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ANALISI MATEMATICA 2

MODULO 1

Appunti di lezione
G. Cupini

agg. 5 febbraio 2022

Corretta la Proposizione 1.3.5

Corso di laurea in Matematica


Università di Bologna
A.A. 2021-2022
Indice

Capitolo 1. Lo spazio euclideo 5


1.1. Topologia 5
1.2. Insiemi connessi 8
1.3. Insiemi chiusi e compatti 12

Capitolo 2. Esercizi su dominio e insiemi di livello 15


2.1. Esercizi sul dominio 15
2.2. Esercizi sugli insiemi di livello 23

Capitolo 3. Limiti di funzioni in più variabili 25


3.1. Definizione e caratterizzazioni 25
3.2. Esistenza e non esistenza del limite 26
3.3. Funzioni continue 33
3.3.1. Teorema di Bolzano 34
3.3.2. Teorema di Weierstrass 35
3.4. Legame tra limiti di funzioni vettoriali e limiti delle sue componenti 36
3.5. Limiti di funzioni a valori reali: altre proprietà 39
3.6. Esercizi 40

Capitolo 4. Premesse di algebra lineare 49


4.1. Norme 49
4.2. Matrici 51
4.2.1. Criterio di Sylvester 51
4.2.2. Matrici definite 52
4.2.3. Matrici semidefinite 54
4.2.4. Teoremi sulle matrici indefinite 55
4.2.5. Matrici simmetriche 2 × 2 56

Capitolo 5. Calcolo differenziale 57


5.1. Derivabilità 57
5.2. Derivate direzionali 59
5.3. Differenziabilità 61
1
2 INDICE

5.3.1. Definizione e caratterizzazioni 61


5.3.2. Differenziale 62
5.3.3. Derivate direzionali di funzioni differenziabili 65
5.3.4. Differenziabilità e continuità 66
5.4. Calcolo differenziale: funzioni a valori vettoriali 69
5.5. Composizione di funzioni differenziabili 75
5.5.1. Derivata sotto il segno di integrale 79
5.6. Derivate di ordine superiore 83
5.7. Formula di Taylor 89
5.8. Esercizi 95

Capitolo 6. Funzioni convesse 113

Capitolo 7. Massimi e minimi liberi 119


7.1. Punti estremanti relativi 119
7.2. Teorema di Fermat 120
7.3. Condizioni necessarie del II ordine per gli estremanti relativi 121
7.4. Condizione sufficiente del II ordine per i punti di sella 122
7.5. Condizioni sufficienti per gli estremanti relativi 122
7.6. Hessiano nullo 124
7.7. Esercizi 126

Capitolo 8. Funzioni aperte 137

Capitolo 9. Teorema di invertibilità locale e teorema delle funzioni implicite 139


9.1. Teorema di punto fisso 139
9.2. Teorema di invertibilità locale 142
9.3. Teorema delle funzioni implicite 149
9.4. Gradiente ortogonale all’insieme di livello 154

Capitolo 10. Massimi e minimi vincolati 157


10.1. Varietà in Rn 157
10.2. Teorema dei moltiplicatori di Lagrange 164
10.3. Esercizi 167

Capitolo 11. Integrali curvilinei 189


11.1. Curve 189
11.2. Lunghezza di una curva 196
11.3. Due classi speciali di curve piane 200
11.4. Integrali curvilinei di I specie 201
11.5. Esercizi 204
INDICE 3

Capitolo 12. Forme differenziali e campi vettoriali 211


12.1. Definizioni 211
12.2. Campi conservativi/irrotazionali e forme esatte/chiuse 215
12.3. Esercizi 221
CAPITOLO 1

Lo spazio euclideo

In questo capitolo si richiamano nozioni già presentate nel corso di AM1B: lo spazio euclideo
(Rn , d ), la sua topologia, la convergenza di successioni in (Rn , d ).

1.1. Topologia

Definizione 1.1.1 (Metrica euclidea).


Sia X = Rn . Per ogni x = (x 1 , . . . , x n ) e y = (y 1 , . . . , y n ) in Rn definiamo
n
X
〈x, y〉 := xi y i .
i =1

Esso definisce un prodotto scalare su Rn . La norma indotta da tale prodotto scalare è


s
n
X
|x| = kxk := x i2 .
i =1

La distanza indotta da tale norma è la distanza euclidea:


s
n
X
d (x, y) := (y i − x i )2 .
i =1
n
Essa definisce una distanza d su R detta distanza euclidea.

Definizione 1.1.2 (Palla).


Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo. Si chiama palla di centro x 0 ∈ Rn e raggio r > 0
l’insieme
B (x 0 , r ) = B r (x 0 ) := {x ∈ Rn : d (x, x 0 ) < r }.

Definizione 1.1.3 (Insieme limitato).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che A è limitato se esiste r > 0
tale che A ⊆ B (0, r ), ossia
∃r > 0 : |x| < r ∀x ∈ A.

5
6 1. LO SPAZIO EUCLIDEO

Definizione 1.1.4 (Punto interno).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che x 0 ∈ Rn è un punto interno ad
A se
∃r > 0 : B (x 0 , r ) ⊆ A.

Osservazione 1.1.5. In particolare, un punto interno ad A è anche un punto di A, ma non è


detto che ogni punto di A sia interno ad A.

Definizione 1.1.6 (Interno di un insieme).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Si chiama interno di A l’insieme
int A := {x ∈ Rn : x è un punto interno ad A}.

Definizione 1.1.7 (Insieme aperto).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che A è aperto se int A = A, ossia
se ogni elemento di A è un punto interno ad A.
Per convenzione si pone ; insieme aperto.

Definizione 1.1.8 (Insieme complementare).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . L’insieme Rn \ A si chiama insieme comple-
mentare di A rispetto a Rn . Quando non ci sono possibilità di fraintendimento, esso si indica
anche A c .

Definizione 1.1.9 (Insieme chiuso).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che A è chiuso se Rn \ A è aperto.

Proposizione 1.1.10.
Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo.
Valgono le seguenti:
(i) Se {A i }i ∈I è una famiglia di aperti di Rn , allora
A i è un aperto di Rn .
[
i ∈I
(ii) Se {A i }i ∈I è una famiglia finita di aperti di Rn , allora
A i è un aperto di Rn .
\
i ∈I
1.1. TOPOLOGIA 7

(iii) Se {A i }i ∈I è una famiglia di chiusi di Rn , allora


A i è un chiuso di Rn .
\
i ∈I

(iv) Se {A i }i ∈I è una famiglia finita di chiusi di Rn , allora


A i è un chiuso di Rn .
[
i ∈I

Definizione 1.1.11 (Intorno in uno spazio metrico).


Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo.
Sia x ∈ Rn . Diciamo che U è un intorno di x se esiste un aperto A di Rn tale che
x ∈ A ⊆U.

Osservazione 1.1.12. In (Rn , d ) la definizione di intorno di x è equivalente alla seguente: U


è un intorno di x se esiste r > 0 tale che B (x, r ) ⊆ U .

Definizione 1.1.13 (Punto di accumulazione).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che x 0 ∈ Rn è un punto di accu-
mulazione di A se
B (x 0 , r ) ∩ A \ {x 0 } 6= ; ∀r > 0.

Definizione 1.1.14 (Derivato).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Si chiama derivato di A l’insieme
D(A) := {x ∈ Rn : x è un punto di accumulazione di A}.

Definizione 1.1.15 (Punto di frontiera).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Diciamo che x 0 ∈ Rn è un punto di frontiera
di A se
B (x 0 , r ) ∩ A 6= ; e B (x 0 , r ) ∩ (Rn \ A) 6= ; ∀r > 0.

Definizione 1.1.16 (Frontiera).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Si chiama frontiera di A l’insieme
∂A = FrA = {x ∈ Rn : x è un punto di frontiera di A}.
8 1. LO SPAZIO EUCLIDEO

Definizione 1.1.17 (Chiusura di un insieme).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn . Chiamiamo chiusura di A l’insieme
A = int A ∪ FrA.

Teorema 1.1.18.
Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo.
La famiglia
T := {A ⊆ Rn : A è un aperto di Rn rispetto alla metrica d },
è una topologia di Hausdorff su Rn .

Definizione 1.1.19 (Topologia indotta).


Sia A ⊆ Rn .
Gli insiemi aperti nella topologia indotta da Rn su A sono gli insiemi A ∩ O, dove O è un
aperto di Rn .
In breve: anziché “Gli insiemi aperti nella topologia indotta da Rn su A” si usa scrivere “gli
insiemi aperti di A".
Analogamente:
Gli insiemi chiusi nella topologia indotta da Rn su A sono gli insiemi A ∩ C , dove C è un
chiuso di Rn .
In breve: anziché “Gli insiemi chiusi nella topologia indotta da Rn su A” si usa scrivere “gli
insiemi chiusi di A".

1.2. Insiemi connessi

Definizione 1.2.1 (Insieme connesso).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn .
Diciamo che A è connesso se
6 ∃O 1 ,O 2 aperti di Rn tali che valgano le seguenti:
(a) A ⊆ O 1 ∪ O 2
(b) A ∩ O 1 6= ;, A ∩ O 2 6= ;
(c) A ∩ O 1 ∩ O 2 = ;.

Proposizione 1.2.2.
Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn .
Se A è un aperto, allora A è connesso se e solo se
6 ∃O 1 ,O 2 aperti di X tali che valgano le seguenti:
1.2. INSIEMI CONNESSI 9

(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;.

D IMOSTRAZIONE .
⇒:
Sia A connesso. Dimostriamo che non possono esistere O 1 ,O 2 aperti di X che soddisfano (i),
(ii), (iii). Per assurdo, se esistessero O 1 e O 2 aperti di X tali che
(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;
si avrebbe, da (i) che vale (a) nella Definizione 1.2.1 e O 1 ,O 2 ⊆ A e quindi:
(i i ) (i i )
A ∩ O 1 = O 1 6= ; A ∩ O 2 = O 2 6= ;
che è la (b) nella Definizione 1.2.1. Inoltre (iii) e O 1 ,O 2 ⊆ A implicano
A ∩ O 1 ∩ O 2 = O 1 ∩ O 2 = ;.
Abbiamo quindi trovato due aperti che soddisfano (a), (b) e (c) nella Definizione 1.2.1, contro
l’ipotesi di connessione di A.
⇐:
Supponiamo per assurdo, che A non sia connesso. Allora esistono O 1 e O 2 soddisfacenti (a),
(b) e (c) nella Definizione 1.2.1. Definiamo Õ 1 = O 1 ∩ A e Õ 2 = O 2 ∩ A. Essi sono insiemi
aperti, per la Proposizione 1.1.10. Dimostriamo che essi soddisfano (i), (ii) e (iii).
Per (a), A ⊆ O 1 ∪ O 2 e quindi
Õ 1 ∪ Õ 2 = (A ∩ O 1 ) ∪ (A ∩ O 2 ) = A ∩ (O 1 ∪ O 2 ) = A
e quindi vale (i).
Da (b) segue direttamente (ii).
Da (c)
Õ 1 ∩ Õ 2 = (A ∩ O 1 ) ∩ (A ∩ O 2 ) = A ∩ O 1 ∩ O 2 = ;
ossia vale (iii).
Abbiamo quindi trovato due aperti, O˜1 e O˜2 , soddisfacenti (i), (ii) e (iii), contro l’ipotesi. 

Definizione 1.2.3 (Segmento).


Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e x, y ∈ Rn .
Chiamiamo segmento di primo estremo x e secondo estremo y l’insieme
[x, y] := {x + t (y − x) : t ∈ [0, 1]}.
10 1. LO SPAZIO EUCLIDEO

Osservazione 1.2.4.
Si noti che l’insieme {x + t (y − x) : t ∈ [0, 1]} è l’insieme dei punti del segmento di Rn con-
giungente x e y.

Definizione 1.2.5 (Poligonale).


Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e x, y ∈ Rn , x 6= y.
Diciamo che P (x, y) è una poligonale di estremi x e y se esistono x 0 , · · · , x m ∈ Rn , con m ∈ N∗ ,
x 0 = x, x m = y, tali che
m
[
P (x, y) = [x i −1 , x i ].
i =1

Definizione 1.2.6 (Insieme connesso per poligonali).


Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn non vuoto.
Diciamo che A è connesso per poligonali se per ogni x 1 , x 2 ∈ A esiste una poligonale P (x 1 , x 2 )
tale che P (x 1 , x 2 ) ⊆ A.

Teorema 1.2.7.
Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn non vuoto.
Se A è connesso per poligonali allora è connesso.

In generale non vale il viceversa del Teorema 1.2.7. Ad esempio,


Sn−1 := {x ∈ Rn : |x| = 1}
è connesso, ma non è connesso per poligonali. Se però un insieme è aperto, allora connesso
e connesso per poligonali sono condizioni equivalenti. Vale infatti il seguente risultato.

Teorema 1.2.8 (Caratterizzazione degli aperti connessi).


Si considerino (Rn , d ) e A ⊆ Rn aperto e non vuoto.
Sono equivalenti le seguenti.
(i) A è connesso
(ii) A è connesso per poligonali.

D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo (i) ⇒ (ii).
Siano x 1 , y 1 ∈ A. Dimostriamo che esiste una poligonale P (x 1 , y 1 ) ⊆ A. Se x 1 = y 1 non c’è
niente da dimostrare.
1.2. INSIEMI CONNESSI 11

Consideriamo
O 1 := {x ∈ A : ∃P (x 1 , x) ⊆ A}.
Dobbiamo dimostrare che O 1 = A.
Dimostriamo che l’insieme O 1 è aperto, ossia per ogni x ∈ O 1 esiste r > 0 tale che B (x, r ) ⊆ O 1 .
Essendo x ∈ O 1 , esiste P (x 1 , x) poligonale tale che P (x 1 , x) ⊆ A. Essendo A aperto, esiste r > 0
tale che
B (x, r ) ⊆ A.
Per ogni y ∈ B (x, r ) consideriamo la poligonale Q(x 1 , y) := P (x 1 , x) ∪ [x, y]. Si ha
Q(x 1 , y) := P (x 1 , x) ∪ [x, y] ⊆ A ∩ B (x, r ) ⊆ A.
Pertanto B (x, r ) ⊆ O 1 .
Dimostriamo ora che O 2 := A \ O 1 è un insieme aperto.
Se A = O 1 allora A \ O 1 = ;, che è aperto.
Se A \ O 1 6= ; allora dobbiamo dimostrare che per ogni punto x ∈ A \ O 1 esiste r > 0 tale che
B (x, r ) ⊆ A \ O 1 .
Sia x ∈ A \ O 1 . Essendo A aperto, esiste r > 0, tale che B (x, r ) ⊆ A.
Per ogni z ∈ B (x, r ) deve essere z ∈ O 2 . Infatti se z ∈ O 1 allora esisterebbe una poligonale
P (x 1 , z) contenuta in A e quindi
Q(x 1 , x) := P (x 1 , z) ∪ [z, x] ⊆ A ∪ B (x, r ) ⊆ A
sarebbe una poligonale congiungente x 1 e x, contraddicendo x ∈ A \ O 1 . Ciò dimostra che
B (x, r ) ⊆ A \ O 1 , e quindi che x è un punto interno di A \ O 1 .
Concludiamo ora dimostrando che A = O 1 , che, per l’arbitrarietà di x 1 dà la tesi.
Se fosse
O 2 := A \ O 1 6= ;,
allora avremmo trovato due aperti, O 1 O 2 tali che
(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;.
contraddicendo l’ipotesi che A è connesso, in virtù della Proposizione 1.2.2.


Definizione 1.2.9 (Insieme convesso). Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e


A ⊆ Rn non vuoto.
Diciamo che A è convesso se per ogni x, y ∈ A, il segmento [x, y] è contenuto in A.
12 1. LO SPAZIO EUCLIDEO

Proposizione 1.2.10. Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn non vuoto.


Se A è convesso allora A è connesso per poligonali e connesso.

Teorema 1.2.11.
In R gli insiemi connessi sono tutti e soli gli intervalli.

1.3. Insiemi chiusi e compatti

Definizione 1.3.1 (Successione convergente).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e (x n ) una successione in Rn .
Diciamo che (x n ) è convergente a x 0 ∈ Rn se
lim d (x n , x 0 ) = 0,
n→+∞
ossia:
∀² > 0 ∃n̄ ∈ N∗ : d (x n , x 0 ) < ² ∀n ≥ n̄.
Scriviamo in modo equivalente:
d
xn → x0 , xn → x0 lim x n = x 0 .
n→+∞
queste ultime quando non ci sono dubbi sul fatto che si sta usando la convergenza in termini
della distanza d .

Teorema 1.3.2 (Unicità del limite).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e (x n ) una successione in Rn convergente a x 0 e a y 0 in
Rn . Allora x 0 = y 0 .

Proposizione 1.3.3 (Caratterizzazione dei chiusi).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn .
Sono equivalenti le seguenti:
(Ci) A è chiuso,
(Cii) ∀(x n ) successione in A e x 0 ∈ Rn , si ha:
d
xn → x0 ⇒ x 0 ∈ A.
(Ciii) D(A) ⊆ A,

Proposizione 1.3.4 (Caratterizzazione dei punti di accumulazione).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn e x 0 ∈ Rn .
Sono equivalenti le seguenti:
1.3. INSIEMI CHIUSI E COMPATTI 13

(Ai) x 0 ∈ D(A)
(Aii) per ogni r > 0 esistono infiniti punti in B (x 0 , r ) ∩ A \ {x 0 }.
d
(Aiii) esiste una successione (x h ) in A, x h 6= x 0 per ogni h e tale che x h → x 0 .
(Aiv) esiste una successione (x n ) in A con termini tutti distinti tra loro, tale che
0 < d (x 0 , x h ) < d (x 0 , x h−1 ) ∀h ≥ 2
d
e tale che x h → x 0 .

Proposizione 1.3.5.
Lo spazio euclideo (Rn , d ) è completo, ossia per ogni successione in Rn
(x h ) è di Cauchy ⇒ (x h ) è convergente a x 0 ∈ Rn .

Definizione 1.3.6 (Compatto).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e K ⊆ Rn . Diciamo che K è un compatto se da ogni
ricoprimento di aperti {A i }i ∈I di K è possibile estrarre un sottoricoprimento finito, ossia
esistono A i 1 , · · · , A i m ∈ {A i }i ∈I , con m ∈ N∗ , tali che
m
[
K⊆ Ai j .
j =1

Definizione 1.3.7 (Compatto per successioni).


Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo K ⊆ Rn . Diciamo che K è sequenzialmente compatto
(o compatto per successioni) se da ogni successione (x n ) di elementi di K è possibile estrarre
una sottosuccessione convergente a un punto di K .

Diamo ora la seguente caratterizzazione di insieme compatto, che include il Teorema di


Heine-Borel.

Teorema 1.3.8.
Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e K ⊆ Rn . Allora sono equivalenti:
(a) K è compatto
(b) K è sequenzialmente compatto
(c) K è chiuso e limitato.
CAPITOLO 2

Esercizi su dominio e insiemi di livello

2.1. Esercizi sul dominio

[Disegno del dominio: colorare l’interno del dominio. Per la frontiera di A: linea continua
se appartiene al dominio, linea tratteggiata se non vi appartiene. Se escludere un punto,
crocettarlo.]
r
xy −1
Esercizio 2.1.1 (T). Determinare il dominio della funzione .
x2 − 1

RISPOSTA:

r
xy −1
Figura 1. Dominio della funzione in esercizio 2.1.1
x2 − 1

q
Esercizio 2.1.2 (T). Determinare il dominio della funzione 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x).

RISPOSTA:
Dom( f ) = {(x, y) ∈ R2 : x 2 − 2x < y ≤ 1}.
15
16 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO

q
Figura 2. Dominio della funzione 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x) in esercizio 2.1.2

Esercizio 2.1.3 (GC). Disegnare il dominio della funzione log(x y).

RISPOSTA:
Vedi figura 3.

Figura 3. Dominio della funzione log(x y) in esercizio 2.1.3

s
|x| − |y|
Esercizio 2.1.4 (GC). Disegnare il dominio della funzione .
|x| − 1

RISPOSTA:
Vedi figura 4.
2.1. ESERCIZI SUL DOMINIO 17

s
|x| − |y|
Figura 4. Dominio della funzione in esercizio 2.1.4
|x| − 1

Esercizio 2.1.5 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Descrivere analiticamente il domi-


nio di e disegnarlo:
s
1 − x2
f (x, y) = .
y2 − 1

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 5 e la sua espressione analitica


è
{(x, y) : |x| ≤ 1, |y| > 1} ∪ {(x, y) : |x| ≥ 1, |y| < 1}.

s
1 − x2
Figura 5. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.5
y2 − 1
18 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO

Esercizio 2.1.6 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Descrivere analiticamente il domi-


nio di e disegnarlo:
s
x2 − y 2
f (x, y) = .
y

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 6 e la sua espressione analitica


è

{(x, y) : y > 0, y ≤ |x|} ∪ {(x, y) : y < 0, y ≤ −|x|}.

s
x2 − y 2
Figura 6. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.6
y

Esercizio 2.1.7 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Descrivere analiticamente il domi-


nio di e disegnarlo:
r
xy −1
f (x, y) = .
x2 − 1

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 7 e la sua espressione analitica


è

1 1 1 1
{(x, y) : x > 1, y ≥ }∪{(x, y) : x < −1, y ≤ }∪{(x, y) : 0 ≤ x < 1, y ≤ }∪{(x, y) : −1 < x < 0, y ≥ }.
x x x x
2.1. ESERCIZI SUL DOMINIO 19

r
xy −1
Figura 7. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.7
x2 − 1
Esercizio 2.1.8 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Descrivere analiticamente il domi-
nio di e disegnarlo:
s
4 − x2
f (x, y) = .
y −1

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 8 e la sua espressione analitica


è
{(x, y) : |x| ≤ 2, y > 1} ∪ {(x, y) : |x| ≥ 2, y < 1}.

s
4 − x2
Figura 8. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.8
y −1
20 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO

Esercizio 2.1.9 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare il dominio


di
f (x, y) = log(x − y 2 ).

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x > y 2 } (v. Esercizio 2.2.3 per gli insiemi di
livello).

Esercizio 2.1.10 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare il domi-


nio di
p
f (x, y) = 1 + x y.

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y ≥ −1} (v. Esercizio 2.2.4 per gli insiemi di
livello).

Esercizio 2.1.11 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare il domi-


nio di
1
f (x, y) = .
1+xy

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y 6= −1} (v. Esercizio 2.2.5 per gli insiemi di
livello).

Esercizio 2.1.12 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare il domi-


nio di
y
f (x, y) = arctan .
x
Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x 6= 0} (v. Esercizio 2.2.6 per gli insiemi di
livello).

Esercizio 2.1.13 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e rappresentare gra-


ficamente il dominio A della funzione

y − x2 + 1
µ ¶
f (x, y) = log .
2−x − y

Dire se tale insieme è aperto, chiuso, limitato, connesso, compatto e individuare la chiusura
di A (= Ā). Distinguere infine i punti isolati, interni, di frontiera, di accumulazione.

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 9


2.1. ESERCIZI SUL DOMINIO 21

y − x2 + 1
µ ¶
Figura 9. Dominio della funzione f (x, y) = log , v. es. 2.1.13
2−x − y

Esercizio 2.1.14 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e rappresentare gra-


ficamente il dominio A della funzione
q
f (x, y) = 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x).

Dire se tale insieme è aperto, chiuso, limitato, connesso, compatto e individuare la chiusura
di A (= Ā). Distinguere infine i punti isolati, interni, di frontiera, di accumulazione.

Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 10

q
Figura 10. Dominio della funzione f (x, y) = 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x), v. es. 2.1.14
22 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO

Esercizio 2.1.15 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e rappresentare gra-


ficamente il dominio A della funzione
s
x2 + y 2 − 1
f (x, y) = .
x2 − y 2
Dire se tale insieme è aperto, chiuso, limitato, connesso, compatto e individuare la chiusura
di A (= Ā). Distinguere infine i punti isolati, interni, di frontiera, di accumulazione.
Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 11

s
x2 + y 2 − 1
Figura 11. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.15
x2 − y 2

Esercizio 2.1.16 (I 10-01-2012AT).


y
Determinare il dominio naturale della funzione log2 .
x(1 − y 2 )
Suggerimenti e risposte: Il dominio è raffigurato nella figura 12
2.2. ESERCIZI SUGLI INSIEMI DI LIVELLO 23

y
Figura 12. Dominio della funzione f (x, y) = log2 , v. es. 2.1.16
x(1 − y 2 )

2.2. Esercizi sugli insiemi di livello

Definizione 2.2.1. Sia f : A → R, con A ⊆ Rn . Sia c ∈ R. Si chiama insieme di livello c di f


l’insieme
L c ( f ) := {x ∈ A : f (x) = c}.

Esercizio 2.2.2 (GC: q da file esercizi2variabili-8-3-2010). Studiare il dominio e le curve di


3
livello di f (x, y) = (y − x)2 .

Risposta:
Linee di livello: L c = ; se c < 0, L 0 = {(x, y) : y = x},

L c = {(x, y) : y = x + c 3/2 } ∪ {(x, y) : y = x − c 3/2 } se c > 0.

Esercizio 2.2.3 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare le linee di


livello di
f (x, y) = log(x − y 2 ).

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x > y 2 } (v. Esercizio 2.1.9).


L c : x = −y 2 + e c , c ∈ R, (sono parabole aventi per asse l’asse x).

Esercizio 2.2.4 (GC: da file esercizi2variabiliparteI-20-3-2020). Determinare e disegnare le


linee di livello di
p
f (x, y) = 1 + x y.

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y ≥ −1} (v. Esercizio 2.1.10 ).


{(x, y) : x y ≥ −1}, L c = ; se c < 0, L 1 = asse x e asse y, se invece c > 0, con c 6= 1, allora
L c individua sul piano Ox y l’iperbole di equazione: y = (c 2 − 1) x1 . Essa ha per asintoti gli
assi. Attenzione al fatto che se c > 1 il coefficiente è positivo e quindi i rami dell’iperbole
occupano il I e il III quadrante, mentre se 0 < c < 1 il coefficiente è negativo e quindi i rami
dell’iperbole occupano il II e il IV quadrante.

Esercizio 2.2.5 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare le linee di


livello di
1
f (x, y) = .
1+xy
24 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO

Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y 6= −1} (v. Esercizio 2.1.11).


L 0 = ;, L 1 = gli assi.
1 1
L c : y = ( − 1) , se c ∈ R \ {0, 1},
c x
Se c ∉ {0, 1}, L c è un’iperbole avente per asintoti gli assi. Attenzione al segno del coefficiente
1
c − 1, che è positivo se 0 < c < 1 e negativo per c > 1 oppure c < 0.

Esercizio 2.2.6 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Determinare e disegnare le linee di


livello di
y
f (x, y) = arctan .
x
Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x 6= 0} (v. Esercizio 2.1.12).
π π
L c : y = tan c · x, se c ∈ (− , ),
2 2
(L c sono rette passanti per l’origine, che hanno coefficiente angolare positivo se c ∈ (0, π2 ), 0
se c = 0 e negativo se c ∈ (− π2 .0).

Esercizio 2.2.7. Data la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x 2 (y −2), determinare le curve di livello


di f e disegnarle su un piano cartesiano.

[Sol. es: 2.2.7: Fissato c ∈ R, le curve di livello


c
L c = {(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = c} = {(x, y) ∈ R2 : y = 2 + }.
x2
CAPITOLO 3

Limiti di funzioni in più variabili

3.1. Definizione e caratterizzazioni

Definizione 3.1.1.
Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi euclidei e sia A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione. Siano x 0 ∈ D(A) e
y 0 ∈ Rm .
Diciamo che “ f tende (o converge) a y 0 ∈ Rm quando x tende a x 0 ” se
∀V intorno di y 0 in (Rm , d 0 ) ∃U intorno di x 0 in (Rn , d ) : f (x) ∈ V ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }.
(3.1.1)
In tal caso scriviamo
lim d 0 ( f (x), y 0 ) = 0 oppure lim f (x) = y 0 .
d (x,x 0 )→0 x→x 0

Teorema 3.1.2 (Caratterizzazione di limite).


Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi euclidei.
Siano A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione, x 0 ∈ D(A) e y 0 ∈ Rm .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) lim f (x) = y 0
x→x 0
(ii) ∀V aperto di (Rm , d 0 ) contenente y 0 ∃U aperto di (Rn , d ) contenente x 0 : f (x) ∈
V ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }
(iii) ∀² > 0 ∃δ > 0 : d 0 ( f (x), y 0 ) < ² ∀x ∈ A, 0 < d (x, x 0 ) < δ
(iv) per ogni (x h ) successione in Rn , x h 6= x per ogni h ∈ N, si ha
lim d (x h , x 0 ) = 0 ⇒ lim d 0 ( f (x h ), y 0 ).
h→+∞ h→+∞

D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo che (ii)⇔ (iii).
(ii)⇒ (iii) è ovvia, infatti
B (y 0 , ²0 ) := {y ∈ Rm : d 0 (y, y 0 ) < ²0 }
è un insieme aperto e dato un aperto U (Rn , d ) contenente x 0 esiste δ > 0 tale che B (x 0 , δ) ⊆ U
Diamo ora la dimostrazione di (iii)⇒ (ii).
25
26 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Sia V aperto di (Rm , d 0 ) contenente y 0 . Allora esiste ²0 > 0 tale che


B (y 0 , ²0 ) := {y ∈ Rm : d 0 (y, y 0 ) < ²0 } ⊆ V. (3.1.2)
Per (iii) ∃U aperto di (Rn , d ) contenente x 0 : f (x) ∈ B (y 0 , ²0 ) ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }. Quindi, per
(3.1.2), ∃U aperto di (Rn , d ) contenente x 0 : f (x) ∈ V ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }.

Osservazione 3.1.3. In (iv) si usa scrivere
lim x h = x 0 ⇒ lim f (x h ) = y 0
h→+∞ h→+∞
dando per sottinteso che la convergenza è nella metrica dello spazio ambiente.

3.2. Esistenza e non esistenza del limite

Come nelle funzioni di una variabile reale, esiste un legame tra il limite di una funzione e il
limite di sue restrizioni.

Proposizione 3.2.1.
Siano B ⊆ A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione.
Siano x 0 ∈ D(B ) e y 0 ∈ Rm .
Allora
lim f (x) = y 0 ⇒ lim f |B (x) = y 0 ,
x→x 0 x→x 0
dove ricordiamo che f |B denota la funzione f ristretta al dominio B .

Osservazione 3.2.2. La Proposizione 3.2.1 è utile per stabilire risultati di non esistenza di
limite.
Infatti, siano A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione. Siano B,C ⊆ A. Dalla Proposizione 3.2.1 deducia-
mo:
(1) (x 0 ∈ D(B ), 6 ∃ lim f |B (x)) ⇒ 6 ∃ lim f (x)
x→x 0 x→x 0
(2) (x 0 ∈ D(B ) ∩ D(C ), lim f |B (x) 6= lim f |C (x)) ⇒ 6 ∃ lim f (x).
x→x 0 x→x 0 x→x 0

x2 − y 2
Esempio 3.2.3. Sia f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = . Sia B = {(x, 0) : x 6= 0} e C = {(0, y) :
x2 + y 2
y 6= 0}. Si ha
x2
lim f |B (x, y) = lim f |B (x, 0) = lim = 1,
(x,y)→(0,0) x→0 x→0 x 2

−y 2
lim f |C (x, y) = lim f |C (0, y) = lim = −1,
(x,y)→(0,0) y→0 y→0 y 2
3.2. ESISTENZA E NON ESISTENZA DEL LIMITE 27

dunque
6∃ lim f (x, y).
(x,y)→(0,0)

Teorema 3.2.4.
Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn . Sia A = B ∪C e x 0 ∈ D(B ) ∩ D(C ). Se esiste ` ∈ Rm tale che
(a) ∃ lim f |B (x) = `
x→x 0

(b) ∃ lim f |C (x) = `


x→x 0
allora ∃ lim f (x) = `.
x→x 0

D IMOSTRAZIONE . Per (a):


∀² > 0 ∃δ1 (²) > 0 : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ B ∩ B (x 0 , δ1 (²)) \ {x 0 }.
Per (b):
∀² > 0 ∃δ2 (²) > 0 : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ C ∩ B (x 0 , δ2 (²)) \ {x 0 }.
Posto δ(²) := min{δ1 (²), δ2 (²)} si hanno
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ B ∩ B (x 0 , δ(²)) \ {x 0 }
e
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ C ∩ B (x 0 , δ(²)) \ {x 0 }.
Pertanto
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ (B ∪C ) ∩ B (x 0 , δ(²)) \ {x 0 }
e quindi
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ A ∩ B (x 0 , δ(²)) \ {x 0 }.
Riassumendo: per ogni ² > 0 abbiamo trovato δ(²) > 0 tale che
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ A ∩ B (x 0 , δ(²)) \ {x 0 }
che è la definizione di lim f (x) = `. 
x→x 0

Osservazione 3.2.5.
Tale teorema può essere facilmente generalizzato al caso di A = ∪hi=1 A i , con h ∈ N, h ≥ 3. E’
cruciale il fatto che la decomposizione A = ∪hi=1 A i sia finita. Il risultato è infatti falso se A è
unione numerabile, o più che numerabile, di sottoinsiemi A i . Si veda l’Esempio 3.2.6.

Esercizio 3.2.6.
x2 y
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
28 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

x2 y
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 4 +y 2
. Restringendoci all’asse y si ha:
lim f (0, y) = 0.
y→0

x2 y
Allora, per la Proposizione 3.2.1, se esiste lim esso è zero.
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
Proviamo a restringerci ad altre rette passanti per l’origine, non verticali. Sia m ∈ R.
0

lim =0 se m = 0
3  x→0 x 4
mx 
lim f (x, mx) = lim 4 =
x→0 x→0 x + m 2 x 2
mx 3

 mx
lim 2 2 = lim 2 = 0 se m 6= 0.
x→0 m x x→0 m
Dunque, se ci restringiamo alle rette passanti per l’origine, limite esiste ed è zero. Ciò non è
x2 y
sufficiente per concludere che esiste lim e che esso è zero.
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
Infatti, sia
P := {(x, y) ∈ R2 \ {0} : y = x 2 }.
Si ha
x4 1
lim f |P (x, y) = lim f (x, x 2 ) = lim
4 4
= 6= 0.
(x,y)→(0,0) x→0 x→0 x + x 2
Pertanto, per l’Osservazione 3.2.2 non esiste il limite.]

Notazione.
Sn−1 := {x ∈ Rn : |x| = 1}.

Lemma 3.2.7. Siano x 0 ∈ Rn e r > 0. Allora


B (x 0 , r ) \ {x 0 } = {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, r [, ξ ∈ Sn−1 }.
x−x 0
D IMOSTRAZIONE . Sia x ∈ B (x 0 , r ) \ {x 0 }. Sia ξ := |x−x 0|
. Allora ξ ∈ Sn−1 e
x = x 0 + ρξ con ρ := |x − x 0 |.
Si noti che 0 < ρ < r .
Dunque
B (x 0 , r ) \ {x 0 } ⊆ {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, r [, ξ ∈ Sn−1 }.
Ovviamente
B (x 0 , r ) \ {x 0 } ⊇ {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, r [, ξ ∈ Sn−1 },
da cui
B (x 0 , r ) \ {x 0 } = {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, r [, ξ ∈ Sn−1 }.

3.2. ESISTENZA E NON ESISTENZA DEL LIMITE 29

Teorema 3.2.8.
Sia f : A → Rm , A ⊆ Rn .
Sia x 0 ∈ Rn tale che
∃r 0 > 0 : B (x 0 , r 0 ) \ {x 0 } ⊆ A.
Sia ` ∈ Rm .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) lim f (x) = `
x→x 0

(ii) lim+ sup | f (x 0 + ρξ) − `| = 0


ρ→0 ξ∈Sn−1

(iii) ∃r ∈]0, r 0 ], ∃ϕ :]0, r [→ [0, ∞[, tale che

(1) | f (x 0 + ρξ) − `| ≤ ϕ(ρ) ∀ρ ∈]0, r [, ∀ξ ∈ Sn−1

(2) lim+ ϕ(ρ) = 0


ρ→0

(iv) ∃r ∈]0, r 0 ], ∃ϕ :]0, r [→ [0, ∞[, tale che

(1’) | f (x) − `| ≤ ϕ(|x − x 0 |) ∀x ∈ B (x 0 , r ) \ {x 0 }

(2’) lim+ ϕ(ρ) = 0.


ρ→0

D IMOSTRAZIONE .
x 0 è un punto interno di A. Esiste quindi r 0 > 0 tale che B (x 0 , r 0 ) ⊆ A. Usando anche questa
informazione dimostriamo le implicazioni.

(i) ⇒ (ii)
Per (i)
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r 0 ] : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ B (x 0 , δ) \ {x 0 }.
Per il Lemma 3.2.7
B (x 0 , δ) \ {x 0 } = {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, δ[, ξ ∈ Sn−1 },
quindi si ha

∀² > 0 ∃δ ∈]0, r 0 ] : | f (x 0 + ρξ) − `| < ² ∀ρ ∈]0, δ[, ∀ξ ∈ Sn−1 .

Passando al sup su ξ si ha:

∀² > 0 ∃δ ∈]0, r 0 ] : sup | f (x 0 + ρξ) − `| ≤ ² ∀ρ ∈]0, δ[.


ξ∈Sn−1

La (ii) è dimostrata.
30 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

(ii) ⇒ (iii)
Per (ii)
∀² > 0 ∃r (²) ∈]0, r 0 ] : sup | f (x 0 + ρξ) − `| < ² ∀ρ ∈]0, r (²)[.
ξ∈Sn−1
Definiamo ϕ :]0, r [→ [0, ∞[,
ϕ(ρ) := sup | f (x 0 + ρξ) − `|.
ξ∈Sn−1

L’affermazione sopra è esattamente il significato di (2).


Scegliamo ² = 1 e denotiamo r il valore r (1). Si ha
∃r ∈]0, r 0 [ : sup | f (x 0 + ρξ) − `| < 1 ∀ρ ∈]0, r [.
ξ∈Sn−1

(iii) ⇒ (iv)
x−x 0
Sia x ∈ B (x 0 , r ) \ {x 0 }. Sia ξ := |x−x 0|
. Allora ξ ∈ Sn−1 e
x = x 0 + ρξ con ρ := |x − x 0 |.
Si noti che 0 < ρ < r . Dunque per (1)
| f (x) − `| = | f (x 0 + |x − x 0 |ξ) − `| ≤ ϕ(|x − x 0 |).
Ciò prova (1’). La (2’) coincide con (2) essendo ϕ la stessa funzione.
(iv) ⇒ (i)
Ricordando che ϕ è non negativa, dalla definizione di limite, la (2’) significa:
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r [ : ϕ(ρ) < ² ∀ρ ∈]0, δ[.
Da (1’) deduciamo
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r [ : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ B (x 0 , δ) \ {x 0 },
che è esattamente quanto affermato in (i). 

Attenzione: per n = 2, anziché usare la notazione vettoriale, è spesso utile indicare i punti di
R2 con (x, y), dove quindi x è un numero reale e non più un elemento di R2 .
Come conseguenza del Teorema 3.2.8, per il caso n = 2 e usando le coordinate polari si ha il
seguente risultato.

Corollario 3.2.9 (caso n = 2).


Sia f : A → Rm , A ⊆ R2 .
Sia (x 0 , y 0 ) ∈ R2 tale che
∃r 0 > 0 : B ((x 0 , y 0 ), r 0 ) \ {(x 0 , y 0 )} ⊆ A.
Sia ` ∈ Rm .
3.2. ESISTENZA E NON ESISTENZA DEL LIMITE 31

Sono equivalenti le seguenti:


(a) lim f (x, y) = `
(x,y)→(x 0 ,y 0 )

(b) ∃r > 0, ∃ϕ :]0, r [→ [0, ∞[, tale che


(1) | f (x 0 + ρ cos θ, y 0 + ρ sin θ) − `| ≤ ϕ(ρ) ∀ρ ∈]0, r [, ∀θ ∈ [0, 2π]
(2) lim+ ϕ(ρ) = 0
ρ→0

Esercizio 3.2.10. Calcolare, se esiste,


x y3
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2

x y3
Sol.: Si ponga f (x, y) = . Il suo dominio è R2 \{(0, 0)}. Se esiste il limite di f per (x, y) →
x2 + y 2
(0, 0), esso è 0 (ad es. restingersi all’asse x). D’altra parte, per ogni ρ > 0
¯ ρ cos(θ) sin(θ)3 ¯
¯ 4 ¯
| f (ρ cos θ, ρ sin θ) − 0| = ¯¯ ¯ ≤ ρ2 ∀θ ∈ [0, 2π].
ρ2 ¯
Per il Corollario 3.2.9, risulta
x y3
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2

p
Vista l’importanza che ha nel calcolo dei limiti l’espressione (x − x 0 )2 + (y − y 0 )2 che, quan-
do si usano le coordinate polari centrate in (x 0 , y 0 ), denota la distanza ρ del punto (x, y) da
(x 0 , y 0 ) è spesso utile il seguente lemma.

Lemma 3.2.11.
Per ogni α > 0 esistono c 1 (α), c 2 (α) > 0 tali che
α α
c 1 (α)(x 2 + y 2 ) 2 ≤ |x|α + |y|α ≤ c 2 (α)(x 2 + y 2 ) 2 .
D IMOSTRAZIONE .
Se x = 0 e y = 0 non c’è niente da dimostrare.
Se x = 0 e y 6= 0 allora
|x|α + |y|α |y|α
α = = 1 ∀y ∈ R.
(x 2 + y 2 ) 2 |y|α
Consideriamo ora x 6= 0 e dimostriamo che esistono c 1 ∈]0, 1] e c 2 ∈ [1, +∞[ tali che
|x|α + |y|α
c1 ≤ α ≤ c2 ∀y ∈ R.
(x 2 + y 2 ) 2
Se riusciamo a fare questo, abbiamo concluso.
32 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Si ha
1 + ( |x| )α 1 + ( |x| )α
|y| |y|
|x|α + |y|α
α = y α = |y| α .
(x 2 + y 2 ) 2 (1 + ( x )2 ) 2 (1 + ( |x| )2 ) 2
|y| 1+ tα
Col cambio di variabile t := |x| , posto g : [0, ∞[→]0, ∞[, g (t ) = α , si ha
(1 + t 2 ) 2
(|x| + |y|)α
µ¶
|y|
α =g .
(x 2 + y 2 ) 2 |x|
Dobbiamo quindi dimostrare che esistono c 1 ∈]0, 1] e c 2 ∈ [1, +∞[ tali che

c 1 ≤ g (t ) ≤ c 2 ∀t ∈ [0, ∞[.

Ora diamo due modi di procedere.


I modo:
Dato che g è continua in [0, ∞[,

g (0) = lim g (t ) = 1, lim g (t ) = 1


t →0 t →+∞

devono esistere δ, K positivi, δ < K , tali che


1 3 1 3
g (t ) ∈ [ , ] ∀t ∈]0, δ], g (t ) ∈ [ , ] ∀t ∈ [K , ∞[.
2 2 2 2
Inoltre, la funzione continua g |[δ,K ] : [δ, K ] →]0, ∞[ è continua e per il Teorema di Weierstrass,
esistono m := min g |[δ,K ] e M := max g |[δ,K ] . Ovviamente m e M sono positivi, in quanto g
non si annulla. Deduciamo che
1 3
c 1 := min{ , m} ≤ g (t ) ≤ max{ , M } =: c 2 ∀t ∈ [0, ∞[.
2 2
Abbiamo allora dimostrato che
1 |x|α + |y|α 3
c 1 := min{ , m} ≤ α ≤ max{ , M } =: c 2 ∀(x, y) ∈ R2 , x 6= 0.
2 (x 2 + y 2 ) 2 2
Abbiamo così dimostrato che
|x|α + |y|α
c1 ≤ α ≤ c2 ∀(x, y) ∈ R2 .
(x 2 + y 2 ) 2

II modo:
1+t α
Si consideri g :]0, ∞[→]0, ∞[, g (t ) = α . Se ne studi la monotonia, mediante lo studio
(1+t 2 ) 2
g 0 (t ) ≥ 0. Dedurne che esistono c 1 , c 2 > 0 tali che

c 1 := inf g ≤ g (t ) ≤ sup g =: c 2 ∀t ∈ R.
]0,∞[ ]0,∞[
3.3. FUNZIONI CONTINUE 33

Si ha
α
αt (1 + t 2 ) 2 −1 α−2 t ≥ 1 se α ≥ 2
·
0
g (t ) = (t − 1) ≥ 0 ⇔
(1 + t 2 )α t ≤ 1 se α < 2.
Allora
1
c 1 := min g = g (1) = α , c 2 := max g = g (0) = lim g (t ) = 1 se α ≥ 2
2 2 −1 t →+∞
e
α
c 1 := min g = g (0) = lim g (t ) = 1, c 2 := max g = g (1) = 21− 2 , se α < 2.
t →+∞


3.3. Funzioni continue

Definizione 3.3.1.
Siano f : A → Rm con A ⊆ Rn , x 0 ∈ A.
Si dice che f è continua in x 0 se
∀V intorno di f (x 0 ) in Rm ∃U intorno di x 0 in Rn : f (x) ∈ V ∀x ∈ U ∩ A. (3.3.1)
Si dice che f è continua se f è continua in ogni punto di A.

Teorema 3.3.2 (Caratterizzazione della continuità in un punto).


Siano f : A → Rm con A ⊆ Rn , x 0 ∈ A.
Sono equivalenti le seguenti:
(i) f è continua in x 0
(ii) ∀V aperto di Rm contenente f (x 0 ) ∃U aperto di Rn contenente x 0 : f (x) ∈ V ∀x ∈
U∩A
(iii) ∀² > 0 ∃δ > 0 : k f (x) − f (x 0 )kRm < ² ∀x ∈ A, kx − x 0 kRn < δ.

Teorema 3.3.3 (Caratterizzazione topologica della continuità).


Siano f : A → Rm con A ⊆ Rn .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) f è continua
(ii) ∀V aperto di Rm f −1 (V ) è un aperto in A.

Come immediata conseguenza della Definizione 3.3.1 si ha un’altra caratterizzazione che


mette in evidenza il legame tra la nozione topologica di continuità con quella di limite.
34 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Teorema 3.3.4.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A. f : A → Rm è continua in x 0 se e solo se vale una delle due:
• x 0 ∉ D(A)
• x 0 ∈ D(A) e lim f (x) = f (x 0 ).
x→x 0

Definizione 3.3.5.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A.
Una funzione f : A → Rm si dice sequenzialmente continua in x 0 se per ogni successione
(x k )k∈N∗ in X
lim d (x k , x 0 ) = 0 ⇒ lim d 0 ( f (x k ), f (x 0 )) = 0.
k→∞ k→∞

Teorema 3.3.6.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A. Sia f : A → Rm .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) f è continua in x 0
(ii) f è sequenzialmente continua in x 0 .

Corollario 3.3.7.
Siano A ⊆ Rn , f , g : A → R.
Siano f , g continue in x 0 ∈ A. Allora la funzione f · g : A → R è continua in x 0 .

3.3.1. Teorema di Bolzano.

Teorema 3.3.8 (Teorema di Bolzano).


Siano A ⊆ Rn , f : A → Rm continua.
Allora
A connesso in Rn ⇒ f (A) connesso in Rm .

D IMOSTRAZIONE . Supponiamo che f (A) non sia connesso. Allora esistono due aperti
non vuoti O 1 e O 2 in Rm tali che
(a) f (A) ⊆ O 1 ∪ O 2
(b) f (A) ∩ O 1 6= ;, f (A) ∩ O 2 6= ;
(c) f (A) ∩ O 1 ∩ O 2 = ;.
3.3. FUNZIONI CONTINUE 35

f è continua, quindi per il Teorema 3.3.3 esistono U1 e U2 aperti in Rn tali che


(b)
A ∩Ui = f −1 (O i ) = f −1 ( f (A) ∩ O i ) 6= ; i = 1, 2. (3.3.2)
Inoltre
(3.3.2)
A ∩U1 ∩U2 = (A ∩U1 ) ∩ (A ∩U2 ) = f −1 ( f (A) ∩ O 1 ) ∩ f −1 ( f (A) ∩ O 2 )
(c)
= f −1 ( f (A) ∩ O 1 ∩ O 2 ) = ;
e da (3.3.2)
(a)
A = f −1 ( f (A)) = f −1 ( f (A) ∩ (O 1 ∪ O 2 )) = f −1 (( f (A) ∩ O 1 ) ∪ ( f (A) ∩ O 2 ))
(3.3.2)
= f −1 ( f (A) ∩ O 1 ) ∪ f −1 ( f (A) ∩ O 2 ) = (A ∩U1 ) ∪ (A ∩U2 )
= A ∩ (U1 ∪U2 ),
che implica A ⊆ U1 ∪U2 .
Avremmo così trovato due aperti U1 e U2 che svolgono il ruolo di O 1 e O 2 nella Definizione
1.2.1, contro l’ipotesi di connessione di A. 

Corollario 3.3.9 (Teorema di Bolzano per funzioni a valori reali).


Siano (Rn , d ) spazio metrico euclideo, A ⊆ Rn . Sia f : A → R continua.
Allora
A connesso in Rn ⇒ f (A) intervallo.

D IMOSTRAZIONE . Segue immediatamente dal Teorema 3.3.8 e dal Teorema 1.2.11. 

3.3.2. Teorema di Weierstrass.

Definizione 3.3.10.
Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi euclidei e A ⊆ Rn .
Una funzione f : A → Rm si dice limitata se f (A) è un insieme limitato, ossia (v. Definizione
1.1.3)
∃M > 0 : | f (x)| < M ∀x ∈ A.

Definizione 3.3.11.
Siano (Rn , d ) spazio euclideo, A ⊆ Rn e f : A → R.
Si dice che f ha massimo se esiste il massimo dell’immagine di f , ossia se esiste
max f = max f (A) := max{ f (x) : x ∈ A}.
A
36 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

In tal caso il valore max f si chiama massimo (o valore di massimo) di f . Un punto x 0 ∈ A


A
tale che f (x 0 ) = max A f si chiama punto di massimo assoluto.
Analogamente si possono dare le definizioni di minimo e di punto di minimo.

Teorema 3.3.12 (Teorema di Weierstrass).


Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi metrici euclidei, K ⊆ Rn , f : K → Rm continua.
Allora
K compatto in Rn ⇒ f (K ) compatto in Rm .

Corollario 3.3.13.
Siano (Rn , d ) spazio metrico euclideo, K ⊆ X e f : X → R.
Se K ⊆ X è compatto e f è continua, allora f è limitata e f ha massimo e minimo.

D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo che f è superiormente limitata e che f ha massimo. Che sia f inferior-
mente limitata e che f abbia minimo segue ragionano in modo analogo.
Per il Teorema 3.3.12 f (K ) è un compatto di R. Per il Teorema di Heine-Borel (v. AM1B o
Teorema 1.3.8) i compatti di R sono tutti e soli gli insiemi chiusi e limitati. In particolare,
essendo f (K ) limitato, si ha sup f ∈ R.
K
Sia (y k ) una successione in f (K ) convergente a sup f . Si noti che una tale successione esiste
K
sempre, dato che una caratterizzazione di sup f ∈ R è:
K

1
∀n ∈ N∗ ∃y k ∈ f (K ) : sup f − < y k ≤ sup f .
K n K

Essendo f (K ) chiuso, per la Proposizione 1.3.3 (Cii) deve essere sup f ∈ f (K ). Ciò significa
K
che esiste max f . 
K

3.4. Legame tra limiti di funzioni vettoriali e limiti delle sue componenti

Lemma 3.4.1.
Sia u = (u 1 , · · · , u m ) vettore di Rm . Allora
v
1 Xm um
uX Xm
|u j | ≤ t u 2j = kuk ≤ |u j |. (3.4.1)
m j =1 j =1 j =1
3.4. LEGAME TRA LIMITI DI FUNZIONI VETTORIALI E LIMITI DELLE SUE COMPONENTI 37

D IMOSTRAZIONE . L’ultima disuguaglianza è ovvia.


Per dimostrare la prima si osservi che per ogni i ∈ {1, · · · , m}
v
um
uX
|u i | ≤ t u 2j .
j =1

Sommando su i , con i ∈ {1, · · · , m}, si ha la disuguaglianza cercata.




Proposizione 3.4.2.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ D(A).
Sia ` = (`1 , · · · , `m ) ∈ Rm . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) lim f (x) = `
x→x̄
(b) per ogni j ∈ {1, · · · , m} si ha lim f j (x) = ` j .
x→x̄

D IMOSTRAZIONE .
Iniziamo con l’osservare che dal Lemma 3.4.1 segue che, per ogni r > 0,
{(y 1 , · · · , y m ) ⊆ Rm : |y j − ` j | < r ∀ j ∈ {1, · · · , m}} ⊆ B (`, mr )
⊆ {(y 1 , · · · , y m ) ⊆ Rm : |y j − ` j | < m 2 r ∀ j ∈ {1, · · · , m}}. (3.4.2)
La prima inclusione segue dalla seconda disuguaglianza in (3.4.1) e la seconda inclusione
viene dalla prima disuguaglianza in (3.4.1).
(a) ⇒ (b):
Per ipotesi, ∀² > 0 ∃δ > 0 tale che
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄},
ossia
f (x) ∈ B (`, ²) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}
Dalla seconda inclusione in (3.4.2) si ha ∀² > 0 ∃δ > 0 tale che per ogni j ∈ {1, · · · , m}
| f j (x) − ` j | < m² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
Abbiamo quindi dimostrato (b).
(b) ⇒ (a):
Per ogni j ∈ {1, · · · , m}, ∀² > 0 ∃δ j > 0 tale che
| f j (x) − ` j | < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ j ) \ {x̄}.
Fissiamo ² > 0 e poniamo δ := min{δ j : j ∈ {1, · · · , m}}. Allora per ogni j ∈ {1, · · · , m}
| f j (x) − ` j | < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
38 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Dalla prima inclusione in (3.4.2) si ha

k f (x) − `k < m² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.

Abbiamo così dimostrato (a). 

Con dimostrazioni analoghe a quelle per funzioni di una variabile reale a valori reali è facile
dimostrare i seguenti risultati.

Teorema 3.4.3 (Teorema di limite di funzione composta).


Siano f : A → Rm , g : B → Rp con A ⊆ Rn , f (A) ⊆ B , B ⊆ Rm . Sia x 0 ∈ D(A).
Supponiamo
(1) lim f (x) = y 0 ∈ Rm
x→x 0
(2) ∃U intorno di x 0 in Rn : f (x) 6= y 0 ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }

(3) lim g (y) = z 0 ∈ Rp .


y→y 0

Allora
lim (g ◦ f )(x) = z 0 .
x→x 0

Teorema 3.4.4 (Limite di una somma).


Siano A ⊆ Rn , f , g : A → Rm , con m ≥ 1.
Siano x 0 ∈ D(A), λ, µ ∈ Rm , tali che

lim f (x) = λ e lim g (x) = µ.


x→x 0 x→x 0

Allora la funzione f + g : A → Rm è tale che

∃ lim ( f + g )(x) = λ + µ.
x→x 0

Corollario 3.4.5.
Siano A ⊆ Rn , f , g : A → Rm , con m ≥ 1.
Siano f , g continue in x 0 ∈ A. Allora la funzione f + g : A → Rm è continua in x 0 .
3.5. LIMITI DI FUNZIONI A VALORI REALI: ALTRE PROPRIETÀ 39

3.5. Limiti di funzioni a valori reali: altre proprietà

Definizione 3.5.1. Siano A ⊆ Rn , f : A → R, con x 0 ∈ D(A). La scrittura

lim f (x) = +∞
x→x 0

significa:
∀M > 0 ∃δ(M ) > 0 : f (x) > M ∀x ∈ A, 0 < kx − x 0 k < δ(M ).

Analogamente:

Definizione 3.5.2. Siano A ⊆ Rn , f : A → R, con x 0 ∈ D(A). La scrittura

lim f (x) = −∞
x→x 0

significa:
∀M < 0∃δ(M ) > 0 : f (x) < M ∀x ∈ A, 0 < kx − x 0 k < δ(M ).

Teorema 3.5.3 (Limite di un prodotto).


Siano A ⊆ Rn , f , g : A → R.
Siano x 0 ∈ D(A), λ, µ ∈ R, tali che

lim f (x) = λ e lim g (x) = µ.


x→x 0 x→x 0

Allora la funzione f · g : A → R è tale che

∃ lim ( f · g )(x) = λµ.


x→x 0

Teorema 3.5.4 (Teorema del confronto: il caso della divergenza).


Siano A ⊆ Rn , f , g : A → R. Se x 0 ∈ D(A) ed esiste U intorno di x 0 tale che

f (x) ≤ g (x) ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }

allora valgono le seguenti implicazioni:

lim f (x) = +∞ ⇒ lim g (x) = +∞


x→x 0 x→x 0

e
lim g (x) = −∞ ⇒ lim f (x) = −∞.
x→x 0 x→x 0
40 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Teorema 3.5.5 (Teorema dei carabinieri).


Siano A ⊆ Rn , f , g , h : A → R. Se x 0 ∈ D(A) ed esiste U intorno di x 0 tale che
f (x) ≤ g (x) ≤ h(x) ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }
e se
lim f (x) = lim h(x) = λ ∈ R ∪ {±∞}
x→x 0 x→x 0
allora
lim g (x) = λ.
x→x 0

Teorema 3.5.6.
Siano A ⊆ Rn , f : A → R. Se x 0 ∈ D(A) e f (x) 6= 0 per ogni x ∈ A, allora valgono le seguenti
implicazioni
1 1
lim f (x) = λ ∈ R \ {0} ⇒ lim = .
x→x 0 x→x 0 f (x) λ
1
lim f (x) = ±∞ ⇒ lim = 0.
x→x 0 x→x 0 f (x)

Teorema 3.5.7.
Siano A ⊆ Rn , f : A → R. Se x 0 ∈ D(A) e se esiste un intorno U di x 0 tale che f (x) > 0 (alt.:
f (x) < 0) per ogni x ∈ A ∩U , x 6= x 0 allora
1
lim f (x) = 0 ⇒ lim = +∞ (alt.: −∞).
x→x 0 x→x 0 f (x)

3.6. Esercizi

Esercizio 3.6.1 (GC: da file esercivi2variabliparteI-8-3-2010). Calcolare, se esiste, il limite per


(x, y) → (0, 0) delle seguenti funzioni:
µ 2
x+y x |y| x2
¶ µ ¶
¡ 2 ¢
1) x sin 2 ; 2) log x |y| ; 3) log ; 4) log ;
x + y2 Ã ! |y| + 1 |y| + x 2
log 1 + x 2 + y 4
¡ ¢
x2 x2 x2 y
5) e y 2 ; 6) sin p ; 7) ; 8) ;
x2 + y 2 x2 + y 4 |y| + |x|
x2 y 2 x3 y 2 x y log y 1
9) 2 ; 10) ; 11) e ; 12) arctan ;
(x + y 2 )2 (x 2 + y 2 )2 xy

1 x x2 1
13) arctan ; 14) 2 ; 15) ; 16) e x y+(x y)2 ;
|x y| y + |x| y 2 + 12 |x|
sin(x 2 y 2 )
17) 2 .
x + y4
3.6. ESERCIZI 41

SUGGERIMENTI per l’esercizio 3.6.1.


x 2 |y|
[Sugg.: 1) funzione limitata per infinitesima; 2) porre t = x 2 |y|, 3) 0 ≤ |y|+1 ≤ x 2 ; 4) restringersi
2
alle parabole y = mx 2 ; 5) restringersi alle rette y = mx; 6) 0 ≤ p x2 ≤ |x|; 7) porre t =
x +y 2
|x 2 y|
x 2 + y 4 ; 8) 0 ≤ |y|+|x| ≤ x 2 , 9) restringersi alle rette y = mx; 10) passare in coordinate polari;
1
11) y log y → 0 per limite notevole; 12) restringersi alle rette y = x e y = −x; 13) |x y| → +∞;
+ − x2
14) restringersi all’asse x e fare limiti per x → 0 e per x → 0 ; 15) 0 ≤ ≤ 2|x|; 16) 2
y +|x|/2
restringersi alle rette y = x e y = −x; 17) Usando il limite notevole sin t /t → 1 per t → 0 si ha
sin(x 2 y 2 ) x 2 y 2 x2 y 2
lim · = lim .
(x,y)→(0,0) x2 y 2 x 2 + y 4 (x,y)→(0,0) x 2 + y 4
Osservare poi che
x2 y 2 x2
0≤ = y 2 ≤ y 2 .]
x2 + y 4 x2 + y 4

RISPOSTE per l’esercizio 3.6.1:


1) [0]; 2) [−∞]; 3) [−∞]; 4) [Ø]; 5) [Ø]; 6) [0]; 7) [1]; 8) [0]; 9) [Ø]; 10) [0]; 11) [1]; 12) [Ø]; 13)
[ π2 ]; 14) [Ø]; 15) [0]; 16) [Ø]; 17) [0].]

Esercizio 3.6.2.
x3
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2

x3
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 2 +y 2
. Si ha:
0
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0,
y→0 y→0 y 2 y→0

dunque se esiste il limite esso deve essere 0. Si ha


¯ x3 ¯ ¯ x3 ¯ 2
¯ ¯ ¯ ¯
0≤¯ 2 0 ¯= x
− ¯ ¯ x 2 + y 2 ¯ x 2 + y 2 · |x| ≤ 1 · |x| = |x|.
=
¯ ¯ ¯
x + y2
Si ha
lim |x| = lim |x| = 0.
(x,y)→(0,0) x→0
Allora per il Teorema dei carabinieri, sarà
¯ x3 ¯
¯ ¯
lim ¯ ¯ ¯ = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2
¯
Conclusione:
x3
∃ lim = 0.]
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2
42 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Esercizio 3.6.3.
x5
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 4 + y 4

x5
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 4 +y 4
. Si ha:
0
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0,
y→0 y→0 y 2 y→0

dunque se esiste il limite esso deve essere 0. Si ha, per il Lemma 3.2.11, che esistono c 1 , c 2 > 0
tali che
c 1 = c 1 (cos2 θ + sin2 θ)2 ≤ cos4 θ + sin4 θ ≤ c 2 (cos2 θ + sin2 θ)2 = c 2 .
Quindi
ρ 5 5
θ | cos5 θ|
¯ ¯
cos 1 1
0 ≤ ¯ f (ρ cos θ, ρ sin θ) − 0¯ = ¯¯ ¯=ρ ρ ρ.
¯ ¯ ¯ ¯
≤ ≤
ρ 4 (cos4 θ + sin4 θ) ¯ cos4 θ + sin4 θ cos4 θ + sin4 θ c 1
È dunque soddisfatta la (b) del Corollario 3.2.9.]

Esercizio 3.6.4.
Dire se la funzione h : R2 → R,

2 4 2 2 4
 (x + y ) log(x + y ) se (x, y) 6= (0, 0)

h(x, y) =

 0 se (x, y) = (0, 0).
è continua.

[Sol.: La funzione h è continua in R2 \ {(0, 0)}.


Infatti: h|R2 \{(0,0)} = g ◦ f , con
f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) := x 2 + y 4 ,
e
g :]0, +∞[→ R, g (t ) = t 2 log t .
Essendo f e g funzioni continue, allora h|R2 \{(0,0)} è continua in quanto composizione di
funzioni continue.
Studiamo ora la continuità di h in (0, 0).
Definiamo
f : R2 → R, f (x, y) := x 2 + y 4 ,
e 
2
 t log t
 se t > 0
g : [0, +∞[→ R, g (t ) =

 0 se t = 0.
3.6. ESERCIZI 43

Abbiamo che h = g ◦ f ,
lim f (x, y) = lim x 2 + y 4 = 0, lim g (t ) = lim t 2 log t = 0.
(x,y)→(0,0) (x,y)→(0,0) t →0 t →0

Per il Teorema 3.4.3 si ha


lim h(x, y) = lim (g ◦ f )(x, y) = lim g ( f (x, y)) = lim g (t ) = 0.
(x,y)→(0,0) (x,y)→(0,0) (x,y)→(0,0) t →0

Essendo h(0, 0) = 0, la funzione h risulta continua in (0, 0). ]

Esercizio 3.6.5.
log(1 + x y)
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) |x| + y 2

log(1+x y)
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := |x|+y 2
.
Restringiamoci all’asse x:
log 1
lim f (x, 0) = lim = lim 0 = 0.
x→0 x→0 |x| x→0

Dunque se esiste il limite di f per (x, y) → (0, 0), esso deve essere 0.
Restringiamoci all’asse y:
log 1
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0.
y→0 y→0 y 2 y→0

Osserviamo che
R2 \ {0} = B ∪C ∪ D,
dove B = {(x, 0) : x ∈ R \ {0}}, C = {(0, y) : y ∈ R \ {0}} e D = {(x, y) ∈ R2 : x y 6= 0}.
Calcoliamo lim f |D (x, y). Si ha
(x,y)→(0,0)

log(1 + x y) log(1 + x y) x y
lim = lim
D3(x,y)→(0,0) |x| + y 2 D3(x,y)→(0,0) xy |x| + y 2
log(1 + x y) xy
= lim lim .
D3(x,y)→(0,0) xy D3(x,y)→(0,0) |x| + y 2

Per il Teorema 3.4.3 risulta facilmente


log(1 + x y) log(1 + t )
lim = lim = 1.
D3(x,y)→(0,0) xy t →0 t
Per il Teorema dei carabinieri:
¯ ¯
¯ xy
¯ = |x| · |y| ≤ 1 · |y| = |y|.
¯
0≤¯¯
2
− 0 ¯ |x| + y 2
|x| + y
Dato che
lim |y| = lim |y| = 0
D3(x,y)→(0,0) y→0
44 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

segue dal Teorema dei carabinieri che


xy
lim = 0.
D3(x,y)→(0,0) |x| + y 2

Concludiamo così che lim f |D (x, y) = 0.


(x,y)→(0,0)
Possiamo concludere, per il Teorema 3.2.5, si veda anche l’Osservazione 3.2.5, che
log(1 + x y)
∃ lim = 0.
(x,y)→(0,0) |x| + y 2

Esercizio 3.6.6 (FLOP, 3.2.3).


|x|α + |y|β
Calcolare, se esiste, lim al variare di α, β, γ, δ > 0.
(x,y)→(0,0) |x|γ + |y|δ
[Sol: 
 0
 se α > γ e β > δ ,
lim f (x, y) = 1 se α = γ e β = δ
(x,y)→(0,0)  +∞ se α < γ e β < δ

In tutti gli altri casi non esiste il limite.]

Esercizio 3.6.7 (I 10-01-2012AT).


y
Calcolare, se esiste, lim log2 .
(x,y)→(0,0) x(1 − y 2 )
[Sol: Per il dominio, vedi l’Esercizio 2.1.16. Non esiste il limite. Per dimostrarlo: restringersi
alle rette y = mx.]

Esercizio 3.6.8 (MS, 3.34).


Al variare di α ∈ R stabilire io dominio naturale della funzione
( |x y|α
2 2 se (x, y) 6= (0, 0),
f (x, y) = x +y
0 se (x, y) = (0, 0)
e determinare per quali α la f è continua in (0, 0).

[Sol: Per ogni α > 1.]

Esercizio 3.6.9. Calcolare, se esiste,


x3 + y 2
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + |y|
3.6. ESERCIZI 45

x3 + y 2
Sol.: Si ponga f (x, y) = . Il suo dominio è R2 \ {(0, 0)}. Se esiste il limite di f per
x 2 + |y|
(x, y) → (0, 0), esso è 0 (ad es. restingersi all’asse x).
Si ha
¯ x3 ¯ 2
¯ ¯
¯ ¯ ≤ |x| x ≤ |x|,
¯ x 2 + |y| ¯ x 2 + |y|
allora, per il Teorema dei carabinieri,
x3
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + |y|

Analogamente:
¯ y2 ¯
¯ ¯
|y|
¯ x 2 + |y| ¯ ≤ |y| x 2 + |y| ≤ |y|,
¯ ¯

allora, per il Teorema dei carabinieri,


y2
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + |y|

Risulta quindi
x3 + y 2 x3 y2
lim = lim + lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + |y| (x,y)→(0,0) x 2 + |y| (x,y)→(0,0) x 2 + |y|

Esercizio 3.6.10 (FLOP, 3.2.a1). Calcolare, se esiste,


x+y
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2

Risposta: il limite non esiste.

Esercizio 3.6.11 (FLOP, 3.2.a2). Calcolare, se esiste,


(x + y)2
lim p .
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
Risposta: il limite è 0.

Esercizio 3.6.12 (FLOP, 3.2.a3). Dimostrare che


x2 − x y + y 2 > 0 ∀(x, y) ∈ R2 \ {(0, 0)}
e calcolare, se esiste,
xy
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 − x y + y 2
46 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI

Suggerimento: (x ± y)2 ≥ 0.
Risposta: il limite non esiste.

Esercizio 3.6.13 (FLOP, 3.2.a4). Dimostrare che

x2 + x y + y 2 > 0 ∀(x, y) ∈ R2 \ {(0, 0)}

e calcolare, se esiste,
x3 − y 2
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + x y + y 2

Suggerimento: (x ± y)2 ≥ 0.
Risposta: il limite non esiste.

Esercizio 3.6.14 (FLOP, 3.2.a5). Dimostrare che

2x 2 − 2x y + y 2 > 0 ∀(x, y) ∈ R2 \ {(0, 0)}

e calcolare, se esiste,
x y 2 − 3x 3
lim .
(x,y)→(0,0) 2x 2 − 2x y + y 2

Suggerimento per il dominio: 2x 2 = x 2 + x 2 .


Suggerimento per il limite: usare le coordinate polari.
Risposta: il limite è 0.

Esercizio 3.6.15 (FLOP, 3.2.a6). Calcolare, se esiste,


x y2
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + y 4

Risposta: il limite non esiste.

Esercizio 3.6.16 (FLOP, 3.2.b). Sia f : B α → R, dove

B α = {(x, y) ∈ R2 : |y| < |x|α }

e
xy
f (x, y) = .
x2 − x y + y 2
Dimostrare che se α > 1
xy
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 − x y + y 2
3.6. ESERCIZI 47

Sugg.: Dimostrare dapprima che


x2 + y 2
x2 − x y + y 2 ≥ ∀(x, y) ∈ R2 \ {(0, 0)}
2
da cui ¯ ¯
¯ xy ¯ |x||y|
¯ x2 − x y + y 2 ¯ ≤ 2 x2 + y 2 .
¯ ¯

Esercizio 3.6.17 (FLOP, 3.2.b). Sia f : B α → R, dove


B α = {(x, y) ∈ R2 : |y| < |x|α }
e
xy
f (x, y) = .
x2 − x y + y 2
Dimostrare che se 0 < α ≤ 1
xy
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 − x y + y 2

Sugg.: Disegnare B α e accertarsi che è possibile restringersi a rette per (0, 0), quindi conclu-
dere.

Esercizio 3.6.18 (FLOP, 3.2.b). Sia f : B α → R, dove


B α = {(x, y) ∈ R2 : |y| < |x|α }
e
xy
f (x, y) = .
x2 − x y + y 2
Dimostrare che se 0 < α ≤ 1
xy
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 − x y + y 2

Sugg.: Disegnare B α e accertarsi che è possibile restringersi a rette.


CAPITOLO 4

Premesse di algebra lineare

4.1. Norme

Lemma 4.1.1 (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz).


Vale la seguente disuguaglianza, nota come disuguaglianza di Cauchy-Schwarz:
|〈x, y〉| ≤ kxkkyk ∀x, y ∈ Rn .

Definizione 4.1.2 (Norma di Frobenius di una matrice).


Sia A ∈ M m×n , A = (a i j ). Si chiama norma di Frobenius di A la seguente:
v
um n
uX X 2
kAkF := t ai j .
i =1 j =1

Lemma 4.1.3.
Siano A ∈ M m×n e v ∈ Rn . Allora
|Av| ≤ kAkF |v|.
D IMOSTRAZIONE .
Se denotiamo A j la j -esima riga di A, si ha, per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz,
v v v v
um um um un m
uX uX uX uX X
|Av| = t j 2
〈A , v〉 ≤ t j 2 2
|A | |v| = |v| t j 2
|A | = |v|t |a j i |2 ,
j =1 j =1 j =1 i =1 j =1

da cui la tesi. 

Definizione 4.1.4 (Norma di un operatore lineare).


Sia T ∈ L(Rn , Rm ). Si definisce norma di T la seguente:
kT k := max{|T (v)| : v ∈ Rn , |v| = 1}.
Se A ∈ M m×n , A = (a i j ), è la matrice associata a T , ossia tale che
T (v) = Av ∀v ∈ Rn .
si definisce kAk := kT k.
49
50 4. PREMESSE DI ALGEBRA LINEARE

Esercizio 4.1.5. Sia T ∈ L(Rn , Rm ). Dimostrare che

kT k = max{|T (v)| : v ∈ Rn , |v| ≤ 1}.

Qui sotto alcune utili proprietà delle norme: si ricordi la definizione di norma di Frobenius
di una matrice (v. Definizione 4.1.2),

Lemma 4.1.6.
Siano T ∈ L(Rn , Rm ), S ∈ L(Rm , Rp ) e siano, rispettivamente A ∈ M m×n , A = (a i j ), e B ∈ M p×m ,
B = (a hk ), le matrice a loro associate, ossia

T (v) = Av, S(u) = Bu ∀v ∈ Rn , u ∈ Rm .

Si hanno le seguenti:

vkT k|v| o, equivalentemente, |Av| ≤ kAk|v|,


(i) |T (v)| ≤
um n
uX X 2
(ii) kT k ≤ t a i j o, equivalentemente, kAk ≤ kAkF
i =1 j =1
(iii) kS ◦ T k ≤ kSk kT k o, equivalentemente, kB Ak ≤ kB kkAk.

Lemma 4.1.7.
Siano T ∈ L(Rn , Rm ), S ∈ L(Rm , Rn ) tali che S ◦ T = idRn . Allora T è iniettiva e n ≤ m.

D IMOSTRAZIONE .
T è iniettiva. Infatti, siano x, x 0 ∈ Rn tali che T (x) = T (x 0 ). Allora

x = S(T (x)) = S(T (x 0 )) = x 0 .

Dalla iniettività di T si ha ker T = {0}, da cui, per il Teorema del rango, dim Im T = n. Poiché
Im T ⊆ Rm deve quindi essere n ≤ m. 

Lemma 4.1.8.
Sia T ∈ L(Rn , Rm ), invertibile. Allora
(i) n = m,
(ii) kT k 6= 0, kT −1 k 6= 0,
(iii) per ogni v ∈ Rn
1
|T (v)| ≥ |v|.
kT −1 k
4.2. MATRICI 51

D IMOSTRAZIONE .
(i):
Segue immediatamente dal Lemma 4.1.7.
(ii):
Segue da (iii) del Lemma 4.1.6, dato che

0 6= k idRn k = kT −1 ◦ T k ≤ kT −1 k kT k

(iii):
Usando il Lemma 4.1.6 (i), per ogni v ∈ Rn

|v| = |T −1 ◦ T (v)| ≤ kT −1 k|T (v)|.

Dividendo per kT −1 k, che è non nullo per (ii), si conclude.




4.2. Matrici

4.2.1. Criterio di Sylvester.

Definizione 4.2.1. Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice reale. Si chiamano minori di testa i
seguenti minori:
 
µ ¶ a 11 a 12 a 13
a 11 a 12
a 11 , det , det  a 21 a 22 a 23  , · · · , det A.
 
a 21 a 22
a 31 a 32 a 33

Definizione 4.2.2 (Minore principale). Sia A ∈ M n×n una matrice quadrata. I minori princi-
pali sono i determinanti delle sottomatrici quadrate di A estratte da A selezionando righe e
colonne aventi gli stessi indici.

Teorema 4.2.3 (Criterio di Sylvester). Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice reale simmetrica.
Valgono le seguenti:

A è definita positiva ⇔ i minori di testa sono positivi (4.2.1)

A è definita negativa ⇔ i minori di testa di ordine pari sono positivi e quelli dispari negativi
(4.2.2)
A è semidefinita positiva ⇔ i minori principali sono maggiori o uguali a 0 (4.2.3)
"
i minori principali di ordine pari sono maggiori o uguali a 0
A è semidefinita negativa ⇔
i minori principali di ordine dispari sono minori o uguali a 0
(4.2.4)
52 4. PREMESSE DI ALGEBRA LINEARE

4.2.2. Matrici definite.

Definizione 4.2.4 (Matrice definita positiva).


Diciamo che A = (a i j ) ∈ M n×n è definita positiva se
〈Av, v〉 > 0 ∀v ∈ Rn \ {0}.

Teorema 4.2.5 (Caratterizzazione delle matrici definite positive).


Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata. Sono equivalenti le seguenti:
(a) A è definita positiva
(b) esiste λ > 0 tale che
〈Av, v〉 ≥ λ|v|2 ∀v ∈ Rn .

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Consideriamo la funzione F : Sn−1 → R,
n
X
F (v) := 〈Av, v〉 = ai j v i v j .
i , j =1

Tale funzione è continua ed è definita sull’insieme compatto Sn−1 . Esiste quindi


λ := min{F (v) : v ∈ Sn−1 }.
Essendo, per l’ipotesi (a), F > 0, sarà λ > 0. Abbiamo così dimostrato che
〈Av, v〉 ≥ λ ∀v ∈ Sn−1 .
v
Sia ora v ∈ Rn \ {0}. Essendo |v| ∈ Sn−1 si ha
v v
〈Av, v〉 = 〈A , 〉|v|2 ≥ λ|v|2 .
|v| |v|
La (b) è così dimostrata.
(b) ⇒ (a):
Ovvia. 

Teorema 4.2.6 (Caratterizzazione delle matrici simmetriche definite positive).


Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica. Sono equivalenti le seguenti:
(a) A è definita positiva
( b) A ha n autovalori reali (contati con la loro moltiplicità), tutti positivi
(c ) esiste λ > 0 tale che
〈Av, v〉 ≥ λ|v|2 ∀v ∈ Rn
4.2. MATRICI 53

(d) si ha
〈Av, v〉 ≥ λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove λ è il minimo degli autovalori A (che risulta essere positivo).
(e) si ha
λ|v|2 ≤ 〈Av, v〉 ≤ Λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove λ e Λ sono il minimo e il massimo degli autovalori A, (entrambi positivi)
(f) i minori di testa sono positivi:
 
µ ¶ a 11 a 12 a 13
a 11 a 12
a 11 > 0, det > 0, det  a 21 a 22 a 23  > 0, · · · , det A > 0
 
a 21 a 22
a 31 a 32 a 33

Teorema 4.2.7 (Caratterizzazione delle matrici simmetriche definite negative).


Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica. Sono equivalenti le seguenti:
(a) A è definita negativa
( b) A ha n autovalori reali (contati con la loro moltiplicità), tutti negativi
(c ) esiste Λ < 0 tale che
〈Av, v〉 ≤ Λ|v|2 ∀v ∈ Rn
(d) si ha
〈Av, v〉 ≤ Λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove Λ è il massimo degli autovalori A, che è negativo.
(e) si ha
λ|v|2 ≤ 〈Av, v〉 ≤ Λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove λ e Λ sono il minimo e il massimo degli autovalori A, entrambi negativi
(f) i minori di testa hanno segno alterno, partendo dal segno negativo:
 
µ ¶ a 11 a 12 a 13
a 11 a 12
a 11 < 0, det > 0, det  a 21 a 22 a 23  < 0,
 
a 21 a 22
a 31 a 32 a 33
½
< 0 se n è dispari
· · · , det A
> 0 se n è pari

Corollario 4.2.8 (Caratterizzazione di A > 0, con A ∈ M 2×2 ).


Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora

 a 11 µ> 0


A è definita positiva ⇔ a 11 a 12
 det a
 > 0.
21 a 22
54 4. PREMESSE DI ALGEBRA LINEARE

D IMOSTRAZIONE . Conseguenza del Teorema 4.2.6. 

Corollario 4.2.9 (Caratterizzazione di A < 0, con A ∈ M 2×2 ).


Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora

 a 11 µ< 0


A è definita negativa ⇔ a 11 a 12
 det a
 > 0.
21 a 22

D IMOSTRAZIONE . Conseguenza del Teorema 4.2.7. 


4.2.3. Matrici semidefinite.

Teorema 4.2.10 (Caratterizzazione di Sylvester per A ≥ 0).


Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica. Sono equivalenti le seguenti:
(a) A è semidefinita positiva
(b) tutti i minori principali di A sono non negativi.

D IMOSTRAZIONE . E’ il Criterio di Sylvester, vedi Teorema 4.2.3. 

Corollario 4.2.11 (Caratterizzazione di A ≥ 0, con A ∈ M 2×2 ).


Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora


 a 11 ≥ 0

 a ≥0
22
A è semidefinita positiva ⇔ µ ¶
 a 11 a 12
 det ≥ 0.


a 21 a 22
D IMOSTRAZIONE .
Per il Teorema 4.2.10 A è semidefinita positiva se e solo se tutti i suoi minori principali sono
maggiori o uguali a zero. I minori principali sono
µ ¶
a 11 a 12
a 11 , a 22 , det .
a 21 a 22
La tesi segue. 

Teorema 4.2.12 (Caratterizzazione di Sylvester per A ≤ 0).


Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica. Sono equivalenti le seguenti:
(a) A è semidefinita negativa
(b) tutti i minori principali di A di ordine dispari sono ≤ 0 e quelli di ordine pari sono
≥ 0.
4.2. MATRICI 55

Corollario 4.2.13 (Caratterizzazione di A ≤ 0, con A ∈ M 2×2 ).


Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora


 a 11 ≤ 0

 a ≤0
22
A è semidefinita negativa ⇔ µ ¶
 a 11 a 12
 det ≥ 0.


a 21 a 22

D IMOSTRAZIONE . Per il Teorema 4.2.12 A è semidefinita negativa se e solo se tutti i mi-


nori principali di A di ordine dispari sono ≤ 0 e quelli di ordine pari sono ≥ 0. I minori
principali di ordine dispari sono
a 11 , a 22 .

Di minori principali di ordine pari vi è solo


µ ¶
a 11 a 12
det .
a 21 a 22

La tesi segue. 

4.2.4. Teoremi sulle matrici indefinite.

Corollario 4.2.14 (Caratterizzazione di A ≤ 0, con A ∈ M 2×2 ).


Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora
µ ¶
a 11 a 12
A è indefinita ⇔ det <0
a 21 a 22

D IMOSTRAZIONE . Per i Teoremi 4.2.10 e 4.2.12, se A fosse semidefinita dovrebbe avere


determinante ≥ 0. La tesi segue. 

Teorema 4.2.15 (I Condizione sufficiente per le matrici simmetriche indefinite).


Sia A ∈ M n×n una matrice quadrata reale simmetrica. Se esiste un minore principale di ordine
pari che è negativo (< 0), allora A è indefinita.

D IMOSTRAZIONE . Per il Criterio di Sylvester, Teorema 4.2.3, una matrice semidefinita ha


i minori principali di ordine pari che sono ≥ 0. Quindi, l’ipotesi esclude che la matrice sia
semidefinita. Dunque la matrice è indefinita. 

Teorema 4.2.16 (II Condizione sufficiente per le matrici simmetriche indefinite).


56 4. PREMESSE DI ALGEBRA LINEARE

Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica, con det A 6= 0. Se esiste k ∈ {1, · · · , n}
tale che  
a 11 a 12 · · · a 1k
 
 
 
 a 21 a 22 · · · a 2k 
 
k è pari e det  ≤0 (4.2.5)
 
 . .. .. .. 
 .. . . . 


 
 
a k1 a k2 · · · a kk
allora A è indefinita.

D IMOSTRAZIONE . det A è il prodotto dei suoi autovalori reali. Essendo det A 6= 0, non
può esserci un autovalore nullo, allora la matrice simmetrica reale A o è definita (positiva o
negativa) o è indefinita.
Se A non fosse indefinita, dovrebbe essere definita, allora per i Teoremi 4.2.6 e 4.2.7 (preci-
samente dalle equivalenze (a)⇔(f )) si contraddirebbe l’ipotesi. 
4.2.5. Matrici simmetriche 2 × 2. Raduniamo qui le caratterizzazioni ottenute per le
matrici simmetriche di ordine 2
Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora

 a 11 µ> 0


A è definita positiva ⇔ a 11 a 12
 det > 0.
 a 21 a 22

 a 11 µ< 0


A è definita negativa ⇔ a 11 a 12
 det a
 > 0.
21 a 22


 a 11 ≥ 0

 a ≥0
22
A è semidefinita positiva ⇔ µ ¶
 a 11 a 12
 det ≥ 0.


a 21 a 22


 a 11 ≤ 0

 a ≤0
22
A è semidefinita negativa ⇔ µ ¶
 a 11 a 12
 det ≥ 0.


a 21 a 22
µ ¶
a 11 a 12
A è indefinita ⇔ det <0
a 21 a 22
CAPITOLO 5

Calcolo differenziale

5.1. Derivabilità

Definizione 5.1.1. Si chiama base canonica di Rn l’insieme

{e 1 , e 2 , · · · , e n }

dove
e i := (0, · · · , 0, |{z}
1 , 0, · · · , 0)
i
è detto i -esimo vettore della base canonica.

Definizione 5.1.2 (Derivabilità per funzioni a valori reali).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Diciamo che f è derivabile in x̄ rispetto alla variabile x i , se esiste ed è finito il seguente limite:
f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
lim . (5.1.1)
t →0 t
In tal caso il valore di tale limite si dice derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i e
si denota
∂f
(x̄), f xi (x̄), D xi f (x̄).
∂x i
Diciamo che f è derivabile in x̄ se esistono le derivate parziali di f in x̄ rispetto a tutte le
variabili (ossia rispetto a x 1 , x 2 ,..., x n ).

Si noti che il limite in (5.1.1) è, più esplicitamente, il seguente:


f (x̄ 1 , · · · , x̄ i −1 , x̄ i + t , x̄ i +1 , · · · , x̄ n ) − f (x̄ 1 , · · · , x̄ i −1 , x̄ i , x̄ i +1 , · · · , x̄ n )
lim .
t →0 t

Osservazione 5.1.3.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. La derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i
coincide con la derivata in 0 della funzione

t 7→ f (x̄ + t e i ).
57
58 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Infatti:
g (t ) − g (0) f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
lim = lim .
t →0 t t →0 t
Analogamente: la derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i coincide con la derivata
in x̄ i della funzione
s 7→ f (x̄ 1 , · · · , x̄ i −1 , s, x̄ i +1 , · · · , x̄ n ).

Definizione 5.1.4.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn insieme aperto.
Diciamo che f è derivabile se f è derivabile in ogni punto di A.

Definizione 5.1.5 (Gradiente).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn .
Se f è derivabile in x̄ ∈ A allora si chiama gradiente di f in x il vettore
¡ ¢
f x1 (x), · · · , f xn (x) .

Tale vettore si denota


grad f (x̄), ∇ f (x̄), D f (x̄).
Se f è derivabile, allora è ben definito il campo vettoriale

grad f : A → Rn , x 7→ grad f (x).

Esempio 5.1.6 (Esempio di funzione che è derivabile ma non è continua).


Si consideri
½
0 se x y = 0 ,
f (x, y) :=
1 se x y 6= 0.
La funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:
f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0
lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t

f non è continua in (0, 0). Infatti se ci si restringe alla bisettrice di equazione y = x

lim f (x, x) = lim 1 6= f (0, 0).


x→0 x→0

Un altro esempio di funzione che è derivabile, ma non continua, è il seguente.


5.2. DERIVATE DIREZIONALI 59

Esempio 5.1.7.
Si consideri f : Rn → R,
x2 y
(
x 4 +y 2
se (x, y) 6= (0, 0) ,
f (x, y) :=
0 se (x, y) = (0, 0)
Deduciamo dall’esercizio 3.2.6 che la funzione non è continua in (0, 0), dato che non esiste il
limite di f per (x, y) tendente a (0, 0).
D’altra parte la funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:
f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0
lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t

5.2. Derivate direzionali

Definizione 5.2.1 (Derivate direzionali).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Sia v ∈ Rn un versore. Diciamo che f ha la derivata direzionale in x̄ rispetto al versore v, se
esiste ed è finito il seguente limite:
f (x̄ + t v) − f (x̄)
lim . (5.2.1)
t →0 t
In tal caso il valore di tale limite si chiama derivata direzionale in x̄ rispetto al versore v e si
denota
∂f
(x̄), D v f (x̄).
∂v

Proposizione 5.2.2.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Le derivate parziali, se esistono, sono delle derivate
direzionali rispetto ai versori della base canonica. Precisamente si ha
∂f ∂f
(x̄) = (x̄) i ∈ {1, · · · , n}.
∂x i ∂e i

Esempio 5.2.3 (Esempio di funzione che è derivabile ma non ha tutte le derivate direzionali).

Si consideri ½
0 se x y = 0 ,
f (x, y) :=
1 se x y 6= 0.
La funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:
f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0
lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
60 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Ricordando che le derivate parziali sono le derivate direzionali nelle direzioni della base
canonica, abbiamo che esistono le derivate direzionali nelle direzioni e 1 := (1, 0) e e 2 := (0, 1).
Analogamente si ha che esistono le derivate direzionali nelle direzioni (−1, 0) e (0, −1):

f (−t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, −t ) − f (0, 0) 0−0


lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t

Consideriamo ora i rimanenti versori: v = (α, β) versore, con α · β 6= 0.


Abbiamo:
f (t α, t β) − f (0, 0) 1−0 1
lim = lim = lim ,
t →0 t t →0 t t →0 t

e il limite non esiste. Si noti che esiste, ma non è finito, il seguente limite:

f (t α, t β) − f (0, 0) 1
lim+ = lim = +∞.
t →0 t t →0 t

Esempio 5.2.4 (Esempio di funzione che ha tutte le derivate direzionali, ma non è continua).

Si consideri f : R2 → R,
x2 y
(
x 4 +y 2
se (x, y) 6= (0, 0) ,
f (x, y) :=
0 se (x, y) = (0, 0).

La funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:

f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0


lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t

Ricordando che le derivate parziali sono le derivate direzionali nelle direzioni della base
canonica, abbiamo che esistono le derivate direzionali nelle direzioni e 1 := (1, 0) e e 2 := (0, 1).
Analogamente si ha che esistono le derivate direzionali nelle direzioni (−1, 0) e (0, −1):

f (−t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, −t ) − f (0, 0) 0−0


lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t

Consideriamo ora i rimanenti versori: v = (α, β) versore, con α · β 6= 0.


Abbiamo:
t 3 α2 β t 3 α2 β
f (t α, t β) − f (0, 0) t 4 α4 +t 2 β2
−0 t 2 β2 α2
lim = lim = lim = ∈ R.
t →0 t t →0 t t →0 t β
5.3. DIFFERENZIABILITÀ 61

5.3. Differenziabilità

5.3.1. Definizione e caratterizzazioni.

Definizione 5.3.1 (Differenziabilità per funzioni a valori reali).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Diciamo che f è differenziabile in x̄, se esiste
un’applicazione lineare T ∈ L(Rn , R) tale che
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0. (5.3.1)
x→x̄ |x − x̄|
In tal caso l’applicazione T si denota d f (x̄).

Teorema 5.3.2 (Caratterizzazione dell’applicazione T ed esistenza delle derivate direzionali).

Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Sia f differenziabile in x̄, cioè tale che esista un’appli-
cazione lineare T ∈ L(Rn , R), dipendente da x̄, soddisfacente
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0. (5.3.2)
x→x̄ |x − x̄|
Allora valgono le seguenti:
(i) l’applicazione T è unica e
f (x̄ + t v) − f (x̄)
T (v) = lim v ∈ Rn , (5.3.3)
t →0 t
(ii) f è derivabile in x̄ e
T (e i ) = f xi (x̄)
per ogni e i versore della base canonica di Rn
(iii) per ogni v ∈ Rn è
T (v) = 〈∇ f (x̄), v〉.

D IMOSTRAZIONE .
(i)
Sia v ∈ Rn \ {0}.
Per la Proposizione 3.2.1, restringendosi all’insieme

B := {x ∈ A : x = x̄ + t v, con t ∈ R},

l’eguaglianza (5.3.2) implica


¡ ¢
f (x̄ + t v) − f (x̄) + T (t v)
lim = 0. (5.3.4)
t →0 |t v|
62 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per la linearità di T , per le proprietà dei limiti e delle norme


¡ ¢ ¡ ¢
f (x̄ + t v) − f (x̄) + T (t v) 1 f (x̄ + t v) − f (x̄) + t T (v)
lim = lim .
t →0 |t v| |v| t →0 |t |
Pertanto da (5.3.4) e dal fatto che |v| 6= 0 si ha
¡ ¢
f (x̄ + t v) − f (x̄) + t T (v)
lim =0
t →0 |t |
che è equivalente a ¡ ¢¯
¯ f (x̄ + t v) − f (x̄) + t T (v) ¯
¯
lim ¯¯ ¯=0
t →0 t ¯
cioè ¯ ¯
¯ f (x̄ + t v) − f (x̄) ¯
lim ¯¯ − T (v)¯¯ = 0.
t →0 t
Abbiamo così dimostrato (5.3.3) per v 6= 0. Se v = 0 l’uguaglianza (5.3.3) è ovvia, essendo
T (0) = 0 per la linearità di T .
Dalla (5.3.3) deduciamo che c’è una sola applicazione lineare T per la quale vale (5.3.2). In-
fatti, se ce ne fosse un’altra, T1 , diversa da T , che soddisfacesse (5.3.2) esisterebbe un vettore
v ∈ Rn \ {0} tale che T1 (v) 6= T (v) e quindi, per (5.3.3),
f (x̄ + t v) − f (x̄) f (x̄ + t v) − f (x̄)
lim = T (v), lim = T1 (v),
t →0 t t →0 t
contraddicendo così l’unicità del limite.
(ii):
La derivata parziale rispetto alla variabile x i è la derivata direzionale nella direzione e i (i -
esimo vettore della base canonica). Dunque
(i ) f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
T (e i ) = lim = f xi (x̄).
t →0 t
(iii):
Sia v = (v 1 , · · · , v n ) ∈ Rn . Dalla linearità di T , da (ii) abbiamo:
n n n
X X (i i ) X
T (v) = T ( v i e i ) = v i T (e i ) = v i f xi (x̄) = 〈∇ f (x̄), v〉.
i =1 i =1 i =1

5.3.2. Differenziale. Alla luce del Teorema 5.3.2, se una funzione f : A → R, è differen-
ziabile in x̄ ∈ A ⊆ Rn , allora l’applicazione lineare per la quale è soddisfatta (5.3.1) è unica e
la sua espressione è, per il Teorema 5.3.2,
d f (x̄)(v) = 〈∇ f (x̄), v〉 ∀v ∈ Rn .
A tale applicazione lineare viene dato il nome di differenziale di f in x̄. Più precisamente si
dà la seguente definizione.
5.3. DIFFERENZIABILITÀ 63

Definizione 5.3.3 (Differenziale di una funzione a valori reali).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Se f è differenziabile in x̄, chiamiamo differenziale di f in x̄ l’applicazione lineare d f (x̄) ∈
L(Rn , R),
d f (x̄)(v) := 〈∇ f (x̄), v〉 v ∈ Rn . (5.3.5)
Se poi A è un insieme aperto e f è differenziabile, allora si definisce differenziale di f la
funzione d f : A → L(Rn , R), tale che

d f (x)(v) = 〈∇ f (x), v〉 x ∈ A, v ∈ Rn .

Osservazione 5.3.4. Se per ogni i ∈ {1, 2, · · · , n} definiamo d x i : Rn → R,

d x i (v 1 , v 2 , · · · , v n ) = v i v = (v 1 , v 2 , · · · , v n ) ∈ Rn ,

è facile dimostrare che


d x i : Rn → R : i ∈ {1, 2, · · · , n} ,
© ª

costituisce una base di L(Rn , R).


Tenuto conto di ciò, e di (5.3.5), l’applicazione d f (x) ∈ L(Rn , R) della definizione 5.3.3 risulta
combinazione lineare dei {d x i } e si ha
n
X
d f (x) = f xi (x)d x i .
i =1

Corollario 5.3.5 (Caratterizzazione della differenziabilità).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Sono equivalenti le seguenti:
(a) f è differenziabile in x̄,
(b) f è derivabile in x̄ e
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉
lim = 0, (5.3.6)
x→x̄ |x − x̄|
(c) f è derivabile in x̄ e
¡ ¢
f (x̄ + h) − f (x̄) + 〈∇ f (x̄), h〉
lim =0
Rn 3h→0 |h|
(d) f è derivabile in x̄ e

f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|), per x → x̄. (5.3.7)


64 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
segue dal Teorema 5.3.2 e dal fatto che la derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i
è la derivata direzionale di f in x̄ nella direzione e i (i -esimo vettore della base canonica).
(b) ⇔ (c):
segue dal cambio di variabile x − x̄ = h (v. Teorema 3.4.3).
(b) ⇔ (d):
segue dalla definizione di o piccolo
(b) ⇒ (a):
Definiamo l’applicazione T : Rn → R, T (v) := 〈∇ f (x̄), v〉. Essa è un’applicazione lineare e
quindi dalla (5.3.6) otteniamo che la richiesta (5.3.1) è soddisfatta. 

Corollario 5.3.6.
Sia f : A → R, A ⊆ R, e sia x̄ ∈ int A.
Allora
f è derivabile in x̄ ⇔ f è differenziabile in x̄.

D IMOSTRAZIONE .
⇐: ovvia.
⇒:
Se f è derivabile in x̄ allora
f (x) − f (x̄)
µ ¶
0
lim − f (x̄) = 0
x→x̄ x − x̄
che è equivalente a
f (x) − f (x̄) + f 0 (x̄)(x − x̄)
¡ ¢
lim = 0,
x→x̄ x − x̄
che è vera se e solo se
¯ f (x) − f (x̄) + f 0 (x̄)(x − x̄) ¯
¯ ¡ ¢¯
lim ¯ ¯ = 0,
x→x̄ ¯ x − x̄ ¯

a sua volta equivalente a

¯ f (x) − f (x̄) + f 0 (x̄)(x − x̄) ¯


¯ ¡ ¢¯
lim ¯ ¯ = 0,
x→x̄ ¯ |x − x̄| ¯

che prova la differenziabilità di f in x̄, con d f (x̄)(h) = f 0 (x̄)h, per ogni h ∈ R. 


5.3. DIFFERENZIABILITÀ 65

5.3.3. Derivate direzionali di funzioni differenziabili. Immediata conseguenza del Teo-


rema 5.3.2 è che le derivate direzionali di una funzione differenziabile esistono e si possono
calcolare facilmente.

Teorema 5.3.7 (Derivate direzionali di funzioni differenziabili).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Allora
∂f
f è differenziabile in x̄ ⇒ f ha tutte le derivate direzionali in x̄ e (x̄) = 〈∇ f (x̄), ν〉.
∂ν
D IMOSTRAZIONE .
Immediata conseguenza del Teorema 5.3.2. 
Osservazione 5.3.8. Dal Teorema 5.3.7 si deduce che se f è differenziabile in x allora l’appli-
∂f
cazione ν 7→ ∂ν (x) è lineare. In particolare
∂f ∂f ∂f
(x) = (x) + (x).
∂(λ + ν) ∂λ ∂ν
L’Osservazione 5.3.8 dà un utile strumento per stabilire che una funzione non è differenzia-
bile.
Esercizio 5.3.9. Stabilire se la la funzione f : R2 → R,
( 2
x y
x 4 +y 2 se (x, y) 6= (0, 0) ,
f (x, y) :=
0 se (x, y) = (0, 0)
è differenziabile in (0, 0).
[Sol: Nell’Esempio 5.2.4 si è stabilito che
∂f α2
(0, 0) = ∀β 6= 0.
∂(α, β) β
Allora f non può essere differenziabile in (0, 0), perché se lo fosse avrebbe dovuto essere
∂f
(0, 0) = c 1 α + c 2 β
∂(α, β)
per qualche c 1 , c 2 ∈ R.]

Conseguenza del Teorema 5.3.7 è che il gradiente dà la direzione e il verso di massima pen-
denza.
Proposizione 5.3.10 (Gradiente e direzione di massima pendenza).
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Sia f differenziabile in x̄, con ∇ f (x̄) 6= 0. Allora, posto
∇ f (x̄)
µ := |∇ f (x̄)| , si ha
∂f ∂f
½ ¾
n
(x̄) = max (x̄) : ν versore di R .
∂µ ∂ν
66 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

D IMOSTRAZIONE .
Dal Teorema 5.3.7 si ha che per ogni versore ν è
∂f
(x̄) = 〈∇ f (x̄), ν〉.
∂ν
Per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz e ricordando che ν è un versore,
− ¯∇ f (x̄)¯ ≤ 〈∇ f (x̄), ν〉 ≤ ¯∇ f (x̄)¯ .
¯ ¯ ¯ ¯

∇ f (x̄)
Se ν = |∇ f (x̄)| si ha
〈∇ f (x̄), ν〉 = ¯∇ f (x̄)¯ .
¯ ¯

Abbiamo così dimostrato la tesi. 

Osservazione 5.3.11.
In virtù della Proposizione 5.3.10 si usa dire che ∇ f (x̄) indica la direzione e il verso di mas-
∇ f (x̄)
sima pendenza della f in x̄. Si noti che |∇ f (x̄)| è l’unico versore che realizza il massimo di
∂f
{ ∂ν (x̄) : ν versore di Rn }. Infatti, se u, v ∈ Rn sono vettori non nulli, allora
〈u, v〉 ≤ |u||v|
e vale l’uguale se e solo se u e v sono linearmente dipendenti ed equiorientati (ossia: esiste
t > 0 tale che v = t u). Infatti
〈u, v〉 = |u||v| cos θ
dove θ indica l’angolo, in radianti, formato dai due vettori e cos θ = 1 se e solo se esiste t > 0
tale che v = t u.

5.3.4. Differenziabilità e continuità.

Proposizione 5.3.12 (Differenziabilità implica continuità).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Allora
f differenziabile in x̄ ⇒ f continua in x̄.

D IMOSTRAZIONE .
Dal Corollario 5.3.5 (d) f è derivabile in x̄ e
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|) per x → x̄.
Quindi, ricordando che |o(|x − x̄|)| = o(|x − x̄|) per le regole degli o piccoli,
0 ≤ | f (x) − f (x̄)| ≤ |〈∇ f (x̄), x − x̄〉| + o(|x − x̄|) per x → x̄.
Usando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz, Lemma 4.1.1:
0 ≤ | f (x) − f (x̄)| ≤ |∇ f (x̄)| · |x − x̄| + o(|x − x̄|) per x → x̄.
5.3. DIFFERENZIABILITÀ 67

Dato che
lim |∇ f (x̄)| · |x − x̄| = 0, lim o(|x − x̄|) = 0,
x→x̄ x→x̄
concludiamo per il Teorema dei carabinieri che
lim | f (x) − f (x̄)| = 0
x→x̄
e da qui la tesi. 

Teorema 5.3.13.
Siano x̄ ∈ Rn , r > 0 e f : B (x̄, r ) → R derivabile, con le derivate parziali f xi : B (x̄, r ) → R
continue in x̄.
Allora f è differenziabile in x̄.

D IMOSTRAZIONE .
Siano x = (x 1 , · · · , x n ) ∈ B (x̄, r ) \ {x̄} e x̄ = (x̄ 1 , · · · , x̄ n ).
Definiamo x 0 = x, x n = x̄ e
x k := (x̄ 1 , · · · , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) k ∈ {1, 2, · · · , n − 1}.
osserviamo che
x k−1 − x k = (x̄ 1 , · · · , x̄ k−1 , x k , x k+1 , · · · , x n ) − (x̄ 1 , · · · , x̄ k−1 , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) = (x k − x̄ k )e k
dove e k è il k-esimo vettore della base canonica di Rn .
Consideriamo i segmenti
[x k , x k−1 ] := {x k + t (x k−1 − x k ) : t ∈ [0, 1]} = {x k + t (x k − x̄ k )e k : t ∈ [0, 1]} ⊆ B (x̄, r ),
Si ha
n
n
0
( f (x k−1 ) − f (x k )).
X
f (x) − f (x̄) = f (x ) − f (x ) = (5.3.8)
k=1
Possiamo supporre che sia x k−1 6= x k per ogni k. Se ci fosse infatti un k ∈ {1, · · · , n} per cui
x k−1 = x k , allora nella sommatoria verrebbe a mancare un addendo, e ci si limiterebbe a
considerare gli addendi restanti.
Per ogni k ∈ {1, 2, · · · , n} definiamo g k : [0, 1] → R,
g k (s) = f (x k + s(x k−1 − x k )) = f (x k + s(x k − x̄ k )e k ).
Tale funzione è derivabile in [0, 1], e si ha
g k0 (s) = (x k − x̄ k ) f xk (x k + s(x k − x̄ k )e k ). (5.3.9)
Infatti, per ogni s ∈ [0, 1],
g k (s + τ) − g k (s) f (x k + (s + τ)(x k − x̄ k )e k ) − f (x k + s(x k − x̄ k )e k )
lim = lim . (5.3.10)
τ→0 τ τ→0 τ
68 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Esso è zero, se x k = x̄ k . Se invece x k 6= x̄ k , denotando

x k + s(x k − x̄ k )e k =: y k ,

possiamo riscrivere (5.3.10) nel seguente modo:

f (x k + s(x k − x̄ k )e k + τ(x k − x̄ k )e k ) − f (x k + s(x k − x̄ k )e k )


lim
τ→0 τ
f (y k + τ(x k − x̄ k )e k ) − f (y k )
= lim
τ→0 τ
f (y k + τ(x k − x̄ k )e k ) − f (y k )
= (x k − x̄ k ) lim
τ→0 τ(x k − x̄ k )
= (x k − x̄ k ) f xk (y k ). (5.3.11)

Abbiamo così dimostrato (5.3.9).


Per ogni k possiamo quindi applicare il Teorema di Lagrange all’applicazione g k , deducendo
che esiste s k ∈ [0, 1] tale che

f (x k−1 ) − f (x k ) = g k (1) − g k (0) = g 0 (s k ) = (x k − x̄ k ) f xk (x k + s k (x k − x̄ k )e k ).

Inserendo tali uguaglianze in (5.3.8) otteniamo

n
f (x) − f (x̄) = f (x 0 ) − f (x n ) = (x k − x̄ k ) f xk (x k + s k (x k − x̄ k )e k ).
X
k=1

Studiamo ora la frazione che appare nella definizione della differenziabilità di f in x̄ k :


¡ ¢
f (x) − f (x̄) + 〈∇ f (x̄), (x − x̄)〉
|x − x̄|
n n
(x k − x̄ k ) f xk (x k + s k (x k − x̄ k )e k ) −
X X
(x k − x̄ k ) f xk (x̄)
k=1 k=1
=
|x − x̄|
n x − x̄ ³ ´
X k k k
= f xk (x + s k (x k − x̄ k )e k ) − f xk (x̄) . (5.3.12)
k=1 |x − x̄|

Ovviamente
¯ ¯
¯ x k − x̄ k ¯ |x k − x̄ k |
¯ |x − x̄| ¯ = |x − x̄| ≤ 1.
¯ ¯
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 69

Osserviamo che
|x k + s k (x k − x̄ k )e k − x̄|
≤ |(x̄ 1 , · · · , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) − (x̄ 1 , · · · , x̄ k , x̄ k+1 , · · · , x̄ n ) + s k (x k − x̄ k )e k |
≤ |(0, · · · , 0, s k (x k − x̄ k ), x k+1 − x̄ k+1 , · · · , x n − x̄ n )|
s
X n
= s k2 (x k − x̄ k )2 + (x i − x̄ i )2 ≤ |x − x̄|,
i =k+1

deduciamo dal Teorema dei Carabinieri che


lim |(x k + s k (x k − x̄ k )e k − x̄| = 0.
x→x̄

e quindi, per la continuità di f xk in x̄:


³ ´
k
lim f xk (x + s k (x k − x̄ k )e k ) − f xk (x̄) = 0.
x→x̄

Otteniamo che (prodotto di una funzione limitata per una infinitesima)


x k − x̄ k ³ ´
lim f xk (x k + s k (x k − x̄ k )e k ) − f xk (x̄) = 0
x→x̄ |x − x̄|

e dalla (5.3.12) segue ¡ ¢


f (x) − f (x̄) + 〈∇ f (x̄), (x − x̄)〉
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|
La differenziabilità di f in x̄ è così dimostrata.


Immediata conseguenza del Teorema 5.3.13 è il seguente risultato.

Corollario 5.3.14 (Legame tra C 1 , differenziabilità e continuità). Siano f : A → R, A ⊆ Rn


aperto.
Allora
f di classe C 1 ⇒ f differenziabile ⇒ f continua.

5.4. Calcolo differenziale: funzioni a valori vettoriali

Definizione 5.4.1 (Componenti di una funzione a valori vettoriali).


Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn , m ∈ N \ {0}.
Per ogni i ∈ {1, · · · , m}, denotiamo f i l’i -esima componente di f , cioè la funzione f i : A → R
tale che
f (x) = ( f 1 (x), · · · , f m (x)) x ∈ A.
70 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Definizione 5.4.2 (Derivabilità per funzioni a valori vettoriali).


Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Diciamo che f è derivabile in x̄ rispetto alla variabile x i , se esiste ed è un vettore di Rm il
seguente limite:
f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
lim . (5.4.1)
t →0 t
In tal caso il valore di tale limite si chiama derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i
e si denota
∂f
(x̄), f xi (x̄), D xi f (x̄).
∂x i
Diciamo che f è derivabile in x̄ se esistono le derivate parziale di f in x̄ rispetto alle variabili
x 1 , x 2 ,..., x n .

Definizione 5.4.3.
Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn insieme aperto.
Diciamo che f è derivabile se f è derivabile in ogni punto di A.

Definizione 5.4.4 (Differenziabilità per funzioni a valori vettoriali).


Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Diciamo che f è differenziabile in x̄ se esiste
un’applicazione lineare T ∈ L(Rn , Rm ) tale che
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0. (5.4.2)
x→x̄ |x − x̄|

Teorema 5.4.5.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(a) f è continua in x̄
(b) ogni componente di f è continua in x̄.

D IMOSTRAZIONE .
Viene immediatamente dalla Proposizione 3.4.2. 

Teorema 5.4.6.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(i) f ha la derivata parziale in x̄ rispetto alla variabile x i
(ii) ogni componente di f ha la derivata parziale in x̄ rispetto alla variabile x i
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 71

In tale caso il limite


f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
lim
t →0 t
si denota
∂f
(x̄), f xi (x̄), oppure D xi f (x̄).
∂x i
e risulta
∂ f1
 
 ∂x (x̄) 
 i 
 
 
 ∂f
2

 (x̄) 
∂f  ∂x i
 

(x̄) =  .
∂x i  

 .
..


 
 
 
 ∂ fm
 

(x̄)
∂x i
Definizione 5.4.7 (Matrice jacobiana).
Siano f : A → Rm , f = ( f 1 , · · · , f m ), m ≥ 1, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Diciamo che f è derivabile in x̄ se f ha le derivate parziali in x̄ rispetto a ogni variabile.
In tal caso si chiama matrice jacobiana di f in x̄ la matrice D f (x̄) ∈ M m×n così definita:
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
 
(x̄) (x̄) · · · (x̄) 
 ∂x 1 ∂x 2 ∂x n
  
∇ f 1 (x̄) 
   
  
  ∂ f2 ∂ f2 ∂ f2
  

 ∇ f 2 (x̄)   ( x̄) ( x̄) · · · ( x̄) 
   ∂x 1 ∂x 2 ∂x n


D f (x̄) =  = .
  
.

..
  
   .
. .
. . . .
.



 
  . . . .


   

∇ f m (x̄)  ∂ fm

∂ fm ∂ fm


(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n

Definizione 5.4.8.
Sia f : A → Rn , A ⊆ Rn , e sia f derivabile in x̄, punto interno di A.
Il determinante della matrice Jacobiana di f in x̄, che in questo caso è una matrice quadrata
di ordine n, si chiama Jacobiano di f .
72 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Teorema 5.4.9.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(a) f è differenziabile in x̄
(b) per ogni i ∈ {1, · · · , n} f i è differenziabile in x̄.
Inoltre, l’applicazione lineare T ∈ L(Rn , Rm ), soddisfacente
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0,
x→x̄ |x − x̄|
è tale che
 
∇ f 1 (x̄)
    
x1 x1
 
 
  ∇ f 2 (x̄) 
 x2   x2
  

T (x) = T (x 1 , · · · , x n ) = D f (x̄)  .  = 
 
  .. 
 ..  

.. .
 
.
  
xn 


 xn
 
∇ f m (x̄)
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
 
 ∂x (x̄) ∂x (x̄) · · · ∂x (x̄) 
 1 2 n 
 
 
 ∂f ∂ ∂

2 f 2 f 2
 x
1
 (x̄) (x̄) · · · (x̄) 
 ∂x 1 ∂x 2 ∂x n   x2
  

=  .
 .

 .
 

 .
.. .
.. . .. .
.. 

  xn
 
 
 ∂ fm ∂ fm ∂ fm
 

(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n
D IMOSTRAZIONE .
L’equivalenza di (a) e (b) risulta dalla Proposizione 3.4.2.
Da quanto dimostrato sopra, se ogni componente f j è differenziabile in x̄ allora f j è deriva-
bile in x̄ e l’applicazione T j ∈ L(Rn , R) che soddisfa
¡ ¢
f j (x) − f j (x̄) + T j (x − x̄)
lim =0
x→x̄ |x − x̄|
è tale che
 
v1
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1  v2 
µ ¶ 
T j (v) = 〈∇ f j (x̄), v〉 = (x̄) (x̄) · · · (x̄)  ..  v ∈ Rn .
∂x 1 ∂x 2 ∂x n  . 
 
vn
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 73

Ne deduciamo che
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
 
(x̄) (x̄) ··· (x̄) 
 ∂x 1 ∂x 2 ∂x n
  
〈∇ f 1 (x̄), v〉 
   
  
 ∂ f 2 (x̄) ∂ f2 ∂ f2
  
T1 (v) v1

   
  〈∇ f 2 (x̄), v〉  (x̄) ··· (x̄) 
T2 (v) ∂x 1 ∂x 2 ∂x n v2
    
      
T (v) =  .. =
  =  .. .
. .. .
   
   
.. .. ..
. ..
     
Tm (v) 

 
  . . . .

 vn
   

〈∇ f m (x̄), v〉  ∂ fm

∂ fm ∂ fm


(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n


Corollario 5.4.10.
Siano f : A → Rm , A ⊆ R, e sia x̄ ∈ int A.
f è derivabile in x̄ se e solo se f è differenziabile in x̄.

D IMOSTRAZIONE .
Segue dal Teorema 5.4.9 e dal Corollario 5.3.6. 

Definizione 5.4.11 (Differenziale di f a valori vettoriali).


Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Se f è differenziabile in x, chiamiamo differenziale di f in x l’applicazione lineare
d f (x) ∈ L(Rn , Rm ), d f (x)(v) := D f (x)v v ∈ Rn . (5.4.3)
Se poi A è un insieme aperto e f è differenziabile, allora si definisce differenziale di f la
funzione
d f : A → L(Rn , Rm ), d f (x)(v) = D f (x)v x ∈ A, v ∈ Rn .

Esercizio 5.4.12.
Sia f : Ω → Rm , con Ω ⊆ Rn aperto, tale che
f (x) = Ax ∀x ∈ Ω,
con A ∈ M m×n . Dimostrare che f è differenziabile (anzi, di classe C k per ogni k ≥ 1) e che,
per ogni x ∈ Ω, d f (x) ∈ L(Rn , Rm ) è l’applicazione lineare associata alla matrice A, ossia
d f (x)(v) = Av ∀v ∈ Rn .
74 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Proposizione 5.4.13 (Derivabilità e differenziabilità di una somma).


Siano f , g : A → Rm , f = ( f 1 , · · · , f m ), g = (g 1 , · · · , g m ), A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A e λ ∈ R.
Se f e g sono derivabili/differenziabili in x̄ allora
(i) λ f è derivabile/differenziabile in x̄ e, per ogni i ∈ {1, · · · , n} e j ∈ {1, · · · , m},
j
(λ f j )xi (x̄) = λ f xi (x̄), d (λ f )(x̄) = λd f (x̄),
(ii) f + g è derivabile/differenziabile in x̄ e
( f + g )xi (x̄) = f xi (x̄) + g xi (x̄), d ( f + g )(x̄) = d f (x̄) + d g (x̄).

D IMOSTRAZIONE .
(i): segue dall’Osservazione 5.1.3. I dettagli sono lasciati al lettore.
(ii)1 :
j j
Siano i ∈ {1, · · · , n} e j ∈ {1, · · · , m}. Se esistono le derivate parziali per ogni f xi e g xi in x̄,
ricordando che esse sono delle derivate di funzioni di una variabile (v. Osservazione 5.1.3),
j
allora esiste ( f + g )xi in x̄ e
j j j
( f + g )xi (x̄) = f xi (x̄) + g xi (x̄). (5.4.4)
(ii)2 :
Per ipotesi esistono i differenziali di f e g in x̄ e
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + D f (x̄)(x − x̄)
lim =0
x→x̄ |x − x̄|
¡ ¢
g (x) − g (x̄) + D g (x̄)(x − x̄)
lim = 0,
x→x̄ |x − x̄|
dove D f (x̄) e D g (x̄) sono le matrici Jacobiane di f e g in x̄.
Sommando si ha, per le proprietà dei limiti e delle matrici rispetto alla somma:
¡ ¢
( f + g )(x) − ( f + g )(x̄) + (D f (x̄) + D g (x̄))(x − x̄)
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|
Essendo
(5.4.4)
(D f (x̄) + D g (x̄))(v) = D( f + g )(x̄)(v), (5.4.5)
deduciamo che ¡ ¢
( f + g )(x) − ( f + g )(x̄) + D( f + g )(x̄)(x − x̄)
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|
L’applicazione T : R → Rm ,
n

T (v) = D( f + g )(x̄)(v) v ∈ Rn
è lineare. Dunque f + g è differenziabile in x̄ e
(5.4.5)
d ( f + g )(x̄) = d f (x̄) + d g (x̄).

5.5. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI DIFFERENZIABILI 75

5.5. Composizione di funzioni differenziabili

In generale, la composizione di due funzioni derivabili può non essere derivabile.

Esempio 5.5.1 (La composizione di due funzioni derivabili può non essere derivabile).
Si consideri la funzione dell’Esempio 5.1.7:
Sia f : R → R2 , f (t ) = (t , t 2 ). Si noti che f (0) = (0, 0). f è un funzione di una variabile reale ed
è derivabile (N.B. anche differenziabile, essendo funzione di una variabile).
Sia g : R2 → R,
( 2
x y
se (x, y) 6= (0, 0) ,
g (x, y) = x 4 +y 2
0 se (x, y) = (0, 0)
La funzione g non è continua in (0, 0) (v. Esempio 5.1.7), quindi non è differenziabile per il
Teorema 5.3.13. È però derivabile in (0, 0) e ∇g (0, 0) = (0, 0).
Si ha g ◦ f : R → R,
t4
(
t 4 +t 4
= 21 se t 6= 0 ,
g ◦ f (t ) =
0 se t = 0
Dunque, la funzione g ◦ f non è continua, né derivabile in 0.

E’ però vero che la composizione di due funzioni differenziabili è differenziabile. Prima di


enunciare questo risultato, diamo una caratterizzazione delle funzioni differenziabili. Si sot-
tintenderà che la norma dello spazio vettoriale delle matrici M (m, n) di numeri reali è quella
di Frobenius, vedi Definizione 4.1.2, da cui la seguente definizione di continuità.

Definizione 5.5.2. Sia Φ : A → M (m, p), A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A.


Diciamo che Φ è continua in x̄ se
lim kΦ(x) − Φ(x̄)kF = 0.
x→x̄

Proposizione 5.5.3 (13-10-2021). Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A.


Sono equivalenti le seguenti:
(a) f è differenziabile in x̄
(b) esiste Φ : A → M (m, n), Φ continua in x̄, tale che
f (x) = f (x̄) + Φ(x)(x − x̄) ∀x ∈ A.
In tal caso,
Φ(x̄) = D f (x̄).

D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso m = 1.
(b) ⇒ (a):
Supponiamo (b).
76 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per ogni h ∈ Rn tale che x̄ + h ∈ A si ha

f (x̄ + h) = f (x̄) + Φ(x)h


= f (x̄) + Φ(x̄)h + (Φ(x̄ + h) − Φ(x̄))h

Per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz e per la continuità di Φ in x̄

|(Φ(x̄ + h) − Φ(x̄))h| kΦ(x̄ + h) − Φ(x̄)k khk


≤ = kΦ(x̄ + h) − Φ(x̄)k → 0.
khk khk h→0

Pertanto
f (x̄ + h) = f (x̄) + Φ(x̄)h + o(khk) per h → 0.

Ciò dimostra che f è differenziabile in x̄ e che

∇ f (x̄) = Φ(x̄)t .

(a) ⇒ (b):
Facciamo la dimostrazione nel caso m = 1.
Definiamo la funzione

w : A → R, w(x) = f (x) − f (x̄) − 〈∇ f (x), x − x̄〉.

Definiamo ora
(
x−x̄
∇ f (x̄) + w(x) kx− se x ∈ A \ {x̄}
ψ : A → Rn , ψ(x) = x̄k2
∇ f (x̄) se x = {x̄}

Ovviamente
x = x̄ ⇒ f (x) = f (x̄) = f (x̄) + 〈ψ(x), x − x̄〉.

Se x 6= x̄
x − x̄
〈ψ(x), x − x̄〉 = 〈∇ f (x̄) + w(x) , x − x̄〉
kx − x̄k2
= 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + w(x) = f (x) − f (x̄)

da cui
f (x) = f (x̄) + 〈ψ(x), x − x̄〉 se x 6= x̄

Abbiamo così dimostrato che

f (x) = f (x̄) + 〈ψ(x), x − x̄〉 ∀x ∈ A. (5.5.1)


5.5. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI DIFFERENZIABILI 77

Dimostriamo che ψ è continua in x̄. Per x 6= x̄ risulta

kψ(x) − ψ(x̄)k = kψ(x) − ∇ f (x̄)〉k


° °
° x − x̄ °
= °∇ f (x̄) + w(x)
° − ∇ f ( x̄)〉 °
kx − x̄k2 °
° °
° x − x̄ °° = |w(x)| .
=° w(x) 2
° kx − x̄k ° kx − x̄k
Dalla differenziabilità di f si ha che w(x) = o(kx − x̄k) per x → x̄, quindi si ha
|w(x)|
lim kψ(x) − ψ(x̄)k = lim = 0.
x→x̄ x→x̄ kx − x̄k

Teorema 5.5.4.
Sia f : A → Rm , A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A.
Sia g : B → Rp , B ⊆ Rm , f (A) ⊆ B , f (x̄) ∈ int B .
Se f è differenziabile in x̄ e g è differenziabile in f (x̄), allora
(a) g ◦ f : A → Rp è differenziabile in x̄

(b) le matrici Jacobiane soddisfano l’identità

D(g ◦ f )(x̄) = D g ( f (x̄))D f (x̄) (5.5.2)

(c) l’applicazione lineare d (g ◦ f )(x̄) : Rn → Rp soddisfa

d (g ◦ f )(x̄) = d g ( f (x̄)) ◦ d f (x̄).

VERS . 13-10-2021.
(a):
Per la Proposizione 5.5.3 esistono

Φ : A → M (m, n), Φ continua in x̄, Φ(x̄) = D f (x̄)

e
Ψ : B → M (p, m), Ψ continua in f (x̄), Ψ( f (x̄)) = D g ( f (x̄))

tali che
f (x) = f (x̄) + Φ(x)(x − x̄) ∀x ∈ A. (5.5.3)

e
g (y) = g ( f (x̄)) + Ψ(y)(y − f (x̄)) ∀y ∈ B. (5.5.4)
78 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Si ha quindi:
(5.5.4)
g ◦ f (x) = g ( f (x)) = g ( f (x̄)) + Ψ( f (x))( f (x) − f (x̄))
(5.5.3)
= g ( f (x̄)) + Ψ( f (x))(Φ(x)(x − x̄))
= g ◦ f (x̄)) + (Ψ( f (x))Φ(x))(x − x̄) ∀x ∈ A.

Si noti che
β
x 7→ Ψ( f (x))Φ(x)
è una funzione da A a M (p, n).
Per concludere, resta da dimostrare che β è continua in x̄. Ciò segue dal fatto che, essendo f
differenziabile in x̄ e g differenziabile in f (x̄),
(i) Φ continua in x̄
(ii) f continua in x̄ (da Proposizione 5.3.12)
(iii) Ψ continua in f (x̄)
e tenendo conto che (ii) e (iii) implicano

x 7→ Ψ( f (x)) è continua in x̄,

in quanto composizione di funzioni continue.


Per la Proposizione 5.5.3 la funzione g ◦ f : A → Rp risulta così differenziabile in x̄ e

D(g ◦ f )(x̄) = Ψ( f (x̄))Φ(x̄) = D g ( f (x̄))D f (x̄).


Conseguenza del Corollario 5.4.10 e Teorema 5.5.4 è il seguente risultato.

Corollario 5.5.5.
Sia γ : I → Rm , I intervallo di R, t̄ ∈ int I .
Sia f : B → Rp , B ⊆ Rm , γ(I ) ⊆ B , γ(t̄ ) ∈ int B .
Se γ è derivabile in t̄ e f è differenziabile in γ(t̄ ), allora f ◦ γ : I → Rp è differenziabile in t̄ e

D( f ◦ γ)(t̄ ) = D f (γ(t̄ ))γ0 (t̄ ).

D IMOSTRAZIONE .
Segue dal Corollario 5.4.10 e dal Teorema 5.5.4 e dal fatto che

D( f ◦ γ)(t̄ ) = D f (γ(t̄ ))Dγ(t̄ ) = D f (γ(t̄ ))γ0 (t̄ ).

Immediata conseguenza del Teorema 5.5.4 è il seguente risultato.


5.5. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI DIFFERENZIABILI 79

Corollario 5.5.6.
Siano A ⊆ Rn aperto
f : A → Rm , f (x) = ( f 1 (x 1 , · · · , x n ), f 2 (x 1 , · · · , x n ), · · · , f m (x 1 , · · · , x n )),
g : B → R, g (y) = g (y 1 , y 2 , · · · , y m ).
Se f e g sono differenziabili e f (A) ⊆ B , allora g ◦ f : A → R è differenziabile e
∂(g ◦ f ) Xm ∂g ∂fj
(x̄) = ( f (x̄)) (x̄).
∂x i j =1 ∂y j ∂x i

Corollario 5.5.7 (Composizione di funzioni C 1 ).


Sia f : A → Rm , A insieme aperto di Rn ,
Sia g : B → Rp , B insieme aperto di Rm , f (A) ⊆ B .
Se f e g sono di classe C 1 , allora g ◦ f : A → Rp è di classe C 1 (quindi anche differenziabili),
d (g ◦ f )(x) = d g ( f (x)) ◦ d f (x), D(g ◦ f )(x) = D g ( f (x))D f (x) ∀x ∈ A.

D IMOSTRAZIONE . Se f ∈ C 1 (A) e g ∈ C 1 (B ), allora esse sono in particolare differenziabili


e quindi, g ◦ f è differenziabile per il Teorema 5.5.4. Vale dunque la formula (b) in Teorema
5.5.4. Da essa si deduce che g ◦ f è C 1 , essendo le derivate parziali di g ◦ f somme di prodotti
di funzioni continue. 

Osservazione 5.5.8.
Sia f : A → Rm , A insieme aperto di Rn , f derivabile.
Sia g : B → Rp , B insieme aperto di Rm , f (A) ⊆ B , g derivabile.
In generale, non è vero che la composizione g ◦ f : A → Rp sia derivabile, come mostra il
seguente esempio.

5.5.1. Derivata sotto il segno di integrale. Una applicazione importante della proprietà
della composizione di funzioni regolari è quella che passa col nome di derivazione sotto il
segno di integrale.

Teorema 5.5.9.
Siano A ⊆ Rn un aperto, α, β : A → R due funzioni continue e f : A × R → R continua.
Sia Φ : A → R  β(x)
Φ(x) = f (x, t ) d t x ∈ A.
α(x)
Valgono le seguenti:
(a) Φ è continua
80 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

(b) se α, β ∈ C 1 e per ogni i ∈ {1, · · · , n} esiste f xi ∈ C 1 (A × R), allora Φ ∈ C 1 (A) e, per ogni
x ∈ A,
 β(x)
∂Φ ∂β ∂α ∂f
(x) = f (x, β(x)) (x) − f (x, α(x)) (x) + (x, t ) d t .
∂x i ∂x i ∂x i α(x) ∂x i

D IMOSTRAZIONE .
Sia F : A × R × R → R,
 z
F (x, y, z) := f (x, t ) d t x ∈ A ⊆ Rn , y, z ∈ R.
y

(a):
Dimostriamo che F è continua. Sia (x 0 , y 0 , z 0 ) ∈ A × R × R. Sia K ⊆ A un compatto tale x 0 ∈
int K . Siano a, b ∈ R tali che y, z ∈]a, b[. Allora

K × [a, b] × [a, b] è compatto in A × R × R, (x 0 , y 0 , z 0 ) ∈ int(K × [a, b] × [a, b]).

Per il Teorema di Weierstrass

∃M > 0 : | f (x, t )| ≤ M ∀(x, t ) ∈ K × [a, b]. (5.5.5)

Per ogni (x, y, z) ∈ K × [a, b] × [a, b] si ha, per la proprietà di additività e di monotonia dell’in-
tegrale di Riemann (v. A.M.1B)
¯  z0 ¯
¯ z ¯
|F (x, y, z) − F (x 0 , y 0 , z 0 )| = ¯ f (x, t ) d t − f (x, t ) d t ¯
¯ ¯
¯ y y0 ¯
¯  z0  z  z0 ¯
¯ y0 ¯
≤¯ f (x, t ) d t + f (x, t ) d t + f (x, t ) d t − f (x 0 , t ) d t ¯
¯ ¯
¯ y y0 z0 y0 ¯
¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y0 ¯ ¯ z0 ¡ ¢ ¯¯ ¯ z
¯
¯
≤¯ f (x, t ) d t ¯ + ¯ f (x, t ) − f (x 0 , t ) d t ¯ + ¯¯ f (x, t ) d t ¯¯
¯ ¯ ¯
¯ y ¯ ¯ y0 ¯ z0
¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y0 ¯ ¯ z0 ¯ ¯ ¯¯ ¯ z
¯
¯
≤¯ | f (x, t )| d t ¯ + ¯ f (x, t ) − f (x 0 , t ) d t ¯ + ¯ | f (x, t )| d t ¯¯ .
¯ ¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y ¯ ¯ y0 ¯ z0

Usando (5.5.5) si ottiene


¯ ¯
¯ z0 ¯ ¯ ¯¯
|F (x, y, z) − F (x 0 , y 0 , z 0 )| ≤ M |y − y 0 | + ¯ ¯ f (x, t ) − f (x 0 , t )¯ d t ¯ + M |z − z 0 |. (5.5.6)
¯
¯ y0 ¯

Consideriamo la funzione f |K ×[a,b] : K ×[a, b] → R. Essa è continua con dominio il compatto


K × [a, b]. Allora, è una funzione uniformemente continua, per il Teorema di Heine-Cantor.
Dunque, per ogni ² > 0 esiste δ > 0 tale che

| f (x 1 , t 1 ) − f (x 2 , t 2 )| < ² ∀(x 1 , t 1 ), (x 2 , t 2 ) ∈ K × [a, b], con k(x 1 , t 1 ) − (x 2 , t 2 )k < δ.


5.5. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI DIFFERENZIABILI 81

Scegliendo (x 1 , t 1 ) = (x, t ) e (x 2 , t 2 ) = (x 0 , t ) si ha

| f (x, t ) − f (x 0 , t )| < ² ∀x, x 0 ∈ K , |x − x 0 | < δ, ∀t ∈ [a, b].

Tutto ciò considerato, si ha da (5.5.6) che, fissato ²0 > 0, tale che

]y 0 − ²0 , y 0 + ²0 [⊆]a, b[, ]z 0 − ²0 , y 0 + ²0 [⊆]a, b[,

per ogni ² ∈]0, ²0 [ esiste δ > 0 tale che


¯ ¯
¯ z0 ¯
|F (x, y, z) − F (x 0 , y 0 , z 0 )| ≤ 2M ² + ¯ ² d t ¯ = 2M ² + ²|y 0 − z 0 | ≤ (2M + b − a)²
¯ ¯
¯ y0 ¯

per ogni y ∈]y 0 −², y 0 −²[⊂ [a, b] e per ogni z ∈]z 0 −², z 0 −²[⊂ [a, b] e per ogni x ∈ K , |x−x 0 | < δ.
Ciò significa che

F (x, y, z) → F (x 0 , y 0 , z 0 ) per (x, y, z) → (x 0 , y 0 , z 0 ).

(b):
Dimostriamo che F ∈ C 1 (A × R × R) e che per ogni x ∈ A e per ogni y, z ∈ R,
 z
∇x F (x, y, z) = ∇x f (x, t ) d t , F y (x, y, z) = − f (x, z), F z (x, y, z) = f (x, z). (5.5.7)
y

Dervabilità rispetto a z: per il Teorema fondamentale del calcolo integrale, per ogni x ∈ A,
 z
∀y ∈ R z 7→ f (x, t ) d t è derivabile rispetto a z
y

e
∂F
∀y ∈ R (x, y, z) = f (x, z).
∂z
Tale derivata è una funzione continua perché f è continua per ipotesi.
Dervabilità rispetto a y: essendo
 z  y
f (x, t ) d t = − f (x, t ) d t ,
y z

ragionando come sopra si ha che, per ogni x ∈ A,


 z
∀z ∈ R y 7→ f (x, t ) d t è derivabile rispetto a y
y

e
∂F
∀z ∈ R (x, y, z) = − f (x, y).
∂y
Tale derivata è una funzione continua perché f è continua per ipotesi.
82 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Dimostriamo ora la derivabilità di F rispetto a x i , con i ∈ {1, · · · , n}. Siano y, z ∈ R, x ∈ A e sia


δ > 0 tale che B (x, δ) ⊆ A. Per ogni h ∈] − δ, δ[
 z
F (x + he i , y, z) − F (x, y, z) f (x + he i , t ) − f (x, t )
= dt.
h y h
Per il Teorema di Lagrange (di A.M.1A), per ogni t ∈ R esiste θ(t , h) ∈]0, 1[ tale che
f (x + he i , t ) − f (x, t )
= f xi (x + θ(t , h)he i , t ),
h
da cui

∀t ∈ [min{y, z}, max{y, z}], ∀h ∈] − δ, δ[ ∃θ(t , h) ∈]0, 1[ :


 z
F (x + he i , y, z) − F (x, y, z)
= f xi (x + θ(t , h)he i , t ) d t . (5.5.8)
h y

Essendo per ipotesi (x, t ) 7→ f xi (x, t ) continua in A × R, in particolare è continua la sua restri-
zione
f xi : K → R, K := [x − δe i , x + δe i ] × [min{y, z}, max{y, z}].
Si noti che K è un compatto, allora per il Teorema di Heine-Cantor, f xi |K è uniformemente
continua. Pertanto, per ogni ² > 0 esiste δ1 ∈]0, δ] tale che

| f xi (x + θ(t , h)he i , t ) − f xi (x, t )| < ² ∀h ∈] − δ1 , δ1 [, ∀t ∈ [min{y, z}, max{y, z}]. (5.5.9)

Allora, per ogni ² > 0 esiste δ1 ∈]0, δ] tale che


¯ F (x + he , y, z) − F (x, y, z)  z
¯ ¯
¯
i
− f xi (x, t ) d t ¯
¯ ¯
¯
¯ h y ¯
¯ ¯ ¯ ¯
¯ z¡ ¯ ¯ z¯ ¯
(5.5.8) ¯
f xi (x + θ(t , h)he i , t ) − f xi (x, t ) d t ¯ ≤ ¯ ¯ f x (x + θ(t , h)he i , t ) − f x (x, t )¯ d t ¯¯
¢ ¯
= ¯
¯ ¯
i i
¯ y ¯ ¯ y ¯
(5.5.9)
≤ ²|z − y| ∀h ∈] − δ1 , δ1 [.
Dunque,
 z
F (x + he i , y, z) − F (x, y, z)
lim = f xi (x, t ) d t
h→0 h y
e si è dimostrata così la derivabilità di F rispetto a x i , con i ∈ {1, · · · , n}, che
 z
F xi (x, y, z) = f xi (x, t ) d t
y

e che tale derivata è continua per quanto dimostrato in (a).


Derivabilità di Φ:
5.6. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE 83

Essendo
 β(x)
Φ(x) := f (x, t ) d t = F (x, α(x), β(x)) x ∈ A,
α(x)

ed essendo α, β ∈ C 1 (A), per il Corollario 5.5.7,


n
Φxi (x) = F x j (x, α(x), β(x)) + F y (x, α(x), β(x))αxi (x) + F z (x, α(x), β(x))βxi (x)
X
j =1

per ogni x ∈ A, da cui, per (5.5.7),


n
 β(x)
Φxi (x) = f x j (x, t ) d t − f (x, α(x))αxi (x) + F z (x, β(x))βxi (x).
X
j =1 α(x)

5.6. Derivate di ordine superiore

Definizione 5.6.1.
Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto di Rn . Sia f derivabile rispetto alla variabile x i .
∂f
Se ∂x : A → R è derivabile in x̄ ∈ A allora sono definite
i

∂ ∂f ∂ ∂f ∂ ∂f ∂ ∂f
( )(x̄), ( )(x̄), ··· ( )(x̄), ··· ( )(x̄)
x 1 ∂x i x 2 ∂x i x i ∂x i x n ∂x i
che si usano scrivere
∂2 f ∂2 f ∂2 f ∂2 f
(x̄), (x̄), ··· (x̄) ··· (x̄)
∂x 1 ∂x i ∂x 2 ∂x i ∂x i2 ∂x n ∂x i

o più semplicemente,

f xi x1 (x̄), f xi x2 (x̄), ··· f xi xi (x̄), · · · f xi xn (x̄).

Tali derivate si dicono derivate (parziali) di f del secondo ordine.

Ovviamente, ragionando come sopra si possono definire, quando esistono, le derivate di


ordine superiore a due.

Definizione 5.6.2.
Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto di Rn . Diciamo che f è di classe C k , k ≥ 1, e scriviamo
f ∈ C k (A), se esistono tutte le derivate di f fino all’ordine k e queste sono continue.
Si usa dire che f è di classe C 0 , se f è continua.

Definizione 5.6.3.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A,
84 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Se esistono tutte le derivate parziali del secondo ordine di f in x̄ (esse sono n×n), si definisce
matrice hessiana di f in x̄ la seguente matrice quadrata di ordine n:
 
f x1 x1 (x̄) f x1 x2 (x̄) · · · f x1 xn (x̄)
 
 
 
 f x2 x1 (x̄) f x2 x2 (x̄) · · · f x2 xn (x̄) 
 
D 2 f (x̄) =  .
 

 .
.. .
.. . .. .
..


 
 
 
f xn x1 (x̄) f xn x2 (x̄) · · · f xn xn (x̄)
Il suo determinante si chiama Hessiano di f in x̄, a volte indicato H f (x̄).

Teorema 5.6.4 (Teorema di Schwarz: I versione).


Sia f : A → R, A aperto di Rn . Se esistono i , j ∈ {1, . . . , n} tali che
(i) esistono f xi e f x j
(ii) f xi e f x j sono differenziabili in x̄ ∈ A,
allora
f xi x j (x̄) = f x j xi (x̄).

D IMOSTRAZIONE .
Iniziamo la dimostrazione considerando il caso n = 2. Dimostriamo cioè il seguente risulta-
to:
Se f : A → R, A aperto di R2 .
(i) esistono f x e f y
(ii) f x e f y sono differenziabili in (x̄, ȳ) ∈ A,
allora
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).

Essendo A aperto esiste r 6= 0 tale che [x̄ − |r |, x̄ + |r |] × [ ȳ − |r |, ȳ + |r |] ⊆ A.


Definiamo F : [0, 1] → R, G : [0, 1] → R,
F (t ) := f (x̄ + t r, ȳ + r ) − f (x̄ + t r, ȳ), G(t ) := f (x̄ + r, ȳ + t r ) − f (x̄, ȳ + t r ).
Osserviamo che F (1) − F (0) = G(1) −G(0), infatti:
¡ ¢
F (1) − F (0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ)
e
¡ ¢
G(1) −G(0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ) .
5.6. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE 85

Occupiamoci della funzione F . La funzione F è derivabile. Infatti, se definiamo f˜ : [x̄ −|r |, x̄ +


|r |] → R
f¯(x) = f (x, ȳ + r ) − f (x, ȳ),
e γ : [0, 1] → [x̄ − |r |, x̄ + |r |],
γ(t ) = x̄ + t r,
risulta F = f¯ ◦ γ : [0, 1] → R. f¯ è una funzione di una variabile reale e derivabile e
f¯0 (x) = f x (x, ȳ + r ) − f x (x, ȳ).
γ è ovviamente derivabile e γ0 (t ) = r . Pertanto F è composizione di funzioni derivabili e per
ogni t ∈ [0, 1] si ha
F 0 (t ) = f¯0 (γ(t ))γ0 (t ) = f x (x̄ + t r, ȳ + r ) − f x (x̄ + t r, ȳ) r.
¡ ¢

Per il Teorema di Lagrange esiste ξ ∈]0, 1[ tale che


F (1) − F (0) = F 0 (ξ). (5.6.1)
Si ha
F 0 (ξ) = ( f˜ ◦ γ)0 (ξ) = f x (x̄ + ξr, ȳ + r ) − f x (x̄ + ξr, ȳ) r.
¡ ¢
(5.6.2)
Per ipotesi f x è differenziabile in (x̄, ȳ):
f x (x̄ + ξr, ȳ + r ) = f x (x̄, ȳ) + f xx (x̄, ȳ)ξr + f x y (x̄, ȳ)r + o(|(ξr, r )|) per r → 0
e
f x (x̄ + ξr, ȳ) = f x (x̄, ȳ) + f xx (x̄, ȳ)ξr + o(|(ξr, 0)|) per r → 0.
Pertanto
f x (x̄ + ξr, ȳ + r ) − f x (x̄ + ξr, ȳ) = f x (x̄, ȳ) + f xx (x̄, ȳ)ξr + f x y (x̄, ȳ)r + o(|(ξr, r )|)
¡ ¢
− f x (x̄, ȳ) + f xx (x̄, ȳ)ξr + o(|(ξr, 0)|)
= f x y (x̄, ȳ)r + o(|(ξr, r )|) + o(|(ξr, 0)|) per r → 0 (5.6.3)
Raccogliendo (5.6.1), (5.6.2) e (5.6.3) e osservando che
o(|(ξr, r )|) = o(|(ξr, 0)|) = o(r ) per r → 0
si ottiene
F (1) − F (0) = f x y (x̄, ȳ)r 2 + r o(r ) per r → 0. (5.6.4)
Occupiamoci ora della funzione G, che ricordiamo è così definita:
G(t ) := f (x̄ + r, ȳ + t r ) − f (x̄, ȳ + t r ).
Ragionando in modo analogo a sopra, è facile dimostrare che G è derivabile e
G 0 (t ) = f y (x̄ + r, ȳ + t r ) − f y (x̄, ȳ + t r ) r.
¡ ¢
86 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per il Teorema di Lagrange esiste η ∈]0, 1[ tale che

G(1) −G(0) = G 0 (η). (5.6.5)

Come appena detto,


G 0 (η) = f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) r.
¡ ¢
(5.6.6)
Per ipotesi f y è differenziabile in (x̄ + r, ȳ):

f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y x (x̄, ȳ)r + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(r, ηr )|) per r → 0

e
f y (x̄, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(0, ηr )|) per r → 0.
Pertanto

f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y x (x̄, ȳ)r + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(r, ηr )|)
− f y (x̄, ȳ) + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(0, ηr )|)
¡ ¢

= f y x (x̄, ȳ)r + o(|(r, ηr )|) + o(|(0, ηr )|) per r → 0 (5.6.7)

Raccogliendo (5.6.5), (5.6.6) e (5.6.7) e osservando che

o(|(r, ηr )|) = o(|(0, ηr )|) = o(r ),

si ottiene
G(1) −G(0) = f y x (x̄, ȳ)r 2 + r o(r ) per r → 0. (5.6.8)
Ricordando che F (1) − F (0) = G(1) −G(0), deduciamo da (5.6.4) e (5.6.8) che

f x y (x̄, ȳ)r 2 + o(r 2 ) = f y x (x̄, ȳ)r 2 + o(r 2 ) per r → 0,

da cui, semplificando per r 2 ,

f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ) + o(1) per r → 0.

Mandando r a 0, otteniamo
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).

Per la dimostrazione per n > 2, fissati i , j ∈ {1, · · · , n}, i < j , basta considerare la funzione di
due variabili

(x i , x j ) 7→ f (x̄ 1 , x̄ 2 , · · · , x̄ i −1 , x i , x̄ i +1 , · · · , x̄ j −1 , x j , x̄ j +1 , · · · , x̄ n )

e applicare ad essa il risultato appena dimostrato. 


Teorema 5.6.5 (Teorema di Schwarz: II versione).
Sia f : A → R, A aperto di Rn . Se esistono f xi x j e f x j xi ed esse sono continue in x̄ ∈ A, allora

f xi x j (x̄) = f x j xi (x̄).
5.6. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE 87

D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione per n = 2. Dimostriamo cioè il seguente risultato:
Se f : A → R, A aperto di R2 , con f derivabile fino al secondo ordine e se f x y e f y x sono continue
in (x̄, ȳ) ∈ A, allora
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).

Essendo A aperto esiste r > 0 tale che [x̄, x̄ + r ] × [ ȳ, ȳ + r ] ⊆ A.


Definiamo F : [0, 1] → R, G : [0, 1] → R,
F (t ) := f (x̄ + t r, ȳ + r ) − f (x̄ + t r, ȳ), G(t ) := f (x̄ + r, ȳ + t r ) − f (x̄, ȳ + t r ).
Le funzioni F e G sono derivabili. Infatti, se definiamo f 1 : [x̄, x̄ + r ] → R
f 1 (x) = f (x, ȳ + r ) − f (x, ȳ),
e γ : [0, 1] → [x̄, x̄ + r ],
γ(t ) = x̄ + t r,
esse sono funzioni di una variabile reale e, in particolare,
f 10 (x) = f x (x, ȳ + r ) − f x (x, ȳ).
Risulta F = f 1 ◦ γ, quindi F è derivabile e per ogni t ∈ [0, 1] si ha
F 0 (t ) = f 10 (γ(t ))γ0 (t ) = f x (γ(t ), ȳ + r ) − f x (γ(t ), ȳ) γ0 (t ) = f x (x̄ + t r, ȳ + r ) − f x (x̄ + t r, ȳ) r.
¡ ¢ ¡ ¢

Per il Teorema di Lagrange esiste ξ ∈]0, 1[ tale che


F (1) − F (0) = F 0 (ξ).
Si ha

F 0 (ξ) = ( f 1 ◦ γ)0 (ξ) = f x (x̄ + ξr, ȳ + r ) − f x (x̄ + ξr, ȳ) r.


¡ ¢

Consideriamo ora H : [0, 1] → R,


H (t ) := f x (x̄ + ξr, ȳ + t r ).
Ragionando come sopra, H risulta derivabile, in quanto composizione di funzioni derivabili
di una variabile. Per il Teorema di Lagrange, esiste ζ ∈]0, 1[ tale che
f x (x̄ + ξr, ȳ + r ) − f x (x̄ + ξr, ȳ) = H (1) − H (0) = H 0 (ζ) = f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr )r.
Raccogliendo le informazioni si ha
F (1) − F (0) = (H (1) − H (0))r = H 0 (ζ)r = f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr )r 2
Analogamente, definiamo G : [0, 1] → R,
G(t ) := f (x̄ + r, ȳ + t r ) − f (x̄, ȳ + t r ).
88 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

La funzione G è derivabile e per il Teorema di Lagrange esiste η ∈]0, 1[ tale che


G(1) −G(0) = G 0 (η).
Risulta
G 0 (η) = f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) r.
¡ ¢

Consideriamo K : [0, 1] → R,
K (t ) := f y (x̄ + t r, ȳ + ηr ).
K è derivabile e, per il Teorema di Lagrange, si ha che esiste τ ∈]0, 1[ tale che
f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) = K (1) − K (0) = K 0 (τ) = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r.
Raccogliendo le informazioni si ha e
G(1) −G(0) = (K (1) − K (0))r = K 0 (τ)r = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r 2 .
Osserviamo che F (1) − F (0) = G(1) −G(0), infatti:
¡ ¢
F (1) − F (0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ)
e
¡ ¢
G(1) −G(0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ) .
Abbiamo così dimostrato che
f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr )r 2 = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r 2
da cui, semplificando per r 2 ,
f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr ) = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr ).
Mandando r a 0 e sfruttando la continuità di f x y e f x y in (x̄, ȳ), otteniamo
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).
Per la dimostrazione per n > 2, fissati i , j ∈ {1, · · · , n}, i < j , basta considerare la funzione di
due variabili
(x i , x j ) 7→ f (x̄ 1 , x̄ 2 , · · · , x̄ i −1 , x i , x̄ i +1 , · · · , x̄ j −1 , x j , x̄ j +1 , · · · , x̄ n )
e applicare ad essa il risultato appena dimostrato. 
Corollario 5.6.6.
Sia f : A → R, A aperto di Rn , con f derivabile fino al secondo ordine.
Se f xi x j e f x j xi sono continue in x̄ ∈ A, allora
f xi x j (x̄) = f x j xi (x̄).
5.7. FORMULA DI TAYLOR 89

Corollario 5.6.7.
Sia f : A → R, A aperto di Rn . Se f ∈ C 2 (A) allora la matrice hessiana di f è simmetrica.

Esercizio 5.6.8.
Dimostrare che se f : R2 → R,
x y3



 se (x, y) 6= (0, 0)
x2 + y 2

f (x, y) =



 0 se (x, y) = (0, 0)
allora si ha
f x y (0, 0) = 1, f y x (0, 0) = 0

5.7. Formula di Taylor

Definizione 5.7.1.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Se f è differenziabile in x̄, si chiama Polinomio di Taylor di I grado della funzione f centrato
in x̄ il polinomio di I grado nelle variabili x 1 , · · · , x n

T1 ( f , x̄)(x) := f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 x = (x 1 , · · · , x n ) ∈ Rn .

Osservazione 5.7.2.
I polinomi P di I grado nelle variabili x 1 , · · · , x n tali che P (x̄) = f (x̄) sono tutti e soli i polinomi
n
u i (x i − x̄ i ) con u ∈ Rn .
X
P (x) = P (x 1 , · · · , x n ) = f (x̄) + 〈u, x − x̄〉 = f (x̄ 1 , · · · , x̄ n ) +
i =1

Dal Corollario 5.3.5 (d) si ha che la differenziabilità è equivalente alla derivabilità di f in x̄


con
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|) per x → x̄.
Il polinomio di Taylor di I grado della funzione f centrato in x̄,

T1 ( f , x̄)(x) := f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 x ∈ Rn ,

per il Teorema 5.3.2 (i) è l’unico polinomio di I grado nella variabile x per il quale valgono:
½
f (x) = P (x) + o(|x − x̄|) per x → x̄
f (x̄) = P (x̄).
90 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per questo motivo, si usa dire che, tra gli iperpiani di Rn+1 passanti per (x̄, f (x̄)), quello “che
meglio approssima il grafico di f vicino a (x̄, f (x̄))” è quello di equazione

x n+1 = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉.

Esso prende il nome di iperpiano tangente al grafico di f in (x̄, f (x̄)).

Definizione 5.7.3 (Iperpiano tangente).


Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Se f è differenziabile in x̄, si chiama iperpiano tangente al grafico di f in (x̄, f (x̄)) l’iperpiano
di Rn+1 avente equazione

x n+1 = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 x = (x 1 , · · · , x n ) ∈ Rn .

Osservazione 5.7.4. Segue da quanto appena detto che se f : A → R, A ⊆ Rn , e x̄ ∈ int A e


f è differenziabile in x̄, allora un vettore normale all’iperpiano tangente al grafico di f in
(x̄, f (x̄)) è
(−∇ f (x̄), 1).

r r
Lemma 5.7.5. Siano x̄ ∈ Rn , r > 0, e f : B (x̄, r ) → R. Sia v ∈ Rn \ {0} e sia F :] − |v| , |v| [→ R,
F (t ) = f (x̄ + t v).
r r
Se f è differenziabile in B (x̄, r ) allora F è derivabile in ] − |v| , |v| [e

F 0 (t ) = 〈∇ f (x̄ + t v), v〉.


r r
Se f ∈ C 1 (B (x̄, r )) allora F ∈ C 1 (] − |v| , |v| [) e

F 0 (t ) = 〈∇ f (x̄ + t v), v〉.


r r
Se f ∈ C 2 (B (x̄, r )) allora F ∈ C 2 (] − |v| , |v| [) e

F 0 (t ) = 〈∇ f (x̄ + t v), v〉, F 00 (t ) = 〈D 2 f (x̄ + t v)v, v〉.

D IMOSTRAZIONE .
Per le prime due uguaglianze si vedano i Corollari 5.5.5 e 5.5.7.
Sia f ∈ C 2 . Allora F è in C 2 , essendo composizione di funzioni C 2 .
Risulta
n
F 0 (t ) =
X
f xi (x̄ + t v)v i ,
i =1
5.7. FORMULA DI TAYLOR 91

dunque
n X
n
F 00 (t ) = f xi x j (x̄ + t v)v i v j = 〈D 2 f (x̄ + t (x − x̄))v, v〉.
X
j =1 i =1

Teorema 5.7.6 (Formula di Taylor con resto di Lagrange: caso f ∈ C 1 ).


Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto. Sia f ∈ C 1 (A), e siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A.
Allora esiste ξ ∈]x̄, x[ tale che

f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (ξ), x − x̄〉.

D IMOSTRAZIONE .
Siano x, x̄ ∈ A tali che [x̄, x] ⊆ A. Definiamo F : [0, 1] → R, F (t ) = f (x̄ + t (x − x̄)). Si ha che
F ∈ C 1 , essendo composizione di funzioni C 1 .
Applicando a F la formula di Taylor del secondo ordine con resto di Lagrange per funzioni di
1 variabile, otteniamo che esiste τ ∈]0, 1[ tale che

F (1) = F (0) + F 0 (τ)(1 − 0).

Essendo, per il Lemma 5.7.5,


n
F 0 (t ) =
X
f xi (x̄ + t (x − x̄))(x i − x̄ i ),
i =1

otteniamo facilmente la tesi, con ξ := x̄ + τ(x − x̄) punto di ]x̄, x[. 

Teorema 5.7.7 (Formula di Taylor con resto di Lagrange: caso f ∈ C 2 ).


Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto. Sia f ∈ C 2 (A), e siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A.
Allora esiste ξ ∈]x̄, x[ tale che
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (ξ)(x − x̄), x − x̄〉.
2
D IMOSTRAZIONE .
Siano x, x̄ ∈ A tali che [x̄, x] ⊆ A. Definiamo F : [0, 1] → R, F (t ) = f (x̄ + t (x − x̄)). Si ha che
F ∈ C 2 , essendo composizione di funzioni C 2 .
Applicando a F la formula di Taylor del secondo ordine con resto di Lagrange per funzioni di
1 variabile, otteniamo che esiste τ ∈]0, 1[ tale che
1
F (1) = F (0) + F 0 (0)(1 − 0) + F 00 (τ)(1 − 0)2 ,
2
92 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

ossia, dal Lemma 5.7.5,


n
F 0 (t ) =
X
f xi (x̄ + t (x − x̄))(x i − x̄ i ),
i =1
n X
n
F 00 (t ) = f xi x j (x̄ + t (x − x̄))(x i − x̄ i )(x j − x̄ j ) = 〈D 2 f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄), x − x̄〉.
X
j =1 i =1
Da qui otteniamo

1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (x̄ + τ(x − x̄))(x − x̄), x − x̄〉.
2
Essendo τ ∈]0, 1[, deduciamo che ξ := x̄ + τ(x − x̄) è il punto di ]x̄, x[ cercato.


I precedenti teoremi si generalizzano al caso di funzioni di classe C k , k ≥ 2. A tal fine,


introduciamo la nozione di multi-indice.

Multi-indice:
α = (α1 , α2 , · · · , αn ), αi ∈ N ∪ {0}.
|α| = altezza di α := ni=1 αi
P
α α α
x α := x 1 1 x 2 2 · · · x n n
α! = α1 !α2 ! · · · αn !
∂|α| f
D α f (x̄) = D (α1 ,α2 ,··· ,αn ) f (x̄) = α α α (x̄),
∂x 1 1 ∂x 2 2 · · · ∂x n n
con la convenzione:
D (0,··· ,0) f (x̄) = f (x̄)

Teorema 5.7.8 (Formula di Taylor con resto di Lagrange).


Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto. Sia f ∈ C k (A), e siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A.
Allora esiste ξ ∈]x̄, x[, tale che
k−1
X 1 X n
f (x) = f (x̄) + f xi 1 ,xi 2 ,··· ,xi (x̄)(x − x̄)i 1 (x − x̄)i 2 · · · (x − x̄)i h
h=1 h! i 1 ,i 2 ,··· ,i h =1
h

1 X n
+ f x ,x ,··· ,xi (ξ)(x − x̄)i 1 (x − x̄)i 2 · · · (x − x̄)i k , (5.7.1)
k! i 1 ,i 2 ,··· ,i k =1 i 1 i 2 k

formula che, usando i multi-indici e il Teorema di Schwarz, si dimostra essere equivalente a


X D α f (x̄) X D α f (ξ)
f (x) = (x − x̄)α + (x − x̄)α . (5.7.2)
|α|≤k−1 α! |α|=k α!
5.7. FORMULA DI TAYLOR 93

Esercizio 5.7.9.
Verificare che se k = 1 e k = 2 le formule (5.7.1) e (5.7.2) sono uguali e coincidono con le
formule dei Teoremi 5.7.6 e 5.7.7.

Teorema 5.7.10 (Formula di Taylor con resto di Peano: caso f ∈ C 2 ).


Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto. Sia f ∈ C 2 (A), e siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A.
Allora
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|2 ) per x → x̄.
2
D IMOSTRAZIONE .
Per il Teorema 5.7.7, esiste ξ ∈]x̄, x[, tale che
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (ξ)(x − x̄), x − x̄〉.
2
Per ottenere la tesi basta dimostrare che
〈D 2 f (ξ)(x − x̄), x − x̄〉 = 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|2 ) per x → x̄,
ossia
〈(D 2 f (ξ) − D 2 f (x̄))(x − x̄), x − x̄〉
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|2
Dal Teorema di Cauchy-Schwarz:
|〈(D 2 f (ξ) − D 2 f (x̄))(x − x̄), x − x̄〉| ≤ |(D 2 f (ξ) − D 2 f (x̄))(x − x̄)||x − x̄|.
Per il Lemma 4.1.3 si ha
v
u n
2 2
uX
|(D f (ξ) − D f (x̄))(x − x̄)| ≤ t ( f xi x j (ξ) − f xi x j (x̄))2 |x − x̄|.
i , j =1

Deduciamo quindi
¯ v
¯〈(D 2 f (ξ) − D 2 f (x̄))(x − x̄), x − x̄〉¯ u
¯
uX n
0≤ ≤ t ( f xi x j (ξ) − f xi x j (x̄))2 .
|x − x̄|2 i , j =1

Notando che, essendo ξ ∈]x̄, x[, si ha


0 ≤ |ξ − x̄| ≤ |x − x̄| →x→x̄ 0,
usando che f ∈ C 2 , otteniamo
v
u n
uX
lim t ( f xi x j (ξ) − f xi x j (x̄))2 = 0.
x→x̄ i , j =1

Abbiamo così dimostrato quanto desiderato. 


94 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per funzioni a valori vettoriali non è valido il Teorema 5.7.6, come mostra il seguente esem-
pio.

Esempio 5.7.11.
µ ¶
cos t
Sia f : [0, 2π] → R , f (t ) =
2
. Allora
sin t
µ ¶ µ ¶ µ ¶
0 0 − sin t 0
f (2π) − f (0) = , f (t ) = 6= .
0 cos t 0
Dunque
6 ∃ τ ∈ [0, 2π] : f (2π) − f (0) = 2π f 0 (τ).

Per funzioni a valori vettoriali vale, però, una variante del Teorema 5.7.6.

Proposizione 5.7.12.
Siano A ⊆ Rn , A aperto e f : A → Rm differenziabile.
Siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A. Se v ∈ Rm , allora esiste z ∈]x̄, x[ tale che
〈 f (x) − f (x̄), v〉 = 〈D f (z)(x − x̄), v〉.

D IMOSTRAZIONE .
Fissato v ∈ R, definiamo F : [0, 1] → R, F (t ) = 〈 f (x̄ + t (x − x̄)), v〉, ossia
m
X
F (t ) = f i (x̄ + t (x − x̄))v i .
i =1

dove f i denota la i -esima componente di f e v i la i -esima componente di v. Per il Corollario


5.5.6 e i Corollari 5.3.6 e 5.4.10, F è derivabile. Per il Teorema di Lagrange di AM1A, esiste
τ ∈]0, 1[ tale che F (1) − F (0) = F 0 (τ)(1 − 0). Si ha
F (1) − F (0) = 〈 f (x) − f (x̄), v〉.
Calcoliamo ora la derivata di F in un punto t ∈ [0, 1]. Si ha
m d ¡ m
F 0 (t ) =
X ¢ X
f i (x̄ + t (x − x̄) v i = 〈∇ f i (x̄ + t (x − x̄), x − x̄〉v i .
i =1 d t i =1

Osserviamo che
〈∇ f i (x̄ + t (x − x̄), x − x̄〉 = i -esima riga di D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄),
da cui
m ¡
F 0 (t ) =
X ¢
D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄) i v i = 〈D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄), v〉.
i =1
Si ottiene così la tesi, con z = x̄ + τ(x − x̄).

5.8. ESERCIZI 95

5.8. Esercizi

Esercizio 5.8.1. Data la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x 2 (y − 2),


(a) studiare la continuità, la differenziabilità di f ,
∂f
(b) determinare le derivate direzionali ∂λ (x 0 , y 0 ), per (x 0 , y 0 ) ∈ R2 e per qualunque dire-
zione λ,
(c) determinare il piano tangente al grafico nel punto (1, −2, f (1, −2)).

[Sol. es: 5.8.1:


(a) f è un polinomio e quindi è differenziabile, per cui f è continua, derivabile ed
esistono tutte le derivate direzionali.
(b) Dalla differenziabilità di f segue che, posto λ = (α, β).
∂f
(x 0 , y 0 ) = 〈∇ f (x 0 , y 0 ), λ〉 = 〈(2x 0 (y 0 − 2), x 02 ), (α, β)〉 = 2αx 0 (y 0 − 2) + βx 02 .
∂λ
(c) z = f (1, −2) + f x (1, −2)(x − 1) + f y (1, −2)(y + 2) = −4 − 8(x − 1) + (y + 2) = ... ]

Esercizio 5.8.2. Siano f : R2 → R e g : R → R derivabili. Derivare le seguenti funzioni compo-


ste rispetto alla variabile t :
p
1) f (t , t 3 ), 2) f (log t , sin t ), 3) f (g (t ), 1 − t 2 ), 4) f (− t , g 2 (t )),

1
5) f (cos(g (t )), arctan t ), 6) f (g (2t ), g 2 (t )), 7) f (1 + g (1 + 3t ), p ), 8) f (t + g (t ), log2 t ).
g( t)
[Sol. es: 5.8.2: 1) f x (t , t 3 ) + f y (t , t 3 )3t 2 ,
2) f x (log t , sin t ) 1t + f y (log t , sin t ) cos t ,
3) f x (g (t ), 1 − t 2 )g³ 0 (t ) +´f y (g (t ), 1 − t 2 )(−2t ),
p 1
p
4) f x (− t , g 2 (t )) − p + f y (− t , g 2 (t ))2g (t )g 0 (t ),
2 t ¡
1
5) f x (cos(g (t )), arctan t ) − sin(g (t ))g 0 (t ) + f y (cos(g (t )), arctan t ) 1+t
¢
2,
2 0 2 0
6) f x (g (2t ), g (t ))g (2t )2 + f y (g (2t ), g (t ))2g (t )g (t ),
1 1
p 1
7) f x (1 + g (1 + 3t ), p )g 0 (1 + 3t )3 + f y (1 + g (1 + 3t ), p ) 2−1
p g 0( t ) p ,
g( t) g( t) g ( t) 2 t
1
8) f x (t + g (t ), log2 t )(1 + g 0 (t )) + f y (t + g (t ), log2 t ) t log 2 .]
e

Esercizio 5.8.3 (I). Si consideri


x3 y

se (x, y) 6= (0, 0)

f (x, y) = x2 + y 2
0 se (x, y) = (0.0).

(i) Determinare ∇ f (x, y) per (x, y) 6= (0, 0)


(ii) Determinare, se esistono, f x (x, y) e f y (x, y) per (x, y) = (0, 0).
96 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

(iii) Studiare la differenziabilità di f in (0, 0). p


3
(iv) Calcolare la derivata direzionale di f in (2, 0) rispetto alla direzione λ = (− 12 , 2 ).
(v) f è continua in (0, 0)?

Esercizio 5.8.4 (I). Sia


 2 3 2
 x −y +x y
se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) = x2 + y 2
0 se (x, y) = (0.0).

Studiare la differenziabilità di f .

Esercizio 5.8.5 (I). Sia f (x, y) = |x|y 3 in (0, 0).


(1) Determinare l’equazione del piano tangente al grafico di f nel punto (−1, 2, f (−1, 2)).
(2) Studiare la differenziabilità di f nell’origine.

Esercizio 5.8.6 (I). Studiare la differenziabilità di


( y(x+1)
p 2 2 se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) = x +y
0 se (x, y) = (0, 0).

1 p
3
Esercizio 5.8.7 (I). Siano f (x, y) = e x 3 y 2 e λ = ( 12 , − 2 ). Calcolare, se esistono,
(a) lim f (x, y).
(x,y)→(0,0)
∂f
(b) ∂λ
(1, 2).

Esercizio 5.8.8 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Sia f : R2 → R,


q
3
f (x, y) = (y − x)2 .

Studiare la continuità, la derivabilità e la differenziabiltà di f in (0, 0) e in (1, 2). Determinare,


se esistono, le derivate direzionali nella direzione λ = (α, β) in (0, 0) e in (1, 2). Se in (0, 0)
o in (1, 2) la funzione risulta differenziabile, determinare il piano tangente al grafico in tale
punto.
5.8. ESERCIZI 97

SOLUZIONE:
f è chiaramente continua in (0, 0) ma non è derivabile in (0, 0), infatti non esiste la derivata
parziale rispetto a x, non esistendo il seguente limite
f (h, 0) − f (0, 0) h 2/3
lim = lim = lim h −1/3 .
h→0 h h→0 h h→0

Non essendo derivabile in (0, 0), la f non è neppure differenziabile.


Le derivate direzionali in (0, 0) esistono se solo se α = β (e quindi se e solo se α = β = p1 ,
2
dovendo essere λ un versore). Infatti:
f (t α, t β) − f (0, 0) t 2 (β − α)2
p
3

lim = lim (5.8.1)


t →0 t t →0 t
che esiste se e solo se β = α e vale che
∂f 1 1
(0, 0) = 0 con λ = ( p , p ).
∂λ 2 2
Se α 6= ±β il limite (5.8.1) non esiste.

In un intorno di (1, 2) la f è di classe C 1 . Ciò implica che f è differenziabile, derivabile,


continua. Si ha che ∇ f (1, 2) = (− 23 , 23 ).
Essendo f differenziabile in (1, 2), le derivate direzionali in (1, 2) esistono rispetto a una
qualunque direzione λ = (α, β). Inoltre, esse si possono calcolare con la formula
∂f 2 2 2α 2β
(1, 2) = 〈∇ f (1, 2), λ〉 = 〈(− , ), (α, β)〉 = − + .
∂λ 3 3 3 3
Il piano tangente al grafico di f nel punto (1, 2, f (1, 2)) è z = 1 − 32 (x − 1) + 32 (y − 2).

Esercizio 5.8.9 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Studiare la continuità, la derivabilità e


la differenziabiltà in (0, 0) della funzione
|x|y 4 − x 6



 se (x, y) 6= (0, 0)
(x 2 + y 2 )2

f (x, y) =



 0 se (x, y) = (0, 0).

SOLUZIONE: f è continua in (0, 0), infatti per il teorema dei carabinieri:


¯ |x|y 4 − x 6 ¯ 4
x6 y4 x4
¯ ¯
0≤¯ 2
¯ ¯ ≤ |x|y + = |x| + x 2 ≤ |x| + x 2
(x + y 2 )2 ¯ (x 2 + y 2 )2 (x 2 + y 2 )2 (x 2 + y 2 )2 (x 2 + y 2 )2
e l’ultimo membro tende a 0 per x → 0.
Derivabilità:
98 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

h6
f (h, 0) − f (0, 0) − 4 ∂f
lim = lim h = lim −h = 0 = (0, 0)
h→0 h h→0 h h→0 ∂x
e
f (0, k) − f (0, 0) ∂f
lim = lim 0 = 0 = (0, 0).
k→0 k k→0 ∂y
Differenziabilità: f non è differenziabile in (0, 0), infatti

|h|k 4 −h 6
f (h, k) − [ f (0, 0) + f x (0, 0)h + f y (0, 0)k] (h 2 +k 2 )2 |h|k 4 − h 6
lim p = lim p = lim .
(h,k)→(0,0) h2 + k 2 (h,k)→(0,0) h 2 + k 2 (h,k)→(0,0) (h 2 + k 2 )5/2

Scegliendo k = h ottengo:
¶5
|h|5 − h 6 |h|5 (1 − |h|)
µ
1 |h| 1
lim = lim = 5/2 lim = ,
h→0 25/2 h 5 h→0 25/2 |h|5 2 h→0 |h| 25/2
dunque tale limite non è 0.

Esercizio 5.8.10 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Studiare il dominio, il segno di f e, in


(0, 0), la continuità, la derivabilità e la differenziabiltà di f :

(y − x)3



 se (x, y) 6= (0, 0)
x2 + y 2 + x2 y 2

f (x, y) =



 0 se (x, y) = (0, 0).

SOLUZIONE:
f è continua in (0, 0). Infatti, in coordinate polari:

r 3 | sin θ − cos θ|3 r3 r3


| f (r cos θ, r sin θ)| = ≤ ≤ = r.
r 2 + r 4 (cos2 θ sin2 θ) r 2 + r 4 (cos2 θ sin2 θ) r2
Abbiamo così dimostrato che
| f (r cos θ, r sin θ)| ≤ ϕ(r )
dove ϕ(r ) = r è indipendente da θ e ϕ(r ) → 0 per r → 0+ . Dunque lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = 0 =
f (0, 0).
Derivabilità: f è derivabile in (0, 0), infatti

(−h)3
f (h, 0) − f (0, 0) 2 ∂f
lim = lim h = −1 = (0, 0)
h→0 h h→0 h ∂x
5.8. ESERCIZI 99

e
k3
f (0, k) − f (0, 0) 2 ∂f
lim = lim k = 1 = (0, 0)
k→0 k k→0 k ∂y
Differenziabilità: f non è differenziabile in (0, 0), infatti
3
(k−h)
f (h, k) − [ f (0, 0) + f x (0, 0)h + f y (0, 0)k] h 2 +k 2 +h 2 k 2
+h −k
lim p = lim p
(h,k)→(0,0) h2 + k 2 (h,k)→(0,0) h2 + k 2
Tale limite non è 0, anzi non esiste, come si può verificare restringendosi alla retta k = 2h.

Esercizio 5.8.11 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Determinare il dominio e i punti di


derivabilità di
2
+y 2 )
f (x, y) = |y|e −(x .

SOLUZIONE:
Il dominio è R2 . I punti di sicura derivabilità di f sono gli (x, y) con y 6= 0. Esaminiamo la
derivabilità in (x, 0). Si ha
f (x + h, 0) − f (x, 0) 0−0 ∂f
lim = lim =0= (x, 0)
h→0 h h→0 h ∂x
e
2 2 2
+k 2 )
f (x, k) − f (x, 0) |k|e −(x +k ) − 0 |k|e −(x 2
+k 2 |k| 2 |k|
lim = lim = lim = lim e −(x lim = e −x ·lim
k→0 k k→0 k k→0 k k→0 k→0 k k→0 k
+ −
e quest’ultimo limite non esiste (fare k → 0 e k → 0 ). Dunque f non è derivabile in (x, 0)
perché manca la derivata parziale rispetto a y.

Esercizio 5.8.12 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Determinare il dominio e i punti di


derivabilità di
f (x, y) = |x| + |y|x 2 .

SOLUZIONE:
I punti di sicura derivabilità di f sono gli (x, y) con x e y entrambi diversi da 0, cioé non
appartenenti agli assi.
Esaminiamo la derivabilità in (0, y).
Si ha
f (h, y) − f (0, y) |h| + |y|h 2 − 0 |h| |y|h 2
lim = lim = lim + lim ;
h→0 h h→0 h h→0 h h→0 h
100 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

l’ultimo limite esiste ed è 0, mentre il penultimo non esiste (fare h → 0+ e h → 0− ). Dunque


f non è derivabile in (0, y) perché manca la derivata parziale rispetto a x.
Studiamo ora la derivabilità in (x, 0) supponendo x 6= 0 altrimenti si ha (0, 0) che è incluso nel
caso precedente.
Si ha
f (x, k) − f (x, 0) |x| + |k|x 2 − |x| |k|
lim = lim = x 2 lim .
k→0 k k→0 k k→0 k
Ora, questo limite non esiste se x 6= 0. Dunque f non è derivabile rispetto a y in (x, 0) per
x 6= 0.
Concludendo, f non è derivabile sugli assi.

x − y3
Esercizio 5.8.13 (I). Si consideri f (x, y) = .
|y|
(a) Calcolarne il limite per (x, y) → (0, 0).

(b) Disegnare (colorando in blu/nero) il dominio A di F (x, y) = log f (x, y).


[Per la frontiera di A: linea continua se appartiene al dominio, linea tratteggiata se non vi appartiene.
Se un singolo punto di una curva non viene preso, crocettarlo]

( q
5
y x 2 y 3 se (x, y) 6= (0, 0)
Esercizio 5.8.14. Si consideri f (x, y) =
0 se (x, y) = (0.0).
Studiare la differenziabilità di f in (0, 0).

Esercizio 5.8.15. Sia f (x, y) = |x|y 3 in (0, 0).


(1) Studiare la differenziabilità di f nell’origine.
(2) Determinare l’equazione del piano tangente al grafico di f nel punto (−1, 2, f (−1, 2)).

Esercizio 5.8.16 (GC: da esercizi2variabili-8-3-2010). Calcolare il gradiente e la matrice hes-


siana delle seguenti funzioni:
y
q
2
1) x 2 y, 2) e x y −y , 3) x 2 arctan .
x
5.8. ESERCIZI 101

SOLUZIONE
µ (parziale)
¶ (solo per i gradienti e senza le semplificazioni finali)
2x y 2
1) p 2 , px 2 ;
2 x y 2 x y
x y 2 −y
¡ 2 ¢
2) µe y , 2x y − 1 ; ¶
y 2 1 y 2 1 1
3) 2x arctan x + x y 2 (− 2 ), x
x y 2 x .
1+( x ) 1+( x )

Esercizio 5.8.17 (T). Sia u ∈ C 2 (Rn \ {0}) una funzione radiale, ossia
∃ v : [0, ∞[→ R tale che u(x) = v(|x|).
Calcolare ∆u(x) per x ∈ Rn \ {0}, dove ∆ è l’operatore di Laplace, ossia
n
∆u =
X
u xi xi .
i =1

RISPOSTA:
∆u = v 00 (|x|) + n−1
|x|
v 0 (|x|).

Esercizio 5.8.18 (T). Studiare dominio, la continuità, la derivabiltà e la differenziabilità della


funzione f : R2 → R,
(y−x)3
(
x 2 +y 2 +x 2 y 2 se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0).
RISPOSTA:
Dominio: R2 .
Continuità: sì
Derivabilità: sì
Differenziabilità: non lo è in (0, 0).

Esercizio 5.8.19 (T). Studiare dominio naturale e segno della funzione


q
3
f (x, y) = (y − x)2 .
Studiarne poi la continuità, derivabiltà, l’esistenza delle derivate direzionali e differenziabi-
lità di f in (0, 0) e (1, 2). Qualora f risulti differenziabile in tali punti, determinare l’equazione
del piano tangente al grafico di f nei punti del grafico corrispondenti.

RISPOSTA:
Dominio: R2 .
Segno: f ≥ 0 sempre, f (x, y) = 0 ⇔ y = x
Continuità: sì
102 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Derivabilità: f è derivabile in (1, 2) e non in (0, 0).


Differenziabilità: lo è in (1, 2) e non in (0, 0).
Derivate direzionali in (0, 0): esistono se e solo se il versore è λ = (α, β) con α = β.
Derivate direzionali in (1, 2): esistono rispetto a qualunque direzione e se il versore è λ =
(α, β) si ha
∂f 2 2
(1, 2) = − α + β.
∂λ 3 3
Piano tangente al grafico di f in (1, 2, f (1, 2)): ha equazione
2 2
z = 1 − (x − 1) + (y − 2).
3 3

Esercizio 5.8.20 (T). Sia α ∈ R e f : R2 → R,


( |x|α y
p 2 2 se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) = x +y
0 se (x, y) = (0, 0).

Determinare per quali α f è continua in R2 e per quali α f è differenziabile in R2 .

RISPOSTA:
Continuità: f è continua in R2 \ {(0, 0)} per ogni α ∈ R e f è continua in {(0, 0)} se e solo se
α > 0.
Differenziabilità: f è differenziabile in R2 se e solo se α > 1. f è differenziabile in R2 \ {(0, y) :
y ∈ R} per ogni α ∈ R.

Esercizio 5.8.21 (da prova scritta AM2: 13-1-2020). Si consideri la funzione f : R2 → R,

f (x, y) = |x|(x y 2 + |x|).

(a) Studiare la differenziabilità di f


(b) Calcolare la derivata direzionale di f in (0, 1) rispetto alla direzione λ = ( p1 , − p1 ).
2 2

SOLUZIONE dell’Esercizio 5.8.21:


(a):
Si ha f (x, y) = x 2 y 2 sgn(x) + x 2 . Affermiamo che f è di classe C 1 (R2 ) essendo somma di fun-
zioni di classe C 1 e quindi differenziabile. Infatti g : R → R, g (x) = x 2 sgn(x) è di classe C 1 (R).
L’unico dubbio è in 0, che ora discutiamo. Esiste g 0 (0) e vale 0, in quanto

g (x) − g (0) x 2 sgn(x)


lim = lim = 0.
x→0 x −0 x→0 x
5.8. ESERCIZI 103

Allora g 0 : R → R,

 2x
 se x > 0
0
g (x) = 0 se x = 0

 −2x se x < 0.

Si ha
lim g 0 (x) = lim+ 2x = 0, lim g 0 (x) = lim− −2x = 0 = g 0 (0),
x→0+ x→0 x→0− x→0

da cui
lim g 0 (x) = g 0 (0).
x→0

Ciò prova che g 0 è continua anche in 0.


(b):
Essendo f differenziabile, allora
∂f
(0, 1) = 〈∇ f (0, 1), λ〉.
∂λ
Ricordando la definizione di g data sopra, si ha

f x (x, y) = y 2 g 0 (x) + 2x ⇒ f x (0, 1) = g 0 (0) = 0.

Analogamente
f y (x, y) = 2y g (x) + 0 ⇒ f y (0, 1) = 2g (0) = 0.
Pertanto
∂f 1 1
(0, 1) = 〈(0, 0), ( p , − p )〉 = 0.
∂λ 2 2

Esercizio 5.8.22 (da prova scritta 10-2-2020). Si consideri la funzione f : R2 → R,


 2 q
y
 2 + x 2 + y 2 se x 6= 0, y ∈ R


f (x, y) = x


0 se x = 0, y ∈ R.

(a) Studiare la differenziabilità di f in (0, 0).


(b) Determinare per quali (x, y) ∈ R2 e per quali versori λ = (α, β) esiste la derivata
∂f
direzionale (x, y) e, ove esista, calcolarla.
∂λ
104 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Esercizio 5.8.23 (da prova scritta 29-6-2020). Sia f : R2 → R


 4
 x − x2 y 2


 3 se (x, y) ∈ A
x + 8y 3
f (x, y) =



 0 se (x, y) ∉ A

dove A ⊆ R2 è il dominio naturale della funzione


x4 − x2 y 2
(x, y) 7→ .
x 3 + 8y 3
Studiare la differenziabilità e l’esistenza delle derivate direzionali di f in (0, 0) (qualora
esistano, calcolarle).

SOLUZIONE:

1
A = {(x, y) : x 3 + 8y 3 6= 0} = {(x, y) : y 6= − x}.
2
1
In Ox y si tratta del piano senza la retta di equazione y = − 2 x.
Pertanto:  4
x − x2 y 2
se y 6= − 12 x



 3
x + 8y 3
f (x, y) =


se y = − 12 x.

 0
I modo:
Sia λ = (α, β) versore, con β = − 12 α. Allora

f (t α, − 21 t α) − f (0, 0) 0
lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t

Sia λ = (α, β) versore, β 6= − 12 α. Allora

f (t α, t β) − f (0, 0) t 4 (α4 − α2 β2 ) α4 − α2 β2
lim = lim 4 3 = 3 .
t →0 t t →0 t (α + 8β3 ) α + 8β3
Dunque esiste la derivata direzionale in (0, 0) qualunque sia il versore λ e
( 4 2 2
α −α β
∂f se β 6= − 12 α
λ 7→ (0, 0) = α3 +8β3
∂λ 0 se β = − 1 α. 2

f non può essere differenziabile in (0, 0), perché se lo fosse dovrebbe essere, per ogni versore
λ = (α, β)
∂f
(0, 0) = 〈∇ f (0, 0), (α, β〉 = f x (0, 0)α + f y (0, 0)β,
∂λ
5.8. ESERCIZI 105

ossia
∂f
λ 7→ (0, 0) lineare
∂λ
cosa che non è.
II modo:
f è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (1, 0). Infatti:

t4
f (t , 0) − f (0, 0) 3 f (0, t ) − f (0, 0) 0
lim = lim t = 1, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
Differenziabilità: essendo f derivabile in (0, 0) studiamo
f (x, y) − ( f (0, 0) + 〈∇ f (0, 0), (x, y)〉) f (x, y) − x
lim p = lim p .
(x,y)→(0,0) x2 + y 2 (x,y)→(0,0) x2 + y 2
Se mi restringo alla retta di equazione y = − 21 x si ha:

f (x, − 1 x) − x 0−x
lim q 2 = lim q .
x→0 x→0
x 2 + 41 x 2 x 2 + 14 x 2

Tale limite non è zero (anzi non esiste neppure:


−x 2 −x 2
lim+ q = −p , lim− q =p )
x→0 5 x→0 5
x 2 + 14 x 2 x 2 + 41 x 2

quindi f non è differenziabile in (0, 0).


Derivate direzionali: Sia λ = (α, β) versore, con β = − 21 α. Allora

f (t α, − 21 t α) − f (0, 0) 0
lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t

Sia λ = (α, β) versore, β 6= − 12 α. Allora

f (t α, t β) − f (0, 0) t 4 (α4 − α2 β2 ) α4 − α2 β2
lim = lim 4 3 = 3 .
t →0 t t →0 t (α + 8β3 ) α + 8β3
Dunque esiste la derivata direzionale in (0, 0) qualunque sia il versore λ e
( 4 2 2
α −α β
∂f se β 6= − 12 α
λ 7→ (0, 0) = α3 +8β3
∂λ 0 se β = − 1 α. 2

Esercizio 5.8.24 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Sia A ⊆ R2 il dominio naturale della fun-
zione f (x, y) = ln(4|x|2 − 2|x y|)
106 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

(a) Disegnare (tratteggiandolo in blu/nero) il dominio A.


[Per la frontiera di A: linea continua se appartiene al dominio, linea tratteggiata se non vi appartiene.
Se un singolo punto di una curva non viene preso, crocettarlo]
∂f 1
(b) Per quali versori λ di R2 esiste ( , 0) e, in tal caso, quanto vale?
∂λ 2
SOLUZIONE:
(a)
A = {(x, y) ∈ R2 : |x|(4|x| − 2|y|) > 0)}
(b)
Sia λ = (α, β) tale che α2 + β2 = 1.
Si ha
ln(4| 12 + t α|2 − 2 | 21 + t α||t β|) − ln(1) ln 4 14 + 2α α
2 2 1
α|
¡ ¡ ¢ ¢
2
t + t − 2 |t ||β|| 2
+ t
lim = lim
t →0 t t →0 t
ln (1 + 4αt + t 2 4α2 − 2 |t ||β| 21 + t α )
¡1
4αt + 4t α − 2 |t ||β|
2 2
α
¡ ¡ ¢¢ ¢
1
2 >0 2 + t
= lim = lim
t →0 t t →0 t
1 |t |
= 4α − 2|β|| | lim .
2 t →0 t
L’ultimo limite esiste se e solo se β = 0. Dunque gli unici versori per i quali esiste la derivata
direzionale sono λ = (±1, 0). In tal caso
∂f 1 ∂f 1
( , 0) = 4, ( , 0) = −4.
∂(1, 0) 2 ∂(−1, 0) 2

Esercizio 5.8.25 (da prova scritta 20-7-2020). Sia f : R2 → R



2 2
 x | log(y )| se (x, y) ∈ R , y 6= 0
 2

f (x, y) =
se (x, y) ∈ R2 , y = 0.

 0
Studiare:
(a) la continuità di f nei punti di R2
(b) la differenziabilità di f in (0, 1).

SOLUZIONE:
(a)
Ovviamente f è continua nell’insieme aperto
A := {(x, y) ∈ R2 y 6= 0}
in quanto (x, y) 7→ x 2 | log(y 2 )| è, in tale insieme, composizione/prodotto di funzioni conti-
nue.
5.8. ESERCIZI 107

Studiamo la continuità di f in (x 0 , 0).


Se x 0 6= 0 la funzione è discontinua in (x 0 , 0). Infatti se mi restringo alla retta verticale x = x 0
si ha:
lim f (x 0 , y) = lim x 02 | log(y 2 )| = x 02 lim | log(y 2 )| = +∞.
y→0 y→0 y→0

Se x 0 = 0 si tratta di studiare la continuità di f in (0, 0).


La funzione è discontinua in (0, 0). Infatti se mi restringo all’insieme
− 12
n o
2
B := (x, y) ∈ R : y = e x , x 6= 0
1

(si noti che limx→0 e x2
= 0) si ha:
¯ ¯
− 12 − 12 2 ¯ − 22 ¯ 2¯ 2 ¯
¯ ¯ ¯ ¯
2¯ 2¯
¯ ¯
lim f (x, e x ) = lim x ¯log((e x ) )¯ = lim x ¯log e x ¯ = lim x ¯− 2 ¯ = 2 6= f (0, 0).
x→0 x→0 x→0 x→0 x
(b)
Studiamo la differenziabilità di f in (0, 1).
f x (0, 1) = 0: infatti
f (t , 1) − f (0, 1) t 2 | log 1| − 0| log 1| 0−0
lim = lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t

f y (0, 1) = 0: infatti

f (0, 1 + t ) − f (0, 1) 0| log((1 + t )2 )| − 0| log 1| 0−0


lim = lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t

Darto che f (0, 1) = 0 e ∇ f (0, 1) = (0, 0), si ha


f (x, y) − ( f (0, 1) + 〈∇ f (0, 1), (x, y − 1)〉) f (x, y)
lim p = lim p
(x,y)→(0,1) x 2 + (y − 1)2 (x,y)→(0,1) x 2 + (y − 1)2

x 2 | log(y 2 )|
= lim p
(x,y)→(0,1) x 2 + (y − 1)2
Dato che
x 2 | log(y 2 )| |x|
0≤ p =p |x|| log(y 2 )| ≤ 1 · |x|| log(y 2 )| →(x,y)→(0,1) 0
2
x + (y − 1) 2 2
x + (y − 1) 2

concludiamo per il teorema dei carabinieri che


x 2 | log(y 2 )|
lim p = 0.
(x,y)→(0,1) x 2 + (y − 1)2
Dunque f è differenziabile in (0, 1).
108 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Esercizio 5.8.26 (da prova scritta AM2: 7-9-2020). Sia f : R2 → R


 q


 x 2 − y 2 se x > |y|




f (x, y) = 0 se |x| ≤ |y|






 p 2
− x − y 2 se x < −|y|
Determinare in quali punti del dominio la funzione f è derivabile.

SOLUZIONE:
Siano:

A + := {(x, y) ∈ R2 : x > |y|}


A − := {(x, y) ∈ R2 : x < −|y|}
B := {(x, y) ∈ R2 : |x| < |y|}
C := {(x, y) ∈ R2 : |x| = |y|}
Si ha
R2 = A + ∪ A − ∪ B ∪C .
Gli insiemi A + , A − , B sono aperti e f ristretta a ciascuno di tali insiemi è di classe C 1 . Dunque
in essi la funzione è derivabile. Resta da studiare la derivabilità nei punti di C .
Dato che f (−x, y) = − f (x, y) basterà studiare il punto (0, 0) e i punti (x 0 , ±x 0 ) con x 0 > 0.
In (x 0 , x 0 ), con x 0 > 0:
q
f (x 0 + t , x 0 ) − f (x 0 , x 0 ) x0 +t >x0 =|x0 | (x 0 + t )2 − x 02 − 0
lim = lim
t →0+ t t →0+ t
p p
2t x 0 + t 2 2t x 0
= lim+ = lim+ = +∞
t →0 t t →0 t
In (x 0 , −x 0 ), con x 0 > 0:
q
f (x 0 + t , −x 0 ) − f (x 0 , −x 0 ) x0 +t >x0 =|−x0 | (x 0 + t )2 − x 02 − 0
lim = lim
t →0+ t t →0+ t
p p
2t x 0 + t 2 2t x 0
= lim+ = lim+ = +∞
t →0 t t →0 t
Dunque f non è derivabile in (x 0 , x 0 ) ∈ C , con x 0 > 0.
Resta da studiare il punto (0, 0).
Calcoliamo il limite da destra del rapporto incrementale.
p
f (t , 0) − f (0, 0) t >0=|0| t2 −0 |t | t
lim+ = lim+ = lim+ = lim+ = 1
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
5.8. ESERCIZI 109

Calcoliamo il limite da sinistra del rapporto incrementale.


p
f (t , 0) − f (0, 0) t <0=−|0| − t2 −0 −|t | t
lim− = lim− = lim− = lim− = 1.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
La funzione f è quindi derivabile rispetto alla variabile x in (0, 0) e f x (0, 0) = 1.
Studiamo la derivata parziale rispetto a y in (0, 0). Essendo
f (0, y) = 0 ∀y ∈ R
la funzione f ristretta all’asse y è costante, quindi esiste f y (0, 0) ed essa vale 0.

Esercizio 5.8.27 (da prova scritta AM2: 25-1-2021). Si consideri f : R3 → R


f (x, y, z) = x y z|y|.
Stabilire se f è di classe C 1

SOLUZIONE:
Si ha
f (x, y, z) = h(x, y, z)g (x, y, z)
dove
h : R3 → R, h(x, y, z) = xz
e
y2
½
3 se y ≥ 0
g : R → R, g (x, y, z) = y|y| = 2
−y se y < 0.
h è chiaramente di classe C 1 e
∇h(x, y, z) = (z, 0, x).
Dimostriamo che anche g è di classe C 1 : l’unico problema è valutare g y , dato che
g x ≡ 0, g z ≡ 0.
Si ha che per ogni (x, 0, z) ∈ R3 è:
g (x,t ,z)−g (x,0,z) t2
"
limt →0+ t
= limt →0+ t
=0
g (x,t ,z)−g (x,0,z) 2
−t
limt →0− t = limt →0− t = 0.
Allora esiste g y (x, 0, z) = 0. D’altra parte,
∀y < 0 g (x, y, z) = y 2 ⇒ g y (x, y, z) = 2y
e se y < 0
∀y < 0 g (x, y, z) = −y 2 ⇒ g y (x, y, z) = −2y.
Riassumendo:
g y (x, y, z) = 2|y| ∀(x, y, z) ∈ R3
110 5. CALCOLO DIFFERENZIALE

che è continua.
Pertanto:
∇g (x, y, z) = (0, 2|y|, 0)
La funzione f è quindi di classe C 1 in quanto prodotto di funzioni di classe C 1 .

Esercizio 5.8.28 (da prova scritta AM2: 15-2-2021). Sia f : R3 → R


q
f (x, y, z) = x x 2 + y 2 + z 2 .

Studiare la differenziabilità di f .

Sol. Esercizio 5.8.28


f è differenziabile nell’insieme aperto R3 \ {(0, 0, 0)} in quanto composizione e prodotto di
funzioni C 1 in tale insieme.
Studiamo la differenziabilità di f in (0, 0, 0). Vediamo se f è derivabile in tale punto.
p
f (t , 0, 0) − f (0, 0, 0) f (t , 0, 0) t t2
lim = lim = lim =0
t →0 t t →0 t t →0 t

f (0, t , 0) − f (0, 0, 0) 0−0


lim = lim =0
t →0 t t →0 t

f (0, 0, t ) − f (0, 0, 0) 0−0


lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t
Quindi f è derivabile in (0, 0, 0) e ∇ f (0, 0, 0) = (0, 0, 0).
Ora,
f (x, y, z) − ( f (0, 0, 0) + 〈∇ f (0, 0, 0), (x, y, z)〉)
lim p
(x,y,z)→(0,0,0) x2 + y 2 + z2
p
x x2 + y 2 + z2
= lim p = lim x = 0.
(x,y,z)→(0,0,0) x2 + y 2 + z2 (x,y,z)→(0,0,0)

Quindi f è differenziabile in (0, 0, 0).

Esercizio 5.8.29 (BDO 11.5.5.). Date le funzione f : R2 → R3 , g : R3 → R,

f (x, y) = (x + y, x y, x y 2 ), g (u, v, w) = uv 2 w

scrivere le matrici jacobiane D f (x, y), D g (u, v, w) e infine, usando la formula (5.5.2), D(g ◦
f )(x, y) .
5.8. ESERCIZI 111

Sol. esercizio 5.8.29: Si hanno  


1 1
 
 
D f (x, y) =  y x
 

 
 
y 2 2x y

v 2w uv 2
¡ ¢
D g (u, v, w) = 2uv w
x 2 y 4 (4x + 3y) x 3 y 3 (4x + 5y) .
¡ ¢
D(g ◦ f )(x, y) = D g ( f (x, y))D f (x, y) =
CAPITOLO 6

Funzioni convesse

Lemma 6.0.1. Se x 1 , x 2 ∈ Rn , x 1 < x 2 , allora il segmento congiungente x 1 e x 2 è l’insieme


{(1 − t )x 1 + t x 2 : t ∈ [0, 1]} .

Definizione 6.0.2 (Insieme convesso). Un insieme A ⊆ Rn si dice convesso se per ogni x 1 , x 2 ∈


A si ha
{(1 − t )x 1 + t x 2 : t ∈ [0, 1]} ⊆ A.

Sia f : A → R, con A aperto di Rn e siano x 1 , x 2 ∈ A tali che il segmento che li congiunge sia
incluso in A, ossia
(1 − t )x 1 + t x 2 ∈ A per ogni t ∈ [0, 1].

Definizione 6.0.3 (Funzione convessa). Sia f : A → R, con A ⊆ Rn convesso.


Diciamo che f è convessa se
f ((1 − t )x 1 + t x 2 ) ≤ (1 − t ) f (x 1 ) + t f (x 2 ) ∀x 1 , x 2 ∈ A, ∀t ∈ [0, 1]. (6.0.1)
Diciamo che f è concava se
f ((1 − t )x 1 + t x 2 ) ≥ (1 − t ) f (x 1 ) + t f (x 2 ) ∀x 1 , x 2 ∈ A, ∀t ∈ [0, 1]. (6.0.2)

Osservazione 6.0.4. Le disuguaglianze (6.0.1) e (6.0.2) sono banalmente soddisfatte se t = 0


e t = 1.

Osservazione 6.0.5. Una funzione può essere convessa sulle singole variabili, senza essere
convessa. Si consideri ad esempio la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x y.
Fissato y ∈ R, la funzione x 7→ f (x, y) è una funzione da R a R sia convessa che concava.
Analogamente, fissato x ∈ R, la funzione y 7→ f (x, y) è una funzione da R a R sia convessa che
concava. Eppure come funzione di due variabili f non è né convessa né concava.

Lemma 6.0.6. Sia A ⊆ Rn un insieme aperto e convesso. Sia f : A → R differenziabile in x 0 ∈ A.


Se f è convessa, allora
f (x) ≥ f (x 0 ) + 〈∇ f (x 0 ), x − x 0 〉 ∀x ∈ A.

D IMOSTRAZIONE . Sia x ∈ A, con x 6= x 0 . Per definizione di funzione convessa,


s f (x) + (1 − s) f (x 0 ) ≥ f (sx + (1 − s)x 0 ) ∀s ∈]0, 1[.
113
114 6. FUNZIONI CONVESSE

Sottraendo f (x 0 ) a primo e secondo membro si ha


s f (x) + (1 − s − 1) f (x 0 ) ≥ f (sx + (1 − s)x 0 ) − f (x 0 )
da cui, essendo sx + (1 − s)x 0 = x 0 + s(x − x 0 ),
s( f (x) − f (x 0 )) ≥ f (x 0 + s(x − x 0 )) − f (x 0 ).
Dividendo per s si ha
f (x 0 + s(x − x 0 )) − f (x 0 )
f (x) − f (x 0 ) ≥ . (6.0.3)
s
Per la differenziabilità di f e il Teorema 5.3.2,
f (x 0 + s(x − x 0 )) − f (x 0 )
lim+ = 〈∇ f (x 0 ), x − x 0 〉.
s→0 s
Quindi, per il Teorema del confronto e (6.0.3) otteniamo
f (x) − f (x 0 ) ≥ 〈∇ f (x 0 ), x − x 0 〉.
Si noti che se x = x 0 allora la disuguaglianza è banalmente verificata. 
Teorema 6.0.7 (Caratterizzazioni del I ordine della convessità). Sia A ⊆ Rn un insieme aperto
e convesso. Sia f : A → R differenziabile. Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) f è convessa
(b) f (x) ≥ f (x 0 ) + 〈∇ f (x 0 ), x − x 0 〉 ∀x, x 0 ∈ A
(c) [Monotonia di f ] 〈∇ f (y) − ∇ f (x), y − x〉 ≥ 0 ∀x, y ∈ A.

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b)
Segue dal Lemma 6.0.6 e dall’arbitrarietà d x 0 .
(b) ⇒ (c)
Da (b) si ha che per ogni x, y ∈ A
f (y) ≥ f (x) + 〈∇ f (x), y − x〉

f (x) ≥ f (y) + 〈∇ f (y), x − y〉.


Sommando membro a membro si ha
0 ≥ 〈∇ f (x), y − x〉 + 〈∇ f (y), x − y〉.
Essendo
〈∇ f (x), y − x〉 + 〈∇ f (y), x − y〉 = −〈∇ f (y) − ∇ f (x), y − x〉
deduciamo
〈∇ f (y) − ∇ f (x), y − x〉 ≥ 0.
(c) ⇒ (a)
6. FUNZIONI CONVESSE 115

Siano x, y ∈ A Definiamo g : [0, 1] → R,

g (t ) = f (y + t (x − y)).

Per il Lemma 5.7.5, g è derivabile e

g 0 (t ) = 〈∇ f (y + t (x − y)), x − y〉.

Se t 1 , t 2 ∈ [0, 1] allora

g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 ) = 〈∇ f (y + t 1 (x − y)) − ∇ f (y + t 2 (x − y)), x − y〉.

da cui

(t 1 − t 2 )(g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 )) = 〈∇ f (y + t 1 (x − y)) − ∇ f (y + t 2 (x − y)), (t 1 − t 2 )(x − y)〉

Essendo
y + t 1 (x − y) − (y + t 2 (x − y)) = (t 1 − t 2 )(x − y)
deduciamo da (c) che
(t 1 − t 2 )(g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 )) ≥ 0.
Pertanto
0 ≤ t 1 < t 2 ≤ 1 ⇒ g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 ) ≤ 0 ⇒ g 0 (t 1 ) ≤ g 0 (t 2 ).
Abbiamo così dimostrato che g 0 : [0, 1] → R è crescente. Allora, per la seconda caratterizza-
zione del I ordine della convessità (vedi AM1B) g : [0, 1] → R è convessa. In particolare

g ((1 − t ) · 1 + t · 0) ≤ (1 − t )g (1) + t g (0)

ossia
f (y + (1 − t )(x − y)) ≤ (1 − t ) f (y + 1 · (x − y)) + t f (y + 0 · (x − y))
da cui
f ((1 − t )x + t y) ≤ (1 − t ) f (x) + t f (y).


Teorema 6.0.8 (Caratterizzazione del II ordine della convessità). Sia A ⊆ Rn un insieme aper-
to e convesso. Sia f : A → R di classe C 2 . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) f è convessa
(b) la matrice hessiana D 2 f (x) è semidefinita positiva per ogni x ∈ A.

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Sia f convessa. Dato che A è aperto,

∀x̄ ∈ A, ∀λ ∈ Rn , ∃δ > 0 : x̄ + t λ ∈ A ∀t ∈] − δ, δ[.


116 6. FUNZIONI CONVESSE

E’ dunque ben definita: ϕ :] − δ, δ[→ R,


ϕ(t ) := f (x̄ + t λ).
Essendo
1 1
x̄ = (x̄ + t λ) + (x̄ − t λ),
2 2
dalla convessità di f si ha
1 1 1 1
f (x̄) = f ( x̄ + x̄) ≤ f (x̄ + t λ) + f (x̄ − t λ)
2 2 2 2
e quindi
f (x̄ + t λ) + f (x̄ − t λ) − 2 f (x̄) ≥ 0 ∀t ∈] − δ, δ[
da cui
f (x̄ + t λ) + f (x̄ − t λ) − 2 f (x̄)
≥0 ∀t ∈] − δ, δ[\{0}.
t2
Il limite del primo membro per t → 0 si presenta come forme indeterminata 00 . Applicando
il Teorema dell’Hopital due volte, il teorema di derivazione di funzione composta (Lemma
5.7.5) e il Teorema del confronto, si ha
f (x̄ + t λ) + f (x̄ − t λ) − 2 f (x̄)
lim
t →0 t2
H 〈∇ f (x̄ + t λ), λ〉 + 〈∇ f (x̄ − t λ), −λ〉
= lim
t →0 2t
H 〈D 2
f ( x̄ + t λ)λ, λ〉 + 〈D 2 f (x̄ − t λ)λ, λ〉
= lim ≥0
t →0 2
da cui
〈D 2 f (x̄)λ, λ〉 + 〈D 2 f (x̄)λ, λ〉
≥0
2
e quindi
〈D 2 f (x̄)λ, λ〉 ≥ 0.
Per l’arbitrarietà di x̄ ∈ A e di λ ∈ Rn si è dimostrata la tesi.
(b) ⇒ (a):
Siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄. Per la formula di Taylor con resto di Lagrange, vedi Teorema 5.7.7, esiste
θ ∈]0, 1[ tale che
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (x̄ + θ(x − x̄))(x − x̄), x − x̄〉.
2
Si noti che, essendo A convesso,
x̄ + θ(x − x̄) ∈ A
e che, per la semidefinita positività della matrice hessiana
〈D 2 f (x̄ + θ(x − x̄))(x − x̄), x − x̄〉 ≥ 0.
6. FUNZIONI CONVESSE 117

Quindi
f (x) ≥ f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉.
Tale disuguaglianza è ovviamente verificata anche se x = x̄. Per l’arbitrarietà di x e x̄ si ha
f (x) ≥ f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 ∀x, x̄ ∈ A.
La convessità di f segue dal Teorema 6.0.7.

Corollario 6.0.9 (Caratterizzazione del II ordine della convessità: caso n = 2). Sia A ⊆ R2 un
insieme aperto e convesso. Sia f : A → R di classe C 2 . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) f è convessa
(b) la matrice hessiana D 2 f (x, y) è semidefinita positiva per ogni (x, y) ∈ A
(c) per ogni (x, y) ∈ A si ha 
 f xx (x, y) ≥ 0

f y y (x, y) ≥ 0
 det D 2 f (x, y) ≥ 0

D IMOSTRAZIONE . Conseguenza dei Teoremi 4.2.11 e 6.0.8. 


CAPITOLO 7

Massimi e minimi liberi

7.1. Punti estremanti relativi

Definizione 7.1.1 (Punti estremanti locali).


Siano A ⊆ Rn e f : A → R. Sia x̄ ∈ A.
Diciamo che x̄ è un punto di massimo locale (o relativo) di f se
∃δ > 0 : f (x̄) ≥ f (x) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ).
Diciamo che x̄ è un punto di minimo locale (o relativo) di f se
∃δ > 0 : f (x̄) ≤ f (x) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ).
Diciamo che x̄ è un punto estremante locale di f se x̄ è un punto di massimo o di minimo
locale.

Definizione 7.1.2 (Punti estremanti locali forti).


Siano A ⊆ R e f : A → R. Sia x̄ ∈ A.
Diciamo che x̄ è un punto di massimo locale forte (o stretto) di f se
∃δ > 0 : f (x̄) > f (x) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
Diciamo che x̄ è un punto di minimo locale forte (o stretto) di f se
∃δ > 0 : f (x̄) < f (x) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
Diciamo che x̄ è un punto estremante locale forte di f se x̄ è un punto di massimo o di
minimo locale forte.

Definizione 7.1.3 (Punti critici).


Siano A ⊆ Rm e f : A → Rn . Sia in x̄ ∈ int A e f è derivabile in x̄.
Diciamo che x̄ è un punto critico di f se
D f (x̄) = 0.

119
120 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

Definizione 7.1.4 (Punto di sella).


Siano A ⊆ Rn e f : A → Rn . Sia in x̄ ∈ int A e f derivabile in x̄.
Diciamo che x̄ è un punto di sella se x̄ è un punto critico di f e x̄ non è né un punto di
massimo né di minimo relativo.

7.2. Teorema di Fermat

Osservazione 7.2.1.
Siano A ⊆ R e f : A → Rn . Sia f differenziabile in x̄ ∈ int A, con x̄ punto critico di f . Allora
l’iperpiano tangente al grafico di f in (x̄, f (x̄)) ha equazione

x n+1 = f (x̄).

Teorema 7.2.2 (Teorema di Fermat o condizione necessaria del I ordine per gli estremanti
relativi).
Siano A ⊆ Rn e f : A → R.
Se
(a) x̄ ∈ int A
(b) f è derivabile in x̄,
(c) x̄ è un punto estremante locale per f ,
allora
∇ f (x̄) = 0 (ossia x̄ è un punto critico di f ).

D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso di x̄ punto di massimo relativo.
Da (a) e (c) si ha che esiste r > 0 tale che
½
B (x̄, r ) ⊆ A
∃r > 0 : (7.2.1)
f (x̄) ≥ f (x) ∀x ∈ B (x̄, r ).
Fissato i ∈ {1, · · · , n} definiamo g :] − r, r [→ R

g (t ) = f (x̄ + t e i ).

Si ha g (0) = f (x̄). Inoltre, da (7.2.1)

g (0) ≥ g (t ) ∀t ∈] − r, r [.

Dunque 0 è un punto di massimo assoluto, e quindi relativo, per g , con 0 ∈ int] − r, r [.


Da (b) e dall’Osservazione 5.1.3 g è derivabile in 0 e

g 0 (0) = f xi (x̄).
7.3. CONDIZIONI NECESSARIE DEL II ORDINE PER GLI ESTREMANTI RELATIVI 121

Per il Teorema di Fermat di AM1 applicato a g , deve essere

g 0 (0) = 0,

ossia f xi (x̄) = 0. 

7.3. Condizioni necessarie del II ordine per gli estremanti relativi

Teorema 7.3.1 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi).
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
Se x̄ è un punto di minimo (massimo) locale per f , allora
½
∇ f (x̄) = 0
D 2 f (x̄) ≥ 0 (≤ 0).

D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso di x̄ punto di minimo relativo. La dimostrazione nel caso
di x̄ punto di massimo relativo procede in modo analogo.
Essendo A aperto e x̄ punto di minimo relativo per f , per il Teorema di Fermat (v. Teorema
7.2.2), si ha ∇ f (x̄) = 0. Inoltre,
½
B (x̄, r ) ⊆ A
∃r > 0 : (7.3.1)
f (x̄) ≤ f (x) ∀x ∈ B (x̄, r ).
r r
Sia v ∈ Rn \ {0}. Definiamo g :] − |v| , |v| [→ R

g (t ) = f (x̄ + t v).

Essendo
r r
½ ¾
x̄ + t v : t ∈] − , [ ⊆ B (x̄, r ),
|v| |v|
deduciamo da (7.3.1) che 0 è un punto di minimo assoluto (quindi relativo) di g interno
r r
al dominio. Essendo g ∈ C 2 (] − |v| , |v| [), per la condizione necessaria del II ordine per gli
estremanti relativi di funzioni di una variabile reale, (si veda AM1B) si ha g 00 (0) ≥ 0. Essendo,
r r
g 0 (t ) = 〈∇ f (x̄ + t v), v〉, g 00 (t ) = 〈D 2 f (x̄ + t v)v, v〉 ∀t ∈:] − , [,
|v| |v|
deduciamo che
〈D 2 f (x̄)v, v〉 = g 00 (0) ≥ 0.
Dall’arbitrarietà di v, deduciamo che D 2 f (x̄) ≥ 0. 

Corollario 7.3.2 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi: caso n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
122 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

Se (x̄, ȳ) è un punto di minimo locale per f , allora




 ∇ f (x̄, ȳ) = 0

 f (x̄, ȳ) ≥ 0
xx

 f y y (x̄, ȳ) ≥ 0
det D 2 f (x̄) ≥ 0.

D IMOSTRAZIONE . Che il punto sia critico segue dal Teorema di Fermat 7.2.2. Le condi-
zioni sulle derivate seconde seguono dai Teoremi 4.2.11 e 7.3.1. 
Corollario 7.3.3 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi: caso n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
Se (x̄, ȳ) è un punto di massimo locale per f , allora


 ∇ f (x̄, ȳ) = 0

 f (x̄, ȳ)≤ 0
xx

 f y y (x̄, ȳ) ≤ 0
det D 2 f (x̄) ≥ 0.

D IMOSTRAZIONE . Che il punto sia critico segue dal Teorema di Fermat 7.2.2. Le condi-
zioni sulle derivate seconde seguono dai Teoremi 4.2.13 e 7.3.1. 

7.4. Condizione sufficiente del II ordine per i punti di sella

Teorema 7.4.1 (Condizione sufficiente del II ordine per i punti di sella).


Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
Sia x̄ ∈ A un punto critico per f .
Se D 2 f (x̄) è indefinita, allora x̄ è un punto di sella.

D IMOSTRAZIONE .
Se x̄ fosse un punto estremante relativo, allora per il Teorema 7.3.1 D 2 f (x̄) sarebbe semide-
finita, contraddicendo l’ipotesi. 

7.5. Condizioni sufficienti per gli estremanti relativi

Teorema 7.5.1 (Condizione sufficiente del I ordine per i punti estremanti assoluti e relativi).
Sia A ⊆ Rn un insieme aperto e convesso. Sia f : A → R una funzione convessa e differenziabile
in x 0 ∈ A.
Se x 0 è un punto critico di f , allora x 0 è un punto di minimo assoluto (quindi anche relativo)
di f .

D IMOSTRAZIONE . f è differenziabile in x 0 ed f è convessa, allora per il Lemma 6.0.6


f (x) ≥ f (x 0 ) + 〈∇ f (x 0 ), x − x 0 〉 ∀x ∈ A.
7.5. CONDIZIONI SUFFICIENTI PER GLI ESTREMANTI RELATIVI 123

Per il Teorema 7.2.2 è ∇ f (x 0 ) = 0. Quindi,


f (x) ≥ f (x 0 ) ∀x ∈ A.
Ciò conclude la dimostrazione. 
Teorema 7.5.2 (Condizione sufficiente del II ordine per i punti estremanti relativi).
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A). Sia x̄ ∈ A
Valgono le seguenti implicazioni:
½
∇ f (x̄) = 0
⇒ x̄ è un punto di minimo relativo forte,
D 2 f (x̄) > 0
e ½
∇ f (x̄) = 0
⇒ x̄ è un punto di massimo relativo forte.
D 2 f (x̄) < 0
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso dei minimi.
Sia r > 0 tale che B (x̄, r ) ⊆ A.
Per il Teorema 5.7.10 si ha
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|2 ) per x → x̄.
2
Per ipotesi, ∇ f (x̄) = 0, quindi
1
f (x) = f (x̄) + 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|2 ) per x → x̄.
2
2
Essendo D f (x̄) > 0, per il Teorema 4.2.5
∃λ > 0 : 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 ≥ λ|x − x̄|2 ∀x ∈ B (x̄, δ).
Per definizione:
o(|x − x̄|2 )
lim = 0,
x→x̄ |x − x̄|2
quindi
o(|x − x̄|2 ) λ
∃δ ∈]0, r [ : > − ∀x ∈ B (x̄, δ).
|x − x̄|2 2
Ne deduciamo che
1
f (x) = f (x̄) + 〈D 2 f (x̄)(x − x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|2 )
2
λ
≥ f (x̄) + |x − x̄|2 + o(|x − x̄|2 )
2
λ λ
> f (x̄) + |x − x̄|2 − |x − x̄|2 = f (x̄).
2 2
Abbiamo così dimostrato la tesi. 
124 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

Corollario 7.5.3 (Condizione sufficiente del II ordine per i punti estremanti relativi: n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A). Sia (x̄, ȳ) ∈ A
Valgono le seguenti implicazioni:


 ∇ f (x̄, ȳ) = 0




f xx (x̄, ȳ) > 0 ⇒ x̄ è un punto di minimo relativo forte,





det D 2 f (x̄, ȳ) > 0

e 

 ∇ f (x̄, ȳ) = 0




f xx (x̄, ȳ) < 0 ⇒ x̄ è un punto di massimo relativo forte.





det D 2 f (x̄, ȳ) > 0

D IMOSTRAZIONE .
Segue immediatamente dal Teorema 7.5.2 e dai Corollari 4.2.8 e 4.2.9.


7.6. Hessiano nullo

Quando si trova una linea di punti critici, il determinante della matrice hessiana calcolata in
tali punti critici risulta nullo. Vale infatti il seguente risultato.

Proposizione 7.6.1.
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A). Supponiamo che esista γ : I → Rn , con I
intervallo reale, int I 6= ;, tale che
(a) γ ∈ C 1 (I ),
(b) γ0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ I
(c) vale l’inclusione
{γ(t ) : t ∈ I } ⊆ {x ∈ A : ∇ f (x) = 0}. (7.6.1)
Allora
det D 2 f (γ(t )) = 0.

D IMOSTRAZIONE .
Sia γ : I → Rn , γ(t ) = (γ1 (t ), · · · , γn (t )) come nell’enunciato.
Fissato i ∈ {1, · · · , n} consideriamo la funzione

h i : I → R, h(t ) = f xi (γ1 (t ), · · · , γn (t )).


7.6. HESSIANO NULLO 125

Tale funzione è identicamente nulla, per (7.6.1). h i è quindi derivabile con derivata iden-
ticamente nulla e, per le regole di derivazione di funzioni composte (v. Teorema 5.5.4 o
Corollario 5.5.5)
n
0 = h i0 (t ) = f xi x j (γ1 (t ), · · · , γn (t ))γ0j (t ).
X
j =1
Pertanto, per ogni t ∈ I , (γ1 (t ), · · · , γn (t ))
0 0
è soluzione non nulla del sistema algebrico lineare
di n equazioni e n incognite che, scritto in forma matriciale, appare nella forma
   
x1 0
2  ..   .. 
D f (γ(t ))  .  =  .  .
xn 0
Per il Teorema di Cramer, ciò è possibile se e solo se det D 2 f (γ(t )) = 0.

Quando succede che in corrispondenza di un punto critico l’hessiano di una funzione sia
nullo, è opportuno ricorrere alla definizione di punto estremante relativo.

Esempio 7.6.2. Sia f : R2 → R, f (x, y) = x 4 + y 4 . (0, 0) è l’unico punto critico e det D 2 f (0, 0) =
0. Tuttavia, essendo
f (0, 0) = 0, f (x, y) ≥ 0 ∀(x, y) ∈ R2 ,
deduciamo che (0, 0) è un punto di minimo assoluto, quindi anche relativo.

Esempio 7.6.3. Sia f : R2 → R, f (x, y) = x 4 − y 4 . (0, 0) è l’unico punto critico e det D 2 f (0, 0) =
0. Tuttavia, essendo
f (0, 0) = 0, f (x, 0) = x 4 > 0 ∀x 6= 0, f (0, y) = −y 4 > 0 ∀y 6= 0
deduciamo che (0, 0) è un punto critico che non è né massimo né minimo relativo e quindi è
un punto di sella.

Come nell’Esempio 3.2.6, in cui non esiste il limite di una funzione di due variabili per
(x, y) → (0, 0), ma se ci si restringe a rette per l’origine, allora il limite è 0, anche per gli estre-
manti relativi può accadere qualcosa di analogo. Ciò è ben illustrato dal seguente esempio.

Esempio 7.6.4. Sia f : R2 → R, f (x, y) = y(y − x 2 ). (0, 0) non è un punto estremante relativo:
infatti f (0, 0) = 0 eppure
∀r > 0 ∃(x, y), (x 0 , y 0 ) ∈ B r (0, 0) : f (x, y) < f (0, 0) < f (x 0 , y 0 )
come facilmente si ottiene dallo studio del segno della funzione f . Tuttavia, (0, 0) è un punto
di minimo relativo per f ristretta a qualunque retta per l’origine.
Restringendoci all’asse y si ha:
f (0, y) = y 2 ≥ 0 ∀y ∈ R.
126 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

Proviamo a restringerci ad altre rette passanti per l’origine, non verticali.


Sia m ∈ R+ si ha
f (x, mx) = mx(mx − x 2 ) = x 2 (m 2 − mx) ≥ 0 ∀x ≤ m
Sia m ∈ R− si ha
f (x, mx) = mx(mx − x 2 ) = x 2 (m 2 − mx) ≥ 0 ∀x ≥ m.
Da qui la tesi.

In tre o più variabili, si ha qualche speranza di classificare un punto critico come punto di
sella anche quando l’hessiano in tale punto è nullo, usando il Teorema 4.2.15: se infatti la
matrice hessiana calcolata nel punto critico ha un minore principale di ordine pari che è
negativo (< 0), allora A è indefinita.

7.7. Esercizi

Esercizio 7.7.1. Data la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x 2 (y − 2), deteminare i punti critici di


f , e, tra questi, i punti di massimo e di minimo relativi.

[Sol. es: 7.7.1: Il gradiente di f è


∇ f (x, y) = (2x(y − 2), x 2 )
che si annulla per x = 0. I punti critici sono tutti e soli i punti dell’asse y.
Poiché f (0, y) = 0, studiamo il segno di f .
f (x, y) = 0 se e solo se (x, y) è punto dell’asse y o della retta y = 2.
f (x, y) > 0 se e solo se (x, y) è punto del semipiano y > 2 ma non sta sull’asse y.
f (x, y) < 0 se e solo se (x, y) è punto del semipiano y < 2 ma non sta sull’asse y.
Si deduce dallo studio del segno che sono punti di minimo relativi i punti sull’asse y tali che
y > 2 (che sono “circondati” da punti in cui f (x, y) ≥ 0); sono punti di massimo relativi i punti
sull’assse y tali che y < 2 (che sono “circondati” da punti in cui f (x, y) ≤ 0). Il punto (0, 2) è
di sella. ]

Esercizio 7.7.2 (I esercizi2variabiliparteII-12-4-2011).


Determinare i punti di massimo e di minimo relativi di
f (x, y) = x 2 + x y + 2y 2 .
Scrivere il polinomio di Taylor del second’ordine di f nel punto (1, −2).

[Sol.: f è derivabile e ∇ f (x, y) = (2x + y, x + 4y) e quindi l’unico punto critico è (0, 0). La
matrice hessiana è µ ¶
2 2 1
D f (x, y) =
1 4
7.7. ESERCIZI 127

quindi (per la condizione sufficiente del secondo ordine) (0, 0) è punto di minimo relativo. Il
polinomio di Taylor in (1, −2) è: 7 − 7(y + 2) + 21 2(x − 1)2 + 2(x − 1)(y + 2) + 4(y + 2)2 .]
© ª

Esercizio 7.7.3 (I esercizi2variabiliparteII-12-4-2011).


Data la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x 4 + y 4 − (x − y)2 , determinare i punti critici di f ,
e, tra questi, i punti di massimo e di minimo relativi. Scrivere lo sviluppo di Taylor del
second’ordine di f con resto di Peano nel punto (1, 0).

[Sol.: f è derivabile e ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2(x − y), 4y 3 + 2(x − y)). I punti critici si ottengono
risolvendo il sistema
4x 3 − 2(x − y) = 0 4(x 3 + y 3 ) = 0
½ ½ ½
x = −y
3 ⇔ 3 ⇔
4y + 2(x − y) = 0 4y + 2(x − y) = 0 4y(y 2 − 1) = 0
e si deduce che i punti critici sono (0, 0), (1, −1) e (−1, 1). Usando la matrice hessiana (condi-
zione sufficiente del secondo ordine)
12x 2 − 2
µ ¶
2 2
D f (x, y) =
2 12y 2 − 2
si ottengono: (1, −1) e (−1, 1) minimi. Per (0, 0) non si può concludere. Tuttavia, f (0, 0) = 0 e
dallo studio del segno si ha, restringendosi all’asse x, che f (x, 0) = x 4 − x 2 = x 2 (x 2 −1) < 0 per
x ∈ (−1, 1)\{0}, mentre restringendosi alla bisettrice y = x: f (x, x) = 2x 4 > 0 per x ∈ (−1, 1)\{0}.
Dunque: sull’asse x il punto (0, 0) è un punto di massimo relativo, mentre sulla bisettrice
y = x (0, 0) è un punto di minimo relativo. Si conclude quindi che (0, 0) è un punto di sella.]

Esercizio 7.7.4 (I esercizi2variabiliparteII-12-4-2011). Si consideri la funzione


1 1
f (x, y) = x 3 y − y x + y 2 .
3 3
Determinare le derivate direzionali e i punti di massimo e di minimo relativi.

[Sol. es: 7.7.4: ∇ f (x, y) = (y(x 2 −1), 13 x 3 −x+ 32 y) per cui i punti critici sono (1, 1), (−1, −1), (0, 0)
p
e (± 3, 0). Dallo studio della matrice hessiana (condizione sufficiente del secondo ordine)
p
risulta che (0, 0) e (± 3, 0) sono punti di sella e che (1, 1), (−1, −1) sono punti di minimo
relativo.
Per le derivate direzionali: f è un polinomio, dunque è differenziabile. Ne segue che, posto
λ = (α, β),
∂f 1 2
(x, y) = 〈∇ f (x, y), λ〉 = 〈(y(x 2 − 1), x 3 − x + y), (α, β)〉 = ...]
∂λ 3 3
128 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

Esercizio 7.7.5 (I esercizi2variabiliparteII-12-4-2011). Si consideri la funzione


y2
f (x, y) = arctan
.
x
Determinare il dominio e i punti di massimo e di minimo relativi.

[Sol. es: 7.7.5: Dominio: A = R2 \ asse y.


1 y 2 2y
∇ f (x, y) = ³ 2 ´2 (− x 2 , x ). Dunque i punti dell’asse x, eccetto l’origine che non appartiene
y
1+ x
ad A, sono i punti critici, cioè i punti critici sono i punti (x, 0) con x 6= 0. Lo studio della
matrice hessiana non è utile. Nei punti critici la funzione f vale 0. Studiando il segno di f
osserviamo che nel primo e quarto quadrante la funzione f è positiva, nel secondo e terzo
è negativa. Dunque, i punti (x, 0) con x > 0 sono punti di minimo relativi e i punti (x, 0) con
x < 0 sono punti di massimo relativi.]

Esercizio 7.7.6 (da prova scritta AM2: 13-1-2020). Sia f : R3 → R, f (x, y, z) = x y 2 + y 4 −


2x 2 − z 2 . Determinare i punti critici di f e classificarli (punto di massimo locale/minimo
locale/sella).

SOLUZIONE dell’Esercizio 7.7.6:


f ∈ C 2 (R3 ). Cerchiamo i punti critici di f .
∇ f (x, y, z) = (y 2 − 4x, 2x y + 4y 3 , −2z).
 
2 2


 y − 4x = 0  y − 4x = 0


∇ f (x, y, z) = (0, 0, 0) ⇔ 2x y + 4y 3 = 0 ⇔ y(2x + 4y 2 ) = 0

 

−2z = 0 z = 0,
 

le cui soluzioni sono soluzioni di uno dei seguenti sistemi:


 


 y = 0  y 6= 0


 
 y 2 − 4x = 0
  y 2 − 4x = 0

(S1) 2
(S2) 2
.
 y(2x + 4y ) = 0  y(2x + 4y ) = 0

 


 

z = 0 z = 0

Si ha che (0, 0, 0) è l’unica soluzione del sistema (S1).


Il sistema (S2) non ha soluzione in quanto
 


 y =
6 0 

 y 6= 0
 
 y 2 − 4x = 0
 x = 1 y 2 > 0

4
(S2) ⇔ 2



 2x + 4y = 0 

 x = −2y 2 < 0

 

z = 0 z = 0.
7.7. ESERCIZI 129

Studiamo la matrice hessiana.


 
−4 2y 0
D 2 f (x, y, z) =  2y 0 0 ,
 
0 0 −2
da cui  
−4 0 0
D 2 f (x, y, z) =  0 0 0  .
 
0 0 −2
Essendo il suo determinante uguale a 0 non possiamo concludere.
Ragioniamo per restrizioni. Si noti che f (0, 0, 0) = 0.
Restrizione all’asse y (x = z = 0):
f (0, y, 0) = y 4
quindi (0, 0, 0) non può essere un punto di massimo relativo per f .
Restrizione all’asse x (y = z = 0):
f (x, 0, 0) = −2x 2
quindi (0, 0, 0) non può essere un punto di minimo relativo per f .
Ne deduciamo che (0, 0, 0) è un punto di sella.

Esercizio 7.7.7 (da prova scritta AM2: 25-1-2021). Si consideri f : R3 → R


f (x, y, z) = x y z|y|.
Determinare i punti critici di f e classificarli

SOLUZIONE:
Dall’Esercizio 5.8.27 f è di classe C 1 e si ha
f (x, y, z) = h(x, y, z)g (x, y, z)
dove
h : R3 → R, h(x, y, z) = xz
e
y2
½
3 se y ≥ 0
g : R → R, g (x, y, z) = y|y| = 2
−y se y < 0.
con
∇h(x, y, z) = (z, 0, x),
g x ≡ 0, g z ≡ 0.
g y (x, y, z) = 2|y| ∀(x, y, z) ∈ R3
Allora risulta
∇ f (x, y, z) = g (x, y, z)∇h(x, y, z) + h(x, y, z)∇g (x, y, z)
130 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

= y|y|(z, 0, x) + xz(0, 2|y|, 0) = (y|y|z, 2xz|y|, x y|y|).


I punti critici sono le soluzioni di 
 y|y|z = 0

2xz|y| = 0

 x y|y| = 0

Tutti i punti del piano y = 0 sono critici. Al di fuori di tale piano sono punti critici i punti
(x, y, z) con y 6= 0 e 
 z =0

2xz = 0

 x =0

cioè tutti i punti dell’asse y sono critici.


Si consideri il punto critico P = (0, y 0 , 0) dell’asse y, con y 0 6= 0: la f si annulla in P e

R 3 t 7→ f (t 2 , y 0 , t ) = t 3 y 0 |y 0 |

cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella.
Si consideri il punto critico P = (x, 0, z) con xz 6= 0: la f si annulla in P e

R 3 t 7→ f (x, t , z) = xzt |t |

cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella.
Si consideri il punto critico P = (0, 0, z) 6= (0, 0, 0): la f si annulla in P e

R 3 t 7→ f (t 2 , t , z) = t 2 zt |t |

cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella. Analogamente si ragiona per il punto critico P = (x, 0, 0) 6= (0, 0, 0).
Si consideri il punto critico O = (0, 0, 0): la f si annulla in P e f è positiva nell’ottante x, y, z >
0 ed è negativa nell’ottante x, y, z < 0. Dunque O è un punto di sella.

Esercizio 7.7.8 (da prova scritta AM2: 29-6-2020). Si consideri la funzione f : R2 → R, f (x, y) =
x 4 − x 2 y 2.
Determinare i punti critici di f e classificarli.

SOLUZIONE:
f (x, y) = x 4 − x 2 y 2 , quindi ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2x y 2 , −2x 2 y).

4x 3 − 2x y 2 = 0
½ ½ ½
0=0 x =0
⇔ ∪ ⇔ (0, y) ∀y ∈ R.
−2x 2 y = 0 x =0 y =0
7.7. ESERCIZI 131

Dunque i punti critici di f sono tutti e soli i punti dell’asse y. In essi la funzione vale f (0, y) =
0.
Studiamo il segno di f :
f è nulla sulle bisettrici e sull’asse y. f è positiva a destra e a sinistra e negativa sopra e sotto.

Si ottiene che:
per ogni y 6= 0 i punti (0, y) sono punti di massimo relativo,
il punto (0, 0) è di sella.

Esercizio 7.7.9 (da prova scritta 20-7-2020). Si consideri f : R3 → R, f (x, y, z) = −x 2 − y 2 z +


y + z 2 . determinarne i punti critici e classificarli.

SOLUZIONE:
 
 −2x = 0
  x =0

∇ f (x, y, z) = (0, 0, 0) ⇔ −2y z + 1 = 0 ⇔ 2y z = 1
 −y 2 + 2z = 0
  2z = y 2


x =0


 x =0 


⇔ 3
y =1 ⇔ y =1
 2  1
 2z = y  z=

2
L’unico punto critico è (0, 1, 21 ).
La matrice Hessiana è  
−2 0 0
D 2 f (x, y, z) =  0 −2z −2y 
 
0 −2y 2
132 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

dunque  
−2 0 0
1
D 2 f (0, 1, ) =  0 −1 −2 
 
2
0 −2 2
Si noti che −2 è un autovalore di D 2 f (0, 1, 12 ).
I MODO:
µ ¶
2 1 −1 −2
det D f (0, 1, ) = −2 det = −2(−2 − 4) = 12 > 0.
2 −2 2
Dato che la matrice hessiana è simmetrica reale,
1
det D 2 f (0, 1, ) = λ1 λ2 λ3
2
dove λ1 , λ2 , λ3 sono gli autovalori, contati con la loro moltiplicità.
Possiamo supporre λ1 = −2. Dunque λ2 λ3 = −6 quindi uno dei due autovalori tra λ2 e λ3 è
positivo. La matrice hessiana è quindi indefinita. Il punto critico è un punto di sella.
II MODO:
Gli altri autovalori sono le soluzioni di
p
−1 − λ −2
µ ¶
2 1 ± 25
det = 0 ⇔ (−1 − λ)(2 − λ) − 4 = 0 ⇔ λ − λ − 6 = 0 ⇔ λ =
−2 2−λ 2
Dunque vi è anche un autovalore positivo. Inoltre, −2 è un autovalore di D 2 f (0, 1, 21 ).
D 2 f (0, 1, 21 ) è quindi indefinita. Il punto (0, 1, 21 ) è di sella.

Esercizio 7.7.10 (da prova scritta AM2: 7-9-2020). Si consideri la funzione f : A → R, con
A := {(x, y, z) ∈ R3 : y 6= 0}
e
z
f (x, y, z) = (x 2 − 1) .
y2
Determinare i punti critici di f e classificarli.

SOLUZIONE:
2
f (x, y, z) = (x 2 − 1) yz2 , quindi ∇ f (x, y, z) = ( 2xz
y2
, −2(x 2 − 1) yz3 , x y−1
2 ).

Punti critici:
2xz

 
 xz = 0  xz = 0

 y2

  
−2(x 2 − 1) yz3 = 0 ⇔  (x − 1)z = 0 ∪  (x − 1)z = 0 ⇔ (1, y, 0)e (−1, y, 0)∀y ∈ R \ {0}.
2 2
  x =1  x = −1
 x 2 −1 = 0


y 2

In tali punti critici la funzione vale 0.


7.7. ESERCIZI 133

Fissato y 6= 0 studiamo il segno di f ristretta all’insieme


{(x, y, z) : x = 1 + z 2 , y 6= 0} 3 (1, y, 0)
ossia consideriamo la funzione
t t
·
> 0 se t > 0
2 2 2
g (t ) := f (1 + t , y, t ) = ((1 + t ) − 1) 2 = (2t 2 + t 4 ) 2
y y < 0 se t < 0.
Dunque i punti (1, y, 0) sono di sella.
Dato che f (−x, y, z) = f (x, y, z) allora anche i punti (−1, y, 0) sono di sella.

Esercizio 7.7.11 (da prova scritta AM2: 15-2-2021). Sia f : R3 → R


q
f (x, y, z) = x x 2 + y 2 + z 2 .
Determinarne gli eventuali punti critici e classificarli.

[Sol. Esercizio 7.7.11


Per lo studio della differenziabilità si veda l’Esercizio 5.8.28.
Punti critici.
In R3 \ {(0, 0, 0)}

Ãq !
x2 xy xz
∇ f (x, y, z) = x2 + y 2 + z2 + p ,p ,p ∀(x, y, z) ∈ R3 \{(0, 0, 0)}.
x2 + y 2 + z2 x2 + y 2 + z2 x2 + y 2 + z2
Esso si annulla se e solo se
 p
2 2 2 x2
 x +y +z + p =0

x 2 +y 2 +z 2

 xy = 0

 xz = 0

Il primo membro della prima equazione è somma di quantità non negative, quindi affinché
la somma faccia 0, entrambi gli addendi devono essere nulli, da cui
q
x2 + y 2 + z2 = 0
e quindi, ragionando in modo analogo a quanto appena fatto, deve essere
x = 0, y = 0, z = 0
Il punto (0, 0, 0) non è accettabile, in quanto non appartiene a R3 \ {(0, 0, 0)}. Quindi f non ha
punti critici in R3 \ {(0, 0, 0)}.
Dimostriamo ora che (0, 0, 0) è un punto critico per f . Per quanto dimostrato in (a)
∇ f (0, 0, 0) = (0, 0, 0).
134 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI

D’altra parte (0, 0, 0) è un punto di sella, in quanto f (0, 0, 0) = 0 e la funzione e t 7→ f (t , 0, 0) è


positiva se t > 0 e negativa se t < 0.]

Esercizio 7.7.12 (I 2009-09-15CIVAMB). Si consideri f (x, y) = x 2 + 2y 2 − x 2 y. Determinare i


punti critici di f e classificarli.

Esercizio 7.7.13 (I 2010-02-08CIV-AMB). Si consideri f (x, y) = x 2 + y 3 + y 2 + 2x y. Determi-


nare i punti critici di f e classificarli.

Esercizio 7.7.14 (I 2010-01-18CIV-AMB). Si consideri f (x, y) = y 2 − x + 2x y. Determinare i


punti critici di f e classificarli.

Esercizio 7.7.15 (I 2009-06-13CIV-AMB). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x 2 + y + 4y 2 . Clas-


sificare i punti critici di f (max. rel. / min. rel. / sella).

Esercizio 7.7.16 (I 2009-06-26CIV-AMB). Si consideri f (x, y) = x 2 log y di dominio {(x, y) ∈


R2 : y > 0}. Determinare i punti critici di f e classificarli (max/min/selle).

Esercizio 7.7.17 (MS, p.17). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x 4 −2x 2 +(e x −y)4 . Determinare
i punti critici di f e classificarli (max/min/selle).

RISPOSTA: (0, 1) punto di sella, (1, e) e (−1, e −1 ) punti di minimo relativi.

Esercizio 7.7.18. Si consideri f : R3 → R, f (x, y, z) = −z 2 − 10y 2 − 4x y − x 2 . Determinare i


punti critici di f e classificarli (max/min/selle).

RISPOSTA: (0, 0, 0) punto di massimo relativo.

Esercizio 7.7.19. Si consideri f : R3 → R, f (x, y, z) = z 2 −4x y +x 2 . Determinare i punti critici


di f e classificarli (max/min/selle).

RISPOSTA: (0, 0, 0) punto di sella.

Esercizio 7.7.20. Si consideri f : R3 → R, f (x, y, z) = z 3 −4x y +x 2 . Determinare i punti critici


di f e classificarli (max/min/selle).
7.7. ESERCIZI 135

RISPOSTA: (0, 0, 0) punto di sella.

xy
Esercizio 7.7.21 (MS-es, 1.23). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
i punti critici di f e classificarli (max/min/selle).

RISPOSTA all’Esercizio 7.7.21: I punti critici sono i punti sulle bisettrici. I punti (x, x) (con
x 6= 0) sono di massimo assoluto e quindi anche relativi, i punti (x, −x) (con x 6= 0) sono di
minimo assoluto e quindi anche relativi.

Esercizio 7.7.22 (MS-es, 1.21 (a)). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x(x 2 − x − 2)4 + (x 2 − y)4 .
Determinare i punti di massimo e di minimo relativi.
µ p ³ p ´ ¶ µ p ³ p ´ ¶
2 2
5− 97 5− 97
RISPOSTA all’esercizio 7.7.22: (−1, 1) sella, 18 , 18 minimo relativo, 5+1897 , 5+1897
sella, (2, 4) minimo relativo.

Esercizio 7.7.23 (MS-es, 1.20 (b)). Si consideri f (x, y) = (x 2 + x y + y 2 ) log(x 2 + x y + y 2 ). De-


terminarne i punti di massimo e di minimo relativi.

RISPOSTA all’esercizio 7.7.23: Il dominio è R2 \ {(0, 0)}. L’ellisse x 2 + x y + y 2 = e −1 è luogo di


punti di minimo relativo. Non vi sono altri punti estremanti locali.

Esercizio 7.7.24 (MS-es, 1.21 (b)). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = (x − cos y)6 + y 2 − πy.
Determinarne i punti di massimo e di minimo relativi.

RISPOSTA all’Esercizio 7.7.24: Il punto 0, π2 è di minimo relativo. Non vi sono altri punti
¡ ¢

estremanti locali.

Esercizio 7.7.25 (MS-es, 1.22 (a)). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = 1 + y 3 (x − arctan y)2 .


Determinarne i punti di massimo e di minimo relativi.
¡ ¢
RISPOSTA all’esercizio 7.7.25: I punti arctan y, y , con y > 0, sono punti di minimo, i punti
arctan y, y , con y < 0, sono punti di massimo, i punti (x, 0) sono punti di sella per ogni x ∈ R.
¡ ¢

Esercizio 7.7.26 (MS-es, 1.25). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x 6 − y(3x 5 + 9y 5 + 1). Deter-


minarne i punti di massimo e di minimo relativi.
³ ´
1
RISPOSTA esercizio 7.7.26: Il punto critico 0, − p 5 è di sella.
³ ´ 54
Il punto critico −(3 + 26 · 33 · 5−5 ), − 25 p
5
1
6 3 −5
è un punto di massimo.
3+2 ·3 ·5
CAPITOLO 8

Funzioni aperte

Definizione 8.0.1 (Funzione aperta).


Siano A ⊆ Rn , B ⊆ Rm e f : A → B .
Si dice che f è aperta, se, per ogni aperto O ⊆ Rn esiste un aperto U di Rm , tale che f (A ∩O) =
B ∩U .

Osservazione 8.0.2.
In virtù della Definizione 1.1.19, la Definizione 8.0.1 dice che una funzione f : A → B è aperta,
se manda aperti nella topologia indotta da Rn su A in aperti nella topologia indotta da Rm su
B.

Se A ⊆ Rn , gli aperti di (A, d e ) sono gli aperti di Rn contenuti in A. Infatti, l’intersezione di


due aperti è un insieme aperto. è facile dimostrare la seguente caratterizzazione di funzioni
aperte quando il dominio e il codominio sono aperti.

Proposizione 8.0.3.
Siano A ⊆ Rn , B ⊆ Rm e f : A → B .
Se A e B sono insiemi aperti, sono equivalenti le seguenti:
(i) f : A → B è aperta,
(ii) per ogni aperto O ⊆ A, l’insieme f (O) è un insieme aperto di Rm .

Lemma 8.0.4.
Siano X ⊆ Rn e Y ⊆ Rm . Supponiamo
(a) φ : X → Y biunivoca
(b) ψ := φ−1 : Y → X continua.
Allora φ è una applicazione aperta.

D IMOSTRAZIONE .
Sia A un aperto rispetto alla topologia indotta da Rn su X (ossia: A = X ∩ Ω, con Ω aperto di
Rn .
137
138 8. FUNZIONI APERTE

Dobbiamo dimostrare che φ(A) è un insieme aperto rispetto alla topologia indotta da Rm su
Y , vale a dire: esiste O aperto di Rm tale che φ(A) = Y ∩ O.
Infatti:
φ(A) = {φ(x) : x ∈ A} = {y ∈ Y : φ−1 (y) ∈ X ∩ Ω}
= ψ−1 (X ∩ Ω) = retroimmagine di X ∩ Ω mediante ψ.
Essendo ψ continua si ha, per il Teorema 3.3.3, che ψ−1 (X ∩Ω) è aperto rispetto alla topologia
indotta da Rm su Y .

CAPITOLO 9

Teorema di invertibilità locale e teorema delle funzioni implicite

9.1. Teorema di punto fisso

Definizione 9.1.1.
Siano (X , d ) e (Y , d 0 ) spazi metrici. Una funzione f : (X , d ) → (Y , d 0 ) si dice contrazione se

∃L ∈ [0, 1[ : d 0 ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) ∀x, x 0 ∈ X .

È facile vedere che una contrazione è una funzione continua.

Proposizione 9.1.2.
Siano (X , d ) e (Y , d 0 ) spazi metrici, f : (X , d ) → (Y , d 0 ) contrazione. Allora f è continua.

D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi,
∃L ∈ [0, 1[ : d 0 ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) ∀x, x 0 ∈ X .
Sia x 0 ∈ X e dimostriamo che lim f (x) = f (x 0 ).
x→x 0
Sia ² > 0. Se scegliamo δ := L² esso è tale che

d 0 ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) < Lδ = ² ∀x ∈ X ∩ B d (x 0 , δ).

ossia lim f (x) = f (x 0 ). 


x→x 0

Definizione 9.1.3.
Siano X , Y insiemi non vuoti e f : X → Y . Si dice che x ∈ X che è un punto fisso di f se
f (x) = x.

Teorema 9.1.4 (Teorema di Banach-Caccioppoli).


Siano (X , d ) uno spazio metrico completo e f : (X , d ) → (X , d ) una contrazione.
Allora esiste un unico punto fisso di f .
139
140 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

D IMOSTRAZIONE . Essendo f una contrazione, esiste L ∈]0, 1[ tale che

d ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) ∀x, x 0 ∈ X .

Esistenza del punto fisso:


Definiamo la successione (x n ) in X per ricorrenza:
½
x n+1 = f (x n )
x0 ∈ X
Essendo f una contrazione, esiste L ∈]0, 1[ tale che

d (x n+1 , x n ) = d ( f (x n ), f (x n−1 )) ≤ Ld (x n , x n−1 ).

Dimostriamo per induzione che fissato n ∈ N∗ si ha

d (x n+1 , x n ) ≤ L n d (x 1 , x 0 ).

Se n = 0 è ovvio.
Supponiamo che sia
d (x n+1 , x n ) ≤ L n d (x 1 , x 0 ) (9.1.1)
e dimostriamo che vale
d (x n+2 , x n+1 ) ≤ L n+1 d (x 1 , x 0 ).
Si ha
(9.1.1)
d (x n+2 , x n+1 ) = d ( f (x n+1 ), f (x n )) ≤ Ld (x n+1 , x n ) ≤ L · L n d (x 1 , x 0 ) = L n+1 d (x 1 , x 0 ).

Siano ora m, n ∈ N∗ , m > n ≥ 1. Allora, usando il Teorema relativo al carattere della serie
geometrica,

d (x m , x n ) ≤ d (x m , x m−1 ) + d (x m−1 , x m−2 ) + · · · + d (x n+1 , x n )


m−1 m−1
L k d (x 1 , x 0 )
X X
= d (x k+1 , x k ) ≤
k=n k=n
m−n−1 m−n−1
L n+h = d (x 1 , x 0 )L n Lh
X X
= d (x 1 , x 0 )
h=0 h=0

n

X h Serie geometrica Ln
≤ d (x 1 , x 0 )L L = d (x 1 , x 0 ) .
h=0 1−L
Dato che L < 1 il limite per n che tende a ∞ dell’ultimo termine è 0. Quindi,

∀² > 0 ∃n̄ ∈ N∗ : d (x m , x n ) ≤ ² ∀m, n ∈ N∗ , m > n ≥ n̄.

Dunque (x n ) è una successione di Cauchy. Essendo (X , d ) completo, la successione converge


a un x̄ ∈ X .
9.1. TEOREMA DI PUNTO FISSO 141

Dalla relazione x n+1 = f (x n ), dalla continuità di f (v. Proposizione 9.1.2), e dal Teorema 3.3.6
si ha
x̄ = lim x n+1 = lim f (x n ) = f (x̄).
n→∞ n→∞

Quindi x̄ è un punto fisso.


Unicità del punto fisso:
Se esistessero x, x 0 punti fissi distinti di f si avrebbe d (x, x 0 ) > 0 e, ricordando che L < 1,

d (x, x 0 ) = d ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) < d (x, x 0 )

il che è un assurdo. 

Corollario 9.1.5.
Siano (X , d ) uno spazio metrico completo e f : (X , d ) → (X , d ). Sia m ∈ N∗ tale che f m è una
contrazione.
Allora esiste un unico punto fisso di f .

D IMOSTRAZIONE . Se m = 1 è il Teorema di Banach-Caccioppoli.


Sia m ≥ 2.
Esistenza:
Ovviamente f m : (X , d ) → (X , d ). Dal Teorema di Banach-Caccioppoli, f m ha un punto fisso
(ed esattamente uno). Sia esso x̄.
Si ha
f (x̄) = f ( f m (x̄)) = f m ( f (x̄)),

dunque f (x̄) è un punto fisso di f m . Per l’unicità dei punti fissi di f m , risulta x̄ = f (x̄), cioè
x̄ è punto fisso anche di f .
Unicità:
Sia y un punto fisso di f . Per induzione dimostriamo che y è un punto fisso di f n per ogni
n ∈ N \ {0}. Sia P (n) la proposizione “y è un punto fisso di f n (y)”. P (1) è vera per ipotesi. Sia
vera P (n) e dimostriamo P (n + 1):
P (n)vera
f n+1 (y) = f n ( f (y)) = f n (y) = y

ossia y è un punto fisso di f n+1 . Abbiamo quindi dimostrato che P (n) vera implica P (n + 1)
vera. Dunque è dimostrato che y è un punto fisso di f n (y) per ogni n ∈ N \ {0}. In particolare
y è un punto fisso per f m . Se ci fossero due punti fissi distinti di f , essi sarebbero punti
fissi distinti di f m , e ciò è assurdo perché per il Teorema 108 (T. di Banach-Caccioppoli) la
contrazione f m ha un unico punto fisso. 
142 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

9.2. Teorema di invertibilità locale

Definizione 9.2.1 (Diffeomorfismo).


Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rn .
Diciamo che f è un diffeomorfismo di classe C k , k ≥ 1, se
(i) f ∈ C k (A)
(ii) f è aperta
(iii) f è iniettiva
(iv) f −1 : f (A) → A è di classe C k .

Definizione 9.2.2 (Funzione localmente iniettiva).


Siano A ⊆ Rn , f : A → Rm .
Si dice che f è localmente iniettiva se per ogni x ∈ A esiste un aperto O ⊆ Rn , x ∈ O, tale che
la restrizione f | A∩O : A ∩ O → Rm è una funzione iniettiva.

Proposizione 9.2.3.
Siano A ⊆ Rn , f : A → Rm .
Se A è aperto, sono equivalenti le seguenti:
(i) f è localmente iniettiva
(ii) ∀x ∈ A ∃ un aperto V ⊆ A, x ∈ V , tale che f |V : V → Rm è iniettiva.

Una funzione si dice che è un diffemorfismo locale se in un intorno di ogni punto del dominio
la funzione è un diffeomorfismo. Formalizziamo ciò con la seguente definizione.

Definizione 9.2.4 (Diffeomorfismo locale).


Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rm .
Diciamo che f è un diffeomorfismo locale di classe C k , k ≥ 1, se
(i) f ∈ C k (A)
(ii) f è aperta
(iii) per ogni x ∈ A esiste un aperto V ⊆ A, tale che la restrizione f |V : V → Rm è una
funzione iniettiva e ( f |V )−1 : f (V ) → Rn è di classe C k .

Teorema 9.2.5 (Teorema di invertibilità locale).


Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rm di classe C k , k ≥ 1.
Sono equivalenti le seguenti:
9.2. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE 143

(a) f è un diffeomorfismo locale di classe C k


(b) valgono:
(i) n = m,
(ii) det D f (x) 6= 0 per ogni x ∈ A.

Esempio 9.2.6.
Sia f :]0, +∞[×R → R2 , f (x, y) = (x cos y, x sin y). Si ha che f è un diffeomorfismo locale di
Classe C ∞ (cioè di classe C k per qualunque k ≥ 1), in quanto
µ ¶
cos y −x sin y
det D f (x, y) = det = x 6= 0 ∀(x, y) ∈ Dom( f ).
sin y x cos x
D’altra parte f non è un diffeomorfismo, non essendo iniettiva: f (x, y) = f (x, y + 2π) per
ogni (x, y) ∈ Dom( f ).

Per dimostrare il Teorema 9.2.5 abbiamo bisogno di alcuni preliminari.

Lemma 9.2.7.
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rn , f = ( f 1 , · · · , f n ) ∈ C 1 (A). Allora la funzione
x 7→ kd f (x)k
è continua.

D IMOSTRAZIONE .
Per x, x̄ ∈ A si ha
v
¶2
X ∂ fi ∂ fi
um n µ
Lemma4.1.6 u X
|kd f (x)k − kd f (x̄)k| ≤ kd f (x) − d f (x̄)k ≤ t (x) − (x̄) .
i =1 j =1 ∂x j ∂x j

Dato che f ∈ C 1 allora


∂ fi ∂ fi
µ ¶
lim (x) − (x̄) = 0.
x→x̄ ∂x j ∂x j
La tesi segue dal Teorema dei carabinieri. 

Teorema 9.2.8.
Siano A ⊆ Rn , A aperto e f : A → Rm differenziabile.
Siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A. Allora esiste z ∈]x̄, x[ tale che
| f (x) − f (x̄)| ≤ kD f (z)k|x − x̄|.
144 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

D IMOSTRAZIONE .
Se f (x) = f (x̄), la disuguaglianza è ovvia. Supponiamo quindi f (x) 6= f (x̄) o, equivalente-
mente, | f (x) − f (x̄)| > 0.
Dalla Proposizione 5.7.12, applicata con v = f (x) − f (x̄), otteniamo che esiste z ∈]x̄, x[ tale
che

| f (x) − f (x̄)|2 = 〈D f (z)(x − x̄), f (x) − f (x̄)〉


C .S. Lemma4.1.6(i )
≤ |D f (z)(x − x̄)|| f (x) − f (x̄)| ≤ |D f (z)||x − x̄|| f (x) − f (x̄)|.

Dividendo per | f (x) − f (x̄)| otteniamo la tesi. 

Possiamo ora dimostrare il Teorema di invertibilità locale.

D IMOSTRAZIONE DEL T EOREMA 9.2.5 DI INVERTIBILITÀ LOCALE .


⇒:
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rm . Se f è un diffeomorfismo locale di classe C k , k ≥ 1,
allora per ogni x ∈ A esiste un aperto V ⊆ A, tale che la restrizione g := f |V : V → f (V ) è una
funzione iniettiva e h := ( f |V )−1 : f (V ) → V è di classe C k . Inoltre, per l’Esercizio 5.4.12 e il
Teorema 5.5.4 si ha, per ogni x̄ ∈ V ,

idRn = d idV (x̄) = d (h ◦ g )(x̄) = d h(g (x̄)) ◦ d g (x̄).

Dato che d g (x̄) ∈ L(Rn , Rm ) e d h(g (x̄)) ∈ L(Rm , Rn ), dal Lemma 4.1.7 otteniamo che n ≤ m.
Analogamente: per ogni ȳ ∈ f (V ) si ha

idRm = d id f (V ) ( ȳ) = d (g ◦ h)( ȳ) = d g (h( ȳ)) ◦ d h( ȳ).

Allora, per il Lemma 4.1.7, m ≤ n.


Abbiamo quindi dimostrato che n = m. Dunque, dall’ipotesi segue che f : A → Rn , f è di
classe C k , k ≥ 1, e la matrice Jacobiana D f (x̄) è una matrice quadrata n × n per ogni x̄ ∈ A.
Per (iii) della definizione di diffeomorfismo locale (Def. 9.2.4) per ogni x ∈ A esiste un aperto
V ⊆ A, tale che la restrizione g := f |V : V → f (V ) è una funzione iniettiva e h := ( f |V )−1 :
f (V ) → V è di classe C k .
Per l’Esercizio 5.4.12 e il Teorema 5.5.4 si ha, per ogni x̄ ∈ V ,

idRn = d idV (x̄) = d (h ◦ g )(x̄) = d h(g (x̄)) ◦ d g (x̄).

Ragionando con le matrici associate agli operatori lineari, otteniamo

I n = Dh(g (x̄))D g (x̄) = Dh(g (x̄))D g (x̄).


9.2. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE 145

Dato che le derivate di f : A → Rn in x̄ coincidono con le derivate della restrizione f |V in x̄,


allora D g (x̄) = D f (x̄) e quindi
I n = Dh(g (x̄))D f (x̄).
Dato che det I n = 1, deve essere, per il Teorema di Binet, det D f (x̄) 6= 0.

⇐:
Dimostriamo che f è aperta.
Per la Proposizione 8.0.3, essendo A un insieme aperto, dobbiamo dimostrare che se V ⊆ A
è aperto, allora f (V ) è un insieme aperto, ossia che per ogni ȳ ∈ f (V ) esiste σ > 0 tale che
B ( ȳ, σ) ⊆ f (V ).
Sia ȳ ∈ f (V ). Allora, esiste x̄ ∈ V tale che f (x̄) = ȳ. Essendo f ∈ C k , k ≥ 1, esiste T :=
d f (x̄) ∈ L(Rn , Rn ). Per ipotesi (ii) det D f (x̄) 6= 0, quindi l’applicazione lineare T è invertibile.
Definiamo
g : V → Rn , g (x) = x − T −1 ( f (x)).
Tenendo conto che la composizione di funzioni di classe C k è una funzione di classe C k ,
deduciamo che g ∈ C k (V, Rn ). Inoltre, per l’Esercizio 5.4.12 e il Teorema 5.5.4,
d g (x̄) = d idV (x̄) − d T −1 ( f (x̄)) ◦ d f (x̄) = idRn −T −1 ◦ T = idRn − idRn = 0.
Quindi kd g (x̄)k = 0. Per il Lemma 9.2.7 ed essendo V un insieme aperto, esiste δ > 0 tale che
B (x̄, δ) ⊆ V e
1
kd g (x)k ≤ ∀x ∈ B (x̄, δ). (9.2.1)
2
Dato che l’applicazione lineare T è invertibile, kT k 6= 0 e kT −1 k 6= 0. Denotiamo σ := 2kTδ−1 k .
Dimostriamo che B ( ȳ, σ) ⊆ f (V ). Più precisamente, ricordando che f (x̄) = ȳ, dimostriamo
che
|y − f (x̄)| < σ ⇒ y ∈ f (B (x̄, δ)).
Sia y ∈ B ( f (x̄), σ), definiamo
K : B (x̄, δ) → Rn , K (x) := x − T −1 ( f (x)) + T −1 (y) = g (x) + T −1 (y).
Dimostriamo che K (B (x̄, δ)) ⊆ B (x̄, δ):
se x ∈ B (x̄, δ) si ha
|K (x) − x̄| = |g (x) + T −1 (y) − x̄| = |g (x) − g (x̄) + g (x̄) + T −1 (y) − x̄|
= |g (x) − g (x̄) + x̄ − T −1 ( f (x̄)) + T −1 (y) − x̄| = |g (x) − g (x̄) + T −1 (y − f (x̄))|
≤ |g (x) − g (x̄)| + |T −1 (y − f (x̄))|.
Per il Teorema 9.2.8 esiste z ∈]x̄, x[⊆ B (x̄, δ) tale che
|g (x) − g (x̄)| ≤ kD g (z)k|x − x̄|.
146 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

Dato che z ∈ B (x̄, δ), per (9.2.1) e la Definizione 4.1.4 si ha


1
kD g (z)k ≤ ,
2
da cui
δ
kD g (z)k|x − x̄| ≤ .
2
Inoltre, per il Lemma 4.1.6 (i)
δ δ
|T −1 (y − f (x̄))| ≤ kT −1 k|y − f (x̄)| < kT −1 kσ = kT −1 k −1
= .
2kT k 2
Abbiamo quindi dimostrato che per ogni x ∈ B (x̄, δ)
δ δ
|K (x) − x̄| ≤ + = δ.
2 2
Ciò dimostra che l’immagine di K è contenuta in B (x̄, δ), ossia:

K : B (x̄, δ) → B (x̄, δ), K (x) := x − T −1 ( f (x)) + T −1 (y) = g (x) + T −1 (y).

Dimostriamo ora che K è una contrazione.


Siano x, x 0 ∈ B (x̄, δ), x 6= x 0 . Per il Teorema 9.2.8 esiste z ∈]x.x 0 [ tale che
(9.2.1) 1
|K (x)−K (x 0 )| = |g (x)+T −1 (y)−(g (x 0 )+T −1 (y))| = |g (x)−g (x 0 )| ≤ kd g (z)k|x−x 0 | ≤ |x−x 0 |.
2
Essendo 12 < 1 K è una contrazione. Essendo l’insieme B (x̄, δ), dotato della metrica eu-
clidea, uno spazio metrico completo, in quanto sottoinsieme chiuso dello spazio metrico
completo (Rn , d e ), possiamo applicare il Teorema 9.1.4 (Teorema del punto fisso di Banach-
Caccioppoli), deducendo che esiste (un unico), x ∈ B (x̄, δ) tale che K (x) = x, ossia tale che

x − T −1 ( f (x)) + T −1 (y) = x ⇔ T −1 ( f (x)) = T −1 (y) ⇔ f (x) = y.

Dunque y ∈ f (B (x̄, δ)) che è quanto desideravamo dimostrare.

Dimostriamo che f è localmente iniettiva con inversa locale C k .

Sia x̄ ∈ A. Denotiamo T := d f (x̄). Essendo n = m e det D f (x̄) 6= 0 per ipotesi, l’applicazione


T è in L(Rn , Rn ) ed è invertibile.
Definiamo g : A → Rn ,
g (x) = f (x) − T (x) x ∈ A.
g ∈ Ck, e
E s.5.4.12
d g (x̄) = d f (x̄) − T = T − T
da cui
kd g (x̄)k = 0.
9.2. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE 147

Per il Lemma 9.2.7 esiste δ > 0 tale che B (x̄, δ) ⊆ A e tale che
1
kd g (x)k ≤ ∀x ∈ B (x̄, δ). (9.2.2)
2kT −1 k
Da qui dimostriamo che per ogni x, x 0 ∈ B (x̄, δ), x 6= x 0

| f (x) − f (x 0 )| = | f (x) − T (x) + T (x) − T (x 0 ) + T (x 0 ) − f (x 0 )|


= |g (x) + T (x) − T (x 0 ) − g (x 0 )| ≥ |T (x − x 0 )| − |g (x) − g (x 0 )|.

Per il Lemma 4.1.8 si ha


1
|T (x − x 0 )| ≥|x − x 0 |.
kT −1 k
Inoltre, per il Teorema 9.2.8 e (9.2.2), esiste z ∈]x, x 0 [ tale che
1
|g (x) − g (x 0 )| ≤ kd g (z)k|x − x 0 | ≤ −1
|x − x 0 |.
2kT k
Ne deduciamo che
1 1 1
| f (x) − f (x 0 )| ≥ |x − x 0 | − |x − x 0 | = |x − x 0 |, (9.2.3)
kT −1 k −1
2kT k 2kT −1 k
che risulta positivo, in quanto x 6= x 0 . Quindi | f (x) − f (x 0 )| > 0 da cui f (x) 6= f (x 0 ). Ciò
dimostra che la funzione
f |B (x̄,δ) : B (x̄, δ) → Rn è iniettiva,
per cui
f |B (x̄,δ) : B (x̄, δ) → f (B (x̄, δ)) è invertibile.
Consideriamo la sua funzione inversa:

g := ( f |B (x̄,δ) )−1 : f (B (x̄, δ)) → B (x̄, δ)

e dimostriamo che g è di classe C k .


Iniziamo col dimostrare che g è continua. Siano y, y 0 ∈ f (B (x̄, δ)) con y 6= y 0 . Deve quindi
essere y = f (x), y 0 = f (x 0 ), con x, x 0 ∈ B (x̄, δ), x 6= x 0 . Si ha
(9.2.3)
|g (y) − g (y 0 )| = |x − x 0 | ≤ 2kT −1 k| f (x) − f (x 0 )| = 2kT −1 k|y − y 0 |. (9.2.4)

Ciò prova la continuità di g (anzi, di più: essa è una funzione Lipschitziana).


Dimostriamo ora la differenziabilità di g .
Sia y 0 ∈ f (B (x̄, δ)). Deve quindi essere y 0 = f (x 0 ), con x 0 ∈ B (x̄, δ). Per la differenziabilità di
f in x 0
f (x) = f (x 0 ) + d f (x 0 )(x − x 0 ) + o(|x − x 0 |) per x → x 0 ,
n
ossia esiste una funzione ω : B (x̄, δ) → R tale che

f (x) = f (x 0 ) + d f (x 0 )(x − x 0 ) + ω(x)|x − x 0 | (9.2.5)


148 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

con ω(x) → 0 ∈ Rn se x → x 0 . Preso y ∈ f (B (x̄, δ)), con y 6= y 0 , allora y = f (x), con x ∈ B (x̄, δ),
x 6= x 0 , e si ha, da (9.2.5),

y = y 0 + d f (x 0 )(g (y) − g (y 0 )) + ω(g (y))|g (y) − g (y 0 )|.

Per la linearità di (d f (x 0 ))−1 ,

g (y) − g (y 0 ) = (d f (x 0 ))−1 (y − y 0 ) − (d f (x 0 ))−1 (ω(g (y))|g (y) − g (y 0 )|)

ossia, ancora per la linearità di (d f (x 0 ))−1 ,

g (y) − g (y 0 ) = (d f (x 0 ))−1 (y − y 0 ) − (d f (x 0 ))−1 (ω(g (y))|g (y) − g (y 0 )|)

e, moltiplicando e dividendo per |y − y 0 |,

g (y) = g (y 0 ) + (d f (x 0 ))−1 (y − y 0 ) + ω1 (y)|y − y 0 |.

dove si è posto
|g (y) − g (y 0 )|
ω1 (y) := −(d f (x 0 ))−1 (ω(g (y))) .
|y − y 0 |
Dimostriamo che
lim ω1 (y) = 0. (9.2.6)
y→y 0

La funzione
|g (y) − g (y 0 )|
y 7→
|y − y 0 |
è limitata in un intorno di y 0 per (9.2.4). Dato che g e d f (x 0 )−1 sono funzioni continue, allora

lim (d f (x 0 ))−1 (ω(g (y))) = lim (d f (x 0 ))−1 (ω(x)) = (d f (x 0 ))−1 (0) = 0.


y→y 0 x→x 0

Abbiamo così ottenuto (9.2.6). Dunque g è differenziabile in y 0 e d g (y 0 ) = d f (x 0 )−1 , il che


implica
D g (y 0 ) = (D f (g (y 0 )))−1 . (9.2.7)

Dall’arbitrarietà di y 0 si ha g differenziabile. Che g sia di classe C 1 segue da (9.2.7): le de-


rivate prime di g sono somme/prodotti/composizione di funzioni continue, e quindi sono
continue. Se poi f ∈ C 2 allora le derivate prime di f sono di classe C 1 e, quindi, ancora da
(9.2.7), le derivate prime di g sono di classe C 1 , da cui g è di classe C 2 . Iterando l’argomento
deduciamo che se f è di classe C k , allora g è di classe C k .

9.3. TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE 149

9.3. Teorema delle funzioni implicite

N OTAZIONE 9.3.1. Rn = Rp × Rq , 1 ≤ p, q < n − 1 (ovviamente: q = n − p)


(x, y) ∈ Rp × Rq
f : A → Rq , A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f q ),

∂f ∂f
µ ¶
D f (x, y) = (x, y) (x, y)
∂x ∂y
dove
∂ f1 ∂ f1
 
(x, y) · · · (x, y)
 ∂x 1 ∂x p 
∂f
 
 .. .. ..  ∈ M q×p

(x, y) =  . . .
∂x  
 ∂ fq ∂ fq 
(x, y) · · · (x, y)
 
∂x 1 ∂x p
e
∂ f1 ∂ f1
 
(x, y) · · · (x, y)
 ∂y 1 ∂y q 
∂f
 
 .. .. ..  ∈ M q×q .

(x, y) =  . . .
∂y  
 ∂ fq ∂ fq 
(x, y) · · · (x, y)
 
∂y 1 ∂y q

Teorema 9.3.2 (Teorema di Dini o delle funzioni implicite).


Siano A ⊆ Rn = Rp × Rq , A aperto, e f : A → Rq , f ∈ C k (A, Rq ).
Sia (x̄, ȳ) ∈ A tale che
∂f
f (x̄, ȳ) = 0, det (x̄, ȳ) 6= 0.
∂y
Allora esistono:
(i) Vx̄ aperto di Rp e W ȳ aperto di Rq , con x̄ ∈ Vx̄ 0 , ȳ ∈ W ȳ e tali che Vx̄ × W ȳ ⊆ A,
(ii) una funzione ϕ : Vx̄ → W ȳ , di classe C k (Vx̄ , Rq ),
tali che
ϕ(x̄) = ȳ, (9.3.1)

{(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0} = {(x, ϕ(x)) : x ∈ Vx̄ } (9.3.2)


e
¶−1
∂ϕ ∂f ∂f
µ
(x) = − (x, ϕ(x)) (x, ϕ(x)) ∀x ∈ Vx̄ . (9.3.3)
∂x ∂y ∂x
150 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

D IMOSTRAZIONE .
Definiamo F : A → Rn , F (x, y) = (x, f (x, y)).
Essendo f ∈ C k , si ha F ∈ C k (A, Rn ) e
 
Ip 0p×q
  ∂f
DF (x, y) =  , det DF (x, y) = det (x, y).
 
 ∂f ∂f ∂y
(x, y) (x, y)

∂x ∂y
In particolare
∂f
det DF (x̄, ȳ) = det (x̄, ȳ) 6= 0.
∂y
Dato che
∂f
(x, y) 7→ det (x, y) è continua,
∂y
esiste Vx̄0 aperto di Rp contenente x̄ e W ȳ0 aperto di Rq contenente ȳ tale che

det DF (x, y) 6= 0 ∀(x, y) ∈ Vx̄0 × W ȳ0 .


Per il Teorema di invertibilità locale applicato alla funzione
F |V 0 ×W 0 : Vx̄0 × W ȳ0 → Rn ,
x̄ ȳ

essa è aperta e localmente iniettiva con inversa C k . Più precisamente:


a) esiste Vx̄00 ⊆ Vx̄0 , aperto di Rp contenente x̄, e W ȳ ⊆ W ȳ0 , aperto di Rq contenente ȳ, tale che

F |V 00 ×W ȳ : Vx̄00 × W ȳ → Rn è iniettiva,

b) F |V 00 ×W ȳ (x̄, ȳ) = (x̄, 0) [è conseguenza di f (x̄, ȳ) = 0]


c) essendo F aperta, l’insieme


O := F (Vx̄00 × W ȳ ) è un insieme aperto di Rn ,
e, da (b),
(x̄, 0) ∈ O.
d) la funzione inversa
G := (F |V 00 ×W ȳ )−1 : O → Vx̄00 × W ȳ è di classe C k . (9.3.4)

Notiamo che se G = (G 1 ,G 2 ),
F |V 00 ×W ȳ (x, y) = (x, f (x, y)) ∀(x, y) ∈ Vx̄00 × W ȳ

ossia
(x, y) = G(x, f (x, y)) ∀(x, y) ∈ Vx̄00 × W ȳ . (9.3.5)
9.3. TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE 151

Inoltre, da (b),
G(x̄, 0) = (x̄, ȳ).
Da ciò segue che
G 2 (x̄, 0) = ȳ. (9.3.6)
p
Essendo O un insieme aperto esiste Vx̄ ⊆ Vx̄00 , aperto di R contenente x̄, tale che
Vx̄ × {0} ⊆ O,
dove 0 denota il vettore nullo di Rq . Allora, per (9.3.5),
G 1 (x, 0) = x ∀x ∈ Vx̄ . (9.3.7)
Ne deduciamo che
G 2 (Vx̄ × {0}) ⊆ W ȳ ⊆ Rq .
Definiamo
ϕ : Vx̄ → W ȳ , ϕ(x) := G 2 (x, 0).
k q
Dalla (9.3.4) si ha che ϕ ∈ C (Vx̄ , R ).
Dalla definizione di F e (9.3.7) si ha
∀x ∈ Vx̄ (x, f (x, ϕ(x))) = F (x, ϕ(x)) = F (x,G 2 (x, 0))
(9.3.7)
= F (G 1 (x, 0),G 2 (x, 0)) = F ◦ G(x, 0) = (x, 0).
Dunque,
f (x, ϕ(x)) = 0 ∀x ∈ Vx̄ .
Ciò dimostra che
{(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0} ⊇ {(x, ϕ(x)) : x ∈ Vx̄ }.
D’altra parte, sia
(x 0 , y 0 ) ∈ {(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0}.
Allora
f (x 0 , y 0 ) = 0 ⇒ F (x 0 , y 0 ) = (x 0 , f (x 0 , y 0 )) = (x 0 , 0) ⇒ G 2 (x 0 , 0) = y 0 ⇒ ϕ(x 0 ) = y 0 .
Abbiamo così dimostrato che
{(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0} ⊆ {(x, ϕ(x)) : x ∈ Vx̄ }.
La (9.3.2) è dunque dimostrata.
Concludiamo dimostrando (9.3.3).
La funzione h : Vx̄ → Rq , h(x) := f (x, ϕ(x)), è identicalmente nulla, dato che
h(x) := f (x, ϕ(x)) = 0 ∀x ∈ Vx̄ .
Pertanto Dh(x) = 0.
152 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

D’altra parte, essendo f ∈ C k e ϕ ∈ C k (Vx̄ , Rq ), per il Teorema di derivazione di funzioni


composte (Corollario 5.5.7) si ha
 
Ip
Dh(x) = D f (x, ϕ(x)) 
 

 ∂ϕ 
(x)
∂x
 
Ip
∂f ∂f
µ ¶
(x, ϕ(x)) (x, ϕ(x)) 
 
= .
∂x ∂y  ∂ϕ 
(x)
∂x
∂f ∂f ∂ϕ
= (x, ϕ(x)) + (x, ϕ(x)) (x).
∂x ∂y ∂x
Se ne deduce che
∂f ∂f ∂ϕ
(x, ϕ(x)) + (x, ϕ(x)) (x) = 0
∂x ∂y ∂x
e quindi
¶−1
∂ϕ ∂f ∂f
µ
(x) = − (x, ϕ(x)) (x, ϕ(x)) ∀x ∈ Vx̄ .
∂x ∂y ∂x


Osservazione 9.3.3. Si noti che l’ipotesi


f (x̄, ȳ) = 0
è puramente di comodo ed eliminabile. Ci si può infatti ricoondurre sempre a questo caso.
L’insieme di livello di f cui appartiene (x̄, ȳ) è l’insieme
Lc ( f ) con c = f (x̄, ȳ).
Definendo g : A → R g (x) = f (x) − c si ha
∂g ∂f
g ∈ C 1 (A), L0g = Lc f , (x̂, ŷ) = (x̂, ŷ).
∂y ∂y

Esempio 9.3.4.
Non si può rimuovere l’ipotesi
∂f
det (x̄, ȳ) 6= 0.
∂y
Si consideri infatti f : R2 → R, f (x, y) = x 2 − y 2 e si consideri (x̄, ȳ) = (0, 0). Si ha f (0, 0) = 0,
dunque (0, 0) appartiene all’insieme di livello 0 di f , ossia
(0, 0) ∈ L 0 ( f ) := {(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = 0}.
9.3. TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE 153

L’insieme L 0 ( f ) è dato dai punti delle bisettrici del piano Ox y, essendo


L 0 ( f ) = {(x, y) ∈ R2 : x 2 − y 2 = 0} = {(x, y) ∈ R2 : y = x} ∪ {(x, y) ∈ R2 : y = −x}.
Si noti che per ogni r > 0,
B ((0, 0), r ) ∩ L 0 ( f )
non può essere grafico di funzione di una variabile (x o y). D’altra parte,
∇ f (0, 0) = (0, 0)
∂f
quindi né det ∂y (x̄, ȳ) 6= 0 né
∂f
det (x̄, ȳ) 6= 0
∂x
sono soddisfatte.

Esempio 9.3.5.
Non si può rimuovere l’ipotesi f ∈ C 1 .
Si consideri infatti f : R2 → R,
se |y| ≤ x 2


 0




f (x, y) = y − x2 se y > x 2





y + x 2 se y < −x 2 .

e si consideri (x̄, ȳ) = (0, 0). Si ha f (0, 0) = 0, dunque (0, 0) appartiene all’insieme di livello 0
di f , ossia
(0, 0) ∈ L 0 ( f ) := {(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = 0}.
Si ha infatti
L 0 ( f ) = {(x, y) ∈ R2 : |y| ≤ x 2 },
che non risulta grafico di una funzione di una variabile reale.
Si osservi che f è derivabile in
{(x, y) ∈ R2 : |y| 6= x 2 } ∪ {(0, 0)}
e ∇ f (0, 0) = (0, 1) che è quindi un vettore non nullo. In particolare, l’ipotesi del Teorema di
Dini
∂f ∂f
det (x̄, ȳ) = (x̄, ȳ) 6= 0
∂y ∂y
è soddisfatta. Tuttavia f 6∈ C 1 in un intorno di (0, 0), essendo
∂f ∂f
lim (x, 0) = lim 0 = 0, (0, 0) = 1.
x→0 ∂y x→0 ∂y
154 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE

9.4. Gradiente ortogonale all’insieme di livello

Definizione 9.4.1. Sia g : A → R, A aperto di Rn , g ∈ C 1 (A). Diciamo che ∇g (x) è ortogonale


all’insieme di livello di f passante per x, per affermare che ∇g (x) è ortogonale all’iperpiano
tangente all’insieme di livello di f passante per x.

Teorema 9.4.2. Sia f : A → R, A aperto di Rn . Sia f ∈ C 1 (A) e sia x̄ un punto di A, tale che
∇ f (x̄) 6= 0.
Allora ∇ f (x̄) è ortogonale all’insieme di livello di f passante per x̄.

D IMOSTRAZIONE . Senza perdita di generalità possiamo supporre che sia x̄ = (x̂, ŷ) ∈ Rn−1 ×
Re
∂f
(x̂, ŷ) 6= 0.
∂y
L’insieme di livello di f a cui appartiene x̄ = (x̂, ŷ) è l’insieme di livello c = f (x̄). Per f valgono
le ipotesi del Teorema 9.3.2 (vedi Osservazione 9.3.3), quindi:
• esistono
Vx̂ aperto di Rn−1 , W ŷ aperto di R,
tali che
x̂ ∈ Vx̂ , ŷ ∈ Wx̂
e
Vx̂ × W ŷ ⊆ A
• esiste ϕ : Vx̂ → W ŷ di classe C 1 tale che
ϕ(x̂) = ŷ (9.4.1)
e
L c f ∩ (Vx̂ × W ŷ ) = Gr ϕ.
n
Per i vettori di R usiamo la notazione
x = (x 1 , · · · , x n−1 , y) ∈ Rn−1 × R.
Per l’Osservazione 5.7.4, un vettore ortogonale all’iperpiano tangente al grafico di ϕ in x̄ =
(x̂, ŷ) è
∂ϕ ∂ϕ
µ ¶
(−∇ϕ(x̂), 1) cioè − (x̂), · · · , − (x̂), 1 ,
∂x 1 ∂x n−1
quindi lo è anche il suo multiplo
∂f ∂ϕ ∂ϕ
µ ¶
µ := (x̂, ŷ) − (x̂), · · · , − (x̂), 1 .
∂y ∂x 1 ∂x n−1
9.4. GRADIENTE ORTOGONALE ALL’INSIEME DI LIVELLO 155

Per la formula (9.3.3) e per (9.4.1)


∂ϕ 1 ∂f
− (x̂) = ∂f
(x̂, ŷ) i ∈ {1, · · · , n − 1},
∂x i (x̂, ŷ) ∂x i
∂y

allora
∂f ∂f ∂f
µ ¶
µ= (x̂, ŷ), · · · , (x̂, ŷ), (x̂, ŷ) ,
∂x 1 ∂x n−1 ∂y
cioè
µ = ∇ f (x).

CAPITOLO 10

Massimi e minimi vincolati

10.1. Varietà in Rn

Definizione 10.1.1 (Varietà).


Sia M ⊆ Rn . Diciamo che M è una varietà in Rn di classe C k e di dimensione p, con k ≥ 1 e
1 ≤ p < n, se per ogni x̄ ∈ M esistono un aperto U ⊆ Rn , x̄ ∈ U , e una funzione f ∈ C k (U , Rn−p )
tale che:
(i) M ∩U = {x ∈ U : f (x) = 0}
(ii) rg D f (x) = n − p per ogni x ∈ M ∩U .
In tal caso, si dice che f = 0 è una equazione locale di M in x̄.
Osservazione 10.1.2.
Una funzione f ∈ C k (U , Rn−p ), k ≥ 1, ha matrice Jacobiana di ordine (n − p) × n. Dunque la
richiesta (ii) della Definizione 10.1.1 (rg D f (x) = n − p) equivale a richiedere che essa abbia
rango massimo in ogni punto di U ∩ M .

Definizione 10.1.3 (Parametrizzazione).


Sia X ⊆ Rn . Si chiama p-parametrizzazione di classe C k di X , (in breve: parametrizzazione)
una funzione φ ∈ C k (V, Rn ), con V aperto di Rp , 1 ≤ p < n, k ≥ 1, con le seguenti proprietà:
(a) φ : V → X è biunivoca
(b) φ−1 : X → V è continua
( c ) rg Dφ(t ) = p per ogni t ∈ V .

I grafici di funzioni C k , k ≥ 1, sono delle varietà. Più precisamente vale il seguente.


Proposizione 10.1.4.
Siano 1 ≤ p < n e V ⊆ Rp un insieme aperto.
Se ϕ : V → Rn−p è una funzione di classe C k , k ≥ 1, allora
Gr ϕ := {(x, ϕ(x)) : x ∈ V }
è una varietà in Rn di classe C k , di dimensione p e di equazione (globale) f = 0, con f (x, y) =
ϕ(x) − y.
Inoltre, φ : V → Gr ϕ, Φ(x) = (x, ϕ(x)) è una p-parametrizzazione di classe C k di Gr ϕ.
157
158 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

D IMOSTRAZIONE .
Sia x̄ ∈ M . Denotiamo U := V × Rn−p , che è un aperto di Rn e definiamo f : U → Rn−p ,
f (x, y) = ϕ(x) − y. La funzione ϕ è una funzione di classe C k , pertanto f ∈ C k (U , Rn−p ).
Si ha
∂f ∂f ∂ϕ
µ ¶ µ ¶
(n−p)×n
M 3 D f (x, y) = (x, y) (x, y) = (x) −I n−p .
∂x ∂y ∂x
Quindi, rg D f (x, y) = n − p. Questo dimostra che Gr ϕ è una varietà in Rn di classe C k , di
dimensione p e di equazione (globale) f = 0, con f (x, y) = ϕ(x) − y.
Dimostriamo ora che φ : V → Rn , Φ(x) = (x, ϕ(x)) è una p-parametrizzazione di classe C k di
Gr ϕ.
Ovviamente, φ(V ) = Gr ϕ, dunque φ : V → Gr ϕ è suriettiva. Essa è anche iniettiva, in quanto

∀x, x 0 ∈ V (x 6= x 0 ⇒ (x, ϕ(x)) 6= (x 0 , ϕ(x 0 ))).

Abbiamo quindi che φ : V → Gr ϕ è biunivoca. La sua inversa φ−1 : Gr ϕ → V ha legge

φ−1 (x, ϕ(x)) = x ∀(x, ϕ(x)) ∈ Gr ϕ,

ossia
φ−1 (x, z) = x ∀(x, z) ∈ Gr ϕ.
Quindi φ−1 è una funzione continua. Inoltre
 
Ip
M n×p 3 Dφ(x) =  ∂ϕ , x ∈ V.
(x)
∂x
Il suo rango è quindi p, per ogni x ∈ V . Ciò conclude la dimostrazione. 

Teorema 10.1.5.
Sia M ⊆ Rn e siano k ≥ 1 e 1 ≤ p < n. Sono equivalenti le seguenti:
(a) M è una varietà in Rn di classe C k e di dimensione p,
(b) M è localmente p-parametrizzabile con funzioni C k , ossia: per ogni x̄ ∈ M esiste un
aperto U di Rn contenente x̄, tale che M ∩U ha una parametrizzazione φ ∈ C k (Ω, Rn ),
con Ω aperto di Rp .

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b)
Sia x̄ ∈ M e sia f = 0 una equazione locale di M in x̄, ossia:
esiste un aperto U ⊆ Rn , x̄ ∈ M ∩U , e una funzione f ∈ C k (U , Rn−p ) tale che:
(i) M ∩U = {x ∈ U : f (x) = 0}
(ii) rg D f (x) = n − p per ogni x ∈ M ∩U .
10.1. VARIETÀ IN Rn 159

Denotiamo x = (t , y) ∈ Rp ×Rn−p , e supponiamo per semplicità che la sottomatrice quadrata


(n − p) × (n − p) con determinante non nullo di
∂f ∂f
µ ¶
D f (x̄) = D f (t̄ , ȳ) = (t̄ , ȳ) (t̄ , ȳ)
∂t ∂y
∂f
sia (t̄ , ȳ), ossia
∂y
∂f
det (t̄ , ȳ) 6= 0.
∂y
Si ha f (t̄ , ȳ) = 0, perché f = 0 è una equazione locale di M in x̄. Dunque, essendo soddisfatte
le ipotesi del Teorema di Dini,

esistono Vt̄ aperto di Rp contenente t̄ e W ȳ aperto di Rn−p contenente ȳ, tali che Vt̄ × W ȳ ⊆ U

e
esiste una funzione ϕ : Vt̄ → W ȳ di classe C k ,
tale che
ϕ(t̄ ) = ȳ,
M ∩ (Vt̄ × W ȳ ) = {(t , y) ∈ Vt̄ × W ȳ : f (t , y) = 0} = {(t , ϕ(t )) : t ∈ Vt̄ } = Gr ϕ.
Allora, per la Proposizione 10.1.4, la funzione

φ : Vt̄ → Rn , φ(t ) = (t , ϕ(t )),

è una parametrizzazione di M ∩ (Vt̄ × W ȳ ).

(b) ⇒ (a)
Sia x̄ ∈ M e siano U1 ⊆ Rn un aperto contenente x̄, Ω ⊆ Rp un aperto e sia

φ : Ω → Rn , φ(t ) = (φ1 , · · · , φn ), φ ∈ C k (Ω, Rn ), k ≥ 1, p < n, φ parametrizzazione di M ∩U1 ,

quindi, in particolare, φ ha le seguenti proprietà:


(a) φ : Ω → M ∩U1 è biunivoca
(b) φ−1 : M ∩U1 → Ω è continua
(ossia la retroimmagine mediante φ−1 di un insieme aperto di Ω è un aperto
relativamente alla topologia indotta su M ∩U1 )
( c ) rg Dφ(t ) = p per ogni t ∈ Ω.
Per il Lemma 8.0.4 φ è una applicazione aperta, ossia, ricordando che Ω è aperto, se A ⊆ Ω è
aperto, allora φ(A) è un insieme aperto rispetto alla topologia indotta su M ∩U1 .
Sia t̄ ∈ Ω tale che φ(t̄ ) = x̄. Deve essere, per (c ),

rg Dφ(t̄ ) = p.
160 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Per semplicità, possiamo supporre che sia


∂(φ1 , · · · , φp )
det (t̄ ) 6= 0.
∂t
Denotiamo
φ̂ = (φ1 , · · · , φp ) : Ω → Rp ,
e
φ∗ = (φp+1 · · · , φn ) : Ω → Rn−p .
Allora si ha
φ(t ) = (φ̂(t ), φ∗ (t ))
e
∂φ̂
det (t̄ ) 6= 0.
∂t
Essendo
∂(φ1 , · · · , φp )
t 7→ det (t ) continua,
∂t
esiste un aperto O 0 di Rp , t̄ ∈ O 0 ⊆ Ω, tale che
∂(φ1 , · · · , φp )
det (t ) 6= 0 per ogni t ∈ O 0 .
∂t
Per il Teorema di invertibilità locale applicato alla funzione
φ̂|O 0 = (φ1 , · · · , φp )|O 0 : O 0 → Rp ,
esiste un aperto O di Rp , tale che t̄ ∈ O ⊆ O 0 ,
φ̂|O = (φ1 , · · · , φp )|O : O → φ̂(O) =: V è una funzione invertibile,
V è un insieme aperto di Rp , e
G := (φ̂)−1 : V → O è di classe C k .
Denotiamo
x̂ := φ̂(t̄ ) ∈ V
e definiamo
ϕ : V → Rn−p , ϕ(v) := φ∗ ◦ G(v).
Si noti che ϕ ∈ C k (V, Rn−p ), essendo composizione di funzioni di classe C k .
Risulta,
∀v ∈ V := φ̂(O) φ(G(v)) = (φ̂(G(v)), φ∗ (G(v))) = (φ̂(φ̂−1 (v)), φ∗ (G(v))) = (v, ϕ(v)).
Dunque
φ(G(V )) = Gr ϕ.
10.1. VARIETÀ IN Rn 161

Si noti che
x̄ ∈ φ(O) = φ(G(V )) = Gr ϕ.
Essendo φ una applicazione aperta, φ(O) è un insieme aperto rispetto alla topologia indotta
su M ∩U1 , vale a dire:
esiste U2 aperto di Rn tale che φ(G(V )) = φ(O) = (M ∩U1 ) ∩U2 = M ∩ (U1 ∩U2 ).
L’insieme U1 ∩U2 è intersezione di due aperti di Rn che contengono x̄, quindi è un insieme
aperto che contiene x̄. Abbiamo così dimostrato che
M ∩ (U1 ∩U2 ) = φ(G(V )) = Gr ϕ,
con ϕ ∈ C k (V, Rn−p ). Dunque M ∩ (U1 ∩U2 ) è una varietà in Rn di classe C k , di dimensione
p.


Definizione 10.1.6 (Vettore tangente).


Sia M ⊆ Rn varietà di classe C k di dimensione p (k ≥ 1, 1 ≤ p < n).
Un vettore h ∈ Rn si dice vettore tangente a M in x̄ ∈ M , se esistono δ > 0 e γ :] − δ, δ[→ M , tali
che
(a) γ(0) = x̄
(b) γ è derivabile in 0
(c) γ0 (0) = h.

Definizione 10.1.7 (Piano tangente).


Sia M ⊆ Rn una varietà di classe C k di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n).
Si chiama piano tangente a M in x̄ ∈ M l’insieme
T x̄ M := {h ∈ Rn : h è un vettore tangente a M in x̄}.

Teorema 10.1.8.
Sia M ⊆ Rn una varietà di classe C k di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n) e sia f = 0 una
equazione locale di M in x̄ ∈ M .
Allora T x̄ M è uno spazio vettoriale di dimensione p e
T x̄ M = ker d f (x̄).

D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi f = 0 è una equazione locale di M in x̄ ∈ M . Allora esistono un aperto U ⊆ Rn ,
x̄ ∈ U e una funzione f ∈ C k (U , Rn−p ) tale che:
162 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

(i) M ∩U = {x ∈ U : f (x) = 0}
(ii) rg D f (x) = n − p per ogni x ∈ M ∩U .

Sia h ∈ T x̄ M . Allora esiste γ :] − δ, δ[→ M , con δ > 0 tali che
(a) γ(0) = x̄
(b) γ è derivabile in 0
(c) γ0 (0) = h.
La funzione γ è derivabile in 0, quindi è anche continua in 0. Dunque, esiste δ0 ∈]0, δ] tale
che γ(] − δ0 , δ0 [) ⊆ M ∩U . In particolare, si ha
f (γ(t )) = 0 ∀t ∈] − δ0 , δ0 [.
Pertanto, dal Teorema di derivazione di funzione composta (v. Corollario 5.5.5) si ha
d (a),(c)
0= ( f ◦ γ)(0) = D f (γ(0))γ0 (0) = D f (x̄)h.
dt
Pertanto, h ∈ ker d f (x̄).

Per semplicità, introduciamo le seguenti notazioni: un generico vettore di x ∈ Rn lo scrivia-
mo nella forma x = (ξ, y) ∈ Rp × Rn−p . In particolare, x̄ = (ξ̄, ȳ).
Per ipotesi rg D f (x̄) = n − p. Supponiamo, per semplicità di scrittura, che sia

∂f ∂f
det (x̄) = det (ξ̄, ȳ) 6= 0. (10.1.1)
∂y ∂y
Sia h = (h 0 , h 00 ) ∈ ker d f (x̄). Allora
 
h0
∂f ∂f  ∂f ∂f
µ ¶
0 = D f (x̄)h = (x̄) (x̄) = (x̄)h 0 + (x̄)h 00 .

∂ξ ∂y ∂ξ ∂y

h 00
che implica
¶−1
∂f ∂f
µ
00
h =− (x̄) (x̄)h 0 . (10.1.2)
∂y ∂ξ
Da (10.1.1) e dal Teorema 9.3.2 delle funzioni implicite:
esistono Vξ̄ aperto di Rp e W ȳ aperto di Rn−p , con ξ̄ ∈ Vt̄ e ȳ ∈ W ȳ , tali che Vξ̄ × W ȳ ⊆ U
ed esiste una funzione ϕ : Vξ̄ → W ȳ , tale che ϕ ∈ C k ,
ȳ = ϕ(ξ̄), (10.1.3)
{(ξ, ϕ(ξ)) : ξ ∈ Vt̄ } = {(ξ, y) ∈ Vξ̄ × W ȳ : f (ξ, y) = 0} ⊆ M ∩U (10.1.4)
e ¶−1
∂ϕ ∂f ∂f
µ
(ξ) = − (ξ, ϕ(ξ)) (ξ, ϕ(ξ)) ∀ξ ∈ Vξ̄ . (10.1.5)
∂ξ ∂y ∂ξ
10.1. VARIETÀ IN Rn 163

Per (10.1.3) e la continuità di ϕ esiste δ > 0 tale che


(10.1.4)
(ξ̄ + t h 0 , ϕ(ξ̄ + t h 0 )) ∈ Vξ̄ × W ȳ ⊆ M ∩U ∀t ∈] − δ, δ[.

Denotiamo γ :] − δ, δ[→ M ∩U , la funzione

γ(t ) = (ξ̄ + t h 0 , ϕ(ξ̄ + t h 0 )).

Essendo ϕ ∈ C 1 (Vξ̄ , Rn−p ), risulta γ ∈ C 1 (] − δ, δ[, M ∩U ) per il Corollario 5.5.7 e


 
h0 h0
 
 (10.1.5)  
γ0 (0) = 

 =  .

 ∂ϕ   µ
∂ f
¶−1
∂ f
0
(ξ̄)h (ξ̄, ϕ(ξ̄)) (ξ̄, ϕ(ξ̄))h 0 


∂ξ ∂y ∂ξ

Ricordando che x̄ = (ξ̄, ȳ) e usando (10.1.3) e (10.1.2), otteniamo


 
h0 
0

  h
 (10.1.2) 
γ0 (0) =  µ  =   = h.
 
¶−1
 ∂f ∂f 0  00
− (x̄) (x̄)h h
∂y ∂ξ
Abbiamo così dimostrato ker d f (x̄) ⊆ T x̄ M .
Resta da dimostrare che T x̄ M è uno spazio vettoriale di dimensione p.
Essendo T x̄ M = ker d f (x̄) è ovvio che T x̄ M sia uno spazio vettoriale. Per calcolarne la di-
mensione, osserviamo che, per il Teorema del rango,

dim ker d f (x̄) + dim Im d f (x̄) = n.

Da (ii) della Definizione 10.1.1

dim Im d f (x̄) = rg D f (x̄) = n − p.

Deduciamo quindi che dim ker d f (x̄) = p.




Teorema 10.1.9 (Caratterizzazione di T x̄ M ⊥ ).


Sia M ⊆ Rn una varietà di classe C k di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n) e sia f = 0 una
equazione locale di M in x̄ ∈ M , f = ( f 1 , · · · , f n−p ).
Allora T x̄ M ⊥ è uno spazio vettoriale di dimensione n − p e

T x̄ M ⊥ = span{∇ f 1 (x̄), · · · , ∇ f n−p (x̄)}.


164 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

D IMOSTRAZIONE .
Dal Teorema 10.1.8, T x̄ M = ker d f (x̄), quindi
h ∈ T x̄ M ⇔ D f (x̄)h = 0 ⇔ 〈∇ f j (x̄), h〉 = 0 ∀ j ∈ {1, · · · , n − p}.
Ciò dimostra che
T x̄ M = (span{∇ f 1 (x̄), · · · , ∇ f n−p (x̄)})⊥
da cui
T x̄ M ⊥ = span{∇ f 1 (x̄), · · · , ∇ f n−p (x̄)}.
Che T x̄ M ⊥ sia uno spazio vettoriale di dimensione n − p segue dalla (ii) della Definizione
10.1.1 e ricordando che la i -esima riga di D f (x̄) è ∇ f i (x̄). 

10.2. Teorema dei moltiplicatori di Lagrange

Definizione 10.2.1 (Punti estremanti locali condizionati).


Siano A ⊆ Rn e f : A → R. Sia M ⊂ A.
Diciamo che x̄ ∈ M è un punto estremante relativo vincolato (o condizionato) di f su M se x̄
è un punto estremante relativo per la funzione f |M : M → R.

Definizione 10.2.2 (Punti critici condizionati).


Sia A ⊆ Rn un aperto e sia M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n).
Sia f : A → R una funzione di classe C 1 .
Diciamo che x̄ ∈ M è un punto critico vincolato (o condizionato) di f su M se
d f (x̄)|Tx̄ M = 0.

Proposizione 10.2.3.
Siano A ⊆ Rn un aperto, M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n). Sia
f : A → R una funzione di classe C 1 . Sia x̄ ∈ M .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) x̄ ∈ M è un punto critico vincolato (o condizionato) di f su M
(ii) ∇ f (x̄) ∈ T x̄ M ⊥

D IMOSTRAZIONE .
Per definizione, x̄ ∈ M è un punto critico vincolato (o condizionato) di f su M significa
d f (x̄)|Tx̄ M = 0,
ossia
D f (x̄)h = 0 ∀h ∈ T x̄ M .
10.2. TEOREMA DEI MOLTIPLICATORI DI LAGRANGE 165

Tenuto conto che f ha valori in R, tale condizione è equivalente a


〈∇ f (x̄), h〉 = 0 ∀h ∈ T x̄ M ,
che, a sua volta, equivale a
∇ f (x̄) ∈ T x̄ M ⊥ .


Il legame tra punti estremanti relativi vincolati e i punti critici vincolati è simile a quello
descritto nel Teorema 7.2.2 (Teorema di Fermat).

Teorema 10.2.4 (Teorema di Fermat per gli estremanti vincolati o condizione necessaria del
I ordine per gli estremanti relativi vincolati).
Sia A ⊆ Rn un aperto e sia M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n).
Sia f : A → R una funzione di classe C 1 .
Se x̄ ∈ M è un punto estremante relativo vincolato di f su M , allora x̄ è un punto critico
vincolato di f su M .

D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso in cui x̄ ∈ M sia un punto di minimo relativo vincolato di f
su M . Per definizione, esiste un aperto U di Rn tale che
∃ U aperto di Rn , x̄ ∈ U : f (x) ≥ f (x 0 ) ∀x ∈ M ∩U . (10.2.1)
Per la Proposizione 10.2.3 dobbiamo dimostrare che
〈∇ f (x̄), h〉 = 0 ∀h ∈ T x̄ M .
Sia h ∈ T x̄ M . Allora, esistono δ > 0 e γ :] − δ, δ[→ M , tali che
(a) γ(0) = x̄
(b) γ è derivabile in 0
(c) γ0 (0) = h.
Dato che la (b) implica che γ è continua in 0 e dato che γ(0) = x̄, esiste δ0 ∈]0, δ] tale che
γ(] − δ0 , δ0 [) ⊆ M ∩U . Definiamo g := f ◦ γ :] − δ0 , δ0 [→ U ∩ M . Allora, da (10.2.1),
(10.2.1)
g (t ) = f (γ(t )) ≥ f (γ(0)) = g (0) ∀t ∈] − δ0 , δ0 [
deduciamo che 0 è un punto di minimo assoluto (quindi anche relativo) di g . Essendo 0 un
punto interno di ] − δ0 , δ0 [ e g derivabile in 0 (per il Corollario 5.5.5, essendo f ∈ C 1 , quindi
differenziabile, e γ derivabile in 0) è possibile applicare il Teorema di Fermat 7.2.2, ottenendo
0 = g 0 (0) = 〈∇ f (γ(0)), γ0 (0)〉 = 〈∇ f (x̄), h〉.
Ciò conclude la dimostrazione. 
166 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Teorema 10.2.5 (Teorema dei moltiplicatori di Lagrange).


Sia A ⊆ Rn un aperto e sia M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n).
Sia f : A → R una funzione di classe C 1 .
Sia x̄ ∈ M e g = (g 1 , · · · , g n−p ) = 0 una equazione locale di M in x̄.
Se x̄ è un punto estremante relativo vincolato di f su M allora
n−p
∃λ1 , · · · , λn−p ∈ R : ∇ f (x̄) = λi ∇g i (x̄).
X
i =1

D IMOSTRAZIONE .
Segue dalla Proposizione 10.2.3, dal Teorema 10.1.9 e dal Teorema 10.2.4. Infatti, se x̄ è un
punto estremante relativo vincolato di f su M , allora, per il Teorema di Fermat per estre-
manti vincolati, deve essere un punto critico vincolato. Ciò comporta, per la Proposizione
10.2.3, che sia ∇ f (x̄) ∈ T x̄ M ⊥ .
Per la (ii) di Definizione 10.1.1 e per il Teorema 10.1.9, l’insieme T x̄ M ⊥ è lo spazio vettoriale
di dimensione n − p
T x̄ M ⊥ = span{∇g 1 (x̄), · · · , ∇g n−p (x̄)}.
Quindi
∇ f (x̄) è combinazione lineare di ∇g 1 (x̄), ∇g 2 (x̄), · · · , ∇g n−p (x̄).
Da qui, la tesi. 

Corollario 10.2.6. Siano f , F : A → R, A aperto di Rn , n ≥ 2, f , F ∈ C 1 (A). Sia

M := {x ∈ A : F (x) = 0}.

Sia
∇F (x) 6= 0 ∀x ∈ M
Se x ∈ A è un punto estremante relativo di f |M : M → R allora esiste λ ∈ R tale che

∇ f (x) = λ∇F (x)


½
(10.2.2)
F (x) = 0.

Osservazione 10.2.7. Le soluzioni del sistema (10.2.2) sono di due tipi, a seconda che sia
λ = 0 o λ 6= 0.
Gli x che risolvono (10.2.2) con λ = 0 sono
i punti critici di f che appartengono a M .
Gli x che risolvono (10.2.2) con λ 6= 0 sono
i punti di M in cui M risulta tangente a un insieme di livello di f .
10.3. ESERCIZI 167

Ciò segue osservando che le condizioni

∇ f (x) = λ∇F (x), λ 6= 0, ∇F (x) 6= 0

implicano
∇ f (x) ∥ ∇F (x).
La conclusione segue applicando il Teorema 9.4.2 a f e a F e osservando che M è l’insieme
di livello di F passante per x.

Corollario 10.2.8. Siano f : A → R, A aperto di R3 , f ∈ C 1 (A). Sia F : A → R2 , F = (F 1 , F 2 ) ∈


C 1 (A). Sia
M := {(x, y, z) ∈ A : F 1 (x, y, z) = 0, F 2 (x, y, z) = 0}.
Sia
rg DF (x, y, z) = 2 ∀(x, y, z) ∈ M .
Se (x, y, z) ∈ A è un punto estremante relativo di f |M : M → R allora esistono λ, µ ∈ R tali che

 ∇ f (x, y, z) = λ∇F 1 (x, y, z) + µ∇F 2 (x, y, z)

F 1 (x, y, z) = 0

 F (x, y, z) = 0.
2

10.3. Esercizi

Esercizio 10.3.1. Sia A = {(x, y) ∈ R2 : x 2 + y 2 ≤ 1}, f : A → R,

f (x, y) := x 2 − y 2 .

Determinare f (A).

[Sol. es: 10.3.1: A è chiuso, limitato e connesso. (0, 0) è l’unico punto critico interno ad A
e i punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A sono (±1, 0), (0, ±1). Si verifica che i punti di
massimo assoluto sono (±1, 0) e che il valore di massimo assoluto è f (±1, 0) = 1; analoga-
mente, i punti di minimo assoluto sono (0, ±1) e il valore minimo assoluto è f (0, ±1) = −1.
Per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che
f (A) = [−1, 1].]

Esercizio 10.3.2. Sia A = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, x − 1 ≤ y ≤ (x − 1)2 }, f : A → R,

f (x, y) := x y − x 2 .

Determinare i punti i massimo e di minimo assoluti e l’immagine f (A).


168 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

[Sol. es: 10.3.2: A è chiuso, limitato e connesso. (0, 0) è l’unico punto critico di f come
funzione da R2 ad R, ma siccome q non è interno ad A non va considerato.
q qI punti estremanti
2 2
relativi di f ristretta a ∂A sono (1− Siccome f (1− 23 , 23 ) = 34 23 −1 > −1 = f (1, 0)
3 , 3 ), (1, 0).
q
si ha che il punto di massimo assoluto è (1 − 23 , 32 ) e il punto di minimo assoluto è (1, 0).
q
f (A) = [−1, 43 23 − 1].]

Esercizio 10.3.3. Siano A = {(x, y) ∈ R2 : 1 ≤ x 2 + y 2 ≤ 4} e f : A → R,


x
f (x, y) := 2 .
x + y2
Determinare i punti i massimo e di minimo assoluti e l’immagine f (A).

[Sol. es: 10.3.3: A è chiuso, limitato e connesso. f non ha punti critci. Per quel che riguarda i
punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A essi sono (±1, 0) e (±2, 0). Confrontando il valore
assunto in quei punti dalla f si ottiene che (1, 0) è punto di massimo assoluto e che il valore
di massimo assoluto è 1, mentre (−1, 0) è punto di minimo assoluto e il valore di minimo
assoluto è −1. Dunque, per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei
valori intermedi si ha che f (A) = [−1, 1].]

Esercizio 10.3.4. Siano A = {(x, y) ∈ R2 : x ≥ 0, y ≤ 0, 3 − x + y ≥ 0} e f : A → R,


f (x, y) := x 2 + x(y − 1) + y + y 2 .
Determinare i punti i massimo e di minimo assoluti e l’immagine f (A).

[Sol. es: 10.3.4: A è chiuso, limitato e connesso. f ha come unico punto critico (1, −1) che
è interno ad A. I punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A sono ( 32 , − 32 ), ( 21 , 0), (0, − 21 ) (che
sono candidati ad essere punti di minimo assoluto) e i punti (0, −3) (0, 0), (3, 0) (che sono
candidati ad essere punti di massimo assoluto). Confrontando il valore assunto in questi
punti e nel punto critico da f si ottiene che (0, −3) e (3, 0) sono i punti di massimo assoluti
(6 è il valore di massimo assoluto) e (1, −1) è il punto di minimo assoluto (−1 è il valore di
minimo assoluto). Dunque, per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei
valori intermedi si ha che f (A) = [−1, 6].]

Esercizio 10.3.5. Sia A = {(x, y) ∈ R2 : (x − 1)2 + y 2 = 1}, f : A → R,


f (x, y) := x 2 + 2y 2 .
Usando il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, determinare i punti di massimo e di mini-
mo assoluti e f (A).
10.3. ESERCIZI 169

[Sol. es: 10.3.5: A è chiuso, limitato e connesso ed f è continua. Dunque, per il Teo-
rema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che f (A) =
[valore min, valore max].
Si ha
A = {(x, y) ∈ R2 : F (x, y) = 0}
dove F (x, y) = (x − 1)2 + y 2 − 1. Osserviamo che ∇F (x, y) = (2(x − 1), 2y), che risulta = (0, 0) se
e solo se x = 1 e y = 0, punto che non è appartenente ad A. Possiamo applicare il metodo dei
moltiplicatori di Lagrange. Se determiniamo gli (x, y) soluzioni di

 2x = λ2(x − 1)

4y = λ2y per qualche λ ∈ R
 (x − 1)2 + y 2 − 1 = 0

otteniamo i candidati ad essere punti di massimo e di minimo relativi. Risolvendo il siste-


ma si ottengono il punto (x, y) = (0, 0) per λ = 0 e il punto (2, 0) per λ = 2. Non ci sono altri
candidati. Siccome per il Teorema di Weierstrass esistono un punto di massimo e di mini-
mo assoluto che debbono necessariamente essere tra i punti appena trovati. Si verifica che
f (0, 0) = 0 < 4 = f (2, 0). Dunque (0, 0) è punto di minimo assoluto, (2, 0) è punto di massimo
assoluto e f (A) = [0, 4].]

Esercizio 10.3.6. Sia A = {(x, y) ∈ R2 : x 2 + y 2 ≤ 1}, f : A → R,


f (x, y) := x 2 y.
Determinare i punti di massimo e di minimo assoluti e f (A).

[Sol. es: 10.3.6: A è chiuso, limitato e connesso ed f è continua. Dunque, per il Teo-
rema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che f (A) =
[valore min, valore max]. I punti critici interni ad A sono i punti (0, y) con −1 < y < 1. Per
determinare i candidati ad essere punti di max e min assoluti che giacciono su ∂A usiamo il
metodo dei moltiplicatori di Lagrange (l’alternativa è studiare f (cos t , sin t ) con t ∈ [0, 2π)).
Si ha
∂A = {(x, y) : F (x, y) = 0},
dove F (x, y) = x 2 + y 2 − 1. Siccome ∇F (x, y) = (0, 0) solo per x = 0, y = 0 che non e’ in ∂A
possiamo applicare il metodo. Risolvendo

 2x y = λ2x

x 2 = λ2y
 x2 + y 2 = 1

q q q q q q
si ottengono: (0, ±1) per λ = 0, (± 23 , 13 ) per λ = 13 e (± 23 , − 13 ) per λ = − 13 .
170 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Un confronto tra i valori assunti da f in tutti questi punti eq


nei q ad A per-
punti critici interniq q
mette di affermare che i punti di massimo assoluto sono (± 3 , 3 ) e che i punti (± 3 , − 13 )
2 1 2

2 2
sono di minimo assoluto. L’immagine è [− p , p ]. ]
3 3 3 3

Esercizio 10.3.7 (VB). Sia f : K → R, f (x, y, z) = 3x + y + z, con

K = {(x, y, z) ∈ R3 : 10x 2 + y 2 + 10z 2 ≤ 8}.

Determinare f (K ).

SOLUZIONE:
K è compatto. µ ¶ µ ¶
3 1 3 1
Candidati punti di massimo/minimo assoluti: − , −2, − , , 2,
5 5 5 5
f (K ) = [−4, 4].

Esercizio 10.3.8 (VB). Sia f : K → R, f (x, y, z) = x 2 + y z, con

K = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 ≤ 1, −1 ≤ z ≤ 3}.

Determinare, se esistono, min f e max f .


K K

SOLUZIONE:
K è compatto.
Candidati punti di massimo/minimo assoluti:
(0, 0, 0),
(1, 0, 0),
(−1, 0, 0),
(0, 1, 3),
(0, −1, 3),
(0, 1, −1),
(0,
à p−1, −1), !
3 1
, − , −1 ,
2 2
à p !
− 3 1
, − , −1
2 2

Da cui: minK f = −3, maxK f = 3.


10.3. ESERCIZI 171

Esercizio 10.3.9 (da prova scritta AM2: 25-1-2021). Si consideri f : Ω → R

f (x, y, z) = xz y|y|

con

Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 + z 2 = 1, y ≥ 0}.

Determinare f (Ω).

SOLUZIONE:
Notiamo che f è nulla in Ω ∩ ({y = 0} ∪ {x = 0} ∪ {z = 0}).
Determiniamo ora i candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti di f |Ω che si
trovano in Ω ∩ {y > 0} ∩ {x, z 6= 0}.
Usiamo il teorema dei moltiplicatori di Lagrange.
Sia F : R3 → R, F (x, y, z) = x 2 + y 2 + z 2 − 1. F è di classe C 1 e ∇F (x, y, z) = (2x, 2y, 2z) è non
nullo in Ω.
I candidati a essere punti di massimo/minimo assoluti per f |Ω sono soluzioni del sistema:

(y|y|z, 2xz|y|, x y|y|) = λ(2x, 2y, 2z)





 x2 + y 2 + z2 = 1


 y >0

x, z 6= 0

Tale sistema è equivalente a


 

 y 2 z = λ2x 
 y 2 z = λ2x
xz = λ
 
2xz y = 2λy

 


 

 x y 2 = λ2z
  x y 2 = λ2z



 x2 + y 2 + z2 = 1 
 x2 + y 2 + z2 = 1
 
y >0 y >0

 


 


 x, z 6= 0 
 x, z 6= 0



 y 2 z = 2x 2 z
xz = λ





 x y 2 = 2xz 2



 x2 + y 2 + z2 = 1

y >0





 x, z 6= 0
172 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
 

 y 2 = 2x 2 
 y 2 = 2x 2
xz = λ xz = λ

 


 

 
 y 2 = 2z 2
  y 2 = 2z 2

⇔ ⇔
 x2 + y 2 + z2 = 1
 
 x2 + y 2 + z2 = 1
 
 y >0 y >0

 

 


 x, z 6= 0 
 x, z 6= 0

z2 = x2


2 2
2z 2x

= 
xz = λ

 

λ
 
xz =

 

2 2
 y = 2z

 

 y 2 = 2z 2
 
⇔ ⇔ 4z 2 = 1
 x2 + y 2 + z2 = 1 

 
 y >0
 y >0

 

x 6= 0
 


 x, z 6= 0 


z 6= 0.

1 1 1 1 1 1
⇒ ( , p , ± ), (± , p , − ).
2 2 2 2 2 2
Ora:

f (x, 0, z) = 0, f (x, y, 0) = 0 f (0, y, z) = 0

1 1 1 1
f ( , p ,± ) = ±
2 2 2 8
1 1 1 1
f (± , p , − ) = ∓ .
2 2 2 8
Quindi:
1 1
f (Ω) = [− , ].
8 8

Esercizio 10.3.10 (variante prova scritta AM2: 13-1-2020). Sia K = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 ≤


z ≤ 4}. Utilizzando, almeno in parte, il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange, calcolare
l’immagine della funzione f : K → R, f (x, y, z) = 2z − x y.

Soluzione 10.3.10:
K è compatto e connesso, f è continua, quindi f (K ) = [minK f , maxK f ]. Si ha K = int K ∪
K 1 ∪ K 2 ∪ K 3 , con
int K = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 < z < 4}
K 1 = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 = z, z < 4}
K 2 = {(x, y, z) ∈ R3 : z = 4, 2x 2 + y 2 < 4}
K 3 = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 = 4, z = 4}.
10.3. ESERCIZI 173

Candidati punti di massimo/minimo in int K , non ve ne sono. Infatti f ∈ C 1 (R3 ) e senza


punti critici, in quanto ∇ f (x, y, z) = (−y, −x, 2) non si annulla mai.
Cerchiamo i candidati punti di massimo/minimo in K 1 .
Sia g : R3 → R, g (x, y, z) = 2x 2 + y 2 − z. Tale funzione è di classe C 1 e

∇g (x, y, z) = (4x.2y, −1) 6= (0, 0, 0).

Quindi L 0 (g ) è una varietà di dimensione 2 e

K 1 = L 0 (g ) ∩ {(x, y, z) ∈ R3 : z < 4}.

Usiamo il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange.





 −y = 4λx


( −x = 2λy

∇ f (x, y, z) = λ∇g (x, y, z)


⇔ 2 = −λ
(x, y, z) ∈ K 1 
2x 2 + y 2 = z





z < 4

 


 λ = −2 

 λ = −2

 

 y = 8x  y = 8x

 

 
⇔ x = 4y ⇔ x = 32x
 
2 2
2x 2 + 64x 2 = z
 
2x + y = z

 


 

 
z < 4
 z < 4




 λ = −2


y = 0



⇔ x =0 .


z =0





z < 4

Pertanto (0, 0, 0) è l’unico candidato punto estremante di f in K 1 .

Cerchiamo i candidati punti di massimo/minimo in K 2 . Si ha

f |K 2 : K 2 → R, f (x, y, z) = f (x, y, 4) = 8 − x y.

Inoltre (x, y, z) ∈ K 2 ⇔ (x, y) ∈ H ∧ z = 4 con

H := {(x, y) ∈ R2 : 2x 2 + y 2 < 4}

che è un aperto di R2 . Basta quindi determinare i punti critici g : H → R, g (x, y) = 8 − x y.


174 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Si ha (
−y = 0
∇g (x, y) = (0, 0) ⇔ .
−x = 0
Essendo (0, 0) ∈ H punto critico di g , deduciamo che (0, 0, 4) è l’unico candidato punto estre-
mante di f in K 2 .
Cerchiamo i candidati punti di massimo/minimo in K 3 . Possiamo parametrizzare K 3 . Esso
è infatti il sostegno della curva semplice
p
γ : [0, 2π] → R3 , γ(t ) = ( 2 cos t , 2 sin t , 4).
Definiamo
p p
g : [0, 2π] → R, g (t ) = f ◦ γ(t ) = 8 − 2 2 sin(t ) cos(t ) = 8 − 2 sin(2t ).
Si ha ( ( p
g 0 (t ) = 0 −2 2 cos(2t ) = 0 π 3π 5π 7π
½ ¾
⇔ ⇔t ∈ , , , .
t ∈ [0, 2π[ t ∈ [0, 2π] 4 4 4 4
I candidati punti estremanti di f in K 3 sono i punti
π 3π 5π 7π
½ ¾
γ(t ) con t ∈ , , , .
4 4 4 4
Non li calcoliamo, dato che ci servono solo i valori dell’immagine di tali punti mediante f ,
che coincidono con
π 3π 5π 7π
½ ¾
g (t ) con t ∈ , , , .
4 4 4 4
Riassumendo:
f (0, 0, 0) = 0
f (0, 0, 4) = 8
π 5π p
g( ) = g( ) = 8− 2
4 4
3π 7π p
g ( ) = g ( ) = 8 + 2.
p 4 4
Conclusione: f (K ) = [0, 8 + 2].

Esercizio 10.3.11 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Usando il Teorema dei moltiplicatori di
Lagrange, determinare l’immagine di f : K → R,
f (x, y, z) = −2y − 4z,
dove
K = {(x, y, z) : x + y = 0, x 2 + y 2 + z 2 = 4}.
10.3. ESERCIZI 175

SOLUZIONE:
Sia F (x, y, z) = (F 1 (x, y, z), F 2 (x, y, z)) := (x + y, x 2 + y 2 + z 2 − 4). Allora

∇F 1 (x, y, z) = (1, 1, 0)

∇F 2 (x, y, z) = (2x, 2y, 2z)


Risulta

rank DF (x, y, z) = 1 ⇔ (x = y e z = 0) ⇔ (in K ) 2x = 0, x = y, z = 0 ⇔ x = y = z = 0 MAI in K

Dunque
rank DF (x, y, z) = 2 ∀(x, y, z) ∈ K .
Dato che
∇ f (x, y, z) = (0, −2, −4)
Il sistema di Lagrange è:
0 = λ + 2µx
  

 
 2µx = −λ 
 2µx = −λ
 −2 = λ + 2µy  −2µy = λ + 2  2µx = λ + 2

 
 

  
−4 = 2µz ⇔ 2µz = −4 ⇔ 2µz = −4
  



 x+y =0 


 y = −x 


 y = −x
 2 2 2  2 2 2
x +y +z =4 x +y +z =4 2x 2 + z 2 = 4


2
 x = 4µ


 4µx = 2 sommo le prime due 

 0 = 2λ + 2 sottraggo la prima alla seconda  2λ = −2

 

 
⇔ 2µz = −4 (⇒ µ 6= 0) ⇔ z = − µ2
 



 y = −x 


 y = −x
2 2
2x + z = 4 2x 2 + z 2 = 4
 

1 1
  
x = 2µ x = 2µ 1

 
 
 x = 2µ
 λ = −1  λ = −1
  
 λ = −1

 
 

  
2 2
⇔ z = −µ ⇔ z = − µ ⇔ z = − µ2
  
 y = −x

  y = −x

  y = −x


  
 2 + 4 =4  18 = 4  2 18 9
µ = 16 = 8
  
4µ2 µ 2 4µ2

3
Se µ = p :
2 2
p p p p
2 2 2 2 4 2
x1 = = , y1 = − , z1 = −
6 3 3 3
3
Se µ = − p :
2 2
p p p
2 2 4 2
x2 = − , y2 = , z2 = .
3 3 3
176 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Da cui p p p p p p
2 2 4 2 2 4 2 (2 + 16) 2 p
f( ,− ,− )=2 +4 = =6 2
3 3 3 3 3 3
p p p p p
2 2 4 2 2 4 2 p
f (− , , ) = −2 −4 = −6 2
3 3 3 3 3
IMMAGINE h p p i
−6 2, 6 2

Esercizio 10.3.12 (da prova scritta AM2: 29-6-2020). Si consideri la funzione f : R2 → R,


f (x, y) = x 4 − x 2 y 2 . Usando il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange almeno una volta,
determinare l’immagine di f |K : K → R, dove
K = {(x, y) ∈ R2 : y 2 ≤ |x|, x 2 + y 2 ≤ 2}.

SOLUZIONE:
Per i punti critici: si veda l’Esercizio 7.7.8. I punti critici di f sono tutti e soli i punti dell’asse
y. L’unico tra questi punti che appartiene a K è (0, 0), in cui la funzione vale f (0, y) = 0.
Si noti che  2
x + y2 = 2 
2

1±3
 x +x −2 = 0  x= 2


 y2 = x
   ½
x =1
2 2
⇔ y =x ⇔ y =x ⇔

 y ≥0 
 y ≥0 
 y ≥0 y = 1.

x ≥0

K è un insieme compatto e f è continua. Dunque f (K ) = [minK f , maxK f ].

In int K non ci sono candidati ad essere punti di massimo o minimo assoluti, in quanto
sappiamo da (a) che in esso non vi sono punti critici.
Studiamo ∂K .
10.3. ESERCIZI 177

∂K è simmetrico rispetto all’asse y e all’asse x e si ha

f (x, y) = f (−x, y) (così come f (x, y) = f (x, −y)).

Per la simmetria del dominio e della funzione, basta studiare f ristretta a γ∗1 ∪ γ∗2 con

γ∗1 := {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ y ≤ 1, y 2 = x}

γ∗2 := {(x, y) ∈ R2 : x 2 + y 2 = 2, 0 ≤ y ≤ 1}
L’immagine di f |γ∗1 coincide con l’immagine della funzione continua

g : 0, 1 → R, g (x) = x 4 − x 3 .
£ ¤

g 0 (x) = 4x 3 − 3x 2 = x 2 (4x − 3)
Quindi i candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti per f |γ∗1 sono:
p
3 3
(0, 0), ( , ), (1, 1).
4 2
Consideriamo f |γ∗2 .
Sia F : R2 → R, F (x, y) = x 2 + y 2 − 2. Si ha ∇F (x, y) = (2x, 2y) sempre non nullo in γ∗2 .
Ricordando che ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2x y 2 , −2x 2 y), applicando il teorema dei moltiplicatori di
Lagrange consideriamo il sistema

4x 3 − 2x y 2 = 2λx



2
 −2x y = 2λy



x2 + y 2 = 2




 0≤y ≤1
x ≥0



 y 6= 0
2
− y 2 ) = λx
 
y =0 x(2x



 


 4x 3 = 2λx  −x 2 = λ

⇔ (S 1 ) : ∨ (S 2 ) :

 x2 = 2 
 y 2 = 2 − x2
 
x ≥0 0≤y ≤1
 




 x ≥0

Studiamo separatamente i due sistemi:


  
y =0 y =0 y =0
 4 · 2p2 = 2p2λ

 
 

 4x 3 = 2λx
   4=λ
 ½
y =0
(S 1 ) : 2 ⇔ p ⇔ p ⇒ p
 x =2

  x= 2





x= 2 x= 2
x ≥0 x ≥0 x ≥0
  
178 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Studiamo ora
   

 y 6= 0 
 y 6= 0 
 y 6= 0 
 y 6= 0
 x(2x − y ) = λx
2 2
x(3x − 2) = λx
2
x(−3λ − 2) = λx
   
x(−4λ − 2) = 0

 
 
 

 
 
 

 −x 2 = λ
  −x 2 = λ
  −x 2 = λ
  −x 2 = λ

(S 2 ) : ⇔ ⇔ ⇔

 y 2 = 2 − x2 
 y 2 = 2 − x2 
 y 2 = 2 − x2 
 y 2 = 2 − x2
   
0≤y ≤1 0≤y ≤1 0≤y ≤1 0≤y ≤1

 
 
 


 
 
 


 x ≥0 
 x ≥0 
 x ≥0 
 x ≥0


 y 6= 0
x = 0 ∨ λ = − 12





 −x 2 = λ



 y 2 = 2 − x2

0≤y ≤1





 x ≥0

Se x = 0 non ci sono soluzioni (sarebbe y 2 = 2 in contraddizione con la richiesta 0 ≤ y ≤ 1).


Deve quindi essere 
 y 6= 0

1
 λ = −2




 x2 = 1

2

 y 2 = 2 − 12 = 32

0≤y ≤1





 x ≥0

che non ha soluzioni.


Riassumendo, i candidati ad essere punti di massimo o minimo assoluti per f provenienti
p
da γ∗2 sono ( 2, 0), (1, 1).
Dato che
p
p 3 3 ³ 3 ´4 ³ 3 ´2 3 ³ 3 ´3 ³ 3 ´ 1 27 27
f ( 2, 0) = 4, f (1, 1) = 0, f (0, 0) = 0, f ( , )= − = −1 = − · = − ,
4 2 4 4 4 4 4 4 64 256
deduciamo
27
Im f = [− , 4].
256

Esercizio 10.3.13 (da prova scritta 20-7-2020). In un sistema di riferimento cartesiano Ox y


si consideri l’insieme
(x − 1)2
Γ := {(x, y) ∈ R2 : + y 2 = 1, x ≥ 0}.
4
Usando il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange, determinare l’immagine di f : Γ → R,
f (x, y) = x + y.
10.3. ESERCIZI 179

SOLUZIONE:
2
Sia F : R2 → R, F (x, y) = (x−1)
4
+ y 2 − 1.
Allora

Γ = L 0 (F ) ∩ {(x, y) ∈ R2 : x ≥ 0}.

Candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti per f provenienti da

Γ = L 0 (F ) ∩ {(x, y) ∈ R2 : x = 0}.

 (x − 1)2
p
 (
½ 1 2 3
+ y2 = 1 + y = 1 y = ±
4 ⇔ 4 2

x =0 x =0 x =0

per cui
p p
3 3
(0, − ) (0, )
2 2

sono candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti per f .


Candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti per f provenienti da

Γ = L 0 (F ) ∩ {(x, y) ∈ R2 : x > 0}.

Si ha ∇F (x, y) = 21 (x − 1), 2y che si annulla solo in (1, 0), punto che non appartiene a Γ.
¡ ¢

f (x, y) = x + y, quindi ∇ f (x, y) = (1, 1).


Il sistema dei moltiplicatori di Lagrange è:


λ 6= 0 λ 6= 0

 

 
x 6= 1
 

 x 6= 1 

λ
 
 

y 6= 0 y 6= 0
 

 1 = (x − 1) 
 

2
 2y = x − 1
  
1 x −1

 
 

=

 1 = 2λy 
 
⇔ λ 2 ⇔ 2
(x − 1)2 1 1
2
+y =1 λ=
  
  = 2y 
λ
  

 4

 
 2y
(x − 1)2
  
x >0 (x 1)2
  

2
 −
+y =1 + y2 = 1

 

 
4 4

 

 
x >0
 
 x >0
180 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

λ 6= 0 λ 6= 0
 

 

x 6= 1 x 6= 1

 


 

 
y 6= 0 y 6= 0

 


 

 

 x − 1 = 4y 
 x = 1 + 4y 4 1
⇔ 1 ⇔ 1 ⇒ (x = 1 + p , y = p ).
 λ=  λ= 5 5
2y 2y

 

 
42 y 2 1

 

 
+ y2 = 1 y = ±p

 

 


 4


 5
x >0 x >0
 

Dunque i candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti sono:


p p
4 1 3 3
(1 + p , p ) (0, − ) (0, ).
5 5 2 2
Essendo
p
µ ¶
4 1 4 1
f 1 + p , p = 1 + p + p = 1 + 5,
5 5 5 5
à p ! p
3 3
f 0, − =−
2 2
p p
3 3
f (0, )=
2 2
si ottiene p
3 p
f (Γ) = [− , 1 + 5]
2

Esercizio 10.3.14 (da prova scritta 7-9-2020). Si consideri la funzione f : A → R, con

A := {(x, y, z) ∈ R3 : y 6= 0}

e
z
f (x, y, z) = (x 2 − 1) .
y2
Determinare l’immagine di f |K : K → R, dove

K = {(x, y, z) ∈ A : y = −x 2 − z 2 , y = −4}.

SOLUZIONE:
I modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
In K si hanno
y = −4, x 2 = 4 − z 2,
10.3. ESERCIZI 181

quindi f : K → R,
(x 2 − 1)z (4 − z 2 − 1)z 1
f |K (x, −4, z) = = = (3z − z 3 ).
16 16 16
Dato che p p
K = {(x, −4, z) : −2 ≤ z ≤ 2, − 4 − z 2 ≤ x ≤ 4 − z 2 }
basta studiare l’immagine di g : [−2, 2] → R,
1
g (z) := (3z − z 3 ) z ∈ [−2, 2]
16
in quanto Im g = Im f |K .
Si ha g 0 (z) = 0 se e solo se 3 − 3z 2 = 0 se e solo se z = ±1
Quindi i candidati ad essere punti di massimo o minimo assoluti per g sono: −2, 2, −1, 1.
Essendo
1 1 1 1 1
g (−2) = (−6 + 8) = , g (2) = − , g (−1) = − , g (1) =
16 8 8 8 8
si ha Im g = Im f |K = [−2, 2].
II modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
K è un compatto e f è continua.
In K si ha
(x 2 − 1)z
f (x, y, z) = f (x, −4, z) = .
16
Se definiamo g : D → R,
g (x, z) = (x 2 − 1)z, D := {(x, z) ∈ R : x 2 + z 2 = 4}
si hanno
(x, −4, z) ∈ K ⇔ (x, z) ∈ D (10.3.1)
e
1
f (x, −4, z) = g (x, z)∀(x, z) ∈ D. (10.3.2)
16
Studiamo l’immagine di g usando il teorema dei moltiplicatori di Lagrange.
Sia G : R2 → R, G(x, z) = x 2 + z 2 − 4. Risulta ∇G(x, z) = (2x, 2z) che è non nullo in D.
Essnedo ∇g (x, z) = (2xz, x 2 − 1) i candidati a essere punti di massimo/minimo assoluti per g
sono soluzioni del sistema:

  x 6= 0
 2xz = λ2x  x =0


   z =λ

x 2 − 1 = λ2z ⇔ −1 = λ2z ∪
 x2 + z2 = 4
  z2 = 4
 
 x 2 − 1 = λ2z
 2
x + z2 = 4

Risulta
182 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI


 x =0

−1 = λ2z ⇒ (0, 2), (0, −2)
 z2 = 4

e   

 x 6= 0 
 x 6= 0 
 x 6= 0
 z =λ
  z =λ
  z =λ

⇔ ⇔

 x 2 − 1 = λ2z  x 2 − 1 = 2z 2
 
 x 2 = 2z 2 + 1
 2
x + z2 = 4 x2 + z2 = 4 2z 2 + 1 + z 2 = 4
 
 



 x 6= 0
 z =λ

p p p p
⇔ 2 ⇒ ( 3, 1), ( 3, −1), (− 3, 1), (− 3, −1).

 x =3
 2

z =1
Ora:
g (0, 2) = −2
g (0, −2) = 2
p
g ( 3, 1) = 3 − 1 = 2
p
g ( 3, −1) = −(3 − 1) = −2
p
g (− 3, 1) = 3 − 1 = 2
p
g (− 3, −1) = −(3 − 1) = −2
Dunque
Im g (D) = [−2, 2]
da cui, per (10.3.1) e (10.3.2),
· ¸ · ¸
2 2 1 1
Im f (D) = − , = − ,
16 16 8 8
III modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
Parametrizziamo
K = {(x, y, z) ∈ A : y = −x 2 − z 2 , y = −4}.

γ : [0, 2π] → R, γ(t ) = (2 cos t , −4, 2 sin t ).


Allora g = f ◦ γ : [0, 2π] → R ,
3

1 1 1
g (t ) = (4 cos2 t − 1)2 sin t = cos2 t sin t − sin t .
16 2 8
Ora µ ¶
0 2 1 3 1 2 1 2 1
g (t ) = − cos t sin t + cos t − cos t = cos t − sin t + cos t −
2 8 2 8
10.3. ESERCIZI 183
µ ¶ µ ¶
2 2 3 2 1 3 2 1
= cos t − sin t − cos t + cos t − = cos t −1 + cos t − .
2 8 2 8
Dato che
3 1 29 3
−1 + cos2 t − = 0 ⇔ cos2 t = =
2 8 38 4
risulta
t ∈[0,2π]
"
0 cos t = 0 ⇔ t = π2 ∨ t = 3 π2
g (t ) = 0 ⇔ p
cos t = ± 23 ⇔ t = π6 ∨ t = 5π
6
∨ t = 7π
6
∨ t = 11π
6
Si hanno
π 1 1 π 1 1
g ( ) = (−1)2 = − , g (3 ) = (−1)(−2) =
2 16 8 2 16 8
π p 1 p 1 1
g ( ) = f (2 32, −4, 2 ) = f ( 3, −4, 1) = (3 − 1) =
6 2 16 8
5π p 1 1
g ( ) = f (−2 32, −4, 2 ) =
6 2 8
π p 1 p −1 1
g (7 ) = f (−2 32, −4, −2 ) = f (− 3, −4, −1) = (3 − 1) =−
6 2 16 8
π p 1 p −1 1
g (11 ) = f (2 32, −4, −2 ) = f ( 3, −4, −1) = (3 − 1) =−
6 2 16 8
allora I m( f ) = [− 18 , 18 ].

Esercizio 10.3.15 (Prova scritta AM2 15-2-2021). Si consideri f : R3 → R f (x, y, z) = x 2 y + z.


Sia
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : 4x 2 + y 2 + z 2 = 1}.
Determinare f (Ω).

SOLUZIONE:
f : R3 → R f (x, y, z) = x 2 y + z è di classe C 1 .
∇ f (x, y, z) = (2x y, x 2 , 1).
Sia F = R3 → R, F (x, y, z) = 4x 2 + y 2 + z 2 = 1.

L 0 F = {(x, y, z) ∈ R3 : 4x 2 + y 2 + z 2 = 1}.
∇F (x, y, z) = (8x, 2y, 2z) 6= (0, 0, 0) in Ω.
Per il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange per determinare i punti e


 2x y = 8λx
 x 2 = 2λy


 1 = 2λz
4x 2 + y 2 + z 2 = 1

Distinguiamo due casi: x = 0 e x 6= 0.


184 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

 

 x =0 
 x =0
 2x y = 8λx  0=0

 

 
2
x = 2λy ⇔ 0 = 2λy
 



 1 = 2λz 


 1 = 2λz
2 2 2  2
4x + y + z = 1 y + z2 = 1

Dato che
1 = 2λz ⇒ λ 6= 0
allora 
½
0 = 2λy
½
0 = 2λyλ 6= 0  0=y

⇒ ⇒ λ 6= 0
1 = 2λz z 6= 0 
 z 6= 0
Pertanto  
  x = 0  x =0
x =0 
 

y =0 y =0

 
 
 
 0=0  x =0

 
 

 
 1 = 2λz 
 1 = 2λz 
0 = 2λy ⇒ = ⇒ y =0
  λ 6= 0  λ 6= 0 
 z = ±1

 1 = 2λz 
 

z 6= 0 z 6= 0

 
 

 2
y + z2 = 1

 

 y 2 + z2 = 1
  z2 = 1

Caso x 6= 0:
  

 x 6= 0 
 x 6= 0 
 x 6= 0
 2x y = 8λx  y = 4λ  y = 4λ

 
 

  
2 2
x = 2λy ⇔ x = 2λy ⇔ x 2 = 8λ2
  



 1 = 2λz 


 1 = 2λz 


 1 = 2λz
2 2 2 2 2 2
4x + y + z = 1 4x + y + z = 1 4x 2 + y 2 + z 2 = 1
  
 
  x 6= 0  x 6= 0
x 6= 0 
 

y = 4λ y = 4λ

 
 

 y = 4λ

 
 

  x 2 = 8λ2
  x 2 = 8λ2

⇔ x 2 = 8λ2 ⇔ ⇔

 1 = 2λz  λ 6= 0
 
 λ 6= 0
1 1
  
 z = 2λ z = 2λ

 
 

32λ2 + 16λ2 + z 2 = 1
  

 48λ2 + 1 = 1
  48 · 4λ4 + 1 = 4λ2 .

4λ2


 x 6= 0

y = 4λ




 x 2 = 8λ2



 λ 6= 0
1

z = 2λ




 48 · 4λ4 − 4λ2 + 1 = 0.

10.3. ESERCIZI 185

L’ultima equazione non ha soluzione: posto t = λ2 si ha


48 · 4t 2 − 4t + 1 = 0
che ha ∆4 = 4 − 48 < 0.
Pertanto (0, 0, ±1) sono candidati ad essere punti di massimo e di minimo assoluti.
Risulta
f (0, 0, 1) = 1, f (0, 0, −1) = −1
allora f (Ω) = [−1, 1].

xy
Esercizio 10.3.16 (FLOP, 2.1.a). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
l’immagine di f .

Risposta: − 12 , 12 .
£ ¤

x+y
Esercizio 10.3.17 (FLOP, 2.1.b). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
l’immagine di f .

Sugg. per l’es. 10.3.17: Restringersi all’asse x e alla bisettrice y = x.


Risposta dell’es. 10.3.17: R.

xyz
Esercizio 10.3.18 (FLOP, 2.1.m). Si consideri f : R3 → R, f (x, y) = 1+z 2 . Sia
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1}.
Determinare f (Ω).

Soluzione dell’Esercizio 10.3.18: f è continua e il dominio è un connesso, allora l’immagine


è un intervallo. Vale
|z| 1 |z|
∀(x, y, z) ∈ Ω | f (x, y, z)| ≤ |x y| 2
≤ →|z|→+∞ 0.
1+z 2 1 + z2
Dato che esistono punti di Ω in cui f è negativa e punti in cui f è negativa, ed essendo
Ω ⊆ R × [0, +∞[,
· ¸
∃ min f < 0, ∃ max f > 0, f (Ω) = min f , max f .
Ω Ω Ω Ω

I candidati punti di minimo e di massimo si possono determinare col Teorema dei moltipli-
catori di Lagrange:  yz
 1+z 2 = 2λx


 xz = 2λy

1+z 2
1−z 2


 x y (1+z 2 )2 = 0
 x2 + y 2 = 1

186 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

da cui si deduce · ¸
1 1
f (Ω) = − , .
4 4

Esercizio 10.3.19 (FLOP, 2.1.g). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = xe x−y . Sia


Ω = {(x, y) ∈ R2 : y ≥ x 2 }.
Determinare f (Ω).

Soluzione dell’Esercizio 10.3.19: f è continua e il dominio è un connesso, allora l’immagine


è un intervallo. Vale
p p
∀(x, y) ∈ Ω | f (x, y)| ≤ ye y−y → y→+∞ 0,
quindi
lim f (x, y) = 0.
Ω3(x,y), |(x,y)|→+∞
Dato che esistono punti di Ω in cui f è negativa e punti in cui f è negativa, ed essendo
Ω ⊆ R × [0, +∞[, deduciamo che
· ¸
∃ min f < 0, ∃ max f > 0, f (Ω) = min f , max f .
Ω Ω Ω Ω

Non ci sono punti critici nell’interno di Ω. Resta quindi da studiare la frontiera di Ω. Restrin-
giamo f alla frontiera, definendo così g : R → R,
2
g (x) := f (x, x 2 ) = xe x−x .
Studiando g si deduce che
−1 e −3/4
min g (x) = g ( ) = − , max g (x) = 1.
R 2 2 R
h −3/4 i
Conclusione: f (Ω) = − e 2 , 1 .

x y2
Esercizio 10.3.20 (FLOP, 2.1.p). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = 1+x 2 . Sia
Ω = {(x, y) ∈ R2 : |y| ≤ |x|}.
Determinare f (Ω).

Soluzione dell’Esercizio 10.3.20:


f è continua, il dominio non è connesso, ma
Ω = Ω+ ∪ Ω−
dove
Ω+ = {(x, y) ∈ Ω : x > 0}, Ω− = {(x, y) ∈ Ω : x < 0}.
10.3. ESERCIZI 187

Tali insiemi sono connessi, quindi f (Ω+ ) e f (Ω− ) sono in intervalli. Inoltre si ha

f (Ω− ) = − f (Ω+ ).

Di certo
0 ∈ f (Ω+ ) ⊆ [0, +∞[.
Inoltre,
x 1 xx 2
f (x, ) = →x→+∞ +∞.
2 4 1 + x2
Pertanto
f (Ω+ ) = [0, +∞[ e f (Ω− ) =] − ∞, 0].
Concludendo:
f (Ω) = R.

Esercizio 10.3.21 (FLOP, 2.1.γ). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x y. Sia


1
Ω = {(x, y) ∈ R2 : |y| ≤ }.
1 + x2
Determinare f (Ω).

Soluzione dell’Esercizio 10.3.21:


f è continua, il dominio è connesso. Allora l’immagine è un intervallo. Nell’interno di Ω c’è
un solo punto critico, che è un punto di sella.
Studiando f |∂Ω si deduce che
· ¸
1 1
f (Ω) = − , .
2 2

p px 2 +y 2
Esercizio 10.3.22. Si consideri f : R \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = 2 1+x 2 +y 2 . Determinare l’imma-
2

gine di f .
p p
Sugg. per l’es. 10.3.22: f è una funzione radiale. Basta studiare g : [0, +∞[→ R, g (t ) = 2 1+tt 2 .
Si ha · ¸
1
Im f = g ([0, +∞[) = 0, p .
2

x+y
Esercizio 10.3.23 (FLOP, 2.1.c). Si consideri f : R2 \{(0, 0)} → R, f (x, y) = 1+x 2 +y 2 . Determinare
l’immagine di f .
188 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI

Soluzione dell’Esercizio 10.3.23:


f è continua, il dominio è connesso. Allora l’immagine è un intervallo.
p p
Essendo |x + y| ≤ 2 x + y 2 , deduciamo
2
p
p x2 + y 2
| f (x, y)| ≤ 2 .
1 + x2 + y 2
Dall’esercizio 10.3.22 segue che · ¸
1 1
Im f ⊆ − p , p
2 2
Essendo
1 1 1 −1 −1 −1
f (p , p ) = p , f (p , p ) = p ,
2 2 2 2 2 2
deduciamo · ¸
1 1
Im f = − p , p .
2 2

Esercizio 10.3.24 (FLOP, 2.1.v). Si consideri f : Ω → R, f (x, y, z) = x y, dove


Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 + z 2 ≤ 1}.
Determinare l’immagine di f .

Risposta all’Esercizio 10.3.24: · ¸


1 1
Im f = − , .
2 2
CAPITOLO 11

Integrali curvilinei

11.1. Curve

Definizione 11.1.1 (Curva).


Sia I intervallo reale. Si chiama curva una funzione γ : I → Rn continua.

Definizione 11.1.2 (Curva piana).


Una curva γ : I → Rn si dice piana se n = 2.

Definizione 11.1.3 (Sostegno di una curva).


Sia γ : I → Rn una curva. L’immagine γ(I ) si chiama sostegno della curva e si denota γ∗ .

Definizione 11.1.4 (Equazioni parametriche della curva).


Data una curva γ : I → Rn , γ(t ) = (γ1 (t ), · · · , γn (t )), le equazioni

 x 1 = γ1 (t )

··· t ∈I
 x = γ (t )

n n
si dicono equazioni parametriche della curva e t ∈ I è detto parametro.

Definizione 11.1.5 (Curva di classe C 1 ).


Una curva γ : I → Rn si dice di classe C 1 se γ è di classe C 1 .

Definizione 11.1.6 (Curva regolare).


Una curva γ : I → Rn , si dice regolare se:
(i) γ è di classe C 1
(ii) γ0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ int I .

189
190 11. INTEGRALI CURVILINEI

Definizione 11.1.7 (Curva semplice).


Una curva γ : I → Rn , si dice semplice se

∀t 1 , t 2 ∈ I , t 1 6= t 2 , (γ(t 1 ) = γ(t 2 ) ⇒ t 1 , t 2 ∈ I \ int I ).

Definizione 11.1.8 (Estremi di una curva).


Sia γ : [a, b] → Rn una curva. Allora γ(a) si dice primo estremo della curva e γ(b) secondo
estremo.

Definizione 11.1.9 (Curva chiusa).


Una curva γ : [a, b] → Rn , si dice chiusa se γ(a) = γ(b).

Esempio 11.1.10 (Segmento: I parte).


Dati due punti distinti P = (x̄ 1 , · · · , x̄ n ) e Q = ( ȳ 1 , · · · , ȳ n ) di Rn vogliamo determinare una
parametrizzazione del segmento che li congiunge, di primo estremo P e secondo estremo Q.
Si consideri γ : [0, 1] → Rn , γ(t ) = (γ1 (t ), · · · , γn (t )), con, per ogni i ∈ {1, · · · , n},

γi (t ) = x̄ i + t ( ȳ i − x̄ i ) t ∈ [0, 1].

Le equazioni parametriche di tale curva sono:



 x 1 = x̄ 1 + t ( ȳ 1 − x̄ 1 )

······ t ∈ [0, 1].

 x = x̄ + t ( ȳ − x̄ )
n n n n

Al variare del parametro nell’intervallo [0, 1], dal valore 0 al valore 1, γ(t ) è un punto di Rn
che si muove sul segmento congiungente P e Q. Il primo estremo è P e il secondo estremo è
Q.
γ è una curva semplice, regolare.

Esempio 11.1.11 (Segmento: II parte).


Dati due punti distinti P = (x̄ P , ȳ P ) e Q = (x̄Q , ȳQ ) di R2 vogliamo determinare una parame-
trizzazione del segmento che li congiunge, diversa da quella descritta nell’Esempio 11.1.10.
Distinguiamo due casi.
Supponiamo che P = (x̄ P , ȳ P ) e Q = (x̄Q , ȳQ ) di R2 siano sulla retta verticale, di equazione
x = x̄ P .
11.1. CURVE 191

Si consideri γ : [min{ ȳ P , ȳQ }, max{ ȳ P , ȳQ }] → R2 , γ(t ) = (x̄ P , t ). Le equazioni parametriche di


tale curva sono: ½
x = x̄
t ∈ [min{ ȳ P , ȳQ }, max{ ȳ P , ȳQ }].
y =t
Al variare del parametro γ(t ) è un punto di R2 che si muove sul segmento congiungente P e
Q, dal basso verso l’alto.
γ è una curva semplice e regolare, il suo sostegno è il segmento PQ.
Supponiamo che P = (x̄ P , ȳ P ) e Q = (x̄Q , ȳQ ) di R2 siano sulla retta di equazione y = mx + q.
Si consideri γ : [min{x̄ P , x̄Q }, max{x̄ P , x̄Q }] → R2 , γ(t ) = (t , mt + q).
Le equazioni parametriche di tale curva sono:
½
x=t
t ∈ [min{x̄ P , x̄Q }, max{x̄ P , x̄Q }].
y = mt + q
Al variare del parametro γ(t ) è un punto di R2 che si muove sul segmento congiungente P e
Q, da sinistra verso destra.
γ è una curva semplice e regolare, il suo sostegno è il segmento PQ.

Esempio 11.1.12 (Circonferenza).


Siano (x 0 , y 0 ) ∈ R2 e r > 0.
La circonferenza di centro (x 0 , y 0 ) e raggio r è l’insieme
(x − x 0 )2 (y − y 0 )2
C = {(x, y) : (x − x 0 )2 + (y − y 0 )2 = r 2 } = {(x, y) : + = 1}.
r2 r2
C è il sostegno della curva γ : [0, 2π] → R2 , γ(t ) = (x 0 + r cos(t ), y 0 + r sin(t )).
Le equazioni parametriche di γ sono:
½
x = x 0 + r cos(t )
t ∈ [0, 2π].
y = y 0 + r sin(t )
Al variare del parametro nell’intervallo [0, 2π], dal valore 0 al valore 2π, γ(t ) è un punto di R2
che si muove sulla circonferenza C in senso antiorario, percorrendola una volta.
γ è una curva piana, semplice, chiusa, regolare.
C è anche il sostegno della curva ϕ : [0, 4π] → R2 , ϕ(t ) = (x 0 + r cos(t ), y 0 + r sin(t )).
Le equazioni parametriche di ϕ sono:
½
x = x 0 + r cos(t )
t ∈ [0, 4π].
y = y 0 + r sin(t )
Al variare del parametro nell’intervallo [0, 4π], dal valore 0 al valore 4π, ϕ(t ) è un punto di R2
che si muove sulla circonferenza C in senso antiorario, percorrendola due volte.
Tale curva è piana, chiusa, regolare, ma ovviamente non è semplice.
192 11. INTEGRALI CURVILINEI

Esempio 11.1.13 (Ellisse).


Siano (x 0 , y 0 ) ∈ R2 e a, b > 0.
La ellisse di centro (x 0 , y 0 ) e semiassi a e b è l’insieme
(x − x 0 )2 (y − y 0 )2
E = {(x, y) : + = 1}.
a2 b2
E è il sostegno della curva γ : [0, 2π] → R2 , γ(t ) = (x 0 + a cos(t ), y 0 + b sin(t )).
Le equazioni parametriche di γ sono:
½
x = x 0 + a cos(t )
t ∈ [0, 2π]
y = y 0 + b sin(t )

Al variare del parametro nell’intervallo [0, 2π], dal valore 0 al valore 2π, γ(t ) è un punto di R2
che si muove sulla circonferenza E in senso antiorario, percorrendola una volta.
γ è una curva piana, semplice, chiusa, regolare.

Osservazione 11.1.14. Si noti che nella parametrizzazione della ellisse di centro (x 0 , y 0 ) il-
lustrata nell’Esempio 11.1.13, il parametro non è la misura dell’angolo formato dalla retta
orizzontale y = y 0 e la semiretta di origine (x 0 , y 0 ) passante per γ(t ), eccetto il caso t = k π2
con k ∈ Z.
Ad esempio, si consideri l’ellisse centrata nell’origine
x2 y 2
+ = 1, a, b > 0, a 6= b.
a2 b2
Essa è parametrizzata da

γ : [0, 2π] → R2 , γ(t ) = (a cos t , b sin t ).

Chiamiamo P il punto di interesezione di tale con l’ellisse con la semiretta y = x, con x > 0
(semiretta che forma un angolo di π4 radianti con l’asse x verso positivo). P non è il punto
γ( π4 ). Infatti quest’ultimo ha ascissa diversa dall’ordinata:
π a π b a
a cos( ) = p , b cos( ) = p 6= p
4 2 4 2 2
e dunque non si trova sulla retta y = x.
Per determinare il valore di t tale che γ(t ) sia P , si deve risolvere il sistema



 x = a cos t

 y = b sin t



 y =x
t ∈ ¤0, π £


2
11.1. CURVE 193

da cui
a
t = arctan .
b

Esempio 11.1.15 (Strofoide).


Lo strofoide è il sostegno di γ : R → R2 , γ(t ) = (t 3 − t , t 2 − 1). L’immagine γ(I ) si chiama
sostegno della curva e si denota γ∗ .
γ è una curva piana, regolare. Non è semplice (si lascia al lettore la verifica).

Esempio 11.1.16 (Elica cilindrica).


L’elica cilindrica è il sostegno della curva γ : R → R3 , γ(t ) = (r cos(t ), r sin(t ), bt ), con r, b > 0.

E ci l := γ∗ = {(r cos(t ), r sin(t ), bt ) : t ∈ R} ⊆ {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1}.


Si noti che
{(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1}
è un cilindro circolare retto, avente per asse l’asse z,
La proiezione di γ∗ sul piano Ox y è una circonferenza centrata in O e di raggio r .
Al variare del parametro t in R, γ(t ) è un punto di R3 : la sua proiezione sul piano Ox y per-
corre la circonferenza centrata in O e di raggio r in senso antiorario. La proiezione di γ(t )
sull’asse z percorre l’asse dal basso verso l’alto. Il passo dell’elica è 2πb.

Definizione 11.1.17 (Vettore tangente a una curva).


Data una curva γ : I → Rn di classe C 1 , si chiama vettore tangente alla curva in γ(t ) il vettore
γ0 (t ). Se γ0 (t ) 6= 0, si chiama versore tangente alla curva in γ(t ) il versore
γ0 (t )
T (γ(t )) := .
|γ0 (t )|

Osservazione 11.1.18.
La condizione di regolarità di una curva γ : I → Rn , garantisce l’esistenza di un versore
tangente in γ(t ), per ogni t ∈ int I .
194 11. INTEGRALI CURVILINEI

Definizione 11.1.19 (Retta tangente a una curva).


Data una curva γ : I → Rn di classe C 1 , si chiama retta tangente alla curva in γ(t 0 ) (con t 0 ∈ I )
la retta di Rn di equazioni parametriche

 x 1 = γ1 (t 0 ) + (t − t 0 )γ1 (t )
0


..
. t ∈ I.

x n = γn (t 0 ) + (t − t 0 )γn (t )
0

Definizione 11.1.20 (Cambiamento ammissibile di parametro).


Siano I e J intervalli in R con interni non nulli. Si chiama cambiamento ammissibile di
parametro una funzione g : I → J biunivoca, di classe C 1 tale che g 0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ I .

Osservazione 11.1.21.
La richiesta g : I → J biunivoca e classe C 1 tale che g 0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ I è equivalente a
richiedere
g 0 (t ) > 0 ∀t ∈ I , oppure g 0 (t ) < 0 ∀t ∈ I .

Definizione 11.1.22 (Curve equivalenti).


Date due curve γ : I → Rn , e ϕ : J → Rn , diciamo che esse sono equivalenti se
∃ g : I → J cambiamento ammissibile di parametro : γ(t ) = (ϕ ◦ g )(t ) ∀t ∈ I .
In tal caso scriviamo γ ∼ ϕ.

Proposizione 11.1.23.
La relazione ∼ descritta nella Definizione 11.1.22 è una relazione di equivalenza.

Si lascia la dimostrazione per esercizio.

Definizione 11.1.24 (Classe di curve equivalenti).


Data una curva γ : I → Rn , denotiamo [γ] la classe di equivalenza della curva γ rispetto alla
relazione ∼.

Proposizione 11.1.25. Siano γ : I → Rn e ϕ : J → Rn due curve.


Se esse sono equivalenti, allora γ è semplice se e solo se ϕ è semplice.

Si lascia la dimostrazione per esercizio.


11.1. CURVE 195

Proposizione 11.1.26. Siano γ : I → Rn e ϕ : J → Rn due curve equivalenti.


Allora valgono le seguenti:
(i) γ∗ = ϕ∗ .
(ii) γ è C 1 /regolare se e solo se ϕ è C 1 /regolare.

Si lascia la dimostrazione per esercizio.

Osservazione 11.1.27. Non vale il viceversa della Proposizione 11.1.26 (i). Due curve posso-
no avere lo stesso sostegno, senza essere equivalenti. Ad esempio, γ e ϕ nell’Esempio 11.1.12
hanno lo stesso sostegno, ma non sono equivalenti.

Definizione 11.1.28 (Curve equivalenti equiorientate).


Date due curve γ : I → Rn , e ϕ : J → Rn , diciamo che esse sono equivalenti ed equiorientate
se
½ 0
g (t ) > 0 ∀t ∈ I
∃ g : I → J cambiamento ammissibile di parametro :
γ(t ) = (ϕ ◦ g )(t ) ∀t ∈ I .
In tal caso scriviamo γ ∼◦ ϕ.

Definizione 11.1.29.
Sia γ : I → Rn una curva. Sia
−I = {−t : t ∈ I }
n
Denotiamo γ : −I → R la curva di legge

γ− (t ) := γ(−t ).

Osservazione 11.1.30.
A volte si scrive −γ anziché γ− .

Proposizione 11.1.31.
Siano γ e γ− le curve della Definizione 11.1.29. Si ha che γ ∼ γ− , ma γ 6∼◦ γ− .

Proposizione 11.1.32.
Sia γ : I → Rn una curva semplice, con int I 6= ;. Allora
[γ] = {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ} ∪ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ− }
e gli insiemi a secondo membro sono disgiunti.
Inoltre,
196 11. INTEGRALI CURVILINEI

(i) γ ∈ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ}
(ii) γ− ∈ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ− }.

D IMOSTRAZIONE . Supponiamo che esista ϕ : J → Rn tale che ϕ ∼◦ γ e ϕ ∼◦ γ− . Allora


esistono due cambiamenti ammissibili di parametro g , g̃ : J → I tali che
γ(g (s)) = φ(s) = γ(g̃ (s)) ∀s ∈ J
e
g 0 (s) > 0, g̃ 0 (s) < 0 ∀s ∈ J . (11.1.1)
Essendo γ : I → Rn una curva semplice, deduciamo che g (s) = g̃ (s) per ogni s ∈ int J . Da qui
deduciamo che g 0 (s) = g̃ 0 (s) per ogni s ∈ int J , in contraddizione con quanto affermato in
(11.1.1). 

11.2. Lunghezza di una curva

Definizione 11.2.1 (Poligonale associata a una curva).


Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva. Sia σ ∈ Ωa,b una scomposizione di
[a, b] (v. AM1B), ossia
σ = {t 0 , t 1 , · · · , t h } con a = t 0 < t 1 < · · · < t h = b.
La poligonale associata alla curva γ e alla scomposizione σ è
h
P (γ, σ) := [γ(t i −1 ), γ(t i )].
[
i =1
e la lunghezza della poligonale è:
h
`(P (γ, σ)) := |γ(t i ) − γ(t i −1 )|.
X
i =1

Definizione 11.2.2 (Lunghezza di una curva).


Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva.
Si definisce lunghezza della curva γ la quantità:
L(γ) := sup{`(P (γ, σ)) : σ ∈ Ωa,b }.
Se L(γ) è finita, allora la curva si dice rettificabile.

Esempio 11.2.3 (Esempio di curva non rettificabile).


Può essere `(γ) = +∞. Si consideri infatti γ : [0, 1] → R2 , γ(t ) = (t , f (t )) con f : [0, 1] → R la
funzione continua ½ π
x sin 2x se x ∈]0, 1]
f (t ) =
0 se x = 0.
11.2. LUNGHEZZA DI UNA CURVA 197

Consideriamo la scomposizione
1
σn = {0, 1} ∪ { : i ∈ {0, 1, · · · , n − 1}}.
2i + 1
1
Essendo = 2i1−1 , si ha
2(i −1)+1
n−1
¯ ¯ n−1 ¯µ µ ¶¶ µ µ ¶¶¯
1 1 1 1 1 1
`(P (γ, σ)) ≥ ¯γ( 2i + 1 ) − γ( 2i − 1 )¯ =
X¯ ¯ X¯ ¯
¯ 2i + 1 , f 2i + 1 − 2i − 1 , f 2i − 1 ¯
¯ ¯ ¯ ¯
i =1 i =1
n−1
X
µ
1
µ
1
¶¶ µ
1
µ
1
¶¶
= | ,f − ,f |
i =1 2i + 1 2i + 1 2i − 1 2i − 1
n−1
X
µ
−2 1 (2i + 1)π 1 (2i − 1)π

= 2
, sin − sin
i =1 4i − 1 2i + 1 2 2i − 1 2
n−1 ¡π ¡ π
µ ¶
−2 1 1
sin + i π − sin − + i π
X ¢ ¢
= 2
,
i =1 4i − 1 2i + 1 2 2i − 1 2
n−1 µ
−2 1 1

cos(i π) − (− cos(i π)
X
= 2
,
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 µ
−2
µ
1 1
¶ ¶
cos(i π)
X
= 2
, +
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 µ
−2
µ
1 1
¶ ¶
i
X
= 2
, + (−1)
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 −2 4i (−1)i
µ ¶
X
= 2
, 2
i =1 4i − 1 4i − 1
n−1
X 1 p n−1
X 1 p n−1
X1
= 4 + 16i 2> 16i 2= .
2 2
i =1 4i − 1 i =1 4i i =1 i

Mandando i → +∞, si ottiene la tesi, per via del teorema del confronto e del fatto che la serie
armonica è divergente.

Teorema 11.2.4 (Teorema di rettificabilità).


Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva.
Se γ ∈ C 1 allora γ è rettificabile.
In tal caso,
 b
L(γ) = |γ0 (t )| d t .
a

D IMOSTRAZIONE .
≤:
198 11. INTEGRALI CURVILINEI

Sia σ ∈ Ωa,b una scomposizione di [a, b] (v. AM1B), ossia


σ = {t 0 , t 1 , · · · , t h } con a = t 0 < t 1 < · · · < t h = b.
La poligonale associata alla curva γ e alla scomposizione σ è
h
P (γ, σ) := [γ(t i −1 ), γ(t i )]
[
i =1
e la lunghezza della poligonale è:
h
`(P (γ, σ)) := |γ(t i ) − γ(t i −1 )|.
X
i =1
Per il Teorema di Torricelli (o formula fondamentale del calcolo integrale)
h
¯
h ¯ ti
¯ h  ti
0
`(P (γ, σ)) := |γ(t i ) − γ(t i −1 )| = γ (t ) d t ¯¯ ≤ |γ0 (t )| d t
X X ¯ X
¯
¯
i =1 i =1 t i −1 i =1 t i −1
 b
= |γ0 (t )| d t .
a
Quindi
 b
`(P (γ, σ)) ≤ |γ0 (t )| d t < +∞. (11.2.1)
a
Ne segue che
 b
L(γ) ≤ |γ0 (t )| d t < +∞.
a
Ciò prova anche la rettificabilità di γ.
Per concludere, occorre dimostrare che vale anche
 b
L(γ) ≥ |γ0 (t )| d t .
a
Essendo γ ∈ C la funzione γ : [a, b] → R è continua e quindi, per il Teorema di Heine-Cantor,
1 0

anche uniformemente continua. Pertanto, per ogni ² > 0 esiste δ > 0 tale che
∀t , s ∈ [a, b] (|t − s| < δ ⇒ |γ0 (t ) − γ0 (s)| < ²). (11.2.2)
Consideriamo una scomposizione di [a, b]
σ = {t 0 , t 1 , · · · , t h } con a = t 0 < t 1 < · · · < t h = b.
tale che
max{|t i − t i −1 | : i ∈ {1, · · · , h}} < δ.
Sia P la poligonale ad essa associata. Per ogni s ∈ [t i −1 , t i ]
 ti  ti
0
γ(t i ) − γ(t i −1 ) = γ (t ) d t = (γ0 (t ) − γ0 (s)) d t + γ0 (s)(t i − t i −1 ).
t i −1 t i −1
11.2. LUNGHEZZA DI UNA CURVA 199

Allora
¯ t i ¯
0 0 0
(γ (t ) − γ (s)) d t ¯¯ + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
¯ ¯
|γ (s)|(t i − t i −1 ) ≤ ¯
¯
t i −1
 ti
¯ 0
¯γ (t ) − γ0 (s)¯ d t + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
¯

t i −1
(11.2.2)
≤ ²(t i − t i −1 ) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
e, dividendo per la quantità positiva t i − t i −1 , otteniamo
|γ(t i ) − γ(t i −1 )|
|γ0 (s)| ≤ ² + .
t i − t i −1
Integrando rispetto a s in [t i −1 , t i ] si ha
 ti
|γ0 (s)| d s ≤ ²(t i − t i −1 ) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|.
t i −1
Sommando su i otteniamo:
 b h (11.2.1)
|γ0 (s)| d s ≤ ²(b − a) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )| = ²(b − a) + `(P (γ, σ)) ≤ ²(b − a) + L(γ).
X
a i =1
Mandando ² a 0 otteniamo:  b
|γ0 (s)| d s ≤ L(γ).
a


Definizione 11.2.5 (Lunghezza di γ∗ ). Sia γ : [a, b] → Rn una curva rettificabile e semplice.


Allora L(γ) la chiamiamo anche lunghezza di γ∗ .

Definizione 11.2.6 (Somma di curve).


Siano γ : [a, b] → Rn e ϕ : [α, β] → Rn curve, con γ(b) = ϕ(α).
Si chiama somma di γ e ϕ la curva γ + ϕ : [a, b + β − α] → Rn ,
γ(t )
½
se t ∈ [a, b]
γ + ϕ(t ) :=
ϕ(α + t − b) se t ∈ [b, b + β − α].

Definizione 11.2.7 (Curve C 1 o regolari a tratti).


Sia γ : [a, b] → Rn . Diciamo che γ è C 1 (regolare) a tratti se
γ = γ1 + γ2 + · · · + γh ,
con, per ogni i ∈ {1, · · · , h}, γi : [a i , b i ] → Rn curva C 1 (regolare).
200 11. INTEGRALI CURVILINEI

Definizione 11.2.8 (Lunghezza di una curva C 1 a tratti).


Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva C 1 (regolare) a tratti,
γ = γ1 + γ2 + · · · + γh .
Si definisce lunghezza della curva γ la quantità:
h
X
L(γ) := L(γi ).
i =1

Proposizione 11.2.9.
Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva C 1 (regolare) a tratti,
Allora γ è rettificabile.

11.3. Due classi speciali di curve piane

È facile trovare una parametrizzazione del grafico di una funzione continua di una variabile
reale.

Proposizione 11.3.1 (Curve semplici aventi per sostegno grafici di funzioni di una variabile
reale).
Siano I intervallo reale, int(I ) 6= 0, e f : I → Rm una funzione continua.
Si consideri la funzione γ : I → Rm , γ(t ) = (t , f (t )).
Valgono le seguenti proprietà:
(i) γ∗ = Gr f
(ii) γ : I → Rm è una curva semplice
(iii) γ : I → Rm è una curva regolare se e solo se f ∈ C 1 (I )
(iv) se I = [a, b]
 bq
L(γ) = 1 + ( f 0 (t ))2 d t .
a

D IMOSTRAZIONE .
Un facile esercizio. 

Definizione 11.3.2 (Equazione polare).


Siano I intervallo reale, int(I ) 6= ;, e r : I → [0, ∞[ una funzione continua.
Si consideri la funzione γ : I → R2 , γ(t ) = (r (t ) cos(t ), r (t ) sin(t )).
Tale funzione è una curva che è univocamente definita dalla equazione
r = r (t ) t ∈ I .
Essa si dice equazione polare della curva.
11.4. INTEGRALI CURVILINEI DI I SPECIE 201

Osservazione 11.3.3.
I significati di t ∈ I e di r (t ) presenti nella Definizione 11.3.2 sono i seguenti.
Dato che
r (t ) = |(r (t ) cos(t ), r (t ) cos(t ))| = |γ(t )|,
allora r (t ) è la distanza del punto γ(t ) dall’origine degli assi.
Inoltre, dalla definizione di γ(t ) deduciamo che, se r (t ) > 0, ossia |γ(t )| > 0,
γ(t )
= (cos(t ), sin(t )),
|γ(t )|
ossia t è la misura (in radianti) dell’angolo formato dal semiasse delle x positive e il vettore
γ(t ).

Proposizione 11.3.4 (Curve espresse in forma polare).


Siano I intervallo reale, int(I ) 6= 0, e r : I → [0, ∞[ una funzione continua.
Sia γ la curva di equazione polare
r = r (t ) t ∈ I .
Valgono le seguenti proprietà:
(i) sul piano Ox y, γ(t ) è un punto del piano che dista r (t ) dall’origine degli assi e che, al
crescere di t in I , percorre γ∗ in senso antiorario
(ii) γ : I → R2 è una curva
(iii) γ : I → R2 è una curva regolare se e solo se (r ∈ C 1 (I ) e (r (t ), r 0 (t )) 6= (0, 0) per ogni
t ∈ int(I ) 6= 0)
(iv) |γ(t )| = r (t ) per ogni t ∈ I
(v) se I = [a, b]
 bp
L(γ) = r 2 (t ) + r 02 (t ) d t .
a

D IMOSTRAZIONE .
Un facile esercizio. 

11.4. Integrali curvilinei di I specie

Definizione 11.4.1 (Integrale curvilineo).


Siano A ⊆ Rn un aperto e f : A → R una funzione continua.
Sia γ : [a, b] → Rn , una curva di classe C 1 , tale che γ∗ ⊆ A.
Definiamo integrale curvilineo di f su γ il numero
  b
f (x) d s := f (γ(t ))|γ0 (t )| d t .
γ a
202 11. INTEGRALI CURVILINEI

Osservazione 11.4.2.

L(γ) = γ 1 d s.

Definizione 11.4.3 (Integrale curvilineo su una curva C 1 a tratti).


Siano A ⊆ Rn un aperto e f : A → R una funzione continua.
Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva C 1 a tratti,

γ = γ1 + γ2 + · · · + γh ,

con γ∗ ⊆ A.
Definiamo integrale curvilineo di f su γ il numero
 h

X
f (x) d s := f (x) d s.
γ i =1 γi

Teorema 11.4.4.
Siano A ⊆ Rn un aperto e f : A → R una funzione continua.
Siano γ : [a, b] → Rn e ϕ : [a 0 , b 0 ] → Rn due curve, tali che γ ∼ ϕ, con γ∗ ⊆ A.
Allora  
f (x) d s = f (x) d s.
γ ϕ

D IMOSTRAZIONE .
Dato che γ ∼ ϕ, allora esiste un cambiamento ammissibile di parametro se

∃ g : [a, b] → [a 0 , b 0 ] cambiamento ammissibile di parametro : γ(t ) = (ϕ ◦ g )(t ) ∀t ∈ [a, b].

Per il Teorema per sostituzione


  b  b
0
f (x) d s = f (γ(t ))|γ (t )| d t = ( f ◦ ϕ)(g (t ))|(ϕ ◦ g )0 (t )| d t
γ a a
 b
= ( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ0 (g (t ))||g 0 (t )| d t . (11.4.1)
a

In virtù dell’Osservazione 11.1.21 distinguiamo due casi:


I caso: g 0 (t ) > 0 per ogni t ∈ [a, b]
Si ha
 b  b
0 0
( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ (g (t ))||g (t )| d t = ( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ0 (g (t ))|g 0 (t ) d t .
a a
11.4. INTEGRALI CURVILINEI DI I SPECIE 203

Utilizzando il Teorema di integrazione per sostituzione degli integrali definiti (I versione)


studiato in AM1B deduciamo
 b  b0 
0 0 0
( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ (g (t ))|g (t ) d t = ( f ◦ ϕ)(τ)|ϕ (τ)| d τ = f (x) d s.
a a0 ϕ

Da questa uguaglianza e da (11.4.1), otteniamo la tesi.


II caso: g 0 (t ) < 0 per ogni t ∈ [a, b].
Si ha  
b b
( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ0 (g (t ))||g 0 (t )| d t = − ( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ0 (g (t ))|g 0 (t ) d t .
a a
Essendo g : [a, b] → [a 0 , b 0 ] un cambiamento ammissibile di parametro ed essendo g stretta-
mente decrescente, si ha g (a) = b 0 e g (b) = a 0 . Dunque, Utilizzando il Teorema di integrazio-
ne per sostituzione degli integrali definiti (I versione) studiato in AM1B deduciamo
 b  a0  b0
0 0 0
− ( f ◦ ϕ)(g (t ))|ϕ (g (t ))|g (t ) d t = − ( f ◦ ϕ)(τ)|ϕ (τ)| d τ = ( f ◦ ϕ)(τ)|ϕ0 (τ)| d τ
a b0 a0

= f (x) d s.
ϕ

Da questa uguaglianza e da (11.4.1), otteniamo la tesi. 

Proposizione 11.4.5 (Proprietà dell’integrale curvilineo).


Siano f , g : A → R continue e γ : [a, b] → Rn una curva di classe C 1 a tratti, con γ∗ ⊆ A. Allora
valgono le seguenti:
  
(a) (f + g)ds = f ds + g ds
γ  γ γ

(b) c f d s = c f d s con c ∈ R
γ γ  
(c) se f ≤ g , allora f ds ≤ g ds
¯ ¯  γ γ
¯ ¯
(d) ¯ f d s ¯ ≤ | f | d s
¯ ¯
¯ γ ¯ γ

Definizione 11.4.6. Sia γ : [a, b] → Rn una curva di classe C 1 a tratti.


Si chiama baricentro di γ il punto x̄ = (x̄ 1 , · · · , x̄ n ) ∈ Rn così definito:

1
x̄ i := xi d s i ∈ {1, · · · , n}.
L(γ) γ
204 11. INTEGRALI CURVILINEI

Teorema 11.4.7 (Teorema di Guldino per le aree di superfici di rivoluzione).


Sia γ : [a, b] → Rn una curva di classe C 1 a tratti e semplice, tale che
γ∗ ⊆ {(x, y) : x ≥ 0}.
Si faccia ruotare di un angolo α radianti tale sostegno attorno all’asse y.
L’area della superficie di rivoluzione così ottenuta è pari al prodotto della lunghezza di γ con la
lunghezza dell’arco di circonferenza descritto dal baricentro durante la rotazione. In formule:

Area della superficie = α x d s.
γ

Osservazione 11.4.8.
Giustifichiamo la formula del Teorema 11.4.7. L’arco di circonferenza descritto dal baricen-
tro durante la rotazione ha per raggio l’ascissa del baricentro di γ. Dunque il prodotto della
lunghezza di γ con la lunghezza dell’arco di circonferenza descritto dal baricentro durante
la rotazione vale  
1
L(γ)α x d s = α x d s.
L(γ) γ γ

11.5. Esercizi

Esercizio 11.5.1 (T). Sia γ∗ la circonferenza di R2 di centro l’origine e raggio R > 0, orientata
in senso antiorario. Determinarne una parametrizzazione regolare e semplice e calcolare

(2x + y) d s.
γ

RISPOSTA:

γ (2x + y) d s = 0.

Esercizio 11.5.2 (T). Sia γ∗ il triangolo del piano di vertici (0, 0), (1, 0), (0, 1) percorso in senso
antiorario. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e regolare a tratti. Calcolare

(x 2 + y 2 ) d s.
γ


RISPOSTA:
2 p
(x 2 + y 2 ) d s = ( 2 + 1).
γ 3

Esercizio 11.5.3 (T). Sia γ∗ l’arco di elica cilindrica in figura 1. Sia γ una sua parametrizza-
zione semplice e regolare. Calcolare

(x 2 + y 2 − z) d s.
γ
11.5. ESERCIZI 205

Figura 1. Elica cilindrica es. 11.5.3


RISPOSTA:

π2
p µ ¶
2 2 2
(x + y − z) d s = r + 1 πr −
2 .
γ 2

Esercizio 11.5.4 (T). Sia γ : [1, 2] → R2 , γ(t ) = (t , log t ). Calcolare



y
p d s.
γ 1 + x2

RISPOSTA:

y log2 (2)
p ds = .
γ 1 + x2 2

Esercizio 11.5.5 (T). Sia γ∗ l’arco di parabola di equazione y = x 2 per x ∈ [−1, 1]. Determi-
narne una parametrizzazione γ regolare e semplice e calcolare

x y d s.
γ


RISPOSTA:
x y d s = 0.
γ

Esercizio 11.5.6 (T). Sia γ∗ come in figura 2. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e
regolare a tratti. Calcolare

x 2 d s.
γ
206 11. INTEGRALI CURVILINEI

Figura 2. Curva es. 11.5.6



RISPOSTA:
20 3
x2 d s = + π.
γ 3 2

Esercizio 11.5.7 (T). Sia γ∗ come in figura 3. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e
regolare a tratti. Calcolare 
(x − y) d s.
γ

Figura 3. Curva es. 11.5.7


RISPOSTA:
 p p
5 17
(x − y) d s = + .
γ 4 2
11.5. ESERCIZI 207

Esercizio 11.5.8 (T). Sia γ la curva di equazioni parametriche

x(t ) = t 2
½
t ∈ [1, 2].
y(t ) = t 3

Stabilire se è una curva regolare e calcolare la sua lunghezza.

RISPOSTA:
403/2 − 133/2
γ è regolare e la sua lunghezza è .
27

Esercizio 11.5.9 (da file integrazione-I). Si consideri la curva γ parametrizzata da

x(t ) = t 2 , y(t ) = t 3

con 1 ≤ t ≤ 2.
(a) Stabilire se γ è regolare.
(b) Calcolare la lunghezza di γ.
(c) Calcolare l’ascissa del baricentro di γ.
2 p 1
¤2
(4 + 9t 2 )3/2 1 = ...]
£
[Sol.: (b) 1 t 4 + 9t 2 d t = 27

Esercizio 11.5.10 (da file integrazione-I). Calcolare la lunghezza della curva di equazione
polare
ρ(θ) = θ 2 , θ ∈ [0, π/2].

[Sol.: Usare la formula


 π/2 q
L(γ) = ρ 2 (θ) + ρ 02 (θ) d θ,
0
³ 2
´
1
3 ( π4 + 4)3/2 − 8 .]

Esercizio 11.5.11 (da file integrazione-I). Sia γ : [0, 1] → R3 la curva di equazioni parametri-
che 
 x(t ) = arctan t ,

y(t ) = cos t ,

 z(t ) = sin t .

d
Dire se la curva è regolare, calcolare kγ0 (t )k e dt (f (γ(t )) dove f (x, y, z) = x 2 + y z.
208 11. INTEGRALI CURVILINEI

Esercizio 11.5.12 (da prova scritta AM2: 13-1-2020). Sia K = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 ≤ z ≤ 4}.
Determinare una curva γ regolare e semplice tale che
γ∗ = ∂K ∩ {(x, y, z) ∈ R3 : x = 0, y 2 = z}

e calcolare y d s.
γ

Soluzione dell’Esercizio 11.5.12:

γ : [−2, 2] → R3 , γ(t ) = (0, t , t 2 ). Dalla seconda componente si deduce che γ è iniettiva e


quindi semplice.
Si ha γ ∈ C 1 ([−2, 2]) e γ0 (t ) = (0, 1, 2t ) è sempre non nullo. Quindi γ è regolare. Risulta
  2  2 p
0
y ds = t |γ (t )| d t = t 1 + 4t 2 d t
γ −2 −2
 2
1 12£ ¤2
= 8t (1 + 4t 2 )1/2 d t = (1 + 4t 2 )3/2 −2 = 0.
8 −2 83

Esercizio 11.5.13 (da prova scritta AM2: 15-2-2021). Sia γ∗ il luogo dei punti del piano y = z
2
in R3 la cui proiezione sul piano z = 0 è l’ellisse di Ox y di equazione x2 + y 2 = 1. Determinare
una curva γ regolare e semplice avente γ∗ come sostegno e calcolare
 q
|x| x 2 + y 2 + z 2 d s .
γ

Sol. Esercizio 11.5.13


γ : [0, 2π] → R3 ,
p
γ(t ) = ( 2 cos t , sin t , sin t ).
Essa è di classe C 1 e semplice (la funzione t 7→ (cos t , sin t ) è iniettiva in [0, 2π[ e in ]0, 2π]) e
p p p
γ0 (t ) = (− 2 sin t , cos t , cos t ) ⇒ |γ0 (t )| = 2 sin2 t + 2 cos2 t = 2 > 0
dunque γ è regolare.
11.5. ESERCIZI 209

Si ha
  2π p  2π
q p p p
2 2 2 2 2
|x| x + y + z d s = 2| cos t | 2 cos2 t + sin t + sin t 2 d t = 2 2| cos t | d t
γ 0 0
 π/2
p p p
=4 2 cos t d t = 4 2 [sin t ]π/2
−π/2 = 8 2.
−π/2


Esercizio 11.5.14 (I 2010-01-18CIV-AMB). Calcolare l’integrale curvilineo ∂A y d s , dove
A = {(x, y) ∈ R2 : −1 ≤ x ≤ −y 2 }.
CAPITOLO 12

Forme differenziali e campi vettoriali

DI QUESTO CAPITOLO A LEZIONE SI E’ DATA SOLO: LA DEFINIZIONE DI CAMPO VET-


TORIALE, DI LAVORO DEL CAMPO VETTORIALE LUNGO UNA CURVA, E SPIEGATO CHE
ESSO DIPENDE DALL’ORIENTAZIONE DELLA CURVA

12.1. Definizioni

Ricordiamo che la base canonica di (Rn )∗ = L(Rn , R) è data dalle n applicazioni lineari

d x i : Rn → R, d x i (v) = v i ∀v = (v 1 , · · · , v n ) ∈ Rn ,

con i ∈ {1, · · · , n}.

Definizione 12.1.1 (Forma differenziale lineare).


Sia A ⊆ Rn . Si chiama forma differenziale lineare o 1-forma su A, una funzione ω : A → (Rn )∗ ,
ossia esistono a i : A → R, i ∈ {1, · · · , n}, tali che
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1

Le funzioni a i : A → R si dicono coefficienti di ω.


La forma differenziale si dice continua/di classe C 1 se i coefficienti sono continui/di classe
C 1.

Definizione 12.1.2 (Campo vettoriale).


Sia A ⊆ Rn un aperto. Si chiama campo vettoriale su A, una funzione F : A → Rn , F (x) =
(a 1 (x), · · · , a n (x)).
Il campo vettoriale si dice continuo/di classe C 1 se le componenti di F sono continue/di
classe C 1 .

È evidente che c’è la possibilità di identificare le forme differenziali lineari e i campi vetto-
riali: I coefficienti della forma differenziale sono le componenti del campo vettoriale ad essa
associato, e viceversa.

211
212 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

Definizione 12.1.3.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare a tratti, γ∗ ⊆ A. Sia ω : A → (Rn )∗ ,
una forma differenziale lineare continua su A.
Si chiama integrale di ω su γ
 
ω := ω(x)(T (x)) d s,
γ γ

dove T (x) denota il versore tangente a γ in x.


Più esplicitamente, se
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A,
i =1
  bX
n
ω := a i (γ(t ))γ0i (t ) d t .
γ a i =1

Osservazione 12.1.4.
Giustifichiamo la formula finale della Definizione 12.1.3. Si ha
   b n
¡ γ0i (t ) ¢ 0
ω := ω(x)(T (x)) d s =
X
a i (γ(t ))d x i |γ (t )| d t
γ γ a i =1 |γ0 (t )|
 b n  b n
γ0i (t ) 0
a i (γ(t ))γ0i (t ) d t .
X X
= a i (γ(t )) 0 |γ (t )| d t =
a i =1 |γ (t )| a i =1

Definizione 12.1.5.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare a tratti, γ∗ ⊆ A. Sia F : A → Rn , un
campo vettoriale continuo su A.
Si chiama lavoro del campo F su γ il seguente integrale:

L(F, γ) := 〈F (x), T (x)〉 d s,
γ

dove T (x) denota il versore tangente a γ in x.


Più esplicitamente, se
F (x) = (a 1 (x), · · · , a n (x)) ∀x ∈ A,
allora
 b
L(F, γ) := 〈F (γ(t )), γ0 (t )〉 d t .
a
12.1. DEFINIZIONI 213

È evidente che se i coefficienti della forma differenziale continua ω sono le componenti del
campo F , allora

ω = L(F, γ).
γ

Definizione 12.1.6.
Date due forme differenziali ω, ω̃ : A → (Rn )∗ , con A aperto di Rn ,
n n
ω(x) = ω̃(x) =
X X
a i (x) d x i , ã i (x) d x i ∀x ∈ A
i =1 i =1

si definisce ω + ω̃ : A → (Rn )∗ , nel seguente modo:


n
(ω + ω̃)(x) =
X
(a i (x) + ã i (x)) d x i ∀x ∈ A.
i =1

Se c ∈ R, si definisce c ω la forma differenziale

n
(c ω)(x) =
X
c a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1

Proposizione 12.1.7 (Proprietà dell’integrale di forme differenziali su curve).


Siano A un aperto di Rn , ω, ω0 : A → (Rn )∗ forme differenziali continue e siano γ : [a, b] → Rn e
ϕ : [α, β] → Rn curve regolari a tratti, con γ∗ , ϕ∗ ⊆ A. Allora valgono le seguenti:
(a) se γ : [a, b] → Rn è una curva regolare a tratti,

γ = γ1 + γ2 + · · · + γh ,

con γ∗ ⊆ A, allora
 h

ω := ω
X
γ i =1 γi
  
0
(b) ω + ω0
(ω + ω ) =
γ γ γ 

(c) se c ∈ R allora c ω = c ω
γ  γ
(d) se γ ∼◦ ϕ, allora ω = ω
  γ ϕ

(e) ω=− ω.
γ γ−
214 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

D IMOSTRAZIONE .
(a) segue dalla Definizione 11.4.3.
(b) e (c) seguono dalla Proposizione 11.4.5. La proprietà (d) segue dal Teorema 11.4.4 e dal
fatto che, se g è il cambiamento di parametro tale che γ = ϕ◦g , allora, per la equiorientazione
di γ e ϕ, g 0 (t ) > 0.
Per quel che riguarda (e), essa segue dal fatto che
n
γ−
[ − b, −a] → R , γ− (t ) = γ(−t )

da cui
(γ− )0 (t ) = −γ0 (−t ).
Quindi
  −a X
n
 aX
n

(τ=−t )
ω=− a i (γ(−t ))γ0i (−t ) d t = a i (γ(τ))γ0i (τ)d τ = − ω.
γ− −b i =1 b i =1 γ

Esempio 12.1.8.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Se f : A ⊆ R è differenziabile, allora il differenziale di f è una forma
differenziale lineare e il gradiente di f è il campo vettoriale ad esso associato.

Ci si può domandare se vale il viceversa: ogni forma differenziale è il differenziale di una


funzione? In generale no, si consideri ad esempio ω(x, y) = 1 d x+x d y. Se esistesse f : R2 → R
tale che ∇ f (x, y) = (1, x) dovrebbe essere f (x, y) = x+c(y) e anche f (x, y) = x y+k(x), e queste
sono in contraddizione.

Ciò giustifica la seguente definizione.

Definizione 12.1.9.
Sia A ⊆ Rn . Sia ω una forma differenziale su A. Diciamo che ω è esatta se esiste una funzione
f : A → R differenziabile tale che d f = ω.
Più esplicitamente, se
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A,
i =1
ω è esatta se esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f (x) = (a 1 (x), · · · , a n (x)).
Tale funzione f si dice primitiva di ω.

La definizione sopra ha come controparte, nell’ambiente dei campi vettoriali, la seguente


definizione.
12.2. CAMPI CONSERVATIVI/IRROTAZIONALI E FORME ESATTE/CHIUSE 215

12.2. Campi conservativi/irrotazionali e forme esatte/chiuse

QUESTA SEZIONE NON E’ STATA SVOLTA A LEZIONE

Definizione 12.2.1.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia F : A → Rn , un campo vettoriale continuo su A. Diciamo che F è
conservativo se esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f = F .
Tale funzione f si dice potenziale di F .

Teorema 12.2.2 (Teorema di integrazione delle forme esatte).


Sia A ⊆ Rn . Sia ω una forma differenziale continua su A. Sia ω esatta e sia f : A → R una
primitiva di ω.
Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare, γ∗ ⊆ A.
Allora 
ω = f (γ(b)) − f (γ(a)).
γ

D IMOSTRAZIONE .
Sia
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1
Si ha
  bX
n
ω := a i (γ(t ))γ0i (t ) d t
γ a i =1
 b n  b
d f =ω ∂f d ( f ◦ γ)
(γ(t ))γ0i (t ) d t = (t ) d t = f ◦ γ(b) − f ◦ γ(a).
X
=
a i =1 ∂x i a dt
Da qui la tesi.


Teorema 12.2.3 (Caratterizzazione delle forme differenziali esatte).


Sia A una aperto connesso di Rn . Sia ω una forma differenziale continua su A.
Sono equivalenti le seguenti:
(a) ω è esatta
(b) per ogni curva regolare a tratti e chiusa γ : [a, b] → Rn , γ∗ ⊆ A, si ha

ω = 0.
γ
216 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

(c) per ogni coppia di curve regolari a tratti γ1 : [a, b] → Rn e γ2 : [a 0 , b 0 ] → Rn tali che
γ∗1 , γ∗2 ⊆ A, con
γ1 (a) = γ2 (a 0 ), γ1 (b) = γ2 (b 0 ),
si ha  
ω= ω.
γ1 γ2

D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Segue immediatamente dal Teorema 12.2.2.
(b) ⇒ (c):
Si considerino le curve regolari a tratti γ1 : [a, b] → Rn e γ2 : [a 0 , b 0 ] → Rn tali che γ∗1 , γ∗2 ⊆ A,
con
γ1 (a) = γ2 (a 0 ), γ1 (b) = γ2 (b 0 ).
n
Consideriamo la curva γ− 2 : [−b , −a ] → R (si veda la Definizione 11.1.29) e si consideri la
0 0
n
curva regolare a tratti γ := γ1 + γ−
2 : [a, b + (−a + b )] → R (si veda la Definizione 11.2.6). Tale
0 0

curva è chiusa, in quanto


γ(a) = γ1 (a), γ(b + (−a 0 + b 0 )) = γ− 0 0
2 (−a ) = γ2 (a ) = γ1 (a) = γ(a).

Allora, per l’ipotesi (b),    


0= ω= ω= ω+ ω,
γ γ1 +γ−
2 γ1 γ−
2
da cui   
ω=− ω= ω.
γ1 γ−
2 γ2
(c) ⇒ (a):
Sia
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1
Fissiamo x 0 ∈ A. Essendo A un insieme aperto e connesso, allora è connesso per poligonali.
Per ogni x ∈ A esiste quindi γx : [a, b] → Rn curva regolare a tratti, tale che γ∗ ⊆ A è una
poligonale di primo estremo x 0 e secondo estremo x.
Essendo A aperto, esiste δ > 0 tale che B (x, δ) ⊆ A. Per ogni h ∈]−δ, δ[ e per ogni i ∈ {1, · · · , n}
il punto x + he i ∈ B (x, δ) ⊆ A. Consideriamo γx+he i : [a, b] → Rn e la curva che parametrizza
il segmento [x, x + he i ], ossia ϕ : [0, 1] → Rn , ϕ(t ) = x + t he i . Si ha ϕ0 (t ) = he i . Osserviamo
che γx + ϕ è una curva regolare a tratti, di primo estremo x 0 e secondo estremo x + he i .
Per l’ipotesi (c )
    
def. (c)
f (x + he i ) = ω= ω= ω + ω = f (x) + ω.
γx+he i γx +ϕ γx ϕ ϕ
12.2. CAMPI CONSERVATIVI/IRROTAZIONALI E FORME ESATTE/CHIUSE 217

Si ha
  1
f (x + he i ) − f (x) 1 1
= ω= 〈(a 1 (ϕ(t )), · · · , a n (ϕ(t )), he i 〉 d t
h h ϕ h 0
 1  1
1
= a i (x + t he i )h d t = a i (x + t he i ) d t
h 0 0
 h
(τ=t h) 1 F (h) − F (0)
= a i (x + τe i ) d τ = ,
h 0 h
h
con F (h) = 0 a i (x + τe i ) d τ. Allora, per il Teorema fondamentale del calcolo integrale, es-
sendo τ 7→ a i (x + τe i ) una funzione continua,
f (x + he i ) − f (x)
lim = a i (x)
h→0 h
∂f
per cui esiste ∂x i (x) ed esso vale a i (x). Dall’arbitrarietà di i abbiamo la tesi. 

Definizione 12.2.4.
Sia A ⊆ Rn . Sia ω una forma differenziale su A,
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1

Diciamo che ω è chiusa se è di classe C 1 e, per ogni x ∈ A,


∂a i ∂a j
∀i , j ∈ {1, · · · , n} (x) = (x).
∂x j ∂x i

La definizione sopra ha come controparte, nell’ambiente dei campi vettoriali, la seguente


definizione.

Definizione 12.2.5.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia F : A → Rn , F = (a 1 , · · · , a n ), un campo vettoriale C 1 . Diciamo che F
è irrotazionale se per ogni x ∈ A,
∂a i ∂a j
∀i , j ∈ {1, · · · , n} (x) = (x).
∂x j ∂x i

Definizione 12.2.6 (Rotore).


Siano A ⊆ R3 un aperto. e sia F : A → R3 , F = (a 1 , a 2 , a 3 ), un campo vettoriale C 1 .
Si chiama rotore di F il campo vettoriale rot F : A → R3 , anche indicato ∇ × F , così definito:
∂a 3 ∂a 2 ∂a 1 ∂a 3 ∂a 2 ∂a 1
µ ¶
rot F (x, y, z) = − , − , − .
∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y
218 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

Osservazione 12.2.7.
L’espressione del rotore di F è ottenibile come il determinante della matrice simbolica
 
e1 e2 e3
 ∂ ∂ ∂ 
rot F (x, y, z) = det  ∂x ∂y ∂z 
a1 a2 a3

sviluppato mediante il teorema di Laplace secondo la I riga. Nella prima riga della matrice
appaiono i vettori della base canonica di R3 .

Teorema 12.2.8.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia ω una forma differenziale su A.
Se ω è di classe C 1 ed è esatta, allora ω è chiusa.

D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che d f = ω, ossia, più esplicita-
mente, se
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A,
i =1

esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f (x) = (a 1 (x), · · · , a n (x)). Essendo per
ipotesi ω di classe C 1 , allora f ∈ C 2 (A). Quindi, per il Teorema di Schwarz (Teorema 5.6.4),
∂f ∂f
(x) = (x) ∀i , j ∈ {1, · · · , n},
∂x j ∂x i ∂x i ∂x j

che è equivalente a
∂a i ∂a j
(x) = (x) ∀i , j ∈ {1, · · · , n}.
∂x j ∂x i


In generale, il viceversa non è vero.

Esempio 12.2.9.
La forma differenziale ω : R2 \ {0} → (R2 )∗ ,
y x
ω(x, y) = − dx + dy
x2 + y 2 x2 + y 2

è di classe C 1 , è chiusa, ma non è esatta.


12.2. CAMPI CONSERVATIVI/IRROTAZIONALI E FORME ESATTE/CHIUSE 219

Che sia di classe C 1 , è ovvio, che sia chiusa è di facile verifica. Per dimostrare che ω è esatta,
usiamo il Teorema 12.2.3. Si consideri la curva chiusa γ : [0, 2π] → R2 , γ(t ) = (r cos t , r sin t )
con r > 0. Si ha
  2π  2π
¡ r sin t r cos t ¢
ω= 〈 − , , (−r sin t , r cos t )〉 d t = 1 d t = 2π 6= 0.
γ 0 r2 r2 0

Dunque, l’integrale di ω sulla curva chiusa γ non è nullo e quindi, ω non può essere esatta.

Ci si può domandare quale sia un’ipotesi sufficiente affinché una forma differenziale chiusa
sia esatta. Per trattare questa questione sono necessari dei preliminari. Il primo è un impor-
tante lemma di passaggio al limite sotto il segno di integrale e di derivazione sotto il segno
d’integrale.

Ora diamo la definizione di insieme semplicemente connesso, che facciamo anticipare dalla
definizione di curve omotope.

Definizione 12.2.10.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Due curve γ, ϕ : [a, b] → Rn , con γ∗ , ϕ∗ ⊆ A, si dicono omotope se esiste
una funzione Φ : [0, 1] × [a, b] → A continua con le seguenti proprietà:
(i) Φ(0, t ) = γ(t ) per ogni t ∈ [a, b],
(ii) Φ(1, t ) = ϕ(t ) per ogni t ∈ [a, b].
L’applicazione Φ è detta omotopia.

Osservazione 12.2.11.
Si noti che per ogni s ∈ [0, 1] la funzione [a, b] 3 t 7→ Φ(s, t ) è una curva.

Definizione 12.2.12.
Sia A ⊆ Rn un aperto connesso. A si dice semplicemente connesso se per ogni curva chiusa
γ : [a, b] → Rn , con γ∗ ⊆ A, esiste x 0 ∈ A ed esiste Φ : [0, 1] × [a, b] → A continua, con le
seguenti proprietà:
(i) Φ(0, t ) = γ(t ) per ogni t ∈ [a, b],
(ii) Φ(1, t ) = x 0 per ogni t ∈ [a, b],

Osservazione 12.2.13.
In modo intuitivo, un insieme aperto e connesso A è semplicemente connesso se ogni cur-
va chiusa può essere deformata con continuità fino a ridurla a un punto, senza mai uscire
dall’insieme. L’insieme R2 \ {(0, 0)} non è semplicemente connesso, invece R3 \ {(0, 0, 0)} sì.
220 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

Definizione 12.2.14.
Sia A ⊆ Rn un aperto. A si dice stellato se esiste x 0 ∈ A tale che
[x 0 , x] ⊆ A ∀x ∈ A,
dove [x 0 , x] denota il segmento di estremi x 0 e x.

Proposizione 12.2.15.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Valgono le seguenti implicazioni:
A convesso ⇒ A stellato ⇒ A semplicemente connesso.

Teorema 12.2.16.
Sia A ⊆ Rn un aperto semplicemente connesso. Sia ω una forma differenziale su A di classe C 1
su A.
Allora
ω è esatta ⇔ ω è chiusa.
D IMOSTRAZIONE .
⇒:
È conseguenza del Teorema 12.2.8.
⇐:
La dimostrazione la diamo per gli insiemi A stellati, con 0 ∈ A tale che
[0, x] ⊆ A ∀x ∈ A.
Pn
Sia ω = i =1 a i (x) d x i .
Il segmento [0, x] è parametrizzato da
γx : [0, 1] → Rn , γx (t ) = t x.

Si definisca f : A → R, f (x) = γx ω, ossia
 1X
n
f (x) := a i (t x)x i d t .
0 i =1

Dimostriamo che f è una primitiva di ω. Per il Teorema 5.5.9 f è di classe C 1 e per ogni
j ∈ {1, · · · , n} si ha
 1Ã n ∂a
!
X i
f x j (x) = a j (t x) + (t x)x i t d t .
0 i =1 ∂x j
Essendo ω una forma differenziale chiusa,
 1 n  1 n
X ∂a i X ∂a j
(t x)x i t d t = (t x)x i t d t
0 i =1 ∂x j 0 i =1 ∂x i
12.3. ESERCIZI 221

da cui deduciamo
 1
Ã
n ∂a
!  1
X j d ¡ ¢
f x j (x) = a j (t x) + (t x)x i t d t = t a j (t x) d t = a j (x).
0 i =1 ∂x i 0 dt
Ciò conclude la dimostrazione.


12.3. Esercizi

Esercizio 12.3.1 (VB). Si consideri la forma differenziale


2x 2y
ω(x, y) = dx + d y.
x2 + y 2 x2 + y 2
Determinare, se esistono, le primitive di ω.

SOLUZIONE:
Le primitive di ω sono le funzioni f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = log(x 2 + y 2 ).

Esercizio 12.3.2 (VB). Sia γ : [1, 2] → R2 , γ(t ) = (t , t 2 ). Calcolare



(x 2 − 2x y) d x + (2x y + y 2 ) d y.
γ

SOLUZIONE:
  2
2 2 1219
(x − 2x y) d x + (2x y + y ) d y = ((t 2 − 2t 3 ) + 2t (2t 3 + t 4 )) d t = .
γ 1 30

Esercizio 12.3.3 (VB). Data una qualunque funzione f : R → R si definisca la forma differen-
ziale
ω f (x, y) = ( f (x) + x 2 y − y 3 ) d x + ( f (x) − 3x y 2 ) d y.
(a) Dimostrare che esiste una e una sola funzione f di classe C 1 per cui f (0) = 0 e ω f è
esatta. Determinare l’espressione esplicita di f .
(b) Sia f la funzione ottenuta nel punto precedente e siano P = (0, 1) e Q = (−1, 3) punti
del piano 0x y. Calcolare

ωf
γ
dove γ è una curva il cui sostegno è il segmento avente primo estremo in Q e secon-
do estremo in P .
222 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

(c) Sia f 1 : R → R, f 1 (x) = x 2 . Calcolare



ω f1
γ

dove γ è come nel punto (b).

SOLUZIONE:
x3
[Sol.: (a) f (x) = 3
; (b) − 313
12
.]

Esercizio 12.3.4 (da file integrazione-I). Calcolare



(x 2 − 2x y) d x + (2x y + y 2 ) d y,
γ

dove γ è l’arco di parabola y = x 2 compreso tra A = (1, 1) e B = (2, 4).


1219
[Sol.: 30
.]


Esercizio 12.3.5 (da file integrazione-I). Calcolare γ ω dove

ω(x, y) = 2x y cos(x 2 y) + 1 d x + x 2 cos(x 2 y) d y


¡ ¢

e γ è la frontiera, percorsa in senso orario, della regione del primo quadrante racchiusa dalla
bisettrice 1o − 3o quadrante, l’asse y e la circonferenza di centro l’origine e raggio 2.

[Sugg.: ω = ω1 + ω2 dove ω1 = 2x y cos(x 2 y) d x + x 2 cos(x 2 y) d y e ω2 = 2x y d x + 0 d y. Notare


che ω1 è esatta]

Esercizio 12.3.6 (da file integrazione-I). Si consideri la forma differenziale

ω(x, y) = ye y + αe y − 2x cos x 2 d x + xe y + x ye y − βe x d y.
¡ ¢ ¡ ¢

Determinare, se esistono, i valori di α e β reali tali che ω è esatta. Per tali valori, calcolare il
potenziale f tale che f (0, 1) = 3.

[Sol: a = b = 0]

Esercizio 12.3.7 (da file integrazione-I). Calcolare il lavoro del campo F (x, y, z) = (z, x 2 , y) su
γ, dove γ è l’arco di elica t 7→ (cos t , sin t , t ) con t ∈ [0, 3π/2].

[Sol.: 43 .]
12.3. ESERCIZI 223

Esercizio 12.3.8 (da file integrazione-I). Calcolare



〈F (x, y), N (x, y)〉 d s
γ

dove γ è il triangolo di vertici (0, 0), (1, 0), (2, 1) percorso in senso orario, F (x, y) = (e x+y +
x, e x−y − y) e N è il versore normale esterno al triangolo.

[Sol.: Parametrizziamo il segmento γ1 di primo estremo (1, 0) e secondo estremo (0, 0):

γ1 (t ) = (1 − t , 0) t ∈ [0, 1], γ01 (t ) = (−1, 0)


da cui il vettore normale orientato verso l’esterno (il ruotato di π2 in senso anti-orario γ01 (t ))
è (0, −1).
Parametrizziamo il segmento γ2 di primo estremo (2, 1) e secondo estremo (1, 0). Abbiamo
γ2 (t ) = (2 + t (1 − 2), 1 + t (0 − 1)) = (2 − t , 1 − t ) t ∈ [0, 1], γ02 (t ) = (−1, −1)
da cui il vettore normale orientato verso l’esterno (il ruotato di π2 in senso anti-orario di γ02 (t ))
è (1, −1).
Analogamente si procede per γ3 , segmento di primo estremo (0, 0) e secondo estremo (2, 1).
Alla fine,
3
  1  1
1−t 1−t
〈(e 3−2t +2−t , e 1 −1+t ), (1, −1)〉 d t +....]
X
〈F (x, y), N (x, y)〉 d s = 〈(e +1−t , e ), (0, −1)〉 d t +
i =1 γi 0 0

Esercizio 12.3.9 (da file integrazione-I). Si consideri la forma differenziale


2x y x2
µ ¶
ω(x, y) = − 4 + 1 d x + d y.
9x + y 2 9x 4 + y 2
Determinare se ω è esatta in
Ω := {(x, y) ∈ R2 : x < 0}.
Se sì, determinarne una primitiva in Ω.

Esercizio 12.3.10 (da file integrazione-I). Dire se il campo vettoriale F : R3 → R3 , F (x, y, z) =


(x 2 y, x cos z, y + x), è irrotazionale.

Esercizio 12.3.11 (da file integrazione-I). Calcolare il lavoro del campo F (x, y) = (x y 2 , x) su
γ, dove γ è una curva il cui sostegno è quello indicato in figura 1.

[Sol.: −4 + π. Soluzione dettagliata in fondo alle dispense.]


224 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

(0,2)

γ2
γ3

(0,0) γ1 (2,0)

Figura 1. Figura per esercizio 12.3.11

Esercizio 12.3.12 (da file integrazione-I). Data la forma differenziale


1 ey
ω(x, y) = d x + dy.
x +ey x +ey
i) Determinare il dominio di ω e disegnarlo.
ii) ω è chiusa? ω è esatta? Giustificare.
iii) Determinare, se esiste, una primitiva di ω.

Esercizio 12.3.13 (da prova scritta AM2 29-6-2020). Si considerino le forme differenziali ω1 , ω2 :
R3 \ {(0, 0, 0)} → R∗ ,
−y x z
ω1 (x, y, z) = 2 2 2
dx + 2 2 2
dy + 2 dz
4x + y + z 4x + y + z 4x + y 2 + z 2

ω2 (x, y, z) = (e x y + x)d x + (e x + 2y)d y.


Determinare, se esistono, f 1 , f 2 : R3 \ {(0, 0, 0)} → R tali che
d f 1 = ω1 d f 2 = ω2

e calcolare (ω1 + ω2 ), con γ : [0, 2π] → R3
γ
¡1
γ(θ) = cos θ, sin θ, θ .
¢
2
SOLUZIONE:
(a)
R3 \{(0, 0, 0)} è semplicemente connesso le forme differenziali sono di classe C 1 , quindi essere
sono esatte se e solo se chiuse.
La forma differenziale ω1 non è chiusa, in quanto
∂ z ∂ x
=
6
∂y 4x 2 + y 2 + z 2 ∂z 4x 2 + y 2 + z 2
quindi ω1 non è esatta.
12.3. ESERCIZI 225

La forma differenziale ω2 è chiusa, in quanto


∂ x ∂ x
(e y + x) = e x = (e + 2y)
∂y ∂x
∂ x ∂
(e y + x) = 0 = 0
∂z ∂x
∂ x ∂
(e + 2y) = 0 = 0,
∂z ∂y
quindi ω2 è esatta. Si ha che

1
(e x y + x) d x = ye x + x 2 + c(y, z)
2

(e x + 2y) d y = ye x + y 2 + c(x, z)

0 d z = c(x, y).

Quindi le primitive di ω2 sono le funzioni


1
f (x, y, z) = ye x + x 2 + y 2 + c c ∈ R.
2
(b)
Dato che
¡1
4 cos θ)2 + (sin θ)2 + θ 2 = 1 + θ 2
2
e
1
γ0 (θ) = (− sin θ, cos θ, 1)
2
allora   2π
1 1 1
ω1 = 〈(− sin θ, cos θ, θ), (− sin θ, cos θ, 1)〉d θ
γ 0 1+θ 2 2 2
 2π µ ¶  2π µ ¶
1 1 2 1 2 1 1
= sin θ + cos θ + θ d θ = + θ dθ
0 1 + θ2 2 2 0 1 + θ2 2
1 1 1 1
= arctan(2π) + [log(1 + θ 2 )]2π 0 = arctan(2π) + log(1 + 4π ).]
2
2 2 2 2
Dato che ω2 è esatta con primitive
1
f (x, y, z) = ye x + x 2 + y 2 + c c ∈R
2
indipendenti dalla variabile z, allora

1 1
ω2 = f (γ(2π)) − f (γ(0)) = f ( , 0, 2π) − f ( , 0, 0) = 0.
γ 2 2
226 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI

Conclusione: 
1 1
(ω1 + ω2 ) = arctan(2π) + log(1 + 4π2 ).
γ 2 2

Esercizio 12.3.14 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Si consideri il campo vettoriale F : R3 →
R3 , F (x, y, z) = (−2z, x, −4z).
(a) Parametrizzare

γ∗ = {(x, y, z) : y = −x, x 2 + y 2 + z 2 = 4}

in modo che sia sostegno di una curva γ regolare e semplice. L’orientazione sia a
piacere
(b) Calcolare L(F, γ), lavoro di F su γ (orientazione scelta a piacere).
(c) Determinare, se esiste, f : R3 → R tale che ∇ f = F ?

SOLUZIONE:
(a)
x2 z2
γ∗ = {(x, y, z) : y = −x, 2x 2 + z 2 = 4} = {(x, y, z) : y = −x, + = 1}
( p2 )2 4
2

2 2
γ : [0, 2π] → R3 , γ(t ) = ( p cos t , − p cos t , 2 sin t )
2 2
(b)
µ ¶
0 2 2
γ (t ) = − p sin t , p sin t , 2 cos t
2 2
 2π µ ¶ µ ¶
2 2 2
L(F, γ) = 〈 −4 sin t , p cos t , −8 sin t , − p sin t , p sin t , r cos t 〉 d t
0 2 2 2
 2π µ ¶
4 2 4 4
= −2 p sin t + cos t sin t − 16 sin t cos t d t = 2 p π.
0 2 2 2
(c) No, perché se ci fosse sarebbe stato L(F, γ) = 0.

Esercizio 12.3.15 (da prova scritta 20-7-2020). In un sistema di riferimento cartesiano Ox y


si consideri l’insieme
(x − 1)2
Γ := {(x, y) ∈ R2 : + y 2 = 1, x ≥ 0}.
4
Calcolare il lavoro del campo F : R2 → R2 , F (x, y) = (y, x−1) lungo una curva regolare γ avente
sostegno Γ (orientazione a piacere).
12.3. ESERCIZI 227

SOLUZIONE:
Il campo F (x, y) = (y, x − 1) è conservativo, in quanto irrotazionale in R2 , insieme semplice-
mente connesso.
f (x, y) = y x + c(y) è un candidato potenziale di F .
Si ha
( f y (x, y) = x − 1 ⇔ x + c 0 (y) = x − 1) ⇒ (c 0 (y) = −1 ⇔ c(y) = −y + k, k ∈ R).
Dunque un potenziale di F è la funzione f (x, y) = y(x − 1) Allora
p p p à p ! p
3 3 3 3 3 p
L(F, γ) = f (0, ) − f (0, − )=− − − (−1) = −2 = − 3.
2 2 2 2 2

Esercizio 12.3.16 (da prova scritta AM2: 7-9-2020). Si consideri la forma differenziale ω :
R3 → (R3 )∗ ,
ω(x, y, z) = x d x + (x + y) d y + (x + z) d z.

Calcolare ω, con γ parametrizzazione regolare e semplice di
γ

γ∗ := {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1, z = y}
tale che i punti γ(t ) si muovano, se visti dall’alto, in senso antiorario.

SOLUZIONE:
γ : [0, 2π] → R3 ,
γ(t ) = (cos t , sin t , sin t ).
La proiezione π(γ(t )) del punto γ(t ) sul piano Ox y al variare di t ∈ [0, 2π] descrive una
circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1, percorsa in senso antiorario:
π(γ(t )) = (cos t , sin t ).
γ è semplice, infatti
t 7→ (cos t , sin t ) è iniettiva in [0, 2π[ e in ]0, 2π].
Inoltre, γ è regolare, essendo γ ∈ C 1 e
p
γ0 (t ) = (− sin t , cos t , cos t ) ⇒ |γ0 (t )| = 1 + cos2 t 6= 0.
Si ha
  2π
ω(x, y, z) = (cos t (− sin t ) + (cos t + sin t ) cos t + (cos t + sin t ) cos t ) d t
γ 0
 2π ¡  2π ¡
2 2
2 cos2 t + sin t cos t d t
¢ ¢
= − sin t cos t + cos t + sin t cos t + cos t + sin t cos t d t =
0 0
228 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
 2π
= 2 cos2 t d t = 2π.
0

Esercizio 12.3.17 (da prova scritta AM2: 25-1-2021). Si consideri il campo vettoriale F : R3 →
R3 ,
F (x, y, z) = (y + 1, z + 2x + 2y, 0).
Calcolare il lavoro L(F, γ), dove γ è una parametrizzazione regolare e semplice di

γ∗ := {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = z, z = −2x − 2y + 7}

tale che i punti γ(t ) in Ox y z si muovano, se visti dall’alto, in senso antiorario.

SOLUZIONE:
Si ha  
½  z = −2x − 2y + 7  z = −2x − 2y + 7

z = −2x − 2y + 7 
2 2
⇔ z =x +y ⇔ x 2 + y 2 = −2x − 2y + 7
z = x2 + y 2 
 z ≥0 
 z ≥0
 

 z = −2x − 2y + 7  z = −2x − 2y + 7

⇔ x + y = −2x − 2y + 7 ⇔ x 2 + 2x + y 2 + 2y = 7
2 2

 z ≥0 
 z ≥0
 
 z = −2x − 2y + 7
  z = −2x − 2y + 7

2 2
⇔ (x + 1) + (y + 1) − 2 = 7 ⇔ (x + 1)2 + (y + 1)2 = 9

 z ≥0 
 z ≥0

Sia γ : [0, 2π] → R3

γ(t ) = (−1 + 3 cos t , −1 + 3 sin t , −2(−1 + 3 cos t ) − 2(−1 + 3 sin t ) + 7)

ossia
γ(t ) = (−1 + 3 cos t , −1 + 3 sin t , −6(cos t + sin t ) + 11).
Notiamo che la terza componente di γ, che denotiamo z(t ) è positiva. Infatti:
π π p
max (cos t + sin t ) = cos( ) + sin( ) = 2,
t ∈[0,2π] 4 4
da cui
p
z(t ) = −6(cos t + sin t ) + 11 ≥ −6 2 + 11 > 0.
Abbiamo così dimostrato che γ è una parametrizzazione semplice di

{(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = z, z = −2x − 2y + 7}.


12.3. ESERCIZI 229

Essa ha l’orientazione richiesta, in quanto la proiezione π(γ(t )) del punto γ(t ) sul piano Ox y
al variare di t ∈ [0, 2π] descrive una circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1, percorsa in senso
antiorario:
π(γ(t )) = (−1 + 3 cos t , −1 + 3 sin t ).
Essa è anche una parametrizzazione regolare, infatti
γ0 (t ) = (−3 sin t , 3 cos t , 6 sin t − 6 cos t ) 6= (0, 0, 0) ∀t ∈ [0, 2π].
Essendo
F (γ(t )) = (−1 + 3 sin t + 1, −6(cos t + sin t ) + 11 + 2(−1 + 3 cos t ) + 2(−1 + 3 sin t ), 0)
= (3 sin t , 11 − 4, 0) = (3 sin t , 7, 0),
allora
 2π  2π
0
L(F, γ) = 〈F (γ(t )), γ (t )〉 d t = 〈(3 sin t , 7, 0), (−3 sin t , 3 cos t , 6 sin t − 6 cos t )〉 d t
0 0
 2π  2π  2π
2 2
= (−9 sin (t ) + 21 cos t )〉 d t = −9 sin (t ) d t + 21 cos t d t = −9π + 0 = −9π.
0 0 0

yz
Esercizio 12.3.18 (I 2010-02-08CIV-AMB). Si consideri il campo F (x, y, z) = ( 1+x 2 , z arctan x, y arctan x).
(a) Verificare che il campo è irrotazionale. Il campo è anche conservativo; perché?
(b) Determinare le primitive della forma differenziale associata al campo F .
(c) Disegnare la curva γ(t ) = (1, cos t , sin t ) con t ∈ [0, 2π] e calcolare il lavoro del campo
F su tale curva.
230 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
12.3. ESERCIZI 231

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