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Analisi2 - Cupini
Analisi2 - Cupini
MODULO 1
Appunti di lezione
G. Cupini
Lo spazio euclideo
In questo capitolo si richiamano nozioni già presentate nel corso di AM1B: lo spazio euclideo
(Rn , d ), la sua topologia, la convergenza di successioni in (Rn , d ).
1.1. Topologia
5
6 1. LO SPAZIO EUCLIDEO
Proposizione 1.1.10.
Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo.
Valgono le seguenti:
(i) Se {A i }i ∈I è una famiglia di aperti di Rn , allora
A i è un aperto di Rn .
[
i ∈I
(ii) Se {A i }i ∈I è una famiglia finita di aperti di Rn , allora
A i è un aperto di Rn .
\
i ∈I
1.1. TOPOLOGIA 7
Teorema 1.1.18.
Sia (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo.
La famiglia
T := {A ⊆ Rn : A è un aperto di Rn rispetto alla metrica d },
è una topologia di Hausdorff su Rn .
Proposizione 1.2.2.
Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn .
Se A è un aperto, allora A è connesso se e solo se
6 ∃O 1 ,O 2 aperti di X tali che valgano le seguenti:
1.2. INSIEMI CONNESSI 9
(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;.
D IMOSTRAZIONE .
⇒:
Sia A connesso. Dimostriamo che non possono esistere O 1 ,O 2 aperti di X che soddisfano (i),
(ii), (iii). Per assurdo, se esistessero O 1 e O 2 aperti di X tali che
(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;
si avrebbe, da (i) che vale (a) nella Definizione 1.2.1 e O 1 ,O 2 ⊆ A e quindi:
(i i ) (i i )
A ∩ O 1 = O 1 6= ; A ∩ O 2 = O 2 6= ;
che è la (b) nella Definizione 1.2.1. Inoltre (iii) e O 1 ,O 2 ⊆ A implicano
A ∩ O 1 ∩ O 2 = O 1 ∩ O 2 = ;.
Abbiamo quindi trovato due aperti che soddisfano (a), (b) e (c) nella Definizione 1.2.1, contro
l’ipotesi di connessione di A.
⇐:
Supponiamo per assurdo, che A non sia connesso. Allora esistono O 1 e O 2 soddisfacenti (a),
(b) e (c) nella Definizione 1.2.1. Definiamo Õ 1 = O 1 ∩ A e Õ 2 = O 2 ∩ A. Essi sono insiemi
aperti, per la Proposizione 1.1.10. Dimostriamo che essi soddisfano (i), (ii) e (iii).
Per (a), A ⊆ O 1 ∪ O 2 e quindi
Õ 1 ∪ Õ 2 = (A ∩ O 1 ) ∪ (A ∩ O 2 ) = A ∩ (O 1 ∪ O 2 ) = A
e quindi vale (i).
Da (b) segue direttamente (ii).
Da (c)
Õ 1 ∩ Õ 2 = (A ∩ O 1 ) ∩ (A ∩ O 2 ) = A ∩ O 1 ∩ O 2 = ;
ossia vale (iii).
Abbiamo quindi trovato due aperti, O˜1 e O˜2 , soddisfacenti (i), (ii) e (iii), contro l’ipotesi.
Osservazione 1.2.4.
Si noti che l’insieme {x + t (y − x) : t ∈ [0, 1]} è l’insieme dei punti del segmento di Rn con-
giungente x e y.
Teorema 1.2.7.
Si considerino (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e A ⊆ Rn non vuoto.
Se A è connesso per poligonali allora è connesso.
D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo (i) ⇒ (ii).
Siano x 1 , y 1 ∈ A. Dimostriamo che esiste una poligonale P (x 1 , y 1 ) ⊆ A. Se x 1 = y 1 non c’è
niente da dimostrare.
1.2. INSIEMI CONNESSI 11
Consideriamo
O 1 := {x ∈ A : ∃P (x 1 , x) ⊆ A}.
Dobbiamo dimostrare che O 1 = A.
Dimostriamo che l’insieme O 1 è aperto, ossia per ogni x ∈ O 1 esiste r > 0 tale che B (x, r ) ⊆ O 1 .
Essendo x ∈ O 1 , esiste P (x 1 , x) poligonale tale che P (x 1 , x) ⊆ A. Essendo A aperto, esiste r > 0
tale che
B (x, r ) ⊆ A.
Per ogni y ∈ B (x, r ) consideriamo la poligonale Q(x 1 , y) := P (x 1 , x) ∪ [x, y]. Si ha
Q(x 1 , y) := P (x 1 , x) ∪ [x, y] ⊆ A ∩ B (x, r ) ⊆ A.
Pertanto B (x, r ) ⊆ O 1 .
Dimostriamo ora che O 2 := A \ O 1 è un insieme aperto.
Se A = O 1 allora A \ O 1 = ;, che è aperto.
Se A \ O 1 6= ; allora dobbiamo dimostrare che per ogni punto x ∈ A \ O 1 esiste r > 0 tale che
B (x, r ) ⊆ A \ O 1 .
Sia x ∈ A \ O 1 . Essendo A aperto, esiste r > 0, tale che B (x, r ) ⊆ A.
Per ogni z ∈ B (x, r ) deve essere z ∈ O 2 . Infatti se z ∈ O 1 allora esisterebbe una poligonale
P (x 1 , z) contenuta in A e quindi
Q(x 1 , x) := P (x 1 , z) ∪ [z, x] ⊆ A ∪ B (x, r ) ⊆ A
sarebbe una poligonale congiungente x 1 e x, contraddicendo x ∈ A \ O 1 . Ciò dimostra che
B (x, r ) ⊆ A \ O 1 , e quindi che x è un punto interno di A \ O 1 .
Concludiamo ora dimostrando che A = O 1 , che, per l’arbitrarietà di x 1 dà la tesi.
Se fosse
O 2 := A \ O 1 6= ;,
allora avremmo trovato due aperti, O 1 O 2 tali che
(i) A = O 1 ∪ O 2
(ii) O 1 =
6 ;, O 2 6= ;
(iii) O 1 ∩ O 2 = ;.
contraddicendo l’ipotesi che A è connesso, in virtù della Proposizione 1.2.2.
Teorema 1.2.11.
In R gli insiemi connessi sono tutti e soli gli intervalli.
(Ai) x 0 ∈ D(A)
(Aii) per ogni r > 0 esistono infiniti punti in B (x 0 , r ) ∩ A \ {x 0 }.
d
(Aiii) esiste una successione (x h ) in A, x h 6= x 0 per ogni h e tale che x h → x 0 .
(Aiv) esiste una successione (x n ) in A con termini tutti distinti tra loro, tale che
0 < d (x 0 , x h ) < d (x 0 , x h−1 ) ∀h ≥ 2
d
e tale che x h → x 0 .
Proposizione 1.3.5.
Lo spazio euclideo (Rn , d ) è completo, ossia per ogni successione in Rn
(x h ) è di Cauchy ⇒ (x h ) è convergente a x 0 ∈ Rn .
Teorema 1.3.8.
Siano (Rn , d ) lo spazio metrico euclideo e K ⊆ Rn . Allora sono equivalenti:
(a) K è compatto
(b) K è sequenzialmente compatto
(c) K è chiuso e limitato.
CAPITOLO 2
[Disegno del dominio: colorare l’interno del dominio. Per la frontiera di A: linea continua
se appartiene al dominio, linea tratteggiata se non vi appartiene. Se escludere un punto,
crocettarlo.]
r
xy −1
Esercizio 2.1.1 (T). Determinare il dominio della funzione .
x2 − 1
RISPOSTA:
r
xy −1
Figura 1. Dominio della funzione in esercizio 2.1.1
x2 − 1
q
Esercizio 2.1.2 (T). Determinare il dominio della funzione 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x).
RISPOSTA:
Dom( f ) = {(x, y) ∈ R2 : x 2 − 2x < y ≤ 1}.
15
16 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO
q
Figura 2. Dominio della funzione 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x) in esercizio 2.1.2
RISPOSTA:
Vedi figura 3.
s
|x| − |y|
Esercizio 2.1.4 (GC). Disegnare il dominio della funzione .
|x| − 1
RISPOSTA:
Vedi figura 4.
2.1. ESERCIZI SUL DOMINIO 17
s
|x| − |y|
Figura 4. Dominio della funzione in esercizio 2.1.4
|x| − 1
s
1 − x2
Figura 5. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.5
y2 − 1
18 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO
s
x2 − y 2
Figura 6. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.6
y
1 1 1 1
{(x, y) : x > 1, y ≥ }∪{(x, y) : x < −1, y ≤ }∪{(x, y) : 0 ≤ x < 1, y ≤ }∪{(x, y) : −1 < x < 0, y ≥ }.
x x x x
2.1. ESERCIZI SUL DOMINIO 19
r
xy −1
Figura 7. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.7
x2 − 1
Esercizio 2.1.8 (GC: da file esercizi2variabili23-03-2009). Descrivere analiticamente il domi-
nio di e disegnarlo:
s
4 − x2
f (x, y) = .
y −1
s
4 − x2
Figura 8. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.8
y −1
20 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO
Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x > y 2 } (v. Esercizio 2.2.3 per gli insiemi di
livello).
Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y ≥ −1} (v. Esercizio 2.2.4 per gli insiemi di
livello).
Suggerimenti e risposte: Il dominio è {(x, y) : x y 6= −1} (v. Esercizio 2.2.5 per gli insiemi di
livello).
y − x2 + 1
µ ¶
f (x, y) = log .
2−x − y
Dire se tale insieme è aperto, chiuso, limitato, connesso, compatto e individuare la chiusura
di A (= Ā). Distinguere infine i punti isolati, interni, di frontiera, di accumulazione.
y − x2 + 1
µ ¶
Figura 9. Dominio della funzione f (x, y) = log , v. es. 2.1.13
2−x − y
Dire se tale insieme è aperto, chiuso, limitato, connesso, compatto e individuare la chiusura
di A (= Ā). Distinguere infine i punti isolati, interni, di frontiera, di accumulazione.
q
Figura 10. Dominio della funzione f (x, y) = 1 − y 2 log(y − x 2 + 2x), v. es. 2.1.14
22 2. ESERCIZI SU DOMINIO E INSIEMI DI LIVELLO
s
x2 + y 2 − 1
Figura 11. Dominio della funzione f (x, y) = , v. es. 2.1.15
x2 − y 2
y
Figura 12. Dominio della funzione f (x, y) = log2 , v. es. 2.1.16
x(1 − y 2 )
Risposta:
Linee di livello: L c = ; se c < 0, L 0 = {(x, y) : y = x},
Definizione 3.1.1.
Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi euclidei e sia A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione. Siano x 0 ∈ D(A) e
y 0 ∈ Rm .
Diciamo che “ f tende (o converge) a y 0 ∈ Rm quando x tende a x 0 ” se
∀V intorno di y 0 in (Rm , d 0 ) ∃U intorno di x 0 in (Rn , d ) : f (x) ∈ V ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }.
(3.1.1)
In tal caso scriviamo
lim d 0 ( f (x), y 0 ) = 0 oppure lim f (x) = y 0 .
d (x,x 0 )→0 x→x 0
D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo che (ii)⇔ (iii).
(ii)⇒ (iii) è ovvia, infatti
B (y 0 , ²0 ) := {y ∈ Rm : d 0 (y, y 0 ) < ²0 }
è un insieme aperto e dato un aperto U (Rn , d ) contenente x 0 esiste δ > 0 tale che B (x 0 , δ) ⊆ U
Diamo ora la dimostrazione di (iii)⇒ (ii).
25
26 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
Come nelle funzioni di una variabile reale, esiste un legame tra il limite di una funzione e il
limite di sue restrizioni.
Proposizione 3.2.1.
Siano B ⊆ A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione.
Siano x 0 ∈ D(B ) e y 0 ∈ Rm .
Allora
lim f (x) = y 0 ⇒ lim f |B (x) = y 0 ,
x→x 0 x→x 0
dove ricordiamo che f |B denota la funzione f ristretta al dominio B .
Osservazione 3.2.2. La Proposizione 3.2.1 è utile per stabilire risultati di non esistenza di
limite.
Infatti, siano A ⊆ Rn , f : A → Rm funzione. Siano B,C ⊆ A. Dalla Proposizione 3.2.1 deducia-
mo:
(1) (x 0 ∈ D(B ), 6 ∃ lim f |B (x)) ⇒ 6 ∃ lim f (x)
x→x 0 x→x 0
(2) (x 0 ∈ D(B ) ∩ D(C ), lim f |B (x) 6= lim f |C (x)) ⇒ 6 ∃ lim f (x).
x→x 0 x→x 0 x→x 0
x2 − y 2
Esempio 3.2.3. Sia f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = . Sia B = {(x, 0) : x 6= 0} e C = {(0, y) :
x2 + y 2
y 6= 0}. Si ha
x2
lim f |B (x, y) = lim f |B (x, 0) = lim = 1,
(x,y)→(0,0) x→0 x→0 x 2
−y 2
lim f |C (x, y) = lim f |C (0, y) = lim = −1,
(x,y)→(0,0) y→0 y→0 y 2
3.2. ESISTENZA E NON ESISTENZA DEL LIMITE 27
dunque
6∃ lim f (x, y).
(x,y)→(0,0)
Teorema 3.2.4.
Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn . Sia A = B ∪C e x 0 ∈ D(B ) ∩ D(C ). Se esiste ` ∈ Rm tale che
(a) ∃ lim f |B (x) = `
x→x 0
Osservazione 3.2.5.
Tale teorema può essere facilmente generalizzato al caso di A = ∪hi=1 A i , con h ∈ N, h ≥ 3. E’
cruciale il fatto che la decomposizione A = ∪hi=1 A i sia finita. Il risultato è infatti falso se A è
unione numerabile, o più che numerabile, di sottoinsiemi A i . Si veda l’Esempio 3.2.6.
Esercizio 3.2.6.
x2 y
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
28 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
x2 y
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 4 +y 2
. Restringendoci all’asse y si ha:
lim f (0, y) = 0.
y→0
x2 y
Allora, per la Proposizione 3.2.1, se esiste lim esso è zero.
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
Proviamo a restringerci ad altre rette passanti per l’origine, non verticali. Sia m ∈ R.
0
lim =0 se m = 0
3 x→0 x 4
mx
lim f (x, mx) = lim 4 =
x→0 x→0 x + m 2 x 2
mx 3
mx
lim 2 2 = lim 2 = 0 se m 6= 0.
x→0 m x x→0 m
Dunque, se ci restringiamo alle rette passanti per l’origine, limite esiste ed è zero. Ciò non è
x2 y
sufficiente per concludere che esiste lim e che esso è zero.
(x,y)→(0,0) x 4 + y 2
Infatti, sia
P := {(x, y) ∈ R2 \ {0} : y = x 2 }.
Si ha
x4 1
lim f |P (x, y) = lim f (x, x 2 ) = lim
4 4
= 6= 0.
(x,y)→(0,0) x→0 x→0 x + x 2
Pertanto, per l’Osservazione 3.2.2 non esiste il limite.]
Notazione.
Sn−1 := {x ∈ Rn : |x| = 1}.
Teorema 3.2.8.
Sia f : A → Rm , A ⊆ Rn .
Sia x 0 ∈ Rn tale che
∃r 0 > 0 : B (x 0 , r 0 ) \ {x 0 } ⊆ A.
Sia ` ∈ Rm .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) lim f (x) = `
x→x 0
D IMOSTRAZIONE .
x 0 è un punto interno di A. Esiste quindi r 0 > 0 tale che B (x 0 , r 0 ) ⊆ A. Usando anche questa
informazione dimostriamo le implicazioni.
(i) ⇒ (ii)
Per (i)
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r 0 ] : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ B (x 0 , δ) \ {x 0 }.
Per il Lemma 3.2.7
B (x 0 , δ) \ {x 0 } = {x 0 + ρξ : ρ ∈]0, δ[, ξ ∈ Sn−1 },
quindi si ha
La (ii) è dimostrata.
30 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
(ii) ⇒ (iii)
Per (ii)
∀² > 0 ∃r (²) ∈]0, r 0 ] : sup | f (x 0 + ρξ) − `| < ² ∀ρ ∈]0, r (²)[.
ξ∈Sn−1
Definiamo ϕ :]0, r [→ [0, ∞[,
ϕ(ρ) := sup | f (x 0 + ρξ) − `|.
ξ∈Sn−1
(iii) ⇒ (iv)
x−x 0
Sia x ∈ B (x 0 , r ) \ {x 0 }. Sia ξ := |x−x 0|
. Allora ξ ∈ Sn−1 e
x = x 0 + ρξ con ρ := |x − x 0 |.
Si noti che 0 < ρ < r . Dunque per (1)
| f (x) − `| = | f (x 0 + |x − x 0 |ξ) − `| ≤ ϕ(|x − x 0 |).
Ciò prova (1’). La (2’) coincide con (2) essendo ϕ la stessa funzione.
(iv) ⇒ (i)
Ricordando che ϕ è non negativa, dalla definizione di limite, la (2’) significa:
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r [ : ϕ(ρ) < ² ∀ρ ∈]0, δ[.
Da (1’) deduciamo
∀² > 0 ∃δ ∈]0, r [ : | f (x) − `| < ² ∀x ∈ B (x 0 , δ) \ {x 0 },
che è esattamente quanto affermato in (i).
Attenzione: per n = 2, anziché usare la notazione vettoriale, è spesso utile indicare i punti di
R2 con (x, y), dove quindi x è un numero reale e non più un elemento di R2 .
Come conseguenza del Teorema 3.2.8, per il caso n = 2 e usando le coordinate polari si ha il
seguente risultato.
x y3
Sol.: Si ponga f (x, y) = . Il suo dominio è R2 \{(0, 0)}. Se esiste il limite di f per (x, y) →
x2 + y 2
(0, 0), esso è 0 (ad es. restingersi all’asse x). D’altra parte, per ogni ρ > 0
¯ ρ cos(θ) sin(θ)3 ¯
¯ 4 ¯
| f (ρ cos θ, ρ sin θ) − 0| = ¯¯ ¯ ≤ ρ2 ∀θ ∈ [0, 2π].
ρ2 ¯
Per il Corollario 3.2.9, risulta
x y3
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2
p
Vista l’importanza che ha nel calcolo dei limiti l’espressione (x − x 0 )2 + (y − y 0 )2 che, quan-
do si usano le coordinate polari centrate in (x 0 , y 0 ), denota la distanza ρ del punto (x, y) da
(x 0 , y 0 ) è spesso utile il seguente lemma.
Lemma 3.2.11.
Per ogni α > 0 esistono c 1 (α), c 2 (α) > 0 tali che
α α
c 1 (α)(x 2 + y 2 ) 2 ≤ |x|α + |y|α ≤ c 2 (α)(x 2 + y 2 ) 2 .
D IMOSTRAZIONE .
Se x = 0 e y = 0 non c’è niente da dimostrare.
Se x = 0 e y 6= 0 allora
|x|α + |y|α |y|α
α = = 1 ∀y ∈ R.
(x 2 + y 2 ) 2 |y|α
Consideriamo ora x 6= 0 e dimostriamo che esistono c 1 ∈]0, 1] e c 2 ∈ [1, +∞[ tali che
|x|α + |y|α
c1 ≤ α ≤ c2 ∀y ∈ R.
(x 2 + y 2 ) 2
Se riusciamo a fare questo, abbiamo concluso.
32 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
Si ha
1 + ( |x| )α 1 + ( |x| )α
|y| |y|
|x|α + |y|α
α = y α = |y| α .
(x 2 + y 2 ) 2 (1 + ( x )2 ) 2 (1 + ( |x| )2 ) 2
|y| 1+ tα
Col cambio di variabile t := |x| , posto g : [0, ∞[→]0, ∞[, g (t ) = α , si ha
(1 + t 2 ) 2
(|x| + |y|)α
µ¶
|y|
α =g .
(x 2 + y 2 ) 2 |x|
Dobbiamo quindi dimostrare che esistono c 1 ∈]0, 1] e c 2 ∈ [1, +∞[ tali che
c 1 ≤ g (t ) ≤ c 2 ∀t ∈ [0, ∞[.
II modo:
1+t α
Si consideri g :]0, ∞[→]0, ∞[, g (t ) = α . Se ne studi la monotonia, mediante lo studio
(1+t 2 ) 2
g 0 (t ) ≥ 0. Dedurne che esistono c 1 , c 2 > 0 tali che
c 1 := inf g ≤ g (t ) ≤ sup g =: c 2 ∀t ∈ R.
]0,∞[ ]0,∞[
3.3. FUNZIONI CONTINUE 33
Si ha
α
αt (1 + t 2 ) 2 −1 α−2 t ≥ 1 se α ≥ 2
·
0
g (t ) = (t − 1) ≥ 0 ⇔
(1 + t 2 )α t ≤ 1 se α < 2.
Allora
1
c 1 := min g = g (1) = α , c 2 := max g = g (0) = lim g (t ) = 1 se α ≥ 2
2 2 −1 t →+∞
e
α
c 1 := min g = g (0) = lim g (t ) = 1, c 2 := max g = g (1) = 21− 2 , se α < 2.
t →+∞
Definizione 3.3.1.
Siano f : A → Rm con A ⊆ Rn , x 0 ∈ A.
Si dice che f è continua in x 0 se
∀V intorno di f (x 0 ) in Rm ∃U intorno di x 0 in Rn : f (x) ∈ V ∀x ∈ U ∩ A. (3.3.1)
Si dice che f è continua se f è continua in ogni punto di A.
Teorema 3.3.4.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A. f : A → Rm è continua in x 0 se e solo se vale una delle due:
• x 0 ∉ D(A)
• x 0 ∈ D(A) e lim f (x) = f (x 0 ).
x→x 0
Definizione 3.3.5.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A.
Una funzione f : A → Rm si dice sequenzialmente continua in x 0 se per ogni successione
(x k )k∈N∗ in X
lim d (x k , x 0 ) = 0 ⇒ lim d 0 ( f (x k ), f (x 0 )) = 0.
k→∞ k→∞
Teorema 3.3.6.
Siano A ⊆ Rn e x 0 ∈ A. Sia f : A → Rm .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) f è continua in x 0
(ii) f è sequenzialmente continua in x 0 .
Corollario 3.3.7.
Siano A ⊆ Rn , f , g : A → R.
Siano f , g continue in x 0 ∈ A. Allora la funzione f · g : A → R è continua in x 0 .
D IMOSTRAZIONE . Supponiamo che f (A) non sia connesso. Allora esistono due aperti
non vuoti O 1 e O 2 in Rm tali che
(a) f (A) ⊆ O 1 ∪ O 2
(b) f (A) ∩ O 1 6= ;, f (A) ∩ O 2 6= ;
(c) f (A) ∩ O 1 ∩ O 2 = ;.
3.3. FUNZIONI CONTINUE 35
Definizione 3.3.10.
Siano (Rn , d ) e (Rm , d 0 ) spazi euclidei e A ⊆ Rn .
Una funzione f : A → Rm si dice limitata se f (A) è un insieme limitato, ossia (v. Definizione
1.1.3)
∃M > 0 : | f (x)| < M ∀x ∈ A.
Definizione 3.3.11.
Siano (Rn , d ) spazio euclideo, A ⊆ Rn e f : A → R.
Si dice che f ha massimo se esiste il massimo dell’immagine di f , ossia se esiste
max f = max f (A) := max{ f (x) : x ∈ A}.
A
36 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
Corollario 3.3.13.
Siano (Rn , d ) spazio metrico euclideo, K ⊆ X e f : X → R.
Se K ⊆ X è compatto e f è continua, allora f è limitata e f ha massimo e minimo.
D IMOSTRAZIONE .
Dimostriamo solo che f è superiormente limitata e che f ha massimo. Che sia f inferior-
mente limitata e che f abbia minimo segue ragionano in modo analogo.
Per il Teorema 3.3.12 f (K ) è un compatto di R. Per il Teorema di Heine-Borel (v. AM1B o
Teorema 1.3.8) i compatti di R sono tutti e soli gli insiemi chiusi e limitati. In particolare,
essendo f (K ) limitato, si ha sup f ∈ R.
K
Sia (y k ) una successione in f (K ) convergente a sup f . Si noti che una tale successione esiste
K
sempre, dato che una caratterizzazione di sup f ∈ R è:
K
1
∀n ∈ N∗ ∃y k ∈ f (K ) : sup f − < y k ≤ sup f .
K n K
Essendo f (K ) chiuso, per la Proposizione 1.3.3 (Cii) deve essere sup f ∈ f (K ). Ciò significa
K
che esiste max f .
K
3.4. Legame tra limiti di funzioni vettoriali e limiti delle sue componenti
Lemma 3.4.1.
Sia u = (u 1 , · · · , u m ) vettore di Rm . Allora
v
1 Xm um
uX Xm
|u j | ≤ t u 2j = kuk ≤ |u j |. (3.4.1)
m j =1 j =1 j =1
3.4. LEGAME TRA LIMITI DI FUNZIONI VETTORIALI E LIMITI DELLE SUE COMPONENTI 37
Proposizione 3.4.2.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ D(A).
Sia ` = (`1 , · · · , `m ) ∈ Rm . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) lim f (x) = `
x→x̄
(b) per ogni j ∈ {1, · · · , m} si ha lim f j (x) = ` j .
x→x̄
D IMOSTRAZIONE .
Iniziamo con l’osservare che dal Lemma 3.4.1 segue che, per ogni r > 0,
{(y 1 , · · · , y m ) ⊆ Rm : |y j − ` j | < r ∀ j ∈ {1, · · · , m}} ⊆ B (`, mr )
⊆ {(y 1 , · · · , y m ) ⊆ Rm : |y j − ` j | < m 2 r ∀ j ∈ {1, · · · , m}}. (3.4.2)
La prima inclusione segue dalla seconda disuguaglianza in (3.4.1) e la seconda inclusione
viene dalla prima disuguaglianza in (3.4.1).
(a) ⇒ (b):
Per ipotesi, ∀² > 0 ∃δ > 0 tale che
| f (x) − `| < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄},
ossia
f (x) ∈ B (`, ²) ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}
Dalla seconda inclusione in (3.4.2) si ha ∀² > 0 ∃δ > 0 tale che per ogni j ∈ {1, · · · , m}
| f j (x) − ` j | < m² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
Abbiamo quindi dimostrato (b).
(b) ⇒ (a):
Per ogni j ∈ {1, · · · , m}, ∀² > 0 ∃δ j > 0 tale che
| f j (x) − ` j | < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ j ) \ {x̄}.
Fissiamo ² > 0 e poniamo δ := min{δ j : j ∈ {1, · · · , m}}. Allora per ogni j ∈ {1, · · · , m}
| f j (x) − ` j | < ² ∀x ∈ A ∩ B (x̄, δ) \ {x̄}.
38 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
Con dimostrazioni analoghe a quelle per funzioni di una variabile reale a valori reali è facile
dimostrare i seguenti risultati.
Allora
lim (g ◦ f )(x) = z 0 .
x→x 0
∃ lim ( f + g )(x) = λ + µ.
x→x 0
Corollario 3.4.5.
Siano A ⊆ Rn , f , g : A → Rm , con m ≥ 1.
Siano f , g continue in x 0 ∈ A. Allora la funzione f + g : A → Rm è continua in x 0 .
3.5. LIMITI DI FUNZIONI A VALORI REALI: ALTRE PROPRIETÀ 39
lim f (x) = +∞
x→x 0
significa:
∀M > 0 ∃δ(M ) > 0 : f (x) > M ∀x ∈ A, 0 < kx − x 0 k < δ(M ).
Analogamente:
lim f (x) = −∞
x→x 0
significa:
∀M < 0∃δ(M ) > 0 : f (x) < M ∀x ∈ A, 0 < kx − x 0 k < δ(M ).
f (x) ≤ g (x) ∀x ∈ A ∩U \ {x 0 }
e
lim g (x) = −∞ ⇒ lim f (x) = −∞.
x→x 0 x→x 0
40 3. LIMITI DI FUNZIONI IN PIÙ VARIABILI
Teorema 3.5.6.
Siano A ⊆ Rn , f : A → R. Se x 0 ∈ D(A) e f (x) 6= 0 per ogni x ∈ A, allora valgono le seguenti
implicazioni
1 1
lim f (x) = λ ∈ R \ {0} ⇒ lim = .
x→x 0 x→x 0 f (x) λ
1
lim f (x) = ±∞ ⇒ lim = 0.
x→x 0 x→x 0 f (x)
Teorema 3.5.7.
Siano A ⊆ Rn , f : A → R. Se x 0 ∈ D(A) e se esiste un intorno U di x 0 tale che f (x) > 0 (alt.:
f (x) < 0) per ogni x ∈ A ∩U , x 6= x 0 allora
1
lim f (x) = 0 ⇒ lim = +∞ (alt.: −∞).
x→x 0 x→x 0 f (x)
3.6. Esercizi
1 x x2 1
13) arctan ; 14) 2 ; 15) ; 16) e x y+(x y)2 ;
|x y| y + |x| y 2 + 12 |x|
sin(x 2 y 2 )
17) 2 .
x + y4
3.6. ESERCIZI 41
Esercizio 3.6.2.
x3
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + y 2
x3
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 2 +y 2
. Si ha:
0
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0,
y→0 y→0 y 2 y→0
Esercizio 3.6.3.
x5
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) x 4 + y 4
x5
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := x 4 +y 4
. Si ha:
0
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0,
y→0 y→0 y 2 y→0
dunque se esiste il limite esso deve essere 0. Si ha, per il Lemma 3.2.11, che esistono c 1 , c 2 > 0
tali che
c 1 = c 1 (cos2 θ + sin2 θ)2 ≤ cos4 θ + sin4 θ ≤ c 2 (cos2 θ + sin2 θ)2 = c 2 .
Quindi
ρ 5 5
θ | cos5 θ|
¯ ¯
cos 1 1
0 ≤ ¯ f (ρ cos θ, ρ sin θ) − 0¯ = ¯¯ ¯=ρ ρ ρ.
¯ ¯ ¯ ¯
≤ ≤
ρ 4 (cos4 θ + sin4 θ) ¯ cos4 θ + sin4 θ cos4 θ + sin4 θ c 1
È dunque soddisfatta la (b) del Corollario 3.2.9.]
Esercizio 3.6.4.
Dire se la funzione h : R2 → R,
2 4 2 2 4
(x + y ) log(x + y ) se (x, y) 6= (0, 0)
h(x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0).
è continua.
Abbiamo che h = g ◦ f ,
lim f (x, y) = lim x 2 + y 4 = 0, lim g (t ) = lim t 2 log t = 0.
(x,y)→(0,0) (x,y)→(0,0) t →0 t →0
Esercizio 3.6.5.
log(1 + x y)
Calcolare, se esiste, lim .
(x,y)→(0,0) |x| + y 2
log(1+x y)
[Sol: f : R2 \ {0} → R, f (x, y) := |x|+y 2
.
Restringiamoci all’asse x:
log 1
lim f (x, 0) = lim = lim 0 = 0.
x→0 x→0 |x| x→0
Dunque se esiste il limite di f per (x, y) → (0, 0), esso deve essere 0.
Restringiamoci all’asse y:
log 1
lim f (0, y) = lim = lim 0 = 0.
y→0 y→0 y 2 y→0
Osserviamo che
R2 \ {0} = B ∪C ∪ D,
dove B = {(x, 0) : x ∈ R \ {0}}, C = {(0, y) : y ∈ R \ {0}} e D = {(x, y) ∈ R2 : x y 6= 0}.
Calcoliamo lim f |D (x, y). Si ha
(x,y)→(0,0)
log(1 + x y) log(1 + x y) x y
lim = lim
D3(x,y)→(0,0) |x| + y 2 D3(x,y)→(0,0) xy |x| + y 2
log(1 + x y) xy
= lim lim .
D3(x,y)→(0,0) xy D3(x,y)→(0,0) |x| + y 2
x3 + y 2
Sol.: Si ponga f (x, y) = . Il suo dominio è R2 \ {(0, 0)}. Se esiste il limite di f per
x 2 + |y|
(x, y) → (0, 0), esso è 0 (ad es. restingersi all’asse x).
Si ha
¯ x3 ¯ 2
¯ ¯
¯ ¯ ≤ |x| x ≤ |x|,
¯ x 2 + |y| ¯ x 2 + |y|
allora, per il Teorema dei carabinieri,
x3
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + |y|
Analogamente:
¯ y2 ¯
¯ ¯
|y|
¯ x 2 + |y| ¯ ≤ |y| x 2 + |y| ≤ |y|,
¯ ¯
Risulta quindi
x3 + y 2 x3 y2
lim = lim + lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 + |y| (x,y)→(0,0) x 2 + |y| (x,y)→(0,0) x 2 + |y|
Suggerimento: (x ± y)2 ≥ 0.
Risposta: il limite non esiste.
e calcolare, se esiste,
x3 − y 2
lim .
(x,y)→(0,0) x 2 + x y + y 2
Suggerimento: (x ± y)2 ≥ 0.
Risposta: il limite non esiste.
e calcolare, se esiste,
x y 2 − 3x 3
lim .
(x,y)→(0,0) 2x 2 − 2x y + y 2
e
xy
f (x, y) = .
x2 − x y + y 2
Dimostrare che se α > 1
xy
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x 2 − x y + y 2
3.6. ESERCIZI 47
Sugg.: Disegnare B α e accertarsi che è possibile restringersi a rette per (0, 0), quindi conclu-
dere.
4.1. Norme
Lemma 4.1.3.
Siano A ∈ M m×n e v ∈ Rn . Allora
|Av| ≤ kAkF |v|.
D IMOSTRAZIONE .
Se denotiamo A j la j -esima riga di A, si ha, per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz,
v v v v
um um um un m
uX uX uX uX X
|Av| = t j 2
〈A , v〉 ≤ t j 2 2
|A | |v| = |v| t j 2
|A | = |v|t |a j i |2 ,
j =1 j =1 j =1 i =1 j =1
da cui la tesi.
Qui sotto alcune utili proprietà delle norme: si ricordi la definizione di norma di Frobenius
di una matrice (v. Definizione 4.1.2),
Lemma 4.1.6.
Siano T ∈ L(Rn , Rm ), S ∈ L(Rm , Rp ) e siano, rispettivamente A ∈ M m×n , A = (a i j ), e B ∈ M p×m ,
B = (a hk ), le matrice a loro associate, ossia
Si hanno le seguenti:
Lemma 4.1.7.
Siano T ∈ L(Rn , Rm ), S ∈ L(Rm , Rn ) tali che S ◦ T = idRn . Allora T è iniettiva e n ≤ m.
D IMOSTRAZIONE .
T è iniettiva. Infatti, siano x, x 0 ∈ Rn tali che T (x) = T (x 0 ). Allora
Dalla iniettività di T si ha ker T = {0}, da cui, per il Teorema del rango, dim Im T = n. Poiché
Im T ⊆ Rm deve quindi essere n ≤ m.
Lemma 4.1.8.
Sia T ∈ L(Rn , Rm ), invertibile. Allora
(i) n = m,
(ii) kT k 6= 0, kT −1 k 6= 0,
(iii) per ogni v ∈ Rn
1
|T (v)| ≥ |v|.
kT −1 k
4.2. MATRICI 51
D IMOSTRAZIONE .
(i):
Segue immediatamente dal Lemma 4.1.7.
(ii):
Segue da (iii) del Lemma 4.1.6, dato che
0 6= k idRn k = kT −1 ◦ T k ≤ kT −1 k kT k
(iii):
Usando il Lemma 4.1.6 (i), per ogni v ∈ Rn
4.2. Matrici
Definizione 4.2.1. Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice reale. Si chiamano minori di testa i
seguenti minori:
µ ¶ a 11 a 12 a 13
a 11 a 12
a 11 , det , det a 21 a 22 a 23 , · · · , det A.
a 21 a 22
a 31 a 32 a 33
Definizione 4.2.2 (Minore principale). Sia A ∈ M n×n una matrice quadrata. I minori princi-
pali sono i determinanti delle sottomatrici quadrate di A estratte da A selezionando righe e
colonne aventi gli stessi indici.
Teorema 4.2.3 (Criterio di Sylvester). Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice reale simmetrica.
Valgono le seguenti:
A è definita negativa ⇔ i minori di testa di ordine pari sono positivi e quelli dispari negativi
(4.2.2)
A è semidefinita positiva ⇔ i minori principali sono maggiori o uguali a 0 (4.2.3)
"
i minori principali di ordine pari sono maggiori o uguali a 0
A è semidefinita negativa ⇔
i minori principali di ordine dispari sono minori o uguali a 0
(4.2.4)
52 4. PREMESSE DI ALGEBRA LINEARE
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Consideriamo la funzione F : Sn−1 → R,
n
X
F (v) := 〈Av, v〉 = ai j v i v j .
i , j =1
(d) si ha
〈Av, v〉 ≥ λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove λ è il minimo degli autovalori A (che risulta essere positivo).
(e) si ha
λ|v|2 ≤ 〈Av, v〉 ≤ Λ|v|2 ∀v ∈ Rn
dove λ e Λ sono il minimo e il massimo degli autovalori A, (entrambi positivi)
(f) i minori di testa sono positivi:
µ ¶ a 11 a 12 a 13
a 11 a 12
a 11 > 0, det > 0, det a 21 a 22 a 23 > 0, · · · , det A > 0
a 21 a 22
a 31 a 32 a 33
La tesi segue.
Sia A = (a i j ) ∈ M n×n una matrice quadrata simmetrica, con det A 6= 0. Se esiste k ∈ {1, · · · , n}
tale che
a 11 a 12 · · · a 1k
a 21 a 22 · · · a 2k
k è pari e det ≤0 (4.2.5)
. .. .. ..
.. . . .
a k1 a k2 · · · a kk
allora A è indefinita.
D IMOSTRAZIONE . det A è il prodotto dei suoi autovalori reali. Essendo det A 6= 0, non
può esserci un autovalore nullo, allora la matrice simmetrica reale A o è definita (positiva o
negativa) o è indefinita.
Se A non fosse indefinita, dovrebbe essere definita, allora per i Teoremi 4.2.6 e 4.2.7 (preci-
samente dalle equivalenze (a)⇔(f )) si contraddirebbe l’ipotesi.
4.2.5. Matrici simmetriche 2 × 2. Raduniamo qui le caratterizzazioni ottenute per le
matrici simmetriche di ordine 2
Sia A = (a i j ) ∈ M 2×2 una matrice quadrata simmetrica. Allora
a 11 µ> 0
¶
A è definita positiva ⇔ a 11 a 12
det > 0.
a 21 a 22
a 11 µ< 0
¶
A è definita negativa ⇔ a 11 a 12
det a
> 0.
21 a 22
a 11 ≥ 0
a ≥0
22
A è semidefinita positiva ⇔ µ ¶
a 11 a 12
det ≥ 0.
a 21 a 22
a 11 ≤ 0
a ≤0
22
A è semidefinita negativa ⇔ µ ¶
a 11 a 12
det ≥ 0.
a 21 a 22
µ ¶
a 11 a 12
A è indefinita ⇔ det <0
a 21 a 22
CAPITOLO 5
Calcolo differenziale
5.1. Derivabilità
{e 1 , e 2 , · · · , e n }
dove
e i := (0, · · · , 0, |{z}
1 , 0, · · · , 0)
i
è detto i -esimo vettore della base canonica.
Osservazione 5.1.3.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. La derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i
coincide con la derivata in 0 della funzione
t 7→ f (x̄ + t e i ).
57
58 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Infatti:
g (t ) − g (0) f (x̄ + t e i ) − f (x̄)
lim = lim .
t →0 t t →0 t
Analogamente: la derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i coincide con la derivata
in x̄ i della funzione
s 7→ f (x̄ 1 , · · · , x̄ i −1 , s, x̄ i +1 , · · · , x̄ n ).
Definizione 5.1.4.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn insieme aperto.
Diciamo che f è derivabile se f è derivabile in ogni punto di A.
Esempio 5.1.7.
Si consideri f : Rn → R,
x2 y
(
x 4 +y 2
se (x, y) 6= (0, 0) ,
f (x, y) :=
0 se (x, y) = (0, 0)
Deduciamo dall’esercizio 3.2.6 che la funzione non è continua in (0, 0), dato che non esiste il
limite di f per (x, y) tendente a (0, 0).
D’altra parte la funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:
f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0
lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
Proposizione 5.2.2.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Le derivate parziali, se esistono, sono delle derivate
direzionali rispetto ai versori della base canonica. Precisamente si ha
∂f ∂f
(x̄) = (x̄) i ∈ {1, · · · , n}.
∂x i ∂e i
Esempio 5.2.3 (Esempio di funzione che è derivabile ma non ha tutte le derivate direzionali).
Si consideri ½
0 se x y = 0 ,
f (x, y) :=
1 se x y 6= 0.
La funzione è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (0, 0), infatti:
f (t , 0) − f (0, 0) 0−0 f (0, t ) − f (0, 0) 0−0
lim = lim = 0, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
60 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Ricordando che le derivate parziali sono le derivate direzionali nelle direzioni della base
canonica, abbiamo che esistono le derivate direzionali nelle direzioni e 1 := (1, 0) e e 2 := (0, 1).
Analogamente si ha che esistono le derivate direzionali nelle direzioni (−1, 0) e (0, −1):
e il limite non esiste. Si noti che esiste, ma non è finito, il seguente limite:
f (t α, t β) − f (0, 0) 1
lim+ = lim = +∞.
t →0 t t →0 t
Esempio 5.2.4 (Esempio di funzione che ha tutte le derivate direzionali, ma non è continua).
Si consideri f : R2 → R,
x2 y
(
x 4 +y 2
se (x, y) 6= (0, 0) ,
f (x, y) :=
0 se (x, y) = (0, 0).
Ricordando che le derivate parziali sono le derivate direzionali nelle direzioni della base
canonica, abbiamo che esistono le derivate direzionali nelle direzioni e 1 := (1, 0) e e 2 := (0, 1).
Analogamente si ha che esistono le derivate direzionali nelle direzioni (−1, 0) e (0, −1):
5.3. Differenziabilità
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Sia f differenziabile in x̄, cioè tale che esista un’appli-
cazione lineare T ∈ L(Rn , R), dipendente da x̄, soddisfacente
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0. (5.3.2)
x→x̄ |x − x̄|
Allora valgono le seguenti:
(i) l’applicazione T è unica e
f (x̄ + t v) − f (x̄)
T (v) = lim v ∈ Rn , (5.3.3)
t →0 t
(ii) f è derivabile in x̄ e
T (e i ) = f xi (x̄)
per ogni e i versore della base canonica di Rn
(iii) per ogni v ∈ Rn è
T (v) = 〈∇ f (x̄), v〉.
D IMOSTRAZIONE .
(i)
Sia v ∈ Rn \ {0}.
Per la Proposizione 3.2.1, restringendosi all’insieme
B := {x ∈ A : x = x̄ + t v, con t ∈ R},
d f (x)(v) = 〈∇ f (x), v〉 x ∈ A, v ∈ Rn .
d x i (v 1 , v 2 , · · · , v n ) = v i v = (v 1 , v 2 , · · · , v n ) ∈ Rn ,
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
segue dal Teorema 5.3.2 e dal fatto che la derivata parziale di f in x̄ rispetto alla variabile x i
è la derivata direzionale di f in x̄ nella direzione e i (i -esimo vettore della base canonica).
(b) ⇔ (c):
segue dal cambio di variabile x − x̄ = h (v. Teorema 3.4.3).
(b) ⇔ (d):
segue dalla definizione di o piccolo
(b) ⇒ (a):
Definiamo l’applicazione T : Rn → R, T (v) := 〈∇ f (x̄), v〉. Essa è un’applicazione lineare e
quindi dalla (5.3.6) otteniamo che la richiesta (5.3.1) è soddisfatta.
Corollario 5.3.6.
Sia f : A → R, A ⊆ R, e sia x̄ ∈ int A.
Allora
f è derivabile in x̄ ⇔ f è differenziabile in x̄.
D IMOSTRAZIONE .
⇐: ovvia.
⇒:
Se f è derivabile in x̄ allora
f (x) − f (x̄)
µ ¶
0
lim − f (x̄) = 0
x→x̄ x − x̄
che è equivalente a
f (x) − f (x̄) + f 0 (x̄)(x − x̄)
¡ ¢
lim = 0,
x→x̄ x − x̄
che è vera se e solo se
¯ f (x) − f (x̄) + f 0 (x̄)(x − x̄) ¯
¯ ¡ ¢¯
lim ¯ ¯ = 0,
x→x̄ ¯ x − x̄ ¯
Conseguenza del Teorema 5.3.7 è che il gradiente dà la direzione e il verso di massima pen-
denza.
Proposizione 5.3.10 (Gradiente e direzione di massima pendenza).
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A. Sia f differenziabile in x̄, con ∇ f (x̄) 6= 0. Allora, posto
∇ f (x̄)
µ := |∇ f (x̄)| , si ha
∂f ∂f
½ ¾
n
(x̄) = max (x̄) : ν versore di R .
∂µ ∂ν
66 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
D IMOSTRAZIONE .
Dal Teorema 5.3.7 si ha che per ogni versore ν è
∂f
(x̄) = 〈∇ f (x̄), ν〉.
∂ν
Per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz e ricordando che ν è un versore,
− ¯∇ f (x̄)¯ ≤ 〈∇ f (x̄), ν〉 ≤ ¯∇ f (x̄)¯ .
¯ ¯ ¯ ¯
∇ f (x̄)
Se ν = |∇ f (x̄)| si ha
〈∇ f (x̄), ν〉 = ¯∇ f (x̄)¯ .
¯ ¯
Osservazione 5.3.11.
In virtù della Proposizione 5.3.10 si usa dire che ∇ f (x̄) indica la direzione e il verso di mas-
∇ f (x̄)
sima pendenza della f in x̄. Si noti che |∇ f (x̄)| è l’unico versore che realizza il massimo di
∂f
{ ∂ν (x̄) : ν versore di Rn }. Infatti, se u, v ∈ Rn sono vettori non nulli, allora
〈u, v〉 ≤ |u||v|
e vale l’uguale se e solo se u e v sono linearmente dipendenti ed equiorientati (ossia: esiste
t > 0 tale che v = t u). Infatti
〈u, v〉 = |u||v| cos θ
dove θ indica l’angolo, in radianti, formato dai due vettori e cos θ = 1 se e solo se esiste t > 0
tale che v = t u.
D IMOSTRAZIONE .
Dal Corollario 5.3.5 (d) f è derivabile in x̄ e
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + o(|x − x̄|) per x → x̄.
Quindi, ricordando che |o(|x − x̄|)| = o(|x − x̄|) per le regole degli o piccoli,
0 ≤ | f (x) − f (x̄)| ≤ |〈∇ f (x̄), x − x̄〉| + o(|x − x̄|) per x → x̄.
Usando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz, Lemma 4.1.1:
0 ≤ | f (x) − f (x̄)| ≤ |∇ f (x̄)| · |x − x̄| + o(|x − x̄|) per x → x̄.
5.3. DIFFERENZIABILITÀ 67
Dato che
lim |∇ f (x̄)| · |x − x̄| = 0, lim o(|x − x̄|) = 0,
x→x̄ x→x̄
concludiamo per il Teorema dei carabinieri che
lim | f (x) − f (x̄)| = 0
x→x̄
e da qui la tesi.
Teorema 5.3.13.
Siano x̄ ∈ Rn , r > 0 e f : B (x̄, r ) → R derivabile, con le derivate parziali f xi : B (x̄, r ) → R
continue in x̄.
Allora f è differenziabile in x̄.
D IMOSTRAZIONE .
Siano x = (x 1 , · · · , x n ) ∈ B (x̄, r ) \ {x̄} e x̄ = (x̄ 1 , · · · , x̄ n ).
Definiamo x 0 = x, x n = x̄ e
x k := (x̄ 1 , · · · , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) k ∈ {1, 2, · · · , n − 1}.
osserviamo che
x k−1 − x k = (x̄ 1 , · · · , x̄ k−1 , x k , x k+1 , · · · , x n ) − (x̄ 1 , · · · , x̄ k−1 , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) = (x k − x̄ k )e k
dove e k è il k-esimo vettore della base canonica di Rn .
Consideriamo i segmenti
[x k , x k−1 ] := {x k + t (x k−1 − x k ) : t ∈ [0, 1]} = {x k + t (x k − x̄ k )e k : t ∈ [0, 1]} ⊆ B (x̄, r ),
Si ha
n
n
0
( f (x k−1 ) − f (x k )).
X
f (x) − f (x̄) = f (x ) − f (x ) = (5.3.8)
k=1
Possiamo supporre che sia x k−1 6= x k per ogni k. Se ci fosse infatti un k ∈ {1, · · · , n} per cui
x k−1 = x k , allora nella sommatoria verrebbe a mancare un addendo, e ci si limiterebbe a
considerare gli addendi restanti.
Per ogni k ∈ {1, 2, · · · , n} definiamo g k : [0, 1] → R,
g k (s) = f (x k + s(x k−1 − x k )) = f (x k + s(x k − x̄ k )e k ).
Tale funzione è derivabile in [0, 1], e si ha
g k0 (s) = (x k − x̄ k ) f xk (x k + s(x k − x̄ k )e k ). (5.3.9)
Infatti, per ogni s ∈ [0, 1],
g k (s + τ) − g k (s) f (x k + (s + τ)(x k − x̄ k )e k ) − f (x k + s(x k − x̄ k )e k )
lim = lim . (5.3.10)
τ→0 τ τ→0 τ
68 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
x k + s(x k − x̄ k )e k =: y k ,
n
f (x) − f (x̄) = f (x 0 ) − f (x n ) = (x k − x̄ k ) f xk (x k + s k (x k − x̄ k )e k ).
X
k=1
Ovviamente
¯ ¯
¯ x k − x̄ k ¯ |x k − x̄ k |
¯ |x − x̄| ¯ = |x − x̄| ≤ 1.
¯ ¯
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 69
Osserviamo che
|x k + s k (x k − x̄ k )e k − x̄|
≤ |(x̄ 1 , · · · , x̄ k , x k+1 , · · · , x n ) − (x̄ 1 , · · · , x̄ k , x̄ k+1 , · · · , x̄ n ) + s k (x k − x̄ k )e k |
≤ |(0, · · · , 0, s k (x k − x̄ k ), x k+1 − x̄ k+1 , · · · , x n − x̄ n )|
s
X n
= s k2 (x k − x̄ k )2 + (x i − x̄ i )2 ≤ |x − x̄|,
i =k+1
Definizione 5.4.3.
Siano f : A → Rm , A ⊆ Rn insieme aperto.
Diciamo che f è derivabile se f è derivabile in ogni punto di A.
Teorema 5.4.5.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(a) f è continua in x̄
(b) ogni componente di f è continua in x̄.
D IMOSTRAZIONE .
Viene immediatamente dalla Proposizione 3.4.2.
Teorema 5.4.6.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(i) f ha la derivata parziale in x̄ rispetto alla variabile x i
(ii) ogni componente di f ha la derivata parziale in x̄ rispetto alla variabile x i
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 71
Definizione 5.4.8.
Sia f : A → Rn , A ⊆ Rn , e sia f derivabile in x̄, punto interno di A.
Il determinante della matrice Jacobiana di f in x̄, che in questo caso è una matrice quadrata
di ordine n, si chiama Jacobiano di f .
72 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Teorema 5.4.9.
Siano f : A → Rm , m ≥ 1, A ⊆ Rn , f = ( f 1 , · · · , f m ) e sia x̄ ∈ int A. Sono equivalenti le seguenti.
(a) f è differenziabile in x̄
(b) per ogni i ∈ {1, · · · , n} f i è differenziabile in x̄.
Inoltre, l’applicazione lineare T ∈ L(Rn , Rm ), soddisfacente
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + T (x − x̄)
lim = 0,
x→x̄ |x − x̄|
è tale che
∇ f 1 (x̄)
x1 x1
∇ f 2 (x̄)
x2 x2
T (x) = T (x 1 , · · · , x n ) = D f (x̄) . =
..
..
.. .
.
xn
xn
∇ f m (x̄)
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
∂x (x̄) ∂x (x̄) · · · ∂x (x̄)
1 2 n
∂f ∂ ∂
2 f 2 f 2
x
1
(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n x2
= .
.
.
.
.. .
.. . .. .
..
xn
∂ fm ∂ fm ∂ fm
(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n
D IMOSTRAZIONE .
L’equivalenza di (a) e (b) risulta dalla Proposizione 3.4.2.
Da quanto dimostrato sopra, se ogni componente f j è differenziabile in x̄ allora f j è deriva-
bile in x̄ e l’applicazione T j ∈ L(Rn , R) che soddisfa
¡ ¢
f j (x) − f j (x̄) + T j (x − x̄)
lim =0
x→x̄ |x − x̄|
è tale che
v1
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1 v2
µ ¶
T j (v) = 〈∇ f j (x̄), v〉 = (x̄) (x̄) · · · (x̄) .. v ∈ Rn .
∂x 1 ∂x 2 ∂x n .
vn
5.4. CALCOLO DIFFERENZIALE: FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 73
Ne deduciamo che
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
(x̄) (x̄) ··· (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n
〈∇ f 1 (x̄), v〉
∂ f 2 (x̄) ∂ f2 ∂ f2
T1 (v) v1
〈∇ f 2 (x̄), v〉 (x̄) ··· (x̄)
T2 (v) ∂x 1 ∂x 2 ∂x n v2
T (v) = .. =
= .. .
. .. .
.. .. ..
. ..
Tm (v)
. . . .
vn
〈∇ f m (x̄), v〉 ∂ fm
∂ fm ∂ fm
(x̄) (x̄) · · · (x̄)
∂x 1 ∂x 2 ∂x n
Corollario 5.4.10.
Siano f : A → Rm , A ⊆ R, e sia x̄ ∈ int A.
f è derivabile in x̄ se e solo se f è differenziabile in x̄.
D IMOSTRAZIONE .
Segue dal Teorema 5.4.9 e dal Corollario 5.3.6.
Esercizio 5.4.12.
Sia f : Ω → Rm , con Ω ⊆ Rn aperto, tale che
f (x) = Ax ∀x ∈ Ω,
con A ∈ M m×n . Dimostrare che f è differenziabile (anzi, di classe C k per ogni k ≥ 1) e che,
per ogni x ∈ Ω, d f (x) ∈ L(Rn , Rm ) è l’applicazione lineare associata alla matrice A, ossia
d f (x)(v) = Av ∀v ∈ Rn .
74 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
D IMOSTRAZIONE .
(i): segue dall’Osservazione 5.1.3. I dettagli sono lasciati al lettore.
(ii)1 :
j j
Siano i ∈ {1, · · · , n} e j ∈ {1, · · · , m}. Se esistono le derivate parziali per ogni f xi e g xi in x̄,
ricordando che esse sono delle derivate di funzioni di una variabile (v. Osservazione 5.1.3),
j
allora esiste ( f + g )xi in x̄ e
j j j
( f + g )xi (x̄) = f xi (x̄) + g xi (x̄). (5.4.4)
(ii)2 :
Per ipotesi esistono i differenziali di f e g in x̄ e
¡ ¢
f (x) − f (x̄) + D f (x̄)(x − x̄)
lim =0
x→x̄ |x − x̄|
¡ ¢
g (x) − g (x̄) + D g (x̄)(x − x̄)
lim = 0,
x→x̄ |x − x̄|
dove D f (x̄) e D g (x̄) sono le matrici Jacobiane di f e g in x̄.
Sommando si ha, per le proprietà dei limiti e delle matrici rispetto alla somma:
¡ ¢
( f + g )(x) − ( f + g )(x̄) + (D f (x̄) + D g (x̄))(x − x̄)
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|
Essendo
(5.4.4)
(D f (x̄) + D g (x̄))(v) = D( f + g )(x̄)(v), (5.4.5)
deduciamo che ¡ ¢
( f + g )(x) − ( f + g )(x̄) + D( f + g )(x̄)(x − x̄)
lim = 0.
x→x̄ |x − x̄|
L’applicazione T : R → Rm ,
n
T (v) = D( f + g )(x̄)(v) v ∈ Rn
è lineare. Dunque f + g è differenziabile in x̄ e
(5.4.5)
d ( f + g )(x̄) = d f (x̄) + d g (x̄).
5.5. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI DIFFERENZIABILI 75
Esempio 5.5.1 (La composizione di due funzioni derivabili può non essere derivabile).
Si consideri la funzione dell’Esempio 5.1.7:
Sia f : R → R2 , f (t ) = (t , t 2 ). Si noti che f (0) = (0, 0). f è un funzione di una variabile reale ed
è derivabile (N.B. anche differenziabile, essendo funzione di una variabile).
Sia g : R2 → R,
( 2
x y
se (x, y) 6= (0, 0) ,
g (x, y) = x 4 +y 2
0 se (x, y) = (0, 0)
La funzione g non è continua in (0, 0) (v. Esempio 5.1.7), quindi non è differenziabile per il
Teorema 5.3.13. È però derivabile in (0, 0) e ∇g (0, 0) = (0, 0).
Si ha g ◦ f : R → R,
t4
(
t 4 +t 4
= 21 se t 6= 0 ,
g ◦ f (t ) =
0 se t = 0
Dunque, la funzione g ◦ f non è continua, né derivabile in 0.
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso m = 1.
(b) ⇒ (a):
Supponiamo (b).
76 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Pertanto
f (x̄ + h) = f (x̄) + Φ(x̄)h + o(khk) per h → 0.
∇ f (x̄) = Φ(x̄)t .
(a) ⇒ (b):
Facciamo la dimostrazione nel caso m = 1.
Definiamo la funzione
Definiamo ora
(
x−x̄
∇ f (x̄) + w(x) kx− se x ∈ A \ {x̄}
ψ : A → Rn , ψ(x) = x̄k2
∇ f (x̄) se x = {x̄}
Ovviamente
x = x̄ ⇒ f (x) = f (x̄) = f (x̄) + 〈ψ(x), x − x̄〉.
Se x 6= x̄
x − x̄
〈ψ(x), x − x̄〉 = 〈∇ f (x̄) + w(x) , x − x̄〉
kx − x̄k2
= 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + w(x) = f (x) − f (x̄)
da cui
f (x) = f (x̄) + 〈ψ(x), x − x̄〉 se x 6= x̄
Teorema 5.5.4.
Sia f : A → Rm , A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A.
Sia g : B → Rp , B ⊆ Rm , f (A) ⊆ B , f (x̄) ∈ int B .
Se f è differenziabile in x̄ e g è differenziabile in f (x̄), allora
(a) g ◦ f : A → Rp è differenziabile in x̄
VERS . 13-10-2021.
(a):
Per la Proposizione 5.5.3 esistono
e
Ψ : B → M (p, m), Ψ continua in f (x̄), Ψ( f (x̄)) = D g ( f (x̄))
tali che
f (x) = f (x̄) + Φ(x)(x − x̄) ∀x ∈ A. (5.5.3)
e
g (y) = g ( f (x̄)) + Ψ(y)(y − f (x̄)) ∀y ∈ B. (5.5.4)
78 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Si ha quindi:
(5.5.4)
g ◦ f (x) = g ( f (x)) = g ( f (x̄)) + Ψ( f (x))( f (x) − f (x̄))
(5.5.3)
= g ( f (x̄)) + Ψ( f (x))(Φ(x)(x − x̄))
= g ◦ f (x̄)) + (Ψ( f (x))Φ(x))(x − x̄) ∀x ∈ A.
Si noti che
β
x 7→ Ψ( f (x))Φ(x)
è una funzione da A a M (p, n).
Per concludere, resta da dimostrare che β è continua in x̄. Ciò segue dal fatto che, essendo f
differenziabile in x̄ e g differenziabile in f (x̄),
(i) Φ continua in x̄
(ii) f continua in x̄ (da Proposizione 5.3.12)
(iii) Ψ continua in f (x̄)
e tenendo conto che (ii) e (iii) implicano
Conseguenza del Corollario 5.4.10 e Teorema 5.5.4 è il seguente risultato.
Corollario 5.5.5.
Sia γ : I → Rm , I intervallo di R, t̄ ∈ int I .
Sia f : B → Rp , B ⊆ Rm , γ(I ) ⊆ B , γ(t̄ ) ∈ int B .
Se γ è derivabile in t̄ e f è differenziabile in γ(t̄ ), allora f ◦ γ : I → Rp è differenziabile in t̄ e
D IMOSTRAZIONE .
Segue dal Corollario 5.4.10 e dal Teorema 5.5.4 e dal fatto che
Corollario 5.5.6.
Siano A ⊆ Rn aperto
f : A → Rm , f (x) = ( f 1 (x 1 , · · · , x n ), f 2 (x 1 , · · · , x n ), · · · , f m (x 1 , · · · , x n )),
g : B → R, g (y) = g (y 1 , y 2 , · · · , y m ).
Se f e g sono differenziabili e f (A) ⊆ B , allora g ◦ f : A → R è differenziabile e
∂(g ◦ f ) Xm ∂g ∂fj
(x̄) = ( f (x̄)) (x̄).
∂x i j =1 ∂y j ∂x i
Osservazione 5.5.8.
Sia f : A → Rm , A insieme aperto di Rn , f derivabile.
Sia g : B → Rp , B insieme aperto di Rm , f (A) ⊆ B , g derivabile.
In generale, non è vero che la composizione g ◦ f : A → Rp sia derivabile, come mostra il
seguente esempio.
5.5.1. Derivata sotto il segno di integrale. Una applicazione importante della proprietà
della composizione di funzioni regolari è quella che passa col nome di derivazione sotto il
segno di integrale.
Teorema 5.5.9.
Siano A ⊆ Rn un aperto, α, β : A → R due funzioni continue e f : A × R → R continua.
Sia Φ : A → R β(x)
Φ(x) = f (x, t ) d t x ∈ A.
α(x)
Valgono le seguenti:
(a) Φ è continua
80 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
(b) se α, β ∈ C 1 e per ogni i ∈ {1, · · · , n} esiste f xi ∈ C 1 (A × R), allora Φ ∈ C 1 (A) e, per ogni
x ∈ A,
β(x)
∂Φ ∂β ∂α ∂f
(x) = f (x, β(x)) (x) − f (x, α(x)) (x) + (x, t ) d t .
∂x i ∂x i ∂x i α(x) ∂x i
D IMOSTRAZIONE .
Sia F : A × R × R → R,
z
F (x, y, z) := f (x, t ) d t x ∈ A ⊆ Rn , y, z ∈ R.
y
(a):
Dimostriamo che F è continua. Sia (x 0 , y 0 , z 0 ) ∈ A × R × R. Sia K ⊆ A un compatto tale x 0 ∈
int K . Siano a, b ∈ R tali che y, z ∈]a, b[. Allora
Per ogni (x, y, z) ∈ K × [a, b] × [a, b] si ha, per la proprietà di additività e di monotonia dell’in-
tegrale di Riemann (v. A.M.1B)
¯ z0 ¯
¯ z ¯
|F (x, y, z) − F (x 0 , y 0 , z 0 )| = ¯ f (x, t ) d t − f (x, t ) d t ¯
¯ ¯
¯ y y0 ¯
¯ z0 z z0 ¯
¯ y0 ¯
≤¯ f (x, t ) d t + f (x, t ) d t + f (x, t ) d t − f (x 0 , t ) d t ¯
¯ ¯
¯ y y0 z0 y0 ¯
¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y0 ¯ ¯ z0 ¡ ¢ ¯¯ ¯ z
¯
¯
≤¯ f (x, t ) d t ¯ + ¯ f (x, t ) − f (x 0 , t ) d t ¯ + ¯¯ f (x, t ) d t ¯¯
¯ ¯ ¯
¯ y ¯ ¯ y0 ¯ z0
¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y0 ¯ ¯ z0 ¯ ¯ ¯¯ ¯ z
¯
¯
≤¯ | f (x, t )| d t ¯ + ¯ f (x, t ) − f (x 0 , t ) d t ¯ + ¯ | f (x, t )| d t ¯¯ .
¯ ¯ ¯ ¯ ¯ ¯
¯ y ¯ ¯ y0 ¯ z0
Scegliendo (x 1 , t 1 ) = (x, t ) e (x 2 , t 2 ) = (x 0 , t ) si ha
per ogni y ∈]y 0 −², y 0 −²[⊂ [a, b] e per ogni z ∈]z 0 −², z 0 −²[⊂ [a, b] e per ogni x ∈ K , |x−x 0 | < δ.
Ciò significa che
(b):
Dimostriamo che F ∈ C 1 (A × R × R) e che per ogni x ∈ A e per ogni y, z ∈ R,
z
∇x F (x, y, z) = ∇x f (x, t ) d t , F y (x, y, z) = − f (x, z), F z (x, y, z) = f (x, z). (5.5.7)
y
Dervabilità rispetto a z: per il Teorema fondamentale del calcolo integrale, per ogni x ∈ A,
z
∀y ∈ R z 7→ f (x, t ) d t è derivabile rispetto a z
y
e
∂F
∀y ∈ R (x, y, z) = f (x, z).
∂z
Tale derivata è una funzione continua perché f è continua per ipotesi.
Dervabilità rispetto a y: essendo
z y
f (x, t ) d t = − f (x, t ) d t ,
y z
e
∂F
∀z ∈ R (x, y, z) = − f (x, y).
∂y
Tale derivata è una funzione continua perché f è continua per ipotesi.
82 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Essendo per ipotesi (x, t ) 7→ f xi (x, t ) continua in A × R, in particolare è continua la sua restri-
zione
f xi : K → R, K := [x − δe i , x + δe i ] × [min{y, z}, max{y, z}].
Si noti che K è un compatto, allora per il Teorema di Heine-Cantor, f xi |K è uniformemente
continua. Pertanto, per ogni ² > 0 esiste δ1 ∈]0, δ] tale che
Essendo
β(x)
Φ(x) := f (x, t ) d t = F (x, α(x), β(x)) x ∈ A,
α(x)
Definizione 5.6.1.
Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto di Rn . Sia f derivabile rispetto alla variabile x i .
∂f
Se ∂x : A → R è derivabile in x̄ ∈ A allora sono definite
i
∂ ∂f ∂ ∂f ∂ ∂f ∂ ∂f
( )(x̄), ( )(x̄), ··· ( )(x̄), ··· ( )(x̄)
x 1 ∂x i x 2 ∂x i x i ∂x i x n ∂x i
che si usano scrivere
∂2 f ∂2 f ∂2 f ∂2 f
(x̄), (x̄), ··· (x̄) ··· (x̄)
∂x 1 ∂x i ∂x 2 ∂x i ∂x i2 ∂x n ∂x i
o più semplicemente,
Definizione 5.6.2.
Sia f : A → R, A ⊆ Rn , A aperto di Rn . Diciamo che f è di classe C k , k ≥ 1, e scriviamo
f ∈ C k (A), se esistono tutte le derivate di f fino all’ordine k e queste sono continue.
Si usa dire che f è di classe C 0 , se f è continua.
Definizione 5.6.3.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , x̄ ∈ int A,
84 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Se esistono tutte le derivate parziali del secondo ordine di f in x̄ (esse sono n×n), si definisce
matrice hessiana di f in x̄ la seguente matrice quadrata di ordine n:
f x1 x1 (x̄) f x1 x2 (x̄) · · · f x1 xn (x̄)
f x2 x1 (x̄) f x2 x2 (x̄) · · · f x2 xn (x̄)
D 2 f (x̄) = .
.
.. .
.. . .. .
..
f xn x1 (x̄) f xn x2 (x̄) · · · f xn xn (x̄)
Il suo determinante si chiama Hessiano di f in x̄, a volte indicato H f (x̄).
D IMOSTRAZIONE .
Iniziamo la dimostrazione considerando il caso n = 2. Dimostriamo cioè il seguente risulta-
to:
Se f : A → R, A aperto di R2 .
(i) esistono f x e f y
(ii) f x e f y sono differenziabili in (x̄, ȳ) ∈ A,
allora
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).
f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y x (x̄, ȳ)r + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(r, ηr )|) per r → 0
e
f y (x̄, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(0, ηr )|) per r → 0.
Pertanto
f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) = f y (x̄, ȳ) + f y x (x̄, ȳ)r + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(r, ηr )|)
− f y (x̄, ȳ) + f y y (x̄, ȳ)ηr + o(|(0, ηr )|)
¡ ¢
si ottiene
G(1) −G(0) = f y x (x̄, ȳ)r 2 + r o(r ) per r → 0. (5.6.8)
Ricordando che F (1) − F (0) = G(1) −G(0), deduciamo da (5.6.4) e (5.6.8) che
Mandando r a 0, otteniamo
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).
Per la dimostrazione per n > 2, fissati i , j ∈ {1, · · · , n}, i < j , basta considerare la funzione di
due variabili
(x i , x j ) 7→ f (x̄ 1 , x̄ 2 , · · · , x̄ i −1 , x i , x̄ i +1 , · · · , x̄ j −1 , x j , x̄ j +1 , · · · , x̄ n )
f xi x j (x̄) = f x j xi (x̄).
5.6. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE 87
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione per n = 2. Dimostriamo cioè il seguente risultato:
Se f : A → R, A aperto di R2 , con f derivabile fino al secondo ordine e se f x y e f y x sono continue
in (x̄, ȳ) ∈ A, allora
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).
Consideriamo K : [0, 1] → R,
K (t ) := f y (x̄ + t r, ȳ + ηr ).
K è derivabile e, per il Teorema di Lagrange, si ha che esiste τ ∈]0, 1[ tale che
f y (x̄ + r, ȳ + ηr ) − f y (x̄, ȳ + ηr ) = K (1) − K (0) = K 0 (τ) = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r.
Raccogliendo le informazioni si ha e
G(1) −G(0) = (K (1) − K (0))r = K 0 (τ)r = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r 2 .
Osserviamo che F (1) − F (0) = G(1) −G(0), infatti:
¡ ¢
F (1) − F (0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ)
e
¡ ¢
G(1) −G(0) = f (x̄ + r, ȳ + r ) − f (x̄, ȳ + r ) − f (x̄ + r, ȳ) − f (x̄, ȳ) .
Abbiamo così dimostrato che
f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr )r 2 = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr )r 2
da cui, semplificando per r 2 ,
f x y (x̄ + ξr, ȳ + ζr ) = f y x (x̄ + τr, ȳ + ηr ).
Mandando r a 0 e sfruttando la continuità di f x y e f x y in (x̄, ȳ), otteniamo
f x y (x̄, ȳ) = f y x (x̄, ȳ).
Per la dimostrazione per n > 2, fissati i , j ∈ {1, · · · , n}, i < j , basta considerare la funzione di
due variabili
(x i , x j ) 7→ f (x̄ 1 , x̄ 2 , · · · , x̄ i −1 , x i , x̄ i +1 , · · · , x̄ j −1 , x j , x̄ j +1 , · · · , x̄ n )
e applicare ad essa il risultato appena dimostrato.
Corollario 5.6.6.
Sia f : A → R, A aperto di Rn , con f derivabile fino al secondo ordine.
Se f xi x j e f x j xi sono continue in x̄ ∈ A, allora
f xi x j (x̄) = f x j xi (x̄).
5.7. FORMULA DI TAYLOR 89
Corollario 5.6.7.
Sia f : A → R, A aperto di Rn . Se f ∈ C 2 (A) allora la matrice hessiana di f è simmetrica.
Esercizio 5.6.8.
Dimostrare che se f : R2 → R,
x y3
se (x, y) 6= (0, 0)
x2 + y 2
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0)
allora si ha
f x y (0, 0) = 1, f y x (0, 0) = 0
Definizione 5.7.1.
Siano f : A → R, A ⊆ Rn , e sia x̄ ∈ int A.
Se f è differenziabile in x̄, si chiama Polinomio di Taylor di I grado della funzione f centrato
in x̄ il polinomio di I grado nelle variabili x 1 , · · · , x n
Osservazione 5.7.2.
I polinomi P di I grado nelle variabili x 1 , · · · , x n tali che P (x̄) = f (x̄) sono tutti e soli i polinomi
n
u i (x i − x̄ i ) con u ∈ Rn .
X
P (x) = P (x 1 , · · · , x n ) = f (x̄) + 〈u, x − x̄〉 = f (x̄ 1 , · · · , x̄ n ) +
i =1
per il Teorema 5.3.2 (i) è l’unico polinomio di I grado nella variabile x per il quale valgono:
½
f (x) = P (x) + o(|x − x̄|) per x → x̄
f (x̄) = P (x̄).
90 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
Per questo motivo, si usa dire che, tra gli iperpiani di Rn+1 passanti per (x̄, f (x̄)), quello “che
meglio approssima il grafico di f vicino a (x̄, f (x̄))” è quello di equazione
r r
Lemma 5.7.5. Siano x̄ ∈ Rn , r > 0, e f : B (x̄, r ) → R. Sia v ∈ Rn \ {0} e sia F :] − |v| , |v| [→ R,
F (t ) = f (x̄ + t v).
r r
Se f è differenziabile in B (x̄, r ) allora F è derivabile in ] − |v| , |v| [e
D IMOSTRAZIONE .
Per le prime due uguaglianze si vedano i Corollari 5.5.5 e 5.5.7.
Sia f ∈ C 2 . Allora F è in C 2 , essendo composizione di funzioni C 2 .
Risulta
n
F 0 (t ) =
X
f xi (x̄ + t v)v i ,
i =1
5.7. FORMULA DI TAYLOR 91
dunque
n X
n
F 00 (t ) = f xi x j (x̄ + t v)v i v j = 〈D 2 f (x̄ + t (x − x̄))v, v〉.
X
j =1 i =1
D IMOSTRAZIONE .
Siano x, x̄ ∈ A tali che [x̄, x] ⊆ A. Definiamo F : [0, 1] → R, F (t ) = f (x̄ + t (x − x̄)). Si ha che
F ∈ C 1 , essendo composizione di funzioni C 1 .
Applicando a F la formula di Taylor del secondo ordine con resto di Lagrange per funzioni di
1 variabile, otteniamo che esiste τ ∈]0, 1[ tale che
1
f (x) = f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 + 〈D 2 f (x̄ + τ(x − x̄))(x − x̄), x − x̄〉.
2
Essendo τ ∈]0, 1[, deduciamo che ξ := x̄ + τ(x − x̄) è il punto di ]x̄, x[ cercato.
Multi-indice:
α = (α1 , α2 , · · · , αn ), αi ∈ N ∪ {0}.
|α| = altezza di α := ni=1 αi
P
α α α
x α := x 1 1 x 2 2 · · · x n n
α! = α1 !α2 ! · · · αn !
∂|α| f
D α f (x̄) = D (α1 ,α2 ,··· ,αn ) f (x̄) = α α α (x̄),
∂x 1 1 ∂x 2 2 · · · ∂x n n
con la convenzione:
D (0,··· ,0) f (x̄) = f (x̄)
1 X n
+ f x ,x ,··· ,xi (ξ)(x − x̄)i 1 (x − x̄)i 2 · · · (x − x̄)i k , (5.7.1)
k! i 1 ,i 2 ,··· ,i k =1 i 1 i 2 k
Esercizio 5.7.9.
Verificare che se k = 1 e k = 2 le formule (5.7.1) e (5.7.2) sono uguali e coincidono con le
formule dei Teoremi 5.7.6 e 5.7.7.
Deduciamo quindi
¯ v
¯〈(D 2 f (ξ) − D 2 f (x̄))(x − x̄), x − x̄〉¯ u
¯
uX n
0≤ ≤ t ( f xi x j (ξ) − f xi x j (x̄))2 .
|x − x̄|2 i , j =1
Per funzioni a valori vettoriali non è valido il Teorema 5.7.6, come mostra il seguente esem-
pio.
Esempio 5.7.11.
µ ¶
cos t
Sia f : [0, 2π] → R , f (t ) =
2
. Allora
sin t
µ ¶ µ ¶ µ ¶
0 0 − sin t 0
f (2π) − f (0) = , f (t ) = 6= .
0 cos t 0
Dunque
6 ∃ τ ∈ [0, 2π] : f (2π) − f (0) = 2π f 0 (τ).
Per funzioni a valori vettoriali vale, però, una variante del Teorema 5.7.6.
Proposizione 5.7.12.
Siano A ⊆ Rn , A aperto e f : A → Rm differenziabile.
Siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A. Se v ∈ Rm , allora esiste z ∈]x̄, x[ tale che
〈 f (x) − f (x̄), v〉 = 〈D f (z)(x − x̄), v〉.
D IMOSTRAZIONE .
Fissato v ∈ R, definiamo F : [0, 1] → R, F (t ) = 〈 f (x̄ + t (x − x̄)), v〉, ossia
m
X
F (t ) = f i (x̄ + t (x − x̄))v i .
i =1
Osserviamo che
〈∇ f i (x̄ + t (x − x̄), x − x̄〉 = i -esima riga di D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄),
da cui
m ¡
F 0 (t ) =
X ¢
D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄) i v i = 〈D f (x̄ + t (x − x̄))(x − x̄), v〉.
i =1
Si ottiene così la tesi, con z = x̄ + τ(x − x̄).
5.8. ESERCIZI 95
5.8. Esercizi
1
5) f (cos(g (t )), arctan t ), 6) f (g (2t ), g 2 (t )), 7) f (1 + g (1 + 3t ), p ), 8) f (t + g (t ), log2 t ).
g( t)
[Sol. es: 5.8.2: 1) f x (t , t 3 ) + f y (t , t 3 )3t 2 ,
2) f x (log t , sin t ) 1t + f y (log t , sin t ) cos t ,
3) f x (g (t ), 1 − t 2 )g³ 0 (t ) +´f y (g (t ), 1 − t 2 )(−2t ),
p 1
p
4) f x (− t , g 2 (t )) − p + f y (− t , g 2 (t ))2g (t )g 0 (t ),
2 t ¡
1
5) f x (cos(g (t )), arctan t ) − sin(g (t ))g 0 (t ) + f y (cos(g (t )), arctan t ) 1+t
¢
2,
2 0 2 0
6) f x (g (2t ), g (t ))g (2t )2 + f y (g (2t ), g (t ))2g (t )g (t ),
1 1
p 1
7) f x (1 + g (1 + 3t ), p )g 0 (1 + 3t )3 + f y (1 + g (1 + 3t ), p ) 2−1
p g 0( t ) p ,
g( t) g( t) g ( t) 2 t
1
8) f x (t + g (t ), log2 t )(1 + g 0 (t )) + f y (t + g (t ), log2 t ) t log 2 .]
e
Studiare la differenziabilità di f .
1 p
3
Esercizio 5.8.7 (I). Siano f (x, y) = e x 3 y 2 e λ = ( 12 , − 2 ). Calcolare, se esistono,
(a) lim f (x, y).
(x,y)→(0,0)
∂f
(b) ∂λ
(1, 2).
SOLUZIONE:
f è chiaramente continua in (0, 0) ma non è derivabile in (0, 0), infatti non esiste la derivata
parziale rispetto a x, non esistendo il seguente limite
f (h, 0) − f (0, 0) h 2/3
lim = lim = lim h −1/3 .
h→0 h h→0 h h→0
h6
f (h, 0) − f (0, 0) − 4 ∂f
lim = lim h = lim −h = 0 = (0, 0)
h→0 h h→0 h h→0 ∂x
e
f (0, k) − f (0, 0) ∂f
lim = lim 0 = 0 = (0, 0).
k→0 k k→0 ∂y
Differenziabilità: f non è differenziabile in (0, 0), infatti
|h|k 4 −h 6
f (h, k) − [ f (0, 0) + f x (0, 0)h + f y (0, 0)k] (h 2 +k 2 )2 |h|k 4 − h 6
lim p = lim p = lim .
(h,k)→(0,0) h2 + k 2 (h,k)→(0,0) h 2 + k 2 (h,k)→(0,0) (h 2 + k 2 )5/2
Scegliendo k = h ottengo:
¶5
|h|5 − h 6 |h|5 (1 − |h|)
µ
1 |h| 1
lim = lim = 5/2 lim = ,
h→0 25/2 h 5 h→0 25/2 |h|5 2 h→0 |h| 25/2
dunque tale limite non è 0.
(y − x)3
se (x, y) 6= (0, 0)
x2 + y 2 + x2 y 2
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0).
SOLUZIONE:
f è continua in (0, 0). Infatti, in coordinate polari:
(−h)3
f (h, 0) − f (0, 0) 2 ∂f
lim = lim h = −1 = (0, 0)
h→0 h h→0 h ∂x
5.8. ESERCIZI 99
e
k3
f (0, k) − f (0, 0) 2 ∂f
lim = lim k = 1 = (0, 0)
k→0 k k→0 k ∂y
Differenziabilità: f non è differenziabile in (0, 0), infatti
3
(k−h)
f (h, k) − [ f (0, 0) + f x (0, 0)h + f y (0, 0)k] h 2 +k 2 +h 2 k 2
+h −k
lim p = lim p
(h,k)→(0,0) h2 + k 2 (h,k)→(0,0) h2 + k 2
Tale limite non è 0, anzi non esiste, come si può verificare restringendosi alla retta k = 2h.
SOLUZIONE:
Il dominio è R2 . I punti di sicura derivabilità di f sono gli (x, y) con y 6= 0. Esaminiamo la
derivabilità in (x, 0). Si ha
f (x + h, 0) − f (x, 0) 0−0 ∂f
lim = lim =0= (x, 0)
h→0 h h→0 h ∂x
e
2 2 2
+k 2 )
f (x, k) − f (x, 0) |k|e −(x +k ) − 0 |k|e −(x 2
+k 2 |k| 2 |k|
lim = lim = lim = lim e −(x lim = e −x ·lim
k→0 k k→0 k k→0 k k→0 k→0 k k→0 k
+ −
e quest’ultimo limite non esiste (fare k → 0 e k → 0 ). Dunque f non è derivabile in (x, 0)
perché manca la derivata parziale rispetto a y.
SOLUZIONE:
I punti di sicura derivabilità di f sono gli (x, y) con x e y entrambi diversi da 0, cioé non
appartenenti agli assi.
Esaminiamo la derivabilità in (0, y).
Si ha
f (h, y) − f (0, y) |h| + |y|h 2 − 0 |h| |y|h 2
lim = lim = lim + lim ;
h→0 h h→0 h h→0 h h→0 h
100 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
x − y3
Esercizio 5.8.13 (I). Si consideri f (x, y) = .
|y|
(a) Calcolarne il limite per (x, y) → (0, 0).
( q
5
y x 2 y 3 se (x, y) 6= (0, 0)
Esercizio 5.8.14. Si consideri f (x, y) =
0 se (x, y) = (0.0).
Studiare la differenziabilità di f in (0, 0).
SOLUZIONE
µ (parziale)
¶ (solo per i gradienti e senza le semplificazioni finali)
2x y 2
1) p 2 , px 2 ;
2 x y 2 x y
x y 2 −y
¡ 2 ¢
2) µe y , 2x y − 1 ; ¶
y 2 1 y 2 1 1
3) 2x arctan x + x y 2 (− 2 ), x
x y 2 x .
1+( x ) 1+( x )
Esercizio 5.8.17 (T). Sia u ∈ C 2 (Rn \ {0}) una funzione radiale, ossia
∃ v : [0, ∞[→ R tale che u(x) = v(|x|).
Calcolare ∆u(x) per x ∈ Rn \ {0}, dove ∆ è l’operatore di Laplace, ossia
n
∆u =
X
u xi xi .
i =1
RISPOSTA:
∆u = v 00 (|x|) + n−1
|x|
v 0 (|x|).
RISPOSTA:
Dominio: R2 .
Segno: f ≥ 0 sempre, f (x, y) = 0 ⇔ y = x
Continuità: sì
102 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
RISPOSTA:
Continuità: f è continua in R2 \ {(0, 0)} per ogni α ∈ R e f è continua in {(0, 0)} se e solo se
α > 0.
Differenziabilità: f è differenziabile in R2 se e solo se α > 1. f è differenziabile in R2 \ {(0, y) :
y ∈ R} per ogni α ∈ R.
Allora g 0 : R → R,
2x
se x > 0
0
g (x) = 0 se x = 0
−2x se x < 0.
Si ha
lim g 0 (x) = lim+ 2x = 0, lim g 0 (x) = lim− −2x = 0 = g 0 (0),
x→0+ x→0 x→0− x→0
da cui
lim g 0 (x) = g 0 (0).
x→0
Analogamente
f y (x, y) = 2y g (x) + 0 ⇒ f y (0, 1) = 2g (0) = 0.
Pertanto
∂f 1 1
(0, 1) = 〈(0, 0), ( p , − p )〉 = 0.
∂λ 2 2
SOLUZIONE:
1
A = {(x, y) : x 3 + 8y 3 6= 0} = {(x, y) : y 6= − x}.
2
1
In Ox y si tratta del piano senza la retta di equazione y = − 2 x.
Pertanto: 4
x − x2 y 2
se y 6= − 12 x
3
x + 8y 3
f (x, y) =
se y = − 12 x.
0
I modo:
Sia λ = (α, β) versore, con β = − 12 α. Allora
f (t α, − 21 t α) − f (0, 0) 0
lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t
f (t α, t β) − f (0, 0) t 4 (α4 − α2 β2 ) α4 − α2 β2
lim = lim 4 3 = 3 .
t →0 t t →0 t (α + 8β3 ) α + 8β3
Dunque esiste la derivata direzionale in (0, 0) qualunque sia il versore λ e
( 4 2 2
α −α β
∂f se β 6= − 12 α
λ 7→ (0, 0) = α3 +8β3
∂λ 0 se β = − 1 α. 2
f non può essere differenziabile in (0, 0), perché se lo fosse dovrebbe essere, per ogni versore
λ = (α, β)
∂f
(0, 0) = 〈∇ f (0, 0), (α, β〉 = f x (0, 0)α + f y (0, 0)β,
∂λ
5.8. ESERCIZI 105
ossia
∂f
λ 7→ (0, 0) lineare
∂λ
cosa che non è.
II modo:
f è derivabile in (0, 0) e ∇ f (0, 0) = (1, 0). Infatti:
t4
f (t , 0) − f (0, 0) 3 f (0, t ) − f (0, 0) 0
lim = lim t = 1, lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t t →0 t t →0 t
Differenziabilità: essendo f derivabile in (0, 0) studiamo
f (x, y) − ( f (0, 0) + 〈∇ f (0, 0), (x, y)〉) f (x, y) − x
lim p = lim p .
(x,y)→(0,0) x2 + y 2 (x,y)→(0,0) x2 + y 2
Se mi restringo alla retta di equazione y = − 21 x si ha:
f (x, − 1 x) − x 0−x
lim q 2 = lim q .
x→0 x→0
x 2 + 41 x 2 x 2 + 14 x 2
f (t α, − 21 t α) − f (0, 0) 0
lim = lim = 0.
t →0 t t →0 t
f (t α, t β) − f (0, 0) t 4 (α4 − α2 β2 ) α4 − α2 β2
lim = lim 4 3 = 3 .
t →0 t t →0 t (α + 8β3 ) α + 8β3
Dunque esiste la derivata direzionale in (0, 0) qualunque sia il versore λ e
( 4 2 2
α −α β
∂f se β 6= − 12 α
λ 7→ (0, 0) = α3 +8β3
∂λ 0 se β = − 1 α. 2
Esercizio 5.8.24 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Sia A ⊆ R2 il dominio naturale della fun-
zione f (x, y) = ln(4|x|2 − 2|x y|)
106 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
f (x, y) =
se (x, y) ∈ R2 , y = 0.
0
Studiare:
(a) la continuità di f nei punti di R2
(b) la differenziabilità di f in (0, 1).
SOLUZIONE:
(a)
Ovviamente f è continua nell’insieme aperto
A := {(x, y) ∈ R2 y 6= 0}
in quanto (x, y) 7→ x 2 | log(y 2 )| è, in tale insieme, composizione/prodotto di funzioni conti-
nue.
5.8. ESERCIZI 107
f y (0, 1) = 0: infatti
x 2 | log(y 2 )|
= lim p
(x,y)→(0,1) x 2 + (y − 1)2
Dato che
x 2 | log(y 2 )| |x|
0≤ p =p |x|| log(y 2 )| ≤ 1 · |x|| log(y 2 )| →(x,y)→(0,1) 0
2
x + (y − 1) 2 2
x + (y − 1) 2
SOLUZIONE:
Siano:
SOLUZIONE:
Si ha
f (x, y, z) = h(x, y, z)g (x, y, z)
dove
h : R3 → R, h(x, y, z) = xz
e
y2
½
3 se y ≥ 0
g : R → R, g (x, y, z) = y|y| = 2
−y se y < 0.
h è chiaramente di classe C 1 e
∇h(x, y, z) = (z, 0, x).
Dimostriamo che anche g è di classe C 1 : l’unico problema è valutare g y , dato che
g x ≡ 0, g z ≡ 0.
Si ha che per ogni (x, 0, z) ∈ R3 è:
g (x,t ,z)−g (x,0,z) t2
"
limt →0+ t
= limt →0+ t
=0
g (x,t ,z)−g (x,0,z) 2
−t
limt →0− t = limt →0− t = 0.
Allora esiste g y (x, 0, z) = 0. D’altra parte,
∀y < 0 g (x, y, z) = y 2 ⇒ g y (x, y, z) = 2y
e se y < 0
∀y < 0 g (x, y, z) = −y 2 ⇒ g y (x, y, z) = −2y.
Riassumendo:
g y (x, y, z) = 2|y| ∀(x, y, z) ∈ R3
110 5. CALCOLO DIFFERENZIALE
che è continua.
Pertanto:
∇g (x, y, z) = (0, 2|y|, 0)
La funzione f è quindi di classe C 1 in quanto prodotto di funzioni di classe C 1 .
Studiare la differenziabilità di f .
f (x, y) = (x + y, x y, x y 2 ), g (u, v, w) = uv 2 w
scrivere le matrici jacobiane D f (x, y), D g (u, v, w) e infine, usando la formula (5.5.2), D(g ◦
f )(x, y) .
5.8. ESERCIZI 111
v 2w uv 2
¡ ¢
D g (u, v, w) = 2uv w
x 2 y 4 (4x + 3y) x 3 y 3 (4x + 5y) .
¡ ¢
D(g ◦ f )(x, y) = D g ( f (x, y))D f (x, y) =
CAPITOLO 6
Funzioni convesse
Sia f : A → R, con A aperto di Rn e siano x 1 , x 2 ∈ A tali che il segmento che li congiunge sia
incluso in A, ossia
(1 − t )x 1 + t x 2 ∈ A per ogni t ∈ [0, 1].
Osservazione 6.0.5. Una funzione può essere convessa sulle singole variabili, senza essere
convessa. Si consideri ad esempio la funzione f : R2 → R, f (x, y) = x y.
Fissato y ∈ R, la funzione x 7→ f (x, y) è una funzione da R a R sia convessa che concava.
Analogamente, fissato x ∈ R, la funzione y 7→ f (x, y) è una funzione da R a R sia convessa che
concava. Eppure come funzione di due variabili f non è né convessa né concava.
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b)
Segue dal Lemma 6.0.6 e dall’arbitrarietà d x 0 .
(b) ⇒ (c)
Da (b) si ha che per ogni x, y ∈ A
f (y) ≥ f (x) + 〈∇ f (x), y − x〉
g (t ) = f (y + t (x − y)).
g 0 (t ) = 〈∇ f (y + t (x − y)), x − y〉.
Se t 1 , t 2 ∈ [0, 1] allora
da cui
Essendo
y + t 1 (x − y) − (y + t 2 (x − y)) = (t 1 − t 2 )(x − y)
deduciamo da (c) che
(t 1 − t 2 )(g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 )) ≥ 0.
Pertanto
0 ≤ t 1 < t 2 ≤ 1 ⇒ g 0 (t 1 ) − g 0 (t 2 ) ≤ 0 ⇒ g 0 (t 1 ) ≤ g 0 (t 2 ).
Abbiamo così dimostrato che g 0 : [0, 1] → R è crescente. Allora, per la seconda caratterizza-
zione del I ordine della convessità (vedi AM1B) g : [0, 1] → R è convessa. In particolare
ossia
f (y + (1 − t )(x − y)) ≤ (1 − t ) f (y + 1 · (x − y)) + t f (y + 0 · (x − y))
da cui
f ((1 − t )x + t y) ≤ (1 − t ) f (x) + t f (y).
Teorema 6.0.8 (Caratterizzazione del II ordine della convessità). Sia A ⊆ Rn un insieme aper-
to e convesso. Sia f : A → R di classe C 2 . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) f è convessa
(b) la matrice hessiana D 2 f (x) è semidefinita positiva per ogni x ∈ A.
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Sia f convessa. Dato che A è aperto,
Quindi
f (x) ≥ f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉.
Tale disuguaglianza è ovviamente verificata anche se x = x̄. Per l’arbitrarietà di x e x̄ si ha
f (x) ≥ f (x̄) + 〈∇ f (x̄), x − x̄〉 ∀x, x̄ ∈ A.
La convessità di f segue dal Teorema 6.0.7.
Corollario 6.0.9 (Caratterizzazione del II ordine della convessità: caso n = 2). Sia A ⊆ R2 un
insieme aperto e convesso. Sia f : A → R di classe C 2 . Allora sono equivalenti le seguenti:
(a) f è convessa
(b) la matrice hessiana D 2 f (x, y) è semidefinita positiva per ogni (x, y) ∈ A
(c) per ogni (x, y) ∈ A si ha
f xx (x, y) ≥ 0
f y y (x, y) ≥ 0
det D 2 f (x, y) ≥ 0
119
120 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
Osservazione 7.2.1.
Siano A ⊆ R e f : A → Rn . Sia f differenziabile in x̄ ∈ int A, con x̄ punto critico di f . Allora
l’iperpiano tangente al grafico di f in (x̄, f (x̄)) ha equazione
x n+1 = f (x̄).
Teorema 7.2.2 (Teorema di Fermat o condizione necessaria del I ordine per gli estremanti
relativi).
Siano A ⊆ Rn e f : A → R.
Se
(a) x̄ ∈ int A
(b) f è derivabile in x̄,
(c) x̄ è un punto estremante locale per f ,
allora
∇ f (x̄) = 0 (ossia x̄ è un punto critico di f ).
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso di x̄ punto di massimo relativo.
Da (a) e (c) si ha che esiste r > 0 tale che
½
B (x̄, r ) ⊆ A
∃r > 0 : (7.2.1)
f (x̄) ≥ f (x) ∀x ∈ B (x̄, r ).
Fissato i ∈ {1, · · · , n} definiamo g :] − r, r [→ R
g (t ) = f (x̄ + t e i ).
g (0) ≥ g (t ) ∀t ∈] − r, r [.
g 0 (0) = f xi (x̄).
7.3. CONDIZIONI NECESSARIE DEL II ORDINE PER GLI ESTREMANTI RELATIVI 121
g 0 (0) = 0,
ossia f xi (x̄) = 0.
Teorema 7.3.1 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi).
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
Se x̄ è un punto di minimo (massimo) locale per f , allora
½
∇ f (x̄) = 0
D 2 f (x̄) ≥ 0 (≤ 0).
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso di x̄ punto di minimo relativo. La dimostrazione nel caso
di x̄ punto di massimo relativo procede in modo analogo.
Essendo A aperto e x̄ punto di minimo relativo per f , per il Teorema di Fermat (v. Teorema
7.2.2), si ha ∇ f (x̄) = 0. Inoltre,
½
B (x̄, r ) ⊆ A
∃r > 0 : (7.3.1)
f (x̄) ≤ f (x) ∀x ∈ B (x̄, r ).
r r
Sia v ∈ Rn \ {0}. Definiamo g :] − |v| , |v| [→ R
g (t ) = f (x̄ + t v).
Essendo
r r
½ ¾
x̄ + t v : t ∈] − , [ ⊆ B (x̄, r ),
|v| |v|
deduciamo da (7.3.1) che 0 è un punto di minimo assoluto (quindi relativo) di g interno
r r
al dominio. Essendo g ∈ C 2 (] − |v| , |v| [), per la condizione necessaria del II ordine per gli
estremanti relativi di funzioni di una variabile reale, (si veda AM1B) si ha g 00 (0) ≥ 0. Essendo,
r r
g 0 (t ) = 〈∇ f (x̄ + t v), v〉, g 00 (t ) = 〈D 2 f (x̄ + t v)v, v〉 ∀t ∈:] − , [,
|v| |v|
deduciamo che
〈D 2 f (x̄)v, v〉 = g 00 (0) ≥ 0.
Dall’arbitrarietà di v, deduciamo che D 2 f (x̄) ≥ 0.
Corollario 7.3.2 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi: caso n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
122 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
D IMOSTRAZIONE . Che il punto sia critico segue dal Teorema di Fermat 7.2.2. Le condi-
zioni sulle derivate seconde seguono dai Teoremi 4.2.11 e 7.3.1.
Corollario 7.3.3 (Condizione necessaria del II ordine per gli estremanti relativi: caso n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A).
Se (x̄, ȳ) è un punto di massimo locale per f , allora
∇ f (x̄, ȳ) = 0
f (x̄, ȳ)≤ 0
xx
f y y (x̄, ȳ) ≤ 0
det D 2 f (x̄) ≥ 0.
D IMOSTRAZIONE . Che il punto sia critico segue dal Teorema di Fermat 7.2.2. Le condi-
zioni sulle derivate seconde seguono dai Teoremi 4.2.13 e 7.3.1.
D IMOSTRAZIONE .
Se x̄ fosse un punto estremante relativo, allora per il Teorema 7.3.1 D 2 f (x̄) sarebbe semide-
finita, contraddicendo l’ipotesi.
Teorema 7.5.1 (Condizione sufficiente del I ordine per i punti estremanti assoluti e relativi).
Sia A ⊆ Rn un insieme aperto e convesso. Sia f : A → R una funzione convessa e differenziabile
in x 0 ∈ A.
Se x 0 è un punto critico di f , allora x 0 è un punto di minimo assoluto (quindi anche relativo)
di f .
Corollario 7.5.3 (Condizione sufficiente del II ordine per i punti estremanti relativi: n = 2).
Siano A ⊆ R2 , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A). Sia (x̄, ȳ) ∈ A
Valgono le seguenti implicazioni:
∇ f (x̄, ȳ) = 0
f xx (x̄, ȳ) > 0 ⇒ x̄ è un punto di minimo relativo forte,
det D 2 f (x̄, ȳ) > 0
e
∇ f (x̄, ȳ) = 0
f xx (x̄, ȳ) < 0 ⇒ x̄ è un punto di massimo relativo forte.
det D 2 f (x̄, ȳ) > 0
D IMOSTRAZIONE .
Segue immediatamente dal Teorema 7.5.2 e dai Corollari 4.2.8 e 4.2.9.
Quando si trova una linea di punti critici, il determinante della matrice hessiana calcolata in
tali punti critici risulta nullo. Vale infatti il seguente risultato.
Proposizione 7.6.1.
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → R, f ∈ C 2 (A). Supponiamo che esista γ : I → Rn , con I
intervallo reale, int I 6= ;, tale che
(a) γ ∈ C 1 (I ),
(b) γ0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ I
(c) vale l’inclusione
{γ(t ) : t ∈ I } ⊆ {x ∈ A : ∇ f (x) = 0}. (7.6.1)
Allora
det D 2 f (γ(t )) = 0.
D IMOSTRAZIONE .
Sia γ : I → Rn , γ(t ) = (γ1 (t ), · · · , γn (t )) come nell’enunciato.
Fissato i ∈ {1, · · · , n} consideriamo la funzione
Tale funzione è identicamente nulla, per (7.6.1). h i è quindi derivabile con derivata iden-
ticamente nulla e, per le regole di derivazione di funzioni composte (v. Teorema 5.5.4 o
Corollario 5.5.5)
n
0 = h i0 (t ) = f xi x j (γ1 (t ), · · · , γn (t ))γ0j (t ).
X
j =1
Pertanto, per ogni t ∈ I , (γ1 (t ), · · · , γn (t ))
0 0
è soluzione non nulla del sistema algebrico lineare
di n equazioni e n incognite che, scritto in forma matriciale, appare nella forma
x1 0
2 .. ..
D f (γ(t )) . = . .
xn 0
Per il Teorema di Cramer, ciò è possibile se e solo se det D 2 f (γ(t )) = 0.
Quando succede che in corrispondenza di un punto critico l’hessiano di una funzione sia
nullo, è opportuno ricorrere alla definizione di punto estremante relativo.
Esempio 7.6.2. Sia f : R2 → R, f (x, y) = x 4 + y 4 . (0, 0) è l’unico punto critico e det D 2 f (0, 0) =
0. Tuttavia, essendo
f (0, 0) = 0, f (x, y) ≥ 0 ∀(x, y) ∈ R2 ,
deduciamo che (0, 0) è un punto di minimo assoluto, quindi anche relativo.
Esempio 7.6.3. Sia f : R2 → R, f (x, y) = x 4 − y 4 . (0, 0) è l’unico punto critico e det D 2 f (0, 0) =
0. Tuttavia, essendo
f (0, 0) = 0, f (x, 0) = x 4 > 0 ∀x 6= 0, f (0, y) = −y 4 > 0 ∀y 6= 0
deduciamo che (0, 0) è un punto critico che non è né massimo né minimo relativo e quindi è
un punto di sella.
Come nell’Esempio 3.2.6, in cui non esiste il limite di una funzione di due variabili per
(x, y) → (0, 0), ma se ci si restringe a rette per l’origine, allora il limite è 0, anche per gli estre-
manti relativi può accadere qualcosa di analogo. Ciò è ben illustrato dal seguente esempio.
Esempio 7.6.4. Sia f : R2 → R, f (x, y) = y(y − x 2 ). (0, 0) non è un punto estremante relativo:
infatti f (0, 0) = 0 eppure
∀r > 0 ∃(x, y), (x 0 , y 0 ) ∈ B r (0, 0) : f (x, y) < f (0, 0) < f (x 0 , y 0 )
come facilmente si ottiene dallo studio del segno della funzione f . Tuttavia, (0, 0) è un punto
di minimo relativo per f ristretta a qualunque retta per l’origine.
Restringendoci all’asse y si ha:
f (0, y) = y 2 ≥ 0 ∀y ∈ R.
126 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
In tre o più variabili, si ha qualche speranza di classificare un punto critico come punto di
sella anche quando l’hessiano in tale punto è nullo, usando il Teorema 4.2.15: se infatti la
matrice hessiana calcolata nel punto critico ha un minore principale di ordine pari che è
negativo (< 0), allora A è indefinita.
7.7. Esercizi
[Sol.: f è derivabile e ∇ f (x, y) = (2x + y, x + 4y) e quindi l’unico punto critico è (0, 0). La
matrice hessiana è µ ¶
2 2 1
D f (x, y) =
1 4
7.7. ESERCIZI 127
quindi (per la condizione sufficiente del secondo ordine) (0, 0) è punto di minimo relativo. Il
polinomio di Taylor in (1, −2) è: 7 − 7(y + 2) + 21 2(x − 1)2 + 2(x − 1)(y + 2) + 4(y + 2)2 .]
© ª
[Sol.: f è derivabile e ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2(x − y), 4y 3 + 2(x − y)). I punti critici si ottengono
risolvendo il sistema
4x 3 − 2(x − y) = 0 4(x 3 + y 3 ) = 0
½ ½ ½
x = −y
3 ⇔ 3 ⇔
4y + 2(x − y) = 0 4y + 2(x − y) = 0 4y(y 2 − 1) = 0
e si deduce che i punti critici sono (0, 0), (1, −1) e (−1, 1). Usando la matrice hessiana (condi-
zione sufficiente del secondo ordine)
12x 2 − 2
µ ¶
2 2
D f (x, y) =
2 12y 2 − 2
si ottengono: (1, −1) e (−1, 1) minimi. Per (0, 0) non si può concludere. Tuttavia, f (0, 0) = 0 e
dallo studio del segno si ha, restringendosi all’asse x, che f (x, 0) = x 4 − x 2 = x 2 (x 2 −1) < 0 per
x ∈ (−1, 1)\{0}, mentre restringendosi alla bisettrice y = x: f (x, x) = 2x 4 > 0 per x ∈ (−1, 1)\{0}.
Dunque: sull’asse x il punto (0, 0) è un punto di massimo relativo, mentre sulla bisettrice
y = x (0, 0) è un punto di minimo relativo. Si conclude quindi che (0, 0) è un punto di sella.]
[Sol. es: 7.7.4: ∇ f (x, y) = (y(x 2 −1), 13 x 3 −x+ 32 y) per cui i punti critici sono (1, 1), (−1, −1), (0, 0)
p
e (± 3, 0). Dallo studio della matrice hessiana (condizione sufficiente del secondo ordine)
p
risulta che (0, 0) e (± 3, 0) sono punti di sella e che (1, 1), (−1, −1) sono punti di minimo
relativo.
Per le derivate direzionali: f è un polinomio, dunque è differenziabile. Ne segue che, posto
λ = (α, β),
∂f 1 2
(x, y) = 〈∇ f (x, y), λ〉 = 〈(y(x 2 − 1), x 3 − x + y), (α, β)〉 = ...]
∂λ 3 3
128 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
SOLUZIONE:
Dall’Esercizio 5.8.27 f è di classe C 1 e si ha
f (x, y, z) = h(x, y, z)g (x, y, z)
dove
h : R3 → R, h(x, y, z) = xz
e
y2
½
3 se y ≥ 0
g : R → R, g (x, y, z) = y|y| = 2
−y se y < 0.
con
∇h(x, y, z) = (z, 0, x),
g x ≡ 0, g z ≡ 0.
g y (x, y, z) = 2|y| ∀(x, y, z) ∈ R3
Allora risulta
∇ f (x, y, z) = g (x, y, z)∇h(x, y, z) + h(x, y, z)∇g (x, y, z)
130 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
Tutti i punti del piano y = 0 sono critici. Al di fuori di tale piano sono punti critici i punti
(x, y, z) con y 6= 0 e
z =0
2xz = 0
x =0
R 3 t 7→ f (t 2 , y 0 , t ) = t 3 y 0 |y 0 |
cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella.
Si consideri il punto critico P = (x, 0, z) con xz 6= 0: la f si annulla in P e
R 3 t 7→ f (x, t , z) = xzt |t |
cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella.
Si consideri il punto critico P = (0, 0, z) 6= (0, 0, 0): la f si annulla in P e
R 3 t 7→ f (t 2 , t , z) = t 2 zt |t |
cambia di segno quando t transita da valori negativi a valori positivi. Dunque P è un punto
di sella. Analogamente si ragiona per il punto critico P = (x, 0, 0) 6= (0, 0, 0).
Si consideri il punto critico O = (0, 0, 0): la f si annulla in P e f è positiva nell’ottante x, y, z >
0 ed è negativa nell’ottante x, y, z < 0. Dunque O è un punto di sella.
Esercizio 7.7.8 (da prova scritta AM2: 29-6-2020). Si consideri la funzione f : R2 → R, f (x, y) =
x 4 − x 2 y 2.
Determinare i punti critici di f e classificarli.
SOLUZIONE:
f (x, y) = x 4 − x 2 y 2 , quindi ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2x y 2 , −2x 2 y).
4x 3 − 2x y 2 = 0
½ ½ ½
0=0 x =0
⇔ ∪ ⇔ (0, y) ∀y ∈ R.
−2x 2 y = 0 x =0 y =0
7.7. ESERCIZI 131
Dunque i punti critici di f sono tutti e soli i punti dell’asse y. In essi la funzione vale f (0, y) =
0.
Studiamo il segno di f :
f è nulla sulle bisettrici e sull’asse y. f è positiva a destra e a sinistra e negativa sopra e sotto.
Si ottiene che:
per ogni y 6= 0 i punti (0, y) sono punti di massimo relativo,
il punto (0, 0) è di sella.
SOLUZIONE:
−2x = 0
x =0
∇ f (x, y, z) = (0, 0, 0) ⇔ −2y z + 1 = 0 ⇔ 2y z = 1
−y 2 + 2z = 0
2z = y 2
x =0
x =0
⇔ 3
y =1 ⇔ y =1
2 1
2z = y z=
2
L’unico punto critico è (0, 1, 21 ).
La matrice Hessiana è
−2 0 0
D 2 f (x, y, z) = 0 −2z −2y
0 −2y 2
132 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
dunque
−2 0 0
1
D 2 f (0, 1, ) = 0 −1 −2
2
0 −2 2
Si noti che −2 è un autovalore di D 2 f (0, 1, 12 ).
I MODO:
µ ¶
2 1 −1 −2
det D f (0, 1, ) = −2 det = −2(−2 − 4) = 12 > 0.
2 −2 2
Dato che la matrice hessiana è simmetrica reale,
1
det D 2 f (0, 1, ) = λ1 λ2 λ3
2
dove λ1 , λ2 , λ3 sono gli autovalori, contati con la loro moltiplicità.
Possiamo supporre λ1 = −2. Dunque λ2 λ3 = −6 quindi uno dei due autovalori tra λ2 e λ3 è
positivo. La matrice hessiana è quindi indefinita. Il punto critico è un punto di sella.
II MODO:
Gli altri autovalori sono le soluzioni di
p
−1 − λ −2
µ ¶
2 1 ± 25
det = 0 ⇔ (−1 − λ)(2 − λ) − 4 = 0 ⇔ λ − λ − 6 = 0 ⇔ λ =
−2 2−λ 2
Dunque vi è anche un autovalore positivo. Inoltre, −2 è un autovalore di D 2 f (0, 1, 21 ).
D 2 f (0, 1, 21 ) è quindi indefinita. Il punto (0, 1, 21 ) è di sella.
Esercizio 7.7.10 (da prova scritta AM2: 7-9-2020). Si consideri la funzione f : A → R, con
A := {(x, y, z) ∈ R3 : y 6= 0}
e
z
f (x, y, z) = (x 2 − 1) .
y2
Determinare i punti critici di f e classificarli.
SOLUZIONE:
2
f (x, y, z) = (x 2 − 1) yz2 , quindi ∇ f (x, y, z) = ( 2xz
y2
, −2(x 2 − 1) yz3 , x y−1
2 ).
Punti critici:
2xz
xz = 0 xz = 0
y2
−2(x 2 − 1) yz3 = 0 ⇔ (x − 1)z = 0 ∪ (x − 1)z = 0 ⇔ (1, y, 0)e (−1, y, 0)∀y ∈ R \ {0}.
2 2
x =1 x = −1
x 2 −1 = 0
y 2
Ãq !
x2 xy xz
∇ f (x, y, z) = x2 + y 2 + z2 + p ,p ,p ∀(x, y, z) ∈ R3 \{(0, 0, 0)}.
x2 + y 2 + z2 x2 + y 2 + z2 x2 + y 2 + z2
Esso si annulla se e solo se
p
2 2 2 x2
x +y +z + p =0
x 2 +y 2 +z 2
xy = 0
xz = 0
Il primo membro della prima equazione è somma di quantità non negative, quindi affinché
la somma faccia 0, entrambi gli addendi devono essere nulli, da cui
q
x2 + y 2 + z2 = 0
e quindi, ragionando in modo analogo a quanto appena fatto, deve essere
x = 0, y = 0, z = 0
Il punto (0, 0, 0) non è accettabile, in quanto non appartiene a R3 \ {(0, 0, 0)}. Quindi f non ha
punti critici in R3 \ {(0, 0, 0)}.
Dimostriamo ora che (0, 0, 0) è un punto critico per f . Per quanto dimostrato in (a)
∇ f (0, 0, 0) = (0, 0, 0).
134 7. MASSIMI E MINIMI LIBERI
Esercizio 7.7.17 (MS, p.17). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x 4 −2x 2 +(e x −y)4 . Determinare
i punti critici di f e classificarli (max/min/selle).
xy
Esercizio 7.7.21 (MS-es, 1.23). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
i punti critici di f e classificarli (max/min/selle).
RISPOSTA all’Esercizio 7.7.21: I punti critici sono i punti sulle bisettrici. I punti (x, x) (con
x 6= 0) sono di massimo assoluto e quindi anche relativi, i punti (x, −x) (con x 6= 0) sono di
minimo assoluto e quindi anche relativi.
Esercizio 7.7.22 (MS-es, 1.21 (a)). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = x(x 2 − x − 2)4 + (x 2 − y)4 .
Determinare i punti di massimo e di minimo relativi.
µ p ³ p ´ ¶ µ p ³ p ´ ¶
2 2
5− 97 5− 97
RISPOSTA all’esercizio 7.7.22: (−1, 1) sella, 18 , 18 minimo relativo, 5+1897 , 5+1897
sella, (2, 4) minimo relativo.
Esercizio 7.7.24 (MS-es, 1.21 (b)). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = (x − cos y)6 + y 2 − πy.
Determinarne i punti di massimo e di minimo relativi.
RISPOSTA all’Esercizio 7.7.24: Il punto 0, π2 è di minimo relativo. Non vi sono altri punti
¡ ¢
estremanti locali.
Funzioni aperte
Osservazione 8.0.2.
In virtù della Definizione 1.1.19, la Definizione 8.0.1 dice che una funzione f : A → B è aperta,
se manda aperti nella topologia indotta da Rn su A in aperti nella topologia indotta da Rm su
B.
Proposizione 8.0.3.
Siano A ⊆ Rn , B ⊆ Rm e f : A → B .
Se A e B sono insiemi aperti, sono equivalenti le seguenti:
(i) f : A → B è aperta,
(ii) per ogni aperto O ⊆ A, l’insieme f (O) è un insieme aperto di Rm .
Lemma 8.0.4.
Siano X ⊆ Rn e Y ⊆ Rm . Supponiamo
(a) φ : X → Y biunivoca
(b) ψ := φ−1 : Y → X continua.
Allora φ è una applicazione aperta.
D IMOSTRAZIONE .
Sia A un aperto rispetto alla topologia indotta da Rn su X (ossia: A = X ∩ Ω, con Ω aperto di
Rn .
137
138 8. FUNZIONI APERTE
Dobbiamo dimostrare che φ(A) è un insieme aperto rispetto alla topologia indotta da Rm su
Y , vale a dire: esiste O aperto di Rm tale che φ(A) = Y ∩ O.
Infatti:
φ(A) = {φ(x) : x ∈ A} = {y ∈ Y : φ−1 (y) ∈ X ∩ Ω}
= ψ−1 (X ∩ Ω) = retroimmagine di X ∩ Ω mediante ψ.
Essendo ψ continua si ha, per il Teorema 3.3.3, che ψ−1 (X ∩Ω) è aperto rispetto alla topologia
indotta da Rm su Y .
CAPITOLO 9
Definizione 9.1.1.
Siano (X , d ) e (Y , d 0 ) spazi metrici. Una funzione f : (X , d ) → (Y , d 0 ) si dice contrazione se
Proposizione 9.1.2.
Siano (X , d ) e (Y , d 0 ) spazi metrici, f : (X , d ) → (Y , d 0 ) contrazione. Allora f è continua.
D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi,
∃L ∈ [0, 1[ : d 0 ( f (x), f (x 0 )) ≤ Ld (x, x 0 ) ∀x, x 0 ∈ X .
Sia x 0 ∈ X e dimostriamo che lim f (x) = f (x 0 ).
x→x 0
Sia ² > 0. Se scegliamo δ := L² esso è tale che
Definizione 9.1.3.
Siano X , Y insiemi non vuoti e f : X → Y . Si dice che x ∈ X che è un punto fisso di f se
f (x) = x.
d (x n+1 , x n ) ≤ L n d (x 1 , x 0 ).
Se n = 0 è ovvio.
Supponiamo che sia
d (x n+1 , x n ) ≤ L n d (x 1 , x 0 ) (9.1.1)
e dimostriamo che vale
d (x n+2 , x n+1 ) ≤ L n+1 d (x 1 , x 0 ).
Si ha
(9.1.1)
d (x n+2 , x n+1 ) = d ( f (x n+1 ), f (x n )) ≤ Ld (x n+1 , x n ) ≤ L · L n d (x 1 , x 0 ) = L n+1 d (x 1 , x 0 ).
Siano ora m, n ∈ N∗ , m > n ≥ 1. Allora, usando il Teorema relativo al carattere della serie
geometrica,
n
∞
X h Serie geometrica Ln
≤ d (x 1 , x 0 )L L = d (x 1 , x 0 ) .
h=0 1−L
Dato che L < 1 il limite per n che tende a ∞ dell’ultimo termine è 0. Quindi,
Dalla relazione x n+1 = f (x n ), dalla continuità di f (v. Proposizione 9.1.2), e dal Teorema 3.3.6
si ha
x̄ = lim x n+1 = lim f (x n ) = f (x̄).
n→∞ n→∞
il che è un assurdo.
Corollario 9.1.5.
Siano (X , d ) uno spazio metrico completo e f : (X , d ) → (X , d ). Sia m ∈ N∗ tale che f m è una
contrazione.
Allora esiste un unico punto fisso di f .
dunque f (x̄) è un punto fisso di f m . Per l’unicità dei punti fissi di f m , risulta x̄ = f (x̄), cioè
x̄ è punto fisso anche di f .
Unicità:
Sia y un punto fisso di f . Per induzione dimostriamo che y è un punto fisso di f n per ogni
n ∈ N \ {0}. Sia P (n) la proposizione “y è un punto fisso di f n (y)”. P (1) è vera per ipotesi. Sia
vera P (n) e dimostriamo P (n + 1):
P (n)vera
f n+1 (y) = f n ( f (y)) = f n (y) = y
ossia y è un punto fisso di f n+1 . Abbiamo quindi dimostrato che P (n) vera implica P (n + 1)
vera. Dunque è dimostrato che y è un punto fisso di f n (y) per ogni n ∈ N \ {0}. In particolare
y è un punto fisso per f m . Se ci fossero due punti fissi distinti di f , essi sarebbero punti
fissi distinti di f m , e ciò è assurdo perché per il Teorema 108 (T. di Banach-Caccioppoli) la
contrazione f m ha un unico punto fisso.
142 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE
Proposizione 9.2.3.
Siano A ⊆ Rn , f : A → Rm .
Se A è aperto, sono equivalenti le seguenti:
(i) f è localmente iniettiva
(ii) ∀x ∈ A ∃ un aperto V ⊆ A, x ∈ V , tale che f |V : V → Rm è iniettiva.
Una funzione si dice che è un diffemorfismo locale se in un intorno di ogni punto del dominio
la funzione è un diffeomorfismo. Formalizziamo ciò con la seguente definizione.
Esempio 9.2.6.
Sia f :]0, +∞[×R → R2 , f (x, y) = (x cos y, x sin y). Si ha che f è un diffeomorfismo locale di
Classe C ∞ (cioè di classe C k per qualunque k ≥ 1), in quanto
µ ¶
cos y −x sin y
det D f (x, y) = det = x 6= 0 ∀(x, y) ∈ Dom( f ).
sin y x cos x
D’altra parte f non è un diffeomorfismo, non essendo iniettiva: f (x, y) = f (x, y + 2π) per
ogni (x, y) ∈ Dom( f ).
Lemma 9.2.7.
Siano A ⊆ Rn , A aperto, f : A → Rn , f = ( f 1 , · · · , f n ) ∈ C 1 (A). Allora la funzione
x 7→ kd f (x)k
è continua.
D IMOSTRAZIONE .
Per x, x̄ ∈ A si ha
v
¶2
X ∂ fi ∂ fi
um n µ
Lemma4.1.6 u X
|kd f (x)k − kd f (x̄)k| ≤ kd f (x) − d f (x̄)k ≤ t (x) − (x̄) .
i =1 j =1 ∂x j ∂x j
Teorema 9.2.8.
Siano A ⊆ Rn , A aperto e f : A → Rm differenziabile.
Siano x, x̄ ∈ A, x 6= x̄, tali che [x̄, x] ⊆ A. Allora esiste z ∈]x̄, x[ tale che
| f (x) − f (x̄)| ≤ kD f (z)k|x − x̄|.
144 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE
D IMOSTRAZIONE .
Se f (x) = f (x̄), la disuguaglianza è ovvia. Supponiamo quindi f (x) 6= f (x̄) o, equivalente-
mente, | f (x) − f (x̄)| > 0.
Dalla Proposizione 5.7.12, applicata con v = f (x) − f (x̄), otteniamo che esiste z ∈]x̄, x[ tale
che
Dato che d g (x̄) ∈ L(Rn , Rm ) e d h(g (x̄)) ∈ L(Rm , Rn ), dal Lemma 4.1.7 otteniamo che n ≤ m.
Analogamente: per ogni ȳ ∈ f (V ) si ha
⇐:
Dimostriamo che f è aperta.
Per la Proposizione 8.0.3, essendo A un insieme aperto, dobbiamo dimostrare che se V ⊆ A
è aperto, allora f (V ) è un insieme aperto, ossia che per ogni ȳ ∈ f (V ) esiste σ > 0 tale che
B ( ȳ, σ) ⊆ f (V ).
Sia ȳ ∈ f (V ). Allora, esiste x̄ ∈ V tale che f (x̄) = ȳ. Essendo f ∈ C k , k ≥ 1, esiste T :=
d f (x̄) ∈ L(Rn , Rn ). Per ipotesi (ii) det D f (x̄) 6= 0, quindi l’applicazione lineare T è invertibile.
Definiamo
g : V → Rn , g (x) = x − T −1 ( f (x)).
Tenendo conto che la composizione di funzioni di classe C k è una funzione di classe C k ,
deduciamo che g ∈ C k (V, Rn ). Inoltre, per l’Esercizio 5.4.12 e il Teorema 5.5.4,
d g (x̄) = d idV (x̄) − d T −1 ( f (x̄)) ◦ d f (x̄) = idRn −T −1 ◦ T = idRn − idRn = 0.
Quindi kd g (x̄)k = 0. Per il Lemma 9.2.7 ed essendo V un insieme aperto, esiste δ > 0 tale che
B (x̄, δ) ⊆ V e
1
kd g (x)k ≤ ∀x ∈ B (x̄, δ). (9.2.1)
2
Dato che l’applicazione lineare T è invertibile, kT k 6= 0 e kT −1 k 6= 0. Denotiamo σ := 2kTδ−1 k .
Dimostriamo che B ( ȳ, σ) ⊆ f (V ). Più precisamente, ricordando che f (x̄) = ȳ, dimostriamo
che
|y − f (x̄)| < σ ⇒ y ∈ f (B (x̄, δ)).
Sia y ∈ B ( f (x̄), σ), definiamo
K : B (x̄, δ) → Rn , K (x) := x − T −1 ( f (x)) + T −1 (y) = g (x) + T −1 (y).
Dimostriamo che K (B (x̄, δ)) ⊆ B (x̄, δ):
se x ∈ B (x̄, δ) si ha
|K (x) − x̄| = |g (x) + T −1 (y) − x̄| = |g (x) − g (x̄) + g (x̄) + T −1 (y) − x̄|
= |g (x) − g (x̄) + x̄ − T −1 ( f (x̄)) + T −1 (y) − x̄| = |g (x) − g (x̄) + T −1 (y − f (x̄))|
≤ |g (x) − g (x̄)| + |T −1 (y − f (x̄))|.
Per il Teorema 9.2.8 esiste z ∈]x̄, x[⊆ B (x̄, δ) tale che
|g (x) − g (x̄)| ≤ kD g (z)k|x − x̄|.
146 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE
Per il Lemma 9.2.7 esiste δ > 0 tale che B (x̄, δ) ⊆ A e tale che
1
kd g (x)k ≤ ∀x ∈ B (x̄, δ). (9.2.2)
2kT −1 k
Da qui dimostriamo che per ogni x, x 0 ∈ B (x̄, δ), x 6= x 0
con ω(x) → 0 ∈ Rn se x → x 0 . Preso y ∈ f (B (x̄, δ)), con y 6= y 0 , allora y = f (x), con x ∈ B (x̄, δ),
x 6= x 0 , e si ha, da (9.2.5),
dove si è posto
|g (y) − g (y 0 )|
ω1 (y) := −(d f (x 0 ))−1 (ω(g (y))) .
|y − y 0 |
Dimostriamo che
lim ω1 (y) = 0. (9.2.6)
y→y 0
La funzione
|g (y) − g (y 0 )|
y 7→
|y − y 0 |
è limitata in un intorno di y 0 per (9.2.4). Dato che g e d f (x 0 )−1 sono funzioni continue, allora
∂f ∂f
µ ¶
D f (x, y) = (x, y) (x, y)
∂x ∂y
dove
∂ f1 ∂ f1
(x, y) · · · (x, y)
∂x 1 ∂x p
∂f
.. .. .. ∈ M q×p
(x, y) = . . .
∂x
∂ fq ∂ fq
(x, y) · · · (x, y)
∂x 1 ∂x p
e
∂ f1 ∂ f1
(x, y) · · · (x, y)
∂y 1 ∂y q
∂f
.. .. .. ∈ M q×q .
(x, y) = . . .
∂y
∂ fq ∂ fq
(x, y) · · · (x, y)
∂y 1 ∂y q
D IMOSTRAZIONE .
Definiamo F : A → Rn , F (x, y) = (x, f (x, y)).
Essendo f ∈ C k , si ha F ∈ C k (A, Rn ) e
Ip 0p×q
∂f
DF (x, y) = , det DF (x, y) = det (x, y).
∂f ∂f ∂y
(x, y) (x, y)
∂x ∂y
In particolare
∂f
det DF (x̄, ȳ) = det (x̄, ȳ) 6= 0.
∂y
Dato che
∂f
(x, y) 7→ det (x, y) è continua,
∂y
esiste Vx̄0 aperto di Rp contenente x̄ e W ȳ0 aperto di Rq contenente ȳ tale che
F |V 00 ×W ȳ : Vx̄00 × W ȳ → Rn è iniettiva,
x̄
Notiamo che se G = (G 1 ,G 2 ),
F |V 00 ×W ȳ (x, y) = (x, f (x, y)) ∀(x, y) ∈ Vx̄00 × W ȳ
x̄
ossia
(x, y) = G(x, f (x, y)) ∀(x, y) ∈ Vx̄00 × W ȳ . (9.3.5)
9.3. TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE 151
Inoltre, da (b),
G(x̄, 0) = (x̄, ȳ).
Da ciò segue che
G 2 (x̄, 0) = ȳ. (9.3.6)
p
Essendo O un insieme aperto esiste Vx̄ ⊆ Vx̄00 , aperto di R contenente x̄, tale che
Vx̄ × {0} ⊆ O,
dove 0 denota il vettore nullo di Rq . Allora, per (9.3.5),
G 1 (x, 0) = x ∀x ∈ Vx̄ . (9.3.7)
Ne deduciamo che
G 2 (Vx̄ × {0}) ⊆ W ȳ ⊆ Rq .
Definiamo
ϕ : Vx̄ → W ȳ , ϕ(x) := G 2 (x, 0).
k q
Dalla (9.3.4) si ha che ϕ ∈ C (Vx̄ , R ).
Dalla definizione di F e (9.3.7) si ha
∀x ∈ Vx̄ (x, f (x, ϕ(x))) = F (x, ϕ(x)) = F (x,G 2 (x, 0))
(9.3.7)
= F (G 1 (x, 0),G 2 (x, 0)) = F ◦ G(x, 0) = (x, 0).
Dunque,
f (x, ϕ(x)) = 0 ∀x ∈ Vx̄ .
Ciò dimostra che
{(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0} ⊇ {(x, ϕ(x)) : x ∈ Vx̄ }.
D’altra parte, sia
(x 0 , y 0 ) ∈ {(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0}.
Allora
f (x 0 , y 0 ) = 0 ⇒ F (x 0 , y 0 ) = (x 0 , f (x 0 , y 0 )) = (x 0 , 0) ⇒ G 2 (x 0 , 0) = y 0 ⇒ ϕ(x 0 ) = y 0 .
Abbiamo così dimostrato che
{(x, y) ∈ Vx̄ × W ȳ : f (x, y) = 0} ⊆ {(x, ϕ(x)) : x ∈ Vx̄ }.
La (9.3.2) è dunque dimostrata.
Concludiamo dimostrando (9.3.3).
La funzione h : Vx̄ → Rq , h(x) := f (x, ϕ(x)), è identicalmente nulla, dato che
h(x) := f (x, ϕ(x)) = 0 ∀x ∈ Vx̄ .
Pertanto Dh(x) = 0.
152 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE
Esempio 9.3.4.
Non si può rimuovere l’ipotesi
∂f
det (x̄, ȳ) 6= 0.
∂y
Si consideri infatti f : R2 → R, f (x, y) = x 2 − y 2 e si consideri (x̄, ȳ) = (0, 0). Si ha f (0, 0) = 0,
dunque (0, 0) appartiene all’insieme di livello 0 di f , ossia
(0, 0) ∈ L 0 ( f ) := {(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = 0}.
9.3. TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE 153
Esempio 9.3.5.
Non si può rimuovere l’ipotesi f ∈ C 1 .
Si consideri infatti f : R2 → R,
se |y| ≤ x 2
0
f (x, y) = y − x2 se y > x 2
y + x 2 se y < −x 2 .
e si consideri (x̄, ȳ) = (0, 0). Si ha f (0, 0) = 0, dunque (0, 0) appartiene all’insieme di livello 0
di f , ossia
(0, 0) ∈ L 0 ( f ) := {(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = 0}.
Si ha infatti
L 0 ( f ) = {(x, y) ∈ R2 : |y| ≤ x 2 },
che non risulta grafico di una funzione di una variabile reale.
Si osservi che f è derivabile in
{(x, y) ∈ R2 : |y| 6= x 2 } ∪ {(0, 0)}
e ∇ f (0, 0) = (0, 1) che è quindi un vettore non nullo. In particolare, l’ipotesi del Teorema di
Dini
∂f ∂f
det (x̄, ȳ) = (x̄, ȳ) 6= 0
∂y ∂y
è soddisfatta. Tuttavia f 6∈ C 1 in un intorno di (0, 0), essendo
∂f ∂f
lim (x, 0) = lim 0 = 0, (0, 0) = 1.
x→0 ∂y x→0 ∂y
154 9. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE E TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE
Teorema 9.4.2. Sia f : A → R, A aperto di Rn . Sia f ∈ C 1 (A) e sia x̄ un punto di A, tale che
∇ f (x̄) 6= 0.
Allora ∇ f (x̄) è ortogonale all’insieme di livello di f passante per x̄.
D IMOSTRAZIONE . Senza perdita di generalità possiamo supporre che sia x̄ = (x̂, ŷ) ∈ Rn−1 ×
Re
∂f
(x̂, ŷ) 6= 0.
∂y
L’insieme di livello di f a cui appartiene x̄ = (x̂, ŷ) è l’insieme di livello c = f (x̄). Per f valgono
le ipotesi del Teorema 9.3.2 (vedi Osservazione 9.3.3), quindi:
• esistono
Vx̂ aperto di Rn−1 , W ŷ aperto di R,
tali che
x̂ ∈ Vx̂ , ŷ ∈ Wx̂
e
Vx̂ × W ŷ ⊆ A
• esiste ϕ : Vx̂ → W ŷ di classe C 1 tale che
ϕ(x̂) = ŷ (9.4.1)
e
L c f ∩ (Vx̂ × W ŷ ) = Gr ϕ.
n
Per i vettori di R usiamo la notazione
x = (x 1 , · · · , x n−1 , y) ∈ Rn−1 × R.
Per l’Osservazione 5.7.4, un vettore ortogonale all’iperpiano tangente al grafico di ϕ in x̄ =
(x̂, ŷ) è
∂ϕ ∂ϕ
µ ¶
(−∇ϕ(x̂), 1) cioè − (x̂), · · · , − (x̂), 1 ,
∂x 1 ∂x n−1
quindi lo è anche il suo multiplo
∂f ∂ϕ ∂ϕ
µ ¶
µ := (x̂, ŷ) − (x̂), · · · , − (x̂), 1 .
∂y ∂x 1 ∂x n−1
9.4. GRADIENTE ORTOGONALE ALL’INSIEME DI LIVELLO 155
allora
∂f ∂f ∂f
µ ¶
µ= (x̂, ŷ), · · · , (x̂, ŷ), (x̂, ŷ) ,
∂x 1 ∂x n−1 ∂y
cioè
µ = ∇ f (x).
CAPITOLO 10
10.1. Varietà in Rn
D IMOSTRAZIONE .
Sia x̄ ∈ M . Denotiamo U := V × Rn−p , che è un aperto di Rn e definiamo f : U → Rn−p ,
f (x, y) = ϕ(x) − y. La funzione ϕ è una funzione di classe C k , pertanto f ∈ C k (U , Rn−p ).
Si ha
∂f ∂f ∂ϕ
µ ¶ µ ¶
(n−p)×n
M 3 D f (x, y) = (x, y) (x, y) = (x) −I n−p .
∂x ∂y ∂x
Quindi, rg D f (x, y) = n − p. Questo dimostra che Gr ϕ è una varietà in Rn di classe C k , di
dimensione p e di equazione (globale) f = 0, con f (x, y) = ϕ(x) − y.
Dimostriamo ora che φ : V → Rn , Φ(x) = (x, ϕ(x)) è una p-parametrizzazione di classe C k di
Gr ϕ.
Ovviamente, φ(V ) = Gr ϕ, dunque φ : V → Gr ϕ è suriettiva. Essa è anche iniettiva, in quanto
ossia
φ−1 (x, z) = x ∀(x, z) ∈ Gr ϕ.
Quindi φ−1 è una funzione continua. Inoltre
Ip
M n×p 3 Dφ(x) = ∂ϕ , x ∈ V.
(x)
∂x
Il suo rango è quindi p, per ogni x ∈ V . Ciò conclude la dimostrazione.
Teorema 10.1.5.
Sia M ⊆ Rn e siano k ≥ 1 e 1 ≤ p < n. Sono equivalenti le seguenti:
(a) M è una varietà in Rn di classe C k e di dimensione p,
(b) M è localmente p-parametrizzabile con funzioni C k , ossia: per ogni x̄ ∈ M esiste un
aperto U di Rn contenente x̄, tale che M ∩U ha una parametrizzazione φ ∈ C k (Ω, Rn ),
con Ω aperto di Rp .
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b)
Sia x̄ ∈ M e sia f = 0 una equazione locale di M in x̄, ossia:
esiste un aperto U ⊆ Rn , x̄ ∈ M ∩U , e una funzione f ∈ C k (U , Rn−p ) tale che:
(i) M ∩U = {x ∈ U : f (x) = 0}
(ii) rg D f (x) = n − p per ogni x ∈ M ∩U .
10.1. VARIETÀ IN Rn 159
esistono Vt̄ aperto di Rp contenente t̄ e W ȳ aperto di Rn−p contenente ȳ, tali che Vt̄ × W ȳ ⊆ U
e
esiste una funzione ϕ : Vt̄ → W ȳ di classe C k ,
tale che
ϕ(t̄ ) = ȳ,
M ∩ (Vt̄ × W ȳ ) = {(t , y) ∈ Vt̄ × W ȳ : f (t , y) = 0} = {(t , ϕ(t )) : t ∈ Vt̄ } = Gr ϕ.
Allora, per la Proposizione 10.1.4, la funzione
(b) ⇒ (a)
Sia x̄ ∈ M e siano U1 ⊆ Rn un aperto contenente x̄, Ω ⊆ Rp un aperto e sia
rg Dφ(t̄ ) = p.
160 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
Si noti che
x̄ ∈ φ(O) = φ(G(V )) = Gr ϕ.
Essendo φ una applicazione aperta, φ(O) è un insieme aperto rispetto alla topologia indotta
su M ∩U1 , vale a dire:
esiste U2 aperto di Rn tale che φ(G(V )) = φ(O) = (M ∩U1 ) ∩U2 = M ∩ (U1 ∩U2 ).
L’insieme U1 ∩U2 è intersezione di due aperti di Rn che contengono x̄, quindi è un insieme
aperto che contiene x̄. Abbiamo così dimostrato che
M ∩ (U1 ∩U2 ) = φ(G(V )) = Gr ϕ,
con ϕ ∈ C k (V, Rn−p ). Dunque M ∩ (U1 ∩U2 ) è una varietà in Rn di classe C k , di dimensione
p.
Teorema 10.1.8.
Sia M ⊆ Rn una varietà di classe C k di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n) e sia f = 0 una
equazione locale di M in x̄ ∈ M .
Allora T x̄ M è uno spazio vettoriale di dimensione p e
T x̄ M = ker d f (x̄).
D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi f = 0 è una equazione locale di M in x̄ ∈ M . Allora esistono un aperto U ⊆ Rn ,
x̄ ∈ U e una funzione f ∈ C k (U , Rn−p ) tale che:
162 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
(i) M ∩U = {x ∈ U : f (x) = 0}
(ii) rg D f (x) = n − p per ogni x ∈ M ∩U .
⊆
Sia h ∈ T x̄ M . Allora esiste γ :] − δ, δ[→ M , con δ > 0 tali che
(a) γ(0) = x̄
(b) γ è derivabile in 0
(c) γ0 (0) = h.
La funzione γ è derivabile in 0, quindi è anche continua in 0. Dunque, esiste δ0 ∈]0, δ] tale
che γ(] − δ0 , δ0 [) ⊆ M ∩U . In particolare, si ha
f (γ(t )) = 0 ∀t ∈] − δ0 , δ0 [.
Pertanto, dal Teorema di derivazione di funzione composta (v. Corollario 5.5.5) si ha
d (a),(c)
0= ( f ◦ γ)(0) = D f (γ(0))γ0 (0) = D f (x̄)h.
dt
Pertanto, h ∈ ker d f (x̄).
⊇
Per semplicità, introduciamo le seguenti notazioni: un generico vettore di x ∈ Rn lo scrivia-
mo nella forma x = (ξ, y) ∈ Rp × Rn−p . In particolare, x̄ = (ξ̄, ȳ).
Per ipotesi rg D f (x̄) = n − p. Supponiamo, per semplicità di scrittura, che sia
∂f ∂f
det (x̄) = det (ξ̄, ȳ) 6= 0. (10.1.1)
∂y ∂y
Sia h = (h 0 , h 00 ) ∈ ker d f (x̄). Allora
h0
∂f ∂f ∂f ∂f
µ ¶
0 = D f (x̄)h = (x̄) (x̄) = (x̄)h 0 + (x̄)h 00 .
∂ξ ∂y ∂ξ ∂y
h 00
che implica
¶−1
∂f ∂f
µ
00
h =− (x̄) (x̄)h 0 . (10.1.2)
∂y ∂ξ
Da (10.1.1) e dal Teorema 9.3.2 delle funzioni implicite:
esistono Vξ̄ aperto di Rp e W ȳ aperto di Rn−p , con ξ̄ ∈ Vt̄ e ȳ ∈ W ȳ , tali che Vξ̄ × W ȳ ⊆ U
ed esiste una funzione ϕ : Vξ̄ → W ȳ , tale che ϕ ∈ C k ,
ȳ = ϕ(ξ̄), (10.1.3)
{(ξ, ϕ(ξ)) : ξ ∈ Vt̄ } = {(ξ, y) ∈ Vξ̄ × W ȳ : f (ξ, y) = 0} ⊆ M ∩U (10.1.4)
e ¶−1
∂ϕ ∂f ∂f
µ
(ξ) = − (ξ, ϕ(ξ)) (ξ, ϕ(ξ)) ∀ξ ∈ Vξ̄ . (10.1.5)
∂ξ ∂y ∂ξ
10.1. VARIETÀ IN Rn 163
D IMOSTRAZIONE .
Dal Teorema 10.1.8, T x̄ M = ker d f (x̄), quindi
h ∈ T x̄ M ⇔ D f (x̄)h = 0 ⇔ 〈∇ f j (x̄), h〉 = 0 ∀ j ∈ {1, · · · , n − p}.
Ciò dimostra che
T x̄ M = (span{∇ f 1 (x̄), · · · , ∇ f n−p (x̄)})⊥
da cui
T x̄ M ⊥ = span{∇ f 1 (x̄), · · · , ∇ f n−p (x̄)}.
Che T x̄ M ⊥ sia uno spazio vettoriale di dimensione n − p segue dalla (ii) della Definizione
10.1.1 e ricordando che la i -esima riga di D f (x̄) è ∇ f i (x̄).
Proposizione 10.2.3.
Siano A ⊆ Rn un aperto, M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n). Sia
f : A → R una funzione di classe C 1 . Sia x̄ ∈ M .
Sono equivalenti le seguenti:
(i) x̄ ∈ M è un punto critico vincolato (o condizionato) di f su M
(ii) ∇ f (x̄) ∈ T x̄ M ⊥
D IMOSTRAZIONE .
Per definizione, x̄ ∈ M è un punto critico vincolato (o condizionato) di f su M significa
d f (x̄)|Tx̄ M = 0,
ossia
D f (x̄)h = 0 ∀h ∈ T x̄ M .
10.2. TEOREMA DEI MOLTIPLICATORI DI LAGRANGE 165
Il legame tra punti estremanti relativi vincolati e i punti critici vincolati è simile a quello
descritto nel Teorema 7.2.2 (Teorema di Fermat).
Teorema 10.2.4 (Teorema di Fermat per gli estremanti vincolati o condizione necessaria del
I ordine per gli estremanti relativi vincolati).
Sia A ⊆ Rn un aperto e sia M ⊆ A una varietà classe C k e di dimensione p (k ≥ 1 e 1 ≤ p < n).
Sia f : A → R una funzione di classe C 1 .
Se x̄ ∈ M è un punto estremante relativo vincolato di f su M , allora x̄ è un punto critico
vincolato di f su M .
D IMOSTRAZIONE .
Diamo la dimostrazione nel caso in cui x̄ ∈ M sia un punto di minimo relativo vincolato di f
su M . Per definizione, esiste un aperto U di Rn tale che
∃ U aperto di Rn , x̄ ∈ U : f (x) ≥ f (x 0 ) ∀x ∈ M ∩U . (10.2.1)
Per la Proposizione 10.2.3 dobbiamo dimostrare che
〈∇ f (x̄), h〉 = 0 ∀h ∈ T x̄ M .
Sia h ∈ T x̄ M . Allora, esistono δ > 0 e γ :] − δ, δ[→ M , tali che
(a) γ(0) = x̄
(b) γ è derivabile in 0
(c) γ0 (0) = h.
Dato che la (b) implica che γ è continua in 0 e dato che γ(0) = x̄, esiste δ0 ∈]0, δ] tale che
γ(] − δ0 , δ0 [) ⊆ M ∩U . Definiamo g := f ◦ γ :] − δ0 , δ0 [→ U ∩ M . Allora, da (10.2.1),
(10.2.1)
g (t ) = f (γ(t )) ≥ f (γ(0)) = g (0) ∀t ∈] − δ0 , δ0 [
deduciamo che 0 è un punto di minimo assoluto (quindi anche relativo) di g . Essendo 0 un
punto interno di ] − δ0 , δ0 [ e g derivabile in 0 (per il Corollario 5.5.5, essendo f ∈ C 1 , quindi
differenziabile, e γ derivabile in 0) è possibile applicare il Teorema di Fermat 7.2.2, ottenendo
0 = g 0 (0) = 〈∇ f (γ(0)), γ0 (0)〉 = 〈∇ f (x̄), h〉.
Ciò conclude la dimostrazione.
166 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
D IMOSTRAZIONE .
Segue dalla Proposizione 10.2.3, dal Teorema 10.1.9 e dal Teorema 10.2.4. Infatti, se x̄ è un
punto estremante relativo vincolato di f su M , allora, per il Teorema di Fermat per estre-
manti vincolati, deve essere un punto critico vincolato. Ciò comporta, per la Proposizione
10.2.3, che sia ∇ f (x̄) ∈ T x̄ M ⊥ .
Per la (ii) di Definizione 10.1.1 e per il Teorema 10.1.9, l’insieme T x̄ M ⊥ è lo spazio vettoriale
di dimensione n − p
T x̄ M ⊥ = span{∇g 1 (x̄), · · · , ∇g n−p (x̄)}.
Quindi
∇ f (x̄) è combinazione lineare di ∇g 1 (x̄), ∇g 2 (x̄), · · · , ∇g n−p (x̄).
Da qui, la tesi.
M := {x ∈ A : F (x) = 0}.
Sia
∇F (x) 6= 0 ∀x ∈ M
Se x ∈ A è un punto estremante relativo di f |M : M → R allora esiste λ ∈ R tale che
Osservazione 10.2.7. Le soluzioni del sistema (10.2.2) sono di due tipi, a seconda che sia
λ = 0 o λ 6= 0.
Gli x che risolvono (10.2.2) con λ = 0 sono
i punti critici di f che appartengono a M .
Gli x che risolvono (10.2.2) con λ 6= 0 sono
i punti di M in cui M risulta tangente a un insieme di livello di f .
10.3. ESERCIZI 167
implicano
∇ f (x) ∥ ∇F (x).
La conclusione segue applicando il Teorema 9.4.2 a f e a F e osservando che M è l’insieme
di livello di F passante per x.
10.3. Esercizi
f (x, y) := x 2 − y 2 .
Determinare f (A).
[Sol. es: 10.3.1: A è chiuso, limitato e connesso. (0, 0) è l’unico punto critico interno ad A
e i punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A sono (±1, 0), (0, ±1). Si verifica che i punti di
massimo assoluto sono (±1, 0) e che il valore di massimo assoluto è f (±1, 0) = 1; analoga-
mente, i punti di minimo assoluto sono (0, ±1) e il valore minimo assoluto è f (0, ±1) = −1.
Per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che
f (A) = [−1, 1].]
f (x, y) := x y − x 2 .
[Sol. es: 10.3.2: A è chiuso, limitato e connesso. (0, 0) è l’unico punto critico di f come
funzione da R2 ad R, ma siccome q non è interno ad A non va considerato.
q qI punti estremanti
2 2
relativi di f ristretta a ∂A sono (1− Siccome f (1− 23 , 23 ) = 34 23 −1 > −1 = f (1, 0)
3 , 3 ), (1, 0).
q
si ha che il punto di massimo assoluto è (1 − 23 , 32 ) e il punto di minimo assoluto è (1, 0).
q
f (A) = [−1, 43 23 − 1].]
[Sol. es: 10.3.3: A è chiuso, limitato e connesso. f non ha punti critci. Per quel che riguarda i
punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A essi sono (±1, 0) e (±2, 0). Confrontando il valore
assunto in quei punti dalla f si ottiene che (1, 0) è punto di massimo assoluto e che il valore
di massimo assoluto è 1, mentre (−1, 0) è punto di minimo assoluto e il valore di minimo
assoluto è −1. Dunque, per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei
valori intermedi si ha che f (A) = [−1, 1].]
[Sol. es: 10.3.4: A è chiuso, limitato e connesso. f ha come unico punto critico (1, −1) che
è interno ad A. I punti estremanti relativi di f ristretta a ∂A sono ( 32 , − 32 ), ( 21 , 0), (0, − 21 ) (che
sono candidati ad essere punti di minimo assoluto) e i punti (0, −3) (0, 0), (3, 0) (che sono
candidati ad essere punti di massimo assoluto). Confrontando il valore assunto in questi
punti e nel punto critico da f si ottiene che (0, −3) e (3, 0) sono i punti di massimo assoluti
(6 è il valore di massimo assoluto) e (1, −1) è il punto di minimo assoluto (−1 è il valore di
minimo assoluto). Dunque, per il Teorema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei
valori intermedi si ha che f (A) = [−1, 6].]
[Sol. es: 10.3.5: A è chiuso, limitato e connesso ed f è continua. Dunque, per il Teo-
rema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che f (A) =
[valore min, valore max].
Si ha
A = {(x, y) ∈ R2 : F (x, y) = 0}
dove F (x, y) = (x − 1)2 + y 2 − 1. Osserviamo che ∇F (x, y) = (2(x − 1), 2y), che risulta = (0, 0) se
e solo se x = 1 e y = 0, punto che non è appartenente ad A. Possiamo applicare il metodo dei
moltiplicatori di Lagrange. Se determiniamo gli (x, y) soluzioni di
2x = λ2(x − 1)
4y = λ2y per qualche λ ∈ R
(x − 1)2 + y 2 − 1 = 0
[Sol. es: 10.3.6: A è chiuso, limitato e connesso ed f è continua. Dunque, per il Teo-
rema di Weierstrass e per il Teorema dell’esistenza dei valori intermedi si ha che f (A) =
[valore min, valore max]. I punti critici interni ad A sono i punti (0, y) con −1 < y < 1. Per
determinare i candidati ad essere punti di max e min assoluti che giacciono su ∂A usiamo il
metodo dei moltiplicatori di Lagrange (l’alternativa è studiare f (cos t , sin t ) con t ∈ [0, 2π)).
Si ha
∂A = {(x, y) : F (x, y) = 0},
dove F (x, y) = x 2 + y 2 − 1. Siccome ∇F (x, y) = (0, 0) solo per x = 0, y = 0 che non e’ in ∂A
possiamo applicare il metodo. Risolvendo
2x y = λ2x
x 2 = λ2y
x2 + y 2 = 1
q q q q q q
si ottengono: (0, ±1) per λ = 0, (± 23 , 13 ) per λ = 13 e (± 23 , − 13 ) per λ = − 13 .
170 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
2 2
sono di minimo assoluto. L’immagine è [− p , p ]. ]
3 3 3 3
Determinare f (K ).
SOLUZIONE:
K è compatto. µ ¶ µ ¶
3 1 3 1
Candidati punti di massimo/minimo assoluti: − , −2, − , , 2,
5 5 5 5
f (K ) = [−4, 4].
K = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 ≤ 1, −1 ≤ z ≤ 3}.
SOLUZIONE:
K è compatto.
Candidati punti di massimo/minimo assoluti:
(0, 0, 0),
(1, 0, 0),
(−1, 0, 0),
(0, 1, 3),
(0, −1, 3),
(0, 1, −1),
(0,
à p−1, −1), !
3 1
, − , −1 ,
2 2
à p !
− 3 1
, − , −1
2 2
f (x, y, z) = xz y|y|
con
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 + z 2 = 1, y ≥ 0}.
Determinare f (Ω).
SOLUZIONE:
Notiamo che f è nulla in Ω ∩ ({y = 0} ∪ {x = 0} ∪ {z = 0}).
Determiniamo ora i candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti di f |Ω che si
trovano in Ω ∩ {y > 0} ∩ {x, z 6= 0}.
Usiamo il teorema dei moltiplicatori di Lagrange.
Sia F : R3 → R, F (x, y, z) = x 2 + y 2 + z 2 − 1. F è di classe C 1 e ∇F (x, y, z) = (2x, 2y, 2z) è non
nullo in Ω.
I candidati a essere punti di massimo/minimo assoluti per f |Ω sono soluzioni del sistema:
y >0
x, z 6= 0
y 2 z = 2x 2 z
xz = λ
x y 2 = 2xz 2
⇔
x2 + y 2 + z2 = 1
y >0
x, z 6= 0
172 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
y 2 = 2x 2
y 2 = 2x 2
xz = λ xz = λ
y 2 = 2z 2
y 2 = 2z 2
⇔ ⇔
x2 + y 2 + z2 = 1
x2 + y 2 + z2 = 1
y >0 y >0
x, z 6= 0
x, z 6= 0
z2 = x2
2 2
2z 2x
=
xz = λ
λ
xz =
2 2
y = 2z
y 2 = 2z 2
⇔ ⇔ 4z 2 = 1
x2 + y 2 + z2 = 1
y >0
y >0
x 6= 0
x, z 6= 0
z 6= 0.
1 1 1 1 1 1
⇒ ( , p , ± ), (± , p , − ).
2 2 2 2 2 2
Ora:
1 1 1 1
f ( , p ,± ) = ±
2 2 2 8
1 1 1 1
f (± , p , − ) = ∓ .
2 2 2 8
Quindi:
1 1
f (Ω) = [− , ].
8 8
Soluzione 10.3.10:
K è compatto e connesso, f è continua, quindi f (K ) = [minK f , maxK f ]. Si ha K = int K ∪
K 1 ∪ K 2 ∪ K 3 , con
int K = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 < z < 4}
K 1 = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 = z, z < 4}
K 2 = {(x, y, z) ∈ R3 : z = 4, 2x 2 + y 2 < 4}
K 3 = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 = 4, z = 4}.
10.3. ESERCIZI 173
λ = −2
λ = −2
y = 8x y = 8x
⇔ x = 4y ⇔ x = 32x
2 2
2x 2 + 64x 2 = z
2x + y = z
z < 4
z < 4
λ = −2
y = 0
⇔ x =0 .
z =0
z < 4
f |K 2 : K 2 → R, f (x, y, z) = f (x, y, 4) = 8 − x y.
H := {(x, y) ∈ R2 : 2x 2 + y 2 < 4}
Si ha (
−y = 0
∇g (x, y) = (0, 0) ⇔ .
−x = 0
Essendo (0, 0) ∈ H punto critico di g , deduciamo che (0, 0, 4) è l’unico candidato punto estre-
mante di f in K 2 .
Cerchiamo i candidati punti di massimo/minimo in K 3 . Possiamo parametrizzare K 3 . Esso
è infatti il sostegno della curva semplice
p
γ : [0, 2π] → R3 , γ(t ) = ( 2 cos t , 2 sin t , 4).
Definiamo
p p
g : [0, 2π] → R, g (t ) = f ◦ γ(t ) = 8 − 2 2 sin(t ) cos(t ) = 8 − 2 sin(2t ).
Si ha ( ( p
g 0 (t ) = 0 −2 2 cos(2t ) = 0 π 3π 5π 7π
½ ¾
⇔ ⇔t ∈ , , , .
t ∈ [0, 2π[ t ∈ [0, 2π] 4 4 4 4
I candidati punti estremanti di f in K 3 sono i punti
π 3π 5π 7π
½ ¾
γ(t ) con t ∈ , , , .
4 4 4 4
Non li calcoliamo, dato che ci servono solo i valori dell’immagine di tali punti mediante f ,
che coincidono con
π 3π 5π 7π
½ ¾
g (t ) con t ∈ , , , .
4 4 4 4
Riassumendo:
f (0, 0, 0) = 0
f (0, 0, 4) = 8
π 5π p
g( ) = g( ) = 8− 2
4 4
3π 7π p
g ( ) = g ( ) = 8 + 2.
p 4 4
Conclusione: f (K ) = [0, 8 + 2].
Esercizio 10.3.11 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Usando il Teorema dei moltiplicatori di
Lagrange, determinare l’immagine di f : K → R,
f (x, y, z) = −2y − 4z,
dove
K = {(x, y, z) : x + y = 0, x 2 + y 2 + z 2 = 4}.
10.3. ESERCIZI 175
SOLUZIONE:
Sia F (x, y, z) = (F 1 (x, y, z), F 2 (x, y, z)) := (x + y, x 2 + y 2 + z 2 − 4). Allora
∇F 1 (x, y, z) = (1, 1, 0)
Dunque
rank DF (x, y, z) = 2 ∀(x, y, z) ∈ K .
Dato che
∇ f (x, y, z) = (0, −2, −4)
Il sistema di Lagrange è:
0 = λ + 2µx
2µx = −λ
2µx = −λ
−2 = λ + 2µy −2µy = λ + 2 2µx = λ + 2
−4 = 2µz ⇔ 2µz = −4 ⇔ 2µz = −4
x+y =0
y = −x
y = −x
2 2 2 2 2 2
x +y +z =4 x +y +z =4 2x 2 + z 2 = 4
2
x = 4µ
4µx = 2 sommo le prime due
0 = 2λ + 2 sottraggo la prima alla seconda 2λ = −2
⇔ 2µz = −4 (⇒ µ 6= 0) ⇔ z = − µ2
y = −x
y = −x
2 2
2x + z = 4 2x 2 + z 2 = 4
1 1
x = 2µ x = 2µ 1
x = 2µ
λ = −1 λ = −1
λ = −1
2 2
⇔ z = −µ ⇔ z = − µ ⇔ z = − µ2
y = −x
y = −x
y = −x
2 + 4 =4 18 = 4 2 18 9
µ = 16 = 8
4µ2 µ 2 4µ2
3
Se µ = p :
2 2
p p p p
2 2 2 2 4 2
x1 = = , y1 = − , z1 = −
6 3 3 3
3
Se µ = − p :
2 2
p p p
2 2 4 2
x2 = − , y2 = , z2 = .
3 3 3
176 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
Da cui p p p p p p
2 2 4 2 2 4 2 (2 + 16) 2 p
f( ,− ,− )=2 +4 = =6 2
3 3 3 3 3 3
p p p p p
2 2 4 2 2 4 2 p
f (− , , ) = −2 −4 = −6 2
3 3 3 3 3
IMMAGINE h p p i
−6 2, 6 2
SOLUZIONE:
Per i punti critici: si veda l’Esercizio 7.7.8. I punti critici di f sono tutti e soli i punti dell’asse
y. L’unico tra questi punti che appartiene a K è (0, 0), in cui la funzione vale f (0, y) = 0.
Si noti che 2
x + y2 = 2
2
1±3
x +x −2 = 0 x= 2
y2 = x
½
x =1
2 2
⇔ y =x ⇔ y =x ⇔
y ≥0
y ≥0
y ≥0 y = 1.
x ≥0
In int K non ci sono candidati ad essere punti di massimo o minimo assoluti, in quanto
sappiamo da (a) che in esso non vi sono punti critici.
Studiamo ∂K .
10.3. ESERCIZI 177
Per la simmetria del dominio e della funzione, basta studiare f ristretta a γ∗1 ∪ γ∗2 con
γ∗1 := {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ y ≤ 1, y 2 = x}
γ∗2 := {(x, y) ∈ R2 : x 2 + y 2 = 2, 0 ≤ y ≤ 1}
L’immagine di f |γ∗1 coincide con l’immagine della funzione continua
g : 0, 1 → R, g (x) = x 4 − x 3 .
£ ¤
g 0 (x) = 4x 3 − 3x 2 = x 2 (4x − 3)
Quindi i candidati ad essere punti di massimo/minimo assoluti per f |γ∗1 sono:
p
3 3
(0, 0), ( , ), (1, 1).
4 2
Consideriamo f |γ∗2 .
Sia F : R2 → R, F (x, y) = x 2 + y 2 − 2. Si ha ∇F (x, y) = (2x, 2y) sempre non nullo in γ∗2 .
Ricordando che ∇ f (x, y) = (4x 3 − 2x y 2 , −2x 2 y), applicando il teorema dei moltiplicatori di
Lagrange consideriamo il sistema
4x 3 − 2x y 2 = 2λx
2
−2x y = 2λy
x2 + y 2 = 2
0≤y ≤1
x ≥0
y 6= 0
2
− y 2 ) = λx
y =0 x(2x
4x 3 = 2λx −x 2 = λ
⇔ (S 1 ) : ∨ (S 2 ) :
x2 = 2
y 2 = 2 − x2
x ≥0 0≤y ≤1
x ≥0
Studiamo ora
y 6= 0
y 6= 0
y 6= 0
y 6= 0
x(2x − y ) = λx
2 2
x(3x − 2) = λx
2
x(−3λ − 2) = λx
x(−4λ − 2) = 0
−x 2 = λ
−x 2 = λ
−x 2 = λ
−x 2 = λ
(S 2 ) : ⇔ ⇔ ⇔
y 2 = 2 − x2
y 2 = 2 − x2
y 2 = 2 − x2
y 2 = 2 − x2
0≤y ≤1 0≤y ≤1 0≤y ≤1 0≤y ≤1
x ≥0
x ≥0
x ≥0
x ≥0
y 6= 0
x = 0 ∨ λ = − 12
−x 2 = λ
⇔
y 2 = 2 − x2
0≤y ≤1
x ≥0
SOLUZIONE:
2
Sia F : R2 → R, F (x, y) = (x−1)
4
+ y 2 − 1.
Allora
Γ = L 0 (F ) ∩ {(x, y) ∈ R2 : x ≥ 0}.
Γ = L 0 (F ) ∩ {(x, y) ∈ R2 : x = 0}.
(x − 1)2
p
(
½ 1 2 3
+ y2 = 1 + y = 1 y = ±
4 ⇔ 4 2
x =0 x =0 x =0
per cui
p p
3 3
(0, − ) (0, )
2 2
Si ha ∇F (x, y) = 21 (x − 1), 2y che si annulla solo in (1, 0), punto che non appartiene a Γ.
¡ ¢
λ 6= 0 λ 6= 0
x 6= 1
x 6= 1
λ
y 6= 0 y 6= 0
1 = (x − 1)
2
2y = x − 1
1 x −1
=
1 = 2λy
⇔ λ 2 ⇔ 2
(x − 1)2 1 1
2
+y =1 λ=
= 2y
λ
4
2y
(x − 1)2
x >0 (x 1)2
2
−
+y =1 + y2 = 1
4 4
x >0
x >0
180 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
λ 6= 0 λ 6= 0
x 6= 1 x 6= 1
y 6= 0 y 6= 0
x − 1 = 4y
x = 1 + 4y 4 1
⇔ 1 ⇔ 1 ⇒ (x = 1 + p , y = p ).
λ= λ= 5 5
2y 2y
42 y 2 1
+ y2 = 1 y = ±p
4
5
x >0 x >0
A := {(x, y, z) ∈ R3 : y 6= 0}
e
z
f (x, y, z) = (x 2 − 1) .
y2
Determinare l’immagine di f |K : K → R, dove
K = {(x, y, z) ∈ A : y = −x 2 − z 2 , y = −4}.
SOLUZIONE:
I modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
In K si hanno
y = −4, x 2 = 4 − z 2,
10.3. ESERCIZI 181
quindi f : K → R,
(x 2 − 1)z (4 − z 2 − 1)z 1
f |K (x, −4, z) = = = (3z − z 3 ).
16 16 16
Dato che p p
K = {(x, −4, z) : −2 ≤ z ≤ 2, − 4 − z 2 ≤ x ≤ 4 − z 2 }
basta studiare l’immagine di g : [−2, 2] → R,
1
g (z) := (3z − z 3 ) z ∈ [−2, 2]
16
in quanto Im g = Im f |K .
Si ha g 0 (z) = 0 se e solo se 3 − 3z 2 = 0 se e solo se z = ±1
Quindi i candidati ad essere punti di massimo o minimo assoluti per g sono: −2, 2, −1, 1.
Essendo
1 1 1 1 1
g (−2) = (−6 + 8) = , g (2) = − , g (−1) = − , g (1) =
16 8 8 8 8
si ha Im g = Im f |K = [−2, 2].
II modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
K è un compatto e f è continua.
In K si ha
(x 2 − 1)z
f (x, y, z) = f (x, −4, z) = .
16
Se definiamo g : D → R,
g (x, z) = (x 2 − 1)z, D := {(x, z) ∈ R : x 2 + z 2 = 4}
si hanno
(x, −4, z) ∈ K ⇔ (x, z) ∈ D (10.3.1)
e
1
f (x, −4, z) = g (x, z)∀(x, z) ∈ D. (10.3.2)
16
Studiamo l’immagine di g usando il teorema dei moltiplicatori di Lagrange.
Sia G : R2 → R, G(x, z) = x 2 + z 2 − 4. Risulta ∇G(x, z) = (2x, 2z) che è non nullo in D.
Essnedo ∇g (x, z) = (2xz, x 2 − 1) i candidati a essere punti di massimo/minimo assoluti per g
sono soluzioni del sistema:
x 6= 0
2xz = λ2x x =0
z =λ
x 2 − 1 = λ2z ⇔ −1 = λ2z ∪
x2 + z2 = 4
z2 = 4
x 2 − 1 = λ2z
2
x + z2 = 4
Risulta
182 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
x =0
−1 = λ2z ⇒ (0, 2), (0, −2)
z2 = 4
e
x 6= 0
x 6= 0
x 6= 0
z =λ
z =λ
z =λ
⇔ ⇔
x 2 − 1 = λ2z x 2 − 1 = 2z 2
x 2 = 2z 2 + 1
2
x + z2 = 4 x2 + z2 = 4 2z 2 + 1 + z 2 = 4
x 6= 0
z =λ
p p p p
⇔ 2 ⇒ ( 3, 1), ( 3, −1), (− 3, 1), (− 3, −1).
x =3
2
z =1
Ora:
g (0, 2) = −2
g (0, −2) = 2
p
g ( 3, 1) = 3 − 1 = 2
p
g ( 3, −1) = −(3 − 1) = −2
p
g (− 3, 1) = 3 − 1 = 2
p
g (− 3, −1) = −(3 − 1) = −2
Dunque
Im g (D) = [−2, 2]
da cui, per (10.3.1) e (10.3.2),
· ¸ · ¸
2 2 1 1
Im f (D) = − , = − ,
16 16 8 8
III modo:
Per i punti critici: vedi Esercizio 7.7.10.
Parametrizziamo
K = {(x, y, z) ∈ A : y = −x 2 − z 2 , y = −4}.
1 1 1
g (t ) = (4 cos2 t − 1)2 sin t = cos2 t sin t − sin t .
16 2 8
Ora µ ¶
0 2 1 3 1 2 1 2 1
g (t ) = − cos t sin t + cos t − cos t = cos t − sin t + cos t −
2 8 2 8
10.3. ESERCIZI 183
µ ¶ µ ¶
2 2 3 2 1 3 2 1
= cos t − sin t − cos t + cos t − = cos t −1 + cos t − .
2 8 2 8
Dato che
3 1 29 3
−1 + cos2 t − = 0 ⇔ cos2 t = =
2 8 38 4
risulta
t ∈[0,2π]
"
0 cos t = 0 ⇔ t = π2 ∨ t = 3 π2
g (t ) = 0 ⇔ p
cos t = ± 23 ⇔ t = π6 ∨ t = 5π
6
∨ t = 7π
6
∨ t = 11π
6
Si hanno
π 1 1 π 1 1
g ( ) = (−1)2 = − , g (3 ) = (−1)(−2) =
2 16 8 2 16 8
π p 1 p 1 1
g ( ) = f (2 32, −4, 2 ) = f ( 3, −4, 1) = (3 − 1) =
6 2 16 8
5π p 1 1
g ( ) = f (−2 32, −4, 2 ) =
6 2 8
π p 1 p −1 1
g (7 ) = f (−2 32, −4, −2 ) = f (− 3, −4, −1) = (3 − 1) =−
6 2 16 8
π p 1 p −1 1
g (11 ) = f (2 32, −4, −2 ) = f ( 3, −4, −1) = (3 − 1) =−
6 2 16 8
allora I m( f ) = [− 18 , 18 ].
SOLUZIONE:
f : R3 → R f (x, y, z) = x 2 y + z è di classe C 1 .
∇ f (x, y, z) = (2x y, x 2 , 1).
Sia F = R3 → R, F (x, y, z) = 4x 2 + y 2 + z 2 = 1.
L 0 F = {(x, y, z) ∈ R3 : 4x 2 + y 2 + z 2 = 1}.
∇F (x, y, z) = (8x, 2y, 2z) 6= (0, 0, 0) in Ω.
Per il Teorema dei moltiplicatori di Lagrange per determinare i punti e
2x y = 8λx
x 2 = 2λy
1 = 2λz
4x 2 + y 2 + z 2 = 1
x =0
x =0
2x y = 8λx 0=0
2
x = 2λy ⇔ 0 = 2λy
1 = 2λz
1 = 2λz
2 2 2 2
4x + y + z = 1 y + z2 = 1
Dato che
1 = 2λz ⇒ λ 6= 0
allora
½
0 = 2λy
½
0 = 2λyλ 6= 0 0=y
⇒ ⇒ λ 6= 0
1 = 2λz z 6= 0
z 6= 0
Pertanto
x = 0 x =0
x =0
y =0 y =0
0=0 x =0
1 = 2λz
1 = 2λz
0 = 2λy ⇒ = ⇒ y =0
λ 6= 0 λ 6= 0
z = ±1
1 = 2λz
z 6= 0 z 6= 0
2
y + z2 = 1
y 2 + z2 = 1
z2 = 1
Caso x 6= 0:
x 6= 0
x 6= 0
x 6= 0
2x y = 8λx y = 4λ y = 4λ
2 2
x = 2λy ⇔ x = 2λy ⇔ x 2 = 8λ2
1 = 2λz
1 = 2λz
1 = 2λz
2 2 2 2 2 2
4x + y + z = 1 4x + y + z = 1 4x 2 + y 2 + z 2 = 1
x 6= 0 x 6= 0
x 6= 0
y = 4λ y = 4λ
y = 4λ
x 2 = 8λ2
x 2 = 8λ2
⇔ x 2 = 8λ2 ⇔ ⇔
1 = 2λz λ 6= 0
λ 6= 0
1 1
z = 2λ z = 2λ
32λ2 + 16λ2 + z 2 = 1
48λ2 + 1 = 1
48 · 4λ4 + 1 = 4λ2 .
4λ2
x 6= 0
y = 4λ
x 2 = 8λ2
⇔
λ 6= 0
1
z = 2λ
48 · 4λ4 − 4λ2 + 1 = 0.
10.3. ESERCIZI 185
xy
Esercizio 10.3.16 (FLOP, 2.1.a). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
l’immagine di f .
Risposta: − 12 , 12 .
£ ¤
x+y
Esercizio 10.3.17 (FLOP, 2.1.b). Si consideri f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = x 2 +y 2
. Determinare
l’immagine di f .
xyz
Esercizio 10.3.18 (FLOP, 2.1.m). Si consideri f : R3 → R, f (x, y) = 1+z 2 . Sia
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1}.
Determinare f (Ω).
I candidati punti di minimo e di massimo si possono determinare col Teorema dei moltipli-
catori di Lagrange: yz
1+z 2 = 2λx
xz = 2λy
1+z 2
1−z 2
x y (1+z 2 )2 = 0
x2 + y 2 = 1
186 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
da cui si deduce · ¸
1 1
f (Ω) = − , .
4 4
Non ci sono punti critici nell’interno di Ω. Resta quindi da studiare la frontiera di Ω. Restrin-
giamo f alla frontiera, definendo così g : R → R,
2
g (x) := f (x, x 2 ) = xe x−x .
Studiando g si deduce che
−1 e −3/4
min g (x) = g ( ) = − , max g (x) = 1.
R 2 2 R
h −3/4 i
Conclusione: f (Ω) = − e 2 , 1 .
x y2
Esercizio 10.3.20 (FLOP, 2.1.p). Si consideri f : R2 → R, f (x, y) = 1+x 2 . Sia
Ω = {(x, y) ∈ R2 : |y| ≤ |x|}.
Determinare f (Ω).
Tali insiemi sono connessi, quindi f (Ω+ ) e f (Ω− ) sono in intervalli. Inoltre si ha
f (Ω− ) = − f (Ω+ ).
Di certo
0 ∈ f (Ω+ ) ⊆ [0, +∞[.
Inoltre,
x 1 xx 2
f (x, ) = →x→+∞ +∞.
2 4 1 + x2
Pertanto
f (Ω+ ) = [0, +∞[ e f (Ω− ) =] − ∞, 0].
Concludendo:
f (Ω) = R.
p px 2 +y 2
Esercizio 10.3.22. Si consideri f : R \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = 2 1+x 2 +y 2 . Determinare l’imma-
2
gine di f .
p p
Sugg. per l’es. 10.3.22: f è una funzione radiale. Basta studiare g : [0, +∞[→ R, g (t ) = 2 1+tt 2 .
Si ha · ¸
1
Im f = g ([0, +∞[) = 0, p .
2
x+y
Esercizio 10.3.23 (FLOP, 2.1.c). Si consideri f : R2 \{(0, 0)} → R, f (x, y) = 1+x 2 +y 2 . Determinare
l’immagine di f .
188 10. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI
Integrali curvilinei
11.1. Curve
189
190 11. INTEGRALI CURVILINEI
γi (t ) = x̄ i + t ( ȳ i − x̄ i ) t ∈ [0, 1].
Al variare del parametro nell’intervallo [0, 1], dal valore 0 al valore 1, γ(t ) è un punto di Rn
che si muove sul segmento congiungente P e Q. Il primo estremo è P e il secondo estremo è
Q.
γ è una curva semplice, regolare.
Al variare del parametro nell’intervallo [0, 2π], dal valore 0 al valore 2π, γ(t ) è un punto di R2
che si muove sulla circonferenza E in senso antiorario, percorrendola una volta.
γ è una curva piana, semplice, chiusa, regolare.
Osservazione 11.1.14. Si noti che nella parametrizzazione della ellisse di centro (x 0 , y 0 ) il-
lustrata nell’Esempio 11.1.13, il parametro non è la misura dell’angolo formato dalla retta
orizzontale y = y 0 e la semiretta di origine (x 0 , y 0 ) passante per γ(t ), eccetto il caso t = k π2
con k ∈ Z.
Ad esempio, si consideri l’ellisse centrata nell’origine
x2 y 2
+ = 1, a, b > 0, a 6= b.
a2 b2
Essa è parametrizzata da
Chiamiamo P il punto di interesezione di tale con l’ellisse con la semiretta y = x, con x > 0
(semiretta che forma un angolo di π4 radianti con l’asse x verso positivo). P non è il punto
γ( π4 ). Infatti quest’ultimo ha ascissa diversa dall’ordinata:
π a π b a
a cos( ) = p , b cos( ) = p 6= p
4 2 4 2 2
e dunque non si trova sulla retta y = x.
Per determinare il valore di t tale che γ(t ) sia P , si deve risolvere il sistema
x = a cos t
y = b sin t
y =x
t ∈ ¤0, π £
2
11.1. CURVE 193
da cui
a
t = arctan .
b
Osservazione 11.1.18.
La condizione di regolarità di una curva γ : I → Rn , garantisce l’esistenza di un versore
tangente in γ(t ), per ogni t ∈ int I .
194 11. INTEGRALI CURVILINEI
x 1 = γ1 (t 0 ) + (t − t 0 )γ1 (t )
0
..
. t ∈ I.
x n = γn (t 0 ) + (t − t 0 )γn (t )
0
Osservazione 11.1.21.
La richiesta g : I → J biunivoca e classe C 1 tale che g 0 (t ) 6= 0 per ogni t ∈ I è equivalente a
richiedere
g 0 (t ) > 0 ∀t ∈ I , oppure g 0 (t ) < 0 ∀t ∈ I .
Proposizione 11.1.23.
La relazione ∼ descritta nella Definizione 11.1.22 è una relazione di equivalenza.
Osservazione 11.1.27. Non vale il viceversa della Proposizione 11.1.26 (i). Due curve posso-
no avere lo stesso sostegno, senza essere equivalenti. Ad esempio, γ e ϕ nell’Esempio 11.1.12
hanno lo stesso sostegno, ma non sono equivalenti.
Definizione 11.1.29.
Sia γ : I → Rn una curva. Sia
−I = {−t : t ∈ I }
n
Denotiamo γ : −I → R la curva di legge
−
γ− (t ) := γ(−t ).
Osservazione 11.1.30.
A volte si scrive −γ anziché γ− .
Proposizione 11.1.31.
Siano γ e γ− le curve della Definizione 11.1.29. Si ha che γ ∼ γ− , ma γ 6∼◦ γ− .
Proposizione 11.1.32.
Sia γ : I → Rn una curva semplice, con int I 6= ;. Allora
[γ] = {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ} ∪ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ− }
e gli insiemi a secondo membro sono disgiunti.
Inoltre,
196 11. INTEGRALI CURVILINEI
(i) γ ∈ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ}
(ii) γ− ∈ {ϕ curva : ϕ ∼◦ γ− }.
Consideriamo la scomposizione
1
σn = {0, 1} ∪ { : i ∈ {0, 1, · · · , n − 1}}.
2i + 1
1
Essendo = 2i1−1 , si ha
2(i −1)+1
n−1
¯ ¯ n−1 ¯µ µ ¶¶ µ µ ¶¶¯
1 1 1 1 1 1
`(P (γ, σ)) ≥ ¯γ( 2i + 1 ) − γ( 2i − 1 )¯ =
X¯ ¯ X¯ ¯
¯ 2i + 1 , f 2i + 1 − 2i − 1 , f 2i − 1 ¯
¯ ¯ ¯ ¯
i =1 i =1
n−1
X
µ
1
µ
1
¶¶ µ
1
µ
1
¶¶
= | ,f − ,f |
i =1 2i + 1 2i + 1 2i − 1 2i − 1
n−1
X
µ
−2 1 (2i + 1)π 1 (2i − 1)π
¶
= 2
, sin − sin
i =1 4i − 1 2i + 1 2 2i − 1 2
n−1 ¡π ¡ π
µ ¶
−2 1 1
sin + i π − sin − + i π
X ¢ ¢
= 2
,
i =1 4i − 1 2i + 1 2 2i − 1 2
n−1 µ
−2 1 1
¶
cos(i π) − (− cos(i π)
X
= 2
,
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 µ
−2
µ
1 1
¶ ¶
cos(i π)
X
= 2
, +
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 µ
−2
µ
1 1
¶ ¶
i
X
= 2
, + (−1)
i =1 4i − 1 2i + 1 2i − 1
n−1 −2 4i (−1)i
µ ¶
X
= 2
, 2
i =1 4i − 1 4i − 1
n−1
X 1 p n−1
X 1 p n−1
X1
= 4 + 16i 2> 16i 2= .
2 2
i =1 4i − 1 i =1 4i i =1 i
Mandando i → +∞, si ottiene la tesi, per via del teorema del confronto e del fatto che la serie
armonica è divergente.
D IMOSTRAZIONE .
≤:
198 11. INTEGRALI CURVILINEI
anche uniformemente continua. Pertanto, per ogni ² > 0 esiste δ > 0 tale che
∀t , s ∈ [a, b] (|t − s| < δ ⇒ |γ0 (t ) − γ0 (s)| < ²). (11.2.2)
Consideriamo una scomposizione di [a, b]
σ = {t 0 , t 1 , · · · , t h } con a = t 0 < t 1 < · · · < t h = b.
tale che
max{|t i − t i −1 | : i ∈ {1, · · · , h}} < δ.
Sia P la poligonale ad essa associata. Per ogni s ∈ [t i −1 , t i ]
ti ti
0
γ(t i ) − γ(t i −1 ) = γ (t ) d t = (γ0 (t ) − γ0 (s)) d t + γ0 (s)(t i − t i −1 ).
t i −1 t i −1
11.2. LUNGHEZZA DI UNA CURVA 199
Allora
¯ t i ¯
0 0 0
(γ (t ) − γ (s)) d t ¯¯ + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
¯ ¯
|γ (s)|(t i − t i −1 ) ≤ ¯
¯
t i −1
ti
¯ 0
¯γ (t ) − γ0 (s)¯ d t + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
¯
≤
t i −1
(11.2.2)
≤ ²(t i − t i −1 ) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|
e, dividendo per la quantità positiva t i − t i −1 , otteniamo
|γ(t i ) − γ(t i −1 )|
|γ0 (s)| ≤ ² + .
t i − t i −1
Integrando rispetto a s in [t i −1 , t i ] si ha
ti
|γ0 (s)| d s ≤ ²(t i − t i −1 ) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )|.
t i −1
Sommando su i otteniamo:
b h (11.2.1)
|γ0 (s)| d s ≤ ²(b − a) + |γ(t i ) − γ(t i −1 )| = ²(b − a) + `(P (γ, σ)) ≤ ²(b − a) + L(γ).
X
a i =1
Mandando ² a 0 otteniamo: b
|γ0 (s)| d s ≤ L(γ).
a
Proposizione 11.2.9.
Siano a, b ∈ R, con a < b e sia γ : [a, b] → Rn una curva C 1 (regolare) a tratti,
Allora γ è rettificabile.
È facile trovare una parametrizzazione del grafico di una funzione continua di una variabile
reale.
Proposizione 11.3.1 (Curve semplici aventi per sostegno grafici di funzioni di una variabile
reale).
Siano I intervallo reale, int(I ) 6= 0, e f : I → Rm una funzione continua.
Si consideri la funzione γ : I → Rm , γ(t ) = (t , f (t )).
Valgono le seguenti proprietà:
(i) γ∗ = Gr f
(ii) γ : I → Rm è una curva semplice
(iii) γ : I → Rm è una curva regolare se e solo se f ∈ C 1 (I )
(iv) se I = [a, b]
bq
L(γ) = 1 + ( f 0 (t ))2 d t .
a
D IMOSTRAZIONE .
Un facile esercizio.
Osservazione 11.3.3.
I significati di t ∈ I e di r (t ) presenti nella Definizione 11.3.2 sono i seguenti.
Dato che
r (t ) = |(r (t ) cos(t ), r (t ) cos(t ))| = |γ(t )|,
allora r (t ) è la distanza del punto γ(t ) dall’origine degli assi.
Inoltre, dalla definizione di γ(t ) deduciamo che, se r (t ) > 0, ossia |γ(t )| > 0,
γ(t )
= (cos(t ), sin(t )),
|γ(t )|
ossia t è la misura (in radianti) dell’angolo formato dal semiasse delle x positive e il vettore
γ(t ).
D IMOSTRAZIONE .
Un facile esercizio.
Osservazione 11.4.2.
L(γ) = γ 1 d s.
γ = γ1 + γ2 + · · · + γh ,
con γ∗ ⊆ A.
Definiamo integrale curvilineo di f su γ il numero
h
X
f (x) d s := f (x) d s.
γ i =1 γi
Teorema 11.4.4.
Siano A ⊆ Rn un aperto e f : A → R una funzione continua.
Siano γ : [a, b] → Rn e ϕ : [a 0 , b 0 ] → Rn due curve, tali che γ ∼ ϕ, con γ∗ ⊆ A.
Allora
f (x) d s = f (x) d s.
γ ϕ
D IMOSTRAZIONE .
Dato che γ ∼ ϕ, allora esiste un cambiamento ammissibile di parametro se
(b) c f d s = c f d s con c ∈ R
γ γ
(c) se f ≤ g , allora f ds ≤ g ds
¯ ¯ γ γ
¯ ¯
(d) ¯ f d s ¯ ≤ | f | d s
¯ ¯
¯ γ ¯ γ
Osservazione 11.4.8.
Giustifichiamo la formula del Teorema 11.4.7. L’arco di circonferenza descritto dal baricen-
tro durante la rotazione ha per raggio l’ascissa del baricentro di γ. Dunque il prodotto della
lunghezza di γ con la lunghezza dell’arco di circonferenza descritto dal baricentro durante
la rotazione vale
1
L(γ)α x d s = α x d s.
L(γ) γ γ
11.5. Esercizi
Esercizio 11.5.1 (T). Sia γ∗ la circonferenza di R2 di centro l’origine e raggio R > 0, orientata
in senso antiorario. Determinarne una parametrizzazione regolare e semplice e calcolare
(2x + y) d s.
γ
RISPOSTA:
γ (2x + y) d s = 0.
Esercizio 11.5.2 (T). Sia γ∗ il triangolo del piano di vertici (0, 0), (1, 0), (0, 1) percorso in senso
antiorario. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e regolare a tratti. Calcolare
(x 2 + y 2 ) d s.
γ
RISPOSTA:
2 p
(x 2 + y 2 ) d s = ( 2 + 1).
γ 3
Esercizio 11.5.3 (T). Sia γ∗ l’arco di elica cilindrica in figura 1. Sia γ una sua parametrizza-
zione semplice e regolare. Calcolare
(x 2 + y 2 − z) d s.
γ
11.5. ESERCIZI 205
RISPOSTA:
y log2 (2)
p ds = .
γ 1 + x2 2
Esercizio 11.5.5 (T). Sia γ∗ l’arco di parabola di equazione y = x 2 per x ∈ [−1, 1]. Determi-
narne una parametrizzazione γ regolare e semplice e calcolare
x y d s.
γ
RISPOSTA:
x y d s = 0.
γ
Esercizio 11.5.6 (T). Sia γ∗ come in figura 2. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e
regolare a tratti. Calcolare
x 2 d s.
γ
206 11. INTEGRALI CURVILINEI
Esercizio 11.5.7 (T). Sia γ∗ come in figura 3. Sia γ una sua parametrizzazione semplice e
regolare a tratti. Calcolare
(x − y) d s.
γ
x(t ) = t 2
½
t ∈ [1, 2].
y(t ) = t 3
RISPOSTA:
403/2 − 133/2
γ è regolare e la sua lunghezza è .
27
x(t ) = t 2 , y(t ) = t 3
con 1 ≤ t ≤ 2.
(a) Stabilire se γ è regolare.
(b) Calcolare la lunghezza di γ.
(c) Calcolare l’ascissa del baricentro di γ.
2 p 1
¤2
(4 + 9t 2 )3/2 1 = ...]
£
[Sol.: (b) 1 t 4 + 9t 2 d t = 27
Esercizio 11.5.10 (da file integrazione-I). Calcolare la lunghezza della curva di equazione
polare
ρ(θ) = θ 2 , θ ∈ [0, π/2].
Esercizio 11.5.11 (da file integrazione-I). Sia γ : [0, 1] → R3 la curva di equazioni parametri-
che
x(t ) = arctan t ,
y(t ) = cos t ,
z(t ) = sin t .
d
Dire se la curva è regolare, calcolare kγ0 (t )k e dt (f (γ(t )) dove f (x, y, z) = x 2 + y z.
208 11. INTEGRALI CURVILINEI
Esercizio 11.5.12 (da prova scritta AM2: 13-1-2020). Sia K = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x 2 + y 2 ≤ z ≤ 4}.
Determinare una curva γ regolare e semplice tale che
γ∗ = ∂K ∩ {(x, y, z) ∈ R3 : x = 0, y 2 = z}
e calcolare y d s.
γ
Esercizio 11.5.13 (da prova scritta AM2: 15-2-2021). Sia γ∗ il luogo dei punti del piano y = z
2
in R3 la cui proiezione sul piano z = 0 è l’ellisse di Ox y di equazione x2 + y 2 = 1. Determinare
una curva γ regolare e semplice avente γ∗ come sostegno e calcolare
q
|x| x 2 + y 2 + z 2 d s .
γ
Si ha
2π p 2π
q p p p
2 2 2 2 2
|x| x + y + z d s = 2| cos t | 2 cos2 t + sin t + sin t 2 d t = 2 2| cos t | d t
γ 0 0
π/2
p p p
=4 2 cos t d t = 4 2 [sin t ]π/2
−π/2 = 8 2.
−π/2
Esercizio 11.5.14 (I 2010-01-18CIV-AMB). Calcolare l’integrale curvilineo ∂A y d s , dove
A = {(x, y) ∈ R2 : −1 ≤ x ≤ −y 2 }.
CAPITOLO 12
12.1. Definizioni
Ricordiamo che la base canonica di (Rn )∗ = L(Rn , R) è data dalle n applicazioni lineari
d x i : Rn → R, d x i (v) = v i ∀v = (v 1 , · · · , v n ) ∈ Rn ,
È evidente che c’è la possibilità di identificare le forme differenziali lineari e i campi vetto-
riali: I coefficienti della forma differenziale sono le componenti del campo vettoriale ad essa
associato, e viceversa.
211
212 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
Definizione 12.1.3.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare a tratti, γ∗ ⊆ A. Sia ω : A → (Rn )∗ ,
una forma differenziale lineare continua su A.
Si chiama integrale di ω su γ
ω := ω(x)(T (x)) d s,
γ γ
Osservazione 12.1.4.
Giustifichiamo la formula finale della Definizione 12.1.3. Si ha
b n
¡ γ0i (t ) ¢ 0
ω := ω(x)(T (x)) d s =
X
a i (γ(t ))d x i |γ (t )| d t
γ γ a i =1 |γ0 (t )|
b n b n
γ0i (t ) 0
a i (γ(t ))γ0i (t ) d t .
X X
= a i (γ(t )) 0 |γ (t )| d t =
a i =1 |γ (t )| a i =1
Definizione 12.1.5.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare a tratti, γ∗ ⊆ A. Sia F : A → Rn , un
campo vettoriale continuo su A.
Si chiama lavoro del campo F su γ il seguente integrale:
L(F, γ) := 〈F (x), T (x)〉 d s,
γ
È evidente che se i coefficienti della forma differenziale continua ω sono le componenti del
campo F , allora
ω = L(F, γ).
γ
Definizione 12.1.6.
Date due forme differenziali ω, ω̃ : A → (Rn )∗ , con A aperto di Rn ,
n n
ω(x) = ω̃(x) =
X X
a i (x) d x i , ã i (x) d x i ∀x ∈ A
i =1 i =1
n
(c ω)(x) =
X
c a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1
γ = γ1 + γ2 + · · · + γh ,
con γ∗ ⊆ A, allora
h
ω := ω
X
γ i =1 γi
0
(b) ω + ω0
(ω + ω ) =
γ γ γ
(c) se c ∈ R allora c ω = c ω
γ γ
(d) se γ ∼◦ ϕ, allora ω = ω
γ ϕ
(e) ω=− ω.
γ γ−
214 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
D IMOSTRAZIONE .
(a) segue dalla Definizione 11.4.3.
(b) e (c) seguono dalla Proposizione 11.4.5. La proprietà (d) segue dal Teorema 11.4.4 e dal
fatto che, se g è il cambiamento di parametro tale che γ = ϕ◦g , allora, per la equiorientazione
di γ e ϕ, g 0 (t ) > 0.
Per quel che riguarda (e), essa segue dal fatto che
n
γ−
[ − b, −a] → R , γ− (t ) = γ(−t )
da cui
(γ− )0 (t ) = −γ0 (−t ).
Quindi
−a X
n
aX
n
(τ=−t )
ω=− a i (γ(−t ))γ0i (−t ) d t = a i (γ(τ))γ0i (τ)d τ = − ω.
γ− −b i =1 b i =1 γ
Esempio 12.1.8.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Se f : A ⊆ R è differenziabile, allora il differenziale di f è una forma
differenziale lineare e il gradiente di f è il campo vettoriale ad esso associato.
Definizione 12.1.9.
Sia A ⊆ Rn . Sia ω una forma differenziale su A. Diciamo che ω è esatta se esiste una funzione
f : A → R differenziabile tale che d f = ω.
Più esplicitamente, se
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A,
i =1
ω è esatta se esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f (x) = (a 1 (x), · · · , a n (x)).
Tale funzione f si dice primitiva di ω.
Definizione 12.2.1.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia F : A → Rn , un campo vettoriale continuo su A. Diciamo che F è
conservativo se esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f = F .
Tale funzione f si dice potenziale di F .
D IMOSTRAZIONE .
Sia
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1
Si ha
bX
n
ω := a i (γ(t ))γ0i (t ) d t
γ a i =1
b n b
d f =ω ∂f d ( f ◦ γ)
(γ(t ))γ0i (t ) d t = (t ) d t = f ◦ γ(b) − f ◦ γ(a).
X
=
a i =1 ∂x i a dt
Da qui la tesi.
(c) per ogni coppia di curve regolari a tratti γ1 : [a, b] → Rn e γ2 : [a 0 , b 0 ] → Rn tali che
γ∗1 , γ∗2 ⊆ A, con
γ1 (a) = γ2 (a 0 ), γ1 (b) = γ2 (b 0 ),
si ha
ω= ω.
γ1 γ2
D IMOSTRAZIONE .
(a) ⇒ (b):
Segue immediatamente dal Teorema 12.2.2.
(b) ⇒ (c):
Si considerino le curve regolari a tratti γ1 : [a, b] → Rn e γ2 : [a 0 , b 0 ] → Rn tali che γ∗1 , γ∗2 ⊆ A,
con
γ1 (a) = γ2 (a 0 ), γ1 (b) = γ2 (b 0 ).
n
Consideriamo la curva γ− 2 : [−b , −a ] → R (si veda la Definizione 11.1.29) e si consideri la
0 0
n
curva regolare a tratti γ := γ1 + γ−
2 : [a, b + (−a + b )] → R (si veda la Definizione 11.2.6). Tale
0 0
Si ha
1
f (x + he i ) − f (x) 1 1
= ω= 〈(a 1 (ϕ(t )), · · · , a n (ϕ(t )), he i 〉 d t
h h ϕ h 0
1 1
1
= a i (x + t he i )h d t = a i (x + t he i ) d t
h 0 0
h
(τ=t h) 1 F (h) − F (0)
= a i (x + τe i ) d τ = ,
h 0 h
h
con F (h) = 0 a i (x + τe i ) d τ. Allora, per il Teorema fondamentale del calcolo integrale, es-
sendo τ 7→ a i (x + τe i ) una funzione continua,
f (x + he i ) − f (x)
lim = a i (x)
h→0 h
∂f
per cui esiste ∂x i (x) ed esso vale a i (x). Dall’arbitrarietà di i abbiamo la tesi.
Definizione 12.2.4.
Sia A ⊆ Rn . Sia ω una forma differenziale su A,
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A.
i =1
Definizione 12.2.5.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia F : A → Rn , F = (a 1 , · · · , a n ), un campo vettoriale C 1 . Diciamo che F
è irrotazionale se per ogni x ∈ A,
∂a i ∂a j
∀i , j ∈ {1, · · · , n} (x) = (x).
∂x j ∂x i
Osservazione 12.2.7.
L’espressione del rotore di F è ottenibile come il determinante della matrice simbolica
e1 e2 e3
∂ ∂ ∂
rot F (x, y, z) = det ∂x ∂y ∂z
a1 a2 a3
sviluppato mediante il teorema di Laplace secondo la I riga. Nella prima riga della matrice
appaiono i vettori della base canonica di R3 .
Teorema 12.2.8.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Sia ω una forma differenziale su A.
Se ω è di classe C 1 ed è esatta, allora ω è chiusa.
D IMOSTRAZIONE .
Per ipotesi esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che d f = ω, ossia, più esplicita-
mente, se
n
ω(x) =
X
a i (x) d x i ∀x ∈ A,
i =1
esiste una funzione f : A → R differenziabile tale che ∇ f (x) = (a 1 (x), · · · , a n (x)). Essendo per
ipotesi ω di classe C 1 , allora f ∈ C 2 (A). Quindi, per il Teorema di Schwarz (Teorema 5.6.4),
∂f ∂f
(x) = (x) ∀i , j ∈ {1, · · · , n},
∂x j ∂x i ∂x i ∂x j
che è equivalente a
∂a i ∂a j
(x) = (x) ∀i , j ∈ {1, · · · , n}.
∂x j ∂x i
Esempio 12.2.9.
La forma differenziale ω : R2 \ {0} → (R2 )∗ ,
y x
ω(x, y) = − dx + dy
x2 + y 2 x2 + y 2
Che sia di classe C 1 , è ovvio, che sia chiusa è di facile verifica. Per dimostrare che ω è esatta,
usiamo il Teorema 12.2.3. Si consideri la curva chiusa γ : [0, 2π] → R2 , γ(t ) = (r cos t , r sin t )
con r > 0. Si ha
2π 2π
¡ r sin t r cos t ¢
ω= 〈 − , , (−r sin t , r cos t )〉 d t = 1 d t = 2π 6= 0.
γ 0 r2 r2 0
Dunque, l’integrale di ω sulla curva chiusa γ non è nullo e quindi, ω non può essere esatta.
Ci si può domandare quale sia un’ipotesi sufficiente affinché una forma differenziale chiusa
sia esatta. Per trattare questa questione sono necessari dei preliminari. Il primo è un impor-
tante lemma di passaggio al limite sotto il segno di integrale e di derivazione sotto il segno
d’integrale.
Ora diamo la definizione di insieme semplicemente connesso, che facciamo anticipare dalla
definizione di curve omotope.
Definizione 12.2.10.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Due curve γ, ϕ : [a, b] → Rn , con γ∗ , ϕ∗ ⊆ A, si dicono omotope se esiste
una funzione Φ : [0, 1] × [a, b] → A continua con le seguenti proprietà:
(i) Φ(0, t ) = γ(t ) per ogni t ∈ [a, b],
(ii) Φ(1, t ) = ϕ(t ) per ogni t ∈ [a, b].
L’applicazione Φ è detta omotopia.
Osservazione 12.2.11.
Si noti che per ogni s ∈ [0, 1] la funzione [a, b] 3 t 7→ Φ(s, t ) è una curva.
Definizione 12.2.12.
Sia A ⊆ Rn un aperto connesso. A si dice semplicemente connesso se per ogni curva chiusa
γ : [a, b] → Rn , con γ∗ ⊆ A, esiste x 0 ∈ A ed esiste Φ : [0, 1] × [a, b] → A continua, con le
seguenti proprietà:
(i) Φ(0, t ) = γ(t ) per ogni t ∈ [a, b],
(ii) Φ(1, t ) = x 0 per ogni t ∈ [a, b],
Osservazione 12.2.13.
In modo intuitivo, un insieme aperto e connesso A è semplicemente connesso se ogni cur-
va chiusa può essere deformata con continuità fino a ridurla a un punto, senza mai uscire
dall’insieme. L’insieme R2 \ {(0, 0)} non è semplicemente connesso, invece R3 \ {(0, 0, 0)} sì.
220 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
Definizione 12.2.14.
Sia A ⊆ Rn un aperto. A si dice stellato se esiste x 0 ∈ A tale che
[x 0 , x] ⊆ A ∀x ∈ A,
dove [x 0 , x] denota il segmento di estremi x 0 e x.
Proposizione 12.2.15.
Sia A ⊆ Rn un aperto. Valgono le seguenti implicazioni:
A convesso ⇒ A stellato ⇒ A semplicemente connesso.
Teorema 12.2.16.
Sia A ⊆ Rn un aperto semplicemente connesso. Sia ω una forma differenziale su A di classe C 1
su A.
Allora
ω è esatta ⇔ ω è chiusa.
D IMOSTRAZIONE .
⇒:
È conseguenza del Teorema 12.2.8.
⇐:
La dimostrazione la diamo per gli insiemi A stellati, con 0 ∈ A tale che
[0, x] ⊆ A ∀x ∈ A.
Pn
Sia ω = i =1 a i (x) d x i .
Il segmento [0, x] è parametrizzato da
γx : [0, 1] → Rn , γx (t ) = t x.
Si definisca f : A → R, f (x) = γx ω, ossia
1X
n
f (x) := a i (t x)x i d t .
0 i =1
Dimostriamo che f è una primitiva di ω. Per il Teorema 5.5.9 f è di classe C 1 e per ogni
j ∈ {1, · · · , n} si ha
1Ã n ∂a
!
X i
f x j (x) = a j (t x) + (t x)x i t d t .
0 i =1 ∂x j
Essendo ω una forma differenziale chiusa,
1 n 1 n
X ∂a i X ∂a j
(t x)x i t d t = (t x)x i t d t
0 i =1 ∂x j 0 i =1 ∂x i
12.3. ESERCIZI 221
da cui deduciamo
1
Ã
n ∂a
! 1
X j d ¡ ¢
f x j (x) = a j (t x) + (t x)x i t d t = t a j (t x) d t = a j (x).
0 i =1 ∂x i 0 dt
Ciò conclude la dimostrazione.
12.3. Esercizi
SOLUZIONE:
Le primitive di ω sono le funzioni f : R2 \ {(0, 0)} → R, f (x, y) = log(x 2 + y 2 ).
SOLUZIONE:
2
2 2 1219
(x − 2x y) d x + (2x y + y ) d y = ((t 2 − 2t 3 ) + 2t (2t 3 + t 4 )) d t = .
γ 1 30
Esercizio 12.3.3 (VB). Data una qualunque funzione f : R → R si definisca la forma differen-
ziale
ω f (x, y) = ( f (x) + x 2 y − y 3 ) d x + ( f (x) − 3x y 2 ) d y.
(a) Dimostrare che esiste una e una sola funzione f di classe C 1 per cui f (0) = 0 e ω f è
esatta. Determinare l’espressione esplicita di f .
(b) Sia f la funzione ottenuta nel punto precedente e siano P = (0, 1) e Q = (−1, 3) punti
del piano 0x y. Calcolare
ωf
γ
dove γ è una curva il cui sostegno è il segmento avente primo estremo in Q e secon-
do estremo in P .
222 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
SOLUZIONE:
x3
[Sol.: (a) f (x) = 3
; (b) − 313
12
.]
Esercizio 12.3.5 (da file integrazione-I). Calcolare γ ω dove
e γ è la frontiera, percorsa in senso orario, della regione del primo quadrante racchiusa dalla
bisettrice 1o − 3o quadrante, l’asse y e la circonferenza di centro l’origine e raggio 2.
ω(x, y) = ye y + αe y − 2x cos x 2 d x + xe y + x ye y − βe x d y.
¡ ¢ ¡ ¢
Determinare, se esistono, i valori di α e β reali tali che ω è esatta. Per tali valori, calcolare il
potenziale f tale che f (0, 1) = 3.
[Sol: a = b = 0]
Esercizio 12.3.7 (da file integrazione-I). Calcolare il lavoro del campo F (x, y, z) = (z, x 2 , y) su
γ, dove γ è l’arco di elica t 7→ (cos t , sin t , t ) con t ∈ [0, 3π/2].
[Sol.: 43 .]
12.3. ESERCIZI 223
dove γ è il triangolo di vertici (0, 0), (1, 0), (2, 1) percorso in senso orario, F (x, y) = (e x+y +
x, e x−y − y) e N è il versore normale esterno al triangolo.
[Sol.: Parametrizziamo il segmento γ1 di primo estremo (1, 0) e secondo estremo (0, 0):
Esercizio 12.3.11 (da file integrazione-I). Calcolare il lavoro del campo F (x, y) = (x y 2 , x) su
γ, dove γ è una curva il cui sostegno è quello indicato in figura 1.
(0,2)
γ2
γ3
(0,0) γ1 (2,0)
Esercizio 12.3.13 (da prova scritta AM2 29-6-2020). Si considerino le forme differenziali ω1 , ω2 :
R3 \ {(0, 0, 0)} → R∗ ,
−y x z
ω1 (x, y, z) = 2 2 2
dx + 2 2 2
dy + 2 dz
4x + y + z 4x + y + z 4x + y 2 + z 2
Conclusione:
1 1
(ω1 + ω2 ) = arctan(2π) + log(1 + 4π2 ).
γ 2 2
Esercizio 12.3.14 (da prova scritta AM2: 8-6-2020). Si consideri il campo vettoriale F : R3 →
R3 , F (x, y, z) = (−2z, x, −4z).
(a) Parametrizzare
γ∗ = {(x, y, z) : y = −x, x 2 + y 2 + z 2 = 4}
in modo che sia sostegno di una curva γ regolare e semplice. L’orientazione sia a
piacere
(b) Calcolare L(F, γ), lavoro di F su γ (orientazione scelta a piacere).
(c) Determinare, se esiste, f : R3 → R tale che ∇ f = F ?
SOLUZIONE:
(a)
x2 z2
γ∗ = {(x, y, z) : y = −x, 2x 2 + z 2 = 4} = {(x, y, z) : y = −x, + = 1}
( p2 )2 4
2
2 2
γ : [0, 2π] → R3 , γ(t ) = ( p cos t , − p cos t , 2 sin t )
2 2
(b)
µ ¶
0 2 2
γ (t ) = − p sin t , p sin t , 2 cos t
2 2
2π µ ¶ µ ¶
2 2 2
L(F, γ) = 〈 −4 sin t , p cos t , −8 sin t , − p sin t , p sin t , r cos t 〉 d t
0 2 2 2
2π µ ¶
4 2 4 4
= −2 p sin t + cos t sin t − 16 sin t cos t d t = 2 p π.
0 2 2 2
(c) No, perché se ci fosse sarebbe stato L(F, γ) = 0.
SOLUZIONE:
Il campo F (x, y) = (y, x − 1) è conservativo, in quanto irrotazionale in R2 , insieme semplice-
mente connesso.
f (x, y) = y x + c(y) è un candidato potenziale di F .
Si ha
( f y (x, y) = x − 1 ⇔ x + c 0 (y) = x − 1) ⇒ (c 0 (y) = −1 ⇔ c(y) = −y + k, k ∈ R).
Dunque un potenziale di F è la funzione f (x, y) = y(x − 1) Allora
p p p à p ! p
3 3 3 3 3 p
L(F, γ) = f (0, ) − f (0, − )=− − − (−1) = −2 = − 3.
2 2 2 2 2
Esercizio 12.3.16 (da prova scritta AM2: 7-9-2020). Si consideri la forma differenziale ω :
R3 → (R3 )∗ ,
ω(x, y, z) = x d x + (x + y) d y + (x + z) d z.
Calcolare ω, con γ parametrizzazione regolare e semplice di
γ
γ∗ := {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = 1, z = y}
tale che i punti γ(t ) si muovano, se visti dall’alto, in senso antiorario.
SOLUZIONE:
γ : [0, 2π] → R3 ,
γ(t ) = (cos t , sin t , sin t ).
La proiezione π(γ(t )) del punto γ(t ) sul piano Ox y al variare di t ∈ [0, 2π] descrive una
circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1, percorsa in senso antiorario:
π(γ(t )) = (cos t , sin t ).
γ è semplice, infatti
t 7→ (cos t , sin t ) è iniettiva in [0, 2π[ e in ]0, 2π].
Inoltre, γ è regolare, essendo γ ∈ C 1 e
p
γ0 (t ) = (− sin t , cos t , cos t ) ⇒ |γ0 (t )| = 1 + cos2 t 6= 0.
Si ha
2π
ω(x, y, z) = (cos t (− sin t ) + (cos t + sin t ) cos t + (cos t + sin t ) cos t ) d t
γ 0
2π ¡ 2π ¡
2 2
2 cos2 t + sin t cos t d t
¢ ¢
= − sin t cos t + cos t + sin t cos t + cos t + sin t cos t d t =
0 0
228 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
2π
= 2 cos2 t d t = 2π.
0
Esercizio 12.3.17 (da prova scritta AM2: 25-1-2021). Si consideri il campo vettoriale F : R3 →
R3 ,
F (x, y, z) = (y + 1, z + 2x + 2y, 0).
Calcolare il lavoro L(F, γ), dove γ è una parametrizzazione regolare e semplice di
γ∗ := {(x, y, z) ∈ R3 : x 2 + y 2 = z, z = −2x − 2y + 7}
SOLUZIONE:
Si ha
½ z = −2x − 2y + 7 z = −2x − 2y + 7
z = −2x − 2y + 7
2 2
⇔ z =x +y ⇔ x 2 + y 2 = −2x − 2y + 7
z = x2 + y 2
z ≥0
z ≥0
z = −2x − 2y + 7 z = −2x − 2y + 7
⇔ x + y = −2x − 2y + 7 ⇔ x 2 + 2x + y 2 + 2y = 7
2 2
z ≥0
z ≥0
z = −2x − 2y + 7
z = −2x − 2y + 7
2 2
⇔ (x + 1) + (y + 1) − 2 = 7 ⇔ (x + 1)2 + (y + 1)2 = 9
z ≥0
z ≥0
ossia
γ(t ) = (−1 + 3 cos t , −1 + 3 sin t , −6(cos t + sin t ) + 11).
Notiamo che la terza componente di γ, che denotiamo z(t ) è positiva. Infatti:
π π p
max (cos t + sin t ) = cos( ) + sin( ) = 2,
t ∈[0,2π] 4 4
da cui
p
z(t ) = −6(cos t + sin t ) + 11 ≥ −6 2 + 11 > 0.
Abbiamo così dimostrato che γ è una parametrizzazione semplice di
Essa ha l’orientazione richiesta, in quanto la proiezione π(γ(t )) del punto γ(t ) sul piano Ox y
al variare di t ∈ [0, 2π] descrive una circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1, percorsa in senso
antiorario:
π(γ(t )) = (−1 + 3 cos t , −1 + 3 sin t ).
Essa è anche una parametrizzazione regolare, infatti
γ0 (t ) = (−3 sin t , 3 cos t , 6 sin t − 6 cos t ) 6= (0, 0, 0) ∀t ∈ [0, 2π].
Essendo
F (γ(t )) = (−1 + 3 sin t + 1, −6(cos t + sin t ) + 11 + 2(−1 + 3 cos t ) + 2(−1 + 3 sin t ), 0)
= (3 sin t , 11 − 4, 0) = (3 sin t , 7, 0),
allora
2π 2π
0
L(F, γ) = 〈F (γ(t )), γ (t )〉 d t = 〈(3 sin t , 7, 0), (−3 sin t , 3 cos t , 6 sin t − 6 cos t )〉 d t
0 0
2π 2π 2π
2 2
= (−9 sin (t ) + 21 cos t )〉 d t = −9 sin (t ) d t + 21 cos t d t = −9π + 0 = −9π.
0 0 0
yz
Esercizio 12.3.18 (I 2010-02-08CIV-AMB). Si consideri il campo F (x, y, z) = ( 1+x 2 , z arctan x, y arctan x).
(a) Verificare che il campo è irrotazionale. Il campo è anche conservativo; perché?
(b) Determinare le primitive della forma differenziale associata al campo F .
(c) Disegnare la curva γ(t ) = (1, cos t , sin t ) con t ∈ [0, 2π] e calcolare il lavoro del campo
F su tale curva.
230 12. FORME DIFFERENZIALI E CAMPI VETTORIALI
12.3. ESERCIZI 231