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Acquistato da Botturi Giuseppina su Bookrepublic Store il 2016-05-25 07:45 Numero Ordine Libreria: b2424550-9788861535688 Copyright © 2016, edizioni la meridiana

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per educare alla pace
partenze...
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SI PUÒ FARE

La scuola come
ce la insegnano
i bambini
Davide Tamagnini
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2016 © edizioni la meridiana


via Sergio Fontana 10/C – 70056 Molfetta (BA) – tel. 080/3971945
www.lameridiana.it
info@lameridiana.it
ISBN 978-88-6153-568-8

Il disegno di copertina Fabio Magnasciutti


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A chi sogna di fare il maestro
come nessun programma può prescrivere
e nessun regime
può impedire di fare

Ad Alessandra, Carlotta, Giulia, Francesco e Cecilia,


siete per me maestri di fiducia
e di bellezza

A voi, bambini della scuola di Pombia,


per avermi insegnato qualcosa ogni giorno
e innanzitutto che insieme era bello, necessario e possibile!
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Indice Premessa ........................................................... 9

Parte Prima
IMPLICITI DA ESPLICITARE

Cominciare ......................................................15

Parte Seconda
UNA SCUOLA NECESSARIA

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Amore ..............................................................21
La scuola dei bambini .....................................29

Parte Terza
QUALCOSA SI PUÒ FARE

Cominciare a crescere .....................................43


Partire dall’esperienza .....................................47
Un approccio naturale e
inclusivo alla letto-scrittura .............................57
La chiave dei numeri .......................................73
Lavoro libero ...................................................77
Valutazione ......................................................79
Riflessione e confronto ....................................93
I compiti ..........................................................97
Rapporto con le famiglie ................................ 99
Rapporto con i colleghi .................................101

Parte Quarta
I SAPERI NECESSARI

La cassetta degli attrezzi ...............................121


Osservare .......................................................123
L’ambiente ......................................................129
Tempo ............................................................133
Curiosità ........................................................135
Coniugare ......................................................137
Cambiare è difficile, ma possibile .................139
Parte Quinta
PER (NON) CONCLUDERE

Si deve fare .....................................................143

Postfazione .....................................................147

Il titolo del libro,


un pretesto in tutti i sensi ..............................155

Bibliografia .....................................................159

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Premessa • i termini depositaria e problematizzante1 fanno
riferimento a due esperienze antitetiche di edu-
cazione: la prima è quella opprimente, disuma-
nizzante, che considera le persone al pari delle
piante, appunto, la seconda è quella storica,
dialogica, di cui tanto avvertiamo la necessità;

• non parliamo mai di alunni, in quanto l’etimo di


questo termine (dal latino al-umnus-a, colui che è
alimentato) rimanda a una visione dell’educazio-
ne depositaria e passiva per il bambino. Al suo

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posto preferiamo utilizzare i termini studenti o
bambini, a seconda che si voglia porre maggior
Questo libro non parla di piante da innaffiare, ma enfasi sul ruolo o sull’identità;
di persone inedite e incompiute in continua ricer-
ca, di come si debba guardarle e guardarsi per • abbiamo scelto di scrivere il più possibile uti-
facilitare il naturale sviluppo di ciascuno. Prima lizzando la prima persona plurale perché le no-
di iniziare è opportuno esplicitare due presup- stre parole non siano vissute come un atto di
posti alla base della nostra riflessione: non esiste accusa, ma come un’occasione di messa in di-
insegnamento senza apprendimento e viceversa; i scussione e ridefinizione per tutti coloro i quali
due termini descrivono un unico processo e, già desiderano essere insegnanti e in esse si ricono-
di per sé, danno l’idea della complessità con cui scono. Consapevoli di essere umani, perfettibili
lavoriamo quotidianamente e dello stretto legame e mai perfetti, invitiamo chiunque ad avanzare
che si deve creare tra insegnante e studente. Ap- critiche e a confrontarsi sui presupposti teorici
prendere è trasformarsi; insegnare è trasformarsi. e sulle pratiche, per provare a reinventarci. Per
Ogni insegnante/studente vive su di sé entrambe costruire una scuola più umana, più vicina agli
le dimensioni e sono solo la relazione e la con- esseri umani e ai loro bisogni, a partire dalla
sapevolezza educativa che possono legittimarne felicità.
pienamente l’esperienza.
Insegnare non è trasferire conoscenza, perché la
conoscenza non è trasferibile: ognuno la deve co-
struire.
Si aggiungano anche un paio di considerazioni
sulla forma-scuola e sul lessico:

• i verbi insegnare ed educare in queste pagine


vengono usati spesso come sinonimi, a seconda
che venga sottolineata la dimensione didattica
o quella relazionale della stessa realtà. Di con-
seguenza insegnante ed educatore, studente ed
educando sono da considerarsi appartenenti
alla medesima area semantica; 1. Freire, 2002, passim.

SI PUÒ FARE 9
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PRIMA da esplicitare
PARTE Impliciti
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Maestro, ma di sogni

Vorrei ogni mattina accogliervi all’entrata


salutare i genitori e cominciare la giornata;
vorrei che ogni lezione iniziasse con un canto
per condividere ogni giorno la gioia dell’incontro.

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Vorrei che ogni bambino trovasse il proprio posto
e che nessuno possa dirsi perso dentro a un bosco;
vorrei tenere traccia delle parole che diciamo
perché sono preziose come l’acqua che beviamo.

Vorrei tener viva quella curiosità


che respinge le bugie per cercar le verità
e per solleticare la nostra fantasia
ci aiuteranno scienze, grammatica e persino geometria.

Vorrei con voi salpar per mari di esperienze e di parole


per capir come difender la dignità delle persone,
così apriremo varchi nella burocrazia
e tra le crepe proveremo ad imparar democrazia.

Vorrei… vorrei… vorrei…


Per ora non vedo l’ora di conoscere i vostri nomi,
ma per adesso è ancora un sogno,
di me, un gigante, in un’isola di nani.
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Cominciamo go, in cui ciascuno possa sentirsi appartenente a
una collettività, in cui ciascuno trovi strumenti e
risposte per crescere come persona nella sua uni-
cità. La prima questione di fondo è il significato
della parola “tutti”; non un mare magnum anoni-
mo, ma qualcosa che richiama alla singolarità e
al gruppo, che travalica gli scontati confini della
semplice somma degli individui.
Per noi una scuola di tutti e per tutti è:

una scuola delle domande legittime, quelle poste


Siamo realisti... sogniamo l’impossibile dai bambini e dagli insegnanti, quelle che nasco-

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no dall’osservazione della realtà, dal desiderio di
capire il mondo e se stessi in rapporto con esso,
Scuola. Benvenuto a bordo. Questo viaggio è ini- per decifrare la propria identità e il proprio ruolo
ziato così, col desiderio di realizzare un sogno e nella società. È la scuola in cui ciascuno ha il di-
così sta continuando. Mettiamo da parte la sfidu- ritto di “alzare la mano” per essere ascoltato.
cia, il fardello dell’abitudinarietà, perché serve un
bagaglio leggero, essenziale, tale da permetterci Una scuola che si impegna a trovare le risposte a
di volare alto e di raccogliere lungo la strada quel tutte le domande dei bambini, che non censura,
che serve per procedere. Non sarà un viaggio so- che non delega ad altri, sapendo che “dare rispo-
litario; molti prima di noi hanno battuto le stesse sta” significa riconoscere il diritto di un’esistenza
vie, molti altri li incontreremo lungo il percorso. critica di chi si pone in ricerca. È la scuola che
È la meta che ci spinge a partire, a dare un senso costruisce cittadinanza responsabile attraverso
alla fatica che dovremo affrontare, aiutandoci a l’educazione alla parola.
sostenere il passo. Lungo la via potremo accor-
gerci di essere fuori strada, vittime di un mirag- Una scuola liberante che tenta di scardinare le
gio; ci accorgeremo così che l’importante è stato gabbie culturali dell’esclusione e del privilegio e
mettersi in cammino e non accettare quel cieco le forme di sopraffazione del più forte, affinché
determinismo che cancella il sogno dalla realtà. ogni bambino possa crescere libero, educandosi
Lungo la via potremo incontrare sorprese e gu- alla libertà attraverso la disciplina e le regole. È la
stare bellezze inaspettate, quindi teniamo gli oc- scuola del dialogo critico e trasformativo.
chi bene aperti!
Se il sogno fosse quello di edificare una scuola Una scuola aperta, obbligatoria e gratuita (art. 34
democratica (cioè realmente di tutti e per tutti), della Costituzione italiana), in cui l’accesso libero
in cui ci sia spazio per l’esistenza e per l’appren- e diversificato è garanzia di un’autentica esperienza
dimento di ciascuno, allora è necessario chiarire comunitaria, delle differenze. È una scuola pubbli-
quali debbano essere i presupposti, teorici e prag- ca che costruisce il “bene comune” e fa dell’inclu-
matici, da mettere in campo per evitare di rima- sione e dell’integrazione la propria bussola.
nere intrappolati in sbiaditi slogan senza futuro.
Democrazia e scuola sono i due poli di un bino- Una scuola accogliente che non dimentica il carico
mio di matrice politica e culturale, che rimanda a familiare che il bambino porta con sé “nello zai-
un pensiero-azione capace di strutturare un luo- no” quando varca il portone dell’entrata e che è

SI PUÒ FARE 15
in grado di mettere in rete i soggetti che ruotano Una scuola curata, bella, con il sorriso che acco-
intorno alla vita del bambino. È la scuola come glie, ma che non nasconde le smorfie della fatica,
sfondo integratore. perché stare tutti a scuola è una lotta, ma è una
lotta che va combattuta. È una scuola che non si
Una scuola del tempo, a cui non “manca il tem- arrende.
po”, che sa rallentare sugli aspetti cruciali, che
sa valorizzare i tempi dell’apprendimento. È una Una scuola speciale, capace di riconoscere e ri-
scuola che non subisce la tirannia delle lancette spondere ai diritti di personalizzazione di ciascu-
e del calendario, ma li usa come argini entro i no, in quanto garanzia diffusa e stabile per poter
quali far scorrere l’esperienza. partecipare alla vita scolastica e raggiungere il
massimo possibile in termini di apprendimento
Una scuola competente capace di valorizzare tutte e di partecipazione. È una scuola che non misura

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le competenze, anche di chi, mentendo, si dice i bambini, ma è a loro misura, in cui ciascuno
che non ne abbia; una scuola dove i bambini trova il proprio posto e, ogni volta che sarà pron-
possono incontrare adulti competenti che quali- to, potrà lasciarlo per cambiare e crescere. È una
ficano l’esperienza scolastica connotandola edu- scuola “piccina” che pensa il bambino “grande”
cativamente ed emotivamente. È la scuola strut- e “in grande”.
turata intenzionalmente, in cui anche lo spazio
della casualità è pensato e la risata, il silenzio, la Una scuola della vita e per la vita, che non si affi-
rabbia e il pianto sono i colori della quotidianità. da a lezioni teoriche, decontestualizzate e fini a se
stesse, per procedere nello sviluppo, ma che rico-
Una scuola del corpo e delle mani, che parte nosce il naturale sviluppo umano come un pro-
dall’esperienza e dalla manipolazione dei saperi. cesso culturale a cui gli individui partecipano. È
Le mani sono quelle di tutti perché quello che una scuola naturalmente culturale e culturalmen-
dobbiamo costruire ha bisogno del contributo di te sensibile alla natura di cui facciamo parte.
ciascuno. Ancora una volta l’inclusione ci garan-
tisce che ognuno possa esprimersi. È la scuola In queste parole sono racchiusi il respiro e la
del “guardare e toccare sono cose da imparare!”. portata del nostro sogno. Non ci resta allora che
tentare di declinare tutto in modo più puntua-
Una scuola del piacere in cui l’esperienza si sgra- le, tradurre gli ideali che lo ispirano in obiettivi
va dell’obbligatorietà della frequenza e lo stare a concreti, azioni perseguibili e verificabili, e co-
scuola è visto come una possibilità. È una scuola gliere gli approcci e gli strumenti a essi coerenti.
che comunica il gusto profondo dell’apprendi- La questione riguarda tutti, pertanto non è pos-
mento e della ricerca. sibile delegare il cambiamento ad altri: ciascuno
dovrà impegnarsi secondo le proprie possibilità
Una scuola partigiana, che combatte la fatica e il proprio ruolo.
insieme agli ultimi e costruisce i criteri per au- “Non si può… non si può fare…” sono i ritornelli
to-valutarsi e migliorarsi anche con i risultati che più sentiamo nei corridoi, nelle aule e nei rac-
raggiunti da chi ha cominciato con più difficol- conti di insegnanti demotivati o rassegnati davanti
tà. È una scuola che non si limita a “curare i sani all’immobilismo e ai nonsense dell’istituzione sco-
e respingere i malati”2. lastica. Vediamo insieme come si può fare per vi-
vere la relazione di insegnamento/apprendimento
2. Milani, 1967, p. 20. come un quotidiano atto trasformativo, di amore,

16 Davide Tamagnini
di fiducia e comprensione reciproca nelle capacità/ Questo rappresenta un buon antidoto anche con-
possibilità di chi abbiamo accanto. tro la noia e l’abitudine, parole che purtroppo
marcano le esperienze di insegnamento e appren-
Ai professori che ogni giorno si apprestano a dare dimento, talvolta alla stessa stregua di un male
giudizi sulle capacità intellettuali dei loro allievi un necessario. La passione, componente fondamen-
invito a riflettere prima su quanta educazione emo-
tiva hanno distribuito, perché, a se stessi almeno,
tale in questo lavoro, trova una valida e copiosa
non possono nascondere che l’intelligenza e l’ap- sorgente nel mettere a disposizione dei bambini
prendimento non funzionano se non li alimenta il le chiavi per possedere la conoscenza, per far cre-
cuore3. scere la persona umana.

Fare l’insegnante con la prospettiva e la respon- Vi sono due livelli di amore. Sovente, quando si dice
di amare i bambini, ci si riferisce alle cure, alle ca-
sabilità appena descritte è una scelta professio-

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rezze che si prodigano a quei bambini […] Ma il li-
nale che impegna tutta la nostra persona, senza vello di cui parlo io è un altro. L’amore non è più né
la quale, però, verremmo meno al nostro man- personale, né materiale: chi serve i bambini sente
dato istituzionale. Dobbiamo ristrutturare un di servire lo spirito dell’uomo, lo spirito che deve li-
intero sistema di ruoli e pratiche disumanizzanti berarsi. La differenza di livello è stata colmata, non
che ormai si sono talmente consolidate da appa- dall’insegnante, ma dal bambino: è l’insegnante
che si è sentita portare ad un livello che non cono-
rire naturali. Sebbene siano il risultato di scelte sceva. Il bambino l’ha fatta crescere […]5.
che, purtroppo, hanno fatto cultura, tuttavia in
quanto tali, sono passibili di cambiamento. Per Il sogno descrive un orizzonte e la tensione verso
cambiare direzione abbiamo bisogno di lenti di esso, ma non dice nulla sul percorso fatto e
nuove per poter guardare noi stessi e le persone da fare. Iniziamo col raccontarvi i nostri tentativi
con cui lavoriamo da un nuovo punto di vista. aspettando di ascoltare e imparare dai vostri, così
Le emozioni ci saranno d’aiuto; la loro corretta da diventare tutti un po’ più grandi.
conoscenza potrà modificare il nostro sguardo, la
nostra capacità di osservazione, di interpretazio-
ne e, in ultima analisi, di valutazione.
Le risorse, d’altronde, sono dentro e fuori di noi,
anche a scuola. È nella prassi quotidiana che tro-
vano forma e sintesi gli slanci ideali con il quadro
istituzionale nel quale si opera. Abbiamo bisogno
di una didattica competente e inclusiva che sap-
pia accogliere i “normali bisogni speciali” di ogni
studente e dare spazio a percorsi di crescita per-
sonali.

È una necessità che deve trasformare la scuola, e


realmente descolarizzarla; toglierle cioè l’abitudine
di ripetere per qualsiasi suo “cliente” gli stessi pro-
cessi4.

3. Galimberti, 2003, p. 104.


4. Canevaro, 2001, p. 83. 5. Montessori, 1952, p. 282.

SI PUÒ FARE 17
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PARTE Una scuola
SECONDA necessaria
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Amore in noi reazioni di fastidio, di antipatia. Per questo
dovremo mettere in gioco le nostre emozioni, noi
stessi, perché solo in tal modo troveremo i passi
per coordinare i comportamenti con ciascuno dei
nostri studenti; inizieremo così ad addomesticarci
reciprocamente6. Gli insegnanti, poi, sono facili-
tati in questo perché i bambini si rivolgono a loro
già con affetto, presentandosi fin da subito come
maestri per i loro educatori.
In sintesi crediamo
È sconveniente parlare
d’amore nell’ambito dell’insegnamento. che sia scientificamente dimostrabile, guardando

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indietro alle origini della vita e a come funziona un
Provateci un po’.
sistema vivente, che l’amore è il migliore nutrimen-
È come parlare di corda in casa dell’impiccato to per l’intelligenza e che ha dei solidi fondamenti
la metafora che dice: se vuoi che un altro sia intelli-
Daniel Pennac gente, amalo di più7.

Scomodo, inconsueto, assurdo, esagerato, sicura-


Abbiamo un sospetto: pensiamo che innamorarsi mente è abituale immaginare che l’amore non sia
degli altri, imparare ad amarli, sia l’unico modo un’esperienza ricollegabile al contesto scolastico.
per scoprirne e valorizzarne l’umanità comune e Il principio che vogliamo affermare, invece, è che
le sue potenzialità; il miglior nutrimento per lo se l’insegnamento non è vissuto e pensato come
sviluppo. L’amore non ha nulla a che vedere con atto di amore per le persone che abbiamo accan-
il buonismo, non è un sentimento, è una scelta to, piccole o grandi che siano, allora non è inse-
radicale e seria, è una relazione trasformativa. Per gnamento, ma un vacuo surrogato di terza scelta
questo l’educazione, in quanto relazione umana di cui non ci vogliamo occupare se non per trova-
e umanizzante, non può avvenire in sua assenza. re il modo di trasformarlo.
Riconoscere questo passaggio significa, per noi
insegnanti, diventare consapevoli dell’importan-
za di “dar voce” alle emozioni a scuola e decidere
di non lasciarsi spaventare o sopraffare da esse.
Da qui, allora, il bisogno di costruire una dimen-
sione di intimità per non semplificare tutto con
un generico “vi voglio bene” – per di più a tutti
gli educandi allo stesso modo – ma per creare un
luogo in cui accogliere ognuno e da ognuno la-
sciarsi stupire.
Con questa predisposizione dobbiamo guardare
ai bambini che abbiamo in classe: belli o brutti,
sporchi o puliti, calmi o agitati, comunque bam-
bini tutti diversi, intelligenti e da scoprire. Dob-
biamo cercare di vedere ciascuno con simpatia, in 6. De Saint-Exupéry, 1989, cap. XXI.
particolar modo coloro che agiscono provocando 7. Maturana, 1994, p. 28.

SI PUÒ FARE 21
Amore e intelligenza che di quella realtà siamo parte costitutiva. È il
punto di partenza perché esista un dialogo au-
tentico, quella cornice entro cui si gioca tutta
Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, la scommessa storica del divenire, del presente
non è vero che non ho debiti verso di voi. come possibilità; quella scommessa che l’educa-
L’ho scritto per dar forza al discorso! zione a scuola raccoglie perché il non rimanere
Ho voluto più bene a voi che a Dio, schiacciati in un deterministico a priori fatto di
ma ho speranza che lui non stia attento a queste stereotipi sia possibilità di e per tutti. È un atto
sottigliezze di fiducia nel prossimo e nella realtà che insieme
possiamo costruire per co-evolvere.
Don Lorenzo Milani, Testamento
Uno zoologo ha diviso dei gattini in tre gruppi.

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Il primo gruppo se avesse, ad un certo segnale
Supponiamo che camminando per strada un certo luminoso, toccato una levetta, avrebbe ottenuto
giorno voi incontriate un cane o un gatto randagio il cibo. Dopo venti giorni, non è accaduto. Il se-
che vi è simpatico e allora decidiate di adottarlo, di condo gruppo di gattini aveva un dimostratore,
portarvelo a casa. Ben presto si stabilirà fra voi due cioè un gatto che sapeva il trucco, sapeva al se-
un coordinamento di comportamenti e poche ore
dopo vi troverete ad esclamare: “Ma guarda com’è
gnale come fare arrivare il cibo. È interessante il
intelligente questo animale!”. Questo animale fatto che questi gattini abbiano imparato con una
dunque è intelligente perché ha coordinato il suo media di diciotto giorni e mezzo. Il terzo gruppo
comportamento con il vostro, facilmente. […] è pro- di gattini aveva per dimostratore la mamma dei
babile che anche il gatto, a modo suo, pensi di voi gattini. Sapete quanti giorni in media sono stati
esattamente la stessa cosa8.
necessari affinché riuscissero ad azionare il con-
gegno? Quattro giorni e mezzo.
In questo caso ciò che ha fatto la differenza non Di cosa parlo? Parlo della scuola. E della diffe-
è l’intelligenza dell’animale, ma la simpatia con renza tra la trasmissione e la comunicazione10.
cui è stato guardato. L’intelligenza, infatti, non è
una caratteristica costante e intrinseca dell’indi-
viduo (ciascuno può essere intelligente solo agli
occhi di qualcun altro), ma è l’indicatore della
qualità della relazione che ci lega a un’altra per-
sona; ci dà informazioni su come la guardiamo
Amore e dialogo
e non tanto su quali siano i contenuti della sua Non esiste dialogo però, se non esiste un amore
intelligenza. profondo per il mondo e per gli uomini. […] L’a-
Considerare intelligente chi abbiamo accanto more, che è fondamento del dialogo, è anch’esso
non è una mistificazione, un prendersi gioco dialogo
dell’altro ingannando anche se stessi (“perché in
realtà, poverino, quel bambino lì è limitato!”); Paulo Freire
è invece la condizione di base per quell’ascolto
attivo9 che ci guida nell’osservazione della real- Le parole di Freire fanno da cerniera con quanto
tà, per comprenderla e comprendere noi stessi detto sinora e ciò che stiamo per dire, danno un
8. Ivi, p. 27.
9. Sclavi, anno, passim. 10. Dolci, 1987.

22 Davide Tamagnini
respiro planetario a quelle esperienze di dialogo scuola, dove vige solitamente il modello ben rap-
che si possono vivere dentro una piccola aula di presentato dall’imbuto di Norimberga14,
scuola.
Per capire cosa sia il dialogo è necessario fare luce bisogna combattere l’illusione che parlando si pos-
su due concetti: sa far passare qualcosa all’ascoltatore […] ed è fa-
cile cadere in questo inganno perché tendiamo na-
turalmente a pensare che i significati delle parole
1. cos’è l’educazione depositaria, in quanto nega- siano ovvi15
zione dell’educazione e dei processi di cono-
scenza; e anche perché non pochi insegnanti preferisco-
2. la distinzione tra domande legittime e illegitti- no la propria voce a quella degli studenti o for-
me11, quale possibilità concreta per approdare se, semplicemente, il suono familiare li rassicura.
a un’esperienza autentica di insegnamento/ap-

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Il significato delle parole, invece, si costruisce
prendimento, per un’educazione problematiz- sulla base delle proprie esperienze ed è questo
zante. elemento a far sì che due persone, ad esempio,
attribuiscano alla stessa parola accezioni diverse.
Per chiarire il primo concetto è sufficiente que- A complicare la situazione, invece, nella comu-
sta scenetta ideal-tipica: “Te l’ho già detto cen- nicazione vale il principio ermeneutico di quella
to volte che non devi fare così!” dice un adulto che Bateson definì l’abilità del ricevente: è colui
che rimprovera un bambino perché continua ad che ascolta, non colui che parla, a determinare il
adottare un comportamento scorretto. Questa significato di una comunicazione. Infatti, in ogni
persona – insegnante o genitore che sia – più o semplice situazione comunicativa il ricevente at-
meno consapevolmente ripete un cliché la cui tribuirà un significato al messaggio, ricreando un
premessa culturale implicita è quella che vede la qualcosa che può anche non coincidere con ciò
conoscenza (nel caso specifico l’abilità di saper- che il mittente voleva condividere, generando a
si comportare in un determinato modo, peral- volte situazioni – preziose – di fraintendimento.
tro una difficile “danza12” culturale!) come una
possibile acquisizione risultante da un messaggio Ogni volta che dava da mangiare ad un cane un
unidirezionale, ciò che autorevolmente, in quanto assistente suonava la campanella e questo andò
adulto, ti dico. Conoscere non è fare, mettere in avanti per alcune settimane finché venne il giorno
dell’esperimento nel quale si dimostrò che basta-
pratica un comando, è piuttosto saper “che fare”,
va che l’assistente suonasse la campanella perché il
è quella dinamica ricorsiva di pensiero e azione cane salivasse. Il cane reagiva al suono della campa-
che si chiama prassi13. Far proprio un sapere, ac- nella come fosse cibo e questo fu chiamato “riflesso
comodarlo, in senso piagetiano, non può essere condizionato”.
quindi il risultato di una dinamica stimolo-rispo- […] Un giorno un altro psicologo sperimentale, un
sta alimentata da un’obbedienza cieca e muta da polacco di nome Jersy Konorsky, chiese di poter
ripetere questi esperimenti perché c’erano alcuni
soldatino. Analogamente, nell’insegnamento a dettagli che gli sfuggivano. Così tutto venne ripetu-
to per filo e per segno: ogni volta che la campanella
11. Foester von, 1994. suonava si dava cibo al cane: ding ding ding – cibo;
12. Col termine “danza” ci si riferisce a quell’insieme di passi che ding ding ding – cibo e così via per parecchie set-
punteggiano gli scambi comunicativi: sono azioni, reazioni e reazioni a
reazioni rivelatrici delle premesse culturali in scena, perché scelte nel
ventaglio delle opzioni possibili per quella specifica cultura. Per questo il 14. Un’incisione su legno del XVII secolo in cui si vede una figura adulta
confronto interculturale, con i suoi passi di danza spiazzanti aiuta a capire che riversa, attraverso un imbuto, lettere e numeri nella testa di un
meglio la propria cultura di appartenenza. ragazzo seduto su una sedia.
13. Freire, 2002, p.121. 15. Glasersfeld von, 1994, p. 21.

SI PUÒ FARE 23
timane. Arriva il giorno dell’esperimento. Il nostro insegnante deve diventare il socratico “sapere di
scienziato prese la campanella, le tolse il battacchio non sapere”.
e la agitò di fronte al cane ovviamente senza che ne
“Ma come – si dirà – ho studiato tanto per fare
uscisse alcun rumore. Il cane salivò.
Che cosa possiamo dedurre da questo esperimen- l’insegnante!”; “Tutti questi anni di esperienza
to? Che il suono della campanella era lo stimolo per sentirmi dire che sono ignorante!”: questa è
più importante per Pavlov e non per il cane. Pavlov la posizione ideologica di chi, forse, ha spreca-
aveva commesso l’errore di assumere che ciò che to anni di studi e di esperienza senza sapere di
era importante per lui dovesse esserlo anche per non sapere. Invece, sapendo di non poter pre-
il cane. Pensava di non dover imparare niente dal
cane16. determinare quello che sarà, perché l’educazione
si muove nel campo dell’inedito, del possibile e
La comunicazione è dunque una danza comples- non del certo, si deve rifuggire dalla tentazione
di banalizzare19 tutto. Infatti, gli insegnanti non

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sa17 in cui messaggi, aspettative e interpretazioni
si intrecciano creando una trama non immedia- sono banali, non lo sono i bambini e il dialogo
tamente comprensibile; quando si riferisce, poi, critico e creativo non è certo una banalità. Que-
a quel profondo dialogo che è l’insegnamento è sti principi rafforzano la considerazione fatta a
ancora più urgente capirne il peso e la portata. proposito dell’ignoranza:
In classe, il dialogo a più voci che si può costru-
ire deve dare spazio alla comprensione reciproca Un insegnante deve cominciare ad imparare da
come impara uno studente, e può iniziare a farlo
delle parti: a ogni ricevente, in sostanza, bisogna solo quando ammette la sua incompetenza – se di-
riconoscere la sua specifica abilità. Se chiara se stesso incompetente sul modo di appren-
dere di quello studente – chiedendo a lui di inse-
non è possibile trasmettere un pensiero, un’idea gnargli qualcosa sulle sue competenze20.
come idea, da una persona all’altra. […] L’alter-
nativa a fornire l’argomento già pronto e all’a- Come insegnanti prima di valutare con i test le
scoltare con quale accuratezza venga riprodotto
non è l’ignorare, ma il partecipare all’attività del conoscenze pregresse dei nostri studenti, dovrem-
fanciullo e il condividerla. In questa attività condi- mo costruire delle situazioni e dei materiali, che ci
visa il maestro impara e lo scolaro, senza saperlo, consentano di capire quali sono i processi che cia-
insegna18. scuno di loro mette in atto quando formula una
risposta. Ma per fare questo dobbiamo stare loro
In questa co-costruzione che nasce all’interno accanto e inventare insieme quelle domande legit-
di un dialogo creativo, educatore ed educando time che aprono il pensiero invece di chiuderlo
combattono l’illusione che parlando si possa far nella sterile ripetizione di qualcosa di scontato, di
apprendere qualcosa all’altro, consapevoli che i già conosciuto. Si stimolerebbe così la motivazio-
saperi non si depositano nelle menti altrui, ma ne ad apprendere, uno sforzo a cui si ridarebbe il
che insieme si creano le condizioni per produrli. gusto della scoperta, dell’invenzione, della creati-
L’ultima trave che regge la vuota impalcatura vità che nascono nella relazione; questo è il secon-
dell’educazione depositaria è l’ignorare la pro- do concetto che questo paragrafo voleva chiarire.
pria ignoranza. Il punto di partenza per ciascun
19. “Banale” significa sinteticamente determinato, storicamente
indipendente, analiticamente determinabile. Quando acquistiamo un
16. Foester von, op. cit., p. 16. elettrodomestico la certificazione garantisce che la macchina è banale:
17. La comunicazione non è solo parole: oltre al linguaggio verbale schiacci un bottone e succede esattamente ciò che si era previsto.
bisogna considerare quello analogico (gesti, intonazione, contesto, ecc.) Quando qualcosa non funziona come dovrebbe allora chiamiamo il
che contribuisce più del primo a specificare il messaggio. tecnico, un “banalizzatore”. Cfr. Foerster von, op. cit., pp. 5-6.
18. Dewey J., 1968, pp. 205-6. 20. Perticari, 1992, p. 21.

24 Davide Tamagnini
Le domande legittime nascono dalla capacità di mondo per trasformarlo”22, non è semplicemente
sondare le questioni non decidibili, quelle la cui uno strumento o un modo per far crescere l’esse-
unica risposta non discende direttamente da un re umano, ma rivela l’essenza stessa dell’umanità
principio (“8 è un numero pari?”), ma che si che non può dirsi tale al di fuori della comunica-
aprono a una pluralità di risposte (“Come è nato zione.
l’universo?”). L’insegnante che riconosce di non
poter sapere a priori la risposta esatta, accoglie la
sua ignoranza (il sapere di non sapere) come una
risorsa e accetta di mettersi in ricerca con i suoi Come bisogna essere per amare
studenti; così facendo fa crescere la motivazione
a esplorare, fa esperienza di ricerca, di appren-
Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola
dimento creativo, come se conoscere le risposte

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e come faccio ad averla piena. Insistono perché io
esatte fosse la conferma di una piena conoscenza. scriva per loro un metodo, che io precisi i program-
Lapalissiano è affermare che è possibile sapere le mi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la do-
tabelline o i verbi senza necessariamente cono- manda, non dovrebbero preoccuparsi di come biso-
scere la matematica o la lingua, senza compren- gna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna
essere per poter far scuola23.
derne il significato e saperle utilizzare. Così a
scuola gli studenti fanno prevalentemente espe-
rienza di domande illegittime, quelle di cui si sa Queste parole le scriveva don Lorenzo Milani sul
già la risposta, che vengono poste loro per veri- finire degli anni ’50 del secolo scorso riferendosi
ficare se hanno memorizzato quel sapere confe- alla sua scuola popolare di San Donato di Calen-
zionato che, se non sarà meccanicamente ripetuto zano, ma hanno continuato a tormentare i peda-
nel tempo, lascerà il suo posto al prossimo in ar- gogisti che negli anni si sono posti il problema
rivo nella memoria a breve termine di ciascuno. della formazione degli insegnanti: si può insegna-
Invece, stimolando il pensiero attraverso anche la re a essere insegnanti? Forse il priore direbbe che
legittimazione dei diversi punti di vista si conver- stiamo nuovamente sbagliando domanda. Lui
te il cosiddetto errore in una pista di ricerca da parlava di identità, mentre “gli amici” pensavano
cui nasce l’opportunità di riflettere sul processo; al ruolo, alle competenze; lui insisteva sul come,
questo è un potente strumento, per studenti e in- mentre gli altri andavano alla ricerca di qualcosa.
segnanti, ai fini sia dell’apprendimento dei conte- Queste parole sono una provocazione aperta per
nuti sia della predisposizione ad apprendere. La chiunque voglia mettersi nella condizione di es-
capacità di riflettere su quello che si sta facendo sere insegnante, perché gli impongono di espli-
non è nient’altro che quell’astrazione riflessiva su citare l’orizzonte di senso entro cui vivere questa
cui tanto ha insistito Piaget21, una competenza ricca e faticosa esperienza. È una possibilità per
chiave non solo per costruire conoscenza, ma an- non rimanere chiusi sulle attività, sulle piccolez-
che per sviluppare quel senso critico verso le cose ze quotidiane, ma allargare il respiro per inter-
del mondo e se stessi. Il problema non è dunque rogarsi sui valori che ispirano la nostra prassi e,
non fare domande illegittime, ma non farne mai in ultima analisi, la nostra vita perché la scuola
delle altre! – a qualcuno sembrerà assurdo – ma è innanzi-
Il dialogo, che “è l’incontro degli uomini nel tutto un tempo di vita. Il tempo-lavoro che gli in-
segnanti dedicano a questa esperienza non deve
21. Glasersfeld sottolinea che questo concetto era stato già esplorato
da Silvio Ceccato agli inizi degli anni ’40, quando lo studioso parlava 22. Freire, 2002, p. 126.
dell’importanza della consapevolezza operativa. 23. Milani, 1997, p. 239.

SI PUÒ FARE 25
ingannarli: la vita a scuola non è una parentesi né biamento dell’uomo: non un essere che ha di più,
per gli studenti né per gli insegnanti e di questo un essere che a furia di fagocitare merci diventa
si è consapevoli soprattutto quando l’extra-scuo- esso stesso una merce, ma un essere capace di
la porta la sua negatività tra le mura scolastiche. compiere un cammino di liberazione dalla cul-
Per questo insegnare vuol dire anche partire da tura banalizzante e mercificatrice, un essere che
quello che c’è nella cartella dei bambini, dalle scopre la sua umanità nella relazione autentica
esperienze sociali e familiari che portano dentro con altri esseri umani e con il mondo.
l’aula; per un insegnante significa assumere una La scuola deve giocare questa partita: mettere
posizione nei confronti del mondo e dell’essere ciascuno nelle condizioni di non rimanere in-
umano che lo abita: non ci possiamo limitare a trappolato in quelle gabbie familiari e sociali
preparare le lezioni, dobbiamo pensare all’esi- fatte di stereotipi riduzionisti (handicappato, po-
stenza! veretto, straniero, zingaro, mussulmano, perfetto,

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Don Lorenzo con quella frase lanciava un maci- ecc.) che celano la vastità dell’identità di ogni
gno nel cheto laghetto delle coscienze individua- persona limitandola metonimicamente a un sin-
li, ma senza nascondere la mano affinché chiun- golo aspetto. Ognuno ha il diritto di essere mes-
que, ancora oggi, potesse afferrarla e provare a so in questa condizione di “pienezza”: persona
camminare nella direzione del costruire senso tra le persone, la cui identità prende nome – un
sul proprio essere insegnante. Così, sempre nel- nome proprio! – perché non si accontenta di
le sue Esperienze pastorali, solo qualche riga più qualche aggettivo appiccicatole addosso. L’inse-
sotto, tenta di esplicitare meglio le sue parole: gnante diventa così un operatore di frontiera, il
suo spazio di gioco è quello tra l’essere e il ser
Bisogna essere… Non si può spiegare in due pa- mais: una persona che guarda l’esistente con la
role come bisogna essere […] Bisogna aver le idee prospettiva dell’inedito.
chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non
bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna
Fino a che un bambino rimarrà bloccato nello ste-
ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello
reotipo sarà difficile realizzare un apprendimento
superiore […]: più da uomo, più spirituale, più cri-
che valorizzi le sue potenzialità. Rimarrà nella con-
stiano, più tutto24.
dizione di essere detto da un altro e la sua voce
faticherà ad avere voce27.
Più perché la società voleva i suoi operai e mon-
tanari del Mugello meno uomini e più simili alle Paradossalmente si tratta di schierarsi dalla parte
bestie; più perché anche i poveri erano traboc- di tutti: stare dalla parte di coloro che sono stig-
canti di ricchezze, ma non avevano insegnato o matizzati come “diversi” o “inferiori”, affinché
dato loro la possibilità di stimarle25; più perché recuperino la loro umanità, significa umanizzare
il mondo li voleva isolati e indifferenti all’ingiu- anche coloro che per interesse o altro tendono a
stizia sociale. È il ser mais26 di Freire, quella vo- schiacciarli in basso. Così gli “oppressi”
cazione ontologica dell’essere umano a essere di
più di quello a cui la deriva disumanizzante della divengono restauratori dell’umanità degli uni e
nostra società lo conduce; una lotta per il cam- degli altri. Ecco il grande compito umanista e stori-
co degli oppressi: liberare se stessi e i loro oppres-
24. Ibidem. sori28.
25. “Io invece che li stimavo sopra ogni cosa e che vedevo splendere
su di loro e sulla loro classe, come tale, una vocazione storica di classe
Nella parte di Terra su cui i nostri piedi poggia-
guida, che proviene direttamente da Dio e che a Dio li ricondurrà”. Ivi,
p. 243. 27. Perticari, 1994, p. 75.
26. Freire, anno, passim. 28. Freire, 2002, pp. 28-9.

26 Davide Tamagnini
no l’oppressione assume forme subdole, non sem-
pre chiaramente identificabili perché intangibili.
Essa veste i panni del pregiudizio che colonizza i
nostri pensieri, i nostri corpi.
“Una cosa è certa: se l’oppressione esiste bisogna
farla cessare29”, ed è un impegno da realizzare
partendo da noi e dai bambini, insieme.

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29. Boal, 1993, p. 28.

SI PUÒ FARE 27
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La scuola amare – essendo l’amore una relazione trasforma-
tiva non ha oggetti, ma soggetti! Risolvere questo

dei bambini
interrogativo darà ancora maggiore forza alla no-
stra tesi educativa e ci permetterà di esplicitare
quale debba essere il riferimento per verificare il
nostro essere insegnanti e il nostro fare scuola.

I bambini che non se la cavano, gli adolescenti in


crisi, […] non sono un’interferenza o un elemento
di disturbo, ma costituiscono il problema stesso del-
la scuola in una società libera e aperta. […] questo
segna la distanza tra le varie nostalgie conservatrici
La scuola è dei bambini. Immaginiamo già una

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e l’assunto di fare accedere tutti i ragazzi – ognuno
moltitudine di soggetti pronti a scendere in piaz- diverso dall’altro – a strumenti culturali evoluti. Per
za per manifestare il loro disappunto rispetto a perseguire un simile intento, utopico quanto si vuo-
le, ma essenziale e costitutivo, bisogna umanizzare
questa affermazione “logicamente impropria” e
la scuola30.
per rivendicare, ciascuno, la posizione di “com-
plementi di specificazione” più adatto: lo Stato,
Allora, affinché la scuola diventi effettivamen-
gli enti privati, i lavoratori. Assecondiamoli per
te di tutti dobbiamo incominciare a donarla ai
un istante: va bene, la scuola non è dei bambini,
bambini e, ognuno col proprio ruolo e la pro-
ma perché non può essere “per i bambini”?
pria responsabilità, compiere quella rivoluzione
L’esperienza ci dice che troppo frequentemen-
umanizzatrice capace di svuotare l’istituzione di
te l’organizzazione di tempi, spazi e la didattica
saperi, pratiche e strumenti inutili. Iniziamo ad
stessa siano a misura dei diversi soggetti coinvol-
accettare che i protagonisti delle esperienze che
ti fuorché dei bambini. Sono adulti che pensano
si vivono a scuola siano loro, i bambini.
per adulti: la cattedra e i banchi per controlla-
re, l’orario in cui vengono svolte le materie o le
diverse attività che normalmente puntellano la
scuola e i suoi rituali. A questo si aggiungano la
didattica e i metodi ai quali i bambini si devono
Il bambino
adeguare e la burocrazia che, da un lato, piega i
tempi di apprendimento entro i limiti della cosid-
Il bambino ha una grande missione che lo spinge:
detta “programmazione” e, dall’altro, grazie alle
quella di crescere e diventare un uomo
altalenanti graduatorie ministeriali, nega spesso
Maria Montessori
agli studenti la possibilità di avere una continuità
nella relazione con la stessa figura adulta. Fuor
Quando un bambino va a scuola, è come se fosse
da ogni dubbio possiamo tranquillamente affer-
portato nel bosco, lontano da casa
mare che questo modello organizzativo di scuola
Andrea Canevaro
attribuisce poco valore alla relazione e ai soggetti
che, proprio a partire da essa, cercano forme per
Se vogliamo capire ciascun bambino che incon-
abitare sempre più consapevolmente la propria
triamo alla scuola primaria dobbiamo aver chiaro
esistenza. Dopo le parole spese nelle pagine pre-
cedenti, ora è il caso di chiarirci chi sono i bam-
bini con cui fare scuola, chi sono i “soggetti” da 30. Massa, 2000, p. 164.

SI PUÒ FARE 29
il percorso biologico, sociale e scolastico, il bam- Il bambino, dunque, agisce e pensa con il corpo;
bino che è stato e dove è stato. Da queste atten- egli è sensoriale. Il corpo è per lui strumento pri-
zioni possiamo cogliere le caratteristiche dello vilegiato dell’apprendimento. Attraverso i sensi,
sviluppo, che indicano chiaramente il modo di in particolare grazie a quell’appendice che è la
apprendere e di rapportarsi con il mondo, ca- mano, egli esplora l’ambiente; è come se seguis-
ratteristiche che ci impongono di riconoscere le se due imperativi della natura: completa la tua
specificità di ogni bambino a cui responsabil- nascita e costruisci l’essere umano. Il bambino
mente ci poniamo accanto. è resiliente, non lo spaventa il fallimento; ha un
Montessori studiando lo sviluppo del linguag- obiettivo alto ed è disposto a ricominciare ogni
gio nel bambino arrivò a supporre che la pre- volta.
disposizione per riuscire a raggiungere questa
competenza gli derivasse dall’avere una mente All’inizio l’uomo non sa niente. Niente di niente.

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funzionante diversamente da quella adulta31. Per […] Sentiamo, ma dobbiamo imparare ad ascolta-
re. Vediamo ma dobbiamo imparare a guardare.
descriverla ricorse al principio esplicativo della Mangiamo ma dobbiamo imparare a tagliare la
mente assorbente: un organo complesso, rassomi- carne. Caghiamo ma dobbiamo imparare a farla
gliante a una spugna che assorbe tutto l’ambiente nel vasino. Pisciamo ma quando non ci pisciamo
in cui è immersa, senza possibilità di discrimi- più sui piedi dobbiamo imparare a prendere la
nazione o scelta, e che permette al bambino di mira. Imparare vuol dire prima di tutto imparare a
essere padroni del proprio corpo34.
trasformarsi e di trasformare l’ambiente.

Immaginate come sarebbe meraviglioso se noi fos- Il bambino, al contempo, è un essere sociale,
simo capaci di mantenere la prodigiosa abilità del è frutto di una relazione e nella relazione con
bambino il quale, mentre è intento a vivere gioio- l’ambiente, passato e presente, cresce. Questo ul-
samente, saltando e giocando, è capace di impara- timo aspetto è, forse, il più cruciale di tutti per-
re una lingua con tutte le complicazioni gramma-
ché senza di esso scivoleremmo nel paradosso
ticali. Che meraviglia sarebbe se tutto il sapere en-
trasse nella nostra mente semplicemente vivendo, di chi per voler meglio capire filtra la realtà per
senza richiedere sforzo maggiore di quello che ci studiarla e poi si dimentica in sede di analisi di
costi respirare o nutrirci32. aver usato un filtro. Infatti, il bambino non è un
individuo separato dal mondo, porta con sé di-
Così nei primi anni di vita il bambino ha impa- versi livelli di sviluppo interconnessi35. In questo
rato tutto ciò che gli servirà per approfondire l’e- senso guardare al bambino significa guardare a
splorazione dell’ambiente e costruire gli appren- una specifica cultura alla quale egli è legato, non
dimenti futuri; egli raggiunge traguardi gigante- come qualcosa che lo schiaccia e lo imprigiona
schi, paragonati alla sua corporatura. È stato un in comportamenti prestabiliti, convenzionali, ma
percorso a tappe33 verso l’autonomia, uno svilup- come qualcosa a cui appartiene e, al tempo stes-
po naturale guidato dal principio della libertà di so, contribuisce a modellare:
azione.
34. Pennac, 2012, p. 33.
31. Alla stessa stregua la teoria innatista di Chomsky ipotizzerà l’esistenza 35. Secondo Vygotskij vi è il piano del pensiero e del comportamento
di una grammatica universale che mette in evidenza il rapporto tra (ontogenetico), quello della specie a cui appartiene (filogenetico), quello
biologia e linguaggio. Cfr. Chomsky, 2010. storico-culturale del contesto in cui vive (socio-culturale) e quello degli
32. Montessori, 1952, p. 26. apprendimenti lungo tutto l’arco della vita (micro-genetico). Qualcuno ci
33. Montessori a tal proposito parla di periodi sensitivi; i primi sono: ha fatto notare anche che il bambino nel primo anno di vita ripercorre
movimento, linguaggio e ordine. Anche Piaget scandisce questo a livello ontogenico una parte importante dello sviluppo filogenetico,
percorso naturale con quattro diversi stadi evolutivi: senso-motorio, pre- egli, infatti, impara a gattonare e successivamente conquista la posizione
operatorio, delle operazioni concrete e delle operazioni formali. eretta, proprio come l’evoluzione dell’uomo a partire dai primati.

30 Davide Tamagnini
gli individui contribuiscono a organizzare i processi non normale, deficitario, difficilmente adattabile,
culturali e i processi culturali concorrono a formare bollato. Il problema pedagogico, politico e so-
le persone. Individuo e cultura si strutturano reci-
ciale di fondo è che il bambino varcando l’aula
procamente e non sono concepibili separatamen-
te36. è come se facesse appello alle potenzialità educa-
tive del contesto per tentare di emanciparsi dalla
Questo bambino a un certo punto della sua vita, condanna fisica e/o sociale che grava sulla sua
del suo sviluppo, viene separato dal mondo fami- storia e sulle sue future possibilità, ma – ahinoi!
liare, fatto prevalentemente di adulti, per entrare – non trova nella scuola nessuna difesa. Il giudi-
in un contesto che hanno predisposto altri adulti zio è implacabile: sei “fuori luogo”, “sei indietro”
per farlo diventare tale. L’ingresso a scuola pos- e in questo tipo di scuola non ci sono ponti che
siamo paragonarlo all’accesso in un bosco; c’è chi ti riportino a casa. I bambini, inconsapevoli zuc-
coni, continuano a riversare nella scuola la loro

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è in grado di orientarsi in questo oscuro luogo
e di collegare quest’esperienza con la traccia di complessa vita, senza troppi filtri, purtroppo non
casa, con la memoria familiare, con la sua cultu- sempre trovando adulti capaci di costruire una
ra e chi, pur godendo delle stesse tracce, perde quotidianità competente che sappia accogliere le
l’orientamento e finisce per smarrirsi. In parti- specificità, i bisogni e le difficoltà di ciascuno. Per
colare i bambini che abitano gli strati sociali più questo è necessario educarsi a un pensiero creati-
deprivati, economicamente e culturalmente, sem- vo, che sappia immaginare una scuola diversa in
brano essere perseguitati dalla legge del bosco, cui quel bambino possa scoprirsi differente dallo
una sorta di “legge naturale” che cristallizza le stereotipo che la società “adulta” gli ha attribuito
identità: “Se è così, non ce la può fare; è proprio e crescere nella direzione del ser mais. Ma la pau-
negato!”. Questi bambini lottano a malapena per ra di sbagliare, il mito della mancanza di tempo
sopravvivere perché, giorno dopo giorno si sono e del “tanto la realtà non si può cambiare” con-
adeguati allo stereotipo che li ingabbiava, magari ducono a credere alla stupida favola secondo la
credendolo vero, o comunque perché non sono quale la scuola “tradizionale”, bene o male, abbia
stati aiutati a pensarsi diversamente. Poi, si sa, tra sempre funzionato38.
gli animali del bosco vince solo il più forte ed Possiamo tentare di andare più in profondità: chi
evitando di gareggiare alcuni “piccoli” si rispar- sono questi bambini che si perdono nel bosco?
miano l’ennesima sconfitta! Nella scuola sentiamo parlare spesso di handi-
cap39, di Dsa, di stranieri, di deprivazione socio-cul-
Il tipo di educazione conformista è legata alla ri- turale, cambia la forma, ma ci troviamo dinanzi al
petitività; è antistorica, perché nega la possibilità medesimo problema: il nostro modo di osservare
di elaborare un linguaggio per la persona e per il e valutare. È innanzitutto un problema culturale,
gruppo culturale cui appartiene, ma mette il bam- di mentalità, che ben evidenziamo ricorrendo a
bino di fronte al bivio: o accettare di conformarsi
per poter ripetere i segni convenzionali; o perdersi un linguaggio stigmatizzante e per nulla effica-
in un delirio segreto o manifesto, sempre fuori leg- ce nel descrivere la realtà. Perché lo svantaggio
ge37.
38. La tradizione, infatti, vuole che le cose siano così perché così lo “sono
Quali ostacoli incontrano questi bambini a scuo- sempre state” e guarda con sospetto coloro che provano a interrogarsi sul
senso delle cose.
la? Si tratta di un processo senza difesa: studente 39. Nonostante il ricorso nel linguaggio corrente alla locuzione con
disabilità per indicare più correttamente un aspetto che colpisce alcune
persone, per il diffuso godimento che il mondo scolastico nutre per
36. Rogoff, 2004, p. 50. le sigle, permangono degenerazioni come “gruppo H”, “il mio H” o
37. Canevaro, op. cit., p. 6. stereotipi come “il mio autistico” in riferimento a uno specifico bambino.

SI PUÒ FARE 31
che si vuole sottolineare non è dell’individuo stro sguardo sulle cose o, ancora più semplice-
in quanto tale, ma nasce dal suo rapporto con mente, del modo in cui le nominiamo. Infatti le
il contesto in cui vive; infatti se quella stessa visioni che ricalcano un’idea di difficoltà interio-
persona fosse inserita in un ambiente ricco di re ai bambini, pertanto difficile da decifrare e su
opportunità capaci di accogliere lo svantaggio, cui è problematico intervenire, paralizzano l’a-
questo sarebbe notevolmente ridimensionato se zione educativa volta al cambiamento41; mentre
non addirittura ininfluente. In questo senso ci le visioni più dinamiche, attente al contesto e alle
sembra importante ribadire la necessità di una complesse interazioni tra le parti, creano le con-
conversione lessicale: le parole devono aiutarci dizioni per un incontro autentico della persona
a descrivere la complessità che viviamo e non che porti congiuntamente a trovare le risposte
semplificare banalmente l’esistente. L’educazione necessarie.
che è pratica di libertà deve scardinare queste Un secondo aspetto, più indiretto, è quello della

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trappole culturali e alimentarsi del desiderio di difficoltà come scossa alla propria identità pro-
aiutare, innanzitutto, quei bambini incolpevoli fessionale. Possiamo ripararci da questo pericolo
di essersi sperduti; bambini che per questa loro producendo gli anticorpi necessari alla nostra so-
condizione di spaesamento non possono anco- pravvivenza, ad esempio con una cecità tempo-
ra dirsi studenti, sia perché il loro percorso (vi- ranea. In questo caso la difficoltà è considerata
ta-scuola-vita) resta inconcluso, sia perché ven- alla stregua di un imprevisto, una deviazione che
gono spesso mal tollerati e considerati presenze il tempo ricondurrà alla normalità. Diversamen-
fantasmatiche che lentamente svaniscono dalla te potremmo raccogliere questa occasione per
vista e dalla vita di insegnanti e compagni, pur mettere in discussione la nostra prassi perché, in
rimanendo aggrappati al loro posto. Per entram- fondo questo “è il bello del nostro mestiere”. Un
bi i soggetti è necessario compiere un passo di mestiere che deve essere innanzitutto orientato
avvicinamento tra scuola e vita, perché non sare- a sostenere e aiutare la crescita del bambino che
mo pienamente insegnanti finché tutti loro non coincide con un percorso pieno di difficoltà. La
potranno dirsi studenti. difficoltà è dunque un dato di partenza, fa parte
Chi è per noi un bambino in difficoltà40? I vin- della normalità, ma la scommessa è, “per me in-
coli e gli ostacoli maggiori non sono propri della segnante, quella di trovare le strategie per sinto-
realtà in cui agiamo, ma sono il prodotto del no- nizzarsi su ogni bambino: questo è il mio lavoro,
camminare insieme per crescere”42.
40. Abbiamo intervistato a tal proposito alcune insegnanti. Di seguito Il bambino in difficoltà diventa allora il nostro
riportiamo solo alcune risposte: “È un bambino che non sa fare un
compito, che non riesce a stare con gli altri, che è triste… che si ferma di punto di partenza, il nostro metro di misura,
fronte all’ostacolo sia nel lavoro che in altro, spesso non chiede, altre volte l’opportunità per sperimentare percorsi di in-
assume atteggiamenti che vanno un po’ oltre”. “Il bambino in difficoltà
vive un disagio che l’insegnante può solo provare ad attenuare, ma che clusione; perché nella fatica di tenere tutti sulla
difficilmente riesce a risolvere senza l’aiuto del bambino e della classe”. stessa barca rispondendo ai bisogni di ciascuno
“È timoroso; si relaziona poco con l’insegnante; ci vuole del tempo
perché abbia fiducia nell’altro; fatica a memorizzare; non è motivato; ha
risiede la possibilità di valorizzare le ricchezze/
scarsa fiducia nelle sue capacità; possono esserci delle difficoltà legate debolezze individuali e trasformare la prassi
anche alla socializzazione e all’aggressività; che non gli permettono di
controllare l’attenzione e l’interesse; problemi di tipo psicologico…”. “È
spesso abitudinaria dell’insegnante, in percorsi
un bambino che ha avuto poco in termini di: ricchezza/stabilità affettiva, inclusivi, vitali.
contenimento, esperienze, beni essenziali (casa, cibo, medicine, abiti,
ecc.), stabilità geografica. A cui viene fatto pesare il fatto di non essere
come ci si aspetta, a cui si chiede e dà ciò che non è suo, a cui non si 41. Lo stesso potrebbe dirsi per le difficoltà imputabili al contesto in cui
risponde. È un bambino che ha meno strumenti (capacità-cultura) o li il bambino vive, dunque esteriori, pur sempre intrappolate in stereotipi
ha diversi, che viene aiutato male/lasciato solo. È un bambino che ha riduzionisti.
intorno a sé adulti inadeguati o sbagliati”. 42. Tracce di un’intervista (vedi nota n. 40).

32 Davide Tamagnini
te culturali; è dunque indispensabile dare alle
L’esperienza di accoglienza degli studenti in difficol- esperienze un respiro globale, facendo perno su
tà, in sostanza, mette in moto percorsi di cambia- quelle condizioni che fanno emergere la comu-
mento che aiutano a porre in evidenza la possibilità
e l’opportunità che tutti gli allievi, non solo quelli
ne umanità di tutti i cittadini del mondo, pena
“fragili”, seguano programmi didattici stimolanti e la chiusura, e forse la perdita, degli orizzonti.
nello stesso tempo adeguati alle possibilità di ciascu- Dobbiamo lavorare per far crescere una cultura
no, all’interno della classe, insieme ai compagni43. planetaria, non intesa come appiattimento, omo-
geneizzazione e riduzione delle diverse culture in
Il punto di partenza è dunque il bambino, la sua un’unica artificiosa “cultura”, ma come necessità
conoscenza e la risposta ai suoi bisogni. Montes- appunto di una visione di interdipendenze biolo-
sori aveva una grande fede nel bambino come giche, storiche, psichiche. Una cultura in grado
padre dell’uomo: bisogna dargli fiducia, diceva, di costruire una società responsabile e democra-

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affiancarlo nel suo naturale-culturale sviluppo tica, dunque, aperta e rispettosa delle differenze,
senza mai sostituirsi a lui perché egli ha dentro capace di ridefinire i diritti e i doveri della con-
di sé un programma di apprendimento interio- vivenza tra le persone, una società capace di con-
re ben preciso che lo guida nel suo percorso. La dividere. Diversamente rimarremo invischiati in
fiducia è la via sulla quale scorre la quotidiana una realtà di cui non ci sentiremo mai partecipi,
relazione che collega insegnanti e studenti, in en- ma dalla quale saremo comunque coinvolti senza
trambi i sensi. capire il senso del nostro abitarla.
Abbiamo bisogno innanzitutto di uno sguardo
capace di leggere questo nuovo realismo in ogni
cosa che facciamo o che ci coinvolge, uno sguar-
Quale essere umano do cosmopolita:

e quale società senso del mondo, senso della mancanza di confini.


Uno sguardo quotidiano, vigile sulla storia, rifles-
sivo. Uno sguardo dialogico, capace di cogliere le
Questo modo di vedere il bambino è il punto ambivalenze nel contesto delle differenze che sfu-
di partenza di una prospettiva evolutiva – “Chi mano e delle contraddizioni culturali44.
potrò essere?” – che va esplicitata. L’educazione,
quale strumento di umanizzazione, mira a ren- Questa nuova realtà deve cominciare a esistere
dere l’essere umano responsabile dell’esistenza e nei nostri modi di pensare e di essere, nelle pa-
dello sviluppo di sé e di ogni vivente, aiutandolo role e nei gesti che usiamo per comunicare, nelle
a costruire la sua identità di cittadino della Terra. nostre scelte quotidiane che inevitabilmente im-
Il contesto in cui ci muoviamo è quello della so- plicano tanto i lontani quanto i vicini, i nascosti o,
cietà contemporanea e, anche in campo pedago- in un modo o nell’altro, i rimossi. Ma purtroppo
gico, le esperienze, il modo di leggerle e le scelte la dimensione nazionale, della chiusura, del privi-
che le determinano, e che ne conseguono, sono legio, del consumo e del dominio continua a farla
influenzate dal nostro abitare su questo specifi- da padrone.
co “pezzo” di Terra: ambienti, ruoli, strumenti e
obiettivi attraverso i quali sviluppare la propria La conseguenza più rilevante della nascita della
identità non sono universali, ma specificatamen- nuova rete globale di dipendenze unite al gradua-

43. Pavone, 2010, p. 153. 44. Beck, 2005, p. 14.

SI PUÒ FARE 33
le, ma incessante smantellamento della rete di centro della propria vita47.
sicurezza istituzionale che era solita proteggerci
dalle stravaganze del mercato e dai capricci di un Il dialogo è quindi la cornice e la forma della
destino a esso legato è, paradossalmente, l’accre-
sciuto valore del luogo in cui si vive45.
nostra esistenza, il luogo in cui esprimiamo e
riscopriamo noi stessi incontrando e scoprendo
La nostra esperienza locale viene costantemente l’altro.
proiettata sulla scena mondiale, trasformando il
Il sogno, il senso di nuove possibilità si sviluppa solo
nostro piccolo “orto” in un teatro di esperienze quando l’alterità spinge a uscire radicalmente da
universali, a volte destabilizzanti, a volte addirit- se stessi. È l’uscita da se stessi e l’incontro con chi
tura terrificanti. Dobbiamo imparare a vedere e è radicalmente altro rispetto a te che apre al cam-
comprendere questa trama di connessioni per- biamento evolutivo. Si riesce a ripensare l’esistente

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ché nella dinamica tra il particolare e l’universale non nell’incontro con l’altro simile a se stessi, ma
nell’incontro con l’altro diverso da se stessi. Questo
si colloca l’esperienza di crescita di ogni essere avvia la scoperta del volto dell’umanità che è pre-
umano e di ogni società. sente nella diversità, il volto di quell’umanità che
È vero che la vista copre la maggior parte del- a volte è negata ma che è invece viva e feconda48.
la nostra possibilità di percepire l’ambiente, ma
educare lo sguardo è solo il punto di partenza di L’incontro con l’altro è ascolto, un ascolto atti-
questo percorso che stiamo delineando. Vi sono vo capace di superare la dicotomia “aut… aut”,
altri aspetti da curare per capire il profilo e la e che ci stimola ad assumere un approccio esplo-
sostanza dell’essere umano contemporaneo, per rativo necessario alla comprensione della com-
dare risposta a quei bisogni e superare quei rischi plessità di se stessi e del mondo. Si tratta quindi
che un vecchio abito mentale non riesce nemme- “di sostituire un pensiero che separa e che riduce
no più a decifrare. Già alla fine del secolo scorso, con un pensiero che distingue e che collega”49,
l’Organizzazione mondiale della sanità insieme un pensiero sia… sia, uno sguardo riflessivo,
ai workshop interculturali dell’Unicef, presenta- umanizzante. Forse in questo modo riusciremo
rono un quadro sufficientemente articolato: a trasformare anche la deriva consumistica della
nostra società, in cui le persone sono trattate alla
possedere pensiero creativo; possedere pensiero cri- stregua di oggetti e gli oggetti materiali mediano
tico; sapere verbalizzare il pensiero; avere capacità
le nostre relazioni con gli altri, veicolano le no-
decisionali; avere consapevolezza di se stessi e ca-
pacità auto-valutative; sapere gestire le emozioni; stre emozioni e ci illudono di possedere un’auto-
sapere risolvere i problemi; sapere sostenere stress nomia di potere e controllo sulla nostra vita.
e contenere ansie; possedere capacità empatiche46.
Gli esseri umani sono stati riciclati in beni di con-
Sono in gioco competenze e conoscenze com- sumo, ma i beni di consumo non possono essere
trasformati in esseri umani. Non in quel genere di
plesse, ma necessarie per poter far dialogare la esseri umani che ispirano la nostra disperata ricer-
propria biografia con l’universo biografico in cui ca di radici, parentela, amicizia e amore, non que-
siamo immersi gli esseri umani con cui potersi identificare50.

perché i contrasti del mondo, ripartiti in modo di-


seguale, non avvengono solo là fuori, ma anche al
47. Beck, op. cit., p. 62.
48. Pollo, 2003, p. 10.
45. Bauman, 2001, p. 107. 49. Beck, op. cit., p.46.
46. Rossi-Doria, 1999, p. 49. 50. Bauman, 2001, p. 94

34 Davide Tamagnini
La scuola riscoprire e valorizzare le potenzialità necessarie
per innescare e strutturare questa trasformazio-
ne.
A scuola si continuano a insegnare sciocchezze: Se leggiamo la genealogia dell’istituzione scola-
i bambini si sentono dire che un “sostantivo” è un stica possiamo riflettere criticamente sulla fun-
“nome di persona, di luogo o di cosa” zione storicamente attribuitale: formare le élite,
e che un verbo è “una parola che indica un’azione” promuovere la selezione e la mobilità sociale,
e così via. assegnare qualifiche e capacità professionali, tra-
Imparano cioè in tenera età che una cosa la si de- smettere abilità e competenze, dare strumenti di
finisce integrazione e di cultura. In che modo la scuola
mediante ciò che si suppone essa è in sé e non me- può fare tutto ciò?
In primo luogo attraverso la trasmissione dei sa-

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diante le sue relazioni con altre cose
Gregory Bateson peri scolastici, ovvero “fatti, teorie, interpretazio-
ni e capacità di ragionamento che si ritengono
La scuola è molto potente nell’attraversare i secoli rilevanti per lo sviluppo dell’individuo e della
e rimanere arroccata alla sua forma società”52, organizzati per materie e articolati in
Riccardo Massa diversi periodi di tempo durante la giornata sco-
lastica. Questi saperi, nonostante i cambiamenti
interni ai curricoli, in funzione delle diverse fi-
Proviamo innanzitutto a chiarire il ruolo della nalità e traguardi che di volta in volta vengono
scuola nella società, qual è e quale potrebbe esse- attribuiti a quel determinato ordine scolastico,
re il suo compito sociale e culturale nella forma- “rispecchiano sia la distribuzione del potere sia
zione di persone responsabili di sé, delle proprie i principi di controllo sociale propri di quella so-
azioni e della società planetaria nella quale esse si cietà”53. I saperi trasmessi dalla scuola abbastan-
muovono alla ricerca di un approdo, magari fles- za rapidamente sfuggono dalle menti degli stu-
sibile, ma sicuro. Questo è il punto di partenza denti, ma, nonostante questo, gli studi su questo
per riuscire a costruire un’esperienza educativa e tema rilevano l’efficacia di questo obiettivo per
formativa capace di rigenerare la scuola: la meta-trasmissione di operazioni intellettuali
generali: la concentrazione, la memorizzazione,
tutto ciò che possiamo progettare per il futuro è l’applicazione di regole, la divisione di insiemi e
già all’interno del sistema di relazioni sociali pre- la messa in relazione di parti.
senti, negli scambi, nella capacità di rappresenta-
zione, di decisione, di immaginazione che queste L’allievo studia, ma, senza che egli lo sappia, gli og-
relazioni sociali rendono possibile51. getti del suo studio sono le convenzioni e le norme
del sistema e dell’autorità scolastica, non gli “studi”
Dobbiamo avere il coraggio di immaginare qual- veri e propri54.
cosa di nuovo, qualcosa che abbia senso, incomin-
ciare dai dettagli, coltivare esperienze ai margini Una scuola solo delle conoscenze diventa facil-
e, per contaminazione, far procedere quel cam- mente obsoleta e banalizzante.
biamento che propagandosi guadagna autorevo- Questa considerazione ci introduce a un secon-
lezza e riconoscimento. La scuola deve quindi
52. Brint, 2007, p. 95.
53. Ivi, p. 103.
51. Melucci, 2000, p. 12. 54. Dewey, op. cit., p. 201.

SI PUÒ FARE 35
do obiettivo dell’istruzione scolastica: la socializ- za competente e democratica. Quel “senso civi-
zazione, forse una delle sue funzioni principali. co” che influisce sulla percezione e il rendimento
Una socializzazione che è orientata a conformare delle istituzioni, una cultura del “bene comune”
gli studenti: il loro comportamento (il corpo e i che cresce in seno alla fiducia sperimentata nelle
movimenti a cui viene abituato) e la loro cultura relazioni interpersonali e si riflette in un rappor-
(ciò che è socialmente accettato e incentivato)55. to di fiducia e di responsabilità verso le istituzio-
Questa forza plasmante agisce su più livelli a se- ni e la “cosa pubblica” in generale57.
conda del contesto: l’aula, dove è più pervasiva La scuola italiana, forse per incapacità di fare i
ed efficace, e gli spazi informali. Così i compiti, conti con il proprio passato58, non si è occupa-
le verifiche, alzare la mano per parlare, mettersi ta, se non in modo marginale, della formazione
in fila, la scansione del tempo, l’organizzazione degli studenti come cittadini; ma questo non gli
dello spazio e così via sono dispositivi che in- ha impedito di trasmettere un ambiguo universo

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ducono gli studenti a modificare i loro atteggia- valoriale di riferimento. Infatti
menti, a valorizzare le prestazioni individuali e
a orientarsi nei mondi burocratici. Sotto la su- l’assenza di educazione civico-politica in forma
perficie del visibile gli studenti sperimentano esplicita favorisce la sua presenza, in forma implici-
ta, nel “curriculum nascosto”59.
indisturbati la forza e i rischi delle relazioni tra
pari, pur rimanendo sotto il controllo degli inse-
gnanti: come superare i conflitti, come gestire i
rapporti amicali, come mostrarsi senza diventa-
re bersagli, i rapporti di genere… insomma una
vera e propria palestra in cui apprendere i savoir
faire della gestione dei rapporti sociali. In questo
senso la scuola è palestra di competenze sociali
fondamentali, ma solo realtà culturalmente diso-
mogenee ne permettono un pieno esercizio.
Siamo convinti che oggi la scuola non debba
temere di lasciar entrare il mondo, conoscerne
i principi s-regolatori, le sue problematiche e le
risorse che è in grado di attivare; peggio sarebbe
per la scuola rimanere arroccata in una dimen-
sione astorica, a garanzia di una presunta purez-
za. Occorre risignificare il rapporto fra scuola e
società, ridefinire le funzioni del sistema scolasti-
co e rafforzare il capitale sociale56 investendo in
un’educazione per lo sviluppo di una cittadinan- 57. Purtroppo il “costume italiano” prevede che dinnanzi alla “cosa
pubblica” la premessa implicita sia “se è di tutti, allora non è di nessuno”
e quindi posso impossessarmene, utilizzarlo a mio piacimento senza
55. Si veda Brint, op. cit., pp. 146-49. tenere in considerazione gli altri destinatari o, nel caso delle regole,
56. Secondo un approccio individualista il capitale sociale è inteso quale trasgredirle. Un’altra mentalità, a questa contrapposta, potrebbe essere
insieme di risorse che l’attore è in grado di ottenere dalla sua rete di quella per cui “se è di tutti, allora è anche mio”, e per questo me ne
relazioni sociali, dove è l’individuo che investe nella rete di rapporti prendo cura e ne sono responsabile.
per trarne un profitto individuale (Bourdieu, Coleman). Un approccio 58. Il riferimento è all’esperienza italiana della dittatura fascista e alla
olistico, invece, concepisce il capitale sociale come un bene collettivo, relatività difficoltà anche solo di affrontare tale argomento nelle lezioni a
che consiste in valori condivisi, coesione sociale e fiducia (Putnam, scuola. Si veda Cavalli, Deiana, 1999, pp. 15-20.
Fukuyama). Qui il riferimento è, in particolare, al secondo approccio. 59. Ivi, p. 20.

36 Davide Tamagnini
CURRICULUM NASCOSTO* VALORI SOCIETÀ DEMOCRATICA
*(Cavalli, Deiana, 1999, p. 24)

Divergenze o conflitti di opinione devono essere evitati Divergenze e conflitti sono normali in una società libe-
piuttosto che resi espliciti. ra, la democrazia è uno strumento per regolare pacifi-
camente i conflitti.

Ci si può sempre aspettare che chi detiene una posizio- Il gioco democratico assicura che chi detiene posizioni di
ne di autorità la utilizzi per fini privati. autorità debba ricercare il consenso e quindi agire al fine
di favorire il “bene collettivo” e non l’interesse personale.

La distribuzione di premi e punizioni avviene in modo so- Tutti devono essere trattati in base allo stesso criterio
stanzialmente arbitrario o comunque poco trasparente. nella distribuzione delle ricompense.

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In ogni situazione bisogna chiedersi innanzitutto che Il perseguimento del vantaggio personale deve avveni-
vantaggio personale è possibile ricavarne. re nel rispetto di regole che tutelano i diritti di tutti e
l’interesse “collettivo”.

La solidarietà si manifesta quando bisogna difendersi La solidarietà si esprime nell’aiuto che i più “forti” dan-
dall’arbitrio dell’autorità (solidarietà tra uguali). no ai più “deboli” (solidarietà tra dis-uguali).

Tab. 1 - Contenuti valoriali a confronto

Il “curriculum nascosto” fa riferimento a tutti adattamento che deve prolungarsi per un tempo
quegli atteggiamenti carichi di contenuti valoriali così lungo, è assai improbabile che tale adattamen-
to possa consistere nel possesso di un bagaglio di
a cui gli studenti sono costantemente esposti, un
competenze di tipo riproduttivo61.
insieme di premesse implicite che marcatamen-
te contribuiscono a definire l’ethos della scuola.
Dobbiamo lavorare già all’interno dell’aula per- Dobbiamo aiutare i bambini a sviluppare una
ché questi due mondi così distanti possano in- conoscenza capace di cogliere i problemi plane-
contrarsi e farci carico delle contraddizioni per tari; a superare la frammentazione delle disci-
superarle, perché andare a scuola – e prendersene pline per situare le informazioni in un contesto,
cura – non sia solo un “diritto”, ma diventi anche imparando a cogliere la reciprocità che lega ogni
un’azione di cittadinanza. Per realizzare questo parte al tutto; a confrontarsi con le permanenti
obiettivo dobbiamo imparare a osservare la nostra possibilità d’errore e i rischi d’illusione presen-
esperienza ripartendo da quello che si presenta ai ti nei processi di conoscenza; a comprendere la
nostri sensi; si tratta di sviluppare uno stile che, condizione umana, sia il carattere complesso del-
legando circolarmente l’azione e la riflessione, ci la nostra identità sia l’identità terrena che come
consenta di muoverci con leggerezza60 e respon- esseri umani condividiamo; a sviluppare l’etica
sabilmente nello spazio cosmopolita, fosse anche del genere umano a partire dalla coscienza che
quello di un’aula, meglio se della scuola primaria. l’umano è allo stesso tempo parte di una società
e di una specie; ad allenarci ad affrontare i rischi,
Se davvero vogliamo che l’educazione nella prima l’inatteso e l’incerto e a modificarne l’evoluzione.
parte della vita ponga premesse positive per un Sarà sempre più necessario che i bambini impa-
60. La leggerezza è qui intesa nell’accezione che ne dà Calvino, come
sinonimo di precisione e determinazione. Si veda Calvino, 2005. 61. Vertecchi, 2005, p. 50.

SI PUÒ FARE 37
rino che la comprensione è mezzo e fine della ro di gruppo: i bambini trovano sostegno tra i
comunicazione umana, costituendo, nello stesso pari, ma è qualcosa che avviene “sottobanco”, di
tempo, una delle basi più sicure dell’educazione nascosto, perché crea imbarazzo, quasi apparte-
alla pace. Si profilano così due grandi finalità eti- nesse a una sottocultura clandestina. Questi due
co-politiche: stabilire una relazione di reciproco tratti (lo stile comportamentista e l’enfasi sul la-
controllo fra la società e gli individui attraverso voro individuale) sono l’indicatore di una visione
la democrazia e portare a compimento l’Umanità che difetta nel riconoscere i diversi ruoli attivi:
come comunità planetaria62. quello dei bambini nel costruire la conoscenza e
quello dell’adulto come facilitatore dei processi
che ad essa conducono e “problematizzatore” dei
suoi specifici contenuti.
L’insegnante Indipendentemente dal modo di essere degli in-

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segnanti, dalla loro passione e competenza per
cercare di qualificare l’esperienza scolastica dei
Un insegnante mediocre parla. bambini, la realtà osservata ci ha dato modo di
Un bravo insegnante spiega. capire come la cultura scolastica istituzionale e
Un ottimo insegnante dimostra. la sua lunga tradizione trasmissiva contamina-
Un grande insegnante ispira no fortemente anche i modi di fare e gli sguar-
di degli insegnanti più attenti. Se l’azione non
William Arthur Ward
si richiama costantemente a una teoria “forte” e
alla possibilità di adottare uno sguardo riflessivo
Il bambino impara a parlare
sull’esperienza in classe, lo scorrere degli eventi e
perché non c’è nessuno che glielo insegna!
la nostra relativa azione finiscono per fare il gio-
Maria Montessori co dell’esclusione: una sorta di effetto collaterale
dato per scontato, il solito vecchio gioco.

L’insegnante è l’altro soggetto in gioco nella rela- Da questa coreografia delineata dobbiamo ri-
zione educativa di insegnamento/apprendimen- partire progettando percorsi di inclusione: è
to. I suoi pensieri modellano le esperienze den- difficile seguire “tutti”, specialmente se questi
tro la scuola, le sue azioni strutturano percorsi “tutti” hanno livelli di competenze diversi, ma
didattici entro cui si disvelano le conoscenze e se il focus del nostro lavoro non diventa l’inte-
si sperimentano le identità in evoluzione degli grazione dei bambini più in difficoltà, saranno
studenti, le sue valutazioni fanno la differenza. loro gli unici a essere tagliati fuori dalla nostra
Purtroppo molte pratiche didattiche sembrano azione.
accomunate da un’impronta addestrativa in cui
apprendere diventa normalmente una sorta di Dobbiamo ripensare dunque il ruolo e le prati-
esercizio meccanico e ripetitivo, talvolta autore- che degli insegnanti per qualificare l’esperienza
ferenziale per quel che riguarda il senso di alcu- scolastica coerentemente con quanto ci siamo
ne attività che si chiede ai bambini di svolgere. detti finora. Per fare questo dobbiamo imparare
A ciò si aggiunga il fatto che spesso non viene a osservare la realtà perché, ogni mattina, ci ver-
pragmaticamente riconosciuto il valore del lavo- rà offerta dal contesto e da chi lo abita la possi-
bilità di ricercare, scoprire e approfondire.
62. Si veda Morin, 2001.

38 Davide Tamagnini
Dobbiamo riuscire a tutelare i bisogni dei bam-
bini – poveri anticipatari della scuola! – e le loro
precise tappe di sviluppo perché ogni cosa av-
venga a suo tempo e con linguaggi e strumenti
appropriati. Lavorando sui bisogni del presente
possiamo costruire le basi per i successivi svilup-
pi perché, diversamente, anticipando delle rispo-
ste aumenteremo solo il senso di inadeguatezza e
frustrazione.

Dobbiamo tenere collegate le sponde del senso e


dell’esperienza perché è su questo ponte che si

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costruiscono gli apprendimenti autentici. Sono
coloro che fanno più fatica a sintonizzarsi sulla
cultura auto-referenziata e astratta della scuola ad
aver più bisogno di ritrovare il senso nelle cose
che quotidianamente fanno.

Dobbiamo essere competenti sui processi perché è


in questo che i bambini vanno sostenuti, i risultati
poi verranno da sé e saranno il frutto dei loro sforzi.

Dobbiamo imparare a pensare con il nostro corpo


e farci orientare dalle nostre emozioni perché – ce
lo insegnano i bambini – gli apprendimenti si co-
struiscono in questo modo; invece siamo inclini
a discorsi troppo lunghi, sbrodoliamo continua-
menti saperi e morale, mentre dovremmo aiutare
i bambini a costruire la mente attraverso il corpo,
l’esperienza.

Dobbiamo farci interpreti capaci di tradurre i


messaggi, le dinamiche e le cornici culturali che
punteggiano l’esperienza scolastica quotidiana
perché dalla comprensione di questi segnali pos-
siamo, con fiducia, dare risposte concrete al biso-
gno primario del bambino: aiutami a fare da solo.

Dobbiamo, dobbiamo, dobbiamo… forse dobbia-


mo semplicemente smettere di fare gli insegnanti
per diventarlo veramente! Lasciamoci ispirare e
ispiriamo a nostra volta senza dimenticarci mai il
dovere di sorridere!

SI PUÒ FARE 39
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TERZA si può fare
PARTE Qualcosa
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Cominciare ficaci per facilitare lo sviluppo dei bambini? Che
idea abbiamo dell’apprendimento? Che insegnanti

a crescere
aspiriamo a essere? Che scuola sogniamo?
Forse rileggendoci ci accorgeremo di esserci dati
risposte ambigue, talvolta fuorvianti, ma potre-
mo anche trovare risposte sensate che valeva la
pena esprimere e riproporre.
Quanto vi stiamo per raccontare ha a che fare
con la vita reale: quella dei bambini, degli inse-
gnanti e della scuola. La nostra è un’esperienza
avvenuta in uno spazio-tempo determinato e con
delle persone che in quel contesto hanno indossa-

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C’è chi insegna to il loro abito migliore, quello che desideravano
guidando gli altri come cavalli indossare. Può darsi che il vostro percorso segua
passo per passo: direzioni di vostro interesse, che quest’abito non
forse c’è chi si sente soddisfatto vi si addica o che nel vostro ambiente risulti ina-
così guidato. datto o addirittura inutile. Teneteci almeno pre-
C’è chi insegna lodando senti come se fossimo “un altro punto di vista”,
quando trova di buono e divertendo: sospendete il giudizio e provate ad ascoltarci; vor-
c’è pure chi si sente soddisfatto remo tentare di comunicarvi il senso della nostra
essendo incoraggiato. esperienza perché siamo felici di affermare che a
C’è pure chi educa, senza nascondere scuola qualcosa di bello, utile e sensato si può an-
l’assurdo che c’è nel mondo, aperto ad ogni cora fare. Lo diciamo con coscienza, correndo il
sviluppo ma cercando rischio di sembrare dei principianti incompeten-
d’essere franco all’altro come a sé, ti, non perché siamo gli unici depositari di questi
sognando gli altri come ora non sono: tesori, ma perché siamo convinti che non debba-
ciascuno cresce solo se sognato no più essere merce rara.
Abbiamo iniziato questo libro con la metafora del
Danilo Dolci, Poema Umano sogno. Un sogno che ci facesse volare alto perché
molta era la strada che desideravamo, e deside-
riamo ancora, percorrere. Quel particolare inizio
Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuo- conteneva già in sé un capovolgimento di pro-
la… insistono perché io scriva per loro un metodo, spettiva: partire dal futuro scevri dall’illusione di
che io precisi i programmi, le materie, la tecnica di- poterne predeterminare i passaggi, gli ostacoli e
dattica. Sbagliano la domanda…
le sorprese che a esso conducono, aperti verso l’i-
Ci risuonano ancora nella mente e nel cuore que- nedito per ritrovare la forza di superare il passato
ste preziose parole di don Milani, già precedente- e trasformare il presente.
mente citate. Non per degli inopportuni raffronti Una scuola di tutti e per tutti – il nostro sogno
con Barbiana, ma solo per sottolineare che anche – sta veleggiando per mari di esperienze e di pa-
noi ci aspettiamo una domanda diversa e deside- role con la voglia di scoprire e di capire che ci fa
riamo continuare nella ricerca di risposte a molte da bussola. Dal nostro navigare a vista emergono
altre domande che quotidianamente ci poniamo: come un’alba la forma e la sostanza di una scuo-
cos’è una lezione? Quali sono gli strumenti più ef- la nuova, diversa almeno da quella che avevamo

SI PUÒ FARE 43
sperimentato. Grazie a questa luce, sono diventa- Insegnare è semplicemente dare a ciascuno la
ti più nitidi anche il profilo e il senso del nostro possibilità di non sprofondare nell’ignoranza,
“mestiere”: far crescere nei bambini il desiderio di impara-
re, facilitando quei processi che loro autonoma-
insegnare è convertire lo sguardo sulla propria mente mettono in moto. È ridare senso al sape-
prassi educativa; non dobbiamo interrogarci su re riconducendolo a quell’unità che i metodi, le
quale sia il modo migliore per insegnare, ma, in-
nanzitutto, perché e per chi insegnare. Prima di
discipline e l’organizzazione scolastica, per loro
cercare le risposte pratiche (che cosa fare) dovrem- comodità, separano.
mo, dunque, modificare la domanda che sta a
monte della nostra prassi. L’uomo, fin da piccolo, ha diritto a mantenere la
sua interezza fondata su tre dimensioni che la mo-
Insegnare è, etimologicamente, “lasciare un se- derna società tende in ogni campo a separare al

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gno”. La nostra proposta allora è quella di pro- fine di “specializzare”: l’homo ludens, l’homo fa-
ber, l’homo sapiens. La scuola che vuole rispetta-
vare ad allargare la prospettiva anche in questo
re l’uomo e contribuire a formarlo in modo equi-
e immaginare che il lavoro con i bambini lasci librato ha il compito di riunire queste tre sezioni
un segno profondo anche su di noi, che ci lascia- separate. Ed è la cosa più facile perché il bambino
mo attraversare dalle loro esistenze e prendiamo le ha già unite nella pratica quotidiana della sua
parte alla costruzione dei loro apprendimenti e esperienza63.
del loro progetto di vita. “Lasciare un segno” an-
che in questa società, dove la repressione delle Quale può essere, a questo punto, il primo passo da
potenzialità più umane e umanizzanti sembra compiere per ogni insegnante?
essere una realtà scontata. Lo stesso da cui deve ripartire l’intera scuola: la
didattica, il pensiero-azione che struttura la rela-
Insegnare è aprirsi al contesto ecologico (sociale, zione di insegnamento/apprendimento.
economico, storico, culturale e relazionale) dei Quel che normalmente incontriamo nella comu-
propri educandi perché senza questo sguardo ne esperienza scolastica è una didattica che fatica
rischieremmo di accontentarci di un nome sul a guardare alla relazione e manca di quella ri-
registro e di una pagella da compilare; i bambini flessività necessaria a comprendere se stessa. Per
non sono isole e non vanno isolati, ma dobbiamo questo crediamo che sia imprescindibile partire
aiutarli a costruire ponti affinché riescano a dare da quest’ultimo aspetto, lo sguardo, per provare
significato alle diverse esperienze che vivono a innescare un possibile cambiamento. Ciascun
dentro e fuori la scuola. insegnante deve imparare a gestire quello specia-
le strabismo che gli consente di tenere gli occhi
Insegnare è alfabetizzare attraverso l’esercizio del puntati sia su chi è in difficoltà, per aiutarlo, su
pensiero critico, qualsiasi sia il nostro punto di chi non lo è, per stimolarlo, sia su di sé, sulle pro-
partenza (matematica, italiano, scienze…); la pa- prie emozioni, per osservare i passi che compie
rola come oggetto culturale fa dell’educazione un e le situazioni di spiazzamento in cui si viene a
atto sociale e politico e un uso consapevole del trovare. Questa pluralità di sguardi ci consentirà
linguaggio diventa la possibilità per ogni essere di raccogliere elementi essenziali per riconoscere
umano di compiere il proprio cammino storico. le premesse implicite sottese alla nostra azione
Dobbiamo ripartire dalle parole per conoscerne didattica; osservando il contesto, i bambini e il
il significato e riscoprire insieme il senso della
fatica e della gioia. 63. Lodi, 1983, p. 81.

44 Davide Tamagnini
nostro modo di porci in classe potremo iniziare a stra esperienza, lo sarà indirettamente anche per
cambiare passo, se non addirittura direzione. i bambini. Diversamente sarà difficile trovare le
energie per realizzare il nostro sogno e, come in
Come possiamo riuscire a stare in classe a fare lezio- un paradosso, ci addormenteremo ancora prima
ne e, al contempo, accollarci anche questo pezzo di di cominciare.
lavoro “aggiuntivo”?
Il primo strumento che si può usare a tale scopo Con queste premesse e con una grande respon-
è quello classico del diario: raccontare i momen- sabilità abbiamo iniziato l’anno scolastico: fare
ti significativi della nostra giornata, le situazioni scuola in una classe prima, consapevoli che molto
problematiche, per non perdere quel materiale di quel che c’era da costruire era nelle mani dei
prezioso fatto di parole, gesti ed emozioni che bambini. Abbiamo trovato la disponibilità del-
tutti i soggetti della scuola lasciano dietro di sé. la dirigente scolastica, di alcune colleghe e dei

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Fermarsi pochi minuti a fine giornata, prima di genitori degli studenti per sperimentare un’im-
uscire da scuola, per annotare eventi, impressio- postazione di lavoro innanzitutto centrata sugli
ni e idee. Scrivere è un po’ come guardarsi allo apprendimenti autentici, legati a contesti di vita
specchio, assumere un punto di vista esterno, reale. Sapevamo che molto lo avremmo scoperto
prendere distanza dallo scorrere degli eventi in strada facendo, lo abbiamo condiviso con gli altri
cui siamo stati coinvolti per fermare brevi istanti precisando solo alcuni punti fermi, garanzie del
su cui tornare a riflettere. Il diario, però, non è percorso che stavamo per cominciare:
sufficiente; è importante poter avere uno sguardo
altro, diverso e distante da noi, con cui poterci ✓ no ai libri di testo, per poter partire sempre
confrontare. dall’esperienza e assumersi, come insegnanti,
Per questo potremmo trovare aiuto nei colleghi la responsabilità della didattica;
più disponibili, chiedendo a qualcuno di loro di
osservarci mentre facciamo lezione. Non ci inte- ✓ no alle schede fotocopiate, perché uccidono la
ressa raccogliere giudizi su quanto siamo bravi o didattica e la creatività, ma spazio, invece, alla
incapaci, ma registrare quei passaggi goffi, spiaz- scrittura e alla manipolazione di esperienze e
zanti, per capire le nostre azioni, di quali pre- materiali;
messe culturali e pedagogiche sono espressione.
Far entrare un collega in aula con noi è anche ✓ no all’emarginazione di alcuno, ma apertura e
un gesto di fiducia che testimonia un aspetto im- inclusione attraverso metodologie e approcci
portante della nostra riflessione: quello che acca- che riconoscano a ciascuno il valore del pro-
de lì dentro non è un fatto privato. I dati raccolti prio punto di partenza – anche quando è eccel-
diventeranno occasione di confronto, una possi- lente – e, a partire da quello, costruiscano un
bilità per mettere in discussione la nostra pras- significativo apprendimento;
si, un’opportunità per cambiare lo sguardo sulle
cose che sarà già un cambiare le cose. ✓ no ai compiti, perché il lavoro si fa a scuola e
La fatica connessa all’uso di questi strumenti è, in perché non fanno altro che aumentare il diva-
realtà, un valido aiuto per poter rigenerare tutta rio che esiste tra le diverse risorse culturali del-
la stanchezza fisica e mentale che un insegnante e le famiglie (sono un’ingiustizia, lo diceva già
i bambini accumulano durante la giornata: se per Rodari, che nei panni di uno scolaro scriveva
noi educatori può essere ossigenante il metterci al Ministro dell’Istruzione: “la legge è uguale
nella condizione riflessiva di apprendere dalla no- per tutti, ma la domenica no”);

SI PUÒ FARE 45
✓ no ai voti, perché non sono lo specchio dei pro-
cessi di apprendimento che i bambini mettono
in atto e finiscono per imporsi culturalmente
come il fine stesso dell’apprendimento, squali-
ficandolo. Sì, invece, a una valutazione più au-
tentica costruita con il contributo dei bambini,
degli insegnanti e delle famiglie.

Detta così può sembrare la scuola della “prote-


sta”, ma quello che stiamo cercando di costruire
è una “proposta” di senso in cui il tempo, le for-

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me e i contenuti del nostro stare a scuola siano
sempre significativi per chi li sta vivendo.
Allora qualcosa non solo si può fare, ma si deve
fare e, soprattutto, è possibile e urgente farlo. Se
la scuola deve preparare alla vita, che la vita stes-
sa ne sia il banco di prova, la materia sulla quale
lavorare insieme. Non possiamo – ed è parados-
sale già solo pensarlo! – chiudere la vita fuori
dalla nostra aula, relegarla entro parentesi espli-
cative al fine di rianimare sequele di pratiche ed
esercizi esanimi. Questa attenzione ci risparmie-
rebbe anche di andare alla ricerca di tutti que-
gli specchietti per allodole con cui si cercano
di addolcire le pillole di sapere: i bambini non
hanno bisogno di essere accalappiati, basterebbe
mostrare loro il fascino che certe conoscenze re-
ali hanno. La scuola che avevamo conosciuto su-
perava il paradosso: iniziava e finiva tra le pieghe
di quaderni inspessiti dalle fotocopie e le pagine
di un paio di libri.

46 Davide Tamagnini
Partire che bambino non capisce la consegna; girando
tra i banchi osserviamo che la maggior parte di

dall’esperienza
loro arrivano velocemente alla fine della prova
in modo corretto. Emerge lo spaesamento di chi
non capisce: possibile che non sappia rispondere
a quella richiesta (colorare gli alveari con 3 api)?
Forse la prova non prova quel che vuole provare.
Raccolti tutti i fogli, prima di distribuire la secon-
da scheda, affacciamo la testa fuori dall’aula per
cercare “ossigeno”; troviamo una collega autore-
L’istruzione non è preparazione alla vita. vole, con tanti anni di esperienza di insegnamen-
L’istruzione è vita to, tanta voglia di fare e con il pregio di essere

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chiara e diretta nelle comunicazioni.
John Dewey “Siamo obbligati a far fare queste prove ai bam-
bini?”
Scena 1 La sua risposta inusuale e desiderata è arriva-
Insegnante nell’anno di prova; classe prima. Che ta a levare il velo della nostra titubanza, a darci
fare? Mollare tutte le convinzioni e le conoscenze quell’ossigeno necessario a decidere di cambiare
che ci hanno portato a diventare maestri e alline- istantaneamente rotta.
arsi alla “tradizione” della scuola? Nulla di male: “Fate quello che credete sia importante fare!”
pratiche sperimentate, materiali pronti, aspettati- Queste sue parole ci hanno fatto rientrare in clas-
ve delle famiglie accolte, senso di stabilità e cer- se camminando a una spanna da terra, rinchiude-
tezze (poche, ma buone!). re le fotocopie nell’armadio e provare a risponde-
Ma l’esperienza fuori dalla scuola primaria ci ri- re a quell’enorme fiducia che ci era appena stata
corda che quel modello di scuola osservata negli data.
anni, sempre uguale a se stessa, non funziona.
Possiamo trasformare questa convinzione perso- Oggi che lezione facciamo?
nale in una domanda pubblica? Possiamo met- Ribaltiamo questa domanda ansiogena perché ri-
terci alle spalle quest’idea di scuola e costruirne baltato è il ruolo con cui ci vediamo in quel grup-
un’altra? Ne avremo le forze? I bambini e le loro po di bambini: oggi quali stimoli arriveranno dai
famiglie potranno sostenere questo percorso? bambini? E come possiamo accoglierli per prova-
Allora l’anno di prova diventa l’anno giusto in cui re a crescere con loro?
tentare di mettere alla prova il sistema, stressarlo La lezione è aperta all’imprevisto, fiduciosa della
di domande che ne facciano emergere le contrad- vastità di conoscenza e della curiosità di sapere ti-
dizioni e di proposte alternative che ci permetta- pica dei bambini. Anche noi ci sentiamo parte di
no di trovare un senso a quel che facciamo. questo gruppo e anche noi riversiamo in classe gli
stimoli che la vita ci porta. Ci sono sempre molte
Scena 2 domande e per le risposte ci prendiamo il tempo
Prove d’ingresso (per i bambini e per noi): arri- debito. Siamo convinti che sia necessario abitare
vano delle schede fotocopiate da somministrare a lo spazio dell’indeterminatezza, lasciarsi portare
ogni bambino per capire quali conoscenze hanno alla deriva per ritrovare il gusto esplorativo del-
e quali no (concetti topologici, dimensioni, for- la scoperta. Questa potrebbe essere l’espressione
me, numeri, ecc.). Primo foglio distribuito. Qual- che meglio descrive la nostra pedagogia, una pe-

SI PUÒ FARE 47
dagogia della domanda, capace di creare lo spazio comunicare i principi sui quali si basa. Un oro-
e il tempo per esprimere l’inedito, per scrivere la logio che comunichi il ciclo delle 24 ore, che di-
propria storia. sveli il diverso modo di leggere i numeri in esso
racchiusi. Per farlo abbiamo ampliato il quadran-
Ogni mattina apriamo con delle semplici routine te di un orologio, inserendo un cerchio più gran-
che ci permettono di osservare la realtà per la- de con le ore da 13 a 24; sullo stesso abbiamo
sciarci interrogare. Il bambino che ha il compito incollato cifre più piccole che segnano quanto
di segnare le presenze per il pranzo si esercita indicato dalle lancette dei minuti e dei secondi.
quotidianamente e, in caso di dubbio, ci stimola Per rendere il tutto comprensibile abbiamo asso-
a fare semplici conti apprendendo in tal modo ciato con dei colori le cifre alle lancette: numeri
che la matematica è legata all’esperienza, senza e lancette bianche indicano le ore, quelli rossi i
bisogno di alcuna spiegazione. Il bambino che minuti e i secondi. Abbiamo apparecchiato i sa-

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innaffia la pianta ci insegna che il nostro ambien- peri e lasciato che i bambini li gustassero a loro
te e i soggetti che lo popolano hanno bisogno di piacimento.
cure e spesso queste sono fatti di semplici gesti. Presi tutti insieme questi elementi testimonia-
Così anche chi si occupa delle pulizie ci insegna no l’importanza di partecipare attivamente (un
il valore della cura e della responsabilità con cui pleonasmo doveroso per chi è posseduto da una
abitare gli spazi. Chi distribuisce i materiali ci fa mentalità “scolastica”) alla vita reale, al fare cia-
capire come si possa essere, facilmente, d’aiuto scuno la propria parte, associando, grazie a sem-
agli altri. Ogni mattina c’è chi si orienta tentando plici esperienze, l’idea di potere (legata a un ruo-
di ordinare i cicli temporali sul nostro calendario lo) e quella di servizio per gli altri, ancora troppo
fatto di giorni, mesi, anni, stagioni e indicazioni distanti in molte esperienze umane.
meteorologiche (rileva e registra i cambiamenti
del tempo atmosferico e la temperatura dell’aria) I bambini quando entrano a scuola tirano fuo-
e in questo modo aiuta tutti a descrivere e a im- ri dallo zaino molte idee e interrogativi. Sono
parare dai semplici cambiamenti che puntellano sensibili all’ambiente, ne sono imbevuti, e dob-
la nostra vita quotidiana. biamo imparare a filtrare e valorizzare queste
Per facilitare gli apprendimenti dei bambini e “pietre preziose”. Le loro affermazioni e le loro
non essere noi i soggetti che “trasmettono i sape- domande ingenue e veraci vanno accolte affinché
ri” dobbiamo allestire gli spazi con materiali che possano diventare argomenti di confronto e di
consentano loro di fare da soli, di sperimentarsi approfondimento per crescere. Questo diventa
autonomamente nella lettura e nell’interpreta- possibile solo se intenzionalmente si dedica dello
zione della realtà che li circonda, così piena di spazio di ascolto in cui accogliere la realtà. Come
stimoli, informazioni e spunti per capire e appro- quella mattina che appena entrati in classe ci lan-
fondire conoscenze, abilità e competenze. ciarono uno scoop sensazionale: “Sono arrivati
gli zingari!”
Un ultimo esempio: l’orologio. Possiamo im-
maginare esercizi, spiegazioni, giochi, insomma “Maestro sai che ci sono gli zingari?”
tutto ciò che una mente creativa o “monotona” “Quelli che rubano i bambini!”
possa fare per permettere ai bambini di impara- “Chi sono gli zingari?”
re a leggere l’ora; oppure possiamo costruire un “Sono quelli che rubano i bambini e li mettono
orologio che parli da solo, che contenga in sé non dentro le gabbie che hanno nei furgoni e li lascia-
solo i dati da apprendere, ma anche le forme per no lì a morire così poi li mangiano!”

48 Davide Tamagnini
“Ci sono delle persone che mangiano delle altre per- di più la vita?”
sone?” “Per mangiarli!”
“Sì, sì…” “Non è vero!”
“Ma a voi chi ve lo ha detto?” “Allora… un giorno torno a Pombia e una signora
“Mio fratello.” dice che io sono un ladro di bambini. È vero?”
“E tuo fratello conosce qualche zingaro?” “Noooo!”
“No!” “Ma la signora che ha sentito dire questo, lo dice a
“Sono quelli che si sono messi vicino al parcheg- una sua amica e così di persona in persona la voce
gio della palestra.” si diffonde e tutti pensano che io sia un ladro di
“Sono quelli che rubano i bambini. Mia mamma bambini, una persona pericolosa, da tenere lonta-
me lo ha detto.” no. Tutti mi vorrebbero cacciare. Cosa posso fare io
“Le donne nascondono i bambini sotto le gonne che vorrei rimanere a Pombia, ma non sono accet-

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e poi li portano via.” tato da nessuno?”
“Ma cosa se ne fanno dei bambini?” “Devi dire che non sei un ladro di bambini!”
“Li mangiano.” “Ci ho provato, ma nessuno mi ha creduto!”
“Li vendono in altri Paesi.” “Devi convincerli. Non è giusto che tu vai via!”
“Come fanno a portarli in altri Paesi?” “Sì è vero è un’ingiustizia trattare male delle perso-
“Li mettono sulle navi” ne, dire il falso su di loro e non volerle solo perché
“Cosa vuol dire per voi la parola zingari?” ci sembrano diverse. Questo è razzismo. La pensa-
“Poveri.” va così quella persona cattiva che era vissuta molto
“Cattivi.” tempo fa, ricordate?”
“E voi conoscete degli zingari? Intendo dire che ci “Sì, Hitler!”
avete parlato, li avete mai conosciuti?” “Allora noi dobbiamo imparare a non ripetere le
“Io sì, una volta sono andato a casa di un mio bugie, perché più le ripeti e più…”
amico che aveva il papà zingaro.” “Diventano vere!”
“Aiuto…” “Hai proprio ragione. Ma come facciamo a sapere
“Ma non mi è successo niente, era gentile.” che quelle che sentiamo sono bugie?
“Allora gli zingari sono poveri e cattivi, ma non tut- Dobbiamo usare il cervello e farci aiutare da qual-
ti.” che adulto che non si accontenta di ripetere quel che
“Eh sì ci sono persone brave e cattive, anche gli sente, ma si informa e conosce. Un’ultima cosa bam-
italiani sono così.” bini: non usate più la parola zingaro, per favore!”
“Perché gli zingari non sono italiani?” “L’hai appena usata!”
“No!” “Hai ragione! Non usiamo più questa parola perché
“Siete così sicuri?” è brutta, perché fa male. Le persone verso le qua-
“Boh?” li l’avete usata non si riconoscono con quel nome,
“Allora ci sono zingari buoni e cattivi, italiani e non ma sanno che significato ha per noi e ci rimangono
italiani, ma di una cosa siete sicuri: sono poveri. male. A nessuno piace essere offeso, men che meno
Adesso mettiamo il caso che il maestro diventi im- ingiustamente.”
provvisamente povero, perdo il mio lavoro, la mia
casa, non ho più soldi per mangiare e per vivere, per Quel giorno, finita la scuola, abbiamo pensato
me e per la mia famiglia. Se fossi così povero andrei che se solo fossimo riusciti a dar loro la possibilità
a prendermi un’altra bocca da sfamare? Perché do- di incontrare queste persone verso le quali sono
vrei prendere lui, lei e lui per complicarmi ancora stati indirizzati a pensar male, loro avrebbero

SI PUÒ FARE 49
potuto costruirsi un’idea più consapevole – non sta?”
importa se negativa o positiva – ma personale, “Le uova.”
reale, frutto di un’esperienza. Solo la conoscenza “Ma per fare le uova cosa deve poter fare?”
ha il potere di spodestare le credenze e smasche- “Mangiare!”
rare i pregiudizi. Così il giorno dopo, prima di “Cosa?”
entrare a scuola, abbiamo raggiunto il luogo in “Il sangue.”
cui sostavano queste persone con l’intenzione di “È come la zanzara.”
chiedere loro se avessero avuto voglia e piacere “È un ladro… di sangue!”
d’incontrare una classe di bambini per un’in- “Così si riproduce.”
tervista. Il parcheggio era vuoto, nessuno più lo “Fa le uova!”
abitava, rimaneva solo qualche traccia di un pas- “Che hanno una forma particolare…”
saggio. “Speriamo che tornino presto” abbiamo “Rotonda!”

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pensato, perché ci sono cose che val la pena non “Ovale!”
lasciare cadere. “Pioggia!”
“La pioggia è fatta di tante piccole…”
Invece, ospiti stabili e indesiderati che abitano il “Gocce!”
nostro spazio sono una realtà quotidiana. Così “Sono a forma di goccia e le lascia appiccicate sul
una mattina una bimba entra in classe e tutta capello vicino al cuoio capelluto. Quando si schiu-
contenta esclama: “Sai maestro che ho i pidoc- de l’animaletto è già vicino al cuoio capelluto, al
chi!” È una situazione reale che i bambini devo- cibo.”
no imparare a gestire e in classe se ne può parlare “Quando è grande gli vengono le ali!
serenamente, anche se il solo parlarne mette vo- “Le ali? Sei sicuro?”
glia di grattarsi la testa! “Sì, se no come fa a volare sulla testa degli altri!”
“Saltano!”
“Chi conosce i pidocchi?” “Le pulci saltano!”
“Io…” “È vero, i pidocchi non saltano. Allora come fanno
“Io…” ad arrivare sulle nostre teste?”
“Io…” “Camminano.”
“Io ho preso i pidocchi!” “Camminano aggrappati ai nostri capelli, ma ogni
“Sono rossi.” tanto si staccano e possono cadere sulla testa o sui
“No, sono neri, le uova sono bianche e scoppiet- vestiti di qualcun altro.”
tano!” “Ma quando cadono dalla nostra testa muoiono.
“La mia mamma una volta in testa mi ha trovato “Sì, ma non subito! Come fanno allora ad arrivare
un pidocchio grosso così!” sulle nostre teste?”
“Una bistecca!” “Quando avviciniamo le teste con due o tre pas-
[risate] settini… arrivano.”
“Mia mamma me li ha tolti con il pettinino.” “Come facciamo ad evitare che arrivino sulla no-
“A me ha tolto le uova e i pidocchi.” stra testa?”
“A tutti è capitato di avere i pidocchi in testa?” “Ci tagliamo i capelli!”
“Sììì…” “Stiamo attenti dietro alle orecchie.”
“A me una bistecca!” “E anche qua dietro.” [indicando in basso alla
[risate] nuca]
“Cosa fa tutto il giorno il pidocchio sulla nostra te- “Mettere lo spray.”

50 Davide Tamagnini
“Fare la coda.” Libri di testo
“Sì, chi ha i capelli lunghi deve raccoglierli bene.”
“Passare il pettinino.” Come si può pensare che un libro possa racchiu-
“Passarlo anche quando non ci sono. Dovete farvi dere i contenuti necessari agli apprendimenti o,
controllare la testa tutte le settimane!” detto diversamente, i contenuti della nostra espe-
“Non attaccare la testa a quella dei compagni.” rienza di vita? Come fanno le case editrici a cono-
“E non scambiarsi i cappelli!” scere i bambini che abbiamo in classe? Come si
[…] può ancora pensare che i contenuti degli appren-
“Prendete il diario e scriviamo per avvisare le vo- dimenti per dei bambini possano essere vincolati
stre famiglie…” a un libro di testo?
Per quello che abbiamo visto il libro della scuola
Quasi ogni settimana c’è stato un argomento che primaria, il “sussidiario”, è una comodità, un por-

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valeva la pena approfondire, registrare, trascri- to sicuro per l’insegnante (“c’è scritto sul libro!”),
vere e restituire alla classe per poterci riflettere “un aiuto” anche come strumento per lo studio e
di nuovo. Questo diventava per noi il punto di per l’esercizio degli studenti. Lasciando da parte
partenza per ulteriori approfondimenti temati- un attimo il significato del libro per l’insegnante
ci, esperienze da vivere, registrare e sulle quali iniziamo col dire quali sono i punti deboli dell’a-
tornare a riflettere. Inoltre i testi di queste con- dozione di un libro di testo per i bambini:
versazioni sono diventati per i bambini occasione
d’esercizio di lettura e supporti per la ricerca di • non sono presenti i contenuti delle esperienze
elementi utili alla riflessione linguistica (digram- che loro vivono;
mi, trigrammi, regole ortografiche, ecc.): quale li- • essendo uguali per tutti non permettono di in-
bro di testo poteva avere contenuti più autentici? dividualizzare i percorsi di apprendimento;
• non tengono conto della pluralità dei contri-
Così dopo un anno insieme possiamo tranquilla- buti delle specifiche conoscenze, essendo lega-
mente affermare che sono stati i bambini a met- ti a un solo autore o, al massimo a un piccolo
tere i contenuti, noi insegnanti abbiamo tenuto la gruppo di autori sotto il cappello di una casa
bussola sui percorsi e legittimato lo spazio d’azio- editrice (siamo nell’era di Wikipedia! Piaccia o
ne e di ricerca che ogni giorno, insieme, abbiamo no, non è possibile eludere questo modello di
costruito. Sappiamo bene che questo non rispon- costruzione della conoscenza perché paradig-
de alla “domanda sbagliata” che spesso i colleghi matico dell’evoluzione delle società complesse
portano ansiosamente – “Cosa devo fare?” – a come la nostra);
partire dalla quale vogliono essere indirizzati su • spesso i contenuti sono superficiali e sovracca-
una via, ma hanno oramai perso l’orizzonte. Gli richi di immagini, quasi volessero distrarre il
interrogativi dovrebbero porli indirettamente ai lettore dai contenuti stessi (forse intenzional-
bambini, saranno loro a indicare il percorso mi- mente cosicché non si accorga della banalità
gliore per guidarli alla scoperta degli apprendi- dei testi);
menti. Come? Ascoltandoli e sintonizzandosi con • sono un costo, non di poco conto, per lo Stato.
la loro sana curiosità. Potremo così goderci la
parte più bella del nostro lavoro: trovare le parole Molte sono le alternative ai libri di testo; ma se
e i materiali più adatti a solleticare la loro intelli- partiamo dall’ultima considerazione fatta possia-
genza e la loro fantasia. E noi con loro. mo far leva su un argomento sensibile nel conte-
sto scolastico: le risorse. Allora se una dotazione

SI PUÒ FARE 51
standard costa al ministero circa 20 euro a bam- a matita e il libro “usato” viene dato ai bambi-
bino, mediamente in una classe c’è la possibilità ni che a settembre cominciano la nuova classe
di mettere 400 euro a disposizione per l’acqui- che ha in adozione quel testo. Per gli insegnanti
sto di materiale didattico (come recita l’art. 6 del – come noi – che hanno deciso di abbandonare
D.L. 104 del 2013, ultima modifica normativa il libro di testo non resta che seguire quanto in-
all’art. 15 del D.L. 112 del 2008): dicato dalla normativa (art. 5); così alcune cose
utili abbiamo potuto comprarle, altre, invece, ce
«A partire dall’anno scolastico 2008-2009, nel rispet- le siamo costruite.
to della normativa vigente e fatte salve l’autonomia L’unico libro che abbiamo ammesso nell’elenco
didattica e la libertà di scelta dei docenti nell’even-
tuale adozione dei libri di testo o nell’indicazione
è “il libro di classe” scritto insieme ai bambini; è
degli strumenti alternativi prescelti, in coerenza con stata l’occasione per riflettere insieme su quanto
vissuto, mese per mese. Ripercorrerne le pagine

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il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento
scolastico e con il limite di spesa, nelle scuole di ogni ogni tanto e, in particolare a fine anno, ci ha aiu-
ordine e grado, tenuto conto dell’organizzazione tato a consolidare la memoria e la bellezza del
didattica esistente, i competenti organi individuano
nostro stare insieme.
preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in
parte, nella rete internet. […]»64

Diverse sono le possibilità per agire un cambia-


mento. Per gli insegnanti che non vogliono ab-
bandonare il libro di testo perché in esso non
L’aula è lo spazio
ravvisano le criticità sopra evidenziate o riescono dell’apprendimento?
a controbilanciarle con degli aspetti positivi –
nella speranza che questi non siano giustificati Si può continuare a credere che l’aula sia l’unico
da un misero uso riempitivo di momenti “morti” luogo deputato all’apprendimento? Nonostante
nella giornata scolastica o, peggio, enciclopedi- l’uso di altri spazi, l’aula rappresenta nell’espe-
co, per trovare le risposte a stabili vuoti di co- rienza degli studenti italiani di ogni ordine e gra-
noscenza – una strada praticabile è quella dell’a- do66 la scuola tutta, il luogo in cui si lavora sugli
dozione pluriclasse65: i libri acquistati vengono apprendimenti, ci si relaziona, si impara a comu-
dati in “prestito” ai bambini di una classe i quali nicare e a gestire i conflitti, insomma il luogo in
ne fanno un normale uso e, alla fine dell’anno, cui si vivono le esperienze, le sfide, ci si interroga
li restituiscono integri. In caso di mancata resti- e confronta, non di rado si possono anche trova-
tuzione, le famiglie devono risarcire il costo del re delle risposte utili a crescere.
libro. La scuola provvede a cancellare le scritte Se la scuola volesse guarire dalla sua malattia pa-
radossale e deformante che la porta ad astrarre
64. Interessante notare che questa possibilità era già prevista da anche la concretezza, dovrebbe ammettere che
tempo, come recita l’art. 5 della legge 517 del 1977: “Per le classi di
scuola elementare, che svolgono sperimentazioni autorizzate dal
non le è possibile imprigionare la tridimensiona-
collegio dei docenti ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente lità dell’esperienza su un disegno alla lavagna o
della Repubblica 31 maggio 1974, n. 419, ovvero autorizzate ai sensi
dell’articolo 3 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica
in una scritta sul quaderno. La storia scorre lun-
qualora siano previste forme alternative all’uso del libro di testo, è go le vie del proprio Paese come nell’incontro
consentita l’utilizzazione della somma equivalente al costo del libro di
testo per l’acquisto da parte del consiglio di circolo di altro materiale
con una persona; la geografia si può attraversare
librario, secondo le indicazioni bibliografiche contenute nel progetto di
sperimentazione.”
65. Questa soluzione è adottata da molti anni in numerose scuole 66. Opposta, ad esempio, è l’esperienza degli studenti statunitensi. Si
tedesche. veda: Sclavi, 1994, pp. 39-63.

52 Davide Tamagnini
con le proprie gambe nei paesaggi scolastici, e in Insieme abbiamo cominciato l’anno e dopo la let-
quelli urbani e naturali appena fuori dalla por- tura della storia68 i genitori hanno aiutato i figli
ta, come ci si può orientare giocando al chiuso e a ritagliare le sagome di ciascun bambino, così
all’aperto; le scienze esigono l’osservazione diret- come erano delineate sui cartelloni. Lavorando
ta dell’ambiente che ci circonda; la lingua è viva insieme ci siamo ambientati, reciprocamente.
(sia essa l’italiano o l’inglese) e la usiamo per rac- Nel corso dell’anno le gambe dei banchi sembra-
contare, dialogare, scrivere e quello che scrivia- vano corredate di rotelle: ogni giorno o, a seconda
mo può arrivare in altre classi, in altre scuole, in dei periodi, costruivano configurazioni spaziali
ogni contesto della vita reale; la musica è fatta di differenti; la flessibilità con cui sono stati usati
suoni da ascoltare, comprendere ed eseguire; la gli arredi è stata la costante che ci ha permesso di
matematica e la geometria sono in ogni oggetto e adattare lo spazio alle esigenze di lavoro. Una pre-
forma che ci circonda; l’arte la possiamo contem- ce solo per la cattedra: essendo stata relegata fin

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plare in ciò che la natura e l’essere umano hanno dal primo giorno in un angolo, utilizzata alla stes-
saputo creare… Con questo slancio apriamo le sa stregua di una mensola, ma con un evidente e
porte delle nostre aule per uscire e far entrare, inutile ingombro, abbiamo deciso definitivamen-
per metterci in rapporto dinamico e maieutico te di toglierla per lasciare più spazio ai movimenti
col mondo e non rimarremo delusi da ciò che po- e ai materiali.
tremo imparare. A noi è piaciuto farlo così. Siamo partiti con delle pareti vuote e abbiamo
Se l’aula è uno spazio da abitare, allora, proprio terminato l’anno che non c’era più spazio per ap-
come in una casa, solo vivendo impareremo a piccicare un biglietto. Non si trattava di decora-
capire cosa serve, la modificheremo in funzione zioni: i muri erano le pagine della storia vissuta
delle esigenze, la abbelliremo con le nostre espe- insieme, delle esperienze per le quali avevamo
rienze. L’aula è la materializzazione del nostro lavorato, un supporto alla nostra memoria. I
work in progress quotidiano, metafora della cre- muri che sostengono la scuola hanno sostenuto
scita naturale e culturale dei bambini. la nostra quotidianità; parole precise e impor-
Il primo giorno la nostra aula si presentava così: tanti campeggiavano su di essi: ascoltarsi, parla-
muri spogli, arredi minimalisti e, a imporsi spa- re a bassa voce, rispetto e bellezza; quattro rego-
zialmente su tutto, un cerchio di sedie. Il cerchio le (non leggi per punire ogni trasgressione, per
è una figura dai connotati piacevoli e caldi67, sim- condannare i colpevoli, piuttosto un pungolo alla
bolo per antonomasia della struttura della comu- corresponsabilità di quanto deciso) che ci ricor-
nicazione. Abbiamo così “apparecchiato” l’aula in dassero in quale modo desideravamo vivere in-
modo che fosse accogliente e capace di meta-co- sieme. Ogni insegnante, poi, ha i suoi punti di
municare l’idea che guidava il nostro modo di riferimento valoriali, ha parole alle quali si sente
abitarla: la condivisione della vita. Abbiamo con- legato perché descrivono il suo modo di essere e
dito il tutto con una storia speciale, pronta per gli danno energia per continuare; vederle non ci
essere letta e dei cartelloni con dei pastelli a cera ha mai fatto sentire soli: il futuro è nel nostro cer-
per un lavoro da fare insieme. In questo modo vello, nel nostro cuore e nelle nostre mani. Nessuno
abbiamo scelto di accogliere bambini e genitori, ti regala il futuro.
entrambi sulla soglia di una nuova esperienza, La relazione che ci lega alla persona che ha pro-
entrambi con speranze e paure da condividere. nunciato quelle particolari parole, ci ricorda ogni

67. Non a caso si parla di una “cerchia di amici” per identificare le


persone a noi più intime o di una “tavola rotonda” in riferimento a un 68. Reynolds, 2013, p. 78. Storia di un incontro maieutico tra una
contesto di dialogo. bambina e la sua insegnante.

SI PUÒ FARE 53
giorno che la forma più alta del nostro essere ma- ce di alcuni insegnanti), insomma rispondono a
estri è l’amore, una relazione che sappia costruire un bisogno dell’istituzione scolastica. Secondo
futuro. un’altra prospettiva le discipline possono essere
intese come lenti diverse attraverso le quali poter
osservare e comprendere la realtà, ciascuna con i
suoi specifici simboli, termini e metodi di appro-
fondimento e ricerca, ma in una prospettiva di
Il quaderno reciproca integrazione.
Una cosa è certa: la nostra non è una scuola dei
È il luogo in cui i bambini tengono traccia di al- quaderni, quelli che taluni amano confrontare
cune delle loro scoperte, deve essere innanzitut- per valutare lo “stato avanzamenti lavori” di un
to uno strumento per i bambini e non l’oggetto gruppo classe. Non li abbiamo mai usati con il

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entro cui insegnanti e genitori riversano le loro fine di rendere visibile ad altri quello che sta-
ansie e aspettative. Chiarito questo aspetto cer- vamo facendo. Per noi sono uno strumento e a
chiamo di capire quale sia il supporto più adatto questo scopo sono stati utilizzati. Le esperienze
per dei bambini del primo anno: il quaderno con vissute dentro e fuori dall’aula e i materiali di
le righe di prima? Quello con i quadretti da 1 sviluppo che i bambini, quasi quotidianamente,
cm? utilizzavano non potevano trovare tutti spazio in
Alla fine la decisione è stata determinata da due un formato A5, oltretutto “bidimensionale”. Così
criteri: il quaderno deve essere unico per le di- a fine anno i tre quadernini usati in tutto da ogni
verse discipline, quindi abbiamo optato per un studente sono stati rilegati insieme a formare il
quaderno a quadretti da 0,5 cm; il quaderno primo quaderno di ciascuno.
deve essere piccolo perché deve essere adatto alle
misure del bambino: dalla lunghezza del braccio
alla distanza degli occhi dalla sommità del foglio.
Alcune esigenze particolari sono state gestite
all’occorrenza con supporti diversi: per la scrit-
La cancelleria
tura dei testi i bambini hanno usato anche fogli
completamente bianchi in modo da osservare e Proviamo ad avere dei materiali comuni. Siamo
nel caso dare un’alternativa allo sfondo quadret- arrivati a formulare quest’ipotesi organizzativa
tato che può essere, per alcuni, fonte di disturbo dopo un primo periodo di osservazione: mati-
visivo. Riportando le esperienze e i risultati delle te, gomme e ogni tipo di elemento contenuto in
diverse discipline in un solo quaderno abbiamo un astuccio a fine giornata giaceva con altri suoi
cercato di rimanere ancorati al punto di vista del omologhi a terra, abbandonato. Abbiamo costru-
bambino: per lui non c’è italiano o matematica, ito allora per ciascun bambino dei portamatite
ma, ad esempio, un esercizio di scrittura può ser- di legno che contenevano le penne, le matite, le
vire a definire una situazione problematica legata gomme di classe. Ogni bambino ha poi persona-
al calcolo. Le discipline, la parcellizzazione dei lizzato la sua scatola e scritto il suo nome. Ogni
saperi a questo livello, sono un’esigenza organiz- mattina un bambino a turno distribuiva i por-
zativa, e non, legata direttamente agli apprendi- tamatite sui banchi facendo esercizio di lettura
menti; servono per costruire l’orario, assegnare per riuscire a capire il nome del compagno a cui
docenti alla classe (addirittura, in casi assurdi, a dare la giusta scatola. Abbiamo costruito anche
“spalmare” su più classi le disastrose performan- due tipi di scatole più grandi che potevano essere

54 Davide Tamagnini
condivise da gruppi di bambini con dentro i pa-
stelli e i pennarelli. Abbiamo fatto una cassa co-
mune e con pochi soldi abbiamo acquistato tutti
i materiali di cancelleria che i bambini giornal-
mente utilizzano e che a fine giornata controllano
essere tutti presenti e in ordine.
Avere la cancelleria condivisa per noi vuol dire
stimolare la responsabilità civica di chi ha cura
delle cose “di tutti” perché anche proprie, un pri-
mo approccio per far crescere la cultura del bene
comune. “Le cose non si rovinano, non si rom-
pono o si perdono anche perché non sono solo le

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mie”, questa la nostra semplice premessa.

SI PUÒ FARE 55
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Un approccio
pregherai tuo padre di non insegnarti più niente. È
meglio che tu cominci da capo, a mente fresca. Gli
dirai che d’ora in avanti ci penserò io e che cercherò

naturale e inclusivo
di rimediare al danno che ha fatto…”
“Al danno che ha fatto?”
“Tuo padre non sa come si insegna ai bambini. E

alla letto-scrittura adesso siediti.”


Mormorai una scusa e mi ritirai a meditare sui miei
delitti. Non mi ero mai messa di proposito a impa-
rare a leggere, ma mi ero in un certo senso pasciuta
del fango dei quotidiani. Nelle lunghe ore passa-
te in chiesa… è stato forse allora che ho imparato
a leggere? Nel mio ricordo non esisteva un’epoca
in cui non fossi capace di leggere gli inni. Ora che

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ero costretta a pensarci, mi pareva che la lettura
fosse una cosa venuta naturalmente, come l’abbot-
Nessuna pratica pedagogica è neutra.
tonarmi la tuta da operaio senza guardare o fare
Tutte si fondano su un certo modo di concepire il il doppio nodo alle scarpe da un groviglio di lacci.
processo di apprendimento Non ricordavo più il momento in cui le righe che il
e l’oggetto di questo apprendimento dito di Atticus indicava, muovendosi sulla pagina,
si erano separate in tante parole; mi ricordavo di
Emilia Ferreiro aver fissato quelle righe ogni sera della mia vita,
ascoltando le notizie di cronaca, il dibattito parla-
mentare, i diari di Lorenzo Dow, tutto quel che leg-
geva Atticus la sera, quando mi arrampicavo sulle
sue ginocchia. Fino al giorno in cui mi minacciarono
Poi andò alla lavagna, scrisse l’alfabeto in enormi di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la
lettere in stampatello e si girò verso la classe, chie- lettura: si ama, forse, il proprio respiro?69
dendo: “C’è nessuno che sa cosa siano?”.
Lo sapevano tutti: la maggior parte della classe era L’angoscia di Miss Caroline è condivisa da molti
ripetente.
Forse scelse me perché sapeva il mio nome; mentre insegnanti: meglio che i bambini arrivino senza
leggevo l’alfabeto le apparve tra le sopracciglia una sapere nulla piuttosto che abbiano delle conoscen-
ruga sottile e, dopo avermi fatto leggere ad alta ze raffazzonate se non addirittura errate. È il de-
voce quasi tutte le Prime letture e le quotazioni dei siderio ancestrale della tabula rasa da segnare con
titoli sul Mobile Register, scoprì finalmente che non il proprio sapere, come se l’apprendimento fosse
ero un’analfabeta e mi guardò con vero disgusto.
Mi disse che pregassi mio padre di non insegnar-
la logica conseguenza di un insegnamento istitu-
mi più nulla, perché il suo metodo avrebbe potuto zionalizzato. Fortunatamente i bambini non ci
compromettere i miei progressi nella lettura. stanno; loro hanno già cominciato a costruire le
“Devo pregare mio padre di non insegnarmi più proprie conoscenze sperimentando, accomodando
nulla?” ripetei, sorpresa. “Ma non mi ha insegna- autonomamente e continueranno a farlo indipen-
to niente, Miss Caroline. Atticus non ha tempo di dentemente dalla scuola. Per questo il primo passo
insegnarmi” soggiunsi vedendo che Miss Caroline
sorrideva scuotendo la testa. “È talmente stanco, di un insegnante, come dicevamo in preceden-
la sera, che sta seduto nel soggiorno a leggere per za, dovrebbe essere quello di riconoscere che gli
conto suo!” studenti hanno delle competenze che non vanno
“Se lui non ti ha insegnato niente, chi è che ti ha in- eluse, ma valorizzate in quanto sono il punto di
segnato a leggere?” Chiese, bonaria, Miss Caroline.
“Qualcuno deve pur avertelo insegnato: non sarai
mica nata leggendo il Mobile Register?” […] “Oggi 69. Lee, 2011, pp. 25-26.

SI PUÒ FARE 57
partenza di continui processi di decostruzione e scrittura è uno strumento per comunicare, il suo
ricostruzione. apprendimento non può essere scisso da questa
La scuola non deve diventare il controllore dei finalità per diventare mero esercizio autorefe-
processi spontanei di apprendimento dei bambi- renziale (invece “si scrive per scrivere”, ci hanno
ni, bensì il luogo dove questi sono facilitati, espli- detto altri bambini); d’altra parte il significato
citati, problematizzati e condivisi. dipende dal valore che gli studenti attribuiscono
Le continue ristrutturazioni costruttive neces- a quel che stanno facendo, dall’esperienza. Elu-
sarie all’apprendimento hanno come momento dere la dimensione del significato equivale, nel
di svolta una situazione di empasse cognitiva, caso dell’educazione alla parola, a trasformare il
uno spiazzamento, e la sua socializzazione; di linguaggio in un insieme di suoni e la scrittura
conseguenza il processo di apprendimento deve in una tecnica grafica, declassando un processo
dare a ciascuno il tempo di sostare in quello di apprendimento a una meccanica e ripetitiva

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spazio mentale del dubbio in cui l’oggetto di esecuzione di modelli.
conoscenza non è immediatamente assimilabile
negli schemi interpretativi esistenti. Allora l’er- Si opererà, perciò, sugli aspetti puramente “tecni-
rore verrà sottolineato solo per creare occasioni ci” e costruttivi dei testi, stesi per così dire sul ta-
volo anatomico di un laboratorio retorico separato
di discussione e riflessione affinché sia possibile dal mondo. […] Occorre perciò riavvicinare il più
modificare quegli stessi schemi per fare posto al possibile i testi scolastici a quelli reali, dando ai
nuovo sapere: apprendere in questo senso signi- primi una maggiore autenticità psicologica e un ri-
fica accomodare. Coerente con questa visione conoscibile spessore comunicativo: si deve rendere
epistemologica, la nostra proposta didattica non significativa, in altre parole, l’esperienza di scrittu-
ra, facendo in modo che essa abbia un senso per il
può ridursi a una semplice tecnica per trasferire
soggetto, che deve servirsene per comunicare, rac-
saperi sminuzzati e sequenziali, di certo altamen- contare, discutere, pensare71.
te digeribili, ma dovrà proporre
La scuola tradizionalmente comportamentista
situazioni d’apprendimento significative e aperte
in modo da consentire ai soggetti di mettere in
sembra non cogliere l’importanza di una tempe-
atto e di confrontare le proprie conoscenze pre- stiva svolta: il senso delle cose e lo sguardo sui
gresse per arrivare progressivamente a una cono- processi non trovano casa. Questo aspetto si fa
scenza socialmente condivisa70. sempre più cogente se confrontato con la pro-
spettiva pedagogica e politica che proponiamo
Tener conto di queste indicazioni comporta l’a- fin dalle prime righe: a preoccuparci non è tanto
dozione di due accorgimenti generali, validi oltre l’incoerenza con i presupposti epistemologici a
i confini della letto-scrittura: innanzitutto muta- cui abbiamo fatto riferimento, quanto il relativo
re il ruolo dell’insegnante ex-cathedra in quello tradimento di quel mandato istituzionale che ci
di facilitatore di processi di apprendimento; se- chiede di dare a ciascun bambino la possibilità
condariamente proporre situazioni autentiche e di apprendere e crescere, partendo da lui.
significative nelle quali possano nascere situazio- Il dibattito su quale sia il metodo migliore (ana-
ni d’empasse cognitiva. litico, sintetico o analitico-sintetico) affinché i
Sulla significatività occorre specificare meglio: bambini acquisiscano l’uso del codice alfabetico
il significato è sia intrinseco al contenuto, sia è un nonsense intorno al quale si sono spese tante
ascrivibile dall’esterno. Per cui se da un lato la parole e consumate tante esperienze, prestando

70. Teruggi, 2007, p. 8. 71. Della Casa, 1994, p. 46.

58 Davide Tamagnini
poca attenzione alle strategie che l’adulto decide non considerarlo una proprietà privata della scuo-
di adottare e alle peculiarità dei bambini, come la, come se il processo di alfabetizzazione coin-
se il metodo fosse la panacea di ogni male. Le cidesse con il percorso scolastico del bambino
differenze tra i metodi non sono altro che cam- (quello che tutte le Miss Caroline vorrebbero!).
biamenti di primo livello, variazioni all’interno Trasformare la scrittura in un oggetto scolastico
della stessa cornice (io ti insegno qualcosa che da memorizzare ha condotto alla deriva per cui
non sai, cambia solo il “come”), che non vanno al
cuore della questione; dobbiamo invece trovare si alfabetizza con un metodo unico, con un unico
risposta alla necessità che tutti i bambini arrivino tipo di testo (controllato e addomesticato), adot-
tando un’unica definizione di lettore, un unico
a padroneggiare la scrittura, non come tecnica di sistema di scrittura valido, una forma fissa di lin-
trascrizione, ma in quanto sistema di rappresen- gua74.
tazione e di comunicazione.

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I metodi stabiliscono delle fasi operative attraver- Grazie a questa riflessione possiamo mettere ben
so cui è necessario passare, ma vanno usati come in evidenza un paradosso: gli insegnanti normal-
ausili, come tracce adulte che non possono oscu- mente sostengono l’importanza per il bambino
rare le impronte che ogni bambino lascerà nel di acquisire il codice perché strumento base per
proprio percorso. A ciò si aggiunga il fatto che sviluppare tutte le altre conoscenze, dimentican-
tutti i metodi sono accomunati dalla separazione do che esso stesso è oggetto di conoscenza, con i
delle fasi di decifrazione e comprensione. Il non suoi usi e le sue regole particolari a seconda delle
tenere conto della complementarietà e insepara- situazioni.
bilità di questi due processi ci conduce a una de- Quale può essere allora il punto di partenza? Si-
generazione didattica: insegnare a scrivere diven- curamente non la classica pagina con lunghe file
ta insegnare a trascrivere. Siano analitici (globali) di lettere o parti di esse. Disancorata dal signifi-
o sintetici (fonico-sillabici) i metodi si limitano a cato di quell’oggetto culturale questa pratica si-
facilitare o rallentare l’apprendimento ed è com- curamente non si sintonizza sulla visione dell’ap-
pito dell’insegnante adottare strategie e strumen- prendimento che abbiamo cercato di illustrare.
ti necessari affinché il bambino possa impadro- L’acquisizione del codice – secondo Ferreiro e
nirsi della complessità del codice; ma questo può Teberosky – è l’ultimo stadio di un percorso di
avvenire solo “se viene messo nelle condizioni di concettualizzazione spontanea che tutti i bambi-
scoprirlo da solo”72, se lo aiutiamo a dare la giusta ni compiono, ciascuno con i propri tempi e che
direzione alle sue conoscenze stimolando perso- ha il suo principio fuori dalla scuola con lo sca-
nalmente la sua evoluzione spontanea. rabocchio75.
In questo senso dobbiamo spostare la nostra ri- Le due ricercatrici hanno rilevato come la scrit-
flessione dai metodi per imparare a scrivere alla tura segua un percorso evolutivo regolare, in cui
scrittura, in quanto oggetto di conoscenza con il bambino
le sue caratteristiche specifiche che intervengo-
no nel processo di apprendimento, insieme alle ricostruisce il sistema di scrittura mediante un pro-
concettualizzazioni che hanno di quest’oggetto cesso interno che passa attraverso due momenti
il bambino e il maestro73. Pensare al linguaggio fondamentali: quello in cui non ha ancora capi-
to che i segni dello scritto rappresentano i suoni
in generale come a un oggetto culturale significa
dell’orale (fase pre-sillabica) e quello in cui si avvici-

72. Coruzzi, 2002, p. 82. 74. Ivi, p. 188.


73. Ferreiro, 2003, p. 5. 75. Ferreiro, Teberosky, 1985.

SI PUÒ FARE 59
na progressivamente al codice adulto (fase sillabi- “Cosa mi hai scritto qua (GTT)?”79
ca, sillabico-alfabetica, alfabetica)76. “/ga (G)…to (TT)”
“E qua (FCO)?”
Così il bambino che è in grado di discriminare “/fa (F)… co (CO)… la/”
le rappresentazioni iconiche (disegno) da quelle
non iconiche (testo) si avvia sulla strada che lo Se guardiamo questa scrittura da un punto di
condurrà a consolidare due ipotesi fondamenta- vista adulto-centrico, dall’alto del codice alfa-
li: per scrivere sono necessari un certo numero di betico, saremo portati a sottolineare ciò che le
caratteri (quantità minima)77 e per scrivere una manca; se assumiamo invece la prospettiva evo-
parola non si può ripetere sempre lo stesso segno lutiva del bambino saremo in grado di notare un
(varietà dei grafismi). diverso livello di concettualizzazione (sillabico)
rispetto al precedente80.

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Infine, quando l’ipotesi sillabica entra in conflit-
to81 con l’ipotesi della quantità minima di gra-
fismi (ad esempio per i monosillabi può anche
“Cosa mi hai scritto?” essere sufficiente una sola lettera) con i modelli
“Io sono felice tutti i giorni.” fissi (ad esempio il proprio nome “CARLA”) che
“Dove hai scritto la parola FELICE?” al contrario presentano più segni di quelli sillabi-
La bambina sorride e poi indica una parola a camente necessari (se non scrivo “CL” per scrive-
caso78. re Carla, perché scrivo “CS” per scrivere casa?) o
ancora con la varietà dei grafismi (per cui nomi
In questa fase siamo ancora a un livello presil- diversi vengono scritti sillabicamente in modo
labico nel quale però le scritture vengono già identico: PTE per scrivere sia PORTARE, sia
differenziate: parole diverse si scrivono in modo PATATE) il bambino consapevole si trova in una
diverso. Quando il bambino riconosce che la zona di passaggio: il livello sillabico-alfabetico.
quantità di lettere può essere messa in relazione Solo con la scoperta che ogni parte della scrittu-
con la quantità di parti distinguibili nell’emissio- ra corrisponde a un valore sonoro inferiore alla
ne orale, costruisce la sua ipotesi sillabica asso- sillaba il bambino costruisce l’ipotesi alfabetica
ciando a ogni parte dello scritto il valore sonoro accedendo all’ultimo stadio nella comprensione
di una sillaba, non necessariamente con valore del codice. Un codice, dunque, che i bambini
stabile o convenzionale. non devono inventare perché la società fornisce
loro già tutte le forme e le regole necessarie.
Un codice, potremmo dire, da “reinventare” per
evidenziarne il processo cognitivo che è alla base

79. Quando ci si riferisce ai grafemi, siano esse parole, sillabe o lettere,


“scritti” o “da scrivere”, questi vengono riportati in stampato maiuscolo.
Quando ci si riferisce ai fonemi, siano essi parole, sillabe o lettere, letti
o pronunciati si utilizza questa modalità di scrittura: /… /. I puntini di
76. Coruzzi, op. cit., p. 82. Le differenze culturali, sociali ed economiche sospensione indicano una pausa nella lettura. Tra le due barre si trova
del contesto in cui un bambino cresce possono essere da ostacolo o da un’unità fonemica, significativa per chi legge.
supporto a questo percorso. 80. Ferreiro, 2003, pp. 113-30.
77. Generalmente i bambini identificano questa quantità minima con 81. Ferreiro e Teberosky hanno riscontrato che i bambini di bassa
una scritta di tre caratteri. estrazione sociale, vivendo in un ambiente povero di modelli fissi di
78. Questo testo e quello che seguirà in questo paragrafo sono estratti lingua scritta, non riescono a superare il livello sillabico se non vengono
dei momenti di revisione individuale. fornite loro occasioni di conflitto cognitivo.

60 Davide Tamagnini
della sua acquisizione; infatti, per utilizzare le sulla presentazione di altri caratteri e sulla relati-
lettere come parti di un sistema di rappresenta- va transcodifica.
zione, il bambino deve poter comprendere il loro Per facilitare il raggiungimento di un livello di
processo di costruzione e le loro regole di produ- concettualizzazione alfabetico i bambini dove-
zione82. vano essere esposti alla scrittura alfabetica, non
Riconoscere questo percorso evolutivo ci dà la con attività fini a se stesse, ma semplicemente
possibilità di comprendere a quale livello di con- incontrandola nelle tracce delle loro esperienze,
cettualizzazione i singoli bambini si trovino e nel loro ambiente: i loro nomi sui portamatite
sostenere ciascuno in modo personalizzato per che ogni mattina distribuiscono, il calendario
consentirgli la conquista di una piena alfabetiz- giornaliero da costruire, il tabellone dell’orario,
zazione. Questa è l’impronta inclusiva di cui ab- i testi delle canzoni cantate, le trascrizioni delle
biamo bisogno, una via concreta in cui ciascuno conversazioni fatte… Per creare situazioni di ri-

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possa essere di più. Non riconoscere questo comu- flessione linguistica abbiamo costruito materiali
ne percorso di apprendimento linguistico diventa appositi per facilitare l’evoluzione dei livelli di
concretamente un atto di chiusura e di discrimi- concettualizzazione e gli apprendimenti legati
nazione proprio nei confronti di coloro che sono alla letto-scrittura.
più in difficoltà. Per legittimare la scrittura di ogni bambino è
Utilizzando un gioco di parole potremmo dire stato fondamentale il lavoro di osservazione e va-
che come insegnanti abbiamo il dovere di im- lutazione83. “Ognuno scrive come ce l’ha in te-
parare a leggere la scrittura dei nostri studenti, sta” era il nostro mantra e ogni sforzo e risultato
non tanto dal punto di vista calligrafico, ma evo- andava legittimato, non attribuendo alcun voto e
lutivo, per riconoscerla competente nonostante le creando, senza usare verifiche standardizzate, oc-
distanze dal codice, affinché ognuno possa perfe- casioni di scrittura individualizzata per registrare
zionarne l’uso attraverso continue ricostruzioni. i progressi degli apprendimenti. Fondamentale
da questo punto di vista è stato lo strumento del-
la “posta” che ci ha dato lo stimolo e la cornice di
realtà per avviare l’uso della corrispondenza tra
In classe compagni e con l’esterno. Infine, siamo stati gui-
dati dalla convinzione che non si possa chiedere
Quella prima descritta è la nostra teoria di riferi- ai bambini di scrivere se non si ha poi il tempo di
mento. Ora proviamo a esplicitare le scelte ope- rileggere insieme a loro quanto prodotto:
rative a essa coerenti. Per potersi esercitare più
serenamente sull’acquisizione del codice e sulla quando un bambino scrive come egli crede che si
meta-riflessione linguistica abbiamo scelto di in- possa o si debba scrivere un certo insieme di parole,
ci sta offrendo un documento di grande valore, che
serire un solo carattere di scrittura per l’intero ha bisogno di poter essere interpretato per poter
anno scolastico: supportati dalle ricerche in que- essere valutato84.
sto campo abbiamo identificato nello “stampato
maiuscolo” il carattere più adatto per i bambini, La rilettura è quindi un momento di cura, soste-
sia per la sua diffusione, sia per la discontinuità gno, valutazione e relazione, indispensabile a chi
tra le lettere. Una volta che il codice sarà acquisito sta formalizzando la sua competenza di scrittura.
da tutti potremo lavorare con maggiore serenità
83. A questo proposito si veda, alle pagine seguenti, il Capitolo di questo
libro dedicato alla “valutazione”.
82. Ferreiro, op. cit., pp. 5-19. 84. Ferreiro, op. cit., p. 9.

SI PUÒ FARE 61
Cercheremo di dare un’idea generale del percor- della lezione non è solo una parentesi relazionale
so vissuto evidenziandone le tappe e i momen- tra insegnante e studenti, un modo per addolcire
ti più significativi alla comprensione dell’intero la partenza prima di iniziare il duro lavoro; la let-
processo. tura di una storia è già lezione. Il semplice gesto
del leggere ad alta voce assume un valore cultu-
I Tappa: le preconoscenze rale ed educativo, è un momento che va prepa-
rato con cura perché manifestazione dell’inten-
Il primo giorno di scuola, tra le altre cose fatte, i zionalità dell’adulto su più aspetti: il contesto, il
bambini hanno scritto una didascalia al loro di- libro, l’ascolto, l’attenzione e la comprensione. In
segno a forma di nuvola (Il primo giorno di scuo- questo modo si rende anche evidente il senso più
la) che descriveva la giornata trascorsa insieme. alto della scrittura: comunicare.
La didascalia è stata semplicemente motivata con Leggere in classe è diventato così un rito: all’i-

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lo scopo di non dimenticare cosa essi avessero nizio della lezione, seduti in cerchio, in una po-
rappresentato. sizione comoda per i bambini affinché si prepa-
Tra gli esempi che seguono si possono facilmente rino a ricevere un “dono”. La scelta del libro è
identificare i diversi livelli di concettualizzazione stata fondamentale per il risultato che si voleva
presenti in classe. Come potrebbero emergere le raggiungere; per farla è stato sufficiente seguire
specificità, ma soprattutto come potremmo lavo- due semplici accorgimenti: primo, leggere storie
rare sull’apprendimento di ciascuno se il testo da che piacciano a noi e ai bambini; secondo, legge-
scrivere avesse dovuto avere la stessa forma per re storie brevi e ben illustrate in modo che tutti
tutti? È evidente che non esiste una situazione possano seguirle. Per creare un clima “caldo”, di
d’empasse cognitiva identica per ciascun bambino. piacevolezza relazionale, è fondamentale che il
contenuto sia a misura di bambino, comprensibi-
le anche da chi è più in difficoltà. Infine abbiamo
lavorato sulla comprensione facendo attenzione
allo stile: la lettura dialogata, attraverso la qua-
le coinvolgere i bambini nella storia, lasciandosi
interrompere, accogliendo le loro interruzioni,
osservazioni e domande; la lettura narrativa, che
segue il testo e permette al bambino di accostarsi
al linguaggio letterario85.
Per rendere questo momento inclusivo era neces-
sario scegliere libri particolari: gli albi illustrati.
Da una parte la loro comprensione è facilitata
II Tappa: le letture dal fatto che i contenuti della storia parlano di
situazioni conosciute dai bambini in un linguag-
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, gio accessibile, stimolando così la loro capacità di
dilata il tempo per vivere ascolto. La cura per le immagini e la loro stretta
relazione con la parte verbale del testo sono un
Daniel Pennac elemento chiave affinché ogni bambino, anche
chi fatica a concentrarsi sulle parole o a capirne
Il percorso sulla letto-scrittura è partito da storie
lette, rilette e rilette ancora! La storia all’inizio 85. Freschi, 2008, pp. 41-7.

62 Davide Tamagnini
il significato, possa seguire il filo della storia. In in sé, non per il lavoro disciplinare che avremmo
tal senso le illustrazioni diventano anticipatori di potuto farne. Libri di storie che, in un certo qual
significato, fanno vedere ciò che sta accadendo,
danno forma e voce al contenuto del codice ver-
bale. Una figura è poi in grado di concentrare un
numero molto alto di informazioni, è un elemen-
to molto potente, per questo può aiutare – ma an-
che ostacolare (se fatte male!) – la comprensione
della storia. Dall’altra parte gli albi illustrati sono
un importante strumento per lavorare sul ricono-
scimento delle emozioni, sulla loro codificazione modo, hanno fatto e faranno storia.
e decodificazione. In un secondo momento i testi letti venivano

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scannerizzati e rielaborati per essere presentati in
Attraverso gli albi illustrati il bambino inizia a co- una forma più accessibile alla lettura autonoma
noscere la realtà che lo circonda, a dare un signifi- da parte dei bambini: una sola pagina con a fron-
cato alle esperienze che compie e a riconoscere le
emozioni che vive, perché si tratta di racconti che
te la copertina e sul retro un estratto del testo in
rivelano gli stati d’animo che caratterizzano la re- stampato maiuscolo.
altà quotidiana, come la paura, l’ansia, la tristezza, Abbiamo fatto attenzione affinché i diversi testi
l’angoscia, la collera, ma anche la gioia, l’allegria, la presentassero livelli di difficoltà crescente per
comprensione, la generosità e l’amore86. quantità e qualità di parole presentate. I libri in
questo formato venivano messi a disposizione dei
Abbiamo iniziato il nostro anno di scuola con bambini in un angolo dell’aula destinato a biblio-
la storia di Vashti, una bambina convinta di non teca, per essere utilizzati durante il lavoro libero,
saper disegnare, a cui è bastato incontrare un in- durante l’intervallo o in qualsiasi momento che i
segnante capace di valorizzare quel “poco” che bambini valutassero opportuno per leggere. Tal-
era stata in grado di fare (dipingere un semplice volta questi libri diventavano una fonte enorme
punto), di dare un senso alla sua fatica, per fare di parole per il confronto con la scrittura con-
di lei una bambina consapevole, competente e venzionale o per i lavori di riflessione linguistica.
capace di dare aiuto. Ogni storia era la storia dei Verso gennaio gli stessi “libri” erano presenti nel-
protagonisti, ma anche la storia di chi leggeva e la biblioteca di classe anche con il testo in stam-
di chi ascoltava. Infine, ci siamo presi sempre il pato minuscolo, il carattere tipico della lettura,
tempo di una rilettura del libro, solo per aggiun- stimolando così l’esercizio di transcodifica per
gere un po’ di delizia alla prima piacevolezza chi si sentiva pronto ad affrontare questa nuova
provata87. conquista.
Questa visione della lettura di storie vuole anche
essere una critica all’uso che spesso viene fatto di
quella sotto-letteratura che si traveste da racconto
per infilare tra le pieghe del discorso una rego-
letta grammaticale o matematica. Noi abbiamo
scelto libri d’autore, libri che fossero significativi

86. Ivi, p. 99.


87. Pennac, 2010, p. 126.

SI PUÒ FARE 63
Questi i testi letti: qualcuno desiderava sperimentarsi in letture so-
Reynolds P.H., Il punto, 2003 litarie.
Naumann-Villemin C., Il ciuccio di Nina, 2002 Tenendo in considerazione le diversi occasioni
D’Allancé M., Che rabbia!, 2000 pensate per leggere (a queste sopra citate si ag-
Holzwarth W., Chi me l’ha fatta in testa?, 1998 giungano i libri in inglese) arriviamo, di media, a
Lionni L., Piccolo blu e piccolo giallo, 1959 più di un libro letto alla settimana. Noi non ci sia-
Bauer J., Urlo di mamma, 2009 mo stancati e men che meno i bambini; continue-
Sendak M., Nel paese dei mostri selvaggi, 1963 remo a leggere loro libri anche quando saranno
Ichikawa S., Baobabà, 2003 perfettamente autonomi da questo punto di vista,
Skutina V., Dove abita il tempo, 1985 perché pensiamo sia per tutti un momento sacro,
Morgenstern S., Farò i miracoli, 2006 un rituale che testimonia il modo in cui abbiamo
Ramos M., A letto piccolo mostro, 2005 deciso di camminare insieme ai bambini.

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Fortis De Hieronymis E., Che tempo fa, 2013
Luzzati E., Alì Babà e i quaranta ladroni, 2003 III tappa: la scrittura
Lionni L., La casa più grande del mondo, 1968
Waddell M., Non dormi, piccolo orso?, 1988 Scrivere un testo è un modo di esprimere se stes-
Lionni L., Pezzettino, 1975 si. Il contenuto, lo stile e l’atto stesso di scrivere
Relf A., Un amico tutto per me, 2005 possiamo vederli come l’emersione di un’azione
Lionni L., Federico, 1967 di sé, su di sé e sul mondo. Lavorare insieme a
Lavatelli A., Bimbambel, 2004 un bambino su un testo da lui scritto è lavorare
Lee S., L’onda, 2013 sul bambino, modificare insieme il testo è un po’
Boujon C., Il litigio, 2009 come cambiare il mondo.
Géhin E., C’era tante volte una foresta, 2010 L’attività di scrittura libera consiste nello scrivere
Donnio S., Mangerei volentieri un bambino, 2004 delle lettere a destinatari reali. I bambini pos-
Serres A., Le livre qui parlait toutes les langues, 2013 sono corredare le loro scritte con disegni (im-
Paglia I., Va bene se…, 2013 magine e testo fanno parte della loro esperienza
Pinfold L., Cane nero, 2013 di lettura come anticipazione di significato degli
albi illustrati); devono firmare la lettera e indi-
carne il destinatario. Un giorno, ricollegandoci al
Grazie al percorso promosso dalla tirocinante tema emerso in una nostra conversazione, chiedo
dell’università88, i bambini sono diventati let- ai bambini: “Di cosa avete paura?”.
tori di questi libri per i compagni della scuola
dell’infanzia, riflettendo e sperimentandosi su “L’altra volta abbiamo parlato degli animali che fa-
un compito più complesso: leggere una storia ad cevano paura. C’è qualcos’altro di cui avete paura?”
altri. Inoltre, i bambini venivano accompagnati “Del bosco… Perché ci sono i cinghiali.”
mensilmente alla biblioteca di paese per prende- “Della montagna perché può cadere una frana.”
re in prestito un libro che potevano scegliere da “Di andare troppo in alto sull’altalena.”
una selezione che avevamo fatto noi insegnanti. “Io non ho paura di niente.”
Per la maggior parte di loro si trattava di libri “Io delle streghe.”
che avrebbero ascoltato dai genitori, anche se “Ma esistono?”
“Noooo!”
88. Debora Potenza, tirocinante per il corso di scienze della formazione
“Allora hai paura di una cosa che non esiste.”
primaria; oggi maestra di scuola primaria. “Io di quelli che sparano!”

64 Davide Tamagnini
“Delle persone o delle armi?” Dopo aver terminato di scrivere le proprie lettere,
“No delle bombe no, perché non si vede l’uomo firmate con il proprio nome, i bambini le imbu-
morto.” cano nella “posta” sempre presente in classe. In
“Ma allora non hai paura delle armi, ma dell’uomo qualità di postino ufficiale, apro la cassetta e, in
morto!” questa occasione, propongo di analizzare colletti-
“Sì è vero delle armi no, perché le bombe no, vamente una lettera, previo consenso del bambi-
dell’uomo morto sì.” no che l’ha scritta. Scriviamo alla lavagna il testo
“Io ho paura dei signori che portano una bomba della lettera:
nella città!”
“Dei vampiri!”
“Degli zombie!”
“Dove le vedete queste cose?”

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“In televisione!”
“Io e mia sorella giochiamo sempre agli zombie!”
“Io ho paura che le navi mi vengano addosso!”
“Dei ladri che mi portano via!”
“Ci sono ladri di bambini?”
“Sì, me l’ha detto la mia mamma!”
“Ma no, i ladri portano via i gioielli!”
“Si vede che lei è il gioiello della sua mamma!”
“Io ho paura delle montagne russe!”
“Dei fantasmi!”
“Tu maestro di cosa hai paura?”
“Che succeda qualcosa di brutto alle persone a cui A AMMA
voglio bene.”89 OPAURA
GANONATNE
A questo punto ogni bambino è libero di scrivere
sulla sua lettera quello che preferisce. Consiglio “Riconoscete questa lettera? Chi l’ha scritta?”
prima di tutto di raccogliere le idee e poi di scri- “Io.”
vere, in modo tale da abituare i bambini a piani- “A chi era indirizzata?”
ficare il testo, anche se, poiché si tratta di scrittori “Alla mamma” rispondono diversi bambini.
formalmente inesperti, la pianificazione è ancora “Dove c’è scritto MAMMA?”
poco presente. I bambini hanno a disposizione Chiedo a una bambina di alzarsi e mostrare dov’è
più fogli bianchi, mentre lavorano in autonomia la scritta. Indica AMMA.
passo tra i banchi chiedendo loro di leggere ciò “Con che suono inizia /mamma/?”
che hanno scritto, usando il dito90. “Con la /m/”
“E dov’è la M?”
89. Un estratto della conversazione. Le conversazioni in classe venivano La bambina indica le due M di AMMA.
registrate, poi sbobinate e trascritte per essere rilette insieme. Sono state “Leggi la parola MAMMA?”
fotocopie appiccicate sul quaderno dei bambini.
90. “Usando il dito” è la modalità di rilettura utile a lavorare sui livelli “Manca una M… davanti”
di concettualizzazione perché, con il dito, i bambini esplicitano le
corrispondenze tra grafemi e fonemi, siano esse singole lettere, digrammi,
trigrammi o sillabe. In questo modo emergono alla loro percezione anche La aggiungiamo in rosso in modo da evidenzia-
gli eventuali conflitti tra scrittura e lettura. re come cambia la parola senza cancellare mai la
SI PUÒ FARE 65
scritta originale. Questo per aiutare i bambini a “Sì.”
visualizzare concretamente l’evolversi del pro- “Ok, proviamo a leggere questa (MA iniziale)
cesso di correzione, in modo da poter fissare l’at- come si legge?”
tenzione su quello che cambia e ciò che rimane “/ma/”
uguale. In questo modo, la scrittura non conven- “E questa (MA finale)?”
zionale viene valorizzata, in quanto testimonian- “/ma/”
za del pensiero del bambino, quindi va rispetta- Scrivo alla lavagna MAMA, affianco alla scritta
ta. Anche nei momenti di correzione individua- MAMMA.
le, chiedo sempre ai bambini di non cancellare
quello che hanno scritto; questo li aiuta a vedere
concretamente le differenti fasi del loro pensiero
che va, via via, ristrutturandosi.

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L’autore della lettera interviene: “Ma no! Hai
sbagliato!” “Quindi se le leggiamo di seguito, leggiamo
I compagni gli rispondono che è giusto così per- MAMA.”
ché mamma inizia con la /m/. Non rispondo di- “Per farla diventare MAMMA dobbiamo ag-
rettamente, ma pongo loro alcune domande in giungere una M!”
modo da far nascere uno spiazzamento nel pen- “Lei ha detto che questa M si aggiunge qua (tra
siero dei bambini, per poi guidarli verso una so- MA e MA) e però si deve cancellare la M inizia-
luzione formale. le.” Cancello la M iniziale dalla seconda scritta e
“Dove leggi MA?” mi rivolgo alla bambina. aggiungo la M tra MA e MA (così siamo tornati
Lei indica tutta la parola MAMMA. alla scritta iniziale AMMA).
Un’altra bambina viene alla lavagna e alla richie- “Ma no è sbagliato, MAMMA inizia con la M!”
sta di leggere /ma/, indica la sillaba iniziale MA. Aggiungo nuovamente la M all’inizio.
Un compagno non è d’accordo sulla doppia M. “C’è scritto MAM-MA. C’è scritto la stessa cosa
(entrambe le scritte).”
Questo è un concetto destabilizzante per i bam- “Ma ora è giusto secondo te?”
bini che stanno imparando a scrivere, infatti, i “No, è sbagliato”.
bambini credono, secondo l’ipotesi di varietà in- Cancello, nella seconda scritta, tra MA e MA, la
terna, che per scrivere una parola tutte le lettere M e leggo MAMA, ribadendo che le due parti
al suo interno debbano essere diverse. sono uguali e quindi si leggono allo stesso modo.
I bambini non sono soddisfatti di questa scritta e
Il bambino propone di aggiungere una A in mez- affermano che è più corretta l’altra.
zo a MM. Il bambino che aveva espresso un dubbio (secon-
I compagni non sono d’accordo. do l’ipotesi varietà interna) non sembra ancora
“La M andava alla fine. Non dovrebbero esserci convinto: “Era meglio mettere la M dopo la A (in
le due M appiccicate.” fondo), così non c’erano due M”.
“Queste due (MA iniziale e MA finale) sono ugua- “Cosa hai scritto dopo?”.
li?” provo a lavorare sullo spiazzamento cogni- L’autore della lettera viene invitato a venire alla
tivo. lavagna.
“Sì.” “Ho paura.”
“Si leggono allo stesso modo?” “Fammi vedere…”

66 Davide Tamagnini
“/o/ (HO) /pa/ (PAURA)” Anche un’altra bambina è in difficoltà, non
“Nooooooo”, dicono i bambini in coro. riesce a scrivere la parola “albero”. La compa-
“Dove c’è scritto PAURA?” gna di banco la conduce al cartellone creato
“Qui (indica PAURA)” dall’insegnante, dove sono presenti tutte le
“Prova a rileggere.” parole dettate dai bambini, e l’aiuta a indivi-
duare la parola. La bambina decide di spostar-
“/o/ (HO) /pa/ (PA) /u/ (U) /ra/ (RA)”
si e mettersi a scrivere sotto il cartellone, la
“HO PAURA è una parola sola o sono due?”
compagna le offre aiuto indicando con il dito
Alcuni bambini dicono una, altri due. le lettere da scrivere.
“Si dice solo ‘Ho paura’ o si può dire diversamente? I bambini si aiutano a vicenda riprendendo il
Ad esempio, si può dire ‘Hai paura’?” tipo di aiuto offerto loro dall’insegnante. Nel
“Sìììì”, dicono tutti insieme. primo caso la compagna avrebbe potuto so-
“Quindi sono due parole e noi tra due parole met-

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stituirsi all’amica e fare la S al posto suo, inve-
tiamo i puntini. Dove li metteresti?” ce le ha offerto un modello da ricopiare. Nel
Un bambina indica tra O e PAURA. secondo caso la bambina utilizza la strategia
proposta dall’insegnante per aiutare la com-
In alcune occasioni mi è capitato, forse per ansia, pagna.
per stanchezza o semplicemente per porre fine a Quando l’aiuto dei compagni non è sufficiente
un lungo momento di riflessione, di accelerare e interviene l’insegnante, che supporta i bambi-
ni senza mai sostituirsi a loro. Ad esempio nel
portare i bambini a una conclusione con un pro-
caso della bambina che non riusciva a scrivere
cesso frettoloso (come alla fine dell’attività pre-
la S, l’insegnante le consegna tessere di legno
sentata in cui l’insegnante dice praticamente che su cui sono attaccate tutte le lettere in carta
le parole O e PAURA vanno separate). General- smerigliata. La bambina trova in autonomia la
mente, quando i bambini chiedono informazioni lettera che stava cercando e inizia a esplorarla
su come si scrivono alcune lettere, preferisco non con le dita, dopo di che riprova a scriverla.
rispondere direttamente, ma mettere a loro dispo- Dopo qualche minuto la bambina annuncia
sizione altri strumenti (le parole presenti in clas- di aver finito, l’insegnante è soddisfatto del
se, l’alfabetiere costruito insieme, quello di stoffa risultato (una S speculare) al contrario della
con gli oggetti, ecc.) che li aiutino a controllare se bambina che vuole riuscire a scrivere la lettera
la lettera da loro individuata corrisponda a quella proprio come quella in carta smerigliata.
che volevano scrivere. In questo modo i bambini “La voglio fare così”, insiste la bambina.
costruiscono la loro autonomia. Su questo punto “Va bene, riprova!”, le risponde il maestro.
Mi ha colpito il suo desiderio di migliorarsi, la
può essere utile leggere una trascrizione dell’os-
fiducia nelle sue possibilità di riuscita e l’atteg-
servazione della tirocinante dell’università pre-
giamento dell’insegnante che legittima que-
sente in classe. sto suo desiderio senza liquidarlo come una
perdita di tempo.
Dal diario di bordo della tirocinante
Una bambina si trova in difficoltà perché non
riesce a tracciare la S, la scrive al contrario. IV tappa: la costruzione del codice alfa-
La sua compagna di banco le offre il pro- betico
prio quaderno, la cui etichetta riporta il suo
nome: Silvia. La invita a copiare la S presente
Le occasioni di lettura individualizzata sui testi
dall’etichetta.
liberi scritti dai bambini e la loro eterogeneità di

SI PUÒ FARE 67
competenze ci ha portato a tentare una strada che I bambini hanno capito che a un suono corri-
non conoscevamo, ma che si è rivelata di grande sponde quasi sempre una lettera, ma a volte an-
efficacia e supporto alla riflessione linguistica e che più di una. A un certo punto del percorso
alla rielaborazione di ciascuno del proprio livel- è apparso evidente che le occasioni per far pro-
lo di concettualizzazione: la rilettura dei testi in gredire i bambini nei livelli di concettualizzazio-
grande gruppo. ne derivavano dalla possibilità che loro ricono-
scessero la struttura sillabica delle parole. Per i
22 ottobre 2013 bambini le sillabe erano “i suoni delle parole” e
“Quanti suoni ci vogliono per fare /nina/?” lo sono rimasti fintanto che non hanno cambia-
“Quattro suoni.” to l’etichetta codificata con cui definirli. Suoni
“Me li dici?” che noi e loro, in fase di rilettura, evidenziavamo
“/n/i/n/a/” con degli archetti sotto i gruppi di grafemi letti.

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“Sembri un robot: /n/i/n/a/” Come si vede nell’esempio di seguito:
“Quando leggiamo facciamo suoni diversi.”
“Come leggiamo questo nome (NINA)?” 25 ottobre 2013
“/ni/ /na/” “Ieri abbiamo scoperto che ci possono essere suoni
“E adesso proviamo con le mani.” formati da due, tre o anche una sola lettera.”
“/ni/ /na/” Una bambina scrive la parola NANNA alla la-
“Allora così quanti suoni sono?” vagna.
“Due.” “Ora prova a leggere… usa il dito.”
“Allora vediamo se ho capito: abbiamo 1 parola e “/na/ (NAN)… /na/ (N)… /na/ (A)… /nanna/”
4 lettere che quando le leggiamo diventano 2 suo- (in realtà ha letto /na/na/na/)
ni… ma diamo i numeri!” “Quanti suoni hai usato per leggere?”
“Che difficile!” “Tre”
“Prova a dirmi la parola senza leggerla?”
“/nan/… /na/”
“Quanti suoni sono usciti?”
“Due.”
“Come mai alla lavagna hai segnato tre suoni?”
Riprova, ma alla lavagna segna col dito ancora
tre suoni. Viene in aiuto un compagno.
“C’è scritto: /na / (NAN)… /na/ (NA)… /nana/
(NANNA)”
“C’è qualcosa che non va?” [viene in aiuto un’al-
tra compagna]
“C’è scritto: /na/ (NAN)… /nna/ (NA)… /nan-
na/ (NANNA)/”
“Ah, ok! Ma ieri avete detto che quando ci sono
due lettere uguali attaccate…”
“Si separano!”
“/nan/ (NAN)… /na/ (NA)”

68 Davide Tamagnini
“Sono lettere, numeri e… numeri!”
“Sono a, e, i, o…”
“u!”
“Anche ‘Nina’ ha le vocali?”
“Sì!”
“Quante?”
“Quattro”
“Me le fai vedere?”
“Una… [indicando la I] e due [indicando la A].
No, sono due”
Qualche bambino sostiene che la /f/ e la /c/ siano
vocali.

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9 dicembre 2013 “Perché secondo voi si chiamano vocali?”
Oggi abbiamo scoperto che i suoni delle parole, “Perché noi le lettere le facciamo uscire dalla
quelli che noi segniamo con degli archi, hanno voce, se ti dico ‘ti voglio bene’ è composta dalle
diverse caratteristiche: lettere.”
“Ma le vocali?”
• per suonare (dar loro voce) hanno sempre biso- “Formano una parola.”
gno di almeno una vocale; “Allora vuol dire che senza le vocali non possiamo
• possono unire 2, 3, 4 o 5 lettere, ma essere for- fare nessuna parola?”
mati anche da solo una (in questo caso è empre “Nooo!”
una vocale); “Sì! Perché se non ci fossero le vocali non parle-
• l’ultima lettera (o l’unica) è quasi sempre una remmo!”
vocale (esempio: pa e se); “Senza la voce, non possiamo parlare!”
• finiscono con una consonante quando c’è una “Guardiamoci intorno: esistono parole senza voca-
doppia (esempio: pez zet ti no); li?”
• finiscono con una consonante quando essa ri- Cerchiamo su molte scritte presenti in aula, ma
marrebbe da sola alla fine della parola (esem- nessuna è senza vocali. Poi ciascuno prova a leg-
pio nel). gere il suo nome senza vocali.
“Qualcuno vuole aggiungere altro?”
V tappa: la meta-riflessione linguistica “Le vocali ci aiutano ad appiccicare i suoni!”
“Cosa vuoi dire?”
30 ottobre 2013 “Che le vocali si attaccano alle altre lettere.”
“Prima mi avete fatto vedere che leggendo i suoni
con la voce erano meno delle lettere scritte.” Dopo questo passaggio di meta-riflessione lin-
“Eh, sì, perché è come le lettere dell’alfabeto a, guistica (cosa sono le vocali e quando si usano) i
e, i, o, u!” bambini hanno scoperto che non esistono sillabe
“Cosa sono?” senza vocali, che la sillaba se è formata da una
“Le lettere dell’alfabeto… anche quelle sono let- sola lettera è sicuramente una vocale, ma, se le
tere… anche se sono vocali!” lettere sono di più, almeno una deve essere una
“Le vocali? Voi sapete cosa sono?” vocale. Questo aspetto ci ha aiutato nella rilettura
“Sì, certo!” dei loro testi perché laddove il bambino indicava
“Sono lettere strane.” una consonante in luogo di una sillaba, la situa-

SI PUÒ FARE 69
zione di spiazzamento emergeva con più facilità “Avete trovato qualche parola dove l’accento non è
(“Dov’è la vocale?”). sull’ultima lettera?”
Durante il percorso svolto dalla tirocinante, con “Nooo…”
i bambini abbiamo avuto occasione di riflettere “Esiste?”
anche sull’uso dell’accento. Il protocollo che se- “No!”
gue si riferisce a un’attività in cui la tirocinante “No, non esiste.”
voleva far notare la presenza e la posizione degli “Qua non c’è.”
accenti nella scrittura, partendo dalla lettura di Tirocinante: “Che differenza c’è tra questa cosa
un testo in portoghese (letto collettivamente dai che abbiamo scoperto in italiano e il portoghese?
bambini utilizzando le immagini come anticipa- In portoghese dove erano le lettere con l’accento?”
zione di significato) per poi fare un confronto “All’inizio, in mezzo e alla fine!”
con l’italiano. “E in italiano, invece?”

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“In ultima!”
“L’accento si trovava su tutte le vocali.” “Ha vinto l’ultima!”
“Sì.” “Per forza avevamo solo parole con l’ultima. Non
“In che posizione si trovava? All’inizio, in mezzo, possono esistere solo parole con l’accento sull’ul-
alla fine o tutti e tre?” tima, magari esistono anche parole con l’accento
“Alla fine!” sulla prima lettera o in mezzo!”
“Per tutte le parole?” Tirocinante: “Ottima osservazione! Non possia-
Il bambino controlla bene: “Sì”. mo essere sicuri che tutte le parole con l’accento
“Tutti d’accordo?” abbiano l’accento sull’ultima lettera, dovremmo
“Sììì” controllarle tutte.”

Abbiamo quindi analizzato le parole in italiano in L’ultima osservazione del bambino è molto inte-
modo collettivo, chiedendo a ogni bambino di sce- ressante in quanto sposta il focus della riflessione
gliere una parola, tra quelle dell’elenco. Per ogni sul metodo della ricerca, su come arriviamo a co-
parola il bambino diceva su quale lettera cadeva noscere le cose. È consapevole che per arrivare a
l’accento in modo che essa venisse cerchiata di ros- una regola generale bisogna analizzare più casi,
so (tra le lettere già scritte per il portoghese, pra- ampliare il terreno della ricerca, ed è già consa-
ticamente tutte le vocali). Inoltre dovevano dire in pevole dell’esistenza delle eccezioni.
che posizione si trovasse la lettera accentata e con
un pallino rosso ne riportavamo la posizione.
Mentre i bambini dettavano le parole si sono
accorti che in tutte le parole l’accento si trovava
sull’ultima lettera.

“Sta vincendo l’ultima!”


Una bambina ha scelto come parola “È” ed es-
sendo una parola formata da una sola lettera non
sapeva definire se l’accento si trovasse sull’ulti-
ma lettera o sulla prima, quindi i bambini hanno
proposto di inserirla in una categoria a parte, che
hanno chiamato “sola”.

70 Davide Tamagnini
“Lui dice che forse troveremo parole con l’accen- “Sulla I”
to sulla prima lettera o su una lettera in mezzo. “L’accento allora lo mettiamo…”
Le parole in italiano che avete trovato hanno tutte “Sulle vocali!”
l’accento sull’ultima. Invece le parole portoghesi “Se usiamo l’accento per far diventare il suono del-
hanno l’accento addirittura in tre posti!” le vocali più forte, usiamo le doppie per far diven-
Tirocinante: “La maggior parte delle parole con tare forte quale suono?”
l’accento ha l’accento sull’ultima lettera.” “Le consonanti.”
“E sono tutte vocali!” “Avete mai visto, magari c’è una vocale doppia?”
“No.”
Abbiamo chiesto ai bambini di osservare le lette- “Non esistono!”
re in alto: le lettere bianche erano quelle trovate “Fermiamoci qui: le vocali mettono l’accento per
nelle parole portoghesi, quelle cerchiate di rosso fare il suono forte, le consonanti per fare il suono

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erano quelle trovate nelle parole in italiano. forte raddoppiano.”
“Cosa notate delle lettere cerchiate di rosso?”
“Solo nella E ci sono due lettere!” Possiamo interpretare tutto questo lavoro sia
Tirocinante: “Ma sono uguali?” come un modo per tutelare il naturale sviluppo
“No gli accenti sono diversi!” della scrittura nei bambini, sia per proteggere la
“Ma secondo voi a cosa serve l’accento?”. scrittura stessa dalle derive banalizzanti e senza
“L’accento è una cosa che fa diventare più forte significato cui spesso la scuola tenta di assogget-
la parola.” tarla. Noi abbiamo cercato di costruire quotidia-
“Non sono d’accordo perché anche le parole con namente occasioni in cui valesse la pena lasciare
le doppie fanno diventare il suono più forte!” traccia: registrare qualcosa che era accaduto, ri-
“Abbiamo le doppie e l’accento!” volgere domande ai bambini di altre classi, co-
“L’accento serve a cambiare il suono delle lettere municare con gli altri. Lo strumento privilegiato
come È [marcando la differenza tra la pronuncia dai bambini è stato quello della “posta”; a loro
di /è/ ed /e/]” piaceva scrivere una lettera a un compagno as-
“Cambia le parole!” sente o a qualcuno fuori dalla scuola per raccon-
“Fa diventare il suono come?” tare quello che avevano vissuto in quella gior-
“Più forte!” nata. Anche per noi insegnare a scrivere è stato
“E sei d’accordo con lei quando dice che anche le molto stimolante: dal lavoro fatto con i bambi-
consonanti fanno il suono più forte?” ni abbiamo scoperto modalità e percorsi nuovi,
“Sì.” utili, ma soprattutto entusiasmanti, forse perché
“Le doppie… quale tipo di lettera conosciamo dop- avevano senso per loro e per noi.
pia?” Due esempi possono descrivere in modo para-
“La L” digmatico il senso che ha avuto per noi questo
“La T” approccio alla scrittura. Il primo ci è stato rac-
“La G” contato da un genitore:
“La C”
“Invece l’accento su quali lettere è?” Mia figlia, dopo aver assistito a un litigio tra me e
“Sulla E” mia moglie, si era messa in cucina da sola. Quando
mi sono avvicinato a lei, ho visto che aveva davanti
“Sulla A” a sé un foglio sul quale aveva scritto alcune parole.
“Sulla O” Le ho chiesto cosa stesse facendo e mi ha detto che
“Sulla U”

SI PUÒ FARE 71
aveva scritto una lettera a noi, in cui ci spiegava
che in famiglia ci si vuole bene e non ci si comporta
così!

Il secondo lo abbiamo osservato direttamente in


diverse occasioni, ma a titolo esemplificativo può
essere sufficiente questo: un bambino, in diver-
si momenti della mattina, si relaziona in modo
violento con i compagni, li spinge, li strattona, fa
loro gli sgambetti quando camminano e a volte
li colpisce con piccoli calci e pugni; ripreso dagli
insegnanti più volte non sembra intenzionato a

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voler modificare il suo comportamento. Fino a
quando lui si arrabbia per una reazione di una
compagna che non accetta di giocare con lui. Gli
viene chiesto di riflettere su quest’ultimo episo-
dio: muto, paralizzato, sembrava a disagio come
se non sapesse o non volesse dare spiegazione di
quanto accaduto. In quel momento sono interve-
nuto per invitarlo a uscire dalla classe e a scrivere
su un foglio quello che a parole non riusciva a
dire. Il bambino si è seduto sul tavolo in giardino
e dopo un paio di minuti è rientrato:

Dobbiamo imparare a dare il giusto peso a que-


ste cose: per entrambi i bambini degli esempi ri-
portati la scrittura sembra sia stata vissuta come
uno spazio di riflessione e uno strumento per
comunicare.

72 Davide Tamagnini
La chiave dei le sedie che occupiamo o quelle che rimangono
vuote se qualcuno è assente, le presenze per la
mensa, la temperatura dell’ambiente, il sacchetto
numeri di caramelle che un bambino ha portato in clas-
se per condividerlo con i compagni, l’orario che
segnano le lancette dell’orologio (e con questo
arriviamo già a 59!) e così via; l’elenco potrebbe
allungarsi all’infinito tante sono le possibilità che
ogni giorno si hanno per stimare, contare o cal-
colare le quantità. Il primo aspetto, invece, quello
della comprensione del codice e dei suoi mecca-
È necessario dare ai bambini le chiavi per com- nismi di base, richiede che l’insegnante abbia di-

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prendere il mondo dei numeri in modo che non mestichezza con gli aspetti semantici, sintattici e
rimangano storditi dalle cifre, che i codici utiliz- lessicali del numero, nonché con le procedure di
zati in matematica non risultino loro incompren- calcolo e i fatti aritmetici. Non vogliamo che im-
sibili e i lucchetti delle porte di questi mondi parino a memoria dei concetti, ma che li posseg-
non restino per sempre chiusi. A scuola questa gano e questo inevitabilmente richiede tempo, un
disciplina viene spesso trattata superficialmente e tempo lungo fatto di esperienze. Dobbiamo ac-
dopo aver dedicato un po’ di tempo al riconosci- compagnarli nella comprensione della struttura
mento dei segni attraverso i quali rappresentiamo del nostro sistema decimale, di quel fondamento
quotidianamente i numeri, si passa al calcolo e che dà ordine all’universo infinito dei numeri. La
all’acquisizione mnemonica delle sue più sempli- Psicoartimentica91 di Montessori ci è stata d’aiu-
ci componenti. Quando qualcosa è difficilmente to in questo con la sua presentazione dei 3 piani
comprensibile, nel nostro gergo popolare, si dice dell’aritmetica:
che sia “arabo”; in questo caso il problema non
è dato dal fatto che le cifre utilizzate siano vera- • Primo Piano: conoscenza del numero da 1 a 10.
mente arabe, ma le complicazioni che si possono • Secondo Piano: piano del sistema decimale.
osservare sono il risultato del percorso sbrigativo • Terzo Piano: valore posizionale delle cifre.
e addestrativo cui sono sottoposti gli studenti.
Allontanati dal senso delle cose che fanno, pren- È chiaro che il passaggio dal primo al secondo
dono presto in odio questa materia. piano risiede tutto nel gioco che avviene tra il 9
Se questo è l’orizzonte, allora diventa evidente e il 10. Lavorando con questa mappa, attraverso
il compito di un insegnante di scuola primaria: i materiali di sviluppo, non abbiamo limiti quan-
dare le chiavi per comprendere questo codice e titativi e possiamo divertirci a giocare con tutti i
ancorarlo all’esperienza reale, quotidiana, degli numeri, dentro e fuori dall’aula. Quando abbia-
studenti. Il secondo aspetto è il più semplice: mo avuto necessità di rappresentare le quantità
quanta matematica c’è in tutto ciò che ci circon- che contavamo, insieme ai bambini, abbiamo tro-
da! Così invece di pensare a circoscriverne lo vato nelle intuizioni di Bortolato e nelle perline
spazio (in classe prima fino al 20, in seconda al montessoriane un codice iconografico semplice
100, ecc.) dovremmo attrezzarci per cogliere gli da realizzare ed efficace da memorizzare: il cer-
stimoli che vengono dal nostro ambiente e dal- chio, un cerchio per ogni singola quantità; cer-
le esperienze che in esso viviamo: il calendario
giornaliero (solo con questo arriviamo già a 31!), 91. Montessori, 1971.

SI PUÒ FARE 73
chi organizzati secondo uno schema che li vede “E dove c’è scritto 10?”
in fila a gruppi di 5 e arrivati a 10 si va a capo “In alto, in quelli rossi.”
per cominciare una nuova fila. Cerchi che per i “Perché non l’abbiamo scritto qua sotto il 9?”
bambini sono diventati subito “pallini” riportan- “Ci siamo sbagliati.”
do l’astrazione della figura alla tridimensionalità “Perché ha 2 cifre.”
dell’esperienza reale. “È andato nella famiglia delle due cifre.”
Questo aspetto semantico è stato costantemente “Che numero c’è dopo il 99?”
approfondito soprattutto grazie alla manipola- “100!”
zione di quantità nelle attività di lavoro libero. “Non ci stava nella famiglia rossa (2 cifre).”
Non dare questi strumenti ai bambini significa “Ma se sono sempre 9 perché si chiama ‘sistema de-
trattare la matematica non con i codici che le cimale’?”
sono propri, ma appoggiarsi ancora una volta “C’è anche lo zero!”

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sulla verbosità del nostro linguaggio, una strada “Lo zero lo usiamo per cambiare famiglia. Le altre
diversa e lontana dagli aspetti aritmetici. cifre invece sono sempre le stesse.”
Il valore posizionale delle cifre (sintassi) è stato “È un po’ come l’acca, è muto!”
subito smascherato. Ai bambini piace pronun- “Cosa intendi?”
ciare numeri grandissimi inventando talvolta “Che non si sente, ma cambia il numero. Come
neologismi per definirli (100.000 = miliarda) o l’acca che non la leggiamo, ma quando c’è cambia
pasticciando nel nominare la posizione di una la parola!”
cifra all’interno del numero (1.345 = milletrenta- “Bella scoperta!”
quarantacinque); ci è bastato scrivere insieme un
po’ di esempi alla lavagna per notare subito che Anche per il lessico non ci siamo limitati a nomi-
erano sufficienti dieci cifre diverse per scrivere nare i numeri rappresentati o scritti, ma abbiamo
qualsiasi numero ci venisse in mente. Non tutte provato a individuarne la struttura: ci è bastato
le cifre sono però significative allo stesso modo, scrivere i numeri con le lettere, nello stesso or-
così quando, presentando il sistema decimale, dine con cui avevamo scritto le “famiglie” sulla
abbiamo scritto con le tempere sul vetro della fi- finestra, dare ai bambini il mandato di lavorare
nestra queste famiglie di numeri, sono emerse le in gruppi cercando di osservare le regolarità e le
seguenti considerazioni: differenze in ogni colonna e in ogni riga.

“Cosa vi fa venire in mente la parola decimale?” “Nelle centinaia si ripete sempre la parola CEN-
“Le decine.” TO.”
“Cosa sono?” “Anche nelle migliaia si ripete MILA, tranne nel
“È una famiglia da dieci.” MILLE.”
“Ma quanti membri hanno queste famiglie?” “Nelle decine c’è sempre NTA, tranne nel VEN-
“1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Nove!” TI e nel DIECI.”
“E questa con due cifre?” “Sulle righe ci sono numeri che si ripetono, sono
“10, 20, 30, 40, 50, 60, 70, 80, 90. Nove!” come le ‘anime gemelle’.”
“E questa con tre?” “Tranne uno, dieci, cento e mille!”
“100, 200, 300, 400, 500, 600, 700, 800, 900. “Perché?”
Nove!” “Sono tutti diversi.”
“Ma se dopo il nove ne aggiungo un altro?” “Attenzione! Se vi accorgete di questo io poi vado a
“Dieci.” casa!”

74 Davide Tamagnini
“Anche noi!”
“Come si chiama la famiglia di cui fa parte l’uno?”
“Unità.”
“E quella del dieci?”
“Decina.”
“E questa?”
“Centinaia.”
“E questa?”
“Migliaia.”
“Cosa si può notare?”
“Iniziano sempre allo stesso modo!”
“Spiega meglio.”

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“È il primo numero a dare il nome alla famiglia!”

I fatti aritmetici sono quegli algoritmi, costitu-


ti da semplici operazioni numeriche, risolti non
attraverso le procedure di calcolo, ma grazie alla
memorizzazione. Può darsi che un bambino abbia
raggiunto il risultato di un’operazione come 2 + 2
attraverso un calcolo, ma, a un certo punto, questo
risultato sarà diventato, nella sua mente, un’etichet-
ta linguistica (4) che viene recuperata ogni volta
che lo stimolo (2 + 2) arriva al cervello. Gli “amici
del 10” e le tabelline sono fatti aritmetici. Per lavo-
rare su questo piano dobbiamo dare ai bambini il
tempo di memorizzare i calcoli, offrendo occasioni
di ripetitività. Il problema normalmente è che in
matematica tutto diventa memorizzazione: prima i
calcoli, poi le regole, poi le formule… e così tutto
viene stravolto, appesantendo le memorie umane
sempre meno abituate a immagazzinare dati.
Per lavorare sul calcolo dobbiamo conoscerne le
diverse procedure: quelle del calcolo scritto, cosid-
detto in colonna, e quelle diverse del calcolo men-
tale; in entrambi i casi è necessaria la conoscenza
della sintassi dei numeri per associare le giuste
quantità da calcolare. In una classe prima il calco-
lo deve essere comunque legato alla manipolazione
delle quantità, questo ci permette di lavorare sulla
scomposizione dei numeri e avviare l’apprendi-
mento delle procedure del calcolo mentale. Il cal-
colo scritto lo abbiamo rinviato, insieme al corsivo,
a data da destinarsi.

SI PUÒ FARE 75
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Lavoro libero quando verrà il proprio turno non bisognerà pro-
teggersi dalle richieste degli altri, perché i tempi
di ciascuno saranno sempre rispettati. Finito il
lavoro si mette ogni cosa al suo posto: quest’ordi-
ne comunica sicurezza e rende facile il recupero
del materiale in un’altra occasione. Si creano così
le basi di una società per coesione, in cui si svi-
luppa un legame retto sul rispetto e l’accoglienza
Il lavoro libero è prassi quotidiana nelle scuole dei bisogni di ciascuno. La disciplina, inoltre, è
montessoriane. Anche se la nostra non è una scuo- anche quella del corpo che attraverso l’esercizio
la montessoriana, abbiamo da subito pensato che si educa alla scoperta.
fosse uno strumento potente e coerente con l’ap-

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proccio che avevamo scelto di seguire: facilitare La pedagogia moderna aborrisce l’apprendimento
lo sviluppo di ogni bambino. Con il lavoro libero ripetitivo nella convinzione che istupidisca la men-
te. Nel timore di annoiare i bambini e desideroso
i bambini, individualmente, ma anche a coppie di presentare stimoli sempre diversi, l’insegnante
o in piccolo gruppo, lavorano con i materiali di illuminato evita la routine, ma in questo modo pri-
sviluppo che l’insegnante ha predisposto nell’am- va i suoi allievi dell’esperienza di scoprire il tipo di
biente. I materiali sono vere e proprie “astrazioni pratica a loro più consona e di modularla a partire
materializzate”: l’osservazione dei bambini portò da sé93.
la Montessori a rilevare la necessità di concretiz-
zare in oggetti i concetti astratti necessari a svi- L’insegnante ha il compito di allestire l’ambiente
luppare le conoscenze delle diverse discipline. I con i materiali più rispondenti ai bisogni di svi-
materiali devono essere accattivanti, belli, curati luppo dei bambini e di trovare le modalità e i tem-
nei particolari, sarà la loro “voce” a far vibrare pi giusti per mostrare a ciascun bambino come
gli interessi del bambino e stimolarne lo sviluppo. utilizzare un determinato materiale, utilizzando-
Saranno loro, in ultima analisi, i veri insegnanti. lo lui per primo e mostrandogli in silenzio come
Il lavoro libero si basa sul principio che la libera muoversi. Non c’è bisogno di parole, è sufficien-
scelta veicola un’alta motivazione e concentrazio- te la “voce” delle cose che vengono presentate.
ne. Questa libertà è un incentivo alla responsa- Dobbiamo dare ai bambini un metodo di lavoro
bilità individuale, all’autonomia. In un ambiente che segua il ritmo del pensiero: un processo com-
predisposto in cui il bambino è libero di speri- pleto, scomposto in fasi e che passa attraverso il
mentare c’è il silenzio generato dalla concentra- corpo. Ogni proposta ha bisogno di essere fatta
zione. Quiete e movimento si alternano. Non e ripetuta sempre secondo il ciclo inizio-fine: la
dobbiamo lasciarci spaventare dal rumore che ripetitività dà al bambino fiducia nelle sue capa-
può generarsi in principio, perché la concentra- cità. I materiali a tal fine concepiti contemplano
zione è un habitus che si raggiunge con l’esercizio, la possibilità dell’errore, ma, al contempo, pre-
“è qualcosa che deve compiersi, non qualcosa di vedono anche l’autocorrezione. In questo senso
preesistente”92 nel bambino. La libertà è anche non si rende solo possibile la riuscita del lavoro,
disciplina (i pezzi dei materiali sono unici): se il senza l’intervento dell’insegnante, ma si ristrut-
materiale lo ha già preso un compagno, oltre a tura cognitivamente l’errore. Laddove il materiale
imparare ad aspettare, si coltiva la premessa che non permetta di autocorreggersi, sarà l’intervento

92. Montessori, 1952, p. 262. 93. Sennett, 2008, p. 44.

SI PUÒ FARE 77
problematizzante dell’insegnante a far emergere tura è che questo modo di lavorare, con gli stru-
l’inesattezza e dare al bambino la possibilità di menti adatti, risponda proprio a un loro bisogno
individuare la strada per la corretta esecuzione. e non sia un semplice “indorare la pillola”.
Il lavoro libero è anche una possibilità prezio-
sa per seguire individualmente i bambini. Così
mentre ciascuno è impegnato in un’attività spe-
cifica, a sua misura, l’insegnante ha il tempo di
osservare ciascuno e avvicinarsi a chi spesso è
in difficoltà per cercare di capire come potergli
essere d’aiuto.
In principio abbiamo accompagnato il tutto con
un sottofondo musicale che aiutasse a creare un

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clima di rispettoso silenzio, nel quale tutti potes-
sero ascoltare la voce sussurrata degli strumenti
musicali che i diversi brani di accompagnamento
proponevano e ciascuno potesse sentire dentro
di sé la “voce” delle cose con cui stava lavorando.
Con il tempo ci siamo resi conto che la musica,
che era per noi gioia e ascolto quando ci dedi-
cavamo totalmente a essa (le canzoni inventate,
ascoltate, cantate e suonate), in questo momento
diventava un banale riempitivo, degradante per
la sua bellezza, e che aveva perso la funzione con
cui era stata proposta. All’opposto era diventata
per i bambini una fonte di distrazione.
Infine l’esperienza del lavoro libero è un’occasio-
ne per capovolgere i ruoli in classe, una necessità
che in più occasioni abbiamo segnalato: in primo
piano c’è l’esperienza del bambino, sullo sfondo
il maestro; ogniqualvolta l’insegnante inverte
questa posizione perde un’occasione per osser-
vare e mettendosi al centro dell’attenzione perde
quella dei bambini. L’esperienza ci ha mostrato
che il protagonismo dell’insegnante va usato solo
quando strettamente necessario, perché il lavoro
libero è anche questo: la possibilità che il bambi-
no riveli se stesso e che l’insegnante lo compren-
da più pienamente.
Così in questo primo anno ci è capito spesso di
registrare il desiderio dei bambini di poter lavo-
rare quotidianamente in questo modo. Inoltre è
stato frequente vederli usare i materiali di svilup-
po anche in momenti di svago. Una possibile let-

78 Davide Tamagnini
Valutazione
voro in quanto essere pensante. Ma con tutto ciò,
adesso è diventato un uomo, prima era solo una
macchina. Un attrezzo animato94.

La scuola, invece, sia implicitamente, con una


certa didattica, sia esplicitamente, con i voti nu-
merici, comunica che l’errore è una cosa da evi-
tare, un passo falso da correggere, o meglio, da
Allora i test cercano di stabilire l’impossibile, per- rimuovere velocemente senza dare tempo di ri-
ché, come ora sappiamo, la mente di uno studente flettere sulle condizioni che lo hanno determina-
è non-banale, è analiticamente indeterminabile. to. Una situazione di imbarazzo sociale dal potere
Oppure sono determinati per stabilire il grado di ansiogeno. Basti pensare all’assurda esigenza di

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successo che ha avuto un sistema educativo nel avere dai bambini scritte perfettamente corrette
banalizzare i suoi studenti? Allora i risultati non durante la fase di apprendimento della scrittura,
riflettono la malleabilità degli studenti, probabilmente per avere dei bei quaderni ordina-
ma del sistema educativo e dei test che esso designa. ti da mostrare a casa. L’equazione scolastica che
Cioè: i test testano i test, le valutazioni va per la maggiore è: un errore, un voto in meno.
valutano le valutazioni
“Cos’è per voi un errore?”95
H. von Foerster “Quando fai ginnastica artistica e sbagli qualcosa
oppure quando fai una lettera e scrivi ciao senza
la i…”
Riflettere sul tipo di apprendimento che voglia- “Cao!”
mo promuovere inevitabilmente ci porta a mette- “… fai un errore!”
re in discussione e ridefinire il concetto e la prati- “In entrambi i casi mi pare che un errore sia per te
ca della valutazione. Anzi possiamo pensare alla qualcosa di sbagliato.”
valutazione come all’indicatore esplicito di come “Un errore stradale!”
l’insegnante pensa e facilita gli apprendimenti “Cioè?”
dei bambini; una tappa del processo ricorsivo di “Quando succedono gli incidenti!”
apprendimento, una fase molto delicata perché “Quindi gli errori sono qualcosa di sbagliato e di
a essa è legata la motivazione a proseguire. Su negativo perché possono succedere gli incidenti; ho
questo punto è cruciale il significato che viene at- capito bene?”
tribuito all’errore: il bambino naturalmente pro- “Ma dagli errori si impara!”
cede per tentativi ed errori, essi sono un unicum “Cosa ne pensate?”
con la via corretta e le possibilità di sviluppo. “Qualche volta si impara!”
“Perché quando sai di aver sbagliato poi provi a
Si può insegnare ad un uomo a tracciare una li- farlo in un altro modo, quello giusto!”
nea dritta; a tracciare una linea curva […] e si tro- “Non sempre perché ci sono incidenti in cui
verà quel lavoro perfetto nel suo genere: ma se gli puoi anche morire!”
si chiede di riflettere su una qualunque di quelle “Possiamo anche intendere gli incidenti come tutte
forme, di vedere se nella sua testa non ne trovi di
quelle cose negative che non ti aspetti, non per forza
migliori, ecco che si ferma; l’esecuzione diventa esi-
tante; ci pensa e, dieci a uno, pensa sbagliato; dieci
94. Ivi, p.114
a uno fa un errore al primo tocco che dà al suo la- 95. Questa conversazione è stata fatta con i bambini in classe terza.

SI PUÒ FARE 79
come qualcosa in cui ci si fa fisicamente del male. “Se tieni nascosti gli errori, non impari. Se è na-
Come si fa a imparare dagli errori?” scosto l’errore non ti può insegnare niente, anzi
“Usando la testa!” diventa sempre più grosso!”
“Vuoi dire che c’è un sacco di gente che non ha la “Io confondo imparare con insegnare.”
testa?” “Non riuscire a rispondere quando mi fanno
“Se sbagli una volta, la prossima volta non sba- una domanda.”
glierai.” “Io mi alzo spesso, quando parlano gli altri!”
“Io sbaglio una volta, due volte… cinque volte e “Leggere: io sbaglio a leggere le parole.”
poi imparo!” “Ci vuole tempo!”
“Devi sapere di sbagliare!” “Quando noi eravamo in prima che dovevamo
“Ti devi anche ricordare di aver sbagliato per imparare a leggere e scrivere… ci è voluto tem-
non fare più lo stesso errore.” po!”

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“Magari uno si ricorda, ma può fare apposta a “Leggevamo una cosa per un’altra!”
commettere degli errori.” “Io non riesco a scrivere bene!”
“Un ladro quando ruba sa di fare qualcosa di “Io sbaglio le parole dell’analisi grammaticale.”
sbagliato, ma lo fa lo stesso!” “Io qualche volta sbaglio i verbi o a volte dico
“Qualcuno può anche non farlo apposta, ma ‘c’ho’ al posto di ‘ho’.”
può fare uno sbaglio.” “Io correggo sempre mia mamma quando dice
“Poi si pente!” ‘c’ho’!”
“Se fai qualcosa di sbagliato ti puoi scusare fa- “Io ne faccio tantissimi: c’ho al posto di ho, non
cendo qualcosa di buono.” metto l’acca davanti alla o quando serve, nella
“Per imparare dagli errori dobbiamo ricevere scrittura e nella lettura e non riesco a distingue-
un aiuto.” re i suoni dolci, da quelli cattivi… duri! Faccio
“Come si sente una persona che fa un errore?” sempre rumore quando parlano gli altri!”
“Male!” “Però nella lettura sei molto migliorato, come hai
“Triste!” fatto?”
“Schifata!” “Leggo tantissimo, faccio tanti esercizi!”
“Arrabbiata! “Allora non basta lasciar passare del tempo, deve
“Allora se una persona si sente così vuol dire che essere un tempo in cui facciamo esercizi per mi-
gli errori sono cose brutte.” gliorare le cose che sbagliavamo.”
“Alcune no!” “Io non riesco a parlare a bassa voce.”
“Ad esempio?” “Io faccio errori quando devo fare i conti.”
“Fai un’operazione: 2 + 2 = 10” “Normalmente a scuola se fai un errore ti sgri-
“Come quel bambino che ha inventato una nuova dano o ti bocciano!”
parola e la maestra gli ha scritto ‘errore bello’!” “Qui no, ‘qui si può sbagliare’!”
“Gli errori a scuola sono tutti belli!” “Allora sugli errori abbiamo detto che per impara-
“No, se qualcuno spacca qualcosa, non è bello!” re da loro dobbiamo: avere del tempo per miglio-
“Gli errori a scuola sono sbagli, non fai apposta rare, con esercizi…”
a farli!” “Chiedendo aiuto!”
“Voi che errori fate?” “Lasciare del tempo, avere pazienza!”
“Non ascoltare!” “Dare aiuto!”
“Tenere nascosto che hai rotto qualcosa in clas- “Chiedere di riprovarci, dare un’altra possibili-
se!” tà!”

80 Davide Tamagnini
“Ma ci devi pensare, se non gli errori li rifai!” di uno studente. Sono uno strumento improprio,
un pasticcio docimologico96, frutto della confu-
La valutazione coinvolge, in momenti diversi, più sione tra il piano della misurazione delle cono-
soggetti (insegnanti, studenti e famiglie) e, per- scenze e delle abilità e quello della valutazione
tanto, deve riconoscere a ciascuno di essi uno delle competenze, due livelli che non andrebbero
spazio di riflessione. Nella sua intersoggettività è gestiti con lo stesso strumento in decimi. Chi ha
possibile intravedere un tendere verso l’irrealiz- sempre preso dei bei voti continuerà a essere con-
zabile – fortunatamente – oggettività. Su questo siderato (e a ritenersi) più intelligente e sarà così
piano dobbiamo prestare attenzione ai bisogni stimolato a gareggiare per essere migliore degli
in gioco: insegnanti e genitori attraverso la valu- altri. Tutto ciò a discapito di chi è più in difficoltà,
tazione si “misurano” reciprocamente e per far- perché il voto è legato all’universo di aspettative e
lo condividono, più o meno consapevolmente, ansie che il sistema insegnante-studente-famiglia

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un linguaggio, degli strumenti e delle finalità. Il ha; d’altronde un brutto voto, specialmente per
momento della valutazione per gli studenti deve un bambino, è una sconfitta che non spinge alla
essere altro da questo, i bambini hanno bisogno rivincita, ma piuttosto a gettar la spugna.
di elementi che descrivano intelligibilmente i loro
processi di apprendimento. Questo spazio va tu- “Tempo fa un bambino di un’altra classe mi ha fatto
telato, non deve subire invasioni di sorta da parte questa domanda e io ora la giro a voi: Chi è il più
dei desideri e delle preoccupazioni degli adulti. bravo di questa classe?”97
Lo capisce anche una bambina dopo un mese di “Oh mio Dio!”
scuola primaria: “Alex!”
“Aurora!”
“Tu metti i voti ai bambini?” “Tutti!”
“Cosa sono i voti?” “Per me nessuno, solo io!”
“1, 2… 5… 10, 10 ½” “Tutti siamo bravi in una cosa. Quindi siamo tut-
“No, non ne hanno bisogno.” ti i più bravi.”
“Invece sì, così la mamma e il papà sono felici!” “Vuoi dire che ognuno di voi è bravo in una cosa…”
“Alcuni anche in due!”
La valutazione si costruisce con strumenti coe- “Vedi tu!”
renti alle finalità che ci si pone. Tali strumenti “È come se noi fossimo tanti maestri e tu sei il
rivelano sia quest’ultime e in che modo gli inse- bambino…”
gnanti osservano – le competenze, le conoscenze “16 maestri!”
e le abilità degli studenti – sia “su cosa” e “come” “Tutti siamo bravi in qualcosa: chi in matematica,
essi abbiano lavorato; sono dei veri e propri fee- chi nel lavoro libero, in geografia…”
dback del nostro lavoro: lo specchio degli inse- “Anche io avrei detto così!”
gnanti che siamo o che desideriamo essere. “Prima qualcuno di voi ha fatto il nome di un com-
Possiamo provare a immergerci nella foce per ri- pagno e di una compagna. Chiedo dunque a voi: vi
salire ancora una volta alla sorgente. Il punto di sentite i più bravi? Siete d’accordo con chi ha fatto
partenza per noi è stato questo: i voti mortificano
il piacere di apprendere; sottomettono i proces- 96. Il riferimento qui è alla nota sovrapposizione di piani diversi, quello
si ai risultati trasformandosi da strumento a fine cardinale con quello ordinale, oltretutto senza che vengano mai specificati
dello studio; sono una sintesi che non tiene conto i criteri di passaggio da un voto all’altro in una scala, quella in decimi, in
cui l’unità di misura non è per nulla costante.
della complessità del processo di apprendimento 97. Questa conversazione è stata fatta con i bambini in classe terza.

SI PUÒ FARE 81
il vostro nome?” “Se lo sente dentro.”
“Io, no. Per esempio non sono bravo in italia- “Secondo me è pericoloso pensare di essere i più
no!” bravi, ma soprattutto pensare di non esserlo. Tutti
“Pensi che in classe ci sia qualcuno più bravo in possono avere delle difficoltà, tutti possono peg-
questo e che potrebbe aiutarti?” giorare o migliorare, tutti possono cambiare.”
“Sì, Aurora.”
“Tu, Aurora, ti senti brava in italiano?” Allora siamo partiti da qui: togliere i voti per
“Un po’. Sono brava a leggere, ma faccio fatica a provare a valorizzare le differenze, invece che
scrivere bene.” discriminarle, e promuovere la crescita di cia-
“Chi pensava ad Aurora come la più brava, imma- scuno. Anche perché misurare le performance
ginava che lei fosse in difficoltà in italiano, nello di una persona mentre sta imparando, ci sembra
scrivere?” nientedimeno che una disonestà intellettuale:

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“No.” prima diamo ai bambini il tempo di imparare.
“Scrive così velocemente…” In un secondo tempo, da grandi, sapranno ge-
“Magari fa tanti errori.” stire diversamente, con più serenità e sicurezza
“Comunque ve lo ha detto lei che non si sente così delle loro capacità, tutte le occasioni della vita
brava.” in cui saranno valutati o dovranno valutarsi.
“Io sono debole in inglese!” Siamo partiti esplicitando cosa fosse per noi
“Anch’io!” l’apprendimento e attraverso quali strade in-
“Anch’io!” tendevamo lavorarci; poi abbiamo confrontato
“E cosa vi rende così deboli?” questo nostro lavoro con i contenuti delle In-
“A me non piace tanto!” dicazioni nazionali per il curricolo che il Miur
“Non mi impegno!” ha rielaborato nel 2012. Il primo lavoro è sta-
“Io invece sono riuscita a migliorare tantissi- to quello di analizzare le competenze a cui far
mo!” corrispondere obiettivi di apprendimento coe-
“E tu, Davide? Dicci cosa pensi! Chi è il più renti, per declinarli successivamente in quelle
bravo?” conoscenze e abilità osservabili, quei gradini
“Sono io il più bravo di tutti!” [ridendo] che possono portare un bambino a raggiunge-
“Dai!!!” re i traguardi necessari. Per ciascuna discipli-
“Non scherzare!!!” na, abbiamo costruito questo schema98 : la pri-
“Sono d’accordo con voi: ciascuno è bravo a fare ma colonna è quanto viene riportato nel testo
qualcosa, penso sia sciocco illudersi di essere i più delle Indicazioni, in questo caso gli obiettivi di
bravi. Secondo voi il bambino che mi ha fatto la apprendimento per la scrittura alla fine della
domanda da cui siamo partiti sa chi è il più bravo classe terza; la seconda colonna è la declinazio-
nella sua classe?” ne della precedente in termini di ciò che può
“Sì!” essere osservabile nello studente.
“E come mai?”
“Si vede!”
“E non si vede che io sono il più bravo?” [riden-
do]
[Ridono tutti i bambini]
“Mio fratello è il più bravo della sua classe.” 98. Quanto segue è frutto di un lavoro collettivo intrapreso nel mio
Istituto per la stesura del curricolo verticale. Riportiamo qui per brevità
“Come fa a saperlo?” solo la parte legata allo scrivere in lingua italiana.

82 Davide Tamagnini
Obiettivo Abilità e conoscenze
di apprendimento
1. Acquisire le capacità manuali e - Organizza graficamente la pagina del quaderno.
percettive necessarie - Riproduce parole e/o frasi copiando un modello.
- Scrive autonomamente parole.
- Scrive usando una grafia chiara, ordinata e leggibile.
- Scrive utilizzando le diverse tipologie di carattere dello scritto: stampato ma-
iuscolo e corsivo.
- Scrive con una corretta calligrafia.

2. Scrivere curando in modo particolare - Scrive parole e frasi.


l’ortografia - Scrive correttamente brevi testi mentre li si ascolta dalla voce dell’insegnante.
- Prende appunti su ciò che si è visto o vissuto.

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3. Produrre semplici testi funzionali, - Scrive didascalie a disegni.
narrativi e descrittivi legati a scopi - Produce testi narrativi sulle proprie esperienze personali.
concreti e connessi con situazioni - Produce testi narrativi.
quotidiane - Produce testi informativi (lettere, avvisi, inviti).
- Completa testi intervenendo nella loro struttura e modificandone le parti (si-
tuazione iniziale, situazione centrale, situazione finale, punti di vista).
- Scrive filastrocche.
4. Comunicare con frasi semplici e - Utilizza la punteggiatura in modo appropriato (punto, punto di domanda ed
compiute, strutturate in brevi testi esclamativo, virgola).
che rispettino le convenzioni orto- - Padroneggia la punteggiatura nel discorso diretto.
grafiche e di interpunzione - Utilizza le regole ortografiche in modo progressivo e pertinente (sillabazione,
uso delle doppie, dell’accento, dell’apostrofo, dell’h, della z intervocalica, i
digrammi qu/cu…).

Trovato ciò su cui dovevamo orientare il nostro lità e criteri per assicurare omogeneità, equità e
sguardo per poter monitorare i processi di ap- trasparenza della valutazione, nel rispetto del prin-
cipio della libertà di insegnamento. Detti criteri e
prendimento dei bambini, era necessario trovare modalità fanno parte integrante del piano dell’of-
una soluzione burocratica che legittimasse un ap- ferta formativa”.
proccio diverso alla valutazione da quello tradi-
zionale, fatto di voti in numeri o lettere, verifiche Possiamo dire che la valutazione, come “espres-
e pagelle. Abbiamo studiato la normativa (d.P.R. sione dell’autonomia professionale propria della
n. 122/09) per capire quali fossero gli spazi di funzione docente”, rimanda alla responsabilità di
manovra: scegliere come valutare e che tale scelta è espres-
sione del nostro modo di adempiere al mandato
Art. 1 istituzionale. Dobbiamo essere consapevoli di
Comma 2: “La valutazione è espressione dell’auto- questo. La valutazione deve aiutare a gestire “il
nomia professionale propria della funzione docen- processo di apprendimento”, non stravolgerlo. I
te, nella sua dimensione sia individuale che colle- voti hanno per oggetto il processo di apprendi-
giale, nonché dell’autonomia didattica delle istitu-
mento?
zioni scolastiche”.
Comma 3: “La valutazione ha per oggetto il proces- Una sperimentazione in tal senso deve passare
so di apprendimento”. il vaglio del collegio docenti, che può autorizza-
Comma 5: “Il collegio dei docenti definisce moda- re un modello alternativo di valutazione purché

SI PUÒ FARE 83
“omogeneità, equità e trasparenza” vengano ga- Praticamente un manifesto della possibilità di
rantite. Così abbiamo deciso di aprire un con- cambiamento!
fronto in sede di collegio docenti coinvolgendo Togliere i voti per essere liberi – insegnanti, stu-
direttamente gli insegnanti delle future classi denti e famiglie – di osservare i singoli traguar-
prime: di senza lo spauracchio delle verifiche, ma regi-
strando quotidianamente i successi e le difficoltà,
Come possiamo valutare gli apprendimenti di bam- prestando particolare attenzione ai processi. To-
bini con un voto numerico se, la programmazione gliere i voti ha dato legittimità istituzionale alla
cui fate riferimento dice che i bambini arrivano a
conoscere la prima decina all’inizio del secondo
nostra didattica e cambiare la didattica pensia-
quadrimestre? Loro “8” non sanno cosa significhi! mo sia una buona leva per riformare la scuola.
Così abbiamo messo a punto degli strumenti che
permettessero agli insegnanti di valutare gli ap-

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Lo stesso vale per le lettere dell’alfabeto (“Dichia-
rate che siete voi a insegnargliele nei primi mesi, è prendimenti raccogliendoli in un’unica cornice,
un codice che non conoscono!”) e per le “faccine” consapevoli che su questo aspetto abbiamo an-
(smile di diversi colori o diverse espressioni), che cora molto lavoro da fare.
non sono altro che una “facciata” perché associa-
te, nella testa di insegnanti e studenti, a un voto Il punto di vista dell’insegnante
numerico e quindi rispondenti alla stessa logica. A) La lettera
La proposta è stata respinta e, hic et nunc, trasfor- Attraverso la forma della lettera esprimiamo il
mata in una sperimentazione solo per la nostra nostro punto di vista sull’allievo e il suo mon-
classe e che, alla fine, il collegio ha approvato in do di relazioni: con i compagni, gli insegnanti, i
via sperimentale per il primo anno. Possibilità materiali, le regole, le attività proposte e con se
prevista dall’articolo 6 del d.P.R. n. 275/99: stesso. La lettera-punto di vista è consegnata alle
famiglie a metà di ogni quadrimestre affinché
Art. 6 – Autonomia di ricerca, sperimentazione e venga letta ai propri figli.
sviluppo
1. Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra Caro D.,
loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, la fatica che facevi all’inizio dell’anno a entrare in
sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle classe sembra che tu la stia superando; devi solo
esigenze del contesto culturale, sociale ed econo- migliorare nella puntualità, ma noi continueremo
mico delle realtà locali e curando tra l’altro: ad aspettarti quando non arrivi al suono della cam-
panella! Sei molto socievole e sembra che tu abbia
• la progettazione formativa e la ricerca valuta- trovato molti amici in classe.
tiva; Non riesci ancora ad avere cura delle tue cose: i tuoi
• la formazione e l’aggiornamento culturale e vestiti (giubbotto, sciarpa, cappello) sono spesso a
professionale del personale scolastico; terra; li usi per giocare, talvolta rovinandoli. All’i-
• l’innovazione metodologica e disciplinare; nizio dell’anno mangiucchiavi qualsiasi materiale
• la ricerca didattica sulle diverse valenze delle contenuto nel tuo astuccio, poi sei passato alla ra-
tecnologie dell’informazione e della comunica- dice di liquirizia e oggi in questo comportamento
zione e sulla loro integrazione nei processi for- sembri migliorato. Dei materiali, però, non te ne
mativi; curi troppo e spesso li perdi o non li trovi quando
• la documentazione educativa e la sua diffusione ti servono.
all’interno della scuola; La tua fatica più grande sembra essere quella di
• gli scambi di informazioni, esperienze e materia- riconoscere l’autorevolezza dell’insegnante che ti
li didattici […]. parla o che ti chiede di avere un determinato com-
portamento: “siediti bene”, “non disturbare” con

84 Davide Tamagnini
rumori molesti (con la matita, le mani, la bocca…), Ti impegni molto in tutte le proposte che facciamo,
“torna al tuo posto” smettendo di gironzolare o di non hai paura di sbagliare e sei capace di riconosce-
rotolarti per l’aula. Quando vieni ripreso reagisci re autonomamente i tuoi errori. Anche quando ci
spalancando la bocca – forse per vergogna! – e ri- capita di doverti richiamare, quasi sempre per mo-
dendo in faccia all’insegnante. Ridere e far ridere ti tivi di distrazione, riconosci subito di aver sbagliato
piace molto, ma a volte esageri continuando a ripe- e cerchi di cambiare comportamento.
tere la battuta nonostante ti venga fatto presente Siamo contenti di averti con noi in classe.
quanto questo dia fastidio. Allora interveniamo per Ciao A.
chiederti di smetterla, talvolta allontanandoti dalla I tuoi insegnanti
classe: lo abbiamo fatto pensando di aiutarti a capi-
re che per stare “dentro” a lavorare devi avere un B) La tabella monitoraggio99
atteggiamento diverso e di solito rientri consapevo-
le e deciso a cambiarlo!
Qui sono riportati i diversi focus dell’osservazio-
ne per ciascuna disciplina, ai quali viene asso-

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Nei giochi non accetti di perdere e sei sempre mol- ciato un colore: verde, giallo o rosso. Si parla di
to concentrato su te stesso più che sulla tua squa- monitoraggio perché è frutto di un’osservazione
dra, per cui se ti sembra di giocare di meno degli in fieri, ci dà la possibilità di apportare aggiusta-
altri ti metti a fare i capricci, senza guardare che
menti al punto di vista che stiamo costruendo; tre
anche gli altri vogliono giocare proprio quanto lo
vuoi tu. Talvolta fai dei capricci anche quando vieni livelli per semplificare le discriminanti a fronte
sgridato: piangi come un bambino molto piccolo e di un aumento di indicatori monitorati. Il verde
cerchi il nostro compatimento; se non lo trovi dopo segnala che l’aspetto è stato raggiunto dal bam-
qualche minuto ti asciughi gli occhi e accetti ciò che bino o, laddove non sia possibile raggiungerlo
l’insegnante ti voleva dire. pienamente, che si procede verso di esso senza
Quando non sei distratto dai “tuoi giochi” partecipi
alle attività in modo molto positivo: ti piace inter-
alcuna difficoltà; il giallo informa di un aspetto
venire, hai sempre tante cose interessanti da rac- non ancora raggiunto, perché in corso di “lavo-
contare e vorresti sempre essere alla lavagna per razione” o perché sono presenti delle difficoltà
dimostrare a tutti quello che stai imparando. rilevate come temporanee; il rosso è la spia che
Anche se qualche volta perdiamo la pazienza, vol- indica la necessità di un nostro cambiamento per
giamo dirti che siamo contenti di averti con noi in
poter aiutare il bambino a lavorare efficacemente
classe.
Ciao D. su quell’aspetto o che a fronte di numerosi ten-
I tuoi insegnanti tativi ci sono delle evidenti difficoltà tali per cui
è necessaria una riprogettazione su quell’ambito.
La tabella compilata diventa il terreno comune
Caro A., su cui basare i colloqui periodici tra scuola e fa-
sei un bambino molto socievole, rispettoso e in-
traprendente. Questo fa di te un amico di tutti i
miglia.
compagni e una risorsa per la classe e le attività che
insieme facciamo.
Hai sempre molta cura dei tuoi materiali e sei molto
migliorato anche nel modo di scrivere sul tuo qua-
derno. La scuola sembra un contesto in cui ti trovi
bene e nel quale ti muovi con grande sicurezza, for-
se perché conosci già molte cose e hai delle grandi
competenze in alcune discipline. Sei sempre curioso
di imparare cose nuove e di mettere alla prova le
99. Questo modello di tabella, incentrato però interamente sui processi
tue abilità: cercheremo di aiutarti con esercizi e at- cognitivi che i bambini mettono in atto, era stato presentato dalla
tività sempre stimolanti! professoressa L. Mercadante durante il percorso di tirocinio per Ada
presso l’Università di Milano Bicocca.

SI PUÒ FARE 85
R G V
valutazione
LINGUA ITALIANA
settembre-novembre

2. Lettura

Comprendere la funzione significante dell’immagine V

Comprendere la funzione significante dello scritto V

Decifrare il codice alfabetico convenzionale:

• assegnazione di un valore sonoro stabile alle lettere G

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• riconoscimento sillabico delle parole (suoni delle parole) G

Comprendere messaggi e consegne in forma scritta G

3. Scrittura

Prensione degli strumenti di scrittura e ductus R

Scrivere secondo il codice alfabetico convenzionale:

• rielaborazione progressiva dei livelli di concettualizzazione sillabico- alfabetico

• assegnazione di un grafema stabile ai fonemi V

• assegnazione di grafemi stabili a digrammi e trigrammi G

Scrivere con un bella e corretta grafia R

Scrivere testi di vario tipo. G

Non esistono sfumature di colore (verde chiaro, C) La pagella


scuro, marcio, ecc.) poiché i colori non costitui- È il completamento, la verifica a fine quadrime-
scono una scala cromatica, ma un’indicazione di stre, di quanto raccolto in quel periodo. Essa
quanto osservato. In questo modo la tabella di contiene: la tabella di monitoraggio, l’autovaluta-
ciascun bambino non è confrontabile e sempli- zione dei bambini100 e una breve lettera degli in-
cemente non ci interessa. In ultima analisi pos- segnanti in risposta a quanto scritto dai bambini.
siamo dire di aver così ampliato ed esplicitato la
gamma delle cose che osserviamo per valutare, Cara N.,
evidenziando tanti indicatori che fanno emerge- anche noi proviamo a dirti cosa ci sembra tu abbia
imparato e in cosa sembra tu sia in difficoltà.
re la complessità dei processi di apprendimento, L’impegno che hai dimostrato nelle attività in clas-
proprio come ci è richiesto dalla legge. Riducen- se sicuramente ti ha permesso di imparare tante
do le variabili a tre soli indicatori diventa anche cose importanti (come quelle che hai rilevato tu) e
più facile esplicitare i criteri di passaggio da un di approfondire nuove conoscenze. Sei molto mi-
colore all’altro e rendere così più trasparente la gliorata nella gestione del foglio del quaderno e
nella tua calligrafia. Sei più sorridente nei confron-
nostra misurazione.
100. Alcuni esempi sono stati riportati nel successivo Capitolo
“Riflessione e confronto”.

86 Davide Tamagnini
ti dei compagni e delle attività che ti proponiamo e to che i bambini si confrontino con lo strumento
stai imparando a reagire con un sorriso anche verso “tabella di monitoraggio” e analizzino più detta-
i tuoi errori.
Nei momenti di gioco, tendi a voler essere sempre
gliatamente i risultati dei loro apprendimenti.
colei che decide le regole e sceglie chi vi può parte-
cipare, talvolta escludendo alcuni compagni. Fai an- Il punto di vista della famiglia
cora molta fatica ad accettare i punti di vista degli A) Valutazione del vissuto del bambino a casa
altri, se sono diversi dai tuoi. Si tratta di un’osservazione da parte dei genitori
Continua a crescere e a migliorare senza perdere il
su “come” vedono il figlio/a sotto diversi aspetti
desiderio di scoprire e capire.
I tuoi insegnanti101
e “in cosa” lo trovano cambiato. I genitori rispon-
dendo alle domande di cui si compone questo
Cara N., strumento, dedicano un momento di analisi alla
quanto sei cresciuta! vita da studente del proprio figlio/a; le loro rispo-

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Vogliamo solo aggiungere una cosa a tutte quelle ste diventano il primo oggetto di confronto negli
che tu già sai di aver imparato: sei diventata mol-
incontri di metà quadrimestre. Ne riportiamo
to più positiva verso i compagni, gli insegnanti e le
diverse esperienze che abbiamo vissuto insieme. I solo due esempi:
tuoi “no” hanno lasciato il posto alla voglia di esse-
re presente, di tentare, di non tirarsi mai indietro. Novembre
Abbi cura di questo slancio positivo, coltivalo come - Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con i
se fosse una pianticella e vedrai che sarai molto compagni?
soddisfatta dei frutti che via via raccoglierai. Mi sembra che segua quello che fanno gli altri. Si fa
Ti aspettiamo in seconda a braccia aperte! guidare e difficilmente si impone.
I tuoi insegnanti102 - Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con
gli insegnanti?
È contenta degli insegnanti, ne parla sempre bene, ma
Il punto di vista dell’allievo credo che la sua timidezza non le permetta di esprime-
Il bilancio auto-valutativo re come vorrebbe quello che pensa e prova.
A questo proposito sono dedicati due momenti - Come vi sembra che vostra/o figlia/o curi gli strumen-
di confronto, alla fine del primo e del secondo ti/materiali scolastici?
quadrimestre, per analizzare i diversi aspetti Molto bene.
- Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con
dell’esperienza scolastica dei bambini sulla base le regole?
di una semplice descrizione: “cosa sento di aver A scuola penso che rispetti le regole (a casa sono capric-
imparato” e “quando/in cosa mi trovo in difficol- ci a non finire).
tà”. In questi momenti ai bambini viene chiesto - Come vi sembra in generale il rapporto di vostra/o
di riflettere sui loro apprendimenti, ma anche di figlia/o con la scuola?
Le piace molto venire a scuola, mi sembra che l’abbia
aiutare i compagni regalando a ciascuno il pro-
presa molto bene.
prio punto di vista. Questo aspetto di scambio e - In cosa trovate vostra/o figlia/o cambiata?
raccolta è molto importante per i bambini perché Ha voglia di conoscere e imparare. Prima pensava solo
gli consente di uscire da una naturale parzialità al gioco, ora, anche mentre gioca, fa domande e chie-
di visione e imparare qualcosa di loro stessi che de informazioni su tante cose. Si vede che “vuole sa-
non sapevano o che non valorizzavano/riconosce- pere”, non le bastano più le risposte che si danno ai
bambini, vuole andare fino in fondo all’argomento,
vano perché davano per scontato. qualsiasi esso sia.
Ipotizziamo che in futuro potrà essere più adat-
Febbraio
101. Alla fine del primo quadrimestre. Mia/o figlia/o
102. Alla fine del secondo quadrimestre. - in cosa la/o vedo capace: inizia a cavarsela nella lettura;

SI PUÒ FARE 87
- in cosa la/o vedo in difficoltà: nel rapporto con gli
altri; Come sono andate le cose per vostro figlio/a
- in cosa la/o trovo cambiata: è più curiosa. Prova a leg- nelle diverse discipline? Cosa ha imparato?
gere ogni cosa, prova a scrivere e poi mi chiede se si
capisce e sa ha sbagliato. Italiano
Matematica
Novembre
- Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con Inglese
i compagni?
Storia
Sembra vada d’accordo con tutti. Racconta sempre
cose belle sui suoi compagni. Geografia
- Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con
gli insegnanti? Scienze
Qualsiasi insegnante ci sia, lei è sempre contenta di

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Ed. motoria
andare a scuola.
- Come vi sembra che vostra/o figlia/o curi gli strumen- Arte
ti/materiali scolastici?
Molto disordinata e ha poca cura del materiale. Relazioni
- Come vi sembrano i rapporti di vostra/o figlia/o con
In generale ci aspettiamo che
le regole?
entro la fine dell’anno…
Sembra riesca a seguire tutto senza difficoltà.
- Come vi sembra in generale il rapporto di vostra/o
figlia/o con la scuola?
È sempre contenta di andare a scuola, quindi possia-
mo dire ottimo.
- In cosa trovate vostra/o figlia/o cambiata? Alla fine dell’anno, invece, abbiamo chiesto ai
È molto più interessata a ciò che la circonda, legge genitori di verificare il modello di valutazione
spesso le etichette dei cibi o i cartelloni della pubbli- adottato in via sperimentale questo anno. Ecco
cità e anche a casa gioca più spesso con la lavagna e le loro preziose considerazioni a valle dell’espe-
con i libri illustrati ed è molto più concentrata quando rienza vissuta:
qualcuno le racconta o le spiega qualcosa.

Febbraio Aspetti positivi


Mia/o figlia/o
- in cosa la vedo capace: nella lettura, nella divisione in Con questo metodo mia figlia non si è sentita in
sillabe delle parole e nei conti; difetto rispetto agli altri bambini. Non ha sentito
- in cosa la vedo in difficoltà: nulla; la differenza di valutazione rispetto alla scuola
- in cosa la trovo cambiata: più furba, più competente. dell’infanzia.

La serenità con cui viene affrontato l’apprendimen-


In un’altra occasione abbiamo chiesto loro di ri-
to. Riusciamo a capire meglio quali sono le sue dif-
flettere su questi aspetti: ficoltà e quali sono i suoi punti forti. Anche lei, non
vedendo un numero che sintetizza l’intera materia,
Provate a pensare di trovarvi in questa situazio- ma vedendola suddivisa in più voci con dei “semafo-
ne: è giugno, la scuola è finita; tutto è andato ri” si impegna di più per averli tutti “verdi”.
bene quest’anno. Come sono andate le cose per
Non fanno confronti con i voti, non entrano in
vostro figlio/a nelle diverse discipline? Cosa ha competizione.
imparato? È meno ansiogeno non avere l’ansia del voto. È più
chiaro, per ogni materia, quali sono le competenze
su cui lavorare per migliorare.

88 Davide Tamagnini
Fa sì che i bambini non si facciano già il problema Ottimo per i bambini e anche per i genitori perché
dei voti dati con i numeri. ci permette di comprendere come poter aiutare me-
Non si giudicano l’uno con l’altro. glio nostro figlio nei suoi “punti deboli”.
Per i bambini è più comprensibile rispetto al clas- Ha fatto la differenza e siamo orgogliosi di essere
sico voto. partecipi.
È un’entrata morbida, più accogliente, nel mondo
della valutazione, ma prima o poi si dovrà abituare Emerge chiaramente una paura: “Va bene fin-
al sistema comune di scuole e università.
ché sono piccoli, ma poi nella vita scolastica fu-
Mia figlia lo ha preso come un gioco, cercava di tura (e non solo) si troveranno spiazzati perché
fare meglio perché “se arrivo al ‘verde’ vuol dire incontreranno la vera valutazione”. La proposta
che sono brava!”. Io sono contenta perché non ha di alcuni genitori è di inserire prima della fine
sentito il peso della valutazione e noi genitori, con della primaria l’utilizzo dei voti, una sorta di cura
una valutazione così dettagliata, siamo riusciti a

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omeopatica che “avvelenandoci” a piccole dosi
capire bene le capacità di nostra figlia.
ci garantisce la sopravvivenza e ci permette al
È semplice e chiaro per i bambini. Meno ansia, contempo di sviluppare gli anticorpi necessari a
avranno tanto tempo per avere ansie! fronteggiare questa brutta malattia. È chiaro che
non siamo d’accordo con l’idea che la “vera valu-
tazione” sia quella espressa con i voti in decimi,
Quali aspetti da migliorare ma sicuramente siamo consapevoli della necessità
Nessuno (13 volte). di traghettare i bambini a comprendere forme di
Rendere più snella la tabella, meno particolareg- valutazione diversa.
giata.
Responsabilizzare di più i bambini (forse, il mio). B) La tabella monitoraggio (la stessa degli insegnanti)
È lo strumento con cui le famiglie seguono il per-
In generale corso di apprendimento del bambino per con-
Penso vada bene per i primi anni di scuola, ma ne- frontarlo, anche, con il punto di vista degli inse-
gli ultimi una valutazione con i voti li preparereb- gnanti. In questo modo possono essere consape-
be a quello che poi li aspetterà nei prossimi anni
scolastici.
voli non solo dei risultati raggiunti dal bambino,
ma anche di quali sono gli specifici ambiti su cui
Perfetto sia per i bambini sia per i genitori. Più pre- si incentra il lavoro a scuola.
ciso e molto meno stressante.

Interessante. Una perplessità: spero non abbiano


problemi quando poi, nei prossimi anni si troveran-
no a essere valutati con i numeri. Faq
È un ottimo metodo, innovativo e soprattutto sti- Riportiamo in questa sede gli interrogativi più
molante per i bambini che hanno la possibilità di frequenti e le critiche più schiette a riguardo del
auto-valutarsi in maniera corretta. modello di valutazione sperimentato, perché ci
Positivo.
permettono di dare un’immagine del confronto
Ottimo. Bello spiazzare genitori e amici non dando su questo tema:
loro la possibilità di stilare classifiche!
Ottimo. L’avrei voluto anche per gli altri miei figli. 1. Come abituare i bambini ai voti degli altri ordini
Bello e pratico. di scuola?

SI PUÒ FARE 89
Non bisogna abituarli, bisogna renderli consape- di apprendimento. Il problema è che il voto è un
voli. Pensiamo che i bambini non abbiano biso- feedback di risultato che non dice nulla del pro-
gno di prendere dei voti per capire questo siste- cesso (infatti posso copiare un esercizio che non
ma. La scommessa sarà quella di far crescere in so risolvere e prendere comunque un bel voto).
loro la capacità critica e le competenze necessarie La tabella di monitoraggio che non compare
per continuare a muoversi consapevolmente an- mai in classe si palesa solo alla fine dei quadri-
che in un contesto scolastico in cui si utilizzino mestri. Il rimando positivo viene dato in itinere
i voti. Sarà un confronto interculturale: avranno dall’insegnante che osserva quotidianamente il
sicuramente bisogno di conoscere l’altro model- bambino al lavoro; lo stesso vale per il feedback
lo, comprenderne il funzionamento e il senso, ma negativo.
non per questo subirlo.
5. Come far capire questa cosa ai genitori?

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2. Così non vengono valorizzate le eccellenze. Banalmente direi che è sufficiente considerar-
Questa affermazione disvela una premessa cul- li persone intelligenti capaci di capire. Bisogna
turale micidiale: sono i voti e i raffronti a valo- metterli nella condizione di capire e per fare
rizzare chi “va bene” a scuola o chi “è bravo”. questo è necessario incontrarli più volte e spie-
Pensiamo, invece, che le potenzialità di ciascuno gare loro il senso, i limiti e le possibilità che que-
vadano sostenute e valorizzate con una didattica sto diverso approccio può sviluppare. Bisogna
individualizzata, capace – per dirla con un’im- cominciare investendo tempo per costruire una
magine potente e significativa – di situarsi nella relazione di fiducia, basata sull’ascolto.
zona di sviluppo prossimale di quello specifico
bambino. La valutazione non è una valorizzazio- 6. Se un bambino si traferisce in un’altra scuola?
ne, ma il confronto con un punto di vista, con La tabella di monitoraggio descrive in modo più
un’interpretazione della realtà. analitico e completo le capacità di un bambino,
sicuramente più di un voto in una disciplina che
3. Che tipo di verifiche vengono fatte? è sintesi di una serie di fattori spesso non esplici-
Non ci sono verifiche. La tabella di monitoraggio tati (un 6 di matematica ci dice se quel bambino
viene compilata sulla base dell’osservazione quo- ha bisogno di lavorare sul sistema del numero o
tidiana dell’insegnante. Non possiamo valutare su quello del calcolo?). Inoltre, se penso al pas-
gli apprendimenti durante le fasi di sviluppo de- saggio dalla primaria alla secondaria di primo
gli stessi, possiamo limitarci a registrarne i pro- grado, si ravvisano notevoli discrepanze nell’at-
gressi, le difficoltà di percorso, consapevoli che tribuzione dei voti: bambini che fino a dieci anni
i frutti di ciò che un bambino apprende e com- erano abituati ad avere 8 o 9 in italiano, cambia-
prende si raccoglieranno nella vita, comunque in no scuola e quei numeri si trasformano spesso
un arco di tempo più lungo di un anno. Lo stesso in un 6. Questo spiega da sé che i voti non sono
vale per l’insegnamento (non a caso è l’altro ter- garanzia di equo trattamento e oggettività.
mine che insieme ad apprendimento costituisce
il binomio dell’esperienza), la cui qualità si può 7. Quanti studenti ci sono in classe?
verificare nella vita stessa. Sono 16, un numero perfetto! Non è stato però il
numero a farci scegliere di praticare questa stra-
4. I bambini non hanno bisogno di un rimando da, è stata una necessità. Comunque non è stata
positivo? una strada facile, ma almeno ha dato un senso di
Non solo, i bambini vanno sostenuti nei processi leggerezza alle fatiche quotidiane.

90 Davide Tamagnini
8. Rischioso costruire un percorso mentre lo si sta
facendo!
Non c’era tempo per fare altrimenti, dovevamo
iniziare con una classe prima e bisognava partire
con un piede diverso; eravamo come davanti a un
torrente da attraversare, un sasso per volta era il
massimo della stabilità su cui potevamo contare,
ma stiamo riuscendo ad attraversarlo. Pensiamo,
inoltre, che questo modello vada necessariamente
costruito insieme.

Le persone che sono state positivamente colpite

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da questo approccio alla valutazione ci chiedono
la ricetta per replicare l’esperienza. Ancora una
volta ci troviamo a dire che sbagliano richiesta:
la valutazione è un aspetto del modello di scuola
che stiamo cercando di costruire, partire da esso
senza modificare il resto sarebbe inutile.

SI PUÒ FARE 91
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Riflessione senso al silenzio, quale possibilità concreta per ri-
flettere.
Ogni settimana abbiamo formalizzato un mo-
e confronto mento di conversazione: seduti in cerchio, per
almeno un’ora, abbiamo imparato a parlare, ad
ascoltare, a confrontarci. Abbiamo imparato a
dare voce ai pensieri, alle emozioni e ad accostar-
ci in silenzio alla voce degli altri, quasi fossimo la
cassa di risonanza dentro la quale essa potesse vi-
brare. In questo “spazio” di narrazione non sono
mancate anche le occasioni esplicite di riflessio-
Maestra, perché si chiama corridoio se non si può
ne. Una volta abbiamo provato a dare significato

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correre?
alle regole che avevamo condiviso: ascoltare103,
parlare a bassa voce, rispetto e bellezza104. Non
Un bambino della scuola primaria
era sufficiente che campeggiassero su una parete;
avevamo bisogno di metabolizzarle.

La riflessione non è stata solo un momento, ma Ascoltare


uno stile che quotidianamente ci ha permesso di
guardare all’esistente con uno sguardo capace di “Cosa vuol dire per voi ascoltare?”
metterci in discussione, di meditare sulla prassi “Ascoltare la gente.”
e di allenare il pensiero critico. Riflettere sulle “Devi guardare negli occhi quello che parla.”
normali situazioni è un’occasione cruciale per far “Non interrompere.”
emergere quegli aspetti che sembrano scontati o “Non devi parlare mentre qualcuno parla, se no,
ignorati: su questi ci si deve poter confrontare per non lo ascolti!”
esplicitarli meglio e conoscere più pienamente “Non devi fare altro.”
ogni cosa. “Non giocare quando stiamo facendo lezione.”
Riflettere è innanzitutto impegnarsi a trovare le “Quello è il rispetto!”
parole per descrivere quel che si vive. L’eserci- “Dobbiamo concentrarci sulla persona che sta par-
zio che sta a monte della riflessione è l’ascolto; lando. Solo così riusciamo ad ascoltare le cose che
attraverso di esso possiamo “toccare” il pensie- arrivano alle nostre orecchie.”
ro, metterlo in comunicazione con le nostre idee “Sai cosa devi fare? Devi sgridarlo come fanno i
per modificare le nostre esperienze. Ascoltare è papà e portargli via la cosa che ha!”
dunque fare spazio dentro di sé per accogliere e “Si fa così?”
comprendere i punti di vista dell’altro, portatore “Chi si comporta male… niente cartoni e niente
di una visione simile o distante dalla nostra, che televisione!”
ci permette di arricchire il nostro pensiero con- “Secondo voi perché dobbiamo ascoltare?”
dividendo il suo, sia esso un’esclamazione o una
domanda.
103. All’inizio del secondo anno i bambini hanno modificato leggermente
Solitamente a scuola si impara a stare fermi e in questa regola in “ascoltarsi”, una sfumatura lessicale per un tono
silenzio. Con il lavoro libero abbiamo già illustra- semantico intenso.
104. Questa regola è stata proposta da me con un tale entusiasmo che i
to di aver potuto trasformare il primo divieto in bambini hanno accettato di annoverarla nell’alveo delle regole di classe,
un invito a muoversi e a toccare, ora ci serve dare probabilmente, per farmi contento.

SI PUÒ FARE 93
“Per capire le cose.” tutto noi stessi.”
“Perché così si impara.” “Ieri dovevo fare le pulizie, ma mi son dimentica-
ta!”
Parlare a bassa voce “Eppure oggi la classe sembra pulita!”
[…]
“Cosa vuol dire per voi?” “Perché dobbiamo rispettare gli altri e le cose degli
“Non urlare, perché se no ci viene il mal di testa.” altri?”
“Non devi parlare sopra qualcuno perché se no “Perché sono preziose.”
non senti quello che sta dicendo.” “Perché gli altri se no piangono.”
“Quindi se noi parliamo a bassa voce è…” “Li facciamo soffrire.”
“… più facile ascoltare!” “Se facciamo una cosa per un amico, lui deve dire
“Che strano! Provate a pensarci: se io mi metto a gri- anche grazie.”

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dare [lo dico gridando] per voi è più facile ascoltar- “È vero, Il rispetto si vede anche quando diciamo
mi?” grazie. Se per sbaglio faccio qualcosa di male…”
“No!” “Chiedo scusa!”
“Dà fastidio!” “Anche scusarsi è una forma di rispetto.”
“Se mi metto a parlare così [lo dico a bassa voce] vi
è più facile ascoltarmi?” Bellezza
“Sì!”
“Sembra quasi una magia!” “La bellezza: cos’è?”
“Però quando facciamo gli sciocchi, il maestro deve “Tenere le cose belle.”
alzare un po’ la voce!” “Come facciamo a tenere le cose belle?”
“Allora aiutatemi a non alzare la voce… impariamo a [nessuno risponde]
parlare a bassa voce.” “Tenerle in ordine.”
“Così possiamo ascoltare meglio!” “Fatemi un esempio di qualcosa di bello… se non
avete niente di bello come fate a sapere cos’è la bel-
Rispetto lezza!”
“La mia mamma e il mio papà!”
“Una parola sola che vuol dire tante cose: chi me la “Un gioco regalato!”
spiega?” “La mia scuola!”
“Vuol dire… ascoltare.” “Questa classe!”
“Non disturbare gli altri quando stanno facendo “Cosa la rende bella?”
qualcosa.” “Facciamo dei lavori bellissimi.”
“Non picchiare.” “Stupendi!”
“Rispettare le cose degli altri… averne cura.” “La teniamo pulita.”
“Allora il rispetto non è solo per le persone, ma anche “Secondo me questa classe è bella perché voi siete belli!”
per le cose!” “Grazie.”
“Vuol dire tenere la classe pulita.” “Voi dovete sapere di essere una delle cose più belle
“È una forma di rispetto verso chi?” di questa classe. Se lo sapete potete sentirvi responsa-
“La classe!” bili della bellezza; è una delle cose più importanti che
“Il comune!” abbiamo e per farla crescere c’è bisogno dell’aiuto di
“La scuola!” tutti.”
“Forse tenendo la classe pulita rispettiamo prima di “La bellezza ci rende felici!”

94 Davide Tamagnini
In altre circostanze queste esperienze di riflessione A giugno i bambini sono stati invitati a riflet-
sono state un’occasione di auto-valutazione impor- tere solo sugli aspetti positivi rispetto a quanto
tante, a cui anche la scuola ha dato valore, inseren- sentivano di aver imparato dall’inizio dell’anno.
do i testi elaborati da ciascun bambino all’interno I diversi contributi sono stati cuciti insieme con
della pagella del primo e del secondo quadrimestre. un elementare lavoro di scrittura collettiva e ne
A gennaio ognuno ha riflettuto sulle cose che aveva è nata una filastrocca (inserita nello spazio di
imparato e su quelle in cui si sentiva in difficoltà, auto-valutazione nella pagella finale). Tanto ci è
ascoltando anche i punti di vista dei compagni che piaciuta che abbiamo deciso di musicarla e, ac-
aiutavano a integrare lo sguardo di ogni bambino. compagnandola con dei semplici accordi di chi-
tarra, l’abbiamo cantata ripetutamente. Una sorta
Primo quadrimestre di saluto finale che lasciava intravedere la voglia
di rivedersi presto.

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SI PUÒ FARE 95
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I compiti 1. Impara bene ad allacciarti le scarpe: conqui-
sterai un pezzo importante della tua autono-
mia.
2. Fatti aiutare da un adulto a preparare una tor-
ta per qualcuno: ti aiuterà a scoprire come è
bello fare delle sorprese.
3. In casa o all’aperto gioca a fare le capriole: ti
aiuterà a capire come è importante che men-
Questo paragrafo sarà breve. Niente compiti, al- te e corpo si coordinino.
meno fino a quando non saranno autonomi per 4. Fai una passeggiata: se vai in pianura o in un
svolgerli. L’esercizio si fa a scuola e degli appren- bosco, raccogli qualche piccolo fiore, foglia e
dimenti ne è responsabile l’insegnante. Troviamo filo d’erba. A casa mettili a seccare dentro un

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che sia scorretto delegare questi due aspetti alle libro e poi incollali sul tuo quaderno e scrivi
famiglie, perché non tutte le famiglie sono in gra- sotto un nome inventato per ciascuno. Se vai
do di seguire i propri figli nei compiti e questo in spiaggia, con il secchiello raccogli le con-
non farebbe altro che aumentare delle differenze chiglie o i sassi più belli. A casa incollali su
in termini di possibilità che ci sono e che, non un cartone e scrivi sotto un nome inventato
potendo colmare, non vogliamo anche aggravare. per ciascuno: ti aiuteranno a imparare a os-
Più volte ci è capitato che i bambini chiedessero: servare e aver cura dei particolari che ti cir-
“Posso continuare questa cosa a casa?” in queste condano.
occasioni abbiamo assecondato il loro desiderio. 5. Se vai in montagna fai una passeggiata verso
Gli unici che durante l’anno hanno avuto i com- l’alto e quando sei in cima guarda il panora-
piti sono stati i genitori. A loro si è chiesto in più ma: potrai capire la gioia della fatica.
occasioni di lavorare per leggere ai bambini i libri 6. Fatti aiutare da un genitore a fare la vertica-
che loro sceglievano di portare a casa dalla bi- le contro un muro: ti aiuterà a capire che il
blioteca e per imparare a osservare gli apprendi- mondo si può osservare da un altro punto
menti dei propri figli105. di vista.
Abbiamo fatto un’eccezione per le vacanze estive 7. Una sera osserva il cielo stellato: ti aiuterà a
e così ci siamo impegnati a preparare dei compi- capire che la bellezza va ammirata e non pos-
ti per i bambini. Di seguito la lettera che hanno seduta. Se guardando le stelle riesci a unirle
ricevuto: con delle linee immaginarie per formare delle
figure (animali, cose, persone…) inventa una
Ti lascio questo elenco di cose da fare, puoi anche storia con questi personaggi e raccontala a
non farle tutte! Prendilo come un invito e non come qualcuno. Se sei fortunato e vedi le stelle ca-
un obbligo. Se senti che ti stai annoiando, lascia sta-
re quello che stai facendo e vai a fare qualcosa di
denti (magari tra il 9 e il 10 agosto), esprimi
più divertente: tornerai più motivato, in un altro un desiderio.
momento, per finire il lavoro! 8. Cerca un amico con cui vivere qualcosa di av-
Se ti serve un quaderno per scrivere usa il tuo “pri- venturoso: ti aiuterà a capire che insieme si
mo quaderno”, quello che ti ho rilegato e conse- può fare molta più strada.
gnato alla fine della scuola.
9. Fai una giornata senza usare la tecnologia (te-
Buona estate a te e alla tua famiglia.
Maestro Davide levisione, tablet o telefono). Concorda il gior-
no con i tuoi genitori affinché la televisione
105. Questo punto verrà approfondito nel capitolo successivo. non venga accesa durante i pasti. Scrivi sul

SI PUÒ FARE 97
tuo quaderno cosa avete fatto e come è stata gli un nome e spiega sul tuo quaderno a cosa
questa giornata: ti aiuterà a scoprire che ci serve o come lo si può utilizzare. Portalo a
sono modi diversi per essere felici! scuola a settembre o fagli una foto: ti aiuterà
10. Passa del tempo senza saper cosa fare, an- a tenere viva la tua creatività.
noiati! Ti aiuterà a capire che il tempo non 18. Coltiva il seme di un frutto e prova a farlo
organizzato è quello in cui hai occasione di crescere: ti aiuterà a capire come è bello e
riflettere, capire e inventare. difficile prendersi cura degli altri.
11. All’inizio dell’anno avevi portato a scuola dei
libri (italiano, matematica e inglese). Cerca Ricorda sempre che quando scrivi devi scrivere le
delle pagine che ti interessano e fai pure gli parole “come le hai in testa”, ricordati di rilegge-
re ciò che hai scritto, usando il dito, e di ascoltare
esercizi che ti propongono. A settembre mi bene i suoni delle parole e riflettere sulle sillabe
farai vedere cosa hai scelto e come lo hai fat-

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(ciò ti può essere d’aiuto per correggere quanto
to: ti aiuterà a esprimere le tue scelte e i tuoi hai scritto).
interessi. Ancora buone vacanze! Ciao!!!
12. Assaggia più volte qualcosa di nuovo, qual-
cosa che pensi non ti piaccia: un frutto, una
verdura, un gusto di gelato. Disegna e scrivi
sul tuo quaderno cosa hai scelto, quante volte
lo hai assaggiato e se ti è piaciuto: ti aiuterà
a capire che nella vita si può dire “Mi sono
sbagliato” e che si può anche cambiare idea.
13. Esercitati con la linea del 20. Gioca a ricono-
scere i numeri e a fare semplici operazioni.
Riscrivi sul tuo quaderno le operazioni che
hai fatto usando sia le cifre, sia i pallini: ti
aiuterà a imparare a lavorare velocemente
con le quantità.
14. Scrivimi una lettera, raccontandomi le cose
belle che ti sono successe in questi mesi. Se
ti va di aggiungere un disegno o una foto per
spiegare meglio fai pure. Ricordati di scrive-
re il tuo indirizzo così potrò risponderti! Ti
aiuterà a non dimenticare che scrivere serve
per comunicare.
15. Prova a leggere da solo il libro che hai preso
in biblioteca: ti aiuterà a capire che la vera
lettura è quella nella mente, che accende
l’immaginazione.
16. Guarda qualche cartone che già conosci, ma
in lingua inglese: ti ricorderai che ci sono al-
tri modi per capire le storie.
17. Costruisci un oggetto di tua invenzione con
dei materiali da riciclo che trovi in casa. Da-

98 Davide Tamagnini
Rapporto ficoltà e le possibilità, abbiamo dato disponibilità
per dei colloqui individuali ogni giorno finita la
scuola. Questo non ha creato la coda fuori dal-
con le famiglie la porta, né c’è stato mai un eccesso di richiesta,
però il messaggio era che noi insegnanti c’erava-
mo. Allo stesso modo abbiamo allungato i tempi
dei colloqui di metà quadrimestre ad almeno 15
minuti per famiglia, perché i 5 minuti canonici
non sono un tempo sufficiente al confronto.
Così è iniziato l’anno nella nostra classe: i genitori
sono stati accolti il primo giorno di scuola insieme
Per realizzare ciò che vi abbiamo raccontato in
ai figli e chi poteva si è fermato con noi un paio

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queste poche pagine è stato necessario investire
d’ore, fino all’intervallo, per lavorare insieme ai
tempo e risorse per costruire dei rapporti di fi-
figli nelle attività pensate per la prima giornata.
ducia e confronto con le famiglie e con i colleghi.
Nel giro di pochi giorni sono stati convocati per
Partiamo dalla cosa meno impegnativa: le fami-
un’assemblea nella quale abbiamo spiegato loro
glie.
chi eravamo, come avevamo scelto di lavorare e
Qui si apre un mondo di storie. Quelle della sem-
quali erano gli aspetti principali delle discipline
plice fatica quotidiana, delle gioie e delle sorpre-
che riempiono l’orario scolastico. Tutte le nostre
se, del calore, della debolezza, dell’abbandono,
scelte, piccole o grandi, sono state motivate (lo
delle paure, di chi chiede aiuto. Siamo consape-
spazzolino da denti, i quaderni, i voti, l’approccio
voli che tutto questo influenza lo stare a scuola
alla letto-scrittura…) A distanza di tempo una
dei bambini, gli stimoli che raccolgono, gli inter-
mamma ci ha confessato che non aveva creduto
rogativi che nascono dalle loro vicende quotidia-
a queste parole:
ne, le possibili risposte che riescono a costruire.
In questo senso dobbiamo capire meglio il punto Non insegneremo ai vostri figli a leggere e scrivere,
di partenza dei bambini, non per farci raccontare ma ci affiancheremo a ciascuno di loro per accom-
i risvolti privati, familiari, delle loro vite, ma per pagnarli a consolidare la lettura e la scrittura.
dare al sistema scuola-famiglia una cornice inte-
grata. Era anche preoccupata che non venissero inse-
Dobbiamo allenarci a vedere i genitori come “al- gnati ai bambini gli altri caratteri della scrittura,
leati” e non “avversari” educativi, come portatori “… poi però ho visto che iniziava a leggere i gior-
di risorse e non di problemi. Spesso troviamo che nali, che voleva leggersi da sola alcuni libri!”. Per
la scuola sia vittima della paura, nel senso che si dirla con Rousseau “di solito si ottiene con tutta
trincera dietro ai ruoli – che comunque ci sono – sicurezza e assai presto ciò che non si ha fretta di
e dall’alto manda segnali talvolta incomprensibili ottenere”.
e contradditori. Era nostra intenzione costruire un rapporto di
Dobbiamo costruire un rapporto di coinvolgi- fiducia con le famiglie, che dopo un anno han-
mento e distacco. no visto i loro figli crescere e imparare senza mai
Dobbiamo costruire una relazione aperta e tra- perdere la gioia e l’entusiasmo nel venire a scuo-
sparente. la. Ci hanno dato fiducia (famiglie e bambini),
Dobbiamo conoscerci, ascoltarci e confrontarci. ma sappiamo anche che nei prossimi anni l’ansia
Tenendo presenti le reciproche aspettative, le dif- dei genitori aumenterà (“Riusciranno a impara-

SI PUÒ FARE 99
re tutto?”). Ci impegneremo ad affrontarla e a
rispondere alla voglia di apprendere di ciascun
bambino per dare a tutti quelle conoscenze e
competenze che permetteranno loro di affron-
tare il percorso di crescita possibile dentro la
scuola, non solo la nostra. Un indicatore del tipo
di rapporto che abbiamo costruito ci sembra sia
dato dal tono emotivo dei colloqui, degli incontri
autentici e profondi, e dall’inclinazione delle fa-
miglie ad accogliere i nostri inviti “paradossali”
(uscire all’aperto anche se piove, dormire a scuo-
la…). Ogni richiesta che è stata avanzata nasceva

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da un desiderio dei bambini o nostro nel quale
abbiamo sempre possibilità per crescere come
persone.

100 Davide Tamagnini


Rapporto del tempo. Così abbiamo proposto alla dirigen-
te di utilizzare parte del monte ore che ci vede
impegnati a scuola a giugno per dei momenti
con i colleghi di supervisione quindicinale. Gli insegnanti del
plesso che erano interessati si fermavano un’ora
dopo la “programmazione” per questo momento
di lavoro con la finalità di imparare a riflettere
sulla propria prassi educativo-didattica. Ci siamo
dati degli obiettivi:

• stimolare la capacità di auto-osservazione;


Tra gli aspetti più scomodi e delicati del nostro • trovare uno spazio mentale e di confronto per

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lavoro, il rapporto con i colleghi è forse il più ac- mettere in discussione la propria prassi;
cantonato; ma più lo si respinge più diventa causa • imparare a confrontarsi tra colleghi su aspetti
di diversi malesseri. Eppure sappiamo quanto sia quotidiani del proprio lavoro;
importante per i bambini imparare dai loro coe- • imparare a legittimare e ascoltare i diversi pun-
tanei, perché vivere esperienze di gruppo aiuta lo ti di vista.
sviluppo della loro identità sociale, culturale e dei
loro apprendimenti. Così insegnare in una scuola All’interno di una precisa cornice: costruire un’e-
significa entrare a far parte di un gruppo di lavo- sperienza di sostegno alle problematiche (perché
ro che, nella maggior parte dei casi, ha già una conflittuali, frustranti…) che emergono nelle vi-
storia, un linguaggio e delle pratiche consolidate, cende quotidiane in classe. Un sostegno concreto
magari non condivise, ma il ritornello che spesso che, a partire dalle riflessioni di ciascuno, porti a
ci si sente ripetere quando si interroga qualcuno: elaborare nuove strategie di risposta alle proble-
“Perché qui si fa così?” la risposta è: “Qui si è maticità vissute da tutti, in quanto ogni “storia”
sempre fatto così!”. dà a ciascuno la possibilità di rispecchiarvisi.
Ogni volta che un “nuovo arrivo” entra a far parte Un insegnante a turno ha portato all’attenzione
di un gruppo si mettono in atto contemporanea- del gruppo una situazione problematica, sia essa
mente dinamiche opposte: l’accoglienza-esplora- un momento particolare come un’intera lezione.
tiva per conoscere e farsi conoscere, che è ancora Questa è stata presentata in forma scritta: il man-
un annusarsi a distanza, un “vediamo cosa suc- dato era quello di scrivere un testo il più possibile
cede”, un mettersi alla prova senza esporsi ec- analitico e descrittivo, in cui la presenza dei par-
cessivamente; contemporaneamente sul versante ticolari aumenta la possibilità di comprensione da
opposto parte la cordata difensiva di coloro che si parte del gruppo.
fanno garanti del patrimonio culturale accumula- La supervisione comincia con la lettura della
to negli anni. Sono dinamiche che in tempi e mo- “situazione di difficoltà” da parte dell’autore,
menti diversi possono riguardare persone diverse mentre gli altri insegnanti seguono la lettura gra-
o essere presenti come elementi altalenanti nella zie a una copia del testo. Il confronto comincia
stessa persona. dall’analisi del lessico utilizzato nel testo per poi
Nella nostra esperienza abbiamo lavorato da su- passare al confronto sulle interpretazioni (i punti
bito perché il gruppo di insegnanti costituisse di vista), cercando così di elaborare proposte di
una rete di condivisione e solidarietà, ma per far- risoluzione alternativa e riflessioni per un’imple-
lo abbiamo dovuto, intenzionalmente, dedicarci mentazione delle competenze didattiche ed edu-

SI PUÒ FARE 101


cative. L’ultima parola è dell’insegnante latore e fastidiosi, marginali e irritanti, perché in-
del testo per un momento di valutazione finale congruenti con le proprie certezze.
6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i
su quanto emerso nel lavoro di gruppo.
paradossi del pensiero e della comunicazio-
Il setting della supervisione prevede la presenza ne interpersonale. Affronta i dissensi come
di un insegnante-facilitatore degli aspetti di pro- occasioni per esercitarsi in un campo che lo
cesso: ascolto, confronto e sintesi finale. La di- appassiona: la gestione creativa dei conflit-
sposizione del gruppo è in cerchio, rivolto verso ti.
un cartellone/lavagna sul quale l’insegnante-fa- 7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare
devi adottare una metodologia umoristica.
cilitatore trascriverà tutti i contributi dei parteci- Ma quando avrai imparato ad ascoltare, l’u-
panti; visualizzare i contributi via via che emer- morismo verrà da sé.
gono facilita la visione complessiva di quanto
emerso, stimola il confronto e comunica lo stile

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Al termine del primo incontro si è deciso di fare
di ascolto che si vuole ottenere. un momento di valutazione della nuova espe-
Prima di iniziare questo percorso abbiamo por- rienza per capire se vi erano le condizioni per
tato un semplice, ma potente, approfondimento continuarla. Ciascun insegnante ha motivato così
sull’ascolto, al fine di ribadire una competenza il perché “continuare” o “non continuare” la su-
centrale della professione insegnante e porre l’at- pervisione:
tenzione su quanto è necessario preservare nella
supervisione: una cornice di ascolto, dove i punti Perché continuare
di vista vengono messi in gioco, dove si impara a Per arrivare a essere più sicura di me stessa.
prendere le distanze dal proprio e ad avvicinarsi Per confrontarmi con gli altri, in modo più profon-
a quello degli altri, legittimandoli entrambi. do.
Imparo a conoscere meglio le persone con cui la-
voro e instauro rapporti più significativi e meno
Le 7 regole dell’arte di ascoltare106
superficiali.
Perché mi sento più sostenuta e meno sola nell’af-
1. Non avere fretta di arrivare a delle conclu- frontare i problemi.
sioni. Le conclusioni sono la parte più effi- Perché mi fa bene, mi arricchisce.
mera della ricerca. Perché posso aiutare ed essere aiutato.
2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vi- Perché è stata un’esperienza di condivisione, con-
sta. Per riuscire a vedere il tuo punto di vi- fronto e accrescimento.
sta, devi cambiare punto di vista. Perché è stato un bel momento, costruttivo e arric-
3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta chente che permette di mettersi in gioco accettan-
dicendo, devi assumere che ha ragione e do i consigli e i punti di vista degli altri.
chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli Perché è stato utile e interessante.
eventi dalla sua prospettiva. Perché posso imparare qualcosa di nuovo: su come
4. Le emozioni sono degli strumenti conosci- fare l’insegnante, su me stesso e sui miei colleghi.
tivi fondamentali se sai comprendere il loro Ho potuto ricavare spunti e modalità di interagire
linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, con gli alunni e poter al meglio interagire, senza
ma su come guardi. Il loro codice è relazio- poter cadere nell’incomprensione, nel creare in me
nale e analogico. o/e nei piccoli allievi frustrazione.
5. Un buon ascoltatore è un esploratore di Perché non posso fare l’insegnante da solo.
mondi possibili. I segnali più importanti
Perché non continuare
per lui sono quelli che si presentano alla
coscienza come al tempo stesso trascurabili Non è pervenuta alcuna indicazione.
Questi alcuni dei resoconti:
106. Sclavi, 2003.

102 Davide Tamagnini


Non ti sopporto più! gressività/bisogno di contatto con i compagni, voglia
Classe I di correre/eccitazione motoria. Comportamenti che
io cerco di contenere per una questione di spazi e di
Oggi, per la prima volta, mi sono messo a gridare in incolumità sua e dei compagni (i quali si lamentano
classe. Ero fuori di me, arrabbiato, esasperato. delle sue spinte e calci).
Finito l’intervallo si riprende da dove eravamo rima-
Tutto è cominciato quando A., questa mattina, è sti: la prima manche si era conclusa con la vittoria
arrivato a scuola e dopo pochi minuti mi ha detto di un gruppo (non quello di A., che è arrivato se-
che non si sentiva bene (“Ho male qui”, indicando il condo) e ora c’era una seconda possibilità per tutti.
petto) e che voleva che chiamassi la mamma perché In questa cornice, A. ha cominciato a comportarsi
lo riportasse a casa. Io l’ho coccolato, ho cercato di in modo diverso: calci ripetuti sotto la sedia della
farlo sorridere e gli ho chiesto se gli sarebbe piaciuto compagna, parlare ad alta voce e non a proposito
che cantassimo una canzone (“La musica e il canto mentre qualcun altro (compagno o maestro) inter-
a volte, sai, fanno guarire!”). Lui era contento della veniva ai fini del gioco – questo è il comportamento

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proposta; così mi sono seduto accanto a lui a suona- che più spesso mette in atto, parlando tra sé e sé,
re la chitarra, mentre tutta la classe, A. compreso, di calcio o esprimendosi con versi. Ogni tanto inter-
cantava la canzone. Finito questo momento abbia- vengo per chiedergli o di intervenire a proposito o
mo distribuito gli incarichi della giornata e abbiamo di fare silenzio perché qualcuno sta parlando o per-
cominciato con l’attività del calendario. ché, questo suo modo di fare, può essere causa di
A. ha ricominciato a lamentarsi del suo dolore e a mal di testa per qualcuno e di rabbia per me. In due
piagnucolare che voleva andare a casa. Io l’ho invi- occasioni i suoi interventi causano una penalità per
tato a resistere, perché non mi sembrava un dolore la sua squadra (“Avete perso un punto, ora siete a
reale, piuttosto un “mal di scuola” o “voglia di mam- 4” dico io). Lui sfacciatamente e prontamente ri-
ma”. Lui mi ha chiesto ancora più volte di chiamare sponde che non è vero – un ritornello che ripropone
subito, allora io gli ho detto che se il dolore era tale spessissimo, come “Non lo faccio più” – e che il loro
da farlo piangere, oltre alla mamma, avrei chiama- punteggio era ancora quello di prima; io ribadisco la
to l’ambulanza perché era un caso grave e dunque penalità e lui il contrario. Non sono disposto a cede-
serviva un medico. Lui non voleva questo e mi ha re su questo e ribadisco che la sua squadra ha perso
detto, carinamente, che la mamma sapeva quello un punto. Continua il gioco, ma lui non si ferma e,
che serviva per farlo guarire e che a casa aveva una poco dopo, la compagna sedutagli accanto, mi dice
medicina che faceva al caso suo. Io ho ribadito che se che A. continua a prenderla in giro. Io non mi ero
il dolore era tale da dover chiamare la mamma, avrei accorto che la parola che da qualche minuto A. con-
chiamato anche un medico, intanto doveva resistere tinuava a ripetere, fosse in realtà la storpiatura del
almeno fino all’intervallo e poi avremmo fatto le te- nome della compagna. “A., non è bello prendere
lefonate necessarie. Lui ha accettato la mia proposta in giro i compagni!”, lui ripete quel nome e ride ad
e si è quietato. alta voce, cerca lo sguardo compiacente di qualche
Finite le attività di routine all’inizio della giornata, compagno – che solitamente ride del suo comporta-
ho ripreso un lavoro importante che il giorno prima mento – non lo trova e ride sguaiatamente più volte.
non avevamo terminato e che richiedeva l’attenzio- Per me è uno stillicidio e sbotto: urlo, mi avvicino a
ne e la partecipazione di tutti: A. dal suo posto era lui con fare severo e minaccioso, gli chiedo di darmi
partecipe e non sembrava distratto dal suo “dolore”. il diario perché devo raccontare queste cose alla sua
A un certo punto ho invitato i bambini a fare un gio- famiglia, perché non è possibile che lui ogni giorno
co a piccoli gruppi; A. felice e galvanizzato si è alzato trasgredisca le regole della classe, che si comporti
in piedi esultando: “Evviva! Io gioco! Sono guarito!” male… Lui mi dice che non è vero che si comporta
senza contenersi. Gli ho chiesto conferma della sua male, che alla mamma lui dirà che si è comportato
rapida guarigione e poi, rivolto a tutta la classe ho bene, che è stato bravo. Io mi fermo, mi siedo, pren-
fatto notare che A. avrebbe giocato con i compagni do fiato, cerco di interpretare il sentimento di tutti
perché era ormai guarito. L’attività a gruppi è anda- i bambini e poi, pacatamente, provo a verbalizzare
ta avanti fino all’intervallo e fin qui tutto bene. quanto accaduto: provo a ritessere il filo narrativo di
Durante l’intervallo A. ha cominciato a mettere in quanto avvenuto durante tutto l’arco della mattina
atto alcuni atteggiamenti che manifesta spesso: ag- e chiedo scusa per aver alzato così tanto la voce.

SI PUÒ FARE 103


Provo a riprendere il gioco, che ormai volgeva al Dall’ascolto e dalla riflessione sul testo vengono
termine, mancava un’ultima parola da scrivere alla evidenziate le seguenti parole o locuzioni (in ne-
lavagna. Mentre un bambino è alla lavagna per
scriverla, qualcuno dice ad A. che ora il maestro gli
retto nel testo):
scriverà una nota sul diario e lui risponde che tanto
poi lui la cancellerà. Io mi arrabbio ancora e peren- Ho male qui: è il mal di scuola, indicatore di una
torio gli dico che lui può anche cancellare ciò che difficoltà del bambino.
scriverò, ma questo non cancellerà ciò che è acca- Non lo faccio più: da considerare come richiesta
duto. Poi, mentre giro per la classe a controllare che
di perdono?
tutti abbiano terminato di riportare le parole scritte
alla lavagna, A. inizia a bersagliarmi di domande: Medico/Ambulanza: un linguaggio violento,
“Cos’ è una nota? Mi ridai il diario? Vero che dopo magari dovuto anche al ripetersi della situazio-
mi ridai il diario? Cos’è una nota?” sembra non vo- ne, comunque eccessivo. Un modo per creare il
lersi arrestare, nemmeno stavolta. Gli dico che non giusto timore e smascherare la bugia.

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è il momento di parlare di questo, anzi che non mi Nota: strumento insegnante-genitori. È stato un
deve parlare fino alla fine della giornata (manca-
vano una decina di minuti). Così procedo fino alla
aiuto per l’insegnante, in quanto lo scrivere è di-
campanella, ignorando le sue incessanti domande. ventato un momento di elaborazione di quanto
accaduto, ma inutile per il bambino.
Questi atteggiamenti di A. sono presenti dalla Penalità: perché girare il coltello nella piaga?
seconda settimana di scuola. Approcci diversi Un’occasione persa per provare una strategia di-
(duro nei suoi confronti e verso i suoi compor- versa e un mettere il bambino in difficoltà con i
tamenti problematici; mite nei suoi confronti e suoi compagni. Indicatore della situazione di dif-
duro sui comportamenti, mite sia nei suoi con- ficoltà in cui si trova l’insegnante.
fronti sia nei comportamenti) non hanno porta- Scusa: uno sprazzo di lucidità; un momento si-
to ad alcun cambiamento significativo. Attorno gnificativo in quanto riconoscimento consapevo-
a questa dinamica ruotano alcuni punti fermi, le di una responsabilità. Indicatore di un cambio
almeno dalla mia prospettiva di osservazione, e di prospettiva: prima l’insegnante era concentra-
sono: to sul bambino, sulla loro dinamica; con le scuse
l’insegnante allarga la cornice completando la
• il momento della giornata in cui questi com- sua prospettiva con se stesso e la classe.
portamenti iniziano a manifestarsi (dall’inter-
vallo); Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di
• la verbalizzazione di un desiderio (andare a difficoltà:
casa, “non voglio stare a scuola”, “voglio anda-
re a casa a giocare a calcio”); • Il bambino chiede attenzione.
• una tematica cara (il calcio, quando parla da • Il bambino ha fatto arrabbiare l’insegnante (la
solo, a voce alta, spessissimo fa il verso di una rabbia è presente nelle parole e negli atteggia-
telecronaca calcistica); menti).
• l’isolamento relazionale (non ha ancora svi- • Si è instaurato un braccio di ferro tra inse-
luppato delle relazioni stabili con i compagni; gnante e bambino: se la dinamica è quella del
nessuno lo cerca); braccio di ferro, alla fine ci sarà un perdente e
• la menzogna (bugie sui dolori, bugie su quelle un vincitore (si capisce che l’insegnante fa di
che fa o che dice di non fare più). tutto per vincere). La questione non è come
“perdere”, ma come modificare la dinamica,
accorgersi prima che sia partita l’escalation e

104 Davide Tamagnini


proporre “un’altra danza”, portare il bambino Perché non rispondi?
in una dinamica meno violenta, più serena, che Classe I
permetta a entrambi (e alla classe) di essere in
In classe sono stata costretta a prendere una po-
ascolto di quel che accade e, all’insegnante, di sizione autoritaria rispetto all’alunna L., la quale
condurre il bambino in una cornice in cui agire alle mie domande non dava una risposta (rimaneva
con più consapevolezza e controllo. zitta) anche se sapevo che lei era in grado di rispon-
• Sembra evidente che il bambino abbia trovato dere.
il punto debole dell’insegnante (l’immagine di
Era un lunedì, ore pomeridiane, L. era sicuramente
autorevolezza).
stanca, la lezione era stata svolta con diversi schemi
• Più l’insegnante cerca di contenere, controlla- e modi anche sui quaderni con ottimi risultati, vo-
re, più la situazione esplode, con relativa perdi- levo fare l’ultima verifica e constatare il risultato.
ta di controllo.

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Le ho chiesto se stava male, se avesse un problema
• In queste situazioni bisogna spostare il focus ma anche a queste domande non ricevevo risposte.
dell’attenzione su noi insegnanti, sulle nostre Mi sono arrabbiata, non capivo il perché lei non mi
rispondesse e con voce alta ho continuato a farle
responsabilità: per ascoltare gli altri dobbiamo molteplici domande riguardanti la materia trattata
imparare ad ascoltare noi stessi (addizione sulla linea dei numeri).
• Cosa vuol dire comportarsi bene (dal punto di I compagni continuavano a incitarla con parole
vista del bambino)? come: “dai è facile… lo abbiamo fatto… perché
non rispondi… maestra voglio dare io la rispo-
sta…”. I bambini non hanno dimostrato particolare
Nel confronto sono emerse alcune indicazioni di
preoccupazione al mio modo, poco usuale, di rap-
possibili strategie alternative: portarmi con loro.
Ho usato diverse strategie: dalla linea disegnata
• Non reagire alla “provocazione” (ballare un’al- alla lavagna a quella fatta a terra con dei cartel-
tra danza): entrare nell’attivazione. lini. Lei, al comando +2, faceva +1, un ½ passo o
• Spezzare il focus della rabbia: acqua fredda addirittura saltava dei numeri; non riuscivo a farle
fare correttamente l’operazione. Alla fine mi sono
(per entrambi!). arresa e ho chiamato un altro compagno.
• Non affrontare subito la difficoltà (con la nota), L’indomani era un’altra persona: sicura, senza incer-
ma rimandare al giorno dopo e confrontarsi tezza e pronta a rispondere alle mie domande.
con il bambino su quanto accaduto, sui vissuti
di entrambi e della classe. Dalla riflessione sul testo vengono evidenziate le
seguenti parole o locuzioni:
Questo rimandare ha, però, portato il gruppo ad
affrontare un’altra tematica. Il rimandare può es- Autoritaria: emerge subito nel testo, sembra esse-
sere visto dai genitori come mancanza di ascol- re la chiave di lettura con cui l’insegnante legge
to da parte degli insegnanti. Partendo da questo la dinamica.
interrogativo è emerso il tema della “paura dei Arresa: perché? Era scontato.
genitori”, come una convinzione nostra che è ne- Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di
cessario sradicare attraverso un confronto aperto difficoltà:
e franco con loro. Dobbiamo iniziare a guardarli
come un punto di riferimento e non degli antago- • Era già accaduto?
nisti (“Noi siamo l’immagine che i genitori han- • Non accetta il comando?
no di noi… Noi siamo l’immagine che i bambini • Perché lo sapevi che era capace? Perché faccia-
hanno di noi”). mo domande di cui sappiamo già la risposta?
SI PUÒ FARE 105
• Quanto era importante per te? Sembra che quindi molto amplificata107.
fosse più importante che lei ti rispondesse in • Cosa ti ha costretto ad assumere “una posi-
quel momento che la risposta in sé. zione autoritaria”? La bambina ti ha portato
• La risposta è un rimando/conferma dell’auto- lì o forse è il passo di danza che ci viene più
revolezza dell’insegnante. Quella dell’allieva è spontaneo: se qualcosa esce dai nostri piani
una reazione. tendiamo a imporre il nostro. Forse il nostro
• Perché la bambina si oppone? Sta esprimendo ruolo è anche quello di coloro che compren-
la propria personalità. dono le situazioni, per cui invece di fare un
• L’insegnante non ha ottenuto quello che vole- passo avanti per imporsi servirebbe un pas-
va (la parola). so indietro per osservare meglio la situazio-
• In un’altra occasione la bambina si era rifiutata ne e comprenderne la complessità.
di recitare una poesia a memoria (compito per

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casa); il giorno successivo la bambina ha cer- Nel confronto sono emerse alcune indicazioni
cato la maestra per farle sentire la poesia: sta di possibili strategie alternative:
decidendo lei i tempi (quando, come e perché)
o stiamo rispettando i suoi tempi? Il primo • Di fronte al silenzio dell’allievo, esprimere
interrogativo è impostato sulla dinamica del il proprio disagio. Non è un mettersi sullo
potere, il secondo su quella dell’ascolto. stesso piano, caricando sulle spalle degli
• Sono quelle situazioni dalle quali non sai come studenti una fatica/difficoltà degli insegnan-
uscirne, ma in tanto è accaduto che il proble- ti a capire la situazione, piuttosto è una ma-
ma non è emerso e l’allieva è rimasta nel suo nifestazione di trasparenza: aiutami a capire
disagio. come poterti aiutare!
• Anche noi abbiamo le giornate no, quelle in • Non insistere, quel silenzio ci dice che forse
cui “non abbiamo testa”, ma il nostro ruolo non è il tempo per quella domanda, dunque
ci impone di essere comunque prestanti, pre- per la risposta. Ci dice che il bambino vuole
senti, anche se poi, in queste occasioni, spesso comunicare altro.
non ce la facciamo. Anche i bambini possono • “Me lo dici in un altro momento”. Siamo
trovarsi nella stessa situazione. noi a doverci ricordare a distanza di ore o il
• Che rapporto ha con gli altri bambini? Con i giorno dopo di dedicare un momento in cui
genitori? E i genitori verso la scuola? quel disagio trovi le parole per esprimersi.
• Non è che, essendo la bambina figli di genitori
stranieri, percepisca i richiami con una conno-
tazione razziale, una sorta di discriminazione?
Dico questo perché spesso mi è capitato di os-
servare questa dinamica: la causa di un rim-
provero viene deviata su un piano identitario e
107. Interessante quello che è avvenuto con la stessa allieva in una
lezione successiva alla supervisione. Durante un’attività in palestra (palla
prigioniera), la bambina si è allontanata dal gioco e, andatasi a sedere,
si è rifiutata di tornare a fare l’attività e di rispondere alle sollecitazioni
dell’insegnante. Solo quando l’insegnante le si è avvicinato – e non
c’erano più compagni vicini – le ha preso le mani e le ha chiesto di
spiegarle cosa fosse successo. Nessuna risposta. Alla domanda: “Cosa ti
rende triste?” la bambina ha risposto: “A M. (un compagno) non piace
il colore della mia pelle!”, “Perché pensi questo?”, “Perché era contento
di avermi mandato in prigione”!

106 Davide Tamagnini


Note di supervisione Mi sento un po’ meglio!
Arriva l’indomani, ma è un altro giorno… Non in-
È emerso evidentemente un disagio da parte tavolo nessun discorso e i bambini non accennano
dell’insegnante che ha portato la situazione di a nulla.
difficoltà ad accogliere i contributi dei colleghi. Due giorni dopo sono KO!
Ad ogni intervento l’insegnante voleva rispon-
dere, controbattere. “Non la vedo così”: questa [A distanza di 3 settimane]
frase è stata ripetuta continuamente dall’inse-
gnante come un mantra difensivo, quasi a voler- La settimana scorsa durante i colloqui con i genito-
si proteggere dal cambiamento di prospettiva ri l’argomento “toccamenti” è riemerso. Anche se
che i contributi dei colleghi potevano causare. l’episodio non è avvenuto in mia presenza – come
Questo è proprio il primo obiettivo della super- l’abbassamento dei pantaloni, riferito da un altro
visione: andare oltre il proprio punto di vista, genitore – questa volta affronto l’argomento con i
perché la supervisione non è un contradditorio bambini. Tutto avviene in modo molto naturale: io

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(dinamica di chiusura: ragione/torto), ma uno non provo alcun disagio nel parlare di organi geni-
spazio di confronto (dinamica di apertura: ra- tali e i bambini lo avvertono questo e ne parlano.
gione/ragione). Spesso dedico parte della lezione ad appianare con-
flitti, a riflettere sui comportamenti e sul sentire di
ognuno, a ragionare sulle conseguenze delle nostre
Non ce la posso fare!!! azioni. Poi inizia la parte didattica e tutto fila liscio:
Classe III i bambini rispondono sempre con entusiasmo.
Il giorno in cui io non sono disponibile, come il 19
Entro in classe e la collega, mentre esce, mi dice marzo, o sono presa solo dal programma, la lezione
“C’è un problema: A. (maschio) dice che F. (femmi- è un disastro!
na) gli ha toccato le parti intime. F. dice che è stata Una domanda allora mi sorge spontanea: ma il ma-
A. a toccarle le parti intime. “Vedi tu!” I due bam- lessere dei bambini non è forse lo specchio del mio/
bini si avvicinano, avevano capito che si parlava di nostro malessere?
loro e mi ripetono la stessa cosa. La collega esce per
andare in altra classe e io entro.
Nella mia testa un unico pensiero: ancora!!! No! Dalla riflessione sul testo vengono evidenziate le
Non ce la posso fare! seguenti parole o locuzioni:
Guardo i due bambini che a loro volta mi guarda-
no aspettando un mio intervento (sanno che è mia Malessere: mi sono immedesimata. Quando sen-
abitudine affrontare sempre ogni situazione), ma
ti/vedi che c’è qualcosa che non funziona bene
io dico di andare al posto spiazzandoli (entrambi
abbassano la testa e vanno al posto). provi a intervenire, ma la zona d’intervento è sul
Mi sento una vigliacca (uso un termine quasi cari- confine tra due aree: aiutare/squalificare il colle-
no), ma non ne posso più: è da alcuni anni che af- ga intervenendo direttamente.
fronto situazioni difficili, che in alcune occasioni mi Ancora: espressione di un forte disagio.
sono state “scaricate” o, chissà, che mi lascio “sca- È strano: mentre per gli altri colleghi normal-
ricare” addosso (in questo caso potrei ascoltare e
andare oltre: “d’altra parte sono stata solo infor-
mente è così.
mata!” penso). Vedi tu!: mentre per una collega il problema
Svolgo la lezione di scienze con un forte disagio che sembra essere l’argomento, per l’altra è il vedersi
i bambini assorbono. Infatti si agitano, appaiono indicata come colei che debba affrontare la que-
distratti ed è strano perché di solito sono attenti e stione.
partecipi.
Spiazzamento: della collega e dei bambini.
Finisce la lezione tutti a casa.
Che peso: mi sento un verme. Ragiono tutto il po- Verme: espressione molto forte.
meriggio, senza riuscire a liberarmi dal malessere. KO: una settimana di malattia.
Penso: “domani affronto con i bambini il discorso”. Riemerso: le cose allontanate riemergono.

SI PUÒ FARE 107


Poi: appianare conflitti, gestire questioni educa- petenze, le mie emozioni…) entri in questa
tive fa parte del nostro ruolo, è didattica. Perché classe e sia così in difficoltà, visto che non mi
“poi”? succede nelle altre classi? Cosa c’è di diverso?
Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di I bambini, il contesto cambiano e quindi non
difficoltà: possiamo pensare di essere gli stessi! Come noi
li vediamo modifica il nostro modo di porci e
• il ruolo che viene attribuito alla collega (di chi il nostro modo di porci “interroga” i bambini
gestisce situazioni imbarazzanti/problemati- e loro rispondono. Allora la domanda è: come
che) è una vera attribuzione (perché “non è faccio a vederli in un altro modo (anche per-
avvenuto in mia presenza”) o una richiesta da ché questo nostro modo di vederli condiziona
parte dell’insegnante stessa (il ruolo dialogi- il modo in cui loro stessi si vedono)?
co di chi affronta le situazioni problematiche, • Il team sono io: traino o solitudine? Un esem-

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paga in termini di autorevolezza). pio: uno strumento come la tabella di moni-
• Somatizzare situazioni di difficoltà: il lasciar toraggio delle mancanze/dimenticanze dei
correre e il non parlarne non ha permesso bambini – ogni 3 un castigo! – viene utilizzata
all’insegnante di esprimere un disagio. Da una dagli insegnanti della classe, ma solo qualcuno
parte però questo le ha permesso di guardare dà i castighi. Se è stato deciso insieme tutti do-
le cose da una prospettiva nuova, un’altra pos- vrebbero utilizzarlo per non squalificarsi a vi-
sibilità di agire che si può adottare in queste cenda, ma forse lo strumento non è condiviso.
situazioni (quella della collega). • Intervenire “al posto di” può essere vista come
• La questione a posteriori non è stata affron- una squalifica nei confronti del collega. Non
tata108: con la collega, la settimana di malattia possiamo?
seguente all’accaduto ha posto una distanza
temporale e se ne è parlato solo dopo molto Dal confronto sono emerse alcune indicazioni di
tempo; con la classe, nell’immediato la sensa- possibili strategie alternative:
zione di essere saturi, ha allontanato la possi-
bilità di confronto, poi i bambini non l’hanno • Per cambiare modo di vedere dobbiamo ac-
più richiesto. crescere le nostre competenze osservative: se
• La nostra pre-disposizione in classe modifi- guardiamo sempre le stesse cose o anche cose
ca l’andamento della lezione (il malessere dei diverse, ma sempre dallo stesso punto di vista,
bambini non è forse lo specchio del mio/nostro faremo fatica a cambiare la nostra impostazio-
malessere?): cambiando atteggiamento la col- ne, il nostro modo di porci nei confronti della
lega non trova la stessa risposta positiva della classe, la nostra didattica. Dobbiamo diventare
classe nei confronti della sua lezione. I bambi- esperti osservatori, capaci di cogliere le novità,
ni assorbono il nostro malessere, il nostro be- gli imprevisti, le situazioni di spiazzamento
nessere, la nostra vicinanza e il nostro prende- come qualcosa di assolutamente fondamentale
re le distanze dalle loro istanze problematiche. per non scivolare in quell’illusione pedagogica
• “Io sono sempre io” (illusione pedagogica): che vede le relazioni statiche e predeterminate.
com’è possibile che io (sempre con le mie com- • Dobbiamo lavorare sulla condivisione: come e
dove far incontrare persone, strategie didatti-
108. Si veda quanto detto nella supervisione precedente Non ti sopporto che, stili educativi diversi? Potremmo lavorare
più! in merito alle strategie alternative: non affrontare subito la difficoltà su questo nella programmazione. Abbiamo bi-
(con la nota), ma rimandare al giorno dopo e confrontarsi con il bambino
su quanto accaduto, sui vissuti di entrambi e della classe. sogno di moltiplicare luoghi come quello della

108 Davide Tamagnini


supervisione, abbiamo bisogno di crescere in- so possiamo decidere in modo diverso. Dico ai bim-
sieme. bi che se E. vuole regalare gli insetti va bene ma
che tutti ne avrebbero avuto uno e non di più. L.
• Dobbiamo iniziare ad alfabetizzarci recipro- è sempre più arrabbiato, piange, sbuffa e picchia il
camente per costruire un lessico delle visioni pugno sul banco.
condivise. Forse non è nel team che troviamo Dico che in alternativa possiamo mettere questi in-
la soluzione alla condivisione, forse potremmo setti tutti insieme e farli diventare materiale della
costruire uno spazio di condivisione con chi è classe, che può essere prestato anche ad altri bam-
bini e maestre (come anche noi abbiamo usato ma-
disponibile, al di là del team, perché questo ci
teriale prestatoci da mie colleghe di altre scuole).
sostiene, ci dà la possibilità di progettare in- I bambini votano per alzata di mano e la maggio-
sieme agli altri una didattica diversa e poi, per ranza è contenta di condividere gli insetti. Chi sente
osmosi, raggiungerà anche gli altri. di dire no può esprimerlo (L. e pochi altri).
L. continua a piangere dicendo che “erano i suoi”,

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Note di supervisione io spiego che continuano a essere i suoi, ma che
sono anche di tutti.
L’assenza in supervisione dell’altra insegnante Provo a spiegare con parole semplici che l’unico
coinvolta nella vicenda è stata un handicap: modo per avere è dare, cioè condividere con gli
poteva essere un’occasione per capire meglio altri perché se teniamo tutto stretto nelle nostre
la dinamica che le vedeva coinvolte e aiutare mani, tenendo i pugni chiusi, non c’è gioia e non
entrambe ad apprendere qualcosa di nuovo ri- abbiamo nulla veramente.
spetto a ciò che loro conoscevano della situa- Ci sediamo in cerchio per terra per continuare la le-
zione e di se stesse. zione, L. si siede in disparte con il broncio, le braccia
incrociate e continua a piangere (anche se in modo
più rassegnato). L. parla con i compagni vicini di-
Democrazia in classe cendo “non voglio, quello era mio”.
Classe III Io per qualche volta interrompo la lezione dicendo
con calma, ma in modo fermo “adesso basta, abbia-
Stamattina dopo l’intervallo entriamo in classe mo già deciso”, poi guardo il suo compagno accanto
“pronti” per la lezione di scienze. e gli dico che se non ha più voglia di ascoltare le la-
La lezione inizia dopo un periodo di tempo in cui mentele di L. si può spostare e lui si siede vicino a me.
cerco di avere la loro attenzione e di calmare l’ener- Torniamo al posto, qualche bambino chiede a L.
gia del gioco appena terminato. “Perché piangi?”. Lui non risponde. Rispondo io per
Leggiamo sul libro gli argomenti relativi agli insetti. lui dicendo che sta piangendo perché è arrabbiato
Ne parliamo insieme… so già che durante le ore di e che può sentire ed esprimere la sua rabbia e che
scienze e geografia faccio più fatica a tenerli tran- ha bisogno di un po’ di tempo ma poi tutto sarebbe
quilli… tutti vogliono intervenire (anche a spropo- passato.
sito), non rispettano il turno, sono chiassosi, non I bambini cominciano a scrivere sul quaderno e verso
riesco a lavorare in modo organico e strutturato la fine dell’ora qualcuno mi dice “L. non ha scritto”
come ho nella testa. io rispondo: “Ok lo copierà oggi pomeriggio”, lui mi
A un certo punto chiedo ai bambini di darmi i loro dice, sempre con il broncio, che non è vero e che lo
insetti finti per osservarli insieme. ha scritto. Rispondo: “Molto bene!”
G. si avvicina e mi racconta che questi insetti li ha Siamo in fila per tornare a casa, prima di uscire salu-
portati E. perché fa la collezione e questi sono quel- to i bambini del doposcuola e faccio una carezza a L.
li doppi che lui ha regalato ai compagni! Però L. ne ancora imbronciato dicendo: “Ci vediamo domani”.
ha presi subito quattro senza lasciarne per gli altri. Il giorno dopo L. racconta a un compagno che è ar-
Io mando i bambini al posto dicendo che questa rabbiato con G. perché gli ha fatto ritirare gli inset-
cosa l’avremmo risolta insieme. L. è già arrabbiato. ti. Io gli ricordo che la responsabilità è sua e non
Chiedo a E. se mi conferma la versione di G. e lui di G. perché non ha fatto una scelta corretta nei
dice sì. Io spiego che il comportamento di L. non è confronti dei compagni.
stato carino nei confronti dei compagni e che ades-

SI PUÒ FARE 109


Dalla riflessione sul testo vengono evidenziate le istanza del possederlo. Come possiamo aiutar-
seguenti parole o locuzioni: li a cambiare paradigma (da “mio” a “nostro”)
e vedere che nel condividere possiamo fare
Pronti: perché tra virgolette? La collega lo era, un’esperienza di gioia più piena?
ma loro evidentemente no. • In merito a questo aspetto si è parlato anche
Ho nella testa: intenzionalità educativo-didatti- di ciò che veicola il binomio “parole sempli-
ca, una delle cifre principali del nostro lavoro. ci” facendo emergere un’altra premessa cultu-
La nostra progettazione è necessaria, ma sicu- rale radicata negli insegnanti, quella per cui i
ramente non sufficiente per la lezione. Anche se bambini apprenderebbero attraverso le parole
in questo caso ciò che “ha nella testa” non le ha (nostre). Per noi adulti può essere semplice
permesso di lavorare in modo organico e strut- l’apprendimento attraverso le parole (pagine
turato: è un problema di progettazione o di rea- scritte, lezioni orali…) ma per un bambino no;

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lizzazione? Oppure altro? Come strutturare una i bambini apprendono in modo diverso, attra-
lezione? Visto che qui emerge questo problema verso il corpo e con l’esperienza. Allora, forse,
prima che si inneschi la dinamica conflittuale su- dovremmo tentare di declinare concetti com-
gli insetti. plessi non in parole semplici, ma in semplici
Parole semplici: sembra più un modo di dire esperienze.
perché in realtà il concetto è molto complesso e • La maggioranza ci insegna che non possiamo
lontano dall’esperienza comune dei bambini. fare tutto come vorremmo, ma che, ad esem-
Abbiamo già deciso/Maggioranza: forse è stata pio, ci sono regole che decide una maggioran-
una finta apertura perché l’insegnante sembra za (in famiglia, nel lavoro, ecc.) della quale
che abbia già deciso come deve andare a finire. magari non facciamo parte e attraverso questo
Energia (due diversi modi di gestirla): quella noi e i bambini possiamo imparare a rispet-
della classe e quella di L. tare anche la volontà altrui. La maggioranza
è anche da vedersi come un modello decisio-
Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di nale tipico della società moderna i cui presup-
difficoltà: posti – nella cosiddetta seconda modernità in
cui viviamo – vengono meno: questo non nega
• Vista la fatica che la collega esprime spesso nel la possibilità di dover accettare una volontà
rientrare in classe (perché predilige lo spazio diversa dalla propria, ma che c’è un diverso
aperto del cortile, anche per fare lezione) l’u- modo di prendere le decisioni che tiene conto
so del “pronti” poteva essere inteso anche nel delle posizioni senza fermarsi sul loro piano
senso di chi parla ad altri per parlare a se stes- dicotomico, delle differenze (“sì o no”; “bian-
so, motivandosi: forse pronti i bambini non lo co o nero” e così via). Si potrebbe talvolta pro-
erano, ma forse neanche l’insegnante. Questo vare a costruire contesti di confronto in cui,
incipit può condizionare l’andamento successi- partendo dalle posizioni in gioco, si arriva agli
vo della lezione. interessi che vi sottostanno, a quel terreno co-
• Come possiamo ristrutturare la premessa mune che può esserci tra le parti e sul quale
culturale veicolata dal pronome possessivo è possibile costruire una posizione nuova che
“mio”? I bambini sviluppano nella nostra so- tenga conto dei diversi bisogni. Senza un per-
cietà questo senso della proprietà e spesso il corso di confronto vero, la minoranza si sen-
“mio” viene rafforzato proprio dalla gioia del te vittima e rimane ferma sulla sua posizione.
poter utilizzare quell’oggetto, in un’ultima La posizione di L. che vuole tenere per sé i 4

110 Davide Tamagnini


insetti può essere valutata moralmente sbaglia- per rompere la sua chiusura e la sua diffidenza
ta; questo è un motivo in più per affrontare la rispetto alla comprensione della volontà altrui,
questione insieme, per non lasciare il bambino dandogli contemporaneamente la possibilità di
intrappolato in quella posizione (anche perché esprimersi senza doversi difendere. È comunque
la “responsabilità – si dice nel testo – è sua”). importante affrontare la questione e non giustifi-
• Non è detto che il momento migliore per ri- care il tutto dietro il concetto “è il suo carattere…
solvere le questioni problematiche sia quello è fatto così… se ne farà una ragione”, altrimenti
in cui avvengano. Non sempre i bambini sono lasciamo veramente che i bambini capitalizzino,
disponibili a mettersi in gioco se, ad esempio, esperienza dopo esperienza, una visione del loro
sono offesi, arrabbiati; anche noi insegnanti, modo di porsi in certe situazioni come innata e
non sempre siamo pronti, lucidi, per affrontar- naturale. Invece essa è culturale e frutto delle
le. loro esperienze rispetto alle quali possiamo dare

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• Energia: l’eccitazione della classe è prevista e il nostro contributo.
gestita dall’insegnante, mentre la rabbia di L. – Un’altra modalità di gestire un conflitto tra
(pur sempre energia) non sembra essere accol- bambini può essere quella di spostare la dinami-
ta. Infatti il bambino non viene aiutato a gestire ca del conflitto sull’insegnante facendo conver-
le sue emozioni che lo portano a un’escalation gere su di lui la rabbia del bambino (facendo da
che culmina col pianto e col picchiare i pugni parafulmine). Ancora si poteva chiedere a L. di
sul banco. mettersi nei panni dell’altro per capire cosa gli
• L. in particolare ci porta un tema importante: altri provano.
l’autoconsapevolezza emotiva e l’apprendimen-
to di un alfabeto (lessico) emotivo che consen- Approfondimenti
ta ai bambini e a noi insegnanti di nominare,
Prendere delle decisioni
verbalizzare e gestire le emozioni che proviamo (liberamente tratto da Sclavi, Susskind, 2011)
nelle diverse situazioni.
• Spesso noi insegnanti reagiamo di pancia e cer- Qui il riferimento è al confronto parlamentare
chiamo di imporre una nostra linea per cercare (luogo simbolico del voto a maggioranza), ma
di governare la tempesta e riportare la barca può aiutarci a capire meglio la dinamica dei pro-
cessi decisionali anche in conflitti di punti vista
in porto (la lezione). Il problema non è l’esse-
molto più semplici e quotidiani come a scuola.
re direttivi e il non dare spazio alla gestione I quattro inconvenienti del confronto parla-
condivisa delle problematiche, piuttosto il non mentare; un confronto di facciata perché le po-
proporre mai questa seconda via. Così non sti- sizioni dei singoli possono non modificarsi per
moliamo nei bambini le competenze per una nulla, in quanto la decisione è delegata al voto:
diversa gestione dei conflitti, ma proponiamo il
solito modello della forza e della delega (un’au- 1. minoranze più consapevoli del diritto di
essere ascoltate: la protesta e l’instabilità
torità, magari autorevole, che decide). che ne consegue è l’indicatore di un proces-
so decisionale che si è imposto, ma rimane
Nel confronto sono emerse alcune indicazioni di poco efficace.
possibili strategie alternative: 2. Decisioni scadenti che funzionano poco e
male: fermi sulle loro posizioni non impara-
no nulla dall’altro e la soluzione finale sarà
– Affrontare la questione problematica con il
sicuramente meno ricca e creativa di quella
bambino a distanza di tempo oppure avvicinar- di partenza.
si a lui con una scusa, con un argomento terzo,

SI PUÒ FARE 111


3. Problemi di legittimità e illegittimità: le di- ragioni, però il problema rimaneva, in modo par-
scussioni, se non affrontate fino in fondo, ticolare quando devi dare delle valutazioni (che
avvengono lo stesso, ma in contesti di “cor- nella parte scritta sono catastrofiche).
ridoio” perdendo in trasparenza. Ho provato a coinvolgerlo durante i giochi quando
4. Il potere degli esperti in procedure: trasfor- mi accorgevo che sembrava conoscere le risposte, a
ma a volte il voto a maggioranza in una de- interpellarlo più di altri, a incoraggiarlo mettendo
cisione espressa da una minoranza, mentre in evidenza le sue competenze; a un certo punto
le diverse voci restano inascoltate. anche il troppo sembrava dargli fastidio e diventa-
va di nuovo apatico…
La direzione allora è: Quindi: se lo lascio stare “dorme”, se cerco di coin-
volgerlo un po’ di più “lo disturbo”, se non riesce a
• Dal diritto di parola al diritto di ascolto. scrivere o completare qualcosa gli dico di farsi pre-
• Dal diritto di contradditorio al diritto di stare i quaderni dei compagni, ma puntualmente
collaborare nella moltiplicazione delle op- non si preoccupa.

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zioni. A questo punto mi sono un pochino arenata. Sono
• Dal voto a maggioranza alla co-progetta- i suoi problemi che non gli permettono di essere
zione creativa. un bambino brillante (come sembra essere) oppure
devo cercare altre strategie? Quali?
Non ti riconosco
Classe IV Dalla riflessione sul testo vengono evidenziate le
seguenti parole o locuzioni:
Come ormai accade da qualche anno, mi sono ritro-
vata a settembre a dover entrare in una classe per
insegnare solo lingua inglese, il che per certi versi Ritrovata: sembra spiazzata, ma non era una cosa
può essere un’esperienza positiva, ma per altri sicu- programmata? L’impressione è che sia qualcosa
ramente non lo è. di subito.
Insegnare solo per tre ore settimanali non ti per- Problema: la parola viene ripetuta.
mette di conoscere fino in fondo i tuoi alunni, an- Affidarsi: mi fa sorridere perché non è semplice
che se la materia che insegni piace molto. Quindi
ti affidi alle colleghe che ti raccontano un po’ del
affidarsi alle colleghe.
vissuto dei bambini, del loro modo di comportarsi Famiglia: cosa ci aspetta da essa?
e di reagire... Ormai: comunica assenza di potere, impossibili-
Il problema si presenta quando arriva in classe un tà di modificare le cose.
bambino nuovo che nessuno conosce; pian piano Valutazioni: sono il “luogo” in cui si manifesta
bisogna mettere insieme i pezzi del puzzle soprat-
in modo evidente il problema. L’obbligo delle va-
tutto quando la famiglia non ti aiuta.
Si iniziano a fare tante supposizioni ma nel frattem- lutazioni spinge l’insegnante a dover trovare una
po i giorni passano e capisci che qualcosa non va… soluzione, ma se il bambino non ci permette una
M. dopo un primo momento di assestamento si è valutazione standard, non lo si dovrebbe valuta-
mostrato interessato alla lingua inglese, ai giochi e re. Forse sono le valutazioni il problema?
alle conversazioni; il tutto è durato finché ha po- Lo disturbo: è un’inferenza (“preferisce essere
tuto vivere di “rendita”, poi nel momento in cui
i vocaboli dovevano essere anche studiati, il buio
lasciato in pace”). Il senso di estraniamento che
più assoluto… l’insegnante attribuisce allo studente può essere
Mi sono ritrovata quindi con un bambino che per letto anche come una forma di difesa. L’atteggia-
metà lezione interveniva e poi che pian piano si mento del bambino può essere visto anche come
accasciava sul banco e quasi quasi dormiva; molto una richiesta d’aiuto (“io ho un problema”).
probabilmente pensava ad altro, la sua attenzione
Arenata: incapacità da sola di trovare nuove so-
era diretta altrove. In seguito abbiamo capito che
vista la sua situazione familiare ne aveva tutte le luzioni.

112 Davide Tamagnini


Devo: io, in prima persona. Il sistema spinge in anno questa è la realtà delle cose. La volontà
questa direzione individualistica della responsa- del bambino è stata più forte della mia”.
bilità (la collegialità è più sul piano formale). M. • Qual è il luogo per parlare di questo bambi-
si comporta così anche nelle altre discipline e con no? Durante lo scrutinio e l’interclasse non c’è
le altre colleghe. tempo. Ci vuole un luogo adatto e dedicato in
cui portare tutto ciò e confrontarlo con altri.
Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di È stato presentato per lui un Bes109, ma questo
difficoltà: non è stato sufficiente ad attirare l’attenzione
da parte di tutti. A volte capita di essere lasciati
• Valutazione: è una fase dell’apprendimento soli, di non sapere a chi chiedere aiuto.
normalmente non vissuta come un problema,
ma lo diventa con questo bambino che ci met- Servirebbe:

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te in difficoltà, poiché non abbiamo altri stru-
menti per poterlo valutare. 1. una figura competente con cui confrontarsi
• È positivo che il bambino-ombra, così descrit- (psicopedagogista, ecc.).
to, sia il segno di una situazione problematica 2. Un’esperienza di osservazione del nostro modo
per l’insegnante perché spesso il loro “non di stare in classe (da parte di un collega, sulla
dare fastidio” coincide con i desiderata di molti base di una griglia di osservazione condivisa):
insegnanti. spesso diamo per scontato di aver detto/fatto
• L’entusiasmo dei bambini per la scuola dimi- di tutto, ma un nuovo punto di vista che può
nuisce col passare del tempo a scuola: in prima permetterci di allargare la nostra visuale può
sono contenti di venire e di fare tutto, in quarta essere un valido strumento alternativo.
e quinta alcuni manifestano il disagio e la pe- 3. Un lavoro di team che non sia finalizzato alla
santezza di questa frequenza. Dipende molto sola programmazione didattica – anche perché
dall’esperienza che noi siamo in grado di far finora nelle supervisioni sono emerse sempre
loro vivere a scuola. Nel caso di M., arrivato situazioni problematiche di insegnanti e stu-
in quarta, dobbiamo provare a chiederci quale denti non legate alla didattica – ma alle com-
sia stata la sua esperienza pregressa, quali pre- petenze relazionali-educative, alla gestione
messe possono averla caratterizzata: “Qui non delle emozioni. Il team deve ripartire dalla
mi vede nessuno”, “Qualsiasi cosa faccia non costruzione di queste competenze perché alla
va bene”, “Se faccio o non faccio non cambia maggior parte degli insegnanti manca questa
nulla” o altro. preparazione specifica. Si potrebbe destinare
• Il nostro rapporto con la classe: io affronto il strutturalmente una programmazione ogni due
problema, non noi. È una nostra forma men- settimane alla supervisione e affrontare – an-
tale, invece la ricerca di strategie alternative è che con modalità diverse – questo tipo di tema-
responsabilità del team docenti. Il testo pre- tiche. Questo sarebbe un segnale concreto del
sentato termina con una domanda rivolta agli riconoscimento, da parte del sistema, di queste
altri: questo può essere il segno del necessario necessità, che se ne fa carico investendo delle
confronto. La situazione problematica sembra, risorse (le ore).
però, già abbastanza risolta: “ormai”, “sicura-
mente” e il fatto stesso che questo testo venga 109. Bes, acronimo di Bisogni Educativi Speciali. Si tratta di una
disposizione ministeriale – affidata ai consigli di classe o team di docenti
scritto a fine anno comunica un certo senso di delle scuole primarie – pensata per facilitare l’apprendimento di tutti
arresa. L’insegnante sembra dirci: “Dopo un i bambini, anche in presenza di difficoltà di qualsiasi genere (sociali,
culturali, evolutive, ecc.) [N.d.R.].

SI PUÒ FARE 113


Metariflessione tributo di ciascuno è fondamentale per il ri-
sultato del gruppo). A volte è sufficiente stare
In cosa ci hanno aiutato concretamente finora accanto a questi bambini perché vadano avan-
le supervisioni? Ad alleggerirci la coscienza? A ti da soli.
condividere? Alla fine il nostro problema rima-
ne, ma abbiamo trovato qui un sostegno, an-
• Allora la questione cruciale risiede nella no-
che emotivo. La supervisione è un luogo pro- stra organizzazione del lavoro: deve essere
tetto in cui poter esprimere anche il proprio funzionale all’attività di insegnamento/ap-
disagio e le proprie risorse. Forse l’esercizio più prendimento e non ad altro. Siamo noi che la
grande che le supervisioni ci hanno permesso determiniamo con la nostra didattica, il nostro
di fare è quello di portare la nostra esperienza
orario, la nostra gestione delle classi e dob-
fuori dall’aula. Non è scontato, non è usuale,
ma questo ci ha abituati all’osservazione di noi biamo proporre qualcosa di diverso, qualcosa
che ci permetta di lavorare meglio con tutti.

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stessi e degli altri, ad accogliere il punto di vi-
sta dei colleghi e a riflettere con loro per fare Sembra paradossale, ma una possibile solu-
sintesi e arrivare a immaginare soluzioni alter- zione per gestire e superare questa problema-
native. È il luogo dell’ideazione creativa: nuove tica emotiva-esistenziale del bambino risiede
strategie che nascono dal confronto di visioni
diverse. La supervisione diventa anche la pre-
principalmente nella didattica: l’individua-
messa che facilita il poter accogliere dentro la lizzazione degli apprendimenti e l’ancoraggio
nostra classe lo sguardo esterno di un collega all’esperienza possono essere efficaci sia con
(riferimento al precedente punto 2). M. sia con tutta la classe. In quest’ottica si
potrebbe ricorrere al lavoro libero di matrice
montessoriana, ad esempio, che permette di
Nel confronto sono emerse alcune indicazioni di avere il tempo di stare accanto agli allievi con
possibili strategie alternative: più difficoltà, mentre gli altri procedono alla
scoperta di nuove conoscenze e competenze
• Le insegnanti che seguono il bambino nelle grazie all’uso dei materiali strutturati. Lavora-
attività in classe rilevano che M. ha avuto un re sul piano della proposta didattica, quindi,
atteggiamento diverso negli “incontri di re- permette di ricavare risorse da investire su al-
cupero” (in piccolo gruppo) e nelle occasioni tri aspetti che, ancora oggi, abbiamo definito
di rapporto uno a uno. Attribuiscono questo cruciali.
cambiamento a fattori emotivi, di accettazio-
ne del gruppo, di valutazione pubblica delle Approfondimenti – Lavoro individualizzato e per-
sue capacità e di protagonismo che il contesto sonalizzato
diverso ha attivato; all’abitudine nella scuola
precedente a lavorare da solo, fuori dalla clas- Ah... Mi fai venire l’orticaria!
se, con un insegnante di sostegno. In generale Classe III
alla possibilità che il piccolo gruppo dà nel far
emergere il sé (“è un altro bambino! Le stesse È un mercoledì pomeriggio e come tanti mercoledì
cose in classe non riesce a farle!”). un po’ faticosi. Salgo le scale per entrare in III B e
• Perché questi strumenti efficaci non vengono sento le urla dei bambini che per due minuti sono
utilizzati sempre? Ad esempio strutturare le rimasti “da soli” ad aspettare il cambio dell’inse-
gnante.
lezioni con attività di piccolo gruppo (lavoro Nella mia testa il pensiero “forza... 2 ore e 30 mi-
in gruppo è diverso dal lavoro di gruppo, più nuti di fuoco... cerca di farle al meglio, non entra-
strutturato, con ruoli specifici per cui il con- re prevenuta”. Mi ero premurata di chiedere alla

114 Davide Tamagnini


collega precedente se i bambini erano già andati virà e comunque non tutto nella vita ci piace, è me-
in bagno… la risposta era stata affermativa. Entro glio che impari ad accettarlo, non tutto gira intorno
in classe e un consistente numero di bambini, tutti a te e a quello che piace a te”. Mi accorgo che sto
insieme, mi chiedono di andare in bagno, io ricordo “danzando la sua danza”, mi osservo dall’esterno e
loro che sono appena andati con maestra C., loro vedo un’insegnante che non riesce a gestire bene
accettano e rinunciano. La classe è molto caotica, una situazione evidentemente provocatoria. Mi sto
nessuno ha il materiale di lavoro, tutti sono in giro, mettendo al suo livello e non mi piace. A. sta otte-
solo qualcuno mi saluta quando entro. Mi siedo, nendo esattamente le attenzioni che vuole, lo so,
chiedo loro di calmarsi, ma non mi sento molto la parte razionale di me me lo dice, ma c’è la parte
ascoltata. Lo chiedo in inglese, poi, vista la risposta più emotiva che prevale e quindi gli dico “Adesso
alquanto frustrante, lo chiedo in italiano, ma la ri- basta, mi stai facendo venire l’orticaria (che nel mio
sposta non cambia di molto. Mi siedo e li osservo: personale gergo con loro vuole dire che sono lì per
voglio vedere quanto tempo ci mettono ad accor- perdere tutta la pazienza che ho)! Mi calmo, alme-
gersi che sono lì e non solo per mandarli in bagno. no all’apparenza, lascio perdere e continuo la lezio-

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Ci mettono almeno cinque minuti di orologio. Nel ne. La classe dall’inizio dell’ora si è calmata, comin-
frattempo la mia frustrazione cresce; non voglio ciamo il gioco. Dopo vari turni, è il turno di A. che
urlare, ma sto perdendo la pazienza. A. mi viene indovina una parola e va alla lavagna, si esprime
a chiedere due volte se può andare in bagno e alla però con una battuta poco piacevole e gli dico che
risposta: “No, non ho mandato neanche i tuoi com- poiché non sta giocando bene può accomodarsi al
pagni perché siete appena andati”, lui si lamenta, posto ed è un’altra scenata con pianti e singhiozzi.
dice che non è vero, che lui deve proprio e comincia Questa volta faccio finta di ignorarlo, ricordando
a piagnucolare. che ogni azione ha una conseguenza.
La lezione faticosamente comincia, è un argomento Alle 16.15 un compagno esce giustificato dai geni-
che abbiamo già affrontato e vorrei fare un gio- tori per una gara di bicicletta. A., anche lui “cicli-
co, ma sono ancora molto frizzanti e lo rimando. sta”, mi chiede di andare a chiamare la mamma che
Nel frattempo facciamo ascolto e comprensione. A. non gli ha scritto la giustificazione per uscire prima.
mi chiede ancora di andare in bagno, al mio rifiu- Gli dico che i genitori si chiamano solo per motivi
to si mette a piangere; i suoi singhiozzi catturano molto seri e che se la mamma non gli ha scritto la
l’attenzione (già molto molto bassa) della classe, io giustificazione ci sarà stato un motivo. A. si arrab-
sento che sto per perdere la pazienza e dirgli quello bia, piange, si lamenta e dice che anche lui vuole
che penso “Sei un bambino viziato, egocentrico e uscire. La lezione è stata a dir poco stremante, all’u-
capriccioso”, ma mi contengo e gli chiedo “Perché scita dico ad A. che mi spiace che lui abbia passato
continui ad insistere, ho detto a tutti che vi avrei così male le ultime due ore e mezza. Oltre a quello,
mandati dopo una mezz’ora di lezione”. A. dice che però vorrei aggiungere che spiace un po’ anche per
non ce la fa, che deve andare, così cedo e lo mando. me che ancora una volta non ho goduto neanche 5
Al ritorno A. si lamenta del fatto che lui, essendo minuti di quelle ore con loro.
stato fuori, non ha sentito l’ascolto e che non ca-
pisce. Gli dico: “Lo ascoltiamo altre due volte, ora
concentrati, vedrai che capisci”, mi risponde: “Non Dalla riflessione sul testo vengono evidenziate le
mi viene” e io: “Non hai nemmeno ascoltato l’e- seguenti parole o locuzioni:
sercizio come fai a sapere che non ti viene?”. A. mi
dice: “Lo so”. Il cd comincia e A. noncurante guarda
in giro tutto il tempo cercando di giocherellare coi Tanti mercoledì faticosi: lo sa già, sembra una
compagni. Ovviamente dopo l’ascolto delle succes- condanna.
sive due volte A. non ha svolto l’esercizio e mi riba- 2 ore e 30 minuti di fuoco: è una guerra! Bisogna
disce che lui non ce la fa. Mi arrabbio e gli ricordo armarsi per la battaglia.
che non solo lui l’ha sentita una volta in meno dei Non essere prevenuta: sembra un messaggio
compagni, ma che oltretutto le altre due volte non
le ha ascoltate.
paradossale (come per il paradosso della spon-
A. mi dice: “A me piace di più fare scienze, inglese taneità: “Sii spontaneo!”). Dicendo questa frase
non mi piace” e io gli dico: “Peccato perché ti ser- l’insegnante in realtà parte prevenuta, afferman-
SI PUÒ FARE 115
do con questa comunicazione il contrario del suo sua capacità di valutarsi e sulla sua autostima.
messaggio verbale. • Dobbiamo chiederci quali sono i bisogni che
Frustrazione/Cedo/Non ho goduto/Lezione questo bambino esprime attraverso i suoi com-
stremante/Mi spiace/Spiace per me: apparten- portamenti/atteggiamenti: di attenzione (spes-
gono alla stessa area semantica, quella della fati- so inversamente proporzionale alla propria au-
ca depressiva, del senso di inefficacia. tostima), di essere accompagnato nella fatica,
Orticaria: ironia; espressione comunque forte e di sicurezza, di contenere la frustrazione, di
difficile da capire per un bambino. imparare ad ascoltare (se stesso e gli altri).
Rinunciano: gli allievi accettano la richiesta, ma • Andare in bagno: non solo luogo di evasione,
non si capisce se sia stata da loro compresa. ma anche di cura, del rapporto con la propria
Inglese non mi piace: mancanza di rispetto nei intimità fisica.
confronti dell’insegnante / considerazione legit- • Si tratta di aiutarlo a gestire l’emotività, ma su

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tima. L’insegnante può sentirsi offesa da questa questo anche noi insegnanti dobbiamo per-
parole, ma deve andare oltre e interrogarsi sulle sonalmente lavorare. L’autoconsapevolezza
motivazioni che vi sottostanno. emozionale e la relativa gestione delle emo-
Andare in bagno: falsa richiesta. zioni sono un aspetto cruciale in un rapporto
Uscire prima/lui vuole uscire: insieme ai due educativo come quello di insegnamento/ap-
punti precedenti sembra l’esplicitazione di un prendimento. Dobbiamo trovare la strada per
desiderio di estraneità, di un voler essere altrove; aiutare il bambino a diventare consapevole del
strategia di evitamento di situazioni che mettono suo disagio per facilitarlo a superarlo.
in difficoltà (per l’apprendimento, le relazioni, la • Le “lezioni di vita” (“Peccato perché ti servirà
noia, altro). e comunque non tutto nella vita ci piace, è me-
Piangere/pianti/piange/singhiozzi: espressione glio che impari ad accettarlo, non tutto gira
infantile; strumento comunicativo. intorno a te e a quello che piace a te”) sicura-
Insegnante che non gestisce bene: capacità di mente i bambini non le imparano a parole, ma
auto-osservazione. con le esperienze.
Frizzanti: poteva essere, al contrario, un incenti- • L’unica occasione di partecipazione di A. è
vo per iniziare un gioco. stata annullata perché valutata “fuori luogo”
Sei un bambino viziato, egocentrico e capriccio- dall’insegnante. Poteva essere invece una buo-
so: giudizio (uso del verbo essere). na occasione per “tenere dentro” A. e fargli
Ogni azione ha la sua conseguenza: sì, ma vale sperimentare una posizione diversa durante la
per bambini e insegnanti! lezione di inglese.

Le considerazioni/riflessioni sulla situazione di Nel confronto sono emerse alcune indicazioni di


difficoltà: possibili strategie alternative:

• Ogni volta che viene preso in “oggetto” un • In presenza di situazioni che un’insegnante
bambino specifico dobbiamo capire chi è: la percepisce come provocatorie o comunque
sua storia, il contesto in cui è cresciuto, le espe- che sono fonte di disagio, poterebbe essere
rienze pregresse. In questo caso, ad esempio, importante tenere presente che la reazione
le grandi aspettative che la famiglia ha river- dura nei confronti dello studente non porta
sato su di lui, fin dalla nascita, pesano sul suo che all’escalation del “conflitto” (come dice la
rapporto con il mondo, sulla sua serenità, sulla stessa insegnante nel testo: “Mi accorgo che

116 Davide Tamagnini


sto ‘danzando la sua danza’, mi osservo dall’e-
sterno e vedo un’insegnante che non riesce a
gestire bene una situazione evidentemente pro-
vocatoria”). In questi casi si potrebbe spiazzar-
lo dicendogli: “Puoi scegliere se continuare in
questo modo o fare quello che stiamo facendo”
non mettendo lui al centro dell’attenzione della
classe, ma lasciando a lui la responsabilità della
scelta; “Abbiamo bisogno di te”, valorizzando il
suo senso di protagonismo per portarlo a lavo-
rare con la classe.
• Queste situazioni mettono bene in luce come

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il rapporto uno a uno tra adulto e bambino sia
un luogo determinante per affrontare alcune
situazioni ed elaborare insieme le riflessioni
su quanto accaduto. Se riconosciamo questo
dobbiamo ritagliare a tal fine uno spazio e un
tempo dedicati. Inoltre queste situazioni ci fan-
no capire come il rapporto con la famiglia sia
determinante per poter costruire dei percorsi
di crescita il più armoniosi possibili.
• Quando sgridiamo qualcuno è bene non sci-
volare nel giudizio: dobbiamo cancellare l’uso
del verbo essere (“Sei un bambino viziato, ego-
centrico e capriccioso”). Può essere sufficiente
cambiare verbo, utilizzando “fare” in luogo di
“essere” e volgendolo in forma interrogativa
(“Perché fai il bambino viziato…?”) oppure
aggiungere degli elementi che circoscrivano la
nostra affermazione (“Sei un bambino viziato
quando ti comporti così”). L’idea di fondo è
quella di non etichettare le persone con i nostri
punti di vista perché possono diventare delle
trappole per noi e avere un “effetto Pigmalio-
ne” sugli altri. L’uso del “verbo essere” nell’os-
servazione non lascia spazio a dubbi e riflessio-
ni, le cose diventano come noi le descriviamo.
Viceversa se le cose non “sono”, ma “sembra-
no” ci si lascia lo spazio per l’esplorazione e la
comprensione della complessità della realtà.

SI PUÒ FARE 117


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QUARTA necessari
PARTE I saperi
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La cassetta insegnante cosciente, consapevole e preparata,
che sappia reinventarsi ogni giorno a scuola. Non
dimenticando che è il suo essere persona umana
degli attrezzi che ci interessa, essendo anche ciò che, in ultima
analisi, fa la differenza.

Il mestiere dell’insegnante è bello perché cultu-

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ralmente orientato a coltivare la bellezza. Se il rac-
conto della nostra esperienza provava a inserirsi
in questa cornice di senso, ora è necessario tor-
nare alla teoria per presentare alcuni saperi che
dal nostro punto di vista consentono alla prassi di
insegnamento/apprendimento di essere coerente
con i valori che la ispirano e guidare passo pas-
so le azioni quotidiane che bambini e insegnan-
ti costruiranno creativamente. Conoscere, agire
e riflettere sono tre momenti concreti, con una
propria scansione temporale, per comprendere le
nostre azioni e le teorie (talvolta implicite) che le
guidano. In questa parte ci riferiremo in partico-
lare al primo momento: la conoscenza che stimo-
la l’azione, che può spingerla consapevolmente a
percorre vie che, a nostro modo di vedere, sono
necessarie, doverose. Non un vademecum, ma
una sorta di cassetta degli attrezzi da cui partire
per svolgere con maggiore attenzione e profes-
sionalità il lavoro “artigianale” dell’insegnante.
Consci che

la preparazione all’educazione è uno studio di se


stessi; e la preparazione di un maestro che deve
aiutare la vita implica assai di più di una semplice
preparazione intellettuale, è una preparazione del
carattere, una preparazione spirituale110

non proponiamo metodi, ma strumenti epistemo-


logici per facilitare la costruzione di una figura

110. Montessori, op. cit., pp. 134-5.

SI PUÒ FARE 121


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Osservare Emozioni
In un tradizionale approccio scientifico, emo-
zioni e conoscenza sono considerate due dimen-
sioni reciprocamente escludenti. In particolare
le emozioni sono state atavicamente considerate
alla stregua di vere e proprie impurezze, ostacoli,
elementi destabilizzanti e inficianti i processi di
Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa conoscenza. Lontane dalla razionalità e più simi-
guardare ed ascoltare… li all’istintività, sono state classificate tra le cau-
se di una mancata oggettività. Nel secolo scorso,

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Sergio Endrigo, Ci vuole un fiore invece, molti filoni di ricerca hanno preparato la
strada a quella che possiamo considerare come
una vera e propria rivoluzione epistemologica che
assegna alle emozioni un ruolo conoscitivo fon-
Cosa osservare? Come? Come utilizzare le osser- damentale:
vazioni fatte? Con uno strano gioco di parole e di
sensi possiamo dire innanzitutto che osservare è basti pensare agli intrecci fra teorie della Gestalt,
un modo di ascoltare che non lascia indifferenti. esistenzialismo, fenomenologia ed ermeneutica
Oggettività e sistematicità sembrano essere i prin- nella prima parte del secolo e agli intrecci fra psico-
logia cognitiva, transazionale e ricerche sull’intelli-
cipi guida di un’osservazione corretta e della con-
genza artificiale negli ultimi decenni111.
seguente possibilità di interpretazione dei dati
raccolti. Una sorta di osservazione naturalistica,
In una visione riduzionista le emozioni vengono
descrittiva, ripetitiva e scevra di elementi emotivi
trattate unicamente come intimi “segnali di stato”
che la connoterebbero soggettivamente. Invece,
e codificate attraverso l’inappropriato uso di un
a nostro modo di vedere, l’osservazione dipende
linguaggio analitico (sbadiglia = è annoiato; ride
dal punto di vista (culturale e fisico) dell’osser-
= è contento). Invece, se comprendiamo il loro
vatore: la realtà che percepiamo è in un rapporto
codice analogico possono disvelarci il mondo
dinamico con noi e dunque l’interpretazione og-
delle relazioni in cui nascono. Infatti, se nell’in-
gettiva non esiste!
terpretare le emozioni ignoriamo che
Infine dobbiamo preoccuparci di costruire un
ambiente in cui sia facile poter osservare; per sono passi di danza e le riduciamo a qualcosa di ri-
questo a scuola dobbiamo dare ai bambini la portabile esclusivamente a un processo interno a
possibilità di fare da soli, anche insieme ad altri un termine di una relazione, stiamo riducendo una
bambini, ma in autonomia rispetto all’intervento comunicazione circolare, dialogica intrinsecamente
degli adulti. Solo in questo modo potremo coglie- relazionale com’è il linguaggio dei corpi a un lin-
guaggio lineare. Più in generale facciamo questo
re la loro essenza, diversamente diverrà tangibi- ogni volta che rappresentiamo le relazioni umane
le un’assenza, quella della nostra comprensione in termini di causa ed effetto e non come relazioni
delle sue dinamiche di sviluppo e la conseguente fra organismi che apprendono112.
possibilità di facilitarle.

111. Sclavi, 1993, p. 91.


112. Sclavi, 2003, p. 247.

SI PUÒ FARE 123


Paradossalmente è proprio la grande efficacia un’attività si svolge, e imparare a vedere le azioni
del nostro linguaggio verbale a menomare la collegate a questa emozione nel proseguo dell’e-
sperienza115.
possibilità di comprensione di quello che stia-
mo vivendo/osservando, perché ci porta a foca-
lizzare la nostra attenzione più sul detto che sul Si tratta quindi di mettere in disparte un’inter-
non-detto e a dare per scontato il contesto nel pretazione della realtà che procede per mecca-
quale la comunicazione avviene. Invece, una cor- nismi di causa-effetto, a favore di un processo
retta epistemologia delle emozioni ci permette di di comprensione dell’ambiente che procede in
cogliere la danza relazionale fin dai suoi primi modo ricorsivo, non lineale116. Ricorsiva è la na-
passi, e le situazioni di spiazzamento diventano tura della vita, la quale procedendo per tentativi
la leva per far emergere la parte sottointesa delle ed errori si evolve a ogni passaggio, intervenendo
nostre parole113. a modificare sia noi stessi che la totalità dell’e-

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Dunque le emozioni possono essere, se ascoltate sperienza. La conoscenza, dunque, va vista come
ed interpretate, la via preferenziale per attingere un processo stocastico117, in cui la casualità gioca
informazioni concernenti, non tanto i compor- un ruolo decisivo e una mente predisposta a un
tamenti, ma le cornici entro cui detti comporta- cambiamento di cornice realizza questo passag-
menti si inscrivono; diventano allora delle “pa- gio grazie a qualcosa di marginale e fastidioso,
role” che raccontano il modo in cui costruiamo appunto, una situazione di spiazzamento. Ac-
socialmente i nostri criteri di giudizio e pregiu- quisire la capacità di passare dai cambiamenti
dizio e, ascoltandole, possiamo comprendere più all’interno della stessa cornice (cambiamento1:
profondamente le radici culturali dei nostri pun- comportamento alternativo dentro delle comu-
ti di vista e quelle degli altri. Le emozioni sono ni premesse implicite) a cambiamenti gestaltici
l’epifania del nostro punto di vista. (cambiamento2 : cambiamento di cornice)118, im-
Focalizzando l’osservazione sulle emozioni parando a vedere come e cosa accade nel passag-
dell’osservatore e dell’ambiente osservato114, gio tra un livello di cambiamento e l’altro, è il
possiamo accedere alle premesse culturali del presupposto di un’arte: quella di saper ascoltare/
contesto e distinguere cosa è considerato lecito osservare la realtà attraverso le emozioni. Tutto
da cosa non lo è, cosa viene incentivato e cosa ciò diviene possibile se riconosciamo alle emo-
invece è ostacolato, non per forza attraverso zioni una valenza epistemologica, ma per fare
azioni dirette e consapevoli, ma semplicemente questo bisogna imparare ad adottare un certo
per mezzo del clima che gli attori hanno contri- sguardo.
buito a creare.

Le emozioni sono posizioni dinamiche del corpo, 115. Maturana, 1994, p. 103.
116. Lineare è un termine tecnico della matematica che qualifica quelle
che specificano gli spazi d’azione […] Se allora vo- relazioni che sono rappresentate da una retta quando le due variabili
gliamo comprendere una qualunque attività uma- siano rappresentate una in funzione dell’altra in coordinate cartesiane
na, dobbiamo prestare attenzione alle emozioni ortogonali. Si dice che una serie di cause o di argomenti presenta una
che stabiliscono il dominio in cui si agisce o in cui relazione lineale se la successione non torna al punto di partenza.
L’opposto di lineare è non lineare; l’opposto di lineale è ricorsivo; in
Bateson, 2002, p. 301.
113. Bachtin, 2003. 117. Dal greco stochazein, tirare al bersaglio con l’arco, cioè diffondere
114. La tecnica di ricerca etnografica coerente con questa visione è gli eventi in modo parzialmente casuale, sicché alcuni di essi hanno esito
lo shadowing. Essa condivide al pari delle altre tecniche le medesime più favorevole. Se una successione di eventi combina una componente
difficoltà nell’accesso al campo di ricerca, nella raccolta e interpretazione casuale con un processo selettivo in modo che solo certi risultati del
dei dati e nello stile di scrittura; tuttavia con un impegno di tempo casuale possano perdurare, tale successione viene detta stocastica; in Ivi,
limitato permette di far emergere aspetti che normalmente sfuggono agli pp. 302-3.
approcci più tradizionali. Si veda Sclavi, 2003, pp. 51-62; 2005. 118. Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974.

124 Davide Tamagnini


Sguardo atteggiamento osservativo capace di legittimare
l’alterità (exotopia). Capire l’altro non vuol dire
Ciascun individuo umano conosce la realtà da un solo cercare di sentire ciò che egli sente – po-
determinato punto di vista trebbe non essere sufficiente! – ma riconoscere
all’altro, come a sé, la possibilità di un sentire di-
Michail M. Bachtin verso. In questo senso il mettersi nei panni altrui
(empatia) significa, in realtà, attribuire agli altri
L’osservatore deve assumere un atteggiamento delle “etichette” che descrivono il nostro sentire
umoristico119 che gli consente di aprirsi ai mol- in quella situazione, un’emozione non per forza
teplici modi in cui è possibile leggere uno stesso coincidente con la loro; in ultima analisi, è un
evento. Consapevole che solo vedendo le cose da mettere l’altro nei nostri panni, nelle nostre cor-
più punti di vista si può osservare la realtà più nici culturali.

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adeguatamente, spingendo la conoscenza mag- L’exotopia, invece, grazie a una continua tensione
giormente in profondità120. Significa sciogliere dialogica, consente di riconoscere all’altro la pro-
la rigidità della visione giudicante di chi non ha pria soggettività e all’osservatore di cogliere qual-
imparato ad ascoltare e affinare quello sguardo cosa del contesto che prima non conosceva. Ma
riflessivo che ci dà informazioni sul nostro modo per poter osservare in questo modo, per appren-
di guardare. Osservare in questo modo signi- dere, bisogna attraversare l’esperienza della biso-
fica poter legittimare uno sguardo sul mondo ciazione: bisociare significa adottare uno sguardo
che supera il paradigma della buona e corretta disincantato, contemporaneamente coinvolto e
osservazione improntata sul modello dicotomico distaccato, che supera la dicotomia giusto-sba-
soggettivo-oggettivo, perché l’oggettività dipen- gliato, perché riduttiva della complessità reale.
de dal nostro punto di vista. Questa confusione Con lo sguardo stereoscopico della bisociazione,
epistemologica è frutto della rigorosa separazione al pari dei nostri occhi, ogni punto di vista è un
tra oggetto osservato e osservatore. aiuto al completamento della visione dell’altro, è
ciò che ci permette di dare corpo, profondità, a
In ogni esperienza del mondo, soggetto e oggetto ciò che vediamo, per non appiattire la realtà su
si compenetrano: la fenomenologia è la scienza di un’unica visione. Uno sguardo che si pone in sin-
come nell’esperienza soggetto e oggetto si costi- tonia con le emozioni emergenti, adottando un
tuiscono come poli complementari. Il paradosso approccio creativo nella gestione delle situazioni
di ogni forma di conoscenza è che il soggetto che di conflitto culturale. Sono proprio le situazioni
“conosce” è esso stesso parte del “mondo della spiazzanti, quelle in cui le emozioni si palesano
vita” che cerca di afferrare, e contemporanea- più marcatamente, a essere rivelatrici di un’oppo-
mente ne emerge come entità che “costituisce” se sta matrice percettivo-valutativa.
stesso e il mondo come elementi distinti121.

Per indossare questi particolari “occhiali” biso-


gna non limitare all’empatia la nostra possibilità
percezione 1 evento percezione 2
d’interpretazione, ma affiancare un particolare

119. Scalvi, 2003; 2005, passim.


120. In questa consapevolezza risiede la garanzia di non scivolare nel
relativismo interpretativo.
121. Jedlowski, 2002, p. 9.

SI PUÒ FARE 125


Le due matrici non sono altro che due modi Possiamo decodificare le “danze” osservate se-
diversi, a volte reciprocamente escludentesi, di condo questo schema interpretativo123:
inquadrare un evento; sovrapponendole è come
se le stessimo legittimando entrambe: stiamo sguardo culturale riflessivo metacontesto
descrizione di coreografie
praticando un ascolto attivo122. Proprio come
in quella storiella del giudice saggio che, dopo
aver ascoltato attentamente due litiganti, dà sguardo riflessivo contesto descrizione di interazioni

ragione ad ambedue. Il fatto che le percezioni


siano diverse, ma ugualmente vere, produce sguardo comportamento
inevitabilmente in noi un senso di smarrimento descrizione di azioni

che è superabile solo con l’umorismo: quell’at-


teggiamento esplorativo che ci spinge a riflette- Comportamento, contesto e metacontesto sono tre

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re sul nostro modo di guardare. diversi livelli di osservazione disposti su piani
La storiella del giudice prosegue con l’interven- discontinui che possiamo considerare come tre
to di un uomo tra il pubblico, il quale fa presen- modi differenti di inquadrare gli eventi; ciascun
te al giudice che non è possibile dare a entram- livello ha le proprie categorie interpretative e per
bi ragione visto che dicono due cose diverse. Il comprendere la complessità delle azioni delle
giudice, umoristicamente, dà ragione pure a lui. persone dobbiamo necessariamente compiere
dei salti logici di cornice. Se ci accontentassimo
di osservare i comportamenti la nostra analisi si
limiterebbe alla descrizione di azioni (quelle pa-
role, quei gesti, quel modo di fare lezione, quel
tipo di strumento e attività proposti, ecc.), che
percezione 1 evento percezione 2 annegherebbero nel mare della contingenza sen-
za darci la possibilità di fare riflessioni sul conte-
sto124. Infatti, quando ci limitiamo a guardare ci
posizioniamo a questo livello:
atteggiamento
umoristico
• il nostro sguardo vede l’attore in scena, ma non
coglie il senso dei suoi movimenti (un bambino
picchia una compagna di classe: un’emozione si
Legittimando l’opposizione percettiva, possia- palesa ai nostri occhi);
mo “ridere” del nostro punto di vista – in pre- • possiamo attribuire dall’esterno una verosimi-
cedenza ritenuto l’unico possibile – e compren- le spiegazione, ma con l’attenzione a non im-
dere la complessità della cornice che stiamo boccare una deriva psicologizzante (il bambino
osservando. è violento perché vive un disagio…) o comun-
que scivolare nella visione causa-effetto.

123. La versione di questo schema è una nostra elaborazione della


riflessione di G. Bateson sugli ordini di ricursione, come riportato in
Scalvi, 2005, pp. 231-7.
124. Anche C.W. Mills vede lo stesso limite in quella che lui definisce
122. Scalvi, 2003, passim. un’oscillazione tra grandi teorizzazioni ed empirismo astratto.

126 Davide Tamagnini


Invece, se proviamo a spostare l’analisi al livello La possibilità di nominare queste emozioni e di ri-
delle cornici entro cui gli stessi comportamenti si flettere sul sistema di specchi in cui si collocano è un
esercizio di autoconsapevolezza emozionale. Si può
inscrivono, possiamo cercare di ascoltare e capi-
scoprire che accanto alle divergenze ci sono anche
re la musica che fa da sottofondo a quei passi di delle somiglianze, che per certi versi i due antagoni-
danza guardati così attentamente. Se osserviamo sti sono più simili di quanto vogliano ammettere126.
le dinamiche, le inter-azioni tra i diversi elementi
della scena guardando il contesto da una diversa Essi condividono non solo una situazione, ma an-
prospettiva culturale, possiamo: che la medesima percezione. L’interesse disatteso,
la situazione di spiazzamento, fa scattare un’emo-
• vedere il contesto: la compagna aveva respinto zione: questa è la chiave che ci apre la porta della
l’invito del bambino a giocare insieme; comprensione e dobbiamo aiutare i bambini a ri-
• spingerci nella descrizione delle coreografie in

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conoscerla e nominarla.
gioco: che relazione hanno i due bambini con il Ben consapevoli della parzialità della nostra per-
momento del gioco? Può darsi che per la bambi- cezione dobbiamo iniziare a guardare ai bambini,
na il gioco sia un momento di libera scelta e per il ai colleghi, alla scuola, alla società e a noi stessi
bambino un’occasione di relazione, un momento con questo particolare sguardo, per meglio cono-
da passare con qualcuno? Com’è culturalmente scere e più efficacemente agire. Con questi occhi
inteso il momento del gioco per l’insegnante? E possiamo veramente ascoltare.
quali possibilità hanno gli attori per gestire una
situazione non voluta?

Così accostando due culture possiamo vedere più


chiaramente i confini di entrambe e se in gioco
c’è il nostro punto di vista possiamo capire me-
glio la natura culturale del nostro sguardo.
Questo non è e non deve diventare un eserci-
zio accademico. Dobbiamo abituarci a inforcare
queste lenti speciali, per esercitarci nella pratica
dell’ascolto. Dobbiamo dare anche ai nostri stu-
denti la possibilità di esercitarsi in questa impor-
tante occasione di crescita, facilitando l’esercizio
della bisociazione125.

possibilità di relazione possibilità di gioco libero

MI TRATTA MALE gioco MI TRATTA MALE

si sente offeso, si sente infastidita,


deluso, umiliato aggredita
(rabbia) (noia, paura)

125. Un’amica ci ha raccontato questa interessante esperienza che non


vediamo l’ora di sperimentare a scuola: due coppie di orme di colore
diverso sulle quali si devono posizionare due bambini per gestire una
situazione di conflitto tra di loro.
126. Sclavi, Giornelli, 2014, p. 117.

SI PUÒ FARE 127


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L’ambiente Considerazioni al rientro in classe:

“Solo la prima era quasi uguale a noi.”


“Con le isole c’è qualcuno che non vede bene la
lavagna.”
“Invece così come siamo adesso è più comodo per
Dopo aver fatto un lavoro a terra su lunghe strisce vedere la lavagna?”
di carta i bambini escono in giardino a fare l’in- “Sììììì!”
tervallo. Al loro ritorno trovano i banchi disposti “La III A aveva le isole come le avevamo noi.”
in tre lunghe file da cinque banchi ciascuna. “È vero! Noi abbiamo avuto le isole piccole per
quattro bambini, poi l’isola grande, poi abbiamo
“Che bello!” cambiato ancora con due isole da otto bambini.

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“A me piace l’aula così!” Pensavamo di averle provate tutte, invece oggi ab-
“Perché ti piace?” biamo messo i banchi in fila…”
“Non lo so.” “Finalmente!”
“Sembra una vera aula di una vera scuola!” “Ma se mi avete detto che nelle classi vere i banchi
“Una vera classe!” si mettono così, quelle che abbiamo visto oggi sono
“Così siamo più comodi perché non siamo in due aule finte?”
su un banco.”
“Le classi dei grandi sono così!” Il giorno dopo abbiamo scritto una lettera collet-
“Poi andremo a controllare. Qualcuno preferisce tiva che abbiamo inviato a tutte le classi affinché
l’aula com’era prima?” ci dicessero il motivo della loro disposizione dei
“Nooooo!” banchi:
“A me piace così!”
“Anche a me.” Cari amici,
“Anche a me.” vi vogliamo chiedere una cosa: perché mettete i
banchi così? Volete metterli in riga come noi? È più
“Però quando c’erano le isole gli piacevano!” bello e sembra una classe vera!
“Se questa è una vera aula di una vera scuola, allora Rispondeteci per favore
vuol dire che finora non abbiamo mai fatto scuo-
la!?” Ecco cosa ci hanno risposto le altre classi:

Usciamo dall’aula per osservare la disposizione • in questo modo possiamo stare con i nostri amici;
dei banchi in tutte le altre classi. Risultato: • possiamo aiutarci;
• lavoriamo in gruppo;
I per file (di 2 o 3 banchi ciascuna) e colonne • alla fine così chiacchieriamo meno.
II A un’unica grande isola
I bambini erano sorpresi che quelli delle altre
III A piccole isole da 3 banchi
classi avessero trovato solo aspetti positivi. Alla
III B piccole isole da 3 banchi fine abbiamo discusso sul da farsi e abbiamo de-
IV A piccole isole da 3 banchi ciso di disporre i banchi raggruppando i bambini
IV B piccole isole da 3 banchi in due grandi isole da ott posti ciascuna. Anche
V piccole isole da 3 banchi io ero sorpreso di come loro, pur non avendo mai
avuto esperienza di una classe la cui disposizione

SI PUÒ FARE 129


dei banchi non fosse per gruppi, avessero come porto tra essere umano e ambiente, dell’idea di
modello culturale quello di una scuola diversa. sviluppo che abbiamo e che desideriamo.
Ancora una volta questo ci dice molto su quanto
sia irreale pensare a una scuola chiusa fra le sue Lo spazio semi-determinato è ben rappresentato
mura, impermeabile e refrattaria al mondo ester- dalle caleidoscopiche possibilità di distribuire e
no nel quale i bambini vivono e di cui la scuola sistemare gli spazi e l’arredamento interno di una
stessa fa parte. casa, di un’aula; varietà che, all’interno di ciascu-
A questo proposito, lo studio sull’uso dello spa- na cultura, al di là dei gusti personali, incontra
zio è un’importante fonte di rivelazione delle importanti restrizioni129. Proprio la sistemazione
premesse implicite di un luogo; l’ambiente è una di questo tipo di spazio influisce profondamente
vera e propria estensione del corpo, è un tassello sulla condotta umana, sui suoi processi comuni-
che si aggiunge all’uso delle emozioni per aiutar- cativi e sulle possibilità di cambiamento.

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ci a decifrare una determinata cultura.
Per uno studio appropriato delle distanze spa- Infine, la categoria dello spazio informale identi-
ziali a livello comunicativo, possiamo adottare fica la serie di distanze mantenute nei diversi tipi
questo tipo di suddivisione: spazio preordinato, di rapporto con l’altro: intima, personale, sociale
semi-determinato e informale127. e pubblica; ognuna di esse fa riferimento a sche-
mi culturali spesso inconsapevoli e fraintendere
Lo spazio preordinato è ciò che in maniera inten- una distanza può essere causa di spiacevoli o
sa e pervasiva modella gran parte dei nostri com- buffi malintesi130.
portamenti e orienta le nostre possibili esperien-
ze. Un confronto culturale ci può essere d’aiuto Riferendoci a questo modello teorico possiamo
nella comprensione di questo passaggio. adesso fare alcune considerazioni sull’uso del-
lo spazio a scuola. La distribuzione dei banchi,
Non ci si deve meravigliare, se, chi è cresciuto in ad esempio, è spesso immutabile, trasformando
una città dalla struttura radiale francese o disegna- un’opzione semi-determinata, in un vincolo pre-
ta secondo l’impianto romano del reticolo paral-
lelo, si trova spaesato e in difficoltà in paesi come
ordinato, che ha mutato i banchi degli studenti
il Giappone, dove tutto lo spazio preordinato è in basi di cemento armato, ancorate più che al
organizzato su basi radicalmente diverse. […] In pavimento a un’atavica tradizione.
Giappone non sono le strade ad avere un nome,
ma i loro punti di incontro. Inoltre le case non sono Poco a poco – ma soprattutto dopo il 1762, lo spa-
collegate nello spazio, ma nel tempo, e vengono zio scolare si dispiega; la classe diviene omogenea
numerate nell’ordine in cui sono costruite. […] E e non più composta che da elementi individuali
così il Giappone, per esempio, ha dovuto supera- che vengono a disporsi gli uni accanto agli altri sot-
re problemi difficili per integrare l’automobile ad to lo sguardo del maestro. […] Assegnati dei posti
un mondo in cui le linee che collegano i punti (le individuali, rese possibile il controllo di ciascuno ed
strade nel nostro esempio) venivano generalmente il lavoro simultaneo di tutti; organizzò una nuova
trascurate per i punti128. economia dei tempi di apprendimento; fece fun-

Esiste, dunque, un rapporto reciproco tra noi e 129. Sempre in Giappone, generalmente le pareti di casa sono mobili,
quello che costruiamo: città, strade, case, scuole a seconda della necessità delle attività quotidiane o in un’abitazione in
Cina non è buona educazione per un ospite spostare la sua sedia, se non
sono un indicatore di come immaginiamo il rap- su invito del padrone di casa, perché essa è assegnata alla categoria dello
spazio preordinato.
127. Hall, 1996, capp. IX-X. 130. Rimando al testo di Hall (1996) per una esaustiva carrellata di
128. Ivi, pp. 143-5. divertenti esemplificazioni.

130 Davide Tamagnini


zionare lo spazio scolare come una macchina per non accorgendosi che rimanendo aggrappati a
apprendere ma anche per sorvegliare, gerarchizza- questa impostazione, sostanzialmente funzio-
re, ricompensare131.
nale al controllo, si contribuisce a evocare quo-
tidianamente il fantasma dell’uno (l’insegnante)
Perché viene ancora utilizzata questa organizza- contro tutti (gli studenti), di uno spazio separato
zione dello spazio? A cosa è funzionale? All’ap- da confini immaginari che diventano, a seconda
prendimento? Una distribuzione spaziale che delle circostanze, zone protette o linee di trincea.
vede l’insegnante di fronte, dietro alla cattedra, Questo modo di strutturare lo spazio è sinonimo
e gli studenti separati, seduti tra i banchi, uno di staticità – caratteristica necessaria alla diminu-
dietro l’altro, in fila, a guardare le spalle del com- zione degli imprevisti – e di una comunicazione
pagno seduto davanti (fanno eccezione solo i for- unidirezionale, distante dai processi creativi di
tunati della prima fila!) è l’espressione materializ- apprendimento e, forse, dalla vita reale.

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zata di un’esigenza e di un’illusione di controllo Visto che abbiamo già sottolineato l’importanza
dell’insegnante riguardo al comportamento e agli di situazioni impreviste per osservare e compren-
apprendimenti degli studenti. Un’impostazione dere meglio la realtà e deciso di rivedere il no-
in netto contrasto, ad esempio, con le sperimenta- stro ruolo di insegnanti, l’uso dello spazio diventa
zioni e i risultati delle ricerche in campo pedago- l’indicatore della direzione che abbiamo scelto di
gico, secondo le quali gli studenti imparano più intraprendere e dall’esperienze che ci permettia-
rapidamente e meglio se lavorano su un proble- mo o precludiamo di vivere a scuola.
ma non da soli o con gli insegnanti, ma in grup-
pi di pari. Questo principalmente per la libertà
nell’uso del linguaggio: un verbalizzare che segna
il principio del processo di riflessione132. Anche
tutti gli studi e le ricerche relative al cooperative
learning sottolineano le potenzialità delle situa-
zioni cooperative di apprendimento, da interval-
lare con situazioni più individuali a seconda degli
obiettivi a cui si vuole tendere. Gli insegnanti,
meta-comunicando la marginalità attribuita alla
comunicazione diffusa, non intervengono per
modificare questa struttura minimizzandone le
ricadute e considerandola ancora, in un certo sen-
so, funzionale, comunque poco dannosa: “Come
si potrebbero altrimenti fare delle verifiche, dove
non sia possibile copiare! Non siamo mica al bar
che ci sediamo tutti intorno al tavolo! È una scomo-
dità… le bidelle poi vogliono i banchi al loro posto!
I ragazzi imparano meglio così! Vicini chiacchiera-
no troppo!...”
Queste sono solo alcune delle considerazioni e
dei problemi di chi non vuole “aver problemi”,

131. Foucault, 2005, pp. 159-160.


132. Si veda Glasersfeld von, 1994, pp. 17-25.

SI PUÒ FARE 131


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Tempo nalità e riflessione, un tempo innanzitutto fatto
di osservazione. Non un tempo generico, ma un
tempo fatto di attenzione e cura, un tempo che si
qualifica a partire dalla sua quantità.
La dimensione del tempo risente di un’altra vi-
sione mitica: essendo una quantità calcolata e
calcolabile è valutabile oggettivamente. Su que-
sto punto l’insegnante deve lavorare con se stes-
so e con le famiglie dei propri studenti perché i
Insegnare esige sapersi dare tempo: si tratta della risultati dei percorsi di crescita dei bambini non
conditio sine qua non tutti gli altri saperi non po- si possono stimare e confrontare solo perché ad
trebbero esistere. essi si è dedicato lo stesso tempo, sia quello di una

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La dimensione che caratterizza il tempo storico lezione o di un intero anno scolastico. La perce-
è la quantità (secondi, minuti, ore, giorni, anni), zione dello scorrere del tempo è qualcosa di sog-
dunque il primo mito che bisogna smascherare gettivo e i tempi di apprendimento di ciascuno
è quello della qualità: attimi qualitativamente si- sono diversi e vanno accolti come l’unico spazio
gnificativi non possono sostituire una presenza entro cui giocare i contenuti dei propri appren-
costante. Si tratta di un’illusione che la nostra so- dimenti. Accogliere la naturalezza dello scorrere
cietà frenetica ha inventato per giustificare le sue del tempo, alla luce della diversa percezione che
assenze e il suo perenne desiderio di efficienza, ciascuno di noi può cogliere, è una condizione
ma i cambiamenti e le evoluzioni si leggono nel di libertà che ci permette di sostare senza ansie
tempo, dedicando loro del tempo. È come se vo- nello spazio che è proprio dell’esperienza e della
lessimo comprendere la formazione geologica di riflessione. Solo chi è consapevole di questo non
una montagna, avvenuta in milioni di anni, facen- ha paura di rallentare. Per questo l’insegnante
do un’attenta passeggiatina sui suoi sentieri con- deve assomigliare a un virtuoso prestigiatore, la
templandone la superficie. I passaggi importanti cui abilità principale
della crescita di una persona non si possono pre-
notare; se non abbiamo tempo per stare accanto, non consiste nello sviare l’attenzione dello spetta-
osservare, potremo solo ratificare un cambiamen- tore da ciò che si fa, ma al contrario nel rallentare
ogni movimento in modo da lasciare a ciascun spet-
to avvenuto come risultato di un processo che ci è tatore il tempo di inventarsi un fenomeno straor-
sfuggito e che non abbiamo potuto accompagna- dinario. Un insegnante che vuole tenere desta l’at-
re o, nei casi peggiori, facilitare verso direzioni tenzione degli studenti prima di tutto deve parlare
meno disastrose. lentamente in modo da lasciare a ciascuno di loro lo
Nonostante oggi l’essere umano abbia costruito spazio per costruire la loro storia133.
strumenti che gli permettono di accorciare le di-
stanze spaziali, di velocizzare gli attraversamenti, Il trucco allora è quello di rallentare sia per faci-
i processi di crescita fortunatamente non godono litare i propri studenti sia per permettere a sé e a
di questa innovazione. Per entrare in relazione loro stessi di osservare i particolari e avere così
con i propri studenti, per costruire quel dialogo l’opportunità di stupirsi per il tocco che ciascun
che alimenta la prassi, l’insegnante deve investire bambino è capace di mettere se solo si rispetta il
tempo in quella che superficialmente viene defi- suo tempo.
nita una “perdita di tempo” perché non è riempi-
to di “programmi programmati”, ma di intenzio- 133. Foerster von, 1994, pp. 15-6.

SI PUÒ FARE 133


Questo tempo, allora, diventa un tempo rela-
zionale necessario perché ciascuno possa spe-
rimentarsi con l’immagine che ha di se stesso e
quella che gli altri hanno di lui, per metterla in
discussione e crescere. Nella lenta osservazione
quotidiana ognuno potrà trovare quegli elementi
di sorpresa, magari apparentemente marginali,
che consentono il superamento degli stereotipi e
la possibilità di costruire quella relazione di ri-
conoscimento reciproco che è alla base di ogni
esperienza di insegnamento/apprendimento.
In questa cornice l’essere sorpresi dalla difficoltà

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di un bambino non sarà una sventura, ma l’op-
portunità per costruire con lui percorsi persona-
lizzati che gli consentano di affrontare gli osta-
coli e di superarli.
L’insegnante che teme lo scorrere incessante del
tempo fa sua la premessa che vede i processi di
crescita come troppo lenti e tende ad annullare
le specificità, per cui è necessario affrettarsi se
non si vuole rimanere ultimi, restare indietro. Se
non riconosciamo e comprendiamo i tempi di
apprendimento di ciascuno, non solo bruciamo
delle tappe, ma tronchiamo il dialogo con gli
educandi, neghiamo loro la possibilità di un in-
contro che valorizzi i diversi punti di partenza.
Invece “occorre avere una grande sicurezza per
convivere con il tempo senza scuoterlo e volgerlo
velocemente al passato”134, bisogna saper aspet-
tare se non si vuole ricadere nella visione deposi-
taria dell’educazione.
Scegliere come spendere il tempo è una respon-
sabilità pedagogica da cui ogni insegnante non si
può smarcare.

134. Staccioli, 1998, p.19.

134 Davide Tamagnini


Curiosità non governabile. La curiosità deve essere etica-
mente limitata, non può invadere indelicatamente
spazi personali, ma deve esprimersi nelle forme
che le consentono di rimanere aperta al mondo,
sapendo che limitando la curiosità dei bambini
viene falciato anche l’esercizio di quella dell’in-
segnante.
Questa curiosità che fa da volano alla motivazio-
ne ad apprendere, richiede uno sforzo non indif-
Insegnare esige curiosità perché senza di essa né
ferente perché insegnanti e studenti costruiscano
si impara né si insegna. Si tratta di lasciarsi inter-
buone domande e risposte possibili da verificare.
rogare, sapersi porre quelle domande che emer-
Quello della curiosità è un esercizio stancante,

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gono dal confronto con l’esperienza, ma cercando
ma sicuramente non fa addormentare i bambini
di andare oltre per non rimanere intrappolati nel-
come certe lezioni!
le maglie del normale senso comune, purtroppo
sempre più comune e distante dal buon senso.
Questa curiosità ingenua necessita di essere tra-
sformata attraverso l’uso di procedimenti rigorosi
per lo sviluppo di un senso critico che – non ac-
cettando gli stereotipi e i pregiudizi sul mondo –
si pone quelle domande legittime che lo conduco-
no a una conoscenza più profonda. Una curiosità
di questo tipo, epistemologica, stimola ed è sti-
molata a sua volta dall’osservazione e dalla rifles-
sione, gettando le basi per un serio atteggiamento
di ricerca. Infatti insegnare è ricercare, indagare
l’oggetto da conoscere; così l’insegnante che si
posiziona nella prospettiva del cambiamento ha
bisogno di comprendere la realtà per intervenire
al fine di trasformarla. In questo la scuola fa cul-
tura. Dovremo allora chiamare in causa

l’immaginazione, l’intuizione, le emozioni, la capa-


cità di fare congetture, di confrontare, alla ricerca
della definizione dell’oggetto o del perché della
sua ragion d’essere135.

Questo habitus dell’insegnante dà la possibilità


anche agli studenti di esercitare la loro curiosi-
tà con rigore, senza soffocarla con autoritarismo
e di non abbandonarli con fare paternalistico in
nome di una falsa libertà, falsa appunto perché

135. Freire, 2004, p. 70.

SI PUÒ FARE 135


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Coniugare Dunque, questo primo ponte, il più fisico di tut-
ti, lo chiameremo via della concentrazione; su
questa strada i bambini avranno tempo, spazio
e materiali per esercitarsi in modo tale che cia-
scuno possa dare forma a quell’habitus necessario
all’apprendimento.

Il secondo ponte che dobbiamo ricostruire è


quello tra i saperi. I cosiddetti campi di cono-
Non semplici architetti o ingegneri, ma abili
scenza sono necessari per esplorare la realtà, la
progettisti con mani da sarto, capaci di ricucire
cui parcellizzazione è utile all’approfondimento
esperienze, saperi, persone, ricollegare argini ar-
tecnico, ma se non ricondotta a unità si trasforma

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bitrariamente allontanati, abbattere muri indebi-
in una frammentazione inutile e dannosa. Tanto
tamente eretti e, una volta riunito il terreno, pre-
quanto la cura di un sintomo volta a risanare una
pararsi ad accogliere trame inedite che la libertà
parte del corpo è capace di debilitarne un’altra e,
di “transito” creerà, quasi spontaneamente. Da
dunque, le intere membra.
questo punto di vista possiamo dire che l’inse-
Ai bambini viene insegnata l’interdisciplinari-
gnante è innanzitutto un artigiano che paziente-
tà della comunità scientifica, siano essi geogra-
mente e sapientemente coltiva la cura e l’amore
fi, storici o quant’altro, si spiega loro che questi
per il proprio lavoro, mettendo se stesso in quel
studiosi hanno bisogno dei punti di vista degli
che fa.
altri per approfondire le loro conoscenze e che la
In questo senso il primo ponte da costruire è
conoscenza tutta ha bisogno del loro contributo.
quello che riconnette il corpo alla mente. La se-
Questo vale non solo per la ristretta cerchia scien-
parazione cartesiana, purtroppo, ha ancora molto
tifica, perché i saperi abitano, ad esempio, anche
credito in quell’esperienza scolastica che sacrifica
gli spazi dell’arte e della letteratura e ogni punto
“la mano” del bambino sull’altare dell’efficienza,
di vista contribuisce a comporre la figura com-
senza rendersi conto che
plessiva, a darle profondità. Dobbiamo riscoprire
è possibile realizzare una vita materiale più umana,
la visione d’insieme delle cose, ciò che le unisce,
se solo si comprende meglio il processo del fare136. consapevoli che il tutto è sempre più della somma
delle parti.
Come riannodare i rapporti tra mano e cor- Riconoscendo che il senso sta nel tutto, lavoriamo
po? Anche in questo caso gli occhi ci vengono per sostenere la crescita non delle semplici com-
in aiuto. L’azione viene prima della conoscenza. petenze, ma dell’intera persona. In questo senso
Dobbiamo usare le mani insieme alla testa, con- non esiste divisione tra scuola e vita; la scuola è
sapevoli che se usiamo le mani attiviamo anche il laboratorio in cui facciamo entrare la realtà per
la mente, coinvolgendo anche gli occhi. La triade conoscerla, sperimentarla, trasformarla e la realtà
(mano-occhio-mente) ha bisogno di quell’eserci- non entra a pezzi, siamo noi che, di volta in volta,
zio ripetuto di cui abbiamo già parlato: la mano inforchiamo diverse lenti per esplorarne ogni suo
afferra, l’occhio anticipa i movimenti della mano, anfratto. Lo sviluppo tecnico è inscindibile da
la mente invia e riceve segnali, coordina i movi- quello umano, pena degenerazioni violente.
menti, apprende. La persona stessa possiede diverse forme di intel-
ligenza che deve sviluppare:
136. Sennett, op. cit., p. 17.

SI PUÒ FARE 137


• un’intelligenza disciplinare che approfondisce; alla tenerezza e alla fermezza, contro l’egoismo,
• un’intelligenza sintetica che accoglie e mette a la chiusura e il privilegio.
sistema diverse informazioni;
• un’intelligenza creativa che propone nuove Insomma i bambini devono apprendere che la sen-
idee; sibilità non è effeminatezza, e che virilità non si-
gnifica non piangere, non condividere le pene dei
• un’intelligenza rispettosa delle diversità e di se poveri o degli esclusi. Questo insegnamento non
stessi; può essere impartito semplicemente dicendo: “Ab-
• un’intelligenza etica che riflette sui bisogni e bandonate le vostre vecchie idee di virilità”. Può
sulle aspirazioni della comunità umana137. essere promosso solo da una cultura che sia ricetti-
va tanto nei contenuti quanto nello stile pedago-
gico, in cui, non lo si ripeterà mai abbastanza, la
I ponti vanno dunque costruiti anche dentro le
disponibilità all’amore e alla compassione devono
persone, pena la schizofrenia, l’inadeguatezza o

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permeare tutto lo sforzo educativo139.
l’esclusione in un mondo sempre più intercon-
nesso e incapace di gestire serenamente questa Questo ponte lo chiameremo “via dell’amore”,
sua complessità. una strada lastricata di fiducia, dove ogni pietra
In “via della conoscenza” si incrociano mol- è impastata di ascolto.
ti ponti e la stabilità delle campate è data sia
dall’insieme dei pilastri sia dagli incroci delle
arcate.

Il terzo e ultimo ponte è quello tra le persone. È


il più delicato, il più esposto, perché è un ponte
scoperto, in cui ciascuno si gioca in prima perso-
na. Stiamo parlando delle relazioni tra bambini,
tra bambini e adulti, tra adulti, siano essi prossi-
mi o lontani; delle relazioni tra persone che, in
quanto tali, hanno parti diverse della loro per-
sonalità che devono imparare a dialogare e che,
in quanto diverse, hanno mondi culturali da far
incontrare. Per capire la complessità strutturale
di questo ponte dobbiamo richiamare l’immagi-
ne del triangolo magico dell’arte di ascoltare138:
ascolto attivo, gestione creativa dei conflitti e au-
toconsapevolezza emozionale; ciascuno di questi
tre vertici del triangolo ha bisogno degli altri due
affinché la struttura possa reggere. Avere chiari
questi aspetti ci permette di capire su quali ingre-
dienti lavorare affinché le relazioni siano caratte-
rizzate dal rispetto e dal confronto, educandoci
reciprocamente alla pace e alla responsabilità,

137. Gardner, 2007.


138. Sclavi, 2003. 139. Nussbaum, 2011, p. 126.

138 Davide Tamagnini


Cambiare
implica una partecipazione, sempre mutevole, alle
attività socioculturali delle comunità in cui viviamo,
anch’esse in continua evoluzione141.

è difficile, Se individuo e sistema si modificano reciproca-


mente, bambini e scuola sono due termini di una
ma possibile relazione in costante cambiamento, una dimen-
sione che è occasione di crescita per entrambi.
Se concordiamo su questo divenire c’è un mito
che è necessario sfatare, quello del bambino che
non è portato per una materia piuttosto che un’al-
tra. Non vogliamo negare le doti specifiche di cia-

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scun bambino, piuttosto ragionare sul linguaggio
Insegnare esige fiducia nel cambiamento come utilizzato. La locuzione, però, è già di per sé illu-
lotta incessante contro quella visione della realtà minante: non è mancante solo dell’oggetto a cui
predeterminata, immodificabile, che accetta l’in- si riferisce (la matematica, la lettura, il disegno, la
giustizia come qualcosa con cui imparare a con- musica...), ma anche del soggetto responsabile del
vivere. non-accompagnamento: da chi, quel bambino,
Alla base di questo sapere vi è la concezione non è stato portato ad apprendere?
dell’essere umano come essere storico, in dive- Così, tarpando la prospettiva del cambiamento,
nire, e dell’educazione come azione trasformatri- abdichiamo al ruolo educativo e pedagogico di
ce aperta all’inedito che ciascuna persona ha in insegnanti: se è difficile portare qualcuno su una
sé. Ogni bambino che arriva a scuola, infatti, si specifica strada dobbiamo trovare nuove vie, per-
è già costruito un’immagine di sé che gli deriva ché anche per noi esiste la possibilità di cambia-
da quel che sa di sapere, dalle esperienze che ha re; ma se siamo incapaci di ricercare dobbiamo
vissuto, dai suoi sogni e dalle sue paure, dalle sue assumerci la responsabilità della nostra limitatez-
relazioni e dall’immagine sociale che ha ereditato za come caratteristica intrinseca di ogni essere
dal contesto in cui vive: con questa identità in- umano e farci aiutare. Non si può – quantomeno
contra l’insegnante e i compagni con cui costru- farlo è scorretto – lasciar ricadere un problema
ire tutto ciò che ancora non è stato “scritto”. In didattico sull’identità di uno studente.
questo iato si staglia la sempiterna dicotomia di Infine, la comprensione della storia come pos-
natura e cultura, base di molte distorsioni ana- sibilità non è intelligibile senza il richiamo alla
litiche e di conseguenti scelte pedagogiche: pen- speranza, senza il sogno che qualcosa si può – e
siamo in particolare alle separazioni che abbiamo si deve – realizzare: non c’è sogno senza speranza
già descritto, quelle tra corpo e mente o tra vita e senza sogno non c’è cambiamento142. È proprio
e scuola; separazioni concettuali che andrebbero vero che ciascuno cresce solo se sognato143.
ricondotte alla sacra unità140 biologica e culturale
alla quale appartengono, tipica di ogni sistema vi-
vente. Dobbiamo assumere la prospettiva di una L’osservazione, fatta di sguardi ed emozioni, l’uso
natura culturale dello sviluppo perché l’evoluzio- dello spazio e del tempo, la capacità di collegare,
ne umana
141. Rogoff, 2004, p. 9
142. Freire, 2008, pp. 112-3.
140. Bateson, op. cit. 143. Dolci, 1974, p. 105.

SI PUÒ FARE 139


di mettere insieme, la curiosità e la fiducia nel
cambiamento sono quelle abilità, conoscenze e
competenze trasversali su cui basare la scuola ne-
cessaria oggi all’educazione planetaria144, quella
in cui gli insegnanti intenzionalmente scelgono
di compiere un cammino storico di crescita con
i propri studenti.

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144. Morin, 2000; 2001, passim.

140 Davide Tamagnini


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QUINTA (non) concludere
PARTE Per
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Si deve fare
se ognuno di voi sapesse che ha da portare innan-
zi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le mate-
rie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io
vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che
impara tutte le materie. O meglio multa per ogni
ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi
correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo
sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha mes-
sa certo uguale agli altri. Lottereste per il bambino
che ha più bisogno, trascurando il più fortunato,
Come tutte le esperienze più salienti della vita come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la not-
(dall’orgasmo alla filantropia), il fatto di averla te con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuo-
vo di fare scuola, tagliato su misura sua. Andreste
provata ne accresce il desiderio a cercarlo a casa sua se non torna. Non vi dareste

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Howard Gardner pace, perché la scuola che perde Gianni non è de-
gna d’essere chiamata scuola145.

Non sappiamo se la nostra esperienza è degna, ma


questo è stato il nostro tormento educativo, ciò
che ci ha messo nella condizione per voler cercare
una soluzione che potesse chiamarsi “scuola”.
Si può fare, si doveva fare. Insegnanti e bambi-
ni è come se si fossero periodicamente, per non
Su una parete della nostra classe c’è scritta una
dire quotidianamente, ripetuti questa frase; tal-
regola paradossale che ci siamo dati per vivere a
volta in forma di domanda, in certi casi, anche
scuola: la bellezza. Se avete l’occasione venite a
senza esprimerla, in forma di pensiero. Questa
farci visita e condivideremo anche con voi le no-
tensione verso il possibile, il desiderato, è stata
stre bellezze, i nostri dubbi e le nostre certezze.
una palestra di riflessione, di apprendimento o,
Vi salutiamo con una storia.
più semplicemente, lo spazio dentro cui riascol-
tare lo stesso interrogativo in forma esclamativa: Uno scienziato, che era molto preoccupato per i
“Si può fare!”. Ogni giorno abbiamo sgretolato problemi del mondo, si era deciso a trovare la so-
l’immagine predeterminata e deterministica della luzione per porvi rimedio. Passava i giorni nel suo
scuola per ricostruire un’esperienza di senso per laboratorio alla ricerca delle risposte ai suoi dubbi.
ciascuno di noi. Siamo felici di questo tentativo e Un giorno, suo figlio di sei anni, entra nel suo “san-
tuario” deciso ad aiutarlo a lavorare. Lo scienziato,
ci sentiamo la responsabilità di continuare a met-
nervoso per quell’interruzione gli chiese di andare
tere in discussione ogni “Non si può!” se esiste a giocare da un’altra parte.
una soluzione che risponda al bisogno di crescere Vide che la cosa era impossibile, allora il padre pen-
dei bambini. Se non esistesse, prima di arrender- sò a qualcosa che potesse intrattenerlo.
ci, proveremmo a cambiare la domanda. All’improvviso ritrovò una vecchia rivista, nella qua-
Rileggendo queste pagine abbiamo ritrovato le c’era una cartina del mondo. Prese le forbici e
ritagliò la mappa in diversi pezzi. Consegnò al figlio
spesso il verbo “dovere” accanto al soggetto “in- i pezzi e un nastro adesivo e gli disse: “Visto che ti
segnanti”. Il dovere di essere insegnati lo si scopre piacciono i puzzle, ti darò il mondo tutto rotto in
solo se il nostro fare è intriso di piacere; senza di modo che tu lo sistemi senza l’aiuto di nessuno”.
esso non avremmo trovato le energie nelle occa- Lo scienziato calcolò che il piccolo avrebbe avuto
sioni di stanchezza e di sconforto, le forze per la-
sciarci guidare dal sogno da cui eravamo partiti: 145. Milani, 1967, p. 82.

SI PUÒ FARE 143


bisogno di almeno dieci giorni per ricomporre la
mappa, ma le cose andarono in modo diverso.
Dopo poche ore il bambino rientrò nel laboratorio
e con molta calma disse: “Papà, sono riuscito a far-
lo tutto, l’ho finito”.
All’inizio il padre non gli credette. Pensava che
fosse impossibile che, alla sua età, fosse riuscito a
comporre una mappa che non aveva mai visto pri-
ma di allora. Per sua sorpresa la mappa era comple-
ta. Tutti i pezzi erano stati collocati al loro posto e
la mappa era giusta.
Com’è stato possibile? Come aveva fatto il bambi-
no a sistemare il mondo?
“Figlio, tu non sapevi com’era il mondo, come sei

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riuscito a metterlo a posto?”
“Papà, è vero non sapevo com’era il mondo, ma
quando hai preso la mappa dalla rivista per rita-
gliarla, ho visto che dall’altra parte c’era la figura
di un uomo. Così ho pensato di girare tutti i pezzi
ed ho cominciato a ricomporre l’uomo, perché so
com’è l’uomo.”
“Vedi papà, una volta che sono riuscito a sistemare
l’uomo, ho voltato pagina, e ho visto che avevo si-
stemato il mondo”146.

Cambiare punto di vista: per cambiare il mondo


dobbiamo cambiare noi stessi e, nella scuola, il
primo passo di questa difficile danza spetta a chi
vuole essere insegnante. Per il resto i bambini ci
stupiranno.
Arrivederci.

146. Attribuito a Gabriel García Márquez.

144 Davide Tamagnini


Queste
pagine sono un frutto
acerbo, ma che penso valga la
pena cogliere. Il seme che ho coltivato
lo ha piantato in me un amico, un maestro,

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un saggio, un uomo. A te, caro don Gino, che mi
hai aiutato a capire il valore della vita e la forza del
dialogo autentico, quello capace di smascherare
le contraddizioni del mondo e di costruire le
condizioni per facilitare la crescita umana.
A te che mi hai insegnato il valore della
fiducia e della storia come possibilità.
A te che mi hai
testimoniato
che bisogna
credere in
quel che si
fa e amare
ciò in cui si
crede. A te
devo molto
di quel poco
che oggi sono
e ho fatto. A te
dico: “Grazie”.
Grazie anche per avermi indicato la strada per puntare in alto, sulle spalle dei giganti.
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Postfazione anche da Marianella Sclavi. Chissà quanti altri
maestri-educatori ci sono in questo nostro Paese,
bello ma disastrato, innamorati del loro mestiere
Dialogo a più voci ma scoraggiati al punto da non saper sconfiggere
passività e omertà della maggioranza degli edu-
catori e dei docenti che, tra primaria e media,
infligge a bambini e a ragazzi soggezione, paura,
noia. Esperienze che inducono allo spionaggio,
all’imbroglio, al bullismo. Lo sappiamo bene:
sono tutti comportamenti prodotti da una cattiva
scuola e da pessimi esempi.
Abbiamo già speso molte parole per sottolineare
Tu presenti invece, stando giorno per giorno con

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l’importanza che attribuiamo al confronto aper-
loro, una lievità e un piacere davvero incoraggian-
to con gli altri, al loro punto di vista, perché ci
ti. Lo fai raccontando le tue esperienze dirette,
dà innanzitutto la possibilità di guardarci da una
le soluzioni interessanti come quella di rinviare
nuova prospettiva, di imparare da ciò che diamo
senza paura l’uso del corsivo, la bella ricerca di
per scontato di noi stessi, di non accontentarci
opportuni materiali di lettura fin dalla prima, il
mai e di evolvere. Proviamo allora, per un istante,
cerchio costruito con i nomi dei bambini per con-
ad ascoltare tre persone che hanno contribuito a
cordare e ricordare i compiti settimanali, le uscite
costruire, più o meno direttamente, questa nostra
dalla scuola. Si sentono in ogni pagina l’attenzio-
esperienza.
ne costante a ciascuno di loro, vera molla per un
clima diverso e un rispetto che la dice lunga più
Grazia Honegger Fresco147
di qualsiasi convinzione razionale.
Di questo tuo libro mi piace soprattutto la parte
Mi piace anche quel registrare giorno per giorno
pratica. Apprezzo ovviamente l’introduzione te-
successi e difficoltà, quel mettere i bambini nella
orica, ma incontro e sento troppi educatori che,
condizione di auto-valutarsi. Questa parte dalla
non conoscendo nemmeno la concretezza di Ma-
consapevolezza di quale disastro – da te indica-
rio Lodi o di Lorenzo Milani, usano la teoria per
to con efficaci frasi – produca il sistema dei voti
negare ogni possibilità di cambiamento.
e quanti altri modi si possano trovare, in stretto
Per questo preferisco dare ulteriore riconosci-
contatto con i genitori, per apprezzare il percor-
mento a chi vive, spesso in solitudine, la quoti-
so individuale che ciascun bambino segue per
dianità accanto ai bambini, educatori di valore
conquistare i propri apprendimenti e goderne di
come Lina Mannucci che da cinquant’anni tiene
conseguenza.
coraggiosamente in vita a Firenze, insieme a edu-
La scuola come fonte di benessere, di piacere, di
catrici e a genitori, la bella, autentica scuola d’in-
condivisione.
fanzia “Margherita Fasolo” o il tuo collega Fran-
Se un bambino sa rispondere a domande qua-
co Lorenzoni, maestro nel piccolo paese di Giove
li: “Che cosa sento di aver imparato?” o anche
presso Amelia: da molte stagioni dà vita anche ad
“Quando mi sento in difficoltà?”, mostra di aver
apprezzatissimi laboratori per adulti e per bam-
raggiunto dosi di indipendenza e di autostima tali
bini e sul finire dello scorso anno ha pubblicato
da sentirsi sicuro emotivamente e quindi di poter
per Sellerio I bambini pensano grande, ricordato
dire di sé anche su aspetti che in situazioni op-
147. Allieva diretta di Maria Montessori, ha fondato e guidato scuole,
poste sarebbe indotto a nascondere, fingendo di
nidi e scuole Montessori in provincia di Varese. sapere o semplicemente tacendo.

SI PUÒ FARE 147


Ma il maestro Davide riesce a mettere in luce ti in comune si notano con i montessoriani, gli
e valorizzare anche la voce dei genitori: “Come steineriani, con i colleghi di Cooperazione edu-
vedo mio figlio?”, “In che cosa lo vedo cambia- cativa e quelli che, nei Cemea (Centri di Eserci-
to?”, ecc. Modalità semplici che rendono attua- tazione ai Metodi dell’Educazione Attiva) e i vari
bile quel principio basilare del costruire insieme che oggi emergono alla ricerca di soluzioni nuo-
– tra casa e scuola – l’aiuto alla crescita di un ve. Forse non sono molti, altrimenti non sarem-
bambino, sempre auspicato, ma di rado attuato mo arrivati ai disastri attuali, ma costituiscono
a causa di una più frequente contrapposizione. comunque sorgenti preziose di rinnovamento. Il
Una sensibilità che forse non è solo consapevo- tuo testo potrebbe essere un nuovo punto d’in-
lezza di maestro, ma anche vita quotidiana con i contro. Per questo ti auguro per il suo contenuto
propri figli (altra esperienza in comune con Lo- di speranza, che raggiunga appena uscito la mag-
renzoni!). E perdona la nota personale: anch’io giore delle diffusioni.

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ho imparato tanto dai miei due e poi dai loro fi-
gli: la felicità di cinque nipoti. Marianella Sclavi148
Ma torniamo al tuo testo. Altro ottimo lavoro Ho letto, e ogni tanto ritorno a consultare, il rap-
“pratico” m’è parso quello dei programmi a gri- porto “La buona scuola” prodotto dal Ministero
glia che proponi per la lingua e per l’aritmetica: della pubblica istruzione tra luglio e agosto 2014.
nitidi, sicuri, utilissimi anche per aiutare un ma- È un documento che propone i cambiamenti or-
estro incerto nel capire dove si situino eventuali mai divenuti indispensabili sia di mentalità (da
sue difficoltà che non gli consentono di dare via cattedratico a dialogico, da nozionistico a basato
libera a un lavoro facile e felice con i bambini. sull’esplorazione e invenzione) che di struttura
Molti insegnanti a mio avviso sono aggressivi del nostro sistema scolastico e le direttive per
con gli allievi perché, nascondendo anche a se renderli operativi. Una di queste direttive, che
stessi lacune in questa o in quella materia e non per la prima volta in vita mia mi rende simpatico
trovando modi adeguati per proporle, se la pren- un documento di tale provenienza e tal genere, è
dono con loro. L’incertezza li porta a non fidarsi la “Sblocca scuola” ovvero
dei bambini, mentre se ci si fida, si dialoga e li si
ascolta e quindi si cresce insieme, grandi e picco- coinvolgimento di presidi, docenti, amministrativi
li, partendo ad esempio dal cambiare la disposi- e studenti per individuare le 100 procedure buro-
cratiche più gravose per la scuola. Per abolirle tut-
zione dei banchi o limitandosi alle sole sedie per te.
favorire il confronto in un vero cerchio dove si è
tutti alla pari: la condizione migliore per affron- Anche il collegamento tra formazione e innova-
tare i problemi, discuterne, risolverli. zione (come è formulato) mi trova in totale ac-
Tutto questo tu lo proponi anche attraverso le cordo:
immagini, incoraggiando indirettamente col-
leghi che vorrebbero rinunziare alla disciplina Formazione continua obbligatoria, mettendo al
frutto di un’obbedienza imposta per nuove for- centro i docenti che fanno innovazione attraverso
me di condivisione e di ascolto, ma non sanno lo scambio fra pari. Per valorizzare i nuovi don Mi-
bene da dove cominciare. lani, Montessori, Malaguzzi.
Mi limito a queste osservazioni per concludere
che sarebbe bello costruire una rete fra tutti i do-
centi che, pur avendo già trovato strade soddisfa- 148. Sociologa, scrittrice e studiosa di arte di ascoltare e gestione creativa
dei conflitti. È stata docente di antropologia urbana al Politecnico di
centi, continuano, come te, a cercarne altre. Pun- Milano.

148 Davide Tamagnini


Ebbene, mi capita di conoscere alcuni di questi la” si risolverà nella solita “aria fritta”: piacevoli
nuovi don Milani, e Davide Tamagnini, come incontri, interventi intelligenti, relazioni patinate
avete avuto modo di constatare grazie a questo da mettere in uno scaffale, accanto alle altre.
libro, è uno di loro. Non è il solo; per fortuna Ci vuole altro e Tamagnini, raccontandoci con
nella scuola italiana sono parecchi gli ottimi in- stile etnografico le sue giornate di scuola con i
segnanti. Ma finora il loro rapporto con l’insieme bimbi e con le colleghe ci offre tutta una serie di
delle strutture e l’impostazione scolastica è stato spunti e suggerimenti.
fondamentalmente di reciproca mal-convivenza, La cifra chiave di questo libro/diario, il suo leit
di sopportazione-rigetto reciproco. La scuola li motiv (che lo affianca ai sopra nominati don Mi-
lascia vivere, ma con difficoltà, come degli intru- lani, Montessori, Malaguzzi e altri che certamen-
si, dei pretenziosi fastidiosi che intralciano la vita te conoscete e troverete citati), è che un buon
degli altri più conformisti. Sono stati costretti a maestro insegna predisponendo ambienti sia spa-

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costruirsi delle nicchie e tacitati: “Cosa vuoi di ziali che relazionali, in cui i bambini sono indotti
più dalla vita, puoi insegnare come ti pare, ma a cercare da soli le risposte, le soluzioni alle do-
non rompere le scatole ai colleghi o ai bidelli!”. mande e ai problemi che man mano emergono.
Questo è il senso della “libertà di insegnamen- Perché è solo così che si capiscono per davvero
to” attualmente in Italia. L’idea di una scuola in i rapporti fra come si guarda e cosa si vede, fra
cui si apprende dai pari più creativi e innovativi, dinamiche della conoscenza e conoscenza stessa.
è assente: la lezione/conferenza del docente uni- L’insegnante resiste alla tentazione di dare delle
versitario o dell’esperto esterno si può digerire, risposte alle difficoltà e ai quesiti dei bambini e
ma imparare dai colleghi, dai pari, è vissuto come questi ultimi si abituano a considerare l’appren-
umiliante, anzi: degradante. dimento come una esperienza sperimentale, le
È questo tipo di sindrome, che ha origini cultu- mosse esplorative, non come “possibili fallimen-
rali e storiche oltre che strutturali e sociologiche, ti”, ma come metodo di moltiplicazione delle op-
che rende così sordo al cambiamento il sistema zioni, dei punti di vista. Imparano a vivere in un
scolastico italiano, ne fa una struttura vischiosa, mondo in cui la dicotomia oggettivo-soggettivo è
capace di tenace resistenza a ogni reale modifica- una semplificazione il più delle volte inadeguata e
zione di rotta. indebita, e in cui la diversità, la pluralità dei punti
L’illusione che una resistenza del genere possa es- di vista è per davvero una risorsa.
sere superata con delle semplici spiegazioni, con Uno degli esempi: alla bimba frustrata perché
dei bei discorsi o anche un autorevole documen- non le riesce di scrivere la lettera “S” per il verso
to, come il rapporto sopra citato, è parte del pro- giusto, la scrive sempre speculare, alla rovescia, il
blema. In altre parole, non è sufficiente limitarsi maestro suggerisce di individuare altre “S” nelle
a mostrare altri modi di operare ed elencare nel scritte appese alle pareti o nei libri illustrati spar-
modo più chiaro possibile i motivi per cui le im- si per l’aula e provare a vedere le differenze fra
postazioni tradizionali sono ormai obsolete, com- quelle “S” e le sue. Ed è così che la bimba trion-
pletamente inattuali e contro-producenti per le fante scopre “i trucchi” per delle “S giuste” inve-
vite individuali e per le dinamiche sociali. Ci vuo- ce che “rovesce”, capisce in cosa sbagliava. Che
le qualcosa di diverso e di più. È necessario sape- ne so, può scoprire che prima vedeva la testa della
re come si trasforma il vischio da impedimento “S” come una specie di mezza “O” e invece ades-
che lega e blocca, a materiale che accompagna e so la vede più come un “C” con sotto una coda il
consolida i passi del cambiamento. Senza di ciò che le facilita iniziare a scrivere la “S” da destra
anche la bellissima proposta dello “Sblocca scuo- a sinistra invece che viceversa. Qualcosa del ge-

SI PUÒ FARE 149


nere. Senza saperlo si sta esercitando in analisi scuola in quanto tale, i suoi regolamenti e rap-
variazionale, in fenomenologia sperimentale, ac- porti col territorio.
quisendo quella flessibilità mentale, quella con- A proposito del layout spaziale, Si può fare porta
cezione di un mondo fatto di figure multi-stabili un episodio che mi ha fatto pensare, che trovo
(vedi Sclavi, Giornelli, 2014) che si rivelerà pre- illuminante relativamente alla vischiosità del-
ziosa in tante altre occasioni che richiedono ca- lo status quo. Racconta Tamagnini che un certo
pacità di innovazione e creatività. giorno i suoi allievi entrano in aula e trovano i
Si tratta di creare contesti in cui la tentazione di banchi, solitamente disposti in circolo o a isole
vedere i rapporti con gli altri in termini di “giu- per i lavori di gruppo, messi in due file rivolte
sto-sbagliato”, “vero-falso”, “amico-nemico”, “io verso una cattedra. A questo cambiamento, con
ho ragione, tu hai torto (o viceversa)” viene con grande sorpresa del maestro, i bambini reagisco-
naturalezza superata, travalicata dall’ascolto atti- no festosamente ed esclamano: “È come in una

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vo, l’auto-consapevolezza emozionale, la media- vera scuola!”.
zione creativa degli urti e dei conflitti. Abilità e Un paio di domande: da dove arriva ai bambini
conoscenze che il maestro e la maestra devono la nozione che una “vera scuola” deve assomigliare
praticare essi stessi per creare un contesto rela- a quella dove studiavano i loro nonni e genitori?
zionale nel quale i bambini e i ragazzi sono in- E come si fa a trasmettere la nozione che quella
dotti a mettersi in sintonia. con i banchi in file e la cattedra è “la vera scuola di
Il risultato è il materializzarsi di rapporti dove una volta”, mentre quella a isole e con le sedie in
sia i fallimenti che i successi propri e altrui sono tondo, senza cattedra, è “la vera scuola del mondo
visti come occasioni di crescita individuale e col- contemporaneo”?
lettiva. Questa danza si chiama “intelligenza col- La risposta a queste domande richiede si faccia
lettiva” ed è esattamente il contrario e l’antidoto ricorso alla differenza fra un cambiamento den-
del concepire l’apprendere dai pari come degra- tro il paradigma vigente rispetto al cambiamento
dante, come rischio di sottomissione. di paradigma. Quest’ultimo richiede che si pren-
da atto di una cesura che va esplicitata e sulla
Il libro di Davide Tamagnini da questo punto quale l’intera società deve riflettere. In termini
di vista è affine a quello di Franco Lorenzoni I pratici questo comporta che gli istituti scolasti-
bambini pensano grande. Cronaca di una avven- ci che aderiscono alle nuove direttive debbano
tura pedagogica (Sellerio, 2014), entrambi non a farlo non solo con processi partecipativi che ren-
caso diari di maestri capaci di creare contesti in dono consapevoli tutti gli attori interessati dei
cui ciascun allievo è protagonista di una ricerca cambiamenti da attuare, ma coinvolgere gli stessi
comune. A questi due aggiungo, consigliandolo nella rappresentazione delle differenze fra i due
caldamente, il libro di Beate Weyland Fare Scuo- modelli scolastici (quello “vero” di una volta e
la. Un corpo da reinventare (Guerini, 2014) che quello “vero” di adesso) e la riflessione sulle im-
illustra con disegni, foto e casi concreti, i cam- plicazioni in termini di rapporti fra potere, auto-
biamenti nel layout spaziale, dalla disposizione rità e conoscenza.
dei banchi, alla trasformazione e multi-uso degli Il processo di riflessione su questo passaggio di
spazi dei corridoi, della biblioteca e della mensa, cornice e su cosa comporta nelle dinamiche per-
in una logica di 1/3, 1/3 e 1/3, ovvero 1/3 del cettive e culturali, è la direttiva mancante, quella
tempo dedicato alla lezione frontale, 1/3 al lavo- che va aggiunta a quelle pur condivisibili elabo-
ro di gruppo e 1/3 al lavoro individuale, col tem- rate dal ministero. Su questo punto può essere
po residuo da dedicare al funzionamento della utile il libro sopra citato, che ho scritto recente-

150 Davide Tamagnini


mente con Gabriella Giornelli, grande mediatrice role “più semplici” possibili, ma senza successo.
dei conflitti scolastici. La discussione verte da un lato sulla inadegua-
Il punto nodale è mettere bene a fuoco che quello tezza delle “parole semplici” e su quanto è dif-
che in tutti questi libri è descritto come “il modo ficile superare la premessa culturale radicata ne-
di apprendere dei bambini”, in realtà è anche il gli insegnanti, che i bambini apprenderebbero
modo di apprendere degli adulti in tutti i casi in attraverso le parole (nostre) e quindi abituarsi a
cui l’apprendimento stesso richiede la modifica di leggere e descrivere i rapporti in classe in termini
abitudini profondamente radicate, ovvero quan- di circolarità, di reazioni alle reazioni. Per tra-
do il cambiamento richiesto non è previsto dagli smettere saperi complessi bisogna offrire “sem-
archi di possibilità già scontate, ma è un cambia- plici esperienze”, che le insegnanti si impegnano
mento degli archi stessi, delle cornici di cui siamo a inventare e condividere nel piccolo gruppo, fra
parte. pari. Il lavoro di gruppo offre così la possibilità a

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Tamagnini anche a questo riguardo offre parec- ogni singola insegnante di attingere a un ricco e
chi suggerimenti, nella forma di esempi e nar- indispensabile paniere di casi, di esempi, di espe-
razione di pratiche che assieme alle colleghe, rienze specifiche e concrete, creative e divertenti.
mette in atto nella scuola in cui lavora. Come i Un altro suggerimento consiste nell’invitare una
piccoli gruppi di supervisione fra insegnanti che collega come osservatrice in classe chiedendole
si riuniscono periodicamente con la struttura dei di stendere un breve resoconto delle interazioni
gruppi di supervisione fra terapeuti: si parte da e situazioni che la colpiscono.
descrizione di un caso/rapporto problematico e
dei modi con i quali è stato affrontato e ognuno In sintesi: quello di Tamagnini è un contributo al
contribuisce a moltiplicare le opzioni, lasciando superamento non soporifero della crisi del nostro
ognuno libero di decidere cosa sia meglio per lui/ sistema educativo. “Qualcosa si può fare” specie
lei. È infatti grazie al moltiplicarsi delle alterna- se tutti noi, anche senza aspettare che il ministero
tive, all’esplorazione libera delle possibilità, che si muova, incominciamo a metterci in rete e a pra-
vengono a galla le caratteristiche inedite, trascu- ticare la scuola attuale, lasciandoci dietro le spal-
rate, delle reazioni messe in atto. le, e collocando nei musei, quella “di una volta”.
Che poi la scuola attuale, non è neppure tanto
Quello che vedi dipende dal tuo punto di vista. Se nuova e giovane; a ben vedere ha maturato quasi
vuoi vedere il tuo punto di vista, devi cambiare un secolo, da quando è stata teorizzata, per esem-
punto di vista149.
pio da John Dewey, come riporta lo stesso Tama-
In uno di questi incontri, una delle insegnanti, gnini:
descrive la propria frustrazione per non essere
se non è possibile trasmettere un pensiero, un’idea,
riuscita a convincere uno dei bambini a rinun- da una persona all’altra […] l’alternativa a fornire
ciare ad accaparrare gli oggetti distribuiti a tutti. l’argomento già pronto e all’ascoltare con quale ac-
Come possiamo aiutarli a cambiare paradigma curatezza venga riprodotto non è l’ignorare, ma il
(da “mio” a “nostro”) e vedere che nel condivide- partecipare all’attività del fanciullo e il condivider-
re possiamo fare un’esperienza di gioia più piena? la. In questa attività condivisa il maestro impara e lo
scolaro, senza saperlo, insegna.
L’insegnante in questione dichiara che ha provato
a veicolare questo complesso concetto con le pa-

149. Sclavi, 2003.

SI PUÒ FARE 151


Lilia Andrea Teruggi150 tualizzazioni che si riflettono nella cura con cui
Nel leggere la prima bozza di questo libro ho progetta le attività e i percorsi, cioè nella traspo-
pensato subito agli studenti del corso di laurea sizione di tali saperi nella pratica didattica. Una
in Scienze della formazione primaria: confron- scuola “della vita e per la vita,” come dichiara
tarsi con il testo di un giovane maestro, laurea- l’autore, richiede non solo che i saperi in gioco
tosi qualche anno prima, può essere uno stimolo non vengano snaturati ma anche che gli alunni
per la loro futura professione. Soprattutto perché possano ricostruire il senso di questi saperi. Per
ciò che emerge dalle parole di Davide Tamagni- questo motivo, e in linea con una progettazione
ni è un messaggio positivo: la “scuola” discussa per competenze, le situazioni didattiche descritte
durante le nostre lezioni prende corpo attraverso in questo libro sono sfidanti e autentiche, aper-
l’esperienza di questa classe prima. In questo pe- te a soluzioni possibili attraverso l’attivazione di
riodo di cambiamenti istituzionali, credo che la processi complessi. Così si scrive per comunicare

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possibilità di riflettere su un progetto educativo attraverso la posta della classe e si legge per il
e didattico concreto, che coniuga l’osservazione piacere di ascoltare belle storie, senza dover ri-
e l’analisi dei bisogni degli alunni con le teorie e spondere alle classiche domande di comprensio-
le scelte dell’insegnante ma anche con i contenu- ne.
ti delle “Indicazioni nazionali” del 2012, possa Un aspetto cruciale dal punto di vista didattico
contribuire in modo significativo alla formazione è il significato attribuito all’errore degli alunni,
dei nostri futuri insegnanti. e oserei dire anche degli insegnanti. Consegne
L’esperienza descritta in questo testo abbraccia come “ognuno scrive come ce l’ha in testa” non-
diverse dimensioni della didattica che vanno da ché la presenza di scritture non convenzionali
quella culturale e professionale a quella relazio- sulle quali si riflette insieme, denotano la consa-
nale e metodologica. Infatti, l’autore affronta ar- pevolezza da parte del maestro del ruolo costrut-
gomenti quali la progettazione e la valutazione tivo dell’errore nei processi di apprendimento.
degli apprendimenti, l’organizzazione di spazi, Allo stesso modo lo spazio creato con i colleghi
tempi e materiali, le metodologie e i dispositivi per imparare a riflettere sulla propria prassi edu-
didattici, le relazioni tra insegnanti e bambini, cativo-didattica consente loro di “portare fuori
tra insegnanti e famiglie nonché tra i colleghi. dall’aula” le proprie esperienze e i propri proble-
Ognuna di queste tematiche viene trattata attra- mi (errori) cioè di renderli pubblici. Così facendo
verso un continuo collegamento tra teoria e pra- gli insegnanti diventano maggiormente consape-
tica: ogni scelta didattica viene infatti argomen- voli non solo del fatto che anche loro agiscono in
tata e sostenuta sia dall’analisi dei bisogni sia da funzione di “ciò che hanno in testa”, cioè in fun-
riflessioni relative a teorie psicologiche, pedago- zione delle loro idee ed esperienze sui processi
giche e didattiche. Ciò rende la lettura di questo di insegnamento-apprendimento, ma soprattutto
libro particolarmente accattivante e scorrevole. che attraverso la condivisione e l’interscambio è
Attraverso l’analisi delle conversazioni e dei ma- possibile trovare proposte e sperimentare solu-
teriali didattici proposti, si possono cogliere con zioni più adeguate alle problematiche incontrate.
chiarezza le concettualizzazioni del maestro ri- All’interno di questa proposta, particolare rilie-
spetto ai saperi, in particolar modo quelli rela- vo assume la dimensione comunicativo-relazio-
tivi all’ambito linguistico e matematico. Concet- nale. Infatti, già nel primo capitolo, in cui viene
illustrata “la scuola necessaria”, l’autore chiarisce
150. Docente di Didattica generale e Didattica della letto-scrittura pres-
il concetto di dialogo e di comunicazione soffer-
so l’Università degli studi di Milano Bicocca. mandosi sulle domande legittime che “aprono il

152 Davide Tamagnini


pensiero”. Domande che si ritrovano esemplifica-
te all’interno dei diversi stralci di conversazione
inseriti nel testo. L’attenzione a questa dimensio-
ne comunicativo-relazionale si può anche coglie-
re nella cura della valutazione, una valutazione
autentica costruita con il contributo dei bambini,
degli insegnanti e delle famiglie, dove non sono
presenti i voti perché “non sono lo specchio dei
processi di apprendimento che i bambini metto-
no in atto”.
Infine, vorrei sottolineare il ruolo attribuito
dall’autore all’osservazione, allo “sguardo”, come

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punto di partenza per un possibile cambiamen-
to. Osservazione non solo sui bambini ma anche
su di sé in quanto insegnante; osservazione che
consente di cogliere “le voci dei bambini” ma
anche le proprie emozioni, così da poter capire i
momenti di spiazzamento in cui ci si può venire
a trovare in alcune situazioni. In questo versante
la scrittura, che prende forma attraverso il diario,
diventa lo strumento privilegiato per catturare gli
sguardi, trasformando così l’insegnamento in una
pratica riflessiva. Parafrasando Emilia Ferreiro151,
questo libro può contribuire a fare sì che ogni in-
segnante osservi attentamente la propria pratica
didattica e quella degli altri. Che ascolti ciò che
dicono i bambini. Che cerchi di comprendere ciò
che fanno. Che pensi e che lasci pensare.

151. Ferreiro, 1991.

SI PUÒ FARE 153


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Il titolo del libro, Grazia: “Io sono dell’idea che sia ancora poco
quel ‘qualcosa’ perché è tanto quello che si può e
si deve fare. D’accordo, però, che ci sia qualcosa
un pretesto in tutti che richiami alla gioia…”

i sensi Marianella: “Sono d’accordo, è un libro pieno del


piacere di fare scuola quindi va dato risalto a que-
sto aspetto.”

Davide: “Mi piacerebbe comunicare che non è


vero che tante cose non si possono fare; il ‘non si
può’ è un ritornello che nei corridoi della scuola

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Davide: “Che titolo potremmo dare a questo li- viene spesso recitato in modo autoconsolatorio e
bro? Qualcosa che renda l’idea dell’esperienza cautelativo. Secondo me è un alibi e in più è l’an-
che viene raccontata; una proposta era Qualcosa ticamera della lamentela!”
si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambi-
ni, che ne dite?” Marianella: “Bisogna affrontare il ‘non si può’,
ma non nel titolo. Nel testo vengono attaccati gli
Marianella: “Guarda, io, poco tempo fa, ho co- ostacoli al cambiamento.”
nosciuto l’esperienza delle ‘Scuole senza zaino’,
che nella pratica integrano molto della riflessione Lilia: “Aggiungerei un’altra cosa sul sottotitolo: la
di Beate Weyland sul fare scuola. Era un conve- scuola come ce la insegnano i bambini, è vero,
gno a Parma, dove c’erano 600 insegnanti della ma c’è anche un maestro dietro e questo non va
primaria e si percepiva un’atmosfera di grande ri- messo in secondo piano. Solo citando i bambini
mescolamento culturale: gli aspetti architettonici sembra una scuola costruita sui loro desideri, in-
e quelli pedagogici sono tenuti in stretta correla- vece c’è un maestro che pensa, che riflette, che fa
zione e lo studio fatto dalla Weyland a Bolzano delle scelte… e sei tu. Dovremmo trovare il modo
ha fatto emergere che le scuole che funzionano per giocare con questi concetti.”
meglio sono quelle che hanno una spazialità com-
pletamente diversa da quella settecentesca che Grazia: “Tutto è tenuto insieme dalla felicità di
ancora abbiamo in auge in tante scuole del nostro fare scuola. La bellezza, la possibilità di star bene
Paese. In mezzo a tutto questo eccitamento per il dentro questo lavoro che è così prezioso.”
cambiamento nella scuola, fondamentalmente in
sintonia con tutto quello che fai già tu, mi veniva Marianella: “Il fatto è che l’intera scuola italia-
in mente che questo libro potrebbe intitolarsi: Il na è stata abbandonata e al ruolo dell’insegnante
mestiere più bello del mondo. Metterei qualcosa non viene riconosciuta la responsabilità che gli è
sulla felicità perché è un ingrediente essenziale in propria. La preziosità di questo lavoro è una cor-
questa esperienza.” da sicuramente molto sensibile e reale, fuori dalla
retorica. L’orgoglio alla base di tutto questo sta
Lilia: “Forse è un po’ troppo romantico… io in- nel riconoscere in questo lavoro la possibilità per
sisterei sul Qualcosa si può fare, perché è la dimo- migliorare la società.”
strazione che una scuola diversa è praticabile; dà
speranza!” Davide: “Fin qui direi che le parole chiave pos-

SI PUÒ FARE 155


sono essere: felicità, maestro, bellezza, cambia- in cui si chiede loro di esprimere un parere sulla
mento… ma tutto questo non può che partire scuola dicono che è noiosa. Perché? Tu hai scrit-
dai bambini, dall’ascolto dei loro bisogni e dalle to un libro in cui racconti un fare scuola nel qua-
risposte che insieme si costruiscono. Vorrei dare le ti butti anima e corpo, con molto entusiasmo e
l’idea di questa azione che rimette al centro i con grande amore. È questo rapporto amoroso,
bambini.” che è gioioso e affettuoso allo stesso tempo, a
fare la differenza.”
Grazia: “Insegnanti capaci di rimettere al centro
i bambini. Non adulti auto-referenziali che dico- Lilia: “È il piacere di fare scuola quello che biso-
no, fanno… quello è il cambiamento grosso. È gna comunicare.”
un fare diverso, non so come dire, i bambini ce
lo insegnano ed è una cosa molto importante che Marianella: “Il piacere di fare il maestro. Questo

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tu dici. In questo senso trovo che il sottotitolo potrebbe essere il titolo!”
sia molto azzeccato. Devi rendere quest’idea: nel
titolo la responsabilità dell’adulto che deve e può Lilia: “Sottotitolo: I bambini insegnano a cambia-
cambiare, nel sottotitolo i bambini. Tu è da lì che re. C’è tutto!”
hai preso le risorse, dai bambini. Il tuo lavoro è
pregno di questa cosa qui che è assolutamente Grazia: “È importante che il messaggio arrivi ai
fondamentale.” maestri e ai genitori. In questo libro possono tro-
vare stimoli incoraggianti, contro tutto il morti-
Lilia: “In questo senso forse non tanto ‘I bambi- fero cui la scuola li ha abituati: i voti, i castighi,
ni ci insegnano a cambiare la risposta’, ma i bam- le punizioni, la competizione, non quella natura-
bini ci insegnano a cambiare, punto.” le dei bambini, ma quella spinta dall’adulto con
premi e giudizi. Il ministero può opporsi a tutti
Marianella: “Sì, perché in realtà ci insegano a questi cambiamenti che racconti?”
cambiare anche la domanda!”
Davide: “Non saprei, spero di no. Sicuramente
Grazia: “Dobbiamo trovare il modo perché sia voti, pagelle e libri sono questioni spinose per
presente anche il senso della ricerca.” un’istituzione: significa mettere in discussione,
da un lato, una struttura radicata di potere e
Davide: “Rileggendo le parole che ci siamo detti di selezione e, dall’altro, l’uso dei soldi pubbli-
mi sembra che emerga l’ipotesi che sia possibile ci. Io ho cercato di costruire una proposta sulla
stare a scuola ed essere felici. Una felicità che è base della legge. Se non vogliono accettarla mi
fatta di diversi ingredienti: i bambini, le scelte dovranno dichiarare fuori legge. Ma la mia diri-
degli insegnanti, l’effervescenza della ricerca…” gente e l’ufficio scolastico regionale non si sono
opposti, anzi hanno accettato e, direi, sostenuto,
Grazia: “È questo il concetto centrale! Far scuo- la mia proposta.”
la con piacere!”
Marianella: “Questo ci dice che la vera resistenza
Marianella: “C’è un dato che vale la pensa sotto- al cambiamento è nella scuola non nel ministero.
lineare: generalmente i bambini vanno a scuola Insegnanti e dirigenti forse hanno un’insensata
volentieri, sono contenti delle proposte che ven- paura di perdere autorità, professionalità… una
gono loro fatte, degli amici… ma nel momento delle cose più interessanti che ci sono nel tuo rac-

156 Davide Tamagnini


conto è il rapporto che cerchi di costruire con gli competizione. Su questo i voti sono un vero pro-
altri insegnanti. Come mi è successo di osservare blema: tutto, purtroppo, ruota intorno a quello!”
negli Stati Uniti, la riflessione sulla prassi fatta in
un contesto e lo scambio delle buone prassi di- Davide: “Un’altra questione che è stata posta sul
venta una modalità di cambiamento dal basso tavolo, per una buona scuola, è quella dei traguar-
che si allarga ad altre realtà senza che nessuno lo di: tutti devono poter raggiungere determinati
dica o lo imponga.” traguardi e il nostro lavoro di insegnanti e quello
della scuola come istituzione è di saper valutare
Grazia: “Questa è un’altra cosa fondamentale! gli strumenti e le pratiche adottate sulla base dei
Nella scuola c’è poco confronto e così la scuola risultati raggiunti da chi è più in difficoltà. Sem-
diventa un monolite, duro da scalfire.” bra che non ci sia cura su questo aspetto, eppure
se ti fermi a osservare i bambini vedi che sono

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Marianella: “Un altro mito da sfatare è quello intrappolati in un futuro predeterminato, sembra
che la nostra scuola funzioni. Io credo che non che inizino la scuola già con questo marchio.”
sia corretto misurare l’efficacia del nostro sistema
d’istruzione sulle eccellenze che, magari, vanno Lilia: “Quando hai preso la tua prima, non hai
anche a studiare all’estero. Detto che da noi non avuto lo stesso sospetto guardando i bambini che
si è abituati al fatto che se sei bravo sei apprezzato, avevi? Eppure sembra che tutti abbiano avuto la
la scuola andrebbe valutata sui risultati degli ulti- possibilità di avanzare, forse perché a ciascuno è
mi. In Finlandia, ad esempio, i peggiori sono nel- stato riconosciuto il suo punto di partenza. Non
la media degli studenti europei; i nostri peggiori, solo a qualcuno…”
invece, sono un disastro: classi piene di drop-out,
studenti pluriripetenti… La scuola non si inter- Davide: “C’è un aspetto però che dobbiamo te-
roga su come coinvolgere la media dei ragazzi e nere in considerazione: i diversi tentativi che un
io sono stufa di sentire che la scuola italiana vada insegnante può fare possono anche essere valu-
benissimo! Possibile che non riconosciamo mai i tati inefficaci. Ciò spinge a cambiare strategia, a
fallimenti in questo Paese!” fare nuove proposte, ma alla fine penso che sia
necessario riconoscere ai bambini la possibilità di
Grazia: “Sì, sono d’accordo, è un grosso imbroglio!” non rispondere alle nostre aspettative e ansie nel
tempo come noi le abbiamo previste. Talvolta il
Davide: “Perché in Italia ci sia una buona scuo- cambiamento sperato, arriva da loro in un altro
la, allora possiamo dire che serve innanzitutto un momento. Dobbiamo aver fiducia nella capacità
lavoro di gruppo degli insegnanti. Cerchiamo di di maturazione dei bambini.”
promuoverlo per gli studenti, perché ne ricono-
sciamo i benefici, ma poi siamo in difficoltà a spe- Grazia: “Bisognerebbe parlare della scuola
rimentarlo tra pari.” dell’infanzia, è lì dove comincia per la maggio-
ranza dei bambini l’esperienza scolastica. Lì, pur
Grazia: “Anche il discorso dei giudizi: la scuola senza voti, trovi giudizi sulla persona, noia…
è basata sui giudizi dei bambini, ma gli adulti questi tre anni sono fondamentali nello sviluppo
non sopportano il fatto di essere giudicati e non dell’intelligenza del bambino e contribuiscono a
sanno autogiudicarsi perché non sono allenati al costruire il suo modo di vedersi nell’esperienza
confronto. Una scuola che investa sulla collabo- futura.”
razione, tra studenti e tra insegnanti, e non sulla

SI PUÒ FARE 157


Lilia: “Dalle “Indicazioni nazionali” sono arri- però non ci sono i soldi!’. Io penso che i soldi
vati molti stimoli, ma come vengono fatti propri non ci siano perché non ci sono idee. Se abbiamo
dagli insegnanti? Il cambiamento che auspichia- l’idea di una scuola che ci piace e che ci entusia-
mo si colloca in questo passaggio: dalle buone sma, forse i soldi arrivano perché verranno fatte
idee alla buona prassi.” pressioni per ottenere ciò a cui si tiene. Ma se si
aspettano i soldi per elaborare le idee, alla fine
Davide: “Però buone idee non sono sufficienti a si elaboreranno delle idee a partire dai soldi che
innescare un cambiamento. Come dicevamo bi- hai e, così, ci si riduce a comprare la carta igie-
sogna riconoscere che qualcosa non va e si può nica!”
cambiare.”
Davide: “Temo che i 500 euro dati dal Governo
Lilia: “Io penso che per questo sia necessario per la formazione dei docenti, non sbloccheran-

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introdurre un sistema di valutazione per gli in- no la capacità ideativa degli insegnanti. Temo
segnanti. Ma come poter valutare un insegnan- che il problema non siano i soldi.”
te? Gli adulti in generale (genitori o educatori)
hanno poche occasioni di valutazione e autova- Grazia: “In questo Paese disastrato ci sono tanti
lutazione.” educatori che, come te, fanno con gioia, passione
e competenza il loro lavoro. Dobbiamo aiutare
Grazia: “È dalla paura dell’errore, ciò da cui a dar voce a tutto ciò che di buono viene fatto
dobbiamo liberare la scuola! Quello che tu scri- nella scuola perché questo racconto sia per tutti
vi è un continuo proporre modi per liberarsi da uno stimolo a cambiare, a migliorare.”
questa paura!”

Lilia: “Come si è disposti ad accettarlo nel bam-


bino, in quanto parte del processo di apprendi-
mento, l’errore è una possibilità anche per l’in-
segnante. Su questo bisogna lavorare: valutare la
didattica, aprendosi alla possibilità che non tutto
sia previsto e immune agli errori. Bisogna passa-
re dall’esigenza di una ricetta calata dall’alto a un
bisogno di ricerca.”

Marianella: “Il tuo libro è un libro di proposta,


è alter-nativo, nasce da un diverso atteggiamento
verso la progettualità. Dobbiamo de-ideologizza-
re la scuola: smettere di dire che tutto va bene,
che i nostri studenti sono i meglio preparati, ri-
conoscere la necessità di una responsabilità del
dirigente, non come burocrate, ma come facili-
tatore di buone prassi nella sua scuola e abolire
la lamentela. Chi sa solo lamentarsi può andare
a fare qualcos’altro! Una volta un’insegnante mi
ha detto: ‘Tutte cose giuste quelle che lei dice,

158 Davide Tamagnini


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