse modalità ed
essenzialmente esporre per il diletto e l’educazione del pubblico un insieme di elementi di valore
culturale: collezioni di oggetti artistici, storici, scientifici e tecnici, giardini botanici e zoologici,
acquari…
Anche Franco Russoli, uno dei più importanti museologi italiani, cerca di dare una spiegazione di
museo (1956): Il museo non può essere unico e uguale ovunque, secondo generali principi
standardizzati, ma, nel rispetto di regole tecniche riconosciute le migliori dallo studio scientifico dei
La locuzione “beni culturali” risale alla convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di
conflitto armato, firmata nel ’54 a l’Aia; abbraccia un ambito molto vasto, che include “i beni
mobili e immobili di grande importanza, le località archeologiche, le opere d’arte, i libri, le
collezioni scientifiche”; uno spettro molto più ampio rispetto alle “cose di interesse storico-artistico-
archeologico”, oggetto della prima legge italiana di tutela emanata nel ’39, la cosiddetta legge
Bottai, rimasta in vigore fino alla formulazione del decreto legislativo n. 490 del ’99. È un termine
molto ampio, che abbraccia tutto ciò che ha valore di civiltà.
1975: istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (nel 1998 trasformato in Ministero
per i Beni e le Attività Culturali).
La Commissione di studio Franceschini, istituita dal Parlamento italiano nel ’64 e presieduta da
Francesco Franceschini con lo scopo di verificare lo stato dei beni culturali italiani e allo scopo di
censire il patrimonio archeologico, artistico e paesistico(viene denunciato il degrado e dichiarata la
necessità di interventi urgenti) ha indicato il bene culturale come “testimonianza materiale avente
valore di civiltà”. Tale commissione produsse quattro volumi, dedicati a tutto il patrimonio, ma con
una sezione dedicata al museo.
Il gusto della collezione è di origine antica, ma ci sono vari tipi di raccolta, e vari atteggiamenti nei
loro confronti es. le offerte votive nei templi avevano valore sacrale, mentre i bottini di guerra
esaltavano la potenza del vincitore. È il riconoscimento del valore estetico degli oggetti raccolti,
svincolato da motivi di culto e da dimostrazioni di potenza, l’elemento distintivo del collezionismo
che si pone alla base del museo moderno. In un collezionismo consapevole, anche in antichità, non
era mai casuale la disposizione e la sequenza degli oggetti. Anche se la storia del collezionismo
classico e medievale presenta grandi lacune si possono citare alcuni esempi:
-Suger: abate cistercense al quale si deve la ricostruzione dell’abbazia di S. Denis, sepolcro dei re di
Francia e depositaria di un ricchissimo tesoro. Suger esaltava nei suoi scritti il possesso di oggetti
preziosi, in contrasto alla condanna per l’attaccamento ai beni terrieri portata avanti dalla Chiesa;
per Suger nella bellezza delle opere d’arte risplendeva la grandezza divina. La posizione di Suger
risalta come un unicum nel panorama del collezionismo medievale, in quando la Chiesa avocava a
sé ogni iniziative e le raccolte di arte sacra (ma anche di animali imbalsamati, pietre rare ecc. in una
commistione di naturalia e artificialia anticipatrice delle Wunderkammern) dovevano essere
ammirate per i loro poteri miracolosi e non per il loro valore artistico. Era raro l’apprezzamento
dell'antichità al di là di finalità strumentali; se ne vedono rari esempi con la renovatio carolingia
(VIII-IX sec) e alla corte di Federico II, che si sentiva erede dell’Impero romano e vedeva la
classicità come valore da riscoprire (seppur con valenza fortemente politica). -1335: il notaio
trevigiano Oliviero Forzetta stila un promemoria (uno dei primi documenti relativi ad una
collezione italiana,) informandoci sulla sua biblioteca e sul commercio di opere d’arte a Venezia,
con tanto di nomi di mercanti, intermediari ed artisti.
Tra il Tre e Quattrocento comincia a diffondersi l’idea di un luogo concepito per gli studi e per
l’attività intellettuale ma anche per la conservazione delle opere d’arte: l’esempio su cui modellare
la propria vita è il mondo classico. Si tratta di un luogo concepito per la riflessione, dove vengono
collocati strumenti di studio e materiali che, in quanto testimonianza dell’antichità, favoriscono il
dialogo con il passato: nasce lo studiolo, dove bronzetti, gemme, monete, piccole sculture servono a
creare un ponte con il passato. Questi oggetti diventano semiofori, portatori di significato.
Tra i primi a possedere gli studioli vi sono quindi gli umanisti.
Anche gli artisti collezionano, ma non per motivi evocativo-filologici come gli umanisti, bensì gli
oggetti antichi sono fonte d’ispirazione e stimolo alla creatività.
Uno dei primissimi studioli di cui siamo a conoscenza è quello di un importante umanista:
-Studiolo di Petrarca, Arquà: dalle testimonianze sappiamo che raccoglieva in primis libri, ma
anche medaglie, monete, oggetti con le effigi degli antichi; avevano valore in quanto testimonianze
dell’antichità.
Una fonte importante per capire come erano organizzati ed esposti gli oggetti-semiofori negli
studioli è il quadro di Carpaccio, “visione di Sant’Agostino”: su uno scaffale si vedono delle figure
in bronzo; era normale per gli umanisti ospitare oggetti, oltre ai libri. Rappresenta un perfetto
esempio di studiolo.
Con l’Umanesimo, ma in particolare nel Rinascimento, lo studiolo viene pensato ufficialmente per
ospitare le collezioni. Viene considerato quindi il primo ambiente collezionistico: gli oggetti non
venivano collocati a caso ma vi era un allestimento pensato e studiato che si basava su criteri
estetici.
Ben presto infatti lo studiolo si trasferisce nelle corti data la vicinanza degli umanisti ai signori delle
corti: gli umanisti diventano figure importanti a corte, sempre al fianco dei signori, con i quali
instaurano un rapporto importante e collaboreranno insieme alla creazione e all’allestimento degli
studioli. Era quasi sempre posto in collegamento con le camere da letto dei signori e con le cappelle
private. Gli oggetti raccolti hanno per il collezionista, così come lo era stato per umanisti, un valore
importante in quanto portatori di significati e messaggi.
Negli studioli dialogavano le diverse arti e le diverse tecniche artistiche. Erano piccoli, caratteristica
che permarrà nel ‘400, ‘500, e non avevano finestre; erano concepiti come camere del tesoro in cui
1) Lionello d’Este: studiolo nella residenza estiva di Belfiore a Ferrara (distrutto nel Seicento)
iniziato attorno al 1447 e poi portato avanti da Borso d’Este. L’educatore di Lionello fu Guarino da
Verona, che consigliò Lionello su cosa mettere nel suo studiolo: tipica unione tra committente e
umanista-iconografo. In una lettera Guarino consiglia a Lionello di decorare lo studiolo con la
rappresentazione delle Muse; Guarino crea in quest’ambiente un Museion, nuovo tempio delle
muse: i quadri delle nove Muse che decoravano le pareti (probabilmente posti sulla fascia mediana
delle pareti) si identificavano con le virtù e il buon governo del marchese; alcune delle Muse
avevano un legame con il mondo dell’agricoltura (es. simboli della vendemmia, del grano):
indicavano il fatto che Lionello dava al suo popolo abbondanza e prosperità, inoltre
simboleggiavano la coltivazione di arte e cultura. Nella fascia bassa delle pareti c’erano tarsie
lignee.
2) Federico da Montefeltro: nel Palazzo Ducale di Urbino (1473-1476) si trova uno studiolo
decorato con una doppia fascia di ritratti di uomini illustri antichi e contemporanei (tema che godrà
di larga fortuna nel corso del Rinascimento), dipinti da Giusto di Gand e da Pedro Berruguete,
mentre nelle tarsie di Giuliano da Maiano e Baccio Pontelli su disegno di F.D.Martini vengono
raffigurati libri ed armature, strumenti scientifici e musicali, a completare l’immagine del
committente come uomo di studi e valoroso condottiero (divenne ricco grazie alle sue azioni di
condottiero). È caratterizzato da una decorazione preziosa, situato accanto alla camera del Duca,
alla cappella e al tempietto delle muse. Urbino, con Federico, diventa un luogo culturalmente
rilevante (era un grande mecenate). Lavorarono nello studiolo artisti toscani e fiamminghi.
Questo non era l’unico studiolo che Federico da Montefeltro possedeva: ne era presente uno anche
nella sua residenza a Gubbio (risale al 1479-82): non esiste più in loco, ma le tarsie di Giuliano da
Maiano sono arrivate al Metropolitan Museum di New York, ricreando l’ambiente originale. I
dipinti raffiguravano le Muse, sedute in trono (come a Ferrara).
3) Medici: raccolta iniziata da Cosimo, incrementata da Piero “il Gottoso” ma soprattutto da
Lorenzo. Nel Palazzo Medici esistevano più studioli, ma solo uno di essi aveva funzioni
collezionistiche. Lo scrittoio (a Firenze si usa il termine scrittoio piuttosto che studiolo),
probabilmente creato da Piero, era di forma rettangolare, voltato a botte (spesso lo studiolo
riproduceva la forma di uno scrigno). Non esiste più ma grazie all’inventario del 1492 sappiamo che
lo studiolo era collocato nella zona più appartata del palazzo di via Larga e la volta era decorata con
dodici tondi di Luca della Robbia raffiguranti i Mesi (quando i Riccardi comprarono il Palazzo le
terracotte vennero staccate ed utilizzate per decorare una fontana. Oggi si trovano al Victoria and
Albert Museum). Tra i vari dipinti religiosi ed oggetti sacri si trovavano materiali profani tra i quali
una raccolta di gemme, cammei, pietre incise (provenienti in gran parte dalla raccolta di papa Paolo
II), oltre a bronzetti, monete, carte geografiche, codici miniati (gusto collezionistico molto aperto),
messi su scaffali posti sulle pareti decorate con probabile rivestimento di tarsie prospettiche. La
collezione si distribuiva anche all’esterno: nei cortili, dove le sculture antiche si confrontavano con
quelle moderne, nel giardino (rapporto arte-natura) e nel giardino di San Marco, dove (come
racconta il Vasari) Lorenzo il Magnifico aveva formato una scuola per giovani artisti cui in cui le
sculture dovevano servire come materiale di studio: comincia a profilarsi il ruolo didattico della
collezione, che troverà una prima conferma nella creazione dell’Accademia delle Arti e del Disegno
istituita dal granduca Cosimo I.
4) Isabella d’Este, palazzo ducale a Mantova(unica donna rinascimentale a possedere uno
studiolo): l’avvio della collezione avviene alla fine del Quattrocento (1479), quando Isabella invia i
suoi agenti in tutta Italia alla ricerca di “cose antique”. I suoi consiglieri furono gli umanisti di corte
Le collezioni dinastiche in questi anni si stanno ingrandendo: i principi hanno bisogno di ambienti
più grandi per ospitare le collezioni, non più destinate alla visione di pochi eletti ma ad un pubblico
più ampio in quanto sono l’espressione del prestigio e della ricchezza del collezionista: arriverà
dalla Francia il modello della galleria, che prenderà il posto dello studiolo.
A Roma il collezionismo era orientato verso l’antichità; collezionavano i papi, i cardinali, l’alta
aristocrazia. Fu a Roma che, davanti allo spoglio dei monumenti antichi e agli scavi anche
clandestini, si fece strada una nuova coscienza della necessità di tutelare il patrimonio archeologico.
Nel 1516 Raffaello viene nominato da papa Leone X ispettore generale delle belle arti (si
comprende la necessità di un personaggio dalle competenze specifiche per esercitare un’azione di
tutela): deve rilevare gli edifici classici ed eseguire una pianta di Roma. Pochi anni dopo, in una
lettera al papa, Raffaello denuncia gli scempi perpetrati ai danni della città, nonostante il tentativo
di limitarli tramite la legislazione.
Ci furono delle prime leggi volte alla salvaguardia dei resti classici e al loro restauro es. Martino V
Colonna: bolla Etsi de cunctarum (1425): si parla di sacrilegio per chi avesse offeso le antichità e
si istituisce la commissione dei magistri viarum con l’incarico di tutelare gli edifici classici. Nel
1526 papa Pio II Piccolomini emana la bolla Cum alman nostra urbem, che imponeva il divieto
di manomettere resti antichi. Nel 1574 invece Gregorio XIII emana la bolla Quae pubblice utilia,
he istituiva il vincolo sui beni privati. Queste leggi non furono sempre efficaci ma saranno alla base
della storia che porta alla formulazione della più moderna legge di tutela dell’Italia preunitaria
(1820: Editto del cardinale Pacca).
1471: Sisto IV dona al popolo romano quattro sculture in bronzo (la Lupa, lo Spinario, il Camillo e
la testa di Costantino con la mano e il globo), fino ad allora situate davanti a San Giovanni in
Laterano: riconosce il popolo come legittimo depositario delle opere; nella lapide si parla di
Collezioni romane (fonte importante: Delle Statue antiche, che per tutta Roma, in diversi luoghi, e
case si veggono, 1550, del naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi):
1) Giuliano Cesarini: nel 1500 il prelato con un’epigrafe dedica la propria dieta statuaria
(collezione di sculture) ai suoi coincittadini. Il termine dieta è mutuato da Plinio ed indica una
raccolta che probabilmente si collocava all’esterno, nel giardino della villa del cardinale. È nuovo il
concetto di partecipazione condivisa al godimento estetico, nonché l’idea di superare i limiti dello
studio per portare la collezione in un ambiente esterno (via seguita dai grandi collezionisti romani).
2) Giulio II: nel 1505 affida al Bramante il progetto di collegare i palazzi vaticani e il Casino del
Belvedere, inglobando la villa fatta edificare da Innocenzo VIII nel 1485 (si realizza il cosiddetto
cortile del Belvedere). A ridosso della villa, in una piccola corte (“cortile delle statue”) vengono
ospitati i pezzi più rilevanti delle collezioni papali, tra alberi di arancio (evocando il giardino delle
Esperidi), riproponendo il confronto arte-natura sperimentato nel giardino si San Marco. Erano
pochi a poter ammirare il cortile.
3) Andrea della Valle: era uno dei più rinomati collezionisti romani. Il Vasari ci informa
dell’intervento del Lorenzetto nell’allestimento della collezione del cardinale, che voleva disporre le
sue antichità in tutto il palazzo, e necessitava di uno specialista per realizzare al meglio la
presentazione delle opere (così come accade per l’allestimento nel rapporto tra museologo e
museografo). Le “anticaglie”, nell’hortus pensilis del cardinale, erano scalate su più ordini (statuaria
monumentale, clipei e bassorilievi, sculture a tuttotondo), e un’iscrizione dichiarava che erano
aperte al godimento dei concittadini.
4) Collezione Cesi, villa del Prelato (possediamo anche diverse testimonianze iconografiche): la
“passeggiata archeologica” si snoda lungo viali fiancheggiati da sculture monumentali che
scandiscono le varie partizioni del giardino, suddiviso in varie zone cui si accede passando
attraverso archi trionfali (come sale di un museo all’aperto). Culmine della visita era l’Antiquarium,
costruzione a croce greca dove si trovava il nucleo più pregiato della statuaria antica. Innovazione:
alcune sculture erano appoggiate su basi girevoli in modo da poterle contemplare da ogni punto di
vista. Risulta importate la concentrazione dei capolavori della raccolta in un luogo distinto (si
sottolinea attraverso l’allestimento una gerarchia). La collezione proseguiva all’interno della
residenza nello studio, nella loggia e nella postcamera.
5) Ferdinando dei Medici: aveva messo insieme un’ingente raccolta di marmi antichi ma anche di
dipinti moderni, bronzetti, oggetti scientifici... Tramite un inventario del 1588 possiamo ricostruire
la disposizione delle opere nella residenza di Villa Medici a Trinità dei Monti: sul prospetto della
villa verso il giardino erano incastonati fregi e bassorilievi (era comune utilizzare cortili e facciata
come piani espositivi). La grande novità di Villa Medici era la galleria (completata nel 1584) che si
protendeva nel giardino, collegata alla residenza ma riservata esclusivamente alla statuaria antica.
La Galleria:
La galleria viene considerata un grande protomuseo. Le radici della galleria sitrovano nel mondo
antico, nei Propilei dell’antica Atene (fonte: Pausania); nell’acropoli si avevano dei loggiati dalla
forma allungata nei quali venivano esposte pitture, che già avevano acquisito un valore estetico:
primo esempio di esposizione artistica.Quindi inizialmente la galleria era un loggiato con una parte
aperta verso l’esterno ed un muro sul quale venivano esposti I quadri. Questo modo di esporre i
quadri si ritroverà a Roma.
Fonti: Filostrato Maggiore: parla di una casa con un portico risplendente di marmi e di quadri.
Anche a Venezia come a Firenze nasce, a fine secolo, una sorta di primo museo pubblico, grazie al
collezionismo dei Grimani:
-Domenico Grimani: inizia la sua collezione a Roma, con alcuni pezzi rinvenuti sul Quirinale nel
corso degli scavi condotti nella vigna dove il cardinale stava edificando il proprio palazzo. Alla
collezione di antichità si affiancava una raccolta di dipinti moderni, di cammei, medaglie e pietre
incise ed una delle maggiori biblioteche del tempo (vi spiccava l'intera libreria di Pico della
Mirandola e il Breviario Grimani, capolavoro della miniature fiamminga di inizi Quattrocento). Con
un testamento del 16 agosto 1523, Domenico Grimani destina alla Repubblica di Venezia vari
dipinti, il Breviario e i marmi della sua collezione, con l’esplicito proposito di costituire un museo
pubblico. Inizialmente le sculture vennero collocata in Palazzo Ducale, nella Sala delle teste.
-Giovanni Grimani: patriarca di Aquileia e protettore di artisti come Palladio, continua l’opera
dello zio e dona la sua collezione di marmi alla Repubblica, nel 1587. Come si usava all’epoca,
molte sculture (in gran parte greche, del periodo classico) erano state integrate nelle parti mancanti.
Le due raccolte, riunite, vennero denominate Statuario Pubblico e collocate nell’antisala della
Libreria di San Marco, con un allestimento affidato a Vincenzo Scamozzi ma seguito da Giovanni
Paolo Giovio realizza invece una collezione esclusivamente accessibile ad illustri visitatori. Tra il
1536 e il 1543 nella sua villa di Borgonico (sulle rive del lago di Como) rievoca la Comoedia (villa
che Plinio il Giovane possedeva negli stessi luoghi). La costruzione aveva come centro un cortile
nei cui portici si distribuivano gli oggetti d’arte posseduti dal Giovio; ad esso si affiancava un
salone decorato con le figure di Apollo e delle Muse che ospitava il nucleo caratterizzante della
raccolta; per questo ambiente Giovio usa il termine Museo, che viene utilizzato quindi per la prima
volta per designare un luogo deputato all’esposizione di opere d’arte. La principale collezione del
museo era costituita da alcune centinaia di ritratti di uomini illustri, ciascuno dei quali illustrato da
un elogium compilato dallo stesso Giovio; alla base della raccolta c’era il modello delle Vite di
Plutarco (la storia vista come l’insieme delle vite di personaggi eccezionali): idea che incontrò
grandissimo successo e venne più volte emulata.
Non meno diffusi delle raccolte artistiche erano i cabinets scientifici e le raccolte naturalistiche,
come quella che Ulisse Aldovrandi destina nel 1603 al Senato dell’Università di Bologna,
specificando nel testamento che lo scopo del dono era “che le mie fatiche vengano continuate dopo
la mia morte, per l’onore e l’utile della mia città”: si comincia a delineare il concetto della pubblica
utilità (principio fondante del museo illuminista).
L’Ashmolean Museum di Oxford è considerato il primo museo pubblico europeo. Il suo primo
nucleo fu la raccolta naturalistica che Elias Ashmole aveva ereditato dal botanico John Tradescant e
che venne donato alla sua morte (con altri oggetti da lui raccolti) all’Università di Oxford, con la
precisa clausola che venisse aperta al pubblico.
Nel 1609 Federico Borromeo inaugura a Milano la Biblioteca Ambrosiana, una delle prime
raccolte librarie aperte al pubblico e non riservate esclusivamente ad un’élite privilegiata. La sua
fondazione prevedeva anche l’istituzione della prima accademia milanese e di una pinacoteca,
grazie alla donazione del cardinale, nel 1618, della sua raccolta di dipinti, stampe, disegni e
sculture, descritta dal cardinale stesso nel libro Musaeum (1625). La Pinacoteca, alla quale fu
dedicata una costruzione apposita (completata nel 1631), aveva come scopo quello di offrirsi come
pubblica esposizione ma anche di fornire uno strumento didattico agli allievi dell’Accademia del
Disegno (aperta nel 1620).
In Italia, per proteggere le raccolte nobiliari dalla dispersione, esisteva fin dal Seicento il vincolo del
fedecommesso (l’obbligo di trasmettere intatto il patrimonio secondo la linea successoria del
maggiorasco), che sarà poi soppresso definitivamente solo con il Codice Civile dell’Italia
postunitaria, nel 1865. In realtà nel XVIII secolo avvenivano massicce trasmigrazioni di opere
italiane nelle collezioni di molti principi stranieri, e spesso costituiranno il nucleo fondante di
importanti musei europei.
2. I musei dell’Illuminismo
A partire dai primi anni del ‘700 entra per la prima volta a far parte della vita museale il problema
del pubblico. Come portato del pensiero illuminista nasce l’idea del museo come luogo utile alla
società per apprendere e per migliorare se stessi; comincia ad affermarsi la visione didattica del
museo e questo porta a rivedere le strategie espositive: l’esposizione dev’essere chiara e deve
servire a comprendere meglio i contenuti del museo. I musei del ‘700 si pongono il problema di
come mostrare le opere affinché servano anche come oggetti di studio.
Le novità museali si sviluppano soprattutto nei musei d’antichità e si troveranno in seguito in
Italia
Musei capitolini: Il primo Museo Capitolino nasce dal nucleo di una donazione di bronzi antichi da
parte di Sisto IV, che nel 1471 li prelevò dal Laterano, dove si trovavano e vennero poste fuori dal
Palazzo dei Conservatori alla vista di tutti. Il papa si pone per la prima volta il problema di rendere
a Roma dei pezzi fondativi della città, dato che vuole rendere i cittadini più consapevole della loro
storia antica. La donazione di Sisto IV costituisce quindi l’atto di nascita dei musei capitolini, anche
se verrano istituiti e resi pubblici quasi tre secoli dopo, grazie a Clemente XII.
Clemente XII vuole mettere le quattro opere donate da Sisto IV (1° nucleo della collezione) nel
palazzo nuovo sede del primo museo capitolino per manifestare lo splendore di Roma appresso le
nazioni straniere, dato che Roma era diventata un gran terreno da cava di opere di arte antica, si
facevano scavi clandestini, si rubavano opere d’arte. Questa emorragia spinse il papa ad impedire
l’esportazione delle statue antiche con l’Editto del cardinale Annibale Albani (1733), inoltre lo
stesso pontefice acquistò parte della collezione che il cardinale Alessandro Albani, il più grande
collezionista di antichità a Roma che si era indebitato a forza di comprare opere d’arte, intendeva
alienare (2° nucleo della collezione): si fa strada la coscienza dell’importanza del patrimonio per la
cultura di un popolo. Il papa vuole rendere queste opere pubbliche per coltivare gli studiosi delle
arti liberali (il museo sarà strettamente collegato all’Accademia).
1733: con il chirografo di Clemente XII palazzo Nuovi, davanti al primo Museo Capitolino, viene
adibito ad ospitare questo nucleo di 400 sculture, donato alle collezioni capitoline: nasceva la prima
raccolta pubblica di antichità, inaugurata nel 1734. Il papa incaricò un fiorentino funzionario in
Vaticano, Alessandro Gregorio Capponi, di allestire ed ordinare i Musei Capitolini (nel modo in cui
si vede oggi). La raccolta è ordinata secondo nuclei tematici (Sala degli Imperatori, Sala dei
Filosofi...) e attorno ai capolavori (Sala del Fauno, Sala del Gladiatore...). La disposizione originaria
delle opere è tutt’oggi sostanzialmente rispettata (come si può vedere anche dai cataloghi del
museo, i primi dei quali emersero tra 1741 e 1745). Il museo ha un allestimento al contempo
moderno e tradizionale.
Elemento di grande importanza: luminosità e chiarezza delle pareti; assume grande importanza la
luce, che illumina le opere affinché possano essere viste e studiate nel miglior modo possibile. C’è
un alleggerimento delle pareti.
Innovativo per l’esposizione in serie: si costruiscono dei grandi banconi (idea della vicinanza con
l’occhio dello spettatore).
Con l’Editto Albani spunta il principio della pubblica utilità, principio che nell’Età dei Lumi
coincide con la presa di coscienza del valore sociale del patrimonio artistico. In Italia, prima che
altrove, le opere d’arte vengono considerate come bene di Stato, e quindi bene dei cittadini.
Lo studio della statuaria antica era un elemento fondante della formazione degli artisti; per questo
sempre nel 1734 fu istituita l’Accademia Capitolina, e nel 1749 Benedetto XIV istituì la
Pinacoteca Capitolina, grazie all’acquisto delle collezioni di dipinti del marchese Sacchetti e del
Verona: nasce un museo di chiara matrice illuminista, ossia non più accostamento delle cose più
disparate (come nella Kunsterkammer) ma bensì divisione dei materiali ed esposizione specialistica.
Già nel 1704 Leonhard Cristoph Sturm (teorico dell’architettura) pubblica la pianta di un museo
ideale, dove i vari ambienti sono dedicati ciascuno ad una particolare tipologia di oggetti (antichità,
oggetti artistici, oggetti di storia naturale).
Il Museo Lapidario di Verona (aperto nel 1746) risponde a questo concetto: è un museo
specialistico interamente dedicato all’esposizione di epigrafi (museo di genere). L’artefice fu il
marchese Scipione Maffei che nella Notizia del nuovo Museo d’iscrizioni in Verona (1720) indica i
principi teorici alla base del progetto: numismatica ed epigrafia (“antichità parlanti”) sono un
prezioso supporto della ricerca storica quindi non ci si può accontentare delle trascrizioni (spesso
infarcite di errori); vanno istituiti musei pubblici dove le epigrafi possano essere messe a
disposizione della comunità scientifica. Nasce quindi con ruolo didattico. Si pone il problema del
falso: solo se si studiano direttamente gli oggetti si può capire quali siano quelli autentici e quelli
falsi; il museo permette di fare tali confronti. Il museo concepito da Maffei, progettato da
Alessandro Pompei, è costituito da un porticato con colonne ioniche che circonda su tre lati un
cortile (ambiente di gusto classicheggiante, che si accordava con l’antichità delle epigrafi). Per
favorire la leggibilità, il porticato è basso e le lapidi sono addossate al muro di fondo, ad altezza di
sguardo, dato che devono essere lette e studiate da chi visita il museo, disposte in ordine
cronologico e divise a seconda del tipo di iscrizione (greche, latine, miste, false). Molte lapidi sono
state trasportate all’interno durante una risistemazione del cortile negli anni ’50-’60.
Viene data più importanza alla funzionalità piuttosto che all’aspetto decorativo. Dato che le epigrafi
sono quasi tutte dell’ambiente veronese questo radicamento nel territorio anticipa i musei civici.
Per la prima volta Maffei dà un ordine ben preciso alle opere; le lapidi precedentemente venivano
esposte ma erano collocate in cornici architettoniche es. Palazzo Medici Riccardi: cornici mistilinee
con epigrafi della famiglia Riccardi. Si seguiva un sistema simmetrico-decorativo che non
comunicava un messaggio (es. Villa Medici, Roma, oggi sede dell’Accademia di Francia: facciata
coperta di bassorilievi ed iscrizioni, usate come decorazioni), Maffei invece ordina le lapidi,
dividendole a seconda del tipo di iscrizione (greche, latine, miste, false). Il museo ebbe grande
successo dato che per la prima volta si aveva questo tipo di chiarezza espositiva.
Lettera di Maffei ad Anton Francesco Gori (lavorava per una rivista fiorentina):, 1724: “se vorrà far
menzione delli due musei di lapidi romane e greche e bassirilievi che sono i primi di tal genere e
dove siano situati i marmi con qualche ordine”.
Per i Savoia, Maffei si occupò di allestire un museo nel cortile dell’università di Verona con lapidi
antiche e bassorilievi; utilizza nuovamente un portico e fa un’opera di scelta e classificazione: salva
lapidi che erano murate ovunque.
È un vero museologo: studia, recupera, acquisisce e conserva (operazioni che fanno parte della
moderna definizione di museo).
Lodoli: abate e teorico dell’architettura che dovette influenzare Maffei. È di Lodoli l’idea della
Galleria Progressiva, che adotta l’ordine cronologico come criterio razionale per la disposizione
delle opere, in quanto consente di “mostrar passo passo la progressione dell’arte del disegno”.
Francesco Algarotti: nobile veneziano, agente d’arte al servizio di Augusto III di Sassonia, per il
quale elaborò nel 1742 il progetto per il riordino del museo a Dresda con nuovo edificio ispirato alla
semplicità palladiana e alle idee di Lodoli. Algarotti descrive il museo in un testo del 1759 come un
edificio a forma di tempio, autonomo dalla residenza del principe, con pianta quadrata ed ampio
cortile (tema della rotonda al centro), una galleria su ogni lato conduceva in sale d’angolo coperte a
cupola, con illuminazione zenitale (modello: la Tribuna), mentre al centro di ogni galleria un portico
conduceva in una sala più vasta (sormontata a cupola).
Si trovano qui i principali temi architettonici della museografia settecentesca: il portico da cui si
accede a una sala a pianta centrale coperta a cupola (derivazione dal Pantheon che godrà di grande
fortuna), la galleria come ambiente privilegiato per esporre la statuaria. Dà consigli museologici:
propone che la collezione di Dresda venga suddivisa per scuole.
Il progetto non venne realizzato.
Nella seconda metà del Settecento in tutta Europa le raccolte principesche cominciano dunque ad
aprirsi al pubblico (processo di liberalizzazione delle raccolte) e a diventare musei rivolti alla
“Pubblica utilità”. In nuovo museo sono presenti i concetti di istruzione, di organizzazione del
percorso di visita, di classificazione scientifica delle raccolte.
-British Museum: nasce nel 1753, per volontà del Parlamento inglese, che acquista con fondi
pubblici la collezione dello scienziato Sir Hans Sloane, formata per la maggior parte da reperti
naturalistici. Le prima sede del museo fu un palazzo tardobarocco acquistato dallo Stato: Montagu
House; dove si collocarono diverse collezioni:
-La raccolta Sloane.
-Le collezioni di libri e manoscritti dell’archeologo Sir Robert Cotton e dei conti di Oxford.
-1757: la Royal Library dona i libri acquisiti dai monarchi britannici.
Nel 1759 viene inaugurata la sala di lettura per gli studenti e si ha l’apertura ufficiale delle raccolte:
si ha il primo museo pubblico nazionale (ossia non ecclesiastico o del re), con aspirazione
enciclopedica (si rivolge a tutti gli aspetti dello scibile). Nel corso del tempo si ebbe un maggiore
orientamento sul versante archeologico, culminato nel 1816 con l’acquisto da Lord Elgin dei marmi
del Partenone, in seguito al quale il museo verrà trasferito in un edificio apposito di William
Wilkins, totalmente dedicato all'archeologia, inaugurato nel 1832.
-Düsseldorf, 1756: il duca del Palatinato Jan Wellem (marito di Maria Luisa de’ Medici) fa allestire
la sua collezione secondo l’esposizione “a quadreria”, affidando l’ordinamento a Christian Von
Mechel che la raggruppa per nuclei artistici omogenei: per scuole regionali. E’ considerato il
precedente della galleria di Vienna nonché prototipo delle gallerie tedesche.
Mentre i primi musei sono frutto di una trasformazione di edifici preesistenti, nasce l’idea che il
museo debba avere una struttura pensata appositamente per finalità espositive.
Uno dei primi edifici con specifica destinazione museale fu costruito a Kassel tra 1769 e 1777 per
volontà del langravio Federico II, che ne diede incarico all’architetto Simon Louis du Ry: il Museo
Federiciano è un edificio scandito da un ordine gigante di colonne ioniche, fiancheggiato da due ali
laterali, al centro delle quali spunta un pronao di gusto palladiano (viene introdotto il tema del
tempio classico come connotazione della progettazione museale). Trattandosi di una collezione
enciclopedica (riuniva opere d’arte, strumenti scientifici, reperti naturalistici...) viene adottata
un’esposizione per tipologie e nuclei tematici. Viene inaugurato nel 79.
Nei musei degli stati tedeschi le idee illuministe quindi spingono i principi ad aprire completamente
le loro collezioni al pubblico. Queste collezioni, in anticipo sul resto d’Europa, comprendono
l’utilità pubblica delle collezioni. I principi non solo aprono le loro raccolte, ma le ampliano anche
(per un maggior richiamo del Grand Tour, di artisti, di turisti).
In Germania nasce un nuovo tipo di ordinamento, per quanto riguarda la pittura, quello per scuole,
con un progressivo abbandono del sistema delle quadrerie barocche. Proprio perché il museo sta
diventando pubblico c’è bisogno di una nuova chiarezza espositiva.
1769: apre al pubblico la Galleria degli Uffizi. Pietro Leopoldo di Lorena rinuncia alla gestione
delle collezioni come bene personale e ne demanda invece la cura allo Stato; si perde l’aspetto dato
dal collezionismo mediceo e Pietro Leopoldo si attiva in prima persona. Alla base della creazione
dei nuovi Uffizi c’è il patto di famiglia voluto da Maria Luisa de’ Medici, ultima Medici, con il
quale si legavano e collezioni medicee alla città di Firenze. Quando arrivarono i Lorena negli anni
’40 del ‘700 essi dovettero fronteggiare una disastrosa situazione economica ma grazie al patto non
poterono vendere le collezioni d’arte.
I Lorena avevano una tradizione di governo illuminato; rividero l’amministrazione del governo
introducendo molta modernità. Si preoccuparono di avere un’amministrazione efficiente composta
da impiegati efficienti. Ci fu una revisione degli Uffizi (anni 70-80): cambiò completamente
l’aspetto del museo, che dal ‘500 non era stato quasi per niente alterato. Il museo con i Lorena
diventa pubblico, ordinato. Le collezioni erano sì accessibili ad un pubblico selezionato già dal
Cinquecento, ma si trattava di un’iniziativa propagandistica, ora invece il museo si pone scopi
didattici e di educazione, e riorganizza la presentazione delle raccolte (il fine era quello di mostrare
lo sviluppo, la storia dell’arte, e far meglio comprendere la collezione al pubblico). Può essere
considerato il punto di arrivo dell’elaborazione museale tedesca, ma anche romana.
Pietro Leopoldo istituisce degli orari di apertura del museo, nomina un direttore per sovrintendere;
lo rende un vero e proprio museo. Cambia anche l’ingresso, posto sulla parte opposta e sormontato
dal busto di Pietro Leopoldo in marmo. Le gallerie e la Tribuna rimangono invariate mentre Zanobi
del Rosso viene incaricato di realizzare alcuni interventi di rinnovamento strutturale come la
realizzazione del Gabinetto delle Gemme e il nuovo accesso dallo scalone (progettato dal Vasari).
Soprattutto, si ebbe la separazione delle collezioni eterogenee da quelle di pittura e scultura: le
raccolte di armature (nei musei legati alle grandi dinastie erano molto importanti le sezioni dedicate
all’armeria e i Medici avevano la più ricca armeria d’Europa), strumenti scientifici e musicali,
oggetti naturalistici lasciarono il Museo e diedero in seguito vita a musei separati come quello del
Bargello e quello di Storia naturale. Rimase agli Uffizi la Medusa del Caravaggio, scudo da parata
che nell’Armeria era montato su un finto cavaliere in legno. Nel ‘700 infatti si va incontro ad una
sempre maggiore specializzazione delle discipline: ci si allontana dall'erudizione seicentesca, dove
tutto era mescolato, e questo si riflette anche nel museo.
Si ha un’enorme opera di riordinamento (si è in anticipo su quello che verrà fatto per il Louvre).
Regno di Napoli: Carlo di Borbone eredita dalla madre Elisabetta Farnese la collezione di famiglia
(i dipinti si trovavano a Parma mentre la raccolta archeologica era nel palazzo farnesiano di Roma).
Quando divenne re, Carlo (divenuto Carlo III) fece trasportare le collezioni nel Palazzo Reale di
Napoli, dando vita nel 1738 al Museo Farnesiano; sarà però la nuova reggia di Capodimonte ad
aprire al pubblico nel 1759, inglobando oggetti attinenti alle scienze naturali. La collezione di
dipinti era allestita a quadreria ma ordinata per generi, autori e scuole pittoriche nazionali.
Carlo III si occupò anche della tutela delle antichità di Ercolano e Pompei, emanando nel 1755 dei
decreti che proibivano la circolazione degli affreschi antichi fuori dai confini del regno.
Gli scavi di Ercolano erano iniziati nel 1709, forse in seguito ad una scoperta casuale di resti da
parte di un contadino che stava scavando un pozzo. I primi scavi, per imperizia degli scavatori,
danneggiarono molto i resti. Prima dei Borbone già il principe di Elbeuf finanziò gli scavi e fece
costruire un palazzo per ospitare i resti, proprio come faranno i Borbone.
I Borbone finanziarono infatti gli scavi e costruirono la Villa di Portici, adibita ad ospitare i resti e
concepita per ospitare l’Hercolanense Museum, ma diversamente da ciò che avveniva all’epoca in
Germania (si aprivano le collezioni al pubblico) il museo poteva essere visitato da piccoli gruppi,
con permessi, senza poter pubblicare riproduzioni dei pezzi. La Reggia di Portici ebbe una vita
museale ridotta (circa 30 anni) ma divenne una delle destinazioni privilegiate per il Grand Tour. I
Borbone redigevano cataloghi delle collezioni (“Le antichità di Ercolano esposte”, 1757), ma solo
in occasioni speciali es. donazioni a delegazioni diplomatiche.
Villa Albani
Alessandro Albani: esponente di punta del collezionismo privato, era un maniaco del collezionismo
(anche oggi è una collezione privata). Si fece costruire una villa suburbana (o Casino, termine
utilizzato per indicare ville di non grandi dimensioni o situate in zone periferiche o dotate di grandi
giardini e di ampie zone dedicate all’otium) sulla via Salaria, dove collocò le sue raccolte di
antichità. Si trattava di un edificio deputato soltanto all’esposizione, concepito come un museo
nell’organizzazione del percorso ma non vero e proprio museo in quanto escludeva la presenza del
pubblico. È una costruzione punto d’arrivo della lunga tradizione romana delle ville: dal ‘500 la
passione per l’antichità fa sì che i papi ecc. si facciano costruire delle ville su esempio delle
narrazioni di Plinio, Catone... È una tradizione che il cardinale segue: si fa costruire una villa dove
gli ambienti destinati ad abitazione sono ridotti, usa la villa per raccogliere le antichità ed ospitare
coloro che volessero ammirare la sua collezione. Albani aveva scavato la Villa di Adriano e
probabilmente la sua villa si rifà a quella adrianea. E’ una villa-museo.
La costruzione, posta su un sito archeologico, fu lunga (1746-1763), su progetto dell’architetto
Carlo Marchionni (probabilmente diretto dallo stesso Albani); prevedeva due corpi di fabbrica
affrontati: un casino con portico (di gusto tardobarocco) per l’esposizione delle opere d’arte,
affiancato da due ali, e un parco con fontane, giardini all’italiana, tempietti e giochi d’acqua. Sul
fondo si trovava un’esedra, usata per ospitare antichità.
Opera totale: unione di architettura, decorazione d’interni, collezione e gradini. Così come gli
ambienti interni erano stati concepiti come un museo, così avvenne per il giardino.
Nel salone centrale si trovava il Parnaso di Mengs (1761), manifesto dell’arte neoclassica, omaggio
a Raffaello ed all’arte antica; il suggerimento di Mengs va attribuito a Winckelmann, bibliotecario
del cardinale e probabile ispiratore del programma iconografico (il Parnaso di Mengs traduce in
forma pittorica le idee del bello teorizzate da Winckelmann).
Albani ospita e dà lavoro a Roma a Winckelmann, fondatore del metodo di studio basato sul
riconoscimento di fasi evolutive diverse e fondatore del pensiero del bello ideale. Nato a Stendhal,
arriva a Roma nel 1775; formatosi sulle antichità nella collezione del principe di Dresda,
quest’ultimo finanzia il suo viaggio in Italia affinché possa completare la sua educazione. Morirà
ucciso da un suo amante.
Le sue idee del bello ideale, dell’arte greca sono ravvisabili in tutta Villa Albani, in particolare nel
giardino.
La collezione era organizzata per nuclei tematici: imperatori, dei, poeti, condottieri... Inoltre alcune
sale erano incentrate attorno a pezzi di maggiore pregio es.Sala dell’Antinoo. Quello che ne fa un
modello di riferimento è il rapporto tra gli oggetti e lo spazio, che si piega alle esigenze della
collezione.
Per la prima volta viene tralasciato l’aspetto decorativo a favore di una migliore leggibilità delle
opere, inoltre si rinuncia a collocare le sculture all’aperto, e per di più si promuovono degli
interventi di restauro non più soggettivi ma bensì condotti sulla base della ricerca archeologica,
grazie a Bartolomeo Cavaceppi (più celebre restauratore del tempo), che teorizzò i suoi metodi nel
trattato Dell’arte di ben restaurare le antiche sculture.
Winckelmann fa capire agli spettatori quali siano gli interventi di restauro di un’opera scultorea: il
Musei Pontifici: anche nei palazzi vaticani ci si cominciò ad orientare verso l’apertura di musei
dedicati ai diversi settori dell’immenso patrimonio che da secoli si era stratificato nelle collezioni
papali.
Clemente XI viene considerato l’ideatore dei musei pontifici, anche se vennero poi realizzati dai
suoi successori
Prima iniziativa: spetta a Benedetto XIV, che fonda l’Accademia Romana di Antichità e il
Museo di Antichità Cristiane (1757, poi Museo Sacro), con lo scopo di contribuire allo studio
della tradizione figurativa del cristianesimo.
Seconda iniziativa: nel 1761, con il contributo di Winckelmann, Clemente XIII fonda il Museo
Profano, dedicato ai reperti etruschi e romani; la novità del museo è che estende l’interesse a
suppellettili, oggetti d’uso, urne, lapidi...
Clemente XIV affronta l’impresa più ambiziosa, destinata a imporsi come modello imprescindibile
della successiva museografia: fonda il Museo Pio-Cementino grazie al chirografo del 12 settembre
1770, con il quale autorizza la vendita della antichità della collezione Mattei (con una deroga al
fidecommesso testamentario), acquistandole. Dopo l’acquisto di questa collezione vi era la necessità
di trovare in Vaticano uno spazio dove esporre le opere. Venne scelta come sede il Belvedere
(palazzina di Innocenzo VIII), insieme al Cortile delle Statue del Bramante. Il cortile era rimasto
inalterato per secoli, fino alla realizzazione del Museo, quando verrà trasformato. Si trattava di
riadattare a una diversa funzione un edificio nato con altri scopi. I lavori iniziarono nel 1770 su
progetto di Alessandro Dori, e dureranno diversi anni.
-Primo intervento: riguardava il palazzo. La loggia del palazzo (divisa in vari ambienti) venne
trasformata in un’unica vasta galleria destinata ad accogliere statue e sculture (galleria delle
statue), e i muri divisori vennero sostituiti con serliane costituite da materiale di spoglio, con
sculture esposte su entrambi i lati. Entro nicchie alle estremità della galleria si trovavano due statue
monumentali. La decorazione era ricchissima di stucchi e di dettagli ornamentali: si ha un grandioso
effetto scenografico di gusto tardo-barocco. Il museo ha forme architettoniche legate alla tradizione.
-Secondo intervento: riguardò il cortile delle statue del Bramante: alla morte di Dori (1772) il
progetto venne affidato a Michelangelo Simonetti: la nuova Galleria delle Statue andava collegata al
cortile, includendo alcuni fabbricati preesistenti ricavandone ambienti funzionali al museo, con lo
scopo di creare un organismo unitario introducendo un nuovo elemento: un porticato ionico nel
cortile. L’accesso al museo veniva posto sul lato orientale, dove entro una sequenza di ambienti si
trovava il Vestibolo Rotondo (voltato a cupola), per creare un ingresso indipendente per il pubblico
che non passasse dagli Appartamenti Vaticani, da cui si accedeva al cortile e infine alla galleria.
Quindi sotto Clemente XIV fulcro del museo era il cortile ottagono del Bramante, dove vi si
trovavano sculture come il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere. Ma non sarà così a lungo, dato che
sotto Pio VI il museo si amplierà ancora di più.
A Roma, intorno a Piranesi, si forma un nuovo linguaggio neoclassico, che darà vita ad importanti
esperimenti museali es. Galleria privata di William Weddel, realizzata da Robert Adam nel 1767
come edificio indipendente collegato alla residenza di Newby Hall, nella campagna dello Yorkshire:
sono tre sale destinate all’esposizione di sculture antiche, in un ambiente rigorosamente improntato
all’estetica neoclassica (Adam era stato a Roma).
In Francia viene spesso scelto come tema del concorso indetto dall’Académie d’Architecture per il
Prix de Rome quello del museo; si può vedere come si ha un grande ricorso all’architettura classica,
es:
-1753: il tema d’esame era una galleria collegata ad un palazzo e vinse un progetto che prevedeva
una rotonda con cupola, fiancheggiata da gallerie voltate a botte.
-1778: il tema era un museo articolato in varie sezioni, e vinse il progetto di un museo a pianta
quadrata con quattro cortili formati da due bracci a croce greca coperti a botte. Era una soluzione
che teneva conto degli insegnamenti di Etienne-Luois Boullée, membro dell’Académie, che
progetta nel 1783 un museo ideale costituito da un recinto quadrato con croce greca all’interno,
In realtà il museo illuminista non era proprio un museo “pubblico”, nel senso che era molto più
facile entrare se si era studiosi o artisti. Gli orari e le modalità di apertura variavano, per esempio
nel British Museum l’ingresso era limitato e a pagamento, nei Musei Capitolini l’ingresso era libero
da mattino a sera, il Pio-Clementino non era aperto al pubblico ma era facilmente accessibile per chi
avesse voluto visitarlo. Sarà solo con la Rivoluzione Francese che verrà riconosciuto a tutti il diritto
di frequentare i musei.
Il Louvre trae origine, sulla spinta della rivoluzione francese, dalla statalizzazione delle raccolte
reali e dalla confisca di beni sia di proprietà ecclesiastica che appartenuti agli aristocratici che
avevano dovuto lasciare il paese.
1791: l’Assemblea Nazionale Costituente decreta l’esproprio dei beni della corona. Si sancisce che
il patrimonio artistico dev’essere pubblico, a disposizione del popolo, francese e non solo. Si
abbandona progressivamente l’idea del museo come luogo elitario. Il Louvre è il primo museo
veramente pubblico d’Europa, in quanto concepito fin dalla sua nascita come tale. Viene istituita
una Commissione (1794) per le opere d’arte formata da Jacques-Louis David, Jean-Honorè
Fragonard, Jean-Baptiste Wicar.
21 maggio: viene deliberata l’istituzione nei palazzi del Louvre (già sede delle accademie reali) del
Musée Révolutionnaire, inaugurato il 10 agosto 1793 (anniversario della deposizione di Luigi
XVI), prenderà poi il nome di Musée Francais e ribattezzato nel 1797 Musée Central des Arts.
Dal 1803 al 1815 sarà il Musée Napoleon. All’indomani della caduta di Napoleone acquista il suo
nome attuale). Per la prima volta si riconosce ad un museo il carattere di istituzione di interesse
nazionale, e si afferma l'appartenenza alla comunità del patrimonio storico-artistico, della quale
amministrazione si fa carico lo Stato.
Diventa a pochi anni dalla Rivoluzione francese l’espressione delle idee rivoluzionarie.
Viene formata una classe di funzionari adibiti alla cura del patrimonio artistico, a cui vengono
adibiti degli artisti e non degli storici dell’arte.
Nell’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert, Louis de Jaucourt (1704-1779),uno dei principali
estensori dell’Enciclopedia, scrive, alla voce Louvre, dell’auspicio di fare del Louvre (già sede delle
Accademie Reali), un grande centro del sapere che accogliesse un gran numero di collezioni ed
unisse artisti e studiosi diventando una moderna versione del Museion di Alessandria. Con il Louvre
si apre una nuova fase della storia museale. Il ruolo educativo del museo includeva ora nuove
categorie di fruitori, aprendosi a quegli strati sociali che il museo illuminista aveva di fatto escluso.
Inizialmente il museo conserva il carattere di residenza reale, con arredi e mobili preziosi, tanto che
Jacques-Louis David (che aveva istituito la Commission temporaire des Arts a tutela dei monumenti
e delle opere d’arte) esprime le sue riserve riguardo ad un museo più lussuoso che non didattico.
Era un ambiente scarsamente illuminato, con dipinti allineati in doppio ordine e suddivisi in tre
scuole principali (francese, italiana, fiammingo-olandese), ma non ordinati cronologicamente;
alcune opere (ritenute di maggior pregio) erano poste su cavalletti in prossimità delle finestre.
Una proposta di allestimento: grandi lucernari (grande ruolo dell’illuminazione nella museografia e
nella museologia). L’illuminazione zenitale era ideale anche negli studi dei pittori, è un modo di
illuminare che deriva dagli ambienti accademici. In realtà la Galleria non fu dotata di lucernari
(come si vede da un quadro di Hubert Robert del 1795), verranno aperti tra 1805 e 1810. L’ingresso
era gratuito, con apertura sabato e domenica dalle 9 alle 16, mentre gli altri giorni era riservato agli
artisti. Ogni opera aveva una didascalia esplicativa, erano previste visite guidate e dal 1793 si aveva
un catalogo, tuttavia la Galerie si presentava con tono dimesso. Fonti importanti per capire come era
il museo in questa prima fase sono i quadri di Hubert Robert.
Nel 1796 fu la volta dell’Italia; i commissari ebbero sempre il sostegno di guide, ma anche di
incisioni e dei resoconti dei viaggiatori del Grand Tour. Tra i beni requisiti, dodici manoscritti di
Leonardo e il tesoro della regina Teodolinda. Da una lettera di Napoleone dell’estate del 1796
risulta che 110 quadri erano in partenza per Parigi. Passarono per Milano, Monza (requisizioni alla
cattedrale), Mantova (tele del Mantegna), Verona (pala di San Zeno), Parma (capolavori del
Correggio), Bologna (capolavori dei Carracci, del Domenichino, di Raffaello..) ecc. Roma era la
meta più ambita. Papa Pio VI fu fatto prigioniero ed inviato in Francia, mentre si proclamava la
Repubblica nello Stato pontificio e le opere d’arte cominciavano a essere razziate, soprattutto dal
Pio-Clementino, dai Capitolini e da Villa Albani. Al ritorno in Francia fece sfilare un corteo con le
opere requisite. Le opere più piccole erano dentro casse di legno (quasi 500) sulle quali vi era il
nome delle opere, mentre le statue più grandi e più importanti venivano fatte sfilare per essere
osservate dal popolo parigino (era il cosiddetto “bottino romano”), mentre i commissari francesi si
davano al commercio, svendendo quadri e sculture considerati di minore pregio.
Per dare una parvenza di legittimità alle razzie Napoleone include le requisizioni nelle clausole
degli armistizi e trattati di pace, per poter espropriare i paesi sconfitti del loro patrimonio senza
“problemi”, es:
-Trattato di Tolentino (febbraio 1797): dopo i saccheggi compiuti in Emilia, Umbria e Marche si
istituisce il principio che la Francia diviene proprietaria delle opere requisite; la giustificazione del
Direttorio è che le opere d’arte dovevano essere portate nella patria della libertà, dove sarebbero
anche state conservate meglio, si giustifica sostenendo che le opere d’arte dell’Ancien Régime
erano conservate malissimo, specie nelle chiese. Le antiche monarchie non sapevano conservare le
opere d’arte e non le rendevano patrimonio comune. Solo la Francia aveva questa capacità grazie
alla presenza del Louvre: il saccheggio venne spacciato come una volontà di conservare e rendere le
opere fruibili al pubblico. Strategia programmata già prima della Campagna d’Italia: vennero stilate
liste di opere da portar via. Gli storici d’arte si basavano sulle guide, su Vasari, sulla letteratura
artistica italiana.
-Trattato di Campoformio (ottobre 1797): Venezia perde opere quali i Cavalli di San Marco,
dipinti di Tiziano, Tintoretto, Veronese...
I paesi perdevano così il loro patrimonio artistico e poterono rendersi conto dell’importanza del suo
valore.
Napoleone, intanto, era partito per l’Egitto, ed assieme a lui Dominique Vivant-Denon, il cui
compito era quello di rilevare e disegnare i monumenti archeologici dell’Egitto (pubblicati poi nel
1802 in un volume di incisioni e nel 1809 nella Description de l’Egypte, che influenzò il gusto
europeo, con la diffusione di motivi egizi).
Vivant-Denon si legò molto a Napoleone, che nel 1802 lo nominò direttore generale del Louvre
(ribattezzato nel 1803 Musée Napoleon). Dovette riordinare i materiali affluiti con gli espropri
napoleonici, ed adottò il criterio della suddivisione per scuole (il museo doveva avere ruolo
didattico), inoltre ottenne finanziamenti per il museo, anche grazie alla vendita di stampe tratte dalle
opere esposte e dei cataloghi. Si recupera l’idea di un grande circolo culturale, polifunzionale, sul
modello del Museion. Idea del Louvre come grande museo universale e polifunzionale(ha le sue
radici nel pensiero illuminista).
1805-1810: gli architetti Percier e Fontaine realizzarono nella Grande Galerie aperture laterali nella
Oggi ci si chiede come agire nei confronti di delle opere sottratte illegittimamente al loro contesto
originario es:
-Restituzione dei marmi del Partenone: Quatremère de Quincy, in questo caso, si dichiarava
favorevole alla loro acquisizione da parte del British, in quando nella loro sede originaria non erano
sufficientemente protetti.
-Rivendicazioni della Grecia dei marmi di Fidia, mentre l’Egitto dal 2001 tenta di recuperare le
opere emigrate in musei stranieri, riuscendo ad ottenere la Mummia di Ramses I dagli Stati Uniti e
richiedendo la restituzione della Stele di Rosetta all’Inghilterra e del Busto di Nefertiti alla
Germania; in seguito a queste azioni nel 2002 i direttori dei maggiori musei del mondo hanno
sottoscritto la Dichiarazione sull’importanza e il valore dei musei universali, a sostegno del loro
assetto ormai storicizzato e dell’azione da loro svolta nella diffusione della cultura.
-L’Italia sta lottando per ottenere opere uscite illegalmente e incautamente acquistate da musei
800: nuova stagione museale, nuova fase di progettazione museale. Dopo il Louvre i musei
diventano veramente pubblici e nascono i grandi musei nazionali. Fu in Germania che le teorie
espresse in Francia trovarono uno sbocco concreto nella realizzazione di edifici di chiara ispirazione
classica; le protagoniste di questa fase della progettazione museale sono Monaco e Berlino (progetti
di riqualificazione della città), dove il museo diventa occasione per ridisegnare il centro urbano e
conquista il ruolo di edificio simbolico della città. Edifici:
Glyptothek, Monaco: museo archeologico dell’architetto Leo von Klenze (nutriva il culto della
Grecia, della classicità), il cui prospetto inaugura la lunga sequenza di edifici della tipologia
“museo-tempio”. Si inaugura un nuovo nome: Gliptoteca (contenitore della glittica, pietre incise):
per estensione il nome si allarga ai musei di antichità. Viene chiamato glipteteca per rimandare
all’idea di uno scrigno, lo scrigno della scultura antica. Il principe ereditario Ludwig (sovrano molto
interessato alle arti) voleva fare di Monaco un centro importante per l’arte e per la cultura ed inserì
il museo nel quadro di una riqualificazione della città che, con l’istituzione del Regno di Baviera
(ottenuta con l’appoggio di Napoleone nel 1806), era assurta al rango di capitale. Ludwig voleva
creare un’Atene con edifici maestosi in cui rivivesse la classicità, del cui progetto fu incaricato Karl
von Fischer. Nella piazza principale dovevano fronteggiarsi il Walhalla (paradiso della mitologia
germanica, costruito per celebrare i personaggi tedeschi illustri), in forma di tempio
commemorativo degli eroi, ed il museo (in realtà poi il Walhalla venne realizzato a Regensburg
nelle forme di un tempio su alto podio che domina la città, con una raccolta di busti e statue). Von
Klenze realizza edifici che vogliono fare di Monaco una nuova Grecia: presenta i popoli tedeschi
come eredi della Grecia e quindi superiori ad ogni altro popolo europeo, come voleva Ludwig I.
Voleva agire come aveva fatto Palladio in Italia: si voleva porre come un architetto rinascimentale
italiano, ricollegandosi a modelli antichi. Nel 1812 Ludwig aveva arricchito la sua collezione
archeologica delle sculture dei frontoni del tempio di Afaia, scavate nell’isola greca di Egina
dall'archeologo inglese Charles Robert Cockerell. Nel 1814 l’Accademia indisse il concorso per la
realizzazione del museo, e vi parteciparono tre architetti: Haller (il cui progetto sfruttava il tema
della rotonda), von Fischer (il cui progetto prevedeva una sala a pianta centrale ispirata al Pantheon)
e von Klenze (propose tre soluzioni che si ispiravano all’architettura greca, romana e
rinascimentale, manifestando l’affermarsi delle tendenze storiciste tipiche dell’Ottocento). Ciascuno
dei tre progetti presentava sul prospetto un motto “in stile” (una frase di Platone, un verso di Orazio
e uno del Tasso). Ludwig, filoellenico, preferì il piano di von Klenze ispirato al tempio greco: i
lavori iniziarono nel 1816 e si conclusero nel 1830. La Glyptothek ha pianta quadrata con cortile
centrale e sul prospetto senza finestre sporge un pronao con colonne ioniche e frontone scolpito; ai
lati del pronao le pareti sono scandite da nicchie con statue. Le sale si sviluppano attorno ad un
cortile centrale: quelle angolari sono a pianta centrale e le altre sono rettangolari ma di dimensioni
diverse; una delle più ampie è quella dedicata ai marmi di Egina, mentre le altre prendono il nome
della scultura più importante in essa ospitata (come nei musei di Roma). Nella sala con i marmi di
Egina in alto si trovavano le sculture del frontone del tempio di Egina, pesantemente restaurate (ora
si presentano senza reintegri in quanto è stata fatta negli anni ’80 un’operazione di derestauro). Si
avevano anche una rappresentazione ed un modellino del tempio di Egina. Le opere erano ordinate
cronologicamente, partendo dalle antichità egiziane, proseguendo per quelle greche e romane e
terminando con una sala dedicata agli artisti neoclassici contemporanei (vengono recepite le idee di
Winckelmann). Von Klenze si trovò in conflitto con Johann Martin Wagner, pittore ed agente di
Ludwig incaricato di procurargli pezzi per la collezione; l’idea di museo di Wagner era che le opere
vanno ammirate per se stesse, senza elementi di distrazione, quindi le pareti devono essere neutre, i
1)Museo Chiaramonti: papa Pio VII Chiaramonti affidò al Canova l’allestimento di una nuova
sezione destinata a contenere quasi mille sculture antiche, utilizzando la parte finale del corridoio
orientale del Bramante che si collega al Pio-Clementino. Inaugurato nel 1807, il Museo
Chiaramonti ha mantenuto pressoché intatto l’ordinamento, sottolineato dalla decorazione delle
lunette che celebra il ruolo del pontificato nella promozione delle arti.
2) Braccio Nuovo: Canova sollecitò il papa per realizzare un museo che raccogliesse le sculture
restituite alla Francia dopo la caduta di Napoleone. L’architetto Raffaele Stern completò il progetto
nel 1822: il Braccio Nuovo attraversa il Cortile della Pigna e corre parallelo alla Biblioteca voluta
da Sisto V. È una galleria con volta a cassettoni interrotta da lucernari, sui fianchi della quale sono
collocate in 28 nicchie sculture di grandi dimensioni alternate a busti su rocchi di granito rosso,
mentre sulla parete alta si trova una serie di bassorilievi ispirati ai più celebri monumenti romani. Al
centro abbiamo una sala absidata con il “Nilo”. Vi è un uso raffinato di materiali antichi: il
pavimento, ad esempio, è costituito da mosaici romani originali. Si tratta del capolavoro
dell’architettura neoclassica. E’ un ambiente elegantissimo con luce zenitale.
3) Pinacoteca Vaticana: la collezione di dipinti papale era collocata dal 1816 nell’appartamento
Borgia e dal 1821 in quello di Gregorio XIII. Il primo nucleo della quadreria era stato formato da
Pio VI riunendo i dipinti sparsi nei vari palazzi pontifici, che però dopo il Trattato di Tolentino
vennero confiscati da Napoleone. Recuperate nel 1816, le opere vennero riunite a quelle razziate
negli Stati Pontifici. Nel 1932 la pinacoteca trova una sede definitiva in un palazzo al di là del
Cortile della Pigna, voluto da Pio XI e costruito da Luca Beltrami.
Parigi:
Musée de Cluny: museo interamente dedicato all’arte medievale e situato in un edificio gotico
costruito a fine ‘400. Accoglie la collezione di Alexandre du Sommerard, precocemente interessato
alle antichità medievali. Aperto nel 1834, il museo fu allestito da Albert Lenoir (figlio di Alexandre)
ed inaugura il tipo di museo “romantico”, dal quale discenderanno molti musei ottocenteschi
dedicati alla storia ed alla cultura nazionale (nasceranno molto musei votati alla celebrazione del
patrimonio nazionale).
Spagna:
Il Prado: inaugurato nel 1819 per accogliere le collezioni reali. In origine era un museo dedicato
alle scienze naturali, voluto da Carlo III nell’ambito di un disegno di revisione urbanistica del
centro cittadino che aveva come fulcro l’Accademia delle Scienze con l’annesso Giardino Botanico
(voleva dar vita ad una cittadella del sapere scientifico). L’architetto di corte, Juan de Villanueva,
realizzò un edificio neoclassico, ricostruito dopo i danni dell’occupazione francese sempre su
disegno di Villanueva. Un porticato ionico in facciata introduce al nucleo centrale coperto a cupola
e fiancheggiato da gallerie. E’ caratterizzato da un perfetto equilibrio delle strutture, con una
armoniosa varietà di sale ellittiche a pianta centrale, voltate. È uno dei più alti esempi di
museografia neoclassica, tanto che verrà ripreso a modello dalla National Gallery of Art di
Washington.
Nel corso dell’Ottocento nonostante il dominio della tipologia classica, molti edifici adottano uno
stile monumentale ispirato all’architettura civile del Rinascimento e del Barocco. Es:
-Dresda: Gottfried Semper, architetto brillante della museografia ottocentesca) applica lo schema
del palazzo barocco alla Gemaldegalerie (1847-1855), con un prospetto a doppio ordine con
portico colonnato e cupole che emergono ai lati del corpo centrale. Distrutta nei bombardamenti del
1945, è stata ricostruita dieci anni dopo e in un restauro del 1988-1992 sono state rifatte anche le
decorazioni originali, sulla base di foto d’epoca.
-Vienna: qui l’adozione della tipologia neobarocca trova la sua forma più completa e grandiosa.
Nel quadro della nuova sistemazione della piazza centrale della città, G.Semper progettò con
l’architetto Karl von Hasenauer due monumenti gemelli dedicati all’arte (Kunshistorisches
Museum) e alle scienze naturali (Naturhistorisches Museum), realizzati tra 1872 e 1891; a pianta
rettangolare, si fronteggiano con prospetti dal corpo centrale aggettante con cupola su tiburio
ottagonale (ispirazione rinascimentale).
A partire dalla seconda metà dell‘800 nacquero in Europa delle grandi esposizioni: gli articoli
esposti erano il frutto dell'industrializzazione (oggetti in serie di arti minori) e, dato che il
rinnovamento aveva come epicentro l’Inghilterra, la prima esposizione a carattere universale si
tenne a Londra: la Great Exhibition of Industry of All Nations si inaugurò a Hyde Park il primo
maggio 1851, con espositori provenienti da ogni parte del mondo industrializzato. In sei mesi di
apertura, affluirono oltre sei milioni di visitatori. I fautori dell’esposizione furono Gottfried Semper
e Henry Cole: fu una delle prime occasioni in cui una grande massa di pubblico visitò un museo
temporaneo. Gli oggetti esposti erano oltre centomila, suddivisi in quattro categorie: Materie prime,
Macchinari e Invenzioni meccaniche, Manufatti, Sculture e Arte Plastica. Le opere erano divise in
Departments dedicati alle diverse tipologie di prodotti (ceramiche, vetri, gioielli...), e una guida
1) Torino: nel 1862 nacque il primo museo industriale italiano, il Museo Civico di Arte Applicata
all’Industria, affiancato preso da un Istituto tecnico. Erano esposti materiali ritrovati negli scavi
effettuati in occasione della costruzione della linea ferroviaria Torino-Milano, prodotti delle grandi
manifattura di ferro ed acciaio, collezioni di vetri e ceramiche, carrozze... C’era la volontà di far
coesistere diversi ambiti del sapere (archeologico, artistico-artigianale, tecnico-scientifico). Il
progetto si rivelò tuttavia un fallimento.
2) Milano: nel 1871 l’Associazione Industriale Italiana promuove a Milano la prima Esposizione
Industriale ed afferma di voler promuovere un museo che ospiti le collezioni di oggetti antichi e i
prodotti dell’industria nazionale lodevoli per le loro qualità artistiche, annuncia inoltre l’annessione
al museo di scuole professionali finalizzate allo studio dell’arte e all’applicazione del disegno
all’industria. L’Associazione organizzò, nel 1874, l'Esposizione Storica d’Arte Industriale,
rassegna di prodotti industriali dotati di qualità artistiche, che ospitò diecimila oggetti, che
avrebbero dovuto costituire la base del Museo d’Arte Industriale. Nel 1876 il comune acquistò il
Salone dov’era avvenuta la rassegna e le raccolte artistiche municipali si aggregarono a quelle del
costituendo museo; l’Associazione Industriale aveva ceduto le proprie raccolte al Museo Artistico
Municipale, incaricandolo di perseguire scopi educativi tramite l'istituzione di una scuola di disegno
dove addestrare i giovani ad applicare l’arte all’industria. Il Museo Artistico Municipale viene
inaugurato nel 1878 ma solo nel 1882 gli verrà annessa una Scuola d’Arte Applicata all’Industria. Il
museo mantenne i criteri tipologici dei musei d’arte applicata, suddividendo le collezioni di oggetti
d’arte minore in classi (avori, ceramiche, vetri...); tuttavia si configurò più come depositario delle
raccolte artistiche civiche che non come museo di tipo industriale. Era evidente, come a Torino, la
difficoltà di far coesistere collezioni di tipo artistico-artigianale con quelle tecnico-scientifiche.
Nel 1884 nasce a Torino, presso il museo industriale, una sezione con il primo Museo Commerciale
italiano e l’anno dopo nasce un museo dalla stessa denominazione presso la Camera di Commercio
di Milano. Queste istituzioni, sempre a scopo didattico, erano ben lontane dai primi musei
industriali , in quanto si rivolgevano prevalentemente agli operatori del settore industriale e
commerciale, a cui si volevano mostrare le migliori produzioni nazionali e straniere, a fini
dimostrativi e senza implicazioni di carattere estetico.
L’evoluzione di queste esperienze sarà la trasformazione di questi musei in musei della scienza e
della tecnica, tuttavia in Italia si avrà un sostanziale fallimento di tutte le iniziative nate sotto l’egida
di industria e commercio; il primo vero e proprio Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica,
intitolato a Leonardo da Vinci, nasce a Milano solo nel 1953, ed è l’unico museo pubblico di questo
genere in Italia. Nel corso del secondo Ottocento ebbero grande impulso i musei naturalistici,
lontani dal concetto di meraviglia che era stato il criterio ispiratore delle prime raccolte
naturalistiche nate tra fine Cinquecento ed inizi Seicento, accomunate alle Wunderkammern per la
loro caratteristica di suscitare sorpresa. Nelle prime raccolte di reperti naturali convivevano
Una tipologia di museo caratteristica dell’Italia postunitaria è il museo civico. Sono principalmente
due i “fenomeni” che favoriscono la diffusione di questa tipologia museale:
1)Diversi collezionisti o artisti decidevano di legare le proprie raccolte alla città con l’esplicito
proposito di creare un museo (che poteva anche essere accolto nelle proprie abitazioni, quindi in tal
caso “case-museo”). Molto spesso i musei civici coincidono infatti con i musei di ambientazione,
che avranno grande successo in Italia, soprattutto la tipologia della casa-museo. Es
1830, Venezia: Teodoro Correr designa le sue raccolte alla città purché vengano mantenute nel suo
palazzo ed aperte al pubblico.
1861, Milano: lo scultore Pompeo Marchesi dona tutte le opere presenti nel suo studio, così come
fanno in seguito Antonio Guasconi e il conte Gian Giacomo Attendolo Bolognini. Erano collezioni
inadatte alla Pinacoteca di Brera (la prima era composta di sculture moderne, nelle altre due c’erano
non solo dipinti ma anche ceramiche, mobili, disegni).
2) Un altro elemento che favorì la nascita dei musei civici fu l’affermarsi di una legislazione che
ridimensionava il potere temporale della Chiesa. Già nel 1850 un ministro del Regno di Sardegna,
Giuseppe Siccardi, aveva fatto approvare le “leggi separatiste”, volte a rompere l’alleanza tra Stato
Prima della nascita dei musei pubblici vi era un gran numero di collezioni private.
L’esperienza museale comincia nel 1786 quando Charles W. Peale istituisce a Philadelphia un
museo scientifico a scopo didattico. Assieme alla collezione naturalistica vi era una collezione di
ritratti di uomini eminenti della società americana (Peale era un ritrattista). Dovette poi chiudere il
Mostra enorme: vennero esposte moltissime opere tra pittura e scultura. Ebbe un grande effetto. Si
svolse in una caserma. Alcune opere suscitarono scandalo: erano viste come il segno della
decadenza dell’arte. Vennero usati pannelli mobili, l’illuminazione naturale e artificiale, fu
prediletta la linearità e la semplicità e furono messe panche per sedersi.
Manifesto della mostra: Nu Descendant l’escalier, Duchamp 1912: suscitò scandalo.
Protagonista importante nel mondo dell’arte contemporanea: Katerine Dreyer: insieme a Duchamp
fonda la Societè Anonyme: organizzavano mostre di arte contemporanea (ad es “Modern Art”,
Contemporaneamente alla nascita dei grandi musei nazionali assistiamo ancora al fenomeno del
collezionismo privato: i collezionisti lasceranno poi alla loro morte la collezione allo stato, dando
vita a musei pubblici (spesso coincidono con musei civici).
Seguiranno la tipologia del Museo d’Ambientazione, con sale che rievocano l’ambiente originale:
sale d’epoca. Si cerca di far immergere nel passato il pubblico.
Il collezionismo era una forma di identità: si diffonde idea che gli uomini sono le loro collezioni: si
rispecchiano in esse, esprimono loro stessi. Parola chiave del collezionismo privato: Eclettismo.
Collezionavano oggetti di ogni tipo. Inoltre si afferma l’ “orientalismo”: si sviluppa un grande
mercato di cineserie e di oggetti indiani.
Quindi se nei secoli passati il collezionismo provato era concepito per restare privato, ora i
collezionisti concepivano sin da subito la loro raccolta e la loro abitazione come futuro museo
pubblico, quindi erano attenti alla conservazione e all’allestimento. Entra nella nella mentalità dei
collezionisti la tendenza al “mostrare”. Lo sviluppo del collezionismo avviene anche a causa della
decadenza delle grandi famiglie nobiliari (dalla prima metà dell’800) e quindi della dispersione del
loro patrimonio artistico, e a causa della soppressione degli enti ecclesiastici: tutte queste opere
d’arte prendevano la strada del mercato e venivano acquistate dai collezionisti.
Anche in Inghilterra era molto sviluppato il collezionismo privato (alimentato dal Grand Tour)
Milano: città in cui si sviluppa di più il collezionismo privato destinato a diventare museo pubblico.
Questo tipo di museo verrà criticato: luogo d’elite, luogo d’accumulo, non persegue lo scopo
educativo, lontananza dal pubblico.
Avrà comunque molto successo e il numero dei musei cresce enormemente. I futuristi di Marinetti
volevano abolire i musei: erano visti come luoghi vecchi.
“Noi vogliamo demolire i musei, le biblioteche... noi vogliamo sbarazzare l’Italia dei musei
innumerevoli che la coprono di innumerevoli cimiteri, musei, cimiteri.”
La tipica caratteristica dei Musei d’ambientazione di ricreare ambienti fittizi (illusione della casa
abitata) era molto criticato: secondo i critici del 900 quelli riambientativi erano allestimenti
imbarazzanti, privi di logica, di autenticità in cui viene esaltato il contesto e non l’opera d’arte che,
anzi, è danneggiata. Roberto Longhi, il più importante critico italiano di inizio 900 sosteneva che
andasse valorizzata la singola opera d’arte, per essere letta nella sua qualità stilistica. Non c’era
bisogno di arredi perché questi invece che esaltare distolgono lo sguardo dall’opera d’arte.
Roberto Longhi, recensione in “L’Arte”, 1914: “che la storia dell’arte essendo storia del puro
sviluppo stilistico non può basarsi che sulle opere stesse, poiché i documenti ricordano fatti intorno
all’arte ma solo l’arte ricorda sé stessa e perciò i materiali d’ambiente, di costume, di cultura non
possono avere un valore positivo per la costruzione storico-artistica.”
Anni ’20 del 900: nonostante le critiche in questi anni godranno di molto successo: l’allestimento
conosce segni di modernizzazione, anche se si cerca ovviamente di ricreare il contesto.
-Palazzo di Venezia, Roma.
Il palazzo fu sede papale e poi ambasciata veneziana. Allestimento della raccolta: Federico
Hermanin, 1929. Il palazzo viene dotato di arredi il più possibile filologici (attraverso lo studio di
dipinti classici)
Voleva che diventasse un museo civico, ma non verrà mai aperto al pubblico. Accosta il reale al
fittizio, come fa Bode a Berlino. Voleva ricreare l’Italia del Medioevo. Diventerà sede del Fascismo
e le sale diventeranno la cornice dei ricevimenti di Mussolini, magnificando il regime fascista.
Ci saranno dei restauri integrativi (sala del pappagallo, delle armi, del mappamondo).
Criticato da Guido Ojetti: si scaglia contro il museo d’ambientazione e criticava il sovraffollamento
delle opere d’arte, la non autenticità dell’allestimento. Erano musei falsi, fittizi, che facevano solo
un grande effetto sulle persone ma tralasciavano il valore della singola opera, che veniva
danneggiata. Fece una visita al duce a Palazzo Venezia e la sua critica al museo diventa una critica
al regime: così come il museo è falso e fa un grande effetto sulle persone, così fa il duce.
-Museo Civico di Castelvecchio, Verona
Tipico museo di ambientazione. Castello 300esco dei Della Scala che aveva rivestito diverse
funzioni. Si volle ricostruire l’aspetto neomedioevale del castello.
All’inizio del Novecento l’articolata varietà di modelli messa a punto nel corso del XIX secolo non
rispondeva più alle esigenze di una società che aveva conosciuto profondi rivolgimenti: entra in
crisi l’impianto classicista del museo ottocentesco, viene messo in discussione il suo ruolo sociale
perché non dava risposte consone alle richieste di una società moderna Il South Kensington Museum
aveva per primo incrinato la sacralità del museo e si introduceva l’idea secondo cui i principi che
regolano i luoghi del commercio possano essere applicati anche al museo. L’influenza delle Grandi
Esposizioni si fa sentire nell’uso di corti vetrate, nell'impiego di materiali nuovi come il cemento
armato, nella presenza di ballatoi e gallerie che si affacciano su vasti spazi d’accoglienza. Nasce una
nuova concezione di museo: più dinamico e propositivo, più moderno quindi.
Es: nel 1913 Otto Wagner in occasione del concorso per il Kaiser Franz Joseph- Stadtmuseum
(non realizzato) realizza un progetto in cui tre ordini di gallerie illuminate da lampioni circondano
un grande vestibolo centrale, con l’intento di trovare un accordo tra monumentalità e funzionalità.
La hall a pianta quadrata è una rilettura in chiave moderna del tema della rotonda, spogliata dei suoi
rimandi classici.
L’Europa si rende conto che deve apporta delle innovazioni nel museo: arrivano infatti le novità
dall’America, che era ormai più avanti di noi. Il museo deve tener conto di un nuovo pubblico,
desideroso di essere guidato come nei musei americani, dove l’attenzione ai visitatori assume una
posizione centrale e porta a rivedere l’impostazione elitaria dei musei europei. I principi-guida dei
musei americani sono la forte vocazione didattica ed il rapporto con la produzione industriale.
Mettere in pratica le nuove idee era un compito facilitato dal fatto che i musei statunitensi sono di
nuova fondazione, quindi svincolati dalle limitazioni imposte dalla collocazione in edifici antichi. In
Europa dunque la concezione americana del museo “come servizio” aveva stentato ad affermarsi. A
partire dagli anni 20 del 900 si cerca quindi di tenere il passo e recuperare una posizione di primo
piano in ambito museale.
L’attenzione per il museo si intensifica nel periodo delle due guerre grazie alla creazione di nuovi
organismi.
-1922: all’interno della Società delle Nazioni (organismo fondato per la salvaguardia della pace e
della sicurezza mondiale), viene istituita Commission Internationale de Coopération
Intellectuelle (CICI), nata allo scopo di promuovere scambi culturali tra gli stati membti.
Da questo nucleo discendono altri organismi:
-l’OCI (Organisation de Coopération Intellectuelle), che abbracciava tutti i campi del sapere e si
articolava in numerose sottocommissioni, tra le quali quella per le Lettere e le Arti, di cui era
membro Henri Focillon, docente di Archeologia e Storia dell’arte medievale alla Sorbona, al quale
si deve l’impegno per la creazione di un altro organismo importante:
-l’OIM (Office International des Musées), fondato nel 1926, con ambito d’indagine la
museografia (preparazione all’Icom: tenta di creare un contatto tra i vari musei europei ed
1927: la Società delle Nazioni bandisce un concorso per la costruzione, a Ginevra, di un centro
culturale internazionale, il Mundaneum, che doveva includere un museo dedicato al sapere
universale. Sebbene non vincitore, il progetto più interessante è quello di Le Corbusier (1939), che
prevedeva una pianta a tre navate che, partendo dall’alto, si sviluppano lungo una spirale che si
ingrandisce scendendo, in modo da dare all’edificio una forma piramidale; da quel progetto
l’architetto trasse l’idea del “Museo a crescita illimitata”, una struttura poco costosa, senza
facciata, costruita con materiali semplici e, soprattutto, flessibile, in quando basata sulla
combinazione di moduli quadrati e di pareti costituite da leggeri pannelli mobili, in grado di essere
smontati. Il museo viene visto come una “macchina per esporre”. Doveva essere estremamente
essenziale e funzionale, e non doveva avere una posizione privilegiata in città (motivi per il quale in
realtà verrà criticato: Paul Philippe Cret critica la riduzione del museo alla nudità di un magazzino
costruito in economia. Sentiva la necessità di armonizzare l’architettura alla qualità delle opere.
Sulle pagine di “Mouseion”, nel 1929, l’architetto Auguste Perret contrappone al progetto di Le
Corbusier un museo capace di conciliare gli aspetti monumentali con le risorse tecniche
dell’attualità: “Museo Moderno”. In cemento armato, è un doppio percorso con i capolavori
concentrati in una rotonda da cui partono gallerie disposte a raggiera che sboccano in sale circolari e
quadrate; davanti alla rotonda si apre una vasta corte rettangolare porticata su cui si affacciano sale
che conducono alle gallerie “di studio”. Ci sono elemento del lessico tradizionale (rotonda, portici,
gallerie), ma accompagnati ad elementi della modernità (flessibilità, percorso libero, cemento
armato). Concilia tradizione e modernità.
Altri temi verso cui convergeva l’interesse dell’Office International des Musées erano il restauro
architettonico e quello dei dipinti; al secondo fu dedicata nel 1930 una conferenza tenutasi a Roma
sui nuovi criteri di intervento e su più efficaci metodologie di conservazione. Nel 1931 fu
organizzata ad Atene la prima Conferenza Internazionale sulla Conservazione dei Monumenti
Storici, dove venne elaborato il decalogo la Carta d’Atene, nel quale si stabilivano dei principi
analoghi a quelli di Roma, quali il rifiuto delle integrazioni e dei rifacimenti in stile che avevano
caratterizzato le metodologie ottocentesche. Un codice normativo di conservazione e di recupero
Riallestimento del Louvre: 1935. Le opere vennero riallestite e vennero creati dei depositi dove
porre le opere che venivano “scartate”; c’erano sempre stati ma serviva un deposito accessibile a chi
ne facesse richiesta, soprattutto studiosi o storici. Il Louvre voleva porsi come una guida nei
confronti della museografia europea: vengono eliminate le decorazioni riambientative (es. La Nike
di Samotracia si trovava su uno sfondo rosso pompeiano). Non si pensa più che la scultura, per
essere esaltata, debba essere affiancata da pareti colorate. Vengono riallestiti i vari dipartimenti del
del museo con parola d’ordine “diradamento”. Simbolo di questo riallestimento è la Nike di
Samotracia, che viene estremamente isolata, posta su un alto basamento e su fondo bianco alla fine
di una larga scalinata. La Francia si pone come luogo di nascita della musicologia moderna.
Henri Verne (direttore dei musei statali francesi e dell’Ecole du Louvre, in “Museion”1930:
“La mia intenzione è di assicurare a ciascuna delle arti la propria autonomia. Lo spettacolo che
dovranno offrire le sale sarà il costante divenire e rinnovarsi delle scuole. In questo senso il Louvre
è un museo universale. Vi è una triplice ragione, scientifica, artistica ed educativa per conservargli
questo carattere, per cui si trovano accostate nello stesso ambiente opere che appartengono a paesi,
epoche, generi diversi e lontani tra loro. Sarebbe un pericoloso errore imporre alla straordinaria
varietà delle collezioni un ordinamento uniforme che rischierebbe di distruggerne il valore ... in
sintesi: una riforma deve rafforzare la personalità del museo, non deve metterne a repentaglio
l‟originalità”.
Riallestimento della National Gallery, anni ‘30: vengono seguiti i criteri stabiliti al congresso di
Madrid. Si dà molta importanza alla luce. Viene scelta l’illuminazione artificiale.
Di lì a pochi anni la guerra avrebbe imposto un radicale ripensamento in Italia, con la ricostruzione
dei musei distrutti.
L’Icom in Italia da subito organizzò delle conferenze: 1953, la conferenza generale dell’Icom fu
organizzata in due città: Milano e Genova. Temi trattati: esposizioni temporanee e permanenti,
percorso, illuminazione, allestimento, comunicazione (elemento nuovo: come comunicare il museo
all’esterno).
1957: Mostra di museologia alla XI Triennale di Milano (in questi anni Milano è leader
nell’organizzazione museale): la mostra era dedicata al processo di rinnovamento del museo
italiano. Venne così articolata:
• Prima parte: di taglio storico, per illustrare lo sviluppo del museo dalle origini alla
contemporaneità.
• Seconda parte: offriva la visione di 4 soluzioni espositive con l’allestimento di altrettanti ambienti
dedicati a: pittura, scultura, arte applicata e oggetti eterogenei.
Il percorso era così concepito:
1) Storia dei musei
2) Soluzioni espositive
3) Il rinnovamento: con foto dei principali musei rinnovati.
Giulio Carlo Argan già dal 1949 parlò del “museo come scuola” (usa solo la parola museografia); in
questi anni si fa strada l’idea che nei musei occorre personale specializzato e qualificato.
“Se arte è educazione, il Museo deve essere scuola. Che lo sia non è dubbio, perché si sa che i
Musei non sono inerti depositi di opere d‟arte, ma hanno una loro interna vita di ricerca e di
studio ...Se gli artisti non studiano più nei musei, perché cercarne la causa nel mutato orientamento
dell’arte invece che nell’immutato orientamento dei musei. A Parigi gli artisti frequentano più
volentieri il Musée de l’Homme che il Louvre. Segno che gli artisti chiedono al museo un
insegnamento formale attivo, che il museo, ponendosi ora come sacrario ora come repertorio ora
come archivio non è in grado di fornire”
G.C. Argan, “Problemi di museografia”, 1955: affronta il tema delle mostre, considerate come un
momento di sviluppo per nuove idee. “Perchè le mostre attraggono il pubblico molto più dei musei?
Evidentemente perché, nella mostra, la presentazione degli oggetti è più vivace e stimolante, gli
accostamenti più persuasivi, i confronti più stringenti, i problemi più chiaramente delineati.
Naturalmente non siamo entusiasti di questa pletora di mostre, che di certo non giova alla
conservazione delle opere; né crediamo che i modi di presentazione, suggestivi e talvolta
spettacolari, cui non di rado ricorrono gli allestitori, possano essere trapiantati pari pari nei musei.
Ma l’esperienza delle mostre può far progredire di molto le nostre vedute in fatto di museografia,
indurci a studiare ordinamenti che mettano a fuoco taluni problemi critici, a muovere continuamente
il materiale del museo per suggerire nuovi accostamenti e confronti”.
L’opera di ricostruzione aveva coinvolto oltre 150 musei, proponendosi di migliorare le condizioni
preesistenti. Le collezioni erano rimaste pressoché indenni (grazie al lavoro compiuto dalle
soprintendenze e dalle amministrazioni locali per ricoverare le opere) ma occorreva agire
restaurando le sedi ed assicurando le condizioni richiese dalla tecnica museografica moderna. Il
primo museo della ricostruzione è il Museo di san Matteo a Pisa, ad opera di G.Vigni e P.
Sanpaolesi, 1945-46.
1)Pinacoteca di Brera: riapre nel 1950, e dimostra l’incertezza tra tradizione e modernità che
investì le scelte italiane dopo il 1945. Venne effettuato un prudente ammodernamento sotto la
direzione di Ettore Modigliani, che affidò l’incarico di riallestimento a Piero Portaluppi (intervenuto
nel riordino della Pinacoteca intrapreso sempre da Modigliani negli anni ’20). Dal 1903 era esposto
lo Sposalizio della Vergine di Raffaello: nel 1925 Piero Portaluppi semplifica l’ambientazione. Lo
stesso Portaluppi, nel 1950, cambierà tutto e creerà una sorta di cappella rinascimentale molto
semplice. “Brera antica e nuova”: antica nell’uso di marmi dall’Opificio delle Pietre Dure di
Firenze, nuova nella presentazione dei dipinti su un solo registro su pareti dalle tonalità chiare, e
nella trasformazione dei sistemi di illuminazione. Non mancò un forte segno di rinnovamento nella
progettazione delle salette attigue alle sale napoleoniche, che Guglielmo Pacchioni (soprintendente
alle Gallerie) assegnò a Franco Albini. Albini aveva già utilizzato le sale di Brera, nei primi anni
della guerra, per organizzare alcune mostre d’arte contemporanea, la prima delle quali (1941) fu
dedicata al pittore Scipione; in questa occasione, per la prima volta, vennero introdotti negli storici
ambienti di Brera strutture leggere mutuate dalle attrezzature industriali, come quelle utilizzate
dallo stesso Albini negli anni trenta nei padiglioni fieristici ed in interventi espositivi alla Triennale
(la Mostra dell’antica oreficeria italiana prelude alle soluzioni che Albini utilizzerà molto in seguito,
presentando gli oggetti in vetrine sostenute da aste metalliche bianche ancorate al soffitto, con
effetto di sospensione nel vuoto). Anche nella mostra di Scipione, Albini si era avvalso di montanti
fissati al soffitto su cui si agganciavano i supporti per i quadri e per le lampade, mentre alcune
esedre in mattoni sottolineavano per contrasto le opere maggiori (tramite le mostre Albini fissò i
canoni cui si sarebbe poi attenuto). Nel “corridoio Albini” della Pinacoteca (oggi radicalmente
modificato) l’architetto unificava la salette adiacenti alle sale napoleoniche in una galleria continua
con pannelli dalle tonalità chiare, staccati sia dal pavimento sia dalla parete e disposti
perpendicolarmente all’asse maggiore, creando una serie di vani per ospitare le pitture venete di
formato minore. La luce naturale proveniva da finestre schermate da doppie tende avvolgibili
mentre la luce artificiale era nascosta da una soffittatura a due livelli.
2) Museo Poldi Pezzoli:. Il Museo Poldi Pezzoli venne riaperto, in seguito al restauro dai danni
bellici, nel 1951, grazie all’operato del suo direttore Franco Russoli, direttore anche della
Pinacoteca di Brera dal 1952 al 1977. Russoli è il primo museologo italiano moderno, animatore di
uno dei più ampi progetti museali italiani, quello milanese, che ha appunto inizio con il restauro e la
riapertura del Museo Poldi Pezzoli, inoltre è uno dei primi direttori museali, in Italia, ad aderire alle
iniziative dell’Icom. Si trattava di una collezione dai caratteri particolari, una dimora improntata al
gusto tardo ottocentesco, con una decorazione estesa. C’era il timore che, nella luce di un rinnovato
rigore razionalista, in Italia, al grido di “L’ornamento è delitto”, il museo sarebbe stato smembrato,
tuttavia Russoli dichiara: “Certo è molto lontano da noi questo eclettismo ridondante, ma riusciamo
a far prevalere l’obiettività del giudizio storico sulle ragioni della nostra sensibilità”. L’allestimento
fu affidato a Ferdinando Reggiori (esponente dell’architettura tradizionalista); intervento in bilico
tra ricostruzione in stile ed aggiornamento (impossibilità di un recupero filologico data la vastità
delle distruzioni subite dall’edificio)
Il progetto di base della museologia italiana, fino ad un decennio fa, era che alla base di un progetto
museologico di cambiamento dovesse esserci un’analisi storica; la museologia ha come fondamento
la storia del museo.
Si rifiuta l’idea del museo come camera del tesoro, unicamente riservato ad una ricerca specialistica,
come pareva il museo ottocentesco, così ingombrante nei confronti della creazione artistica .
Russoli nella sua opera, Il museo nella società, lancia delle idee esemplari per una corretta
museologia: “Il museo non deve essere unico e uguale ovunque, secondo generali principi
standardizzati, ma deve assumere di volta in volta il carattere che il suo patrimonio e la sua storia
3) Palazzo Bianco, Genova: era stato quasi svuotato durante i bombardamenti; venne riallestito da
Albini in sintonia con Caterina Marcenaro (responsabile dei musei civici). Architettura settecentesca
semidistrutta dai bombardamenti che ospita una collezione di scultura, pittura ed arte decorativa
prevalentemente genovesi comprese tra XIII e XVIII secolo. Viene condotto un restauro secondo i
moderni criteri di rispetto e recupero degli elementi autentici sopravvissuti ai bombardamenti,
mentre all’interno l’intento di Albini fu quello di creare “un’atmosfera moderna... In rapporto con la
sensibilità del visitatore, con la sua cultura”, usando strutture semplici ed elementi d’arredamento
familiari. La Marcenaro fece una rigorosa selezione delle opere in base alla qualità dei dipinti, e
vennero esclusi tutti gli elementi d’arredo che potessero rievocare l’originario carattere dell’edificio
come palazzo aristocratico; vennero eliminate anche le cornici non originali: mentalità del togliere
tutto ciò che non apparteneva all’epoca di creazione del dipinto. La sua operazione fu molto
criticata, anche all’opera. Le cornici stesse in realtà sono un tassello importante nella storia del
collezionismo es. Galleria palatina, nel momento in cui i quadri venivano immessi nella collezione
venivano dotati di una nuova cornice, così veniva data uniformità alle opere d’arte, un segno di
appartenenza alla collezione. Furono rigorose anche le scelte cromatiche: pavimenti in lastre
d’ardesia con piccoli riquadri in marmi bianco (secondo la tradizione genovese), pareti chiare,
supporti neri o grigi, mentre le tripoline (poltrone pieghevoli elaborate da Albini) erano un’unica
eccezione cromatica dato l’uso del cuoio biondo. L’illuminazione miscela luce naturale (graduata
attraverso tende in listelli metallici orientabili) e luce artificiale, diffusa da lampade fosforescenti.
L’isolamento concede al visitatore di concentrarsi sulle singole opere. Fulcro dell'allestimento era il
frammento di Giovanni Pisano con l’Elevatio animae di Margherita di Brabante, sullo sfondo di una
parete in ardesia ed illuminato dalla luce delle finestre, schermate con tende. Il gruppo scultoreo
venne fissato su due mensole (asimmetriche per accompagnare l’irregolarità del frammento),
innestate su un sostegno in acciaio mosso da un meccanismo che ne consentiva l’innalzamento e la
rotazione: il visitatore diveniva soggetto attivo, scegliendo il punto di vista da cui osservare la
scultura, che si stacca dalle pareti ed acquista il centro della sala. L’opera è poi stata spostata nel
Museo lapideo di Sant’Agostino, terminato nel 1979. Nel Palazzo vennero organizzati nel piano
intermedio e nel sottotetto dei depositi visitabili con dipinti disposti su pareti mobili o scorrevoli su
guide a soffitto.
G. C. Argan, La Galleria di Palazzo Bianco a Genova, 1951: “Per alcune opere di maggiore
importanza sono state studiate sistemazioni particolari. Tra queste, ha fatto scandalo il collocamento
del famoso frammento della tomba di Margherita di Brabante su un sostegno cilindrico di acciaio a
cannocchiale, girevole ed elevabile per mezzo di comandi elettrici. È questa invece, a nostro avviso,
una interessantissima ed eccellente innovazione nei sistemi di presentazione dei frammenti di
scultura; essa infatti permette di studiare l‟opera d‟arte da infiniti punti di vista e in diverse altezze,
nell‟assoluto isolamento da ogni condizione ambientale e quindi nella miglior condizione per
apprezzare le qualità specifiche della forma”.
4) Palazzo Rosso, Genova (1953-1961): venne mantenuto il carattere di dimora patrizia (è un
palazzo barocco decorato dai maggiori pittori genovesi del tardo Seicento e pesantemente
danneggiato dai bombardamenti del ’42) eliminando le sovrapposizioni non pertinenti (come le
aggiunte neoclassiche). Albini eliminò i tramezzi che occludevano le logge e i porticati,
sostituendoli con lastre di cristallo impostate all’interno delle arcate. Operò una netta distinzione tra
i due piani nobili: uno, privo di affreschi, fu riservato ai dipinti più antichi, mentre nell’altro
vennero collocate opere più tarde, mobili e sculture, in armonia con le decorazioni barocche. Come
a Palazzo Bianco, vennero utilizzati tondini d’acciaio scorrevoli per i quadri a parete, oppure
supporti tubulari che il visitatore poteva far ruotare scegliendo il punto di vista migliore da cui
osservare i dipinti. Vennero introdotte inedite note di colore, come il feltro rosso dei pavimento e il
Carlo Scarpa: protagonista del rinnovamento museale italiano. I suoi allestimenti saranno
considerati intoccabili.
8) Gallerie dell’Accademia di Venezia (1946-1949): Carlo Scarpa, veneziano, aveva avuto le
prime esperienze allestitive in una serie di mostre a Venezia. In collaborazione con il direttore del
museo Vittorio Moschini, vennero diradate le opere (liberate dalle cornici non pertinenti), stesi
intonaci finemente lavorati sulle pareti, trattati in modo da differenziare le varie sale. Isolamento:
valorizzazione della singola opera d’arte (poste su pannelli). Progettò anche delle bacheche.
Caratteristica di Scarpa è la predilezione per la luce naturale, che nella sala dei primitivi lo portò a
riaprire le finestre chiuse nell’Ottocento. Uso di materiali raffinati: ovunque si trovava usava
materiali locali.
Nel 1953, a palazzo Abatellis, organizza la grande mostra su Antonello da Messina e Scuola
Siciliana. Fu una delle prima mostre di massa ed ebbe grandissimo successo. Ebbe qui l’occasione
di sperimentare nuove soluzioni espositive. Il tema dell’isolamento venne portato all’esasperazione:
crea dei cannocchiali visivi, ovvero lunghi corridoi che portavano a singole opere d’arte, in maniera
tale che il pubblico si concentrasse solo su quella.
-uso della luce naturale: schermata da appositi pannelli che erano belli anche dal punto di vista
estetico
-sale quasi spoglie: semplicità per la valorizzazione delle opere d’arte
-caratteristico rivestimento delle pareti: tele di calcio bianco pieghettato (vertice dell’esposizione
scarpiana).
9)Galleria nazionale della Sicilia, palazzo Abatellis, 1954: restauro e riordino ad opera di Scarpa e
Vigni. L’obbiettivo era quello di riportare all’aspetto originale il palazzo (di Matteo Carnelivari), si
voleva una fusione tra architettura e museo (gotico e rinascimento). per quanto riguarda
l’allestimento si seguirono sempre i soliti criteri.
-Trionfo della Morte, anonimo: Scarpa lo pone in una cappella ricostruita.
-Busto di Eleonora d’Aragona: esasperatamente isolato su un piedistallo su sfondo verde, per
esaltare il bianco del marmo.
-L’Annunciata di Antonello da Messina: posta su un pannello bianco e isolata da altre opere.
Sala delle croci trecentesche: rappresenta una novità perché Scarpa le pone su un piedistallo e non
addiossate al muro come nelle chiese, mentre il soffitto e le mura rievocavano proprio una chiesa.
10) Museo Correr (1953): riallestimento delle sezioni storiche, in parallelo con la realizzazione, a
Messina, della mostra Antonello da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia (uno dei vertici
dell’esperienza scarpiana per l’eleganza delle sale foderate in calicot bianco pieghettato, per lo
Padiglione di arte contemporanea, GAM, Villa Belgiojoso, Milano, Ignazio Gardella, 51-53. La
Gam aveva fatto parte del rinnovamento museale degli anni 50 sotto Costantino Baroni (direttore):
venne riedificato l’edificio che era stato raso al suolo per accogliere le raccolte 800esce, in più si
ricavò uno spazio da dedicare all'arte contemporanea dalle vecchie scuderie, progettato da I.
Gardella che mantenne le preesistenze (la villa e il giardino). Ma l’edificio fu concepito in maniera
del tutto moderna: spazio totalmente rinnovato. Si ispira al MoMa. Si tratta di un unico ambiente
articolato in sale esagonali che si affacciano su uno spazio comune di raccordo. Le pareti sono
bianche, e ovviamente l’allestimento è basato sull’isolamento delle opere. E’ un ambiente
estremamente flessibile: gli spazi interni possono essere modulati e cambiati. Fu concepito un
sistema di grate mobili sulle pareti esterne con le quali si può modulare la quantità di luce. Ampio
giardino: prolungamento dello spazio espositivo (galleria delle sculture): per Argan sarà sempre una
struttura esemplare: flessibile e luminoso.
G.C. Argan, in “Casabella - Continuità, n. 207, 1955: “… l’ordinamento ideale è quello che si presta
a essere continuamente scomposto e ricomposto, e la struttura architettonica ideale è quella che si
presta a flettersi secondo le necessità di ogni tipo di ordinamento ... poiché le determinanti di tutte le
condizioni di spazio, luce e colore sono, esclusivamente le opere d’arte: in nessun caso, più che nel
museo, l’architettura deve sapersi subordinare e, persino, dissimulare per mettere in valore, cioè in
una dimensione e in una luce conformi l’opera d’arte”.
Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma, GNAM. Contiene la più ampia collezione di arte
contemporanea italiana. Era l’unico museo nazionale dedicato interamente all’arte moderna. Vi
furono varie sedi prima di quella definitiva fino a quando verrà ospitato nel Palazzo delle Belle Arti
di Cesare Bazzani, che nel 1933 lo amplierà raddoppiando lo spazio espositivo. Sovrintendente dal
1991: Palma Buccarelli. Favorisce lo sviluppo dell’arte contemporanea in Italia. Dà avvio ad
un’importante opera di svecchiamento della cultura italiana e di apertura verso le più moderne
sperimentazioni. Si adoperò per dotare la galleria di tutte quelle strutture indispensabili per servizi
al pubblico: biblioteche, bar, libreria… Prende spunto dal MoMa. Intende il museo come museo-
scuola: luogo di educazione. Allestisce mostre mostre: doveva esserci qualcosa di diverso da
vedere. Es:
Mostra di Mondrian, 1956, allestimento: Scarpa.
Mostra di Bauhaus, 1961.
Mostra di Lionello Venturi dagli impressionisti a Chagall.
-Pietro Dorazio, La fantasia dell’arte nella vita moderna, 1955: “Nel 1946 Lionello Venturi tornò in
Italia e presentò alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna una mostra di riproduzioni a colori delle
opere più rappresentative del secolo, dagli impressionisti a Chagall. Questa mostra fu la mano santa
per l’arte moderna in Italia perché fu visitata e discussa da tutti gli artisti, da Palermo a Milano e
presentò opere e problemi plastici di cui nessuno aveva mai supposto l’esistenza. Mi ricordo che
passammo tutto l’inverno a discutere, a cercare di imitare Picasso, Juan Gris, Matisse e Vlaminck”.
Molte mostre anche itineranti e a volte esponeva fotografie di grandi capolavori al posto di opere
d’arte stesse.
Organizza attività didattiche. Ebbe sempre al suo fianco Argan e Brandi. Nel corso degli anni la
collezione permanente si ampliò.
Italia tra anni 60-70: altri anni di rinnovamento che seguono quello degli anni 50.
1964: viene istituita la commissione Franceschini. Era una commissione di indagine per la tutela e
la valorizzazione del patrimonio storico e artistico del paesaggio, voluta fortemente da un insieme
di storici dell’arte che volevano risolvere alcuni problemi legati al mondo artistico/museale. In
realtà non ebbe molto successo. Vi fu la formulazione del nuovo termine “bene culturale”: ogni
testimonianza materiale avente valore di civiltà.
1967: Esce il rapporto della commisione: tre volumi dal titolo “Per la salvezza del beni culturali
in Italia. Atti e documentale commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del
patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio”.
F. Franceschini, Prolusione del presidente della commissione, in Per la salvezza dei beni culturali ...
1967: “Sta qui il divenire delle nazioni, sta qui il destino dell’Umanità: nell’educazione intesa come
fatto sociale plurimo – vorrei dire nella quantificazione personale dell’essere e dei suoi valori –
affinché coi singoli e per i singoli accrescano i popoli a dignità di un‟illusoria democrazia.”
9. Il museo verso il XXI secolo: grandi architetti, il museo landmark, la competizione con le
mostre.
1) Creazione di musei spettacolari con protagonista l’architettura, che soverchia l’opera d’arte. Si
tratta del cosiddetto “museo di se stesso”, in cui l’architettura è essa stessa il museo e la cosa
principale da mostrare, a scapito della collezione che viene oscurata dalla grandiosità
dell’architettura (= musei landmark). Gli edifici museali si vogliono staccare da ciò che era venuto
prima, dalla tradizione. L’architetto torna protagonista e per la prima volta si abbandona tutto ciò
che faceva parte del museo tradizionale. L’aspetto più nuovo è la competizione che si instaura tra
struttura architettonica ed opere d’arte, dove la prima finisce per prevalere. Ai musei landmark si
criticava il fatto che la spettacolarizzazione dell’architettura tradiva la missione che da sempre
sperava al museo, cioè quella di conservare, esporre e valorizzare le opere d’arte facendole
comprendere al pubblico. Si credeva che il successo di questi musei si dovesse alla nuova mentalità
della civiltà del consumo. Vi era la mancanza di funzionalità interna perché l’architettura era anche
fin troppo innovativa.
Salomon Guggenheim Museum: di Frank Lloyd Wright, aperto nel 1959 e dedicato alla collezione
di Non-Objective Painting del magnate americano Guggenheim. Nel 1937 Salomon Guggenheim
fonda un’associazione con il compito di istruire e diffondere la conoscenza dell’arte
contemporanea. Il suo museo doveva rappresentare fin dalla sua forma architettonica il concetto di
divenire dell’arte e il suo sviluppo inarrestabile; Wright concepisce allora un edificio che si stacca
completamente da ciò che lo precede, si stacca dai classici edifici newyorkesi ed assume forma
circolare; dopo il MoMA gli USA vogliono mostrarsi in grado di staccarsi dalla museografia
-Judisches Museum (1989-98), Berlino: Daniel Libeskind crea un’architettura lacerata da continui
tagli diagonali che ne tormentano le superfici esterne rivestite di zinco, ad esprimere la tragedia
dell’Olocausto; ha una pianta ispirata alla stella di Davide, ma deformata, con interni oppressivi e
feritoie minacciose.
-Getty Center, Los Angeles (1986-97): Richard Meier (discusso magnate) crea una struttura che
domina sulla città, affacciata sull’Oceano Pacifico e costituita da un insieme di vari edifici dedicati a
ricerca, conservazione documentazione: è una cittadella. Nel J. Paul Getty Museum venne collocata
la collezione del magnate, spostata dalla sua villa di Malibu (celebre per la riproduzione della Villa
dei Papiri di Ercolano). Il Getty ha uno spirito “mediterraneo”, con largo impiego di travertino e
marmo, a suggerire l’aspetto di un’acropoli, sottolineato dalla presenza di portici, di giochi d’acqua,
di giardini: l’idea di Meier è di recuperare il concetto del Museion di Alessandria, ma anche la villa
di Adriano a Tivoli. Il museo occupa la parte più panoramica della collina ed è costituito da cinque
edifici autonomi ma collegati da passerelle. La rotonda accoglie il visitatore e vi sono collocati punti
informativi, guardaroba, bookshop, mentre nelle sale superiori dedicate alla pittura i lucernari
consentono di illuminare le opere ed ammirare il cielo. Il giardino è concepito come un
prolungamento dell’esposizione. Si ritrova ancora tuttavia nelle sale dedicate alle arti applicate
l’allestimento a period room.
-MuseumsQuartier, Vienna (MQW): inaugurato nel 2001, fa da sfondo alla Maria Theresien Platz
dove si fronteggiano il Kunsthistorishces e il Naturwissenschaftliches. L’edificio principale è
costituito dalle antiche stalle costruite per l’imperatrice d’Austria, e gli architetti Ortner und Otrner
ne conservano l’architettura barocca realizzando però, nella corte interna, due edifici di colore
contrastante disposti in diagonale: in pietra bianca il Leopold Museum (collezione di opere di artisti
austriaci), in basalto nero un museo di arte moderna e contemporanea. Si ha la convivenze di stile
barocco e d’avanguardia, con più di venti istituzioni culturali (spazi per mostre temporanee, per il
teatro, la musica, la danza). La realizzazione del MuseumsQuartier risponde alla strategia di rilancio
del distretto di Naubau.
-Guggenheim Bilbao Museoa (1991-97): risolleva le sorti del capoluogo basco, da tempo avviato
alla decadenza. Si è puntato al rinnovamento della città affidando ai più famosi architetti una serie
di importanti edifici (le stazioni della metropolitana, le stazioni ferroviarie, il grattacielo Torre
Iberdrola). In sintonia con il programma di espansione internazionale della Guggenheim Foundation
lanciato dal suo direttore Thomas Krens venne commissionato a Frank O. Gehry un museo per
l’arte contemporanea. La superficie del museo è rivestita di sottili lastre di titanio che si offrono alla
luce mutevole del giorno, offrendo prospettive sempre diverse che si specchiano anche nell’acqua.
All’interno gli spazi si regolarizzano, in una sequenza di sale quadrate e rettangolari, mentre la
galleria principale riprende l’aspetto flessuoso della costruzione. Ultima rappresentazione di questa
tipologia di musei ed addirittura non contiene opere permanenti, ma solo esposizioni temporanee.
-Neue Nationalgalerie, Berlino: realizzata da Mies van der Rohe nel 1968, sviluppa l’idea di un
edificio ad un solo piano caratterizzato da una grande vetrata che crea un dialogo con il paesaggio
(già nel ’39 il piano inferiore del Museum of Modern Art di New York era stato concepito dagli
architetti Goodwin e Stone come la vetrina di un grande magazzino alla portata dello sguardo dei
passanti). Si ha la totale eliminazione di pareti esterne in muratura. Collocato su un podio in granito
e sormontato da un’ampia falda, il museo è un’aula dalle pareti in vetro, uno spazio continuo e
senza interruzioni, dove le pareti sono inutilizzabili e l’assenza di strutture interne non risolve i
problemi allestitivi, tanto che la collezione permanente è esposta in sale ricavate nel basamento, del
tutto tradizionali. Mies Van Der Rohe realizza edifici meno particolari, ma comunque con un certo
distacco dai classici edifici (la Germania torna protagonista).
-Monchengladbach, Stadtisches Abteiberg Museum, Hans Hollein, 1982. Contrasta con gli
edifici legati al museo forum, l’edificio è infatti concepito al servizio dell’opera d’arte. Si ricorre
all’isolamento dell’opera e si creano delle atmosfere per ambientare ed esaltare l’opera d’arte più
importante della collezione. Si incoraggia il rapporto opera-pubblico.
- Kolumba Museum, Colonia, Peter Zumthor: nasce sul suolo della vecchia chiesta di Santa
Colomba: le struttura pre esistenti furono inglobate nella nuova architettura. Si nota un riferimento
molto forte alla musicologia degli anni 50: offre un tipo di ordinamento legato all’esaltazione delle
singole opere e alla loro valorizzazione. Ma la maggiore particolarità dell’ordinamento è un’altra: la
collezione di arte antica e di arte contemporanea non sono esposte entrambe permanentemente ma
alternativamente, a rotazione, e soprattutto si rinuncia a qualsiasi tipo di criterio tradizionale. Si
sceglie un ordinamento astorico: si rinuncia alla cronologia e a qualunque forma di comunicazione
scritta, quindi non vi erano didascalie: lo spettatore deve trovare da solo il significato dell’opera.
Questo serviva per favorire il dialogo con l’opera d’arte. Ci sono aule con tavoli e libri riguardo alle
opere esposte. Illuminazione: alternarsi di luce naturale e artificiale.
Altra novità di questi anni: riutilizzazione di vecchi edifici, trasformati in nuovi spazi museali
(mercati, stazioni, industrie, centrali elettriche..)
-Centre Pompidou (1977): detto Pompidou dal nome del presidente che ne promosse l’istituzione
ma chiamato anche Beaubourg dal nome della piazza in cui sorge. Operazione che porta alla
cancellazione degli antichi mercati generali (operazione molto criticata). Alla base del museo c’è la
volontà di rilanciare Parigi sulla scena dell’arte contemporanea strappando il ruolo di capitale a
New York (aspirazione a caratterizzare un quartiere urbano con un segno architettonico di forme
richiamo). Già dalla definizione di centro e non di museo è chiara la volontà di distinguersi dalle
istituzioni tradizionali; è un luogo di attività, dove le arti visive si accompagnano al cinema, alla
fotografia, alla musica, al design, dove si promuove la ricerca tramite un centro di documentazione.
Si teorizza attorno alla nascita del Centre Pompidou un’altra tipologia di museo, il Museo Forum
(opposto del Museo Tempio). Il Museo Forum è un luogo di partecipazione e di discussione, dov’è
fondamentale la partecipazione attiva della popolazione. Il progetto si inserisce nel quadro del
movimento sociale e politico che trova il suo apice nelle rivolte del Sessantotto, con la negazione
della cultura ufficiale, del principio d’autorità; deve tener conto di una società portatrice di nuovi
valori e nuove richieste, diventa uno strumento di comunicazione sociale. L’architettura di Renzo
Piano e Richard Rogers è un parallelepipedo vetrato sostenuto da strutture in acciaio, attraversato
-Musée d’Orsay, 1978: è situato in una ex stazione, costruita da Victor Laloux a partire dal 1898.
Nel 1900 ospitò un’esposizione universale e dagli anni 30 lo stabile ebbe varie funzioni. Nel 1961
fu decisa la demolizione dal presidente Pompidou (che aveva in mente un progetto di rinnovamento
della capitale francese e avrebbe voluto trasformare la stazione in un parallelepipedo di cristallo).
Questa sua iniziativa fu molto criticata e grazie ad alcuni cittadini illustri che si opposero la stazione
non venne demolita. Nel 1978 fu decisa la trasformazione in museo sotto Giscard D’Estaing. Il
restauro dell’edificio fu affidato al gruppo CT-Architecture, il curatore capo fu Michel Laclotte
mentre l’allestimento fu affidato a Gae Aulenti, che si occupò della disposizione degli spazi interni e
della progettazione dei percorsi espositivi. Come materiale venne privilegiato la pietra calcarea
chiara, per dare più luminosità all’ambiente. Il percorso si articolava su tre livelli, utilizzando la
navata centrale come tronco principale da cui si dipartono passaggi e terrazze.
1986: apre al pubblico.
La direzione del museo scelse di esporre opere che si collocano tra due limiti: dal 1848 (inizio della
2° repubblica) al 1914 (inizio della prima guerra mondiale), andando cos’ a colmare la lacuna
esistente tra la collezione del Louvre e quella del Centre Pompidou. Le opere derivavano infatti
principalmente dal deposito di questi due musei, mentre la ricchissima collezione impressionista
derivava dall’ex museo Jeu De Paume. Quindi il museo fu concepito non per l’arte contemporanea
per l’arte dell’800 francese. Si cercò un dialogo tra le diverse arti (soprattutto pittura e scultura).
“Entrarono così in gioco i grandi temi su cui si è esercitato il dibattito storiografico del periodo: da
una parte il modernismo tradizionale, teso a sottolineare l’importanza delle avanguardie e
l’autonomia dell’arte; dall’altra i revisionismi di tutte le obbedienze, in cui si riconoscevano coloro
che volevano collocare l’arte in un contesto non solo estetico ma anche storico, e quanti volevano
semplicemente promuovere gli artisti esclusi dal canone modernista” (Patricia Mainardi, Storia
postmoderna al Musée d’Orsay, 2005). Allestimento: venne privilegiata la spettacolarità, il
dinamismo, la molteplicità dei punti di vista e il mescolamento delle arti: verrà molto criticato e
messo in discussione varie volte perché considerato troppo caotico. Fu un museo che sin dalla sua
apertura fece discutere molto e aprì diversi dibattiti. I curatori furono accusati di aver dato troppa
importanza ai dipinti di quell’arte considerata accademica e di aver invece relegato l’arte
impressionista in sale meno ampie e meno visibili, che per i francesi costituiva “l’arte nuova”. Si
dette quindi più importanza ad un’arte superata piuttosto che alla portata rivoluzionaria degli
impressionisti.
Il dibattito nato intorno all’atteggiamento revisionista del Musée d’Orsay ha fatto si che nel 2010 si
decidesse un nuovo allestimento per la sezione degli impressionisti, per dare loro maggiore
importanza e visibilità.
Invenzione dell’installazione: si afferma negli anni 60 del 900 anche se ha in realtà una lunga storia
es. Sala di James A. Whistler, Harmony in Blue and Gold: the Peacock Room (1876-77, oggi alla
National Gallery di Washington), dove l’opera d’arte è costituita dall’intero ambiente in cui sono
inseriti i dipinti: concetto di Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale), usato per la prima volta da
Richard Wagner nel 1849 in riferimento al teatro lirico (unione di testo, musica, scenografia, attori).
L’idea di arte totale torna in auge con il surrealismo e la pop art, tramite le installazioni e gli
happening (installazione accompagnata dall’azione). Si trattava quindi di unire in un solo progetto
opera d’arte e architettura, ed era concepito per un luogo ben preciso: site specific. A seguito di
queste nuove esperienze non poteva non corrispondere una diversa concezione del museo.
L’Italia partecipa a questa fase in maniera minore. Sono rarissime le costruzioni nuove: i musei
continuano ad essere ospitati in edifici rifunzionalizzati:
-Museo di arte contemporanea, Rivoli: struttura tardo barocca che accoglie al suo interno
collezioni di arte contemporanea e installazioni. Ha rappresentato uno dei centri principale di arte
contemporanea e si ha un grande contrasto tra installazioni contemporanee e le strutture tardo
barocche in cui sono accolte.
-MAXXI, Roma, 2010, Zaha Hadid: nel 1999 viene bandito il concorso dalla sovrintendenza
speciale di arte contemporanea e viene vinto da lei. Si tratta di un campus urbano multifunzionale
che compone e integra diversi spazi articolati e complessi: spazi museali, laboratori di ricerca, spazi
d’accoglienza e servizi di supporto al museo, funzioni commerciali e spazi per eventi, tutto unito da
percorsi di collegamento interno e strade pedonali che s’intrecciano su più livelli in un sistema
dinamico e continuo. Vi è quindi una grande creatività della soluzione architettonica e capacità
d’integrarsi nel tessuto urbano circostante. Gli edifici principale sono i due musei: maxxiArte e
maxxiArchitettura, che ruotano intorno alla grande hall attraverso la quale si accede ai servizi
d’accoglienza (caffetteria, libreria, laboratori didattici, auditorium, sale per eventi dal vivo e
convegni, gallerie per esposizioni temporanee).Si tratta quindi di una trama spaziale di grande
complessità, costituita dal variare e dall’intrecciarsi delle quote e dalla complessità delle forme. Il
percorso quindi non è lineare e offre una gamma di scelte alternative per far si che il visitatore non
torni sui suoi passi.
-Altro esempio di riutilizzo: Museo della Centrale Elettrica di Monte Martini: museo nato
casualmente. Durante i restauri del museo capitolino (1995) nacque il problema di dove porre le
opere che non si volevano più esporre: vennero qui accolte le sculture che sono state scartate
(2005).
10. Particolari tipologie di musei: case-museo, studi d’artista, musei diocesani, musei
etnografici, ecomusei, musei aziendali
I musei etnografici hanno diversi punti in comune con l’ecomuseo, termine coniato in Francia negli
anni settanta dai museologi Hugues de Varine e George Henry Rivière. Le riflessioni sviluppatesi
attorno ai musei etnografici avevano aperto il campo ad un'idea di museo rivolto alla salvaguardia e
comprensione dell’importanza dell’identità culturale, facendo diventare il territorio il bene stesso da
tutelare. Il concetto di ecomuseo sconfina in quello di museo diffuso, il cui spazio di riferimento è
l’ambiente (rurale o urbano) che ospita il patrimonio naturale e culturale. Al concetto di pubblico
viene sostituito quello di comunità, rivolgendosi innanzitutto alla popolazione locale. Priorità
dell’ecomuseo è la conservazione o il recupero di tradizioni ed attività produttive legate ad un
determinato territorio, quindi gli oggetti musealizzati sono strumenti di lavoro, macchinari e
prodotti.
Già prima della nascita ufficiale dell’ecomuseo con Rivière si può individuare in un museo
americano una forma di museo del territorio: Anacostia Neighbourhood Museum, 1967,
Italia: 1978, inaugurazione del museo civico Gianandrea Irico a Trino Vercellese, con direttore
Vittorio Viale. Concepito sin dalla nascita come museo del territorio, quindi molto vicino
all’ecomuseo. Voleva presentare la storia di Trino e del suo territorio (vi era una collezione di
reperti antichi e opere varie). Vittorio Viale è il 1° in Italia a concepire un complesso museale
rivolto a presentare la storia di un territorio.Vittorio Viale in S. Branca, Il museo Civico Andrea
Irico di Trino, in “Musei e gallerie d’Italia”, XXIII, 1978: “di solito si concepisce il museo solo
come luogo di raccolta, di conservazione e di presentazione di collezioni di opere d’arte o di
scienza, ma è mia idea che anche quando collezioni od opere originali manchino o siano poche, un
museo può essere utilmente costituito sviluppando, in forma metodicamente didattica, un
argomento o una storia. È la strada che si è seguita per il museo di Trino, che, sebbene non manchi
di reperti antichi, di opere o di pezzi originali anche di pregio, li ha accolti ed esposti in quanto si
inserivano nel complesso museale rivolto a presentare in forma metodicamente didattica (sarà uno
dei pochi, se non l’unico esempio del genere che io conosca in Italia), la storia di Trino e del suo
territorio …”
In Italia l'esperienza dell’ecomuseo ha come epicentro il Piemonte, dove già nel 1955 è stata
emanata una legge a favore dello sviluppo di una rete ecomuseale.
Di recente formazione sono i musei nati in seno alle aziende, dirette filiazioni delle collezioni che le
imprese costituiscono con i pezzi storici della propria attività. La specificità di questi musei li
iscrive nella tipologia dei musei tematici, istituzioni solitamente di piccole dimensioni dedicate a
singoli temi. Generalmente i motivi per i quali un’azienda può decidere di trasformare la propria
raccolta privata in museo aperto al pubblico sono riconducibili a finalità promozionali. Anche i
musei d’impresa devono possedere uno spazio aperto al pubblico, adeguato alla tutela e alla
fruizione degli oggetti, oltre a personale qualificato. Ciò che differenzia questa tipologia museale da
quelle tradizionali è l’essere musei in progress, istituzioni legate ad un’azienda ancora produttiva; è
quindi necessaria una continua revisione del percorso espositivo che presuppone uno spazio molto
flessibile. Non di rado la singolarità di questi musei consiste anche nell’atipicità della loro
ubicazione, spesso ricavata da ambienti preesistenti limitrofi all’azienda o all’interno dell’azienda
stessa (ciò può comportare soluzioni originali ma anche limiti).
Daniele Jalla: museologo torinese. Museo di Torino, 2012: non è un luogo fisico, ha una sua sede
con esposizioni permanenti, ma è un museo diffuso: comprende i luoghi significati di Torino.
Questi musei devono continuamente aggiornarsi, raccogliere la documentazione riguardante la città
e società per conservarla e tutelarla. Spesso venivano istituiti quando vi era un cambiamento in atto.
Vienna, Museo della città, 1888: il più antico, raccoglie oggetti e testimonianze, foto di persone
illustri.
Museo di Londra, ottocentesco: Period Rooms, ricostruzione di interi contesti (passeggiata
vittoriana); moltissimi oggetti: costumi, carrozze, quadri.
Museo Carnevalet, Parigi: storia della città, Modellini e dipinti con scorci perduti della città.
Firenze, Museo Topografico di Firenze, 1909, Cortile delle Oblate: oggetti, modellini, opere,
modellini delle ville medicee. Sala dedicata alla Firenze romana (scoperta dopo i bombardamenti).
Oggi il museo non esiste più.
1º Museo della città contemporaneo: Museo di S. Giulia, Brescia: luogo dove vedere tutte le fasi
di sviluppo della città.
“Brescia romana. Materiali per un museo”, 1979/80, Andrea Emiliani: mostra sull’epoca romana di
Brescia. Da qui venne l’idea di dar vita a un museo. Vennero esposti anche reperti celti, mosaici
romani..
Venezia, Museo Archeologico Nazionale della città e della Laguna: ha varie sedi. Una è nel
Lazzaretto Vecchio.
Roma, Museo Nazionale romani, Crypta Balbi: riguarda solo una parte della città. Modellini,
resti rinvenuti con gli scavi.
Bologna, Museo della città, Palazzo Pepoli: molti percorsi mostrano i luoghi della città. Ricerca
di spettacolarizzazione. Molto cinematografico. Effetto Disneyland: molte critiche. Sezioni e
percorsi in base al tema e ai periodi storici. Il progetto fu chiamato “ Genus Boloniae”.
L’allestimento di Mario Bellini, 2012. Il racconto era strutturato in diverse sezioni, distribuite in
successione cronologica e per grandi temi e vi è anche un teatro virtuale con la ricostruzione di
bologna nel Medioevo e la ricostruzione della battaglia di fossalta.
Ordinamento e allestimento
Stephen Greenblatt: storico della letteratura. Ha proposto due categorie all’interno delle quali
inserire gli ordinamenti e gli allestimenti museali: la risonanza e la meraviglia. Queste categorie ci
stimolano ad interrogarci sulle categorie alle quali appartengono i musei.
Le categorie fanno leva sull’aspetto emotivo da una parte e sul senso estetico dall’altra.
1)Museo della risonanza: evoca il ricordo di epoche lontane grazie agli oggetti esposti o al luogo in
cui si trova. es. Museo ebraico di Praga, Musée d’Orsay (l’ambiente della stazione evoca il passato
ottocentesco).
2)Museo della meraviglia: potere dell’oggetto di stupire, meravigliare lo spettatore, suscitare
qualcosa.
può essere di due tipi:
-Antico: es. Wunderkammern; lo spettatore è spinto a provare stupore dalla varietà di oggetti
proposti.
-Le quadrerie barocche di formazione settecentesca, con ambienti fastosi e pareti con quadri ad
incrostazione, come l’Ermitage di S. Pietroburgo, la Galleria Palatina. Anche l’isolamento delle
opere d’arte, con l’esaltazione delle qualità formali degli oggetti, può suscitare meraviglia, grazie
all’esaltazione delle qualità formali.
Comunicazione museale
La storia del museo moderno è una continua e sempre maggiore apertura nei confronti del pubblico.
Le radici della comunicazione museale risiedono nel museo settecentesco con un apporto
importante della pedagogia americana di fine ‘800. A partire dal 900 uno degli scopi primari del
museo è la comunicazione con il pubblico.
La comunicazione museale è composta tradizionalmente (a partire dal Louvre) dalla comunicazione
scritta, che può essere paratestauale o peritestuale (didascalie, pannelli esplicativi).
Le didascalie cominciano ad essere applicate solo con il Louvre settecentesco.
Altro mezzo di comunicazione scritta: il catalogo, che approfondisce e riporta sinteticamente le
notizie principali dell’opera.
La scheda di catalogo deve riportare:
-Paternità dell’opera (ricavata dallo studio della bibliografia dell’opera o dallo studio dell’opera
stessa) o ambito di riferimento (scuola, contesto).
-Aspetti fisici (misure, materia, tecnica, stato di conservazione).
-Provenienza (eventuali passaggi dell’opera). Si devono studiare i vari documenti riguardanti
l’opera, in ordine cronologico, e si può applicare un proprio contributo.
-Indicazione di inedito o tutta la bibliografia riguardante l’opera (strumento principale dello
storici dell’arte).
Inventario: strumento conoscitivo (non comunicativo); indica non solo cosa c’è e cosa c’era nel
museo ma anche gli spostamenti delle opere. Il luogo in cui è esposta un'opera può svelare anche
cambiamenti di gusto.
Comunicazione verbale: l’esistenza delle guide è antica ma conosce grande sviluppo nel ‘700 con il
Grand Tour; si afferma la figura del Cicerone che spiega i vari aspetti della città/del museo. La
comunicazione verbale resta una delle più apprezzate dal pubblico. Strumenti elettronici: audio-
guide.
In Italia ci si comincia a porre la questione della comunicazione negli anni ’50 e quindi quella della
didattica.
Andrea Emiliani, Dal museo al territorio 1967-1974, Bologna 1974, pp. 55-56.
Nel 1998 nasce il Centro servizi educativi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
George Brown Goode, naturalista e storico delle scienze e responsabile del National Museum dello
Smithsonian Institution di Washington, teorizza, nel suo libro The Museum of the Future del 1899,
la nascita dell’ educational museum: “Il museo del futuro si troverà con le biblioteche e i
laboratori ad essere parte della struttura d’insegnamento della scuola e dell’università, e nelle grandi
città, cooperando con le biblioteche pubbliche, contribuì all’ampliamento della cultura popolare”.
John Cotton Dana, direttore del Newark Museum, presidente dell’American Library Association,
pubblica nel 1917 The new Museum, che si inserisce nel Modern Museum Movement. Promuove
un’idea di museo come servizio alla comunità, scopo dell’istituzione è anche l’entertainment,
sollecitare la curiosità dei visitatori per incrementarne la cultura. Il museo deve organizzare
esposizioni temporanee su argomenti di interesse comune utili a comprendere i cambiamenti della
società contemporanea. Le collezioni non sono più composte da opere d’arte o rarità ma da oggetti
di uso comune facenti parte della realtà produttiva o sociale della comunità.
Assemblea generale Icom, Parigi, 1951: “l’apprezzamento delle collezioni dovrà essere reso
comprensibile a tutti con una presentazione chiara, con l’apposizione sistematica di cartellini o
etichette dalle notizie brevi, con l’edizione di guide e di depliants che diano ai visitatori le
spiegazioni necessarie e con l’organizzazione regolare di visite guidate e commentate, adattate alle
differenti categorie di visitatori e affidate a personale qualificato”
1954 – Nascita della: International Society for education through art (INSEA), sotto il
patrocinio dell’UNESCO.
Nel 1951 l’ICOM precisava che l’esposizione ha come scopo l’educazione e il diletto, mentre in
una successiva definizione (1974) si ha un’ulteriore apertura verso la società: il museo “comunica e
presenta, con il fine di accrescere la conoscenza, la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio,
dell’educazione e della cultura, le testimonianza della natura e dell’uomo”. Una delle funzioni
basilari del museo è quindi comunicare.
In Italia la funzione didattica del museo fu riconosciuta solo negli anni ’50
Tra gli anni Cinquanta e Settanta alcuni musei italiani si dotano di sezioni didattiche: a Milano i
Musei di Brera e Poldi Pezzoli; a Roma la Galleria Nazionale di Arte Moderna e la Galleria
Borghese; a Firenze gli Uffizi.
-L’attività didattica della GNAM iniziò nel 1945 nella prospettiva di rendere il museo un centro
produttore di cultura in funzione soprattutto educativa, come “parte costitutiva ed integrante del
sistema dell’informazione e della cultura di massa”, una specie di università popolare secondo le
parole di Palma Buccarelli. Innovatrici le metodologie adottate per aprire il museo a tutti i cittadini
con un programma dedicato a tutti i tipi possibili di mostre didattiche, formate in gran parte da
materiale documentario, didascalico.
Pinacoteca di Brera: la prima sezione didattica fu istituita da Fernanda Wittgens, che nel 1955
diede avvio ad una serie di nuove attività rivolte alle scuole, agli insegnanti, ai circoli ricreativi.
Brera veniva aperta anche la sera e le visite del museo erano guidate da assistenti universitari o
dalla stessa direttrice
Tra le numerose iniziative della Wittgens, che non si limitò a restare “dentro al museo”, si
annoverano:
-Indagini per verificare le modalità di apprendimento dei bambini davanti alle opere d’arte.
-Visite guidate gratuite la domenica mattina destinate a tutti
-Corsi di educazione artistica presso centri culturali, circoli di lavoratori e biblioteche rionali
Mentre le scolaresche e i turisti sono una presenza fissa nel museo, è più difficile fidelizzare il
pubblico locale. La strategia messa in atto da molti musei è quella di organizzare mostre che
presentano nuove acquisizioni, opere conservati nei depositi, importanti restauri.
La Sezione Didattica degli Uffizi nacque nel 1970 e venne voluta e diretta dalla storica dell’arte
Maria Fossi Todorow. All’inizio si elaborò una metodologia estetica e graduale per gli alunni delle
scuole elementari e medie.
-Organizzazione di visite guidate per tutte le scuole statali dell’obbligo
-Venne elaborato un modello di metodologia per le scuole fornito alle guide didattiche che si basava
Galleria Borghese, Roma: negli anni Sessanta la direttrice della Galleria Paola della Pergola
costituisce un gruppo di ricerca interdisciplinare per studiare i modi più opportuni per avvicinare il
grande pubblico all’arte (da questa indagine nacque l’importante convegno “Il museo come
esperienza sociale”). Furono quindi promosse visite guidate e corsi di alfabetizzazione per adulti.
Gli operatori museali si recavano nelle scuole e nelle borgate romane per conoscere direttamente gli
interessi e i bisogni di cultura. Venne elaborata una metodologia di visita alla Galleria basata su:
conoscenza dell’esistenza del museo,
libertà assoluta nell’accostamento all’opera d’arte (interesse spontaneo),
osservazioni in gruppo,
inquadramento dell’opera nel suo contesto storico - culturale originario,
rapporti dell’opera con l’ambiente attuale, la vita quotidiana.
Museo Poldi-Pezzoli: La Sezione Didattica fu istituita nel 1973 dalla direttrice Anna Mottola
Molfino. Scopo della Sezione era quello di studiare i problemi dell’approccio al museo da parte
degli alunni delle scuole dell’obbligo di Milano e provincia (dalla quarta elementare alla terza
media). Gli itinerari di visita proposti per “temi”, sulla base delle raccolte contenute nel museo
erano i seguenti: il ritratto, il paesaggio, le immagini sacre, le armi, le oreficerie, l’arredamento, gli
orologi, le tecniche artistiche. Dopo la proiezione di diapositive i ragazzi percorrevano gli itinerari
scelti, accompagnati dalle guide che li sollecitavano al dialogo e alla riflessione sulle opere esposte,
sulle tecniche di realizzazione ecc.
Franco Russoli nel 1974 chiuse la Pinacoteca di Brera per denunciare le gravi carenze che ne
impedivano il corretto funzionamento, proponendo di utilizzare il museo come luogo di formazione
degli addetti. Nello stesso anno Russoli realizza una mostra intitolata Processo per il museo in cui
le diverse sezioni intendevano mostrare come un'opera potesse essere letta in modo diverso a
seconda delle condizioni culturali e sociali dei committenti, volendo dimostrare attraverso
l'osservazione delle schede esposte come alla base dell'opera sita nel museo vi sia il suo contesto
ambientale; i musei sono in questo modo legati al territorio e vivificati dal territorio stesso. La
considerazione del contesto geografico e storico è indispensabile per la comprensione.
Pinacoteca di Brera, Laboratorio “del Loggiato”, istituito da Bruno Munari nel 1977: il principio
del Laboratorio del Loggiato consiste nel far ruotare esercizi pratici e teorici intorno ad un solo
tema: la luce nei quadri, la tecnica dell’affresco ecc.. per non disperdere l’attenzione.
Faenza, Museo Internazionale della ceramica, laboratorio “giocare con l‟arte”, secondo il metodo
Bruno Munari
Museo dei ragazzi, Palazzo Vecchio: offre una comunicazione basata sulla messa in scena della
storia, sulla teatralizzazione (personaggi in costume che spiegano e raccontano). Pericolo di questo
tipo di operazioni: banalizzazione e semplificazione eccessiva dei contenuti (effetto Disneyland).
Ancona, museo tattile statale “omero”: primo importante museo dedicato al tatto (creato per i non
vedenti), nato nel 1993: nella missione del museo si rivolge a tutti coloro che vogliono fare
un’esperienza museale diversa, legata alla sensorialità tattile.
Nascono musei che fanno dell'approccio sensoriale una delle loro principali caratteristiche es.
Museo delle arti monastiche: fatto degli oggetti di un convento femminile (destinato alla chiusura
1951: nella proposizione dell’ICOM le finalità del museo sono individuate in: acquisizione,
conservazione, ricerca, comunicazione ed esposizione.
Il primo compito della tutela è la conoscenza del patrimonio su cui si esercita: ogni museo ha
l’obbligo di censire gli oggetti che possiede tramite la compilazione di elenchi dei beni (pratica
secolare del collezionismo es. conosciamo l’inventario delle collezioni medicee compilato nel 1492
e molti altri, spesso allegati ai testamenti). Fu a
Venezia che il problema del censimento venne affrontato per la prima volta in maniera sistematica,
quando il Consiglio dei Dieci affidò al pittore Antonio Maria Zanetti la stesura di un elenco dei
dipinti custoditi nelle chiese di Venezia e delle isole (1773).
La necessità di censire i beni è costantemente avvertita nella legislazione postunitaria.
La schedatura di un’opera avviene su due livelli:
-Inventariale: dati essenziali per il riconoscimento. Voci essenziali: numero d’inventario, autore o
ambito stilistico e cronologico, eventuali firme o iscrizioni, soggetto, supporto e tecnica (se si tratta
di un dipinto) o materiale (se si tratta di una scultura/oggetto), misure, collocazione, provenienza,
bibliografia essenziale, numero del negativo fotografico e fotografia dell’opera. Vengono escluse le
informazioni su stato di conservazione, dibattito critico, risultati di restauri (approfondimenti che
pertengono all’ambito catalografico).
-Catalografico: approfondimento; ripercorre nel dettagli gli aspetti critici, conservatici, bibliografici.
L’Italia dimostrò attenzione al problema della catalogazione del patrimonio ancor prima che la
dimostrasse l’UNESCO (1964: sollecita i singoli stati a dotarsi di un catalogo nazionale). In Italia,
fin dal 1902 si era provveduto alla compilazione di un Elenco degli edifici Monumentali e negli anni
trenta si era avviata la pubblicazione di guide e cataloghi di musei e gallerie d'Italia.
1969: viene creato l’Ufficio Centrale del Catalogo (nel ’75 diventa ICCD: Istituto Centrale per il
Catalogo e la Documentazione), in stretto rapporto con le soprintendenze. La catalogazione avviene
sulla base di una scheda-tipo, diversa a seconda della tipologia di beni da schedare. La schedatura
non riguarda i musei, che hanno propri inventari e cataloghi, bensì riguarda i beni che non sono
tutelati direttamente, come le opere nelle chiese o sparse sul territorio.
La scheda catalografica necessita costanti aggiornamenti ed un’attività di ricerca scientifica.
La conservazione riguarda tutte le operazioni volte a preservare il patrimonio in particolare attorno
al controllo climatico (i dipinti sono estremamente sensibili agli sbalzi climatici) ed al controllo
della luce. La conservazione preventiva consente di rimandare il più a lungo possibile il restauro,
che anche quando è “solo” una pulitura è estremamente delicato e può causare danni irreversibili.
Mentre un tempo il restauro era svolto da pittori che spesso intervenivano con integrazioni e
rifacimenti oggi è visto come un’operazione critica, affidata a professionisti con preparazione
scientifica.
Si deve a Cesare Brandi la svolta in senso moderno del restauro, grazie alla sua Teoria del restauro
(1963), nella quale viene sintetizzata l’esperienza di attività presso l’ICR (Istituto Centrale del
Restauro, oggi ISCR, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro), cui Brandi diede vita
assieme ad Argan. L’aspetto più nuovo nella concezione del restauro era il ruolo della scienza
(chimica, fisica, ricognizioni radiografiche), che allora suscitò l’avversione di molto storici dell’arte.
Principi ai quali un corretto restauro si deve attenere (secondo le teorie di Brandi): obbligo di non
cancellare le traccie del passaggio dell’opera nel tempo (rispetto della “patina”), le lacune (cadute di
colore, mutilazioni di una scultura) non vanno cancellate ma solo trattate in modo da non
compromettere la lettura complessiva del testo, il restauro dev’essere riconoscibile (distinguibile
dalle parti autentiche) e reversibile., inoltre ogni operazione effettuata dev'essere documentata. Oltre
all’ISCR ci sono due centri italiani dedicati al restauro e alla formazione di restauratori: l’Opificio
delle Pietre Dure di Firenze, fondato nel 1588 da Ferdinando I come manifattura di opere in pietre
dure, e il Centro del Restauro di Venaria Reale, istituito nel 2005.
I restauri delle opere pubbliche e di quelle private sottoposte a vincolo vanno autorizzati e
controllati dalle soprintendenze, solitamente però vengono effettuati da restauratori privati in quanto