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PLATONE

La Vita
Platone nacque ad Atene da una famiglia aristocratica nel 428 a.C., da giovane egli fu
scolaro di Cratilo, un seguace di Eraclito. All’età di 20 anni cominciò a frequentare
Socrate, il quale divenne suo maestro. Nel 404 a.C. si trovò a collaborare con il regime
oligarchico dei Trenta tiranni, ma rimase deluso dai loro metodi politici.

Tale delusione persistette anche dopo il ritorno del governo democratico, e raggiunse il
culmine quando nel 399 a.C. quando giustiziarono il suo maestro Socrate. Tale ne lo
spinse a condannare la politica ateniese del tempo, poiché questa decisione la ritenne
come un’ingiustizia imperdonabile. Egli si rese conto che le condizioni della vita associata
dovevano essere radicalmente cambiate e questo doveva diventare il nuovo compito
della loso a, la quale gli apparve la sola via per condurre il singolo e la comunità alla
giustizia.

Dopo la morte di Socrate, Platone lasciò Atene e si recò a Megara, poi in Egitto e a
Cirene. Nei sui scritto però non parla di questi viaggi, parla invece di un’altro viaggio
intrapreso nel 388 a.C. nell’Italia Meridionale, dove soggiornò a Taranto e a Siracusa.
Qui il losofo si illuse di poter mettere in pratica i propri principi loso ci e politici, ma
suscitò l’opposizione di Dionigi, il quale lo fece vendere come schiavo.
Venne poi riscattato da Anniceride che lo fece rientrare ad Atene ri utando il denaro
indietro. Grazie a ciò egli potè fondare una scuola loso ca organizzata sul modello delle
comunità pitagoriche. Tale scuola fu chiamata “Accademia”.

Nel 367 morì Dionigi il Vecchio e Platone venne richiamato da Dione a Siracusa, alla corte
del tiranno Dionigi il Giovane, per consigliare il tiranno su come riformare lo Stato. Ma i
con itti tra Dione e Dionigi portarono all'esilio di Dione e Platone tornò ad Atene.
Anni dopo venne richiamato da Dionigi e nel 361 andò a Siracusa con l'intento di aiutare
Dione, ma Dionigi ri utò e dopo aver passato del tempo lì quasi come un prigioniero tornò
ad Atene senza più andarsene. Morì ad 80 anni, nel 347 a.C.

Gli Scritti
Platone è il primo losofo dell’antichità di cui ci siano pervenute tutte le sue opere. Egli
scrisse 35 dialoghi e 13 lettere. Questi scritti vennero poi organizzate dal grammatico
Trasillo in nove tetralogie (nove gruppi di quattro scritti).
Tuttavia alcuni dialoghi e una raccolta di de nizioni non furono inserite nelle tetralogie
perché ritenuti spuri. Anche tra le opere comprese nelle tetralogie ve ne sono
indubbiamente di spurie, si hanno alcuni dubbi su alcuni testi come Alcibiade I, Ippia
Maggiore eccetera. Le lettere di Platone sono invece ad oggi accettate pressoché
considerate da tutti ingenuine. Inoltre la Lettera VII è considerata un documento
fondamentale per conoscere la vita e la loso a di Platone.
L’attività letteraria di Platone può essere divisa in tre periodi fondamentali:
1. I periodo → scritti giovanili o socratici;
2. II periodo → scritti della maturità;
3. III periodo → scritti della vecchiaia. (A questo periodo risale anche la Lettera VII).

Platone tenne inoltre dei corsi, intitolati Intorno al Bene, di cui non scrisse nulla. In
queste dottrine non scritte sviluppò una meta sica a sfondo pitagorico.
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Una risposta alla Crisi della Società
Dal punto di vista politico, il tempo di Platone è caratterizzato dal tramonto dell’età d’oro
dell’Atene di Pericle. Diversi fattori di scon tta e degrado portarono a delineare una
decadenza politica e sociale.
Essendo un aristocratico, Platone era portato ad avvertire più di altri la crisi del periodo e
a desiderare rinnovate stabilità politiche. Ed essendo un losofo, fu indotto a concepire e
vivere la situazione problematica come crisi dell’uomo nella sua totalità.
Per questi motivi egli cominciò ad idealizzare la gura di Socrate, che divenne allo
stesso tempo sia un simbolo della crisi sia un simbolo della speranza di superarla.
Persuaso che la crisi etico-politica derivasse in primo luogo da una crisi intellettuale,
Platone si convinse dell’insu cienza di un semplice cambiamento del governo e della
necessità di una riforma globale dell’esistenza umana. Ma una tale riforma non poteva
avvenire se non mediante una rinnovata loso a che sapesse tradursi in una rivoluzione
culturale e in un progetto politico radicalmente riformatore dell’ordine esistente.
La dimensione politico-educativa non deve diventare l’unica ottica in cui studiare il
platonismo. Quella di Platone fu infatti una mente poliedrica e universale che spaziò in
ogni ambito.

I Caratteri Generali della loso a platonica


La fedeltà all’insegnamento e a Socrate è il carattere dominante della loso a di
Platone. Ovviamente non tutte le dottrine loso che di Platone possono essere attribuite
a Socrate, lo sforzo costante di Platone fu infatti quello di rintracciare il signi cato vitale
dell’opera e della gura di Socrate; e per rintracciarlo Platone formulò principi e teorie che
Socrate, è vero, non aveva mai insegnato, ma che nelle intenzioni di Platone esprimevano
ciò che Socrate incarnava. La ricerca platonica tende quindi all’interpretazione della
personalità loso ca di Socrate.
La scrittura platonica e il dialogo socratico hanno la stessa origine, cioè la concezione
della loso a come sapere aperto.
La stessa convinzione che trattiene Socrate dal non scrivere spinge invece Platone a
scegliere la forma dialogica per i suoi scritti.
Il dialogo è l’unico mezzo attraverso il quale si può esprimere per scritto l’indagine
loso ca, poiché esso riproduce l’andamento stesso della ricerca loso ca.
Questa concezione del losofare come dialogo ha fatto sì che egli abbia di fatto praticato
la loso a come una ricerca inesauribile e mai conclusa, ossia come un in nito sforzo
verso una verità che l’uomo non possiede mai totalmente.

Filoso a e Mito
Un’altra caratteristica dell’opera Platonica è l’uso dei miti, storie fantastiche attraverso
cui vengono esposti concetti e dottrine loso che. Il mito, in Platone, riveste 2 signi cati:
• Il mito è uno strumento di cui il losofo si serve per comunicare in modo più intuitivo
la propria dottrina;
• Il mito è un mezzo di cui il losofo si serve per parlare di realtà che vanno al di là dei
limiti entro i quali l’indagine rigorosamente razionale dovrebbe contenersi. Avendo
a che fare con i problemi più alti e di cili della mente, la loso a si trova spesso a
doversi muovere ai con ni del pensabile, che la costringono a fare un passo indietro o a
prendere un’altra strada, ovvero un’illusione mitica. Quindi il mito è qualcosa che si
inserisce nelle lacune della ricerca loso ca, permettendo di formulare teorie verosimili.
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In queste 2 accezioni, il mito platonico ha senso soltanto se viene accompagnato con il
discorso loso co.

La teoria delle Idee


Nei dialoghi del primo periodo, Platone perlopiù illustra e difende teorie che sono proprie
di Socrate. Infatti le dottrine generali di Socrate, pur essendo riportate con amore dal
discepolo, vengono già ltrate alla luce degli interessi e delle tendenze speculative del
giovane. Ad esempio, Platone dà molta importanza al metodo socratico delle de nizioni,
interpretandolo come il primo passo verso un sapere assoluto capace di superare il
relativismo so stico.
Ed è proprio in questa battaglia antiso stica che Platone giunge ad elaborare il concetto
di “idea” e a sviluppare la cosiddetta “teoria delle idee”, che segna l’avvio della
seconda fase della sua speculazione, ovvero di quella fase in cui il losofo va
esplicitamente al di là delle dottrine che Socrate aveva insegnato.
Nei dialoghi platonici la teoria delle idee non è mai esposta in modo organico, tuttavia
essa rappresenta il cuore stesso del platonismo maturo.

La genesi della teoria


L’origine della teoria delle idee è da ricercarsi nell’approfondimento platonico del
concetto di scienza.
Platone ritiene che la scienza debba avere i caratteri della stabilità e dell’immutabilità.
Egli è convinto che il pensiero ri etta l’essere, ossia che la mente sia uno specchio di
qualcosa che esiste. In base a questa concezione, che in età moderna verrà de nita
realismo gnoseologico, il losofo si chiede quale sia l’oggetto proprio della scienza,
intesa come conoscenza di qualcosa di esistente e di stabile.
Mediante la domanda che cos’è? Socrate intendeva individuare il quid est, l’essenza, di
una certa cosa. La de nizione socratica tuttavia si riduceva in un accordo tra i dialoganti
mentre Platone si propone di trovare un oggetto esistente e stabile, corrispondente alla
de nizione cercata da Socrate.
Si dovrà per forza ammettere l’esistenza di un suo contenuto speci co. E anche per
Platone questo non può essere costituito dalle cose del mondo apprese dai sensi, poiché
mutevoli e imperfette, e quindi dominio della forma di conoscenza che Platone chiama
doxa, opinione.
Oggetto proprio della scienza sono le idee. Platone identi cava nel termine idea un’entità
immutabile e perfetta, che insieme ad altre idee forma una zona dell’essere, che Platone
chiama iperuranio, al di là del cielo.
Il fatto che le idee abbiano caratteristiche strutturali diverse da quelle delle cose non
esclude un loro stretto rapporto con gli oggetti, che Platone con gura come un rapporto
modello-copia. Per il losofo le cose sono copie delle idee. Ad esempio nel mondo
esiste una pluralità di cose più o meno belle e giuste, mentre nelle idee esistono la
Bellezza e la Giustizia perfette. L’idea platonica è dunque il modello unico e perfetto delle
cose molteplici e imperfette di questo mondo.
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La prospettiva Dualistica
Per Platone esistono due gradi fondamentali di conoscenza, cioè l’opinione e la scienza
(dualismo gnoseologico) ai quali fanno riscontro due tipi d’essere distinti, le cose e le
idee (dualismo ontologico). La verità imperfetta dell’opinione dipende dalla
con gurazione imperfetta del suo oggetto. La verità perfetta della scienza dipende dalla
con gurazione perfetta del suo oggetto.
Da ciò emerge come la loso a platonica rappresenti un’integrazione fra eraclitismo ed
eleatismo. Da Eraclito Platone accetta la teoria del divenire, mentre da Parmenide trae il
concetto secondo cui l’essere è autentico e immutabile.
L’idea di Platone è immutabile, eterna e perfetta anche se l’essere platonico risulta
multiplo, in quanto formato da una pluralità di idee.
Dall’eleatismo Platone deriva anche il dualismo gnoseologico tra sensibilità e ragione e
il dualismo ontologico tra l’essere delle cose e l’essere autentico. Tuttavia per Platone
tra i due mondi è presente un legame. In ne mentre per l’eleatismo il nostro mondo è
apparenza illusoria e irrazionale, per Platone ha una speci ca realtà e conoscibilità.

Il rapporto tra Idee e le Cose


Il rapporto tra idee e cose si con gura in una duplice direzione, visto che le idee sono:
• Criteri di giudizio delle cose, in quanto noi, per formulare i nostri giudizi sugli oggetti,
non possiamo fare a meno di riferirci alle idee.
Possiamo dire che le idee sono condizione della pensabilità degli oggetti;
• Cause delle cose, poichè gli individui sono in quanto imitano le idee.
Possiamo dire che le idee sono condizione dell’esistenza degli oggetti.
In ne il rapporto idee-cose non è stato de nito in modo univoco da Platone, il quale, pur
parlando di mimèsi (le cose imitano le idee), di metèssi (le cose partecipano dell’essenza
delle idee) e di parusìa (le idee sono presenti nelle cose), rimane sulla questione incerto.

Quali sono le idee


Nella fase della maturità del pensiero platonico si distinguono fondamentalmente:
• Idee-valori, corrispondenti ai principi etici, esistenti e politici, ad esempio il Bene;
• Le idee matematiche, corrispondenti ai principi dell’aritmetica e della geometria.
Platone parla anche delle idee di cose naturali e delle idee di cose arti ciali. Tuttavia, su
queste due idee egli rimane a lungo piuttosto incerto.
Negli ultimi dialoghi il losofo tenderà a lasciar cadere la nozione etico-matematica delle
idee in favore a quella logico-ontologica. L’idea platonica nirà così per con gurarsi
come la forma unica e perfetta di qualsiasi gruppo di cose che vengono designate con
medesimo nome e che possono essere oggetto di scienza.
Pur essendo molteplici, le idee non formano a atto una pluralità disorganizzata. Esse
costituiscono piuttosto una “trama” di essenze aventi un ordine gerarchico-piramidale,
con le idee-valori in cima e l’idea del Bene al vertice. Alcuni interpreti hanno assimilato
l’idea del Bene a Dio. Tuttavia non si trova conferma di ciò nei testi platonici, dove risulta
assente appunto l’idea di un dio creatore. Infatti il Bene non crea le idee ma si limita a
comunicare loro la sua perfezione.
Nell’universo meta sico di Platone risulta assente anche l’idea di un dio-persona, ma
esiste solo il divino.
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Dove e come esistono le idee
Le idee sono trascendenti in quanto esistono oltre la mente e oltre le cose. Ma questo
oltre allude ad un aldilà? Così ha pensato la tradizione che prese alla lettera l’espressione
iperuranio, considerando il mondo platonico delle idee come qualcosa di analogo
all’empireo dantesco o al paradiso cristiano. Alcuni studiosi del Novecento hanno
considerato le idee platoniche non come cose bensì, come modelli di classi cazione
delle cose. Oggi si tende però a ri utare questo tipo di lettura.
Per quanto riguarda la prima interpretazione molti studiosi la considerarono troppo legata
al mito, di conseguenza essi a ermarono che il mondo platonico delle idee non deve
essere interpretato come un universo, ma soltanto come ordine eterno di forme o valori
ideali, che come tali, non esistono in alcun luogo.
Stabilire con certezza quale di queste due interpretazioni sia quella vera non è possibile,
ciò che si può a ermare è che le idee costituiscono una zona dell’essere diversa da
quella delle cose.

Come si conoscono le idee


Secondo Platone le idee non possono derivare dai sensi. Esse devono dunque costituire
l’oggetto di una visione intellettuale, ovvero cogliere l’idea come forma esemplare
comune a una pluralità dispersa di oggetti.
Ma da dove proviene questa visione intellettuale? Come si spiega che noi, pur vivendo in
un mondo caratterizzato dal divenire e dall’imperfezione, abbiamo la nozione delle forme
ideali?
A ciò Platone risponde ricorrendo alla dottrina-mito dell’anàmnesi, cioè del ricordo: egli
a erma che l’anima, prima di calarsi nel nostro corpo ha vissuto nel mondo delle idee,
dove tra una vita e l’altra ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose.
Una volta discesa nel nostro mondo, l’anima conserva un ricordo di ciò che ha visto.
Grazie all’esperienza delle cose essa può ricordare ciò che ha contemplato
nell’iperuranio. Perciò Platone dice che conoscere è ricordare, in quanto le idee, sia pur
sfocate, le portiamo dentro di noi e ci è su ciente uno sforzo per tirarle fuori.
La gnoseologia di Platone rappresenta dunque una forma di innatismo, in quanto si
fonda sul principio secondo cui la conoscenza non deriva dall’esperienza sensibile, bensì
da metri di giudizio preesistenti nel nostro intelletto e connaturati ad esso, rispetto cui
l’esperienza sensibile funge solo da sollecitatore del ricordo.
Secondo Platone l’uomo non possiede già tutta la verità ma neppure la ignora
completamente bensì la porta dentro di sé come ricordo. Quindi Platone è convinto che
noi non partiamo né dalla verità né dall’ignoranza, bensì da una sorta di pre-conoscenza
da cui dobbiamo socraticamente tirare fuori la conoscenza vera e propria.

La dottrina dell’amore e della bellezza


Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee un rapporto che non è puramente intellettuale,
poiché lo impegna nella sua totalità e quindi anche dal punto di vista della volontà. Tale
rapporto è de nito da Platone come l’amore. Alla teoria dell’amore sono dedicati due
dialoghi platonici: Il Simposio e il Fedro.
Il Simposio considera prevalentemente l’oggetto dell’amore (la bellezza) e mira a
determinare i gradi gerarchici. Il Fedro considera invece l’amore dal punto di vista del
soggetto, cioè come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell’anima
al mondo delle idee, in cui la bellezza ne fa parte.
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IL SIMPOSIO
I discorsi che gli interlocutori del Simposio pronunciano in lode di éros mettono in luce
una serie di caratteri dell’amore.
Pausania distingue tra éros volgare, che si rivolge ai corpi, ed éros celeste, che si
rivolge alle anime.
Erissimaco vede invece nell’amore la forza cosmica che determina le proporzioni e
l’armonia di tutti i fenomeni.

Aristofane espone poi il mito degli androgini, esseri primitivi composti di due metà
maschili, oppure due femminili, oppure da una maschile e da una femminile unite insieme;
divise da Zeus per punizione, le due parti risultanti vanno l’una in cerca dell’altra per
riunirsi e ricostruire l’essere originario. Questo racconto sottolinea come uno dei caratteri
fondamentali dell’uomo rivelanti dell’amore sia l’insu cienza o l’incompletezza.

Da questo carattere prende le mosse Socrate per il proprio discorso: Eros, Amore,
desidera qualcosa che non ha, ma di cui ha bisogno, ed è quindi mancanza.
Secondo il mito esso è glio di Penìa e di Poros e come tale non è un dio, bensì un
demone, ovvero un essere dalla natura intermedia tra quella umana e quella divina: perciò
non ha la sapienza, ma aspira a possederla, e in questo senso è losofo, mentre gli dei
sono sapienti. L’amore non ha bellezza e la desidera in quanto essa è il bene.

La bellezza ha gradi diversi. In un primo momento si è attratti dalla bellezza di un


singolo corpo. Poi ci si accorge che la medesima bellezza è presente in più corpi, e così
si passa a desiderare e amare la bellezza corporea nella sua totalità. Ma al di sopra di
questa c’è la bellezza dell’anima, al di sopra ancora la bellezza delle istituzioni e delle
leggi, e poi la bellezza delle scienza. In ne al di sopra di tutto si trova la bellezza in sé.
Ai gradi di bellezza corrispondono altrettante forme di amore.

Alla luce di quanto si è detto, appare fuorviante l’accezione che intende l’amore
platonico come un amore asessuato. Questa accezione sorse nel Medioevo Cristiano e
sopravvisse poi, venendo ulteriormente banalizzato nel senso comune.
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