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Il tafarismo e la sua integrazione nelle strutture socio – politiche giamaicane


di Alessandro Badella

Origini del tafarismo

Sull'isola di Giamaica circa un decimo della popolazione si professa di culto rasta (ovvero circa
250,000 abitanti) e abbraccia le sue credenze.
E ancora, secondo un recente sondaggio locale, la personalità giamaicana più conosciuta
all'estero è la star reggae Bob Marley, anch'egli rasta e diffusore del messaggio di Jah presso le
platee bianche di mezzo mondo.
Questo breve inciso, ci offre la possibilità di evidenziare la diffusione della cultura rasta verso
un audience non sempre culturalmente in sintonia con quella isolana, ma che ha recepito e
assimilato (seppure in maniera parziale ed approssimativa) l'eco di una cultura lontana.
Tuttavia, il pericolo principale di questo contatto sarebbe quello di stereotipare tutta la dialettica
etico – culturale della Giamaica attorno ad una “sineddoche” pericolosa per la comprensione dei
processi culturali e politici dell'isola.
Ogni forma di religione, di culto o di credenza nasce, secondo l'analisi di Weber1, dalla
necessità di creare il soddisfacimento (anche fittizio) di un bisogno sociale. Non a caso, il
tafarismo nacque negli Anni Trenta del XX secolo attorno alla cintura urbana di Kingston, che
racchiudeva gli slums della capitale, ma soprattutto la popolazione più povera dell'intera isola.
A questo si deve aggiungere che la crown colony britannica aveva reso impossibile alcun tipo di
redistribuzione sociale delle ricchezze che, come spesso accade nei paesi terzomondisti,
venivano accaparrate da poche famiglie, rappresentanti l’oligarchia del paese.
La componente nera della popolazione, ovvero i discendenti degli schiavi africani dovevano
accontentarsi di lavori umili e sottopagati, costituendo il sottoproletariato che si accalcava alle
periferie delle città.
Il primo atomo della cultura religiosa rasta fu diffuso sull'isola dalla figura mitica di George
Liele (noto anche come George Sharp, dal cognome del suo padrone\datore di lavoro in

1
da GIDDENS A., Capitalismo e Teoria Sociale, Milano, Net, 2002 .

1
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Georgia): egli, a partire dal 1783, lasciò da uomo libero gli Stati Uniti e iniziò la propria
predicazione battista sull'isola giamaicana2.
La predicazione di Liele fu significativa per due principali aspetti: in primo luogo, la concezione
protestante e battista diede la possibilità di un'interpretazione personale delle Scritture senza la
mediazione di una “casta sacerdotale” e clericale. Inoltre, Liele venne considerato come uno dei
padri della dottrina rasta grazie al nome che diede alla comunità da lui a Kingston, ovvero
Ethiopian Baptist Church.
Il riferimento all'Etiopia, e all'Africa più in generale, era dovuta all'interpretazione filologica di
alcuni passaggi biblici, in cui la parola nubiano o cuscite (derivante dall'ebraico cush, “dalla
pelle bruciata e nera”) venne riportata in greco con il termine ethiop, che divenne Etiopia. La
Bibbia, in alcuni passaggi, offre diverse ed antitetiche descrizioni dei nubiani: in alcuni punti
sono esaltati per il loro valore di condottieri e combattenti, altrove vengono disprezzati come
esseri reietti (come nel Libro del profeta Isaia). La scelta di Liele era riferita al popolo nero,
ovvero gli schivi africani deportati verso le piantagioni caraibiche, oppressi dai padroni bianchi,
nonché alle crescenti proteste per le disuguaglianze interne fra gli strati più umili della
popolazione ed il padronato schiavista.
Specialmente durante il periodo della Great Revival (1860 – 1920), tuttavia, il tafarismo e altre
forme di religione e di sincretismo ebbero una diffusione massiccia tra la popolazione
suburbana delle baraccopoli di Kingston. Una delle più famose sette dell'epoca fu la Native
Baptist Church, fondata attorno al 1791 da Alexander Bedward3.
Essa ebbe il compito di offrire al tafarismo il primo germe di messianismo: Bedward si professò
come “Dio in Terra”, affermando che una visione giovanile gli aveva affidato il compito di
traghettare i “fratelli” verso l'ascensione terrena, in attesa dell'Apocalisse e della costruzione
della Gerusalemme celeste.
La predicazione della Native Baptist Church fu direttamente correlata alla futura diffusione del
tafarismo e alla strutturazione dello stesso. Bedward fu il primo a parlare del ritorno in Africa e
del fine ultimo della redenzione dell'uomo nero attraverso il ritorno alla madrepatria e la

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WHITE T., 2002
3
Il processo di diffusione del tafarismo è tratto da Wikipedia su http://en.wikipedia.org/wiki/Rastafari.

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costituzione di una società ove egli potesse trionfare sull'uomo bianco, in una forma di razzismo
comprensibilmente “rovesciato”.
Da queste premesse si mosse l'opera di uno dei principali “pilastri” del tafarismo e del
garveysmo, ovvero Marcus Mosiah Garvey. Egli, di chiare origini maroon, fu l'artefice del
completamento della dottrina rasta.
Garvey fu dapprima coinvolto, nel ruolo di attivissimo sindacalista, nelle lotte fra classe
lavoratrice e padronato a Kingston, ma dovette ben presto lasciare l'isola (1910) alla volta del
Costa Rica. L'esperienza di esule, che lo portò “alla deriva” per gran parte dell'America Latina
(Costa Rica, Ecuador, Panama, Honduras, Colombia e Venezuela), fu una specie di rito di
iniziazione, in cui “il profeta” (come viene ancora oggi chiamato Garvey) venne a contatto con
le innumerevoli sofferenze degli strati più umili della popolazione. In particolare, il soggiorno a
Londra (a partire dal 1912) gli offrì concretamente la possibilità di osservare le condizioni di
sfruttamento in cui versavano i migranti delle Indie Occidentali, che si erano diretti in Europa
per sfuggire alle privazioni e all'asservimento coloniale. Fu proprio a Londra che Garvey venne
a contatto con studi filologici e biblici che evidenziavano uno dei primi sintomi della
“controcultura” della black consciousness garveyana.
Animato da queste nuove e rivoluzionarie ideologie di fondo, al suo ritorno in Giamaica (1914),
egli si prodigò per la creazione della Universal Negro Improvement Association and African
Communities League, che in breve tempo divenne estremamente operativa su tutto il territorio
isolano.
Il fine dell'associazione era apparso da subito in maniera molto chiara ed incontrovertibile: il
garveysmo non poteva che essere un movimento di rottura nei confronti inoculazione coloniale
della cultura bianca nei confronti degli africani deportati come schiavi nel corso dei secoli.
Secondo Garvey, la volontà da parte dei neri giamaicani di assomigliare ai bianchi inglesi e di
“prostrarsi” alla Union Jack di Sua Maestà era una patetica forma di social climbing che non
rendeva giusta testimonianza ai trecento anni di sfruttamento coloniale e schiavista4.
Per questo, l'educazione e soprattutto la lotta alla segregazione scolastica divennero il campo di
battaglia dell'organizzazione. Ironicamente, la componente nera della popolazione locale fu

4
La storia della predicazione di Marcus Garvey è tratta dal sito web di Jamaicans.com
http://www.jamaicans.com/culture/rasta/MarcusGarveyProhecy.shtml.

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molto più ostile di quella bianca nei confronti delle idee di Garvey: paradossalmente il suo
radicalismo erano assai più apprezzati dai bianchi (come il sindaco ed il vescovo della capitale)
con spiccati intenti filantropici e umanitari.
Nel 1916, l'ufficio generale dell'associazione venne trasferito da Garvey a New York, a causa
delle crescenti resistenze della popolazione. Negli Stati Uniti, dopo il successo registrato nel
“ghetto” nero di Harlem, Garvey decise di proclamare la nascita della Universal Negro
Improvement Association (UNIA), con lo scopo principale di ottenere maggiore rispetto per tutti
i neri del mondo, in qualsiasi settore, sotto qualsiasi forma di oppressione e all'interno di ogni
nazione.
L'UNIA divenne anche il nuovo pulpito da cui Garvey si fece carico di lanciare il progetto di
ricongiungimento dei neri con la loro madrepatria, ovvero l'Africa. L'ultimo tassello del
moderno garveysmo era proprio questo: gli attriti razziali in America, così come all'interno del
Commonweath e il continuo calpestamento dei diritti fondamentali dei neri potevano essere
eliminati solamente se gli africani si fossero ripresi le pianure e le valli che i bianchi avevano
strappato ai loro antenati. Allora, la frase (attribuita non senza polemiche allo stesso Garvey):
“Guardate all'Africa...” sarebbe stata la prova ed il segno del comune destino di tutti i neri
deportati dalla black diaspora lontano dal continente africano.
Dall'affermazione di Garvey, sempre che fosse realmente sua, ne fu tratta un'interpretazione che
vedeva la sua predicazione come un processo di elevazione e salvezza spirituale molto simile a
quelli al centro della tradizione cristiana o ebraica. La repatriation verso la terra di origine, la
Terra dei Padri, la Terra Promessa nel cuore dell'Africa può essere paragonabile al rito di
passaggio della Pasqua. Nella tradizione ebraico – cristiana essa rappresenta appunto il
mutamento di una condizione socio – spirituale: dal Peccato (ovvero schiavitù, asservimento,
lontananza da casa) alla Rivelazione, che appare sotto forma di affrancamento dalla schiavitù e
ritorno alla Terra natia.
Il garveysmo e la sua evoluzione (il tafarismo) compiono una fusione (molto simile a quella
dell'Antico Testamento) tra l'affrancamento spirituale e quello socio – politico.
Il padre fondatore del moderno tafarismo, l'eroe giamaicano Garvey, venne tuttavia
progressivamente allontanato e rifiutato dalle comunità locali e persino dai ceti medi della
piccola borghesia nera. Pertanto, egli si ridusse a predicare la propria “novella” ai diseredati

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delle colline giamaicane: questo infimo scalino nella scala sociale isolana fu però il canale
attraverso cui il garveysmo diede i propri frutti più significativi.
Abbandonata ogni velleità culturale, Garvey aveva ora la necessità di dare una speranza (e un
culto) alle masse di derelitti che vivevano ai margini delle periferie delle città giamaicane e ai
bordi della stessa società5.

I precetti del culto tafarico


Il garveysmo, a partire dagli anni Trenta del Novecento, si trasformò sempre più nella dottrina
del moderno tafarismo, diffondendosi anche in altre parti del mondo.
Il momento della mutazione fu proprio il 1930, anno in cui in Etiopia venne incoronato Hailé
Selassié: per i seguaci di Garvey, ai quali egli aveva detto “Guardate all'Africa, per
l'incoronazione di un re nero; sarà Lui il Redentore”, il sovrano etiope era l'Eletto della profezia.
Non a caso Hailé Selassié significava “Potere della Santa Trinità”.
Nonostante non ci fossero prove dell'affermazione “africanista” di Garvey e nonostante egli
(insieme all'UNIA) continuasse a prendere le distanze dal nuovo culto, il tafarismo aveva
contagiato gran parte della popolazione rurale giamaicana. La reazione di Garvey fu comunque
molto ostile: per prima cosa egli vietò, all'interno dell'UNIA, la proliferazione del culto della
personalità di Hailé Selassié nonché la distribuzione delle relative effigi come simboli di
venerazione.
Nel 1936 la rottura fu totale: l'assegnazione dell'onorificenza cartacea di “uomo dell'anno” (da
parte del Times) al Negus Negast etiope non poté mascherare, agli occhi di Garvey, l'incapacità
di Hailé Selassié in occasione dell'invasione italiana del Corno d'Africa6.
Tuttavia, il garveysmo sarebbe stato messo in minoranza dal nuovo fenomeno sociale del
tafarismo. Il ruolo di Garvey nel campo del miglioramento delle condizioni della popolazione
nera diede comunque frutti eccellenti soprattutto negli Stati Uniti, dove l’UNIA divenne un
punto di riferimento per la lotta alla segregazione razziale.

5
Sul punto, si veda BBC Ondine su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/features/marcus_garvey/ , oppure su
http://www.bbc.co.uk/religion/religions/features/marcus_garvey/martin.shtml .
6
La critica di Garvey all’Imperatore Hailé Selassié è riferita a Jamaicans.com su
http://www.jamaicans.com/culture/rasta/MarcusGarveyeditorial.shtml.

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Il moderno tafarismo non può che affondare le proprie radici all'interno della Chiesa Ortodossa
Etiope, che, secondo la tradizione, fu una delle prime chiese cristiane facente capo alla sede di
Alessandria d'Egitto.
Come già detto, la “profezia” di Garvey viene considerata come il fondamento e l'inizio di un
movimento religioso nuovo: il richiamo all'incoronazione del Redentore fu seguito di lì a poco
dalla sfarzosa cerimonia di insediamento del monarca etiope che prese il nome di Hailé Selassié.
A partire dal 1935, il tafarismo si diffuse compiutamente in Giamaica, al seguito della
predicazione di uno dei padri militanti del movimento, ovvero Leonard P. Howell: egli iniziò la
predicazione del culto tafarico in tutta l'isola.
L'Imperatore, secondo i suoi seguaci, avrebbe in più occasioni manifestato la propria natura
divina nel corso del suo regno terreno. Il giorno dell'incoronazione fu, ad esempio, proclamato
“King of Kings, Lords of Lords, Elect of God, Conquering Lion of the Tribe of Judah”,
abbandonando il nome principesco di Ras Tafari, per assumere quello imperiale che significava
“Potere della Trinità”. Insomma, Hailé Selassié non poteva non essere visto come il nuovo
Cristo in Terra, l'incarnazione del Dio dei cristiani e degli ebrei.
A questo credenze occorre aggiungere che Hailé Selassié, in quanto imperatore etiopico, era il
discendente della biblica Regina di Saba e del Re Salomone (dalla cui unione nacque Menelik I,
primo re d'Etiopia): in conclusione, Selassié era imparentato con la dinastia di Gesù Cristo e,
quindi, aveva sangue divino.
A queste credenze si devono aggiungere tutti gli avvenimenti storici, registrati ed annotati dai
biografi di palazzo e dai maestri rasta giamaicani, secondo i quali Hailé Selassié compì veri e
propri miracoli che venivano accolti come prova e la testimonianza vivente della natura umana e
divina di Sua Maestà.
Proprio per questo la figura centrale del sincretismo tafariano è proprio quella di H.I.M. (His
Imperial Majesty) come seconda reincarnazione (dopo quella di Cristo) del Dio di Abramo e
degli ebrei, Jah (abbreviazione di Jahvé, ovvero il Dio dell'Antico Testamento).
Partendo da una similitudine abbastanza concreta fra le credenze e i testi sacri del tafarismo e
quelli cristiani ortodossi etiopici, la principale differenza fra questo sincretismo e le religioni
storiche (come cristianesimo ed ebraismo) sta nella totale assenza di una casta sacerdotale
deputata all'interpretazione delle scritture. Anche l'assenza di luoghi di culto veri e propri è una

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delle caratteristiche peculiari del tafarismo: solitamente gli adepti (o la comunità) si incontrano
una volta alla settimana in abitazioni private o in luoghi segreti per discutere delle questioni
proposte dalla comunità7.
Tra i simboli ricorrenti delle comunità rasta ve ne sono alcuni piuttosto significativi: il vessillo
che campeggia ad ogni incontro delle comunità è la bandiera nazionale etiope dell'Impero di
Hailé Selassié, con i colori verde, giallo (oro) e rosso disposti in sequenza all'interno di tre fasce
verticali. Al centro della stessa campeggia il Leone di Giuda (simbolo del principe Tafari)
recante la croce della Chiesa Ortodossa Etiope.
I tre colori del vessillo sono anche considerati come i colori sacri della divinità, poiché essi
rappresentano alcune condizioni sacre e fondamentali per ogni adepto: il verde rappresenta la
vegetazione il colore predominate della Giamaica (l' ”esilio” del rasta), il giallo – oro è il
simbolo della provenienza degli antenati, ovvero l'Africa, la Coast of Gold, dove i negrieri
prelevavano gli schiavi. Infine il rosso è il simbolo del sangue versato durante la schiavitù e
quindi rappresenta l'oppressione dell'uomo bianco.
Un altro colore considerato sacro è quello della pelle degli africani, ovvero il nero, poiché
rappresenta la superiorità dei neri nei confronti degli schiavisti bianchi e testimonia la profezia
della Redenzione.
Altri simboli rituali sono le acconciature dreadlocks, che richiamano la criniera del Leone di
Giuda, ma soprattutto sono un precetto derivabile dal Levitico (21,5): “Non procureranno
calvizie alle loro teste, né accorceranno le proprie barbe, né taglieranno mai la propria carne”;
pertanto era interdetta loro la possibilità di tagliare barba e capelli8.
Inoltre, tutti i cibi non considerati ital (“pulito”, “naturale”) devono essere evitati: l'alcool (sotto
ogni forma), la carne (specialmente se suina), il consumo del tabacco, i molluschi, i pesci privi
di squame, le lumache o altri animali che si cibassero di carogne sono severamente proibiti dalle
Scritture (Levitico 22,4 – 9)9.
Il tafarismo ha introdotto nel proprio culto l'utilizzo della ganja (la marijuana) come strumento
di contatto tra l'uomo e Jah e come forma di distacco spirituale al fine della meditazione.

7
Sul punto consultare BBC ondine su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/customs/ .
8
WITHE T., 2002
9
idem

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Secondo alcuni studiosi, l'uso della marijuana come sostanza di alterazione della coscienza fu
dapprima introdotta tra i garveyti come forma di “sfida” e di protesta nei confronti della autorità
governative giamaicane, che non si curavano poi troppo delle issues sociali poste in essere dagli
starti inferiori della popolazione.
Partendo da questo presupposto di psichedelismo ante litteram, la ganja divenne simbolo della
saggezza e dell'elevazione spirituale e venne legata ad innumerevoli passi biblici: “L'erba cresce
per i giumenti ed i foraggi al servizio dell'uomo” (Salmi 104,14), “...ti nutrirai dell'erba dei
campi” (Genesi 3,18), “Meglio un piatto d'erba condito dall'amore che un bue grasso con
contorno di odio” (Proverbi 15,17).

La politica del tafarismo


Per quanto riguarda l'apporto politico – sociale del tafarismo, indipendentemente dalle distanze
prese dallo stesso Hailé Selassié (durante il viaggio sull'isola nel 1966 e, in seguito, durante
un'intervista per un'agenzia radiofonica canadese), le congregazioni rasta si moltiplicarono
specialmente all'interno della working class isolana10.
Tuttavia, il movimento del tafarismo rimase, per fattori che ora analizzeremo, estraneo (anche se
non ininfluente) alla possibilità di costituire un movimento di rivendicazione politico – sociale
autonomo e concretamente operante.
Alcune limitazioni derivarono proprio dalle credenze e dal culto tafarico stesso. Il rasta
perseguiva il sogno della Redenzione attraverso il ritorno in Africa: la Giamaica era unicamente
la prigione in cui lo spirito dell'uomo viveva la sua esistenza terrena.
I rasta usavano il termine Babylon (Babilonia, la terra della schiavitù e della deportazione
israelita) per designare l'isola e tutte le sue strutture politiche, che erano viste come una
limitazione alla libertà di diffusione del culto di Jah e come simbolo della decadenza morale dei
neri deportati nei Caraibi11.
Il tafarismo predicava dunque la proibizione più assoluta riguardo all'integrazione all'interno
delle strutture politico – sociali di Babilonia: il Re d'Inghilterra non poteva essere il sovrano del

10
L’approccio dello stesso Hailé Selassié al tafarismo può essere documentato da
http://en.wikipedia.org/wiki/Haile_Selassie#Haile_Selassie_I.27s_attitude_to_the_Rastafarians .
11
Le credenze tafariche associate all’approccio socio – politico possono essere rintracciate su
http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/beliefs/.

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rasta, né il governo giamaicano rappresentava la guida politica del popolo di Jah, poiché il suo
Re dei Re era unicamente Hailé Selassié.
A questo si deve aggiungere che alcune pratiche del tafarismo erano severamente invise agli
esecutivi locali ed alla classe medio – borghese. Ad esempio, il mancato controllo delle nascite
(il rasta ha l'obbligo di difendere la procreazione della vita e la perpetuazione della specie) e il
rifiuto di ogni forma di contraccezione proposta dal governo erano una delle maggiori cause di
astio delle autorità per la comunità rasta; a questo si deve aggiungere che il consumo della
ganja era severamente punito dalle forze di polizia, anche al di là dei limiti consentiti.
Tuttavia, un punto di connessione importante era il legame che andava nascendo fra le comunità
rasta e la sfera economicamente svantaggiata della popolazione rurale e suburbana.
Nonostante la possibilità di sfruttare questa carta vincente, il tafarismo perse l'occasione a cause
dall'elevato frazionamento interno: a partire dai primi anni di vita, il movimento politico –
sociale (come, per altro, la sezione religiosa) si disgregarono in una serie di sette e sottosette che
minarono dall'interno le possibilità del gruppo.
Inoltre, le richieste dei rasta, almeno durante il primo ventennio di attività, si concretizzarono
unicamente in un rifiuto delle istituzioni e dell'ordine costituito sull'isola caraibica. Le azioni
dimostrative dei rasta erano comunque affette, come per i garveyti, dal carisma dominante dei
propri leaders. Se personalità come Garvey, Howell o Claudius Henry erano stati gli artefici e i
fondatori del movimento (senza i quali esso avrebbe avuto vita breve), il loro carisma e la loro
personalità avevano anche influenzato la decision making del gruppo.
Almeno sino ai primi Anni Sessanta, il culto tafarico si guadagnò le antipatie e gli insulti della
classe dirigente giamaicana anche a causa di iniziative anacronistiche, eccentriche e
decisamente chimeriche. Lo stesso Garvey, dopo la Prima Guerra Mondiale, inviò alcuni
rappresentanti dell'UNIA alla Lega delle Nazioni affinché essa prendesse in considerazione la
possibilità di destinare i territori coloniali sottratti ai tedeschi ai neri caraibici per realizzare il
loro sogno di rimpatrio; ed ancora, il 5 ottobre 1959, il Reverendo Henry, predicatore di
Kingston, proclamò il “Giorno dell'Emancipazione”, radunando una folla immensa sulla pista
dell'aeroporto della capitale in attesa di un aereo per l'Africa (il cui biglietto costava uno
scellino!) che non sarebbe mai arrivato12.
12
WHITE T., 2002 .

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A partire dagli Anni Sessanta, però, alcuni segnali di mutamento delle condizioni culturali e
sociali diedero un nuovo impulso alle domande politiche del movimento rasta. In contrasto con
la proibizione religiosa del voto, nel corso degli Anni Sessanta, il rasta Ras Sam Brown si
candidò ad una tornata elettorale locale, ottenendo però solamente un centinaio di voti13.
Da questo si può dedurre come la componente rasta dell'isola fosse nettamente estranea alla
partecipazione politica: di per sé, la candidatura di Brown non ebbe la presa sufficiente per uno
stimolo concreto della partecipazione politica.
Tuttavia, il Suffering People's Party, la formazione rappresentata da Brown, era l'incipit di una
maggiore visibilità per gli adepti del tafarismo: proprio questo tentativo poteva assumere
all'epoca una duplice connotazione. Da un lato, i primi Anni Sessanta erano stati scossi da una
maggiore insofferenza dei rasta nei confronti della pressione politica e poliziesca (e viceversa):
la polizia era sempre più spesso utilizzata dal governo per sedare le proteste e le rivolte nei
ghetti suburbani della capitale. L'episodio più grave fu lo scontro a fuoco, avvenuto nel 1960 nel
quartiere di Red Hill, fra la polizia ed un gruppo di ferocissimi rivoltosi rasta, il Niyabingi
Order. All'interno di questi fenomeni di crescente intolleranza e di “separatismo” della
componente rasta dal resto della società giamaicana, la prima avrebbe certamente pagato il
prezzo più alto: il tafarismo avrebbe attirato su di sé tutte le frustrazioni della politica e
dell'economia di un paese del Terzo Mondo, diventando così il capro espiatorio del governo.
Questa previsione si avverò solamente in parte, soprattutto grazie all'intelligenza strategica e
politica di Brown: egli cercò (anche se l'esperimento non ebbe risultati eclatanti) di raggiungere
una reinterpretazione più tollerante del “razzismo nero” di Garvey.
La partecipazione politica del tafarismo era giustificato dal cosiddetto “21 – point plan”, scritto
da Brown in vista della fatica elettorale. Innanzi tutto, egli sottolineava con forza come il
tafarismo dovesse essere considerato un elemento presente e sviluppato all'interno della società
isolana e, pertanto, anche gli aderenti al tafarismo avrebbero dovuto poter organizzarsi in
apposite strutture politiche al fine di perseguire la tutela dei diritti fondamentali della persona
umana e dei neri, in particolare. La tutela di questi diritti e il raggiungimento della libertà
all'interno dello stato giamaicano doveva avvenire solamente attraverso la costituzione di un
13
Le testimonianze della candidatura di Sam Brown e della partecipazione politica del movimento sono tratte da
Jamaica Observer Oline, 21 Agosto, 2001 su http://www.jamaicaobserver.com/columns/html/20010820t210000-
0500_12939_obs_rastafari_and_politics.asp

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partito rasta, dal momento che i due principali partiti isolani non sembravano disposti ad
accogliere le loro issues.
Oltre all'insuccesso elettorale, nel 1966, i seguaci e gli elettori di Brown videro la sede del
partito (costruito all'interno della baraccopoli di uno dei ghetti di Kingston) rasa al suolo e data
alle fiamme dagli emissari del governo.
Al mondo occidentale, la comunità rasta si manifestò in maniera più consistente a partire dalla
visita dell'Imperatore Hailé Selassié sull'isola. Egli fece tappa in Giamaica il giorno giovedì 21
Aprile 1966: per il tafarismo era l'occasione di manifestare le proprie richieste al proprio Dio in
Terra e per innaffiare le profezie messianiche con una buona dose di millenarismo. Insomma, la
visita dell'Imperatore si annunciava come una specie di “Discorso della Montagna” di Cristo ai
propri seguaci.
In effetti, per le comunità tafariche dell'isola, quello sarebbe stato il giorno del “Groundation
Day” (il giorno della Liberazione): all'aeroporto della capitale, il dignitario etiope fu salutato da
una folla di circa centomila persone, molte delle quali membri delle congregazioni rasta o di
associazioni afro – giamaicane.
La visita di tre giorni sul suolo isolano fu un'abile mossa architettata dal governo per ottenere
almeno alcune importanti vittorie nei confronti dei membri del tafarismo. In primo luogo, il
governo utilizzò gli strumenti (già ben noti) della propaganda populista: la visita diplomatica era
l'occasione per raffreddare la tensione politico – sociale e distogliere l'attenzione delle ali ostili e
rivoltose del tafarismo dagli insoluti problemi economici e redistributivi. Inoltre, le elezioni
erano alle porte e sarebbe stato un colpo da maestro per il JLP ricorrere ad un eventuale
possibilità di attirare i voti e le simpatie di una parte della popolazione rasta.
Tuttavia, ciò che apparve evidente, da questo momento in poi, fu la necessità da parte di
entrambi i partiti, di prendere in considerazione le issue della componente rasta dell'elettorato
che, anche se non molto attiva, stava subendo un consistente incremento.
A partire dalla metà degli Anni Sessanta, il tafarismo si diffuse molto di più nelle veci di
protesta sociale che nella forma di una vera e propria pratica religiosa. In effetti, i ritmi isolani
della musica ska, rocksteady e reggae, che si manifestarono presto al mondo occidentale,
divennero i canali principali della protesta, non soltanto delle comunità rasta, ma anche della
popolazione povera e reietta delle zone economicamente svantaggiate.

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La cultura rasta divenne allora il motore trainante dell'arte, della poesia (grazie a scrittori come
Linton Kwesi Johnson) e della musica. Questa pubblicità, ambiguamente sia positiva che
negativa (la cultura rasta non faceva mai a meno di sottolineare le rudi violenze del governo e le
angherie perpetrate dalla polizia) provocò una reazione durissima: l'establishment isolano fu
concorde nel ritenere questa avanzata del tafarismo come una sorta di scontro di civiltà. La
classe dirigente, che da sempre era impegnata a limitare il sovrapopolamento dell'isola
(attraverso politiche di controllo delle nascite), ad incentivare il rilancio economico e
l'alfabetizzazione della popolazione, percepiva allora una crescente frustrazione nei confronti di
una parte della società che stava diventando una sorta di “ambasciatrice” della Giamaica nel
mondo. Il cruccio della media borghesia era proprio questo: come era possibile che la parte della
società che non si curava del controllo della fertilità, che consuma sostanze stupefacenti, che
sostituisce il vessillo con la Croce di S. Andrea con i colori verde – oro – rosso etiopici, che si
distaccava da qualsiasi contatto politico e sociale con lo stato e con le istituzioni locali, fosse
effettivamente oggetto di una incredibile visibilità? Comprensibilmente, le reazioni
dell'opinione pubblica borghese (rappresentata dalla testata del Jamaica Gleaners) furono assai
dure e repressive. In particolare, oltre alla predicazione della povertà e della “nullafacenza”
come stile di vita, il tafarismo era divenuto mal tollerato dalle autorità locali a causa della
mancanza di un colore politico che li potesse contraddistinguere (e proteggere)14.
Il socialismo di Manley, che iniziò la campagna elettorale per la tornata del 1972 con slogan del
tipo “Power to the People” o “Ahead Together”, cercò una certa forma di dialogo durante la
suddetta campagna. In linea di principio, il socialismo di Manley avrebbe appunto dovuto
guardare alle masse di diseredati (che in un certo senso erano in larga misura composte da rasta)
per attecchire fra la popolazione e per diffondere i propri frutti migliori: Manley vedeva nel
socialismo una forma di redenzioni sociale praticabile da parte delle classi meno agiate della
società.
Il leader del PNP si era fatto invitare in Etiopia da Hailé Selassié in persona ed era tornato con
un sofisticato bastone da passeggio (regalo di Sua Maestà): questo oggetto sarebbe stato,
almeno per la gente dei ghetti della capitale, l'arma vincente per il programma politico di
Manley nei confronti del tafarismo. Il bastone, soprannominato “Rod of Correction”, in una
14
WHITE T., 2002 .

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sorta di fusione mediatica fra Cristo e Lenin, accompagnò la “predicazione elettorale” di


Manley per tutta la Giamaica, dalle bidonville di Kingston alle regioni più impervie delle Blue
Mountains.
Per compiere un riavvicinamento totale fra la popolazione rasta e la campagna politica del
futuro governo, Manley, seguendo l'esempio del rampante Seaga (produttore discografico
prestato alla politica), decise anche di scegliere una canzone reggae come personale colonna
sonora.
Tuttavia, la logica populistica non permise, né a Manley né a Seaga, una totale pacificazione fra
la minoranza rasta e la politica del governo e dell'opposizione. Anzi, il tafarismo divenne il
principale bersaglio della guerra senza quartiere scatenata da JLP e PNP per il controllo politico
dei quartieri della capitale. Il controllo politico dei quartieri significava l'inquadramento della
popolazione all'interno di uno dei due schieramenti: essa veniva difesa dal partito di competenza
e attaccata da quello avversario. In questa logica, i rasta, notoriamente distaccati dalle vicende
politiche dell’isola, erano presi trai i due fuochi della propaganda delle armi. Durante la
campagna elettorale per le elezioni del 1976, le angherie nei confronti degli adepti al tafarismo
vennero perpetrate con estrema violenza soprattutto ad opera delle forze di polizia e dell'esercito
incaricate di mantenere la sicurezza.
Il JLP forzò la mano dopo l'uscita dell'lp di Bob Marley Natty Dread, in cui era contenuta la
canzone Revolution: essa era un richiamo alla rivoluzione come forma di redenzione sociale per
i sofferenti e per gli afflitti della terra; non a caso si poteva sposare con i sentimenti del
socialismo democratico “alla Manley”.
Infatti, gli anni compresi fra il 1974 ed il 1976 rappresentarono un sodalizio “ideale”, cioè a
livello di intenti e di sfide, fra il socialismo manleyniano e la predicazione del tafarismo,
specialmente quello che faceva capo alle Dodici Tribù d'Israele, rappresentante la parte
istituzionalizzata ed “impegnata” del movimento.
Tuttavia, il sodalizio tra la star internazionale del reggae, recante le richieste dei sufferah, e il
Primo Ministro in carica si deteriorarono nel corso del 1976: mentre Marley subiva un attentato
da parte di alcuni emissari del JLP, il suo quasi omonimo (ma di professione Primo Ministro)
dimostrava di non essere in grado di eliminare la spirale di violenza senza ricorrere agli stessi
metodi di Seaga, ovvero senza sguinzagliare i rudies di fiducia per le strade della capitale.

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Il tentato omicidio nei confronti di Marley ed altri segnali di violenza ed insofferenza del
governo e delle forze di polizia nei confronti dell'area culturale vicina al tafarismo offrirono il
pretesto per seppellire la questione della partecipazione politica della minoranza rasta. Gli Anni
Ottanta furono segnati da una reazione intollerante del governo (anche se con metodi
maggiormente legali): il Primo Ministro Seaga sposò in toto la causa della distruzione delle
piantagioni di canapa indiana presenti sull'isola. Per i rasta fu la prova vivente che il Presidente
degli Stati Uniti, Ronald Wilson Reagan, era l'Anticristo per antonomasia: secondo i maestri
rasta, contando le lettere dei sue due nomi e del suo cognome si sarebbe attenuto 666, ovvero il
numero che nell'Apocalisse di Giovanni designa la venuta della Bestia.
A dir la verità, per tutti gli Anni Ottanta il tafarismo tese l'orecchio al mondo in vista del Segno,
ovvero della conclusione della Profezia (peraltro simile a quella del cristianesimo): il Messia
(Jah) sarebbe ridisceso sulla Terra ed il Giudizio Universale avrebbe fatto giustizia.
Per questo, alcuni aventi significativi provenienti da mezzo mondo furono presi come segno
della venuta di Jah : la morte di Giovanni Paolo I (1978), la collusione della Chiesa all'interno
dei meccanismi massonici della P2, la morte di Marley e il disastro nucleare di Cernobyl furono
considerati come anticipazioni della discesa di Dio nel giorno del Giudizio.
A partire dagli Anni Novanta, la presa e l'interesse politico del tafarismo è lentamente scemato,
complice anche un accorciamento della ragione sociale. La Giamaica, partendo da una
situazione di terzomondismo particolarmente grave, riuscì a migliorare le proprie condizioni
economiche o, se non altro, a non sprofondare in una spirale cronica, come molti paesi africani
nel corso dei primi decenni di indipendenza.
A partire dalla seconda metà degli Anni Ottanta, infatti, il tafarismo e le sue espressioni culturali
furono largamente dominati da una serie di proposte politiche e sociali altamente inconsistenti:
la verve degli Anni Sessanta lasciò il posto ad obiettivi sempre più irrealizzabili ed invisi
all'amministrazione Seaga. La legalizzazione della marijuana, oltre ad essere forse l'unico
obiettivo concreto del tafarismo del periodo, rappresentava in modo parziale le esigenze della
popolazione: la crescita dell'economia ed il miglioramento delle condizioni di vita erano alla
base della perdita della precedente rappresentanza delle esigenze economico – sociali della
popolazione povera e diseredata dell'isola15.
15
Sulle moderne strategie del tafarismo, consultare http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/modern/ .

14
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Un tentativo di partecipazione politica del tafarismo, che potrebbe essere definita come una
riproposizione dello sforzo di Brown, fu la presentazione nelle liste elettorali per la tornata del
2002 del Imperial Ethiopian World Federation Incorporated People's Party (IEWFIPP), un
partito di chiaro richiamo tafarico. Tuttavia, oltre a non ottenere alcun seggio, concluse la
propria esperienza con solamente lo 0.02% delle preferenze.
In effetti, l'impatto sociale del tafarismo è andato attenuandosi e l'atteggiamento nei confronti
della partecipazione politica ne ha risentito in maniera evidente. La ricodificazione della
dottrina rasta, operata in seconda battuta da Michel N. Jagessar nel 1991, ha taciuto il ruolo
terreno e sociale che aveva assunto il movimento durante i decenni precedenti. Il tafarismo delle
origini (supportato da favorevoli condizioni socio – economiche) si approcciava alla politica con
un desiderio frenato, un “vorrei ma non posso”, che comunque dava luogo a forme di
partecipazione eterodosse ed illegali, ovvero a pressioni di tipo politico nei confronti della
classe dirigente. Al contrario, la moderna dottrina si poggia su un distacco dalle cose terrene,
una sorta di contemptus mundi postmoderna: il tafarismo si struttura maggiormente attorno ad
argomenti dottrinari e teologici, mentre a livello sociale il millenarismo (molto simile all'attesa
marxista della rivoluzione) ha preso il posto di qualsiasi forma di partecipazione politico –
sociale e di contatto tra il movimento e le realtà isolane.

Il tafarismo oggi: sviluppo ed integrazione ?


In tempi più recenti, la dottrina rasta ha avuto la possibilità di espandersi anche in altri
continenti, partendo dall’isola giamaicana. Tuttavia, l’originale impatto religioso e sociale,
tipicamente indirizzato alla popolazione nera delle Americhe, ha perso gran parte del proprio
smalto. Oggi, il movimento, pur aprendosi alle sfide della “globalizzazione”, ha assunto
caratteristiche molto più assimilabili ad una corrente di filosofica. Una sorta di buddismo.
Pratiche e riti particolari, come in consumo della marijuana, hanno conquistato le fantasie del
pubblico europeo (e anche di alcune aree del Pacifico) e questa nuova filosofia viene sposata
anche come atto di protesta. Non a caso, il tafarismo ha avuto una sorprendente diffusione
all’interno delle giovani leve russe, cresciute dopo il crollo del regime sovietico 16. In altri

16
Da http://en.wikipedia.org/wiki/Rastafari#Rastafari_Today

15
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contesti (comunque occidentali) il fatto di lasciarsi crescere i dreadlocks e di fumare erba


potrebbe essere considerato come sinonimo della sub-cultura giovanile.
Tuttavia, oggi come oggi, non è possibile tracciare una linea di confine tra culto vero e proprio e
moda. Questo perché il tafarismo ha esportato in altri paesi (e continenti) solamente gli aspetti
più folkloristici del proprio background.
Certamente, esso ha vissuto delle modificazioni interne, dettate anche da cambiamenti sociali.
Per un movimento intrinsecamente connesso alle realtà socio- economiche del luogo di origine
non poteva essere diversamente. Anzitutto, le figure tradizionali del culto sono
progressivamente venute meno (se non altro per ragioni biologiche). Tra la fine del XX e
l’inizio del XXI secolo, i continuatori della predicazione di Garvey sono progressivamente
passati a miglior vita. Charles Edward (1915-1994), influente leader fondatore della
congregazione dei Bobo Shanti, Sam Brown (1925-1998), Vernon Carrington (1936-2005),
storico fondatore della setta Twelve Tribes of Israel, Mortimer Planno (1929-2006), professore
universitario e celeberrimo maestro rasta, sono alcuni esempi delle perdite, in termini di
“capitale umano”, che il tafarismo ha dovuto subire in questi anni17.
Accanto a questa situazione, si è registrato il progressivo sgretolamento delle caste sacerdotali.
Anche se non espressamente previste dal culto tafarico, alcune sette (come i Bobo Shanti o la
Twelve Tribes of Israel) avevano il compito di disciplinare le manifestazioni religiosi, ma anche
di mantenere una certa “ortodossia” di fondo18.
La deriva verso espressioni (peraltro soprattutto artistiche) “dissidenti” interne al tafarismo ha
determinato uno sgretolamento delle basi della stessa dottrina. In primo luogo, la musica del
tafarismo (cioè il reggae) ha perso il proprio appeal di “heart-beat of the people” (definizione
data da Bunny Wailers). Alcuni artisti, come Buju Banton19 e Sizzla, pur continuando a
professarsi rasta, hanno pervertito il messaggio originale. Il one love ha ceduto il posto a
contenuti omofobici e a slogan anti-gay. In effetti, il machismo è sempre stata una caratteristica
degli ambienti del tafarismo, ma mai come oggi l’ambiente musicale del reggae aveva
sperimentato tassi di odio e di violenza così elevati.

17
http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Rastafarians
18
http://en.wikipedia.org/wiki/Mansions_of_Rastafari
19
http://www.sosjamaica.org/test/default.html

16
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Inoltre, a mio avviso, le correnti culturali del tafarismo sono ormai svuotate della poetica
dell’ambiente dai cui esse provengono, risolvendosi nella mera proposta della violenza pura e
semplice come manifestazione del “superomismo rasta”.
I temi caratteristici della musica reggae, ovvero l’anti-colonialismo, l’anti-capitalismo, la critica
al sistema politico in essere, la critica del classismo razzista e del razzismo tout court, sono stati
soppiantati dalla metà degli Anni Ottanta. Con la diffusione di nuovi generi, quali il
raggamuffin e la dancehall , contenuti più aggressivi si sono fatti largo: violenza alla “Arancia
Meccanica”, sessismo, discriminazioni sessuali e omofobia sono di diffusione piuttosto recente.
La difesa del “carrozzone” dei questi nuovi generi musicali e dei loro fans pretende che le
manifestazioni omofoniche siano espressione diretta del sentimento sociale prevalente in
Giamaica. Purtroppo hanno ragione20.
Sotto alcuni aspetti vi è un rapporto di proporzionalità tra il livello di coesione del movimento e
il riconoscimento politico-sociale. Oggi, a differenza del periodo di massimo splendore (Anni
Sessanta – Settanta), accanto al riconoscimento formale del tafarismo stiamo assistendo alla sua
disgregazione, almeno a livello dottrinale.
Un elemento che ha determinato la formazione di differenti correnti interne è sicuramente la
diffusione anche ad un pubblico culturalmente e geograficamente distante dalla situazione di
partenza. Il tafarismo ha assunto alcune caratteristiche delle religioni universali, come la
possibilità di una massiccia diffusione e l’eliminazione di barriere all’ingresso. Tuttavia, questo
suo spread , non adeguatamente supportato da una ben precisa e definibile casta sacerdotale
(che, come detto, non esiste), ha automaticamente trasformato la religione rastafari in un
qualcosa di molto simile ad una filosofia di vita. Il paragone con il buddismo è piuttosto
calzante. Infatti, il tafarismo è considerato da molti come una sorta di materiale malleabile e
plasmabile a seconda delle esigenze: la sua applicazione europea bianca è sicuramente
differente dalla dottrina originaria giamaicana.
Comunque, la sua rapida diffusione ha permesso una maggiore visibilità e il riconoscimento
progressivo di uno status maggiormente significativo. Nel 1996, le Nazioni Unite hanno
riconosciuto il movimento internazionale tafarico, tramite a concessione del consultative status.

20
Articolo di Internazionale sulla realtà sociale degli omosessuali in Giamaica.
http://www.sosjamaica.org/test/new.asp?ID=1737

17
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Anche nella natia Giamaica, la legge ha gradualmente ridotto ed eliminato le barriere che ne
impedivano il riconoscimento e la libera professione. Recentemente, le corti giamaicane hanno
liberalizzato il culto rastafari “nei limiti consentiti dalla legge”. Questo è un chiaro riferimento
all’uso e al consumo rituale della marijuana, che rimane illegale anche sull’isola. Nel febbraio
2003, la Corte Costituzionale giamaicana ha anche sentenziato la legittimità della professione di
fede tafarico, riconoscendo tale culto come una vera e propria religione. Pertanto, da allora, i
rasta hanno la possibilità di organizzare pubblici incontri, di manifestare e di costruire propri
edifici di culto.
Dall’inizio del nuovo secolo, anche il governo del PNP (sotto la presidenza Patterson) ha
manifestato una inusuale apertura verso il problema. Il Public Defender Howard Hamilton è
stato in prima linea per le difesa e la promozione dei diritti della minoranza rasta.
Il progressivo inserimento dei rasta all’interno delle strutture giamaicane (e non) può essere
ricondotto alla progressivo re-inserimento di accoliti all’interno di strutture religiose
maggiormente tradizionali e più accettate. Molti rasta stanno progressivamente confluendo
all’interno della Chiesa protestante tradizionale, viste comunque le affinità dottrinali.
Un altro motivo di riflusso verso culti “canoni” è la storica separazione tra le tre grandi sette
rasta (Twelve Tribes, Bobo Shanti e Order Niyabinghi) e la Chiesa Ortodossa Etiope. Questa
attecchì in Giamaica dopo la visita di Hailé Selassié (1966); fu proprio l’imperatore etiope a
voler reintegrare i rasta all’interno della chiesa copta etiope. Tuttavia, mentre alcuni rasta
mantennero un atteggiamento di distacco verso un culto “istituzionalizzato”, molti altri furono
accorpati alla Chiesa Etiope. Ancora oggi, le dispute (non solo teologiche) tra le due fazioni
permangono e la Chiesa Ortodossa Copta sta progressivamente raccogliendo un numero sempre
crescente di rasta.
L’assimilazione della componente tafarica all’interno della società giamaicana è fortemente
influenzata dalla progressiva irrealizzabilità dei principi fondanti della dottrina. La presa di
coscienza dell’inattuabilità della repatriation garveyana ha lentamente mitigato il carattere
violento e radicale delle istanze del movimento.
Anche a livello politico, alcuni segnali di fermento politico hanno preceduto la formazione della
IEWFIPP (2002), segno di un’apertura del mondo rasta alla dialettica istituzionale e, perché no,
alla partecipazione elettorale.

18
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Se questi segnali avranno un seguito, sicuramente il trend assimilazionista del tafarismo


potrebbe continuare su questa strada.

19
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