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ELEMENTI DI LINGUISTICA

E FILOLOGIA GERMANICA

Guida all’esame di Filologia Germanica


nei corsi di laurea di base in Lingue

LUCIA SINISI
Filologia […] è quella onorevole arte che esige dal suo
cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi
tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte
e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un
finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo
raggiunge lento. Ma proprio per questo fatto che essa ci
attira e ci incanta quanto mai ‘fortemente’, nel cuore di
un’epoca del ‘lavoro’, intendo dire della fretta, della
precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuol ‘sbrigare’
immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e
nuovo; per una tale arte non è tanto facile sbrigare una
qualsiasi cosa: essa insegna a leggere bene, cioè a leggere
lentamente, in profondità, guardandosi avanti ed
indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte,
con dita ed occhi delicati.
(F. Nietzsche, Prefazione ad Aurora, 1886)

2
Indice

Cap. I. Appunti di fonetica articolatoria p. 5

Il linguaggio umano
L’apparato di fonazione
Classificazione dei foni del linguaggio
Il mutamento linguistico

Cap. II. Classificazione delle lingue germaniche 37

Il germanico orientale
Il germanico settentrionale
Il germanico occidentale

Cap. III. Il sistema fonologico dell’indoeuropeo 52

Il sistema consonantico
Il sistema vocalico

Cap. IV. Caratteristiche fonologiche del germanico 74

La mutazione consonantica del germanico o Legge di Grimm


La legge di Verner
Alternanza grammaticale
Il vocalismo del germanico
Trasformazioni spontanee
Trasformazioni condizionate

Cap. V. Modifiche al sistema fonologico del germanico in fase post-unitaria

Fricative sorde 94
Fricative sonore
Rotacismo
Metafonia
La mutazione consonantica altotedesca

Cap. VI. Conseguenze della fissazione dell’accento sullo sviluppo morfo-


sintattico delle lingue germaniche 112

Alcuni preliminari
Mutamento dell’accento nel protogermanico
Datazione

3
Effetti del mutamento dell’accento sulla morfosintassi del germanico
Indebolimento della flessione
Sviluppo del sistema delle preposizioni e dei sintagmi preposizionali
Sviluppo dell’articolo
Trasformazione nell’ordine delle parole
Impiego dei pronomi dinanzi alle forme verbali

Cap. VII. Caratteristiche morfologiche del germanico 119

Il sistema verbale del protogermanico


Il verbo in germanico
Semplificazione del sistema verbale indoeuropeo
Utilizzazione sistematica dei verbi i.e. con apofonia
La flessione nominale
Flessione del sostantivo
Flessione dell’aggettivo

Cap. VIII. Elementi di onomastica germanica 144

Antroponimi
Sistema onomastico latino
Antroponimia germanica
Variazione dei temi
La variazione dei temi nei documenti medievali pugliesi

Cap. IX. I Germani e la scrittura 154

Cap. X. Le prime traduzioni del Padre nostro nelle lingue germaniche 177
antiche

Versione in gotico
Versione in inglese antico
Versione in alto tedesco antico

Appendice I Longobardi a cura di Antonietta Amati Canta 222

4
Capitolo I

Appunti di fonetica articolatoria

Il linguaggio umano

Nel corso dei secoli l’uomo ha elaborato un complesso sistema di


comunicazione che si differenzia sostanzialmente da quello usato dagli animali
per una serie di caratteristiche:

 esso è arbitrario; non contempla, cioè, una stretta connessione fra il segnale
e il messaggio, al contrario di quanto accade nella comunicazione animale, in cui
non c’è rapporto intrinseco fra la parola elefante e l’animale a cui essa si
riferisce.
 si trasmette culturalmente, e non geneticamente, come dimostrano i rari
casi di esseri umani cresciuti in isolamento, i quali non hanno sviluppato l’uso
del linguaggio.
 è basato sulla duplice articolazione, si basa, cioè, su un certo numero di
suoni (all’incirca trenta o quaranta) detti fonemi, i quali, di per sé, non hanno
alcun significato, ma che, combinandosi con altri fonemi, danno vita ai
monemi, o unità superiori portatrici di significato: p.es. /s/, /l/, /a/, /e/,
isolatamente pronunciati, non costituiscono un messaggio, mentre uniti fra loro
in italiano danno luogo a /sal-e/, /les-a/, /els-a/.
 la maggior parte degli animali può comunicare soltanto in riferimento a cose
che sono presenti nell’ambiente immediatamente circostante, mentre l’uomo
può far riferimento anche a cose lontane nello spazio e nel tempo. Questo
fenomeno in linguistica è chiamato dislocazione.
 gli animali possono ricorrere ad un numero molto limitato di messaggi da
inviare o da ricevere, mentre per l’uomo il numero di messaggi è pressoché
illimitato. Egli può pronunziare una frase mai pronunciata prima, nella

5
situazione più inverosimile, e tuttavia essere compreso, poiché il linguaggio
umano è creativo (o produttivo).
 esso sottostà ad una rigida organizzazione interna che non consente di unire
i fonemi o i monemi secondo un criterio casuale: in italiano i fonemi /a/, /e/,
/t/, /r/ potranno dare i monemi /arte/, /rate/, /erta/, /trae/, mentre saranno
escluse le combinazioni /rtae/, /aetr/, /eart/, così come i seguenti monemi
/suonava/, /il/, /malissimo/, /pianista/ avranno solo le seguenti possibilità di
combinazione:

/il pianista suonava malissimo/~ /suonava malissimo il pianista/ ~ /malissimo


suonava il pianista/ ~ /malissimo il pianista suonava/

mentre saranno escluse le combinazioni

*/suonava pianista il malissimo/~ */malissimo suonava pianista il/ ~ */pianista


il suonava malissimo/

Il linguaggio umano è dunque dipendente dalla struttura, le sue operazioni si


basano cioè sulla comprensione della struttura interna della frase.

Il linguaggio umano è un sistema articolato di segnali fonici arbitrari,


caratterizzato da una dipendenza dalla struttura interna, dalla creatività,
dalla dislocazione, dalla dualità e dalla trasmissione culturale.1

1
Sin qui da J. Aitchison, Linguistics, Teach Yourself Books, Hodder and Stoughton,
Sevenoaks, 19873, pp. 19-29.

6
L’apparato di fonazione

Prima di enumerare gli organi preposti alla fonazione è indispensabile porre a


premessa che tali organi assolvono in primo luogo a funzioni essenziali, quali la
respirazione e la deglutizione. Citando Bertil Malberg: “L’apparato fonatorio
umano è un adattamento ai fini comunicativi di organi la cui funzione è stata in
origine, e resta tuttora, diversa”.2 Lo stesso Malberg distingue “nell’apparato di
fonazione le seguenti parti e funzioni: la REALIZZAZIONE DI UNA CORRENTE

D’ARIA che nell’assoluta maggioranza dei casi è una corrente espiratoria, la


SORGENTE SONORA responsabile delle vibrazioni periodiche utilizzate per la
differenziazione fonetica (il tono glottidale) e i RISUONATORI o cavità
sopraglottidali.”3
Pertanto l’aria proveniente dai polmoni, attraverso i bronchi, è incanalata nella
trachea, oltre cui è situata la laringe, una scatola cartilaginea formata da quattro
diverse cartilagini: alla sua base è posto l’anello della cricoide, su cui poggia la
cartilagine tiroidea, e le due aritenoidi, a forma di piccole piramidi,
controllate da fasci muscolari che ne consentono il movimento.

All’interno della laringe vi sono due coppie di pieghe sagomate dalla mucosa che
riveste le pareti della scatola laringale: si tratta delle corde vocali (meglio dette
pliche vocaliche) e delle false corde vocali;4 le sacche racchiuse fra le due
coppie di pieghe sono dette ventricoli di Morgagni.

2
B. Malberg, Manuale di fonetica generale, il Mulino, Bologna, 1977, p. 129.
3
Ibidem.
4
A tutt’oggi non si è stati in grado di comprendere quale sia la funzione delle false corde
vocali.

7
Laringe e trachea (da Bertil Malberg, Manuale di fonetica generale, il Mulino, Bologna 1977)

8
Spaccato della laringe

Le pliche vocaliche

Le pliche vocaliche sono unite anteriormente, mentre posteriormente sono


legate alle aritenoidi, cartilagini mobilissime che ne permettono il movimento a
forbice. Lo spazio fra le pliche vocaliche è chiamato rima glottidale (o
glottide).
Le immagini riportate sotto sono uno spaccato della cavità laringale. Nella prima
le corde vocali sono nella posizione atta alla realizzazione dei suoni sordi, nella
seconda sono accostate, pronte a vibrare, nella realizzazione dei suoni sonori.

9
Da una diversa prospettiva (retro della laringe), si riconosce la posizione di
riposo (respiratoria) nella prima immagine e la posizione pronta alla fonazione
dei foni sonori nella seconda:

Corde vocali in posizione respiratoria


Corde vocali in posizione fonatoria.
A cartilagini aritenoidi; C cartilagine cricoide;CV corde vocali, T cartilagine tiroide;

Le immagini seguenti, invece, schematizzano le diverse posizioni che le pliche


vocaliche possono assumere:

a occlusione b sordità c sonorità d bisbiglio f mormorio

L’articolazione di /p/ e /b/ in it. /pere/ e /bere/, di /t/ e /d/ in it. /tare/ e
/dare/, di /f/ e /v/ di it. /fede/ e /vede/ si differenzia per un solo parametro,
quello della sonorità; vale a dire che mentre le consonanti con cui si iniziano le
parole /pere/, /tare/ e /fede/, sono prodotte senza l’intervento delle pliche
vocaliche, negli esempi /bere/, /dare/ e /vede/, la loro articolazione si

10
accompagna alla vibrazione delle pliche vocaliche. È possibile ‘sentire’ il loro
intervento appoggiando il palmo della mano sulla gola.

Oltre la glottide vi sono la faringe, la cavità orale e la cavità nasale (fosse


nasali) i quali fungono da risonatori, insieme all’arrotondamento e alla
protrusione delle labbra (procheilia).
Creando ostacoli al passaggio dell’aria in vari punti dell’apparato fonatorio o
modificando la forma e il volume della faringe o della cavità orale, o ancora
includendo o escludendo nell’articolazione le fosse nasali, è possibile produrre i
diversi foni.

La figura seguente rappresenta lo spaccato sagittale degli organi che


intervengono nella fonazione, mostrando le parti fisiologiche dell’apparato
fonatorio:

11
L labbra

A alveoli

D denti

P palato

F faringe

E epiglottid

CV corde vocali.

Qui di seguito è riportata un’immagine schematica della parte posteriore della


cavità orale:

V velo palatino

U uvula

PF pilastri faucali

L lingua

F faringe

12
Gli organi fonatori

I principali organi fissi sono:

 i denti, soprattutto superiori, che intervengono nell’articolazione di /t/ in


/tutto/ nell’italiano, con il contatto della punta della lingua, o di /f/ in ital.
farfalla col contatto del labbro inferiore;
 gli alveoli (nei quali sono infissi i denti superiori) che costituiscono quella
zona del palato immediatamente dietro ai denti; la /t/ in ingl. twenty si articola
con la punta della lingua contro gli alveoli;
 il palato duro, cioè la parte della volta palatina dietro la zona alveolare
costituita da struttura ossea. La consonante rappresentata dal digramma <gn>
nell’ital. bagno è articolata con il dorso della lingua contro il palato.

I principali organi mobili sono:

 le labbra, che accostandosi fra loro producono la /p/ di ital. pappa.


 la lingua, l’organo più importante, che interviene nell’articolazione di quasi
tutti i suoni. Si distinguono la punta, il dorso e la radice.
 il velo, o palato molle, che nella respirazione normale è abbassato, ma può
alzarsi sino a toccare la parete faringale e impedire all’aria di uscire attraverso le
narici. Per i suoni nasali, come it. mancia, noncuranza, e gnomo, il velo palatino è
abbassato, come quando si respira con il naso.
 il velo palatino termina con l’uvula, che serve ad articolare la varietà di /r/ del
ted. rauchen, o del franc. recevoir, o un tipo di “erre moscia” che si incontra, talora,
nell’italiano.

13
Classificazione dei foni del linguaggio

I foni

La linguistica si occupa principalmente della lingua parlata.

Poiché le grafie convenzionali per lo più non corrispondono esattamente alla


pronuncia della lingua che esse rappresentano, non vi è, cioè, corrispondenza fra
grafema e fonema (si veda per esempio come il digramma ch sia utilizzato
diversamente dalle varie lingue europee per rappresentare suoni assolutamente
diversi fra loro: it. chiesa/ fr. cher/ ingl. chain/ ted. ich), il primo passo per un
linguista è quello di abbandonare le grafie convenzionali e adottare un alfabeto
fonetico che sia il più accurato possibile nel rappresentare le corrispondenze fra
simbolo grafico e fono.

Nel corso degli ultimi decenni ha acquisito grande popolarità e diffusione


l’Alfabeto Fonetico Internazionale (A.P.I.) con il quale, almeno in teoria, si è in
grado di rappresentare i suoni di tutte le lingue del mondo.5

La prima grande distinzione nell’ambito dei foni del linguaggio umano è


costituita da consonanti da un canto e vocali dall’altro. Le prime comportano
sempre un passaggio di aria, nella maggior parte dei casi proveniente dai
polmoni6 (tali consonanti sono dette egressive o espiratorie) ostacolato
totalmente, o solo parzialmente in qualche punto dell’apparato di fonazione.7 Le

5
L’Alfabeto Fonetico Internazionale è stato messo a punto dall’Associazione Fonetica
Internazionale (International Phonetic Association) fondata da Paul Passy nel 1886.
6
Sebbene se ne possano articolare altre, rare per la verità, procedendo in senso contrario,
immettendo cioè aria dall’esterno verso l’interno, in tal caso saranno dette consonanti
ingressive o inspiratorie. In talune lingue dell’Africa meridionale si realizzano anche le
cosiddette consonanti avulsive (o clic), prodotte “in fase di stasi espiratoria, facendo
schioccare una parte mobile dell’apparato di fonazione, come labbro inferiore o lingua, contro
una parte non mobile, come labbro superiore, guancia, palato duro” (v. T. De Mauro,
Linguistica elementare, Editori Laterza, Bari, 1998, p. 36) come nella produzione di un bacio,
o nello schiocco imitante il galoppo del cavallo del linguaggio infantile.
7
Sotto il profilo della fisica acustica le consonanti comportano vibrazioni aperiodiche (sono
pertanto rumori).

14
seconde, le vocali, si caratterizzano per un flusso libero di aria che può
prolungarsi per quanto fiato abbiamo nei polmoni.8

Le consonanti

Si classificano le consonanti sulla base di tre parametri: il modo di articolazione,


che riguarda le modalità con cui si realizza l’occlusione o il restringimento del
diaframma articolatorio, il luogo di articolazione, che determina in quale punto
si crea ostruzione (totale o parziale) al passaggio di aria, e se risulta presente o, al
contrario, assente il coefficiente di sonorità.

Consonanti egressive

Occlusive

Le consonanti definite occlusive comportano un passaggio di aria


momentaneamente interrotto mediante una ostruzione totale attuata serrando
due articolatori.

Nell’articolazione di una occlusiva si distinguono tre fasi: impostazione, tenuta


e soluzione.

Nella prima fase si impostano gli organi per formare un’occlusione totale del
passaggio dell’aria (l’occlusione, per esempio, può essere prodotta serrando le
labbra saldamente, in tal caso si articolerà una p, o fra la parte anteriore della
lingua e l’arcata superiore dei denti, come avviene per la produzione di una t
dell’italiano o del francese,9 pertanto, a seconda del luogo in cui avviene
l’occlusione, esse si distinguono in:

8
Le vocali sono prodotte da vibrazioni periodiche (sono pertanto suoni).
9
Nella pronuncia di un locutore inglese l’articolazione di questa consonante e della
corrispondente sonora d si presenta come alveolare; d’altro canto tutto il sistema articolatorio
dell’inglese prevede un arretramento della produzione delle dentali verso il luogo alveolare
(si pensi alla n).

15
[p] bilabiale sorda, it. palo, fr. pas, ingl. ripe, ted. Polizei, sp. perro; in inglese, in
inizio di parola, può essere seguita da una fricativa glottidale [ph].

[b] bilabiale sonora, it. bambino, fr. bon, ingl. baby, ted. bitte.

[t] dentale sorda, it. topo, fr. toujours, ted. trinken, sp. todo.

[d] dentale sonora, it. dopo, fr. dent, ted. denken, sp. dulce.

[t] alveolare sorda, ingl. tape.

[d] alveolare sonora, ingl. dare.

[c] palatale sorda, it. chino, fr. maquillage, ingl. key, ted. Kino, sp. queso.

[ɟ] palatale sonora, it. ghiro, fr. Guillaume, ingl. give.

[k] velare sorda, it. coltello, fr. couteau, ingl. care, ted. können, sp. compañero.

[g] velare sonora, it. gatto, fr. gorge, ingl. gain, ted. gut, sp. garganta.

[Ɂ] glottidale sorda, detta più comunemente colpo di glottide, si realizza in


tedesco, ove non ha carattere distintivo, e dunque non è un fonema, ma un
semplice fono che funge da demarcatore di sillaba, quando la parola, o il
morfema, si inizia con una vocale accentata: si pensi alla realizzazione del
numerale eins [ʔaɪns].

Fricative

Al contrario delle occlusive che presentano un’ostruzione totale del getto d’aria
proveniente dai polmoni, le fricative si caratterizzano per un’occlusione parziale,
con percezione acustica di frizione, o di sibilo, causato dal flusso d’aria che
supera a fatica la strettoia messa in atto dagli articolatori:

16
[ɸ] bilabiale sorda, giapp. Fuji

[β] bilabiale sonora, sp. saber,

[f] labiodentale sorda, it. fuoco, fr. fou, ingl. few, ted. Vater, sp. fuego.

[v] labiodentale sonora, it. velo, fr. valent, ingl. view, ted. wieviel.

[θ] dentale sorda, ingl. thigh, sp. zapatos (in realtà, nello spagnolo la
realizzazione di questo fono può considerarsi interdentale).

[ð] dentale sonora, ingl. thy.

10
[s] alveolare sorda, it. sera, fr. soir, ted. essen, ingl. sip, smile, sp. españa

[z] alveolare sonora, it. smemorato, ingl. zip, ted. sehen, sp. mismo.

[ʃ] palatoalveolare sorda, it. scema, sciocco, fr. cherie, ingl. nation, ted.
Schenken.

[ʒ] palatoalveolare sonora, fr. rouge, ingl. vision.

[ç] palatale sorda, ted. ich, talvolta ingl. hue.

[ʝ] palatale sonora, ted. ja.

[x] velare sorda, ted. auch, scozz. loch.

[ɣ] velare sonora, ted. settentr. sagen, sp. ago.

[R] uvulare sonora, fr. rouge, ted. rot

10
È da osservare come in spagnolo l’articolazione della sibilante alveolare sorda è
particolarmente arretrata rispetto alle realizzazioni nelle altre lingue europee.

17
[h] glottidale sorda, ingl. how, who, ted. Haus

[ɧ] glottidale sonora, ingl. ahead, behave.11

Affricate

Nella realizzazione delle affricate l’impostazione e la tenuta sono pari ai


momenti di articolazione delle occlusive, ma la soluzione, che è omotopica, vale
a dire si verifica nello stesso punto di articolazione dell’impostazione, è di tipo
fricativo. Si distinguono cinque affricate, distribuite su tre luoghi di
articolazione:

[pf] labiale sorda, ted. Pferd.

[ts] alveolare sorda, it. ragazza (in cui è geminata), ted. Zeit.

[dz] alveolare sonora, it. rozzo (idem).

[tʃ] palato-alveolare sorda, it. Cina, ingl. church, ted. Deutsch, sp. muchacho.

[dʒ] palato-alveolare sonora, it. Gina, ingl. John.

Nasali

Apparentemente le consonanti nasali sembrerebbero comportare una occlusione


totale fra gli articolatori (si pensi alla m nella parola mamma), ma come è facile

11
Sarebbe quasi impossibile realizzare una fricativa glottidale sonora, in realtà ciò che
accade nell’esempio riportato è che la glottidale in questione partecipa della vibrazione delle
corde vocali messa in atto per la vocale precedente e seguente.

18
verificare, ponendo il palmo della mano davanti alle narici, il passaggio di aria
procede libero attraverso la cavità nasale. Tutte le nasali sono sonore:

[m] labiale, it. mamma, fr. maman, ingl. mint, ted. Mutter, sp. matador.

[ɱ] labiodentale, it. invariato, invocare,12

[n] dentale, it. noto, fr. nuit, ingl. tenth, ted. nicht, sp. nombre.

[n] alveolare, ingl. new

[ɲ] palatale, it. gnomo, fr. vigne, sp. españa,

[ŋ] velare, it. singolare, ingl. sing, sink,13 ted. springen, sp. cinco.

Laterali

Nell’articolazione delle laterali si attua una chiusura parziale degli organi di


fonazione, provocata dalla lingua (punta, dorso, o radice), con la fuoriuscita di
aria dai lati della stessa. Distinguiamo:

[l] dentale sonora, it. luna, fr. lune, ted. Lied, sp. loco.

[l] alveolare sonora, ingl. lame (può presentarsi come sorda in ingl. play).

[ʎ] palatale sonora, it. egli (geminata), sp. caballo.

[ɬ] velarizzata, si realizza avvicinando la radice della lingua verso il velo palatino;
ricorre in posizione finale o preconsonantica in inglese: will, bottle.14

12
In italiano, e in genere nelle lingue occidentali, la nasale labiodentale è solo un ‘allofono’,
vale a dire: se ad essa sostituiamo una nasale labiale o dentale, la commutazione non implica
un cambiamento di significato della parola.
13
Al contrario di quanto accade nelle altre lingue europee prese in esame, in inglese la
nasale velare è un vero e proprio fonema che, se commutato, può cambiare il significato
della parola. Si vedano le opposizioni thing [θiŋ] ~ thin [θin] e sing [siŋ] ~ sin [sin]

19
Vibranti

Le consonanti vibranti presuppongono una lieve occlusione di brevissima durata


realizzata, per esempio, dalla punta della lingua contro l’arcata dentale superiore,
o dall’uvula contro la radice della lingua, ripetuta per due o tre volte.15

[r] alveolare sonora, it. rosso, sp. perro.16

[R] uvulare sonora, fr. rouge, ted. rot,

Approssimanti o semivocali

Se si passa da un diaframma articolatorio stretto, come per la realizzazione delle


consonanti, ad un diaframma un po’ più largo, ma non tanto largo quanto per le
vocali, si pronunzieranno le cosiddette semivocali, le quali di per sé nella sillaba
non costituiscono pertanto apice di sonorità.

[ɹ] alveolare, ingl. road,

[j] palatale, it. ieri, ingl. you,

[w] labiovelare, it. uomo, ingl. woo.

14
E’comunemente definita ‘dark ɬ’.
15
Cinque o sei volte per una geminata.
16
Nello spagnolo esiste la realizzazione monovibrante in pero

20
Consonanti egressive (pulmonic) I.P.A.
Le vocali

Dal punto di vista dell’articolazione le vocali si caratterizzano per un passaggio di aria


che, proveniente dai polmoni, non incontra alcun ostacolo. Esso è assolutamente
libero. Ciò che differenzia un timbro vocalico da un altro è la conformazione che la
lingua assume all’interno della cavità orale (più alta o meno alta, più avanzata o più
arretrata) e per la presenza della protrusione delle labbra (procheilia), o per la
mancanza di essa (aprocheilia).

Se all’interno della cavità orale la parte anteriore della lingua si porta nella posizione
più avanzata e più alta possibile si articolerà una [i], se, al contrario, sempre nella
zona anteriore della bocca, assume una posizione molto piatta e bassa (la più bassa
possibile), il risultato sarà una [a]. Arretrando il più possibile la lingua, mantenendola
bassa, si articolerà una [a], e sollevandola il più possibile, sempre nella zona
posteriore, si articolerà una [u]. Abbiamo ottenuto in questo modo quattro vocali
estreme (si potrebbe dire ‘di laboratorio’) con le quali è possibile ‘misurare’ tutte le
vocali prodotte dal linguaggio umano.

Si è soliti rappresentare queste vocali all’interno di una figura geometrica, il


cosiddetto quadrilatero (o trapezio) vocalico, il quale altro non è che una
riproduzione schematica della cavità orale.

All’interno del quadrilatero, fra l’articolazione delle vocali anteriori [i] e [a], si
collocheranno in posizione equidistante la [e], vocale semichiusa, e la [ɛ], vocale
semiaperta; allo stesso modo fra le posteriori [u] e [a], si collocheranno la [o], vocale
semichiusa, e la [ɔ], vocale semiaperta, queste ultime accompagnate entrambe da
arrotondamento labiale.

Le vocali cardinali primarie

[i] anteriore chiusa aprocheila, come in it. vino, fr. merci, ingl. seat, ted. Friede, sp.
perdido.

[e] anteriore semichiusa aprocheila, it. venti (20), fr. blé , ted. sehr, sp. pecho.

[ɛ] anteriore semiaperta aprocheila, it. venti (i venti), bene [benɛ], fr. fer, ted. setzen.

[a] anteriore aperta aprocheila, fr. patte.17

[ɑ] posteriore aperta aprocheila, fr. pas, ingl. car.

[ɔ] posteriore semiaperta procheila, it. botte (le botte), ted. Wolle, sp. zorro.

17
In italiano e in spagnolo esiste un solo tipo di a, che pertanto sarà realizzata come vocale centrale,
aperta, aprocheila.

23
[o] posteriore semichiusa procheila, it. botte (la botte), fr. mot, ted.doch.

[u] posteriore chiusa procheila, it. uva, fr. tour, ingl. fool, ted. Stuhl, sp. su.

Se si inverte il coefficiente di procheilia, articolando le vocali anteriori primarie con


arrotondamento labiale, e al contrario, eliminando la labialità dall’articolazione delle
vocali posteriori si ottiene la serie delle vocali secondarie. Se si impostano gli organi
di fonazione come se si volesse articolare una [i] e contemporaneamente si
arrotondano le labbra, si ottiene la vocale [y] di fr. lune o di ted. über. Tratteremo
qui solo delle principali vocali secondarie che ricorrono nelle lingue europee più
note.

Le vocali secondarie

[y] anteriore chiusa procheila, fr. tu, ted. fühlen.

[ø] anteriore semichiusa procheila, fr. feu, ted. schön.

[œ] anteriore semiaperta procheila, fr. oeuf, veuve, ted. Löffel.

[ɒ] posteriore aperta procheila, in talune pronunce dell’ingl. hot.

[ʌ] posteriore semiaperta aprocheila, ingl. butter.

A queste è necessario aggiungere alcuni foni vocalici che sono abbondantemente


presenti in particolar modo nell’inglese (ma alcuni anche in tedesco), i quali si
collocano in posizione intermedia fra i suoni sopra considerati:

[] leggermente più aperta e meno arretrata di [i], di questa è variante rilassata
(comporta una minore tensione muscolare. In inglese si oppone alla [i:], creando le
coppie seat [si:t] ~ sit [st]. In tedesco si trova in bitte ['btə].

24
[Y] più aperta e arretrata di [y], ted. Hütte.

[æ] vocale posta nel trapezio vocalico fra vocale cardinale [] e vocale cardinale.
[ɛ], più arretrata rispetto ad entrambe, ingl. fat.

[ə] centrale, si dice anche neutra, o indistinta, o schwa (secondo la denominazione


dell’alfabeto ebraico), ingl. better ['betə*], ted. bitte ['btə].

[ʊ] più aperta e arretrata di [u], è di questa la variante rilassata, ingl. good, ted.
Mutter.

Nasalizzazione delle vocali

In francese, portoghese e polacco, alcune vocali sono articolate con l’aggiunta della
risonanza nasale. Si tratta del medesimo procedimento che presiede all’articolazione
delle consonanti nasali: il velo palatino si abbassa e consente all’aria di fuoriuscire
dalle cavità nasali simultaneamente all’articolazione della vocale. Qui di seguito sono
riportati i principali fonemi vocalici nasalizzati:

[ɛ᷉] anteriore semiaperta aprocheila, fr. vin

[œ᷉] anteriore semiaperta procheila, fr. brun

[ɑ᷉] posteriore aperta aprocheila, fr. gens

[ɔ᷉] posteriore semiaperta procheila, fr. bon

25
26
da Enciclopedia dell'Italiano (2011)

variante combinatoria

di Luciano Romito

1. Definizione
L’espressione variante combinatoria indica, fra le possibili realizzazioni di un fonema
(➔ allofoni), quelle determinate dal contesto, che cioè dipendono dall’intorno fonetico
in cui compaiono e sono quindi prevedibili. Una variante combinatoria (il termine e
la nozione si devono a Trubeckoj 1939) si sottrae alla scelta del parlante, perché, data
la natura articolatoria e acustica dei suoni che lo precedono e lo seguono, quel
fonema può essere realizzato solo in quel modo (➔fonetica).
Le parole sdentato e stentato, per es., costituiscono una ➔ coppia minima perché si
differenziano per un solo fonema, rispettivamente /d/ e /t/. In realtà, dal punto di
vista strettamente fonetico anche la fricativa /s/ iniziale si realizza in modo
differente in virtù del fonema seguente, e sarà sonora [z] quando è seguita da [d]
([zdenˈtato]), e sorda [s], quando è seguita da [t] ([stenˈtato]). Questa differenza però
non è in grado da sola di determinare due significati distinti e di produrre opposizioni
funzionali. Il tratto sonoro-sordo, così produttivo e con alto rendimento nell’italiano
(si vedano, per es., le coppie /p/ ~ /b/ in patto ~ batto, /t/ ~ /d/ in dado ~ dato, /k/
~ /g/ in gara ~ cara, /f/ ~ /v/ in faro ~ varo, ecc.), è invece in molti casi inattivo o
neutralizzato per la coppia [s] ~ [z] ([ˈkasa ~ ˈkaza] non è una coppia di parole
diverse).
La diversa realizzazione di un fonema in italiano è determinata sincronicamente dal
segmento successivo (è il fenomeno dell’➔assimilazione anticipatoria). Questo
condizionamento però, non deve essere inteso come universale: in inglese, per es.,
dove non è attivo il fenomeno di assimilazione anticipatoria, la pronuncia della
consonante iniziale di slide «scivolamento; diapositiva» o di smell «odorare» sarà
sempre sorda [s]. Nello stesso contesto, invece, in italiano avremmo [z]lancio o
[z]milzo. In inglese però c’è il fenomeno di assimilazione posticipatoria, come in cat[s]

27
«gatti» ~ dog[z] «cani». Con una regola fonologica, possiamo dire che in italiano il
fonema /s/ si realizza nella sua variante combinatoria [z] quando è seguito da un
suono non vocalico sonoro, mentre in inglese si realizza nella sua variante
combinatoria [z] quando è preceduto da un suono non vocalico sonoro.
Se per il fonema /s/, in italiano, il tratto variabile è quello sonoro-sordo, per il
fonema nasale alveolare /n/, invece, il tratto interessato dalla variazione è il luogo di
articolazione. Avremo infatti in ➔ italiano standard un suono nasale velare [ŋ] prima
delle occlusive velari /k/ e /g/, come in [iŋˈkawto] incauto e [iŋˈgrato] ingrato; un
suono nasale labiodentale [ɱ] prima delle fricative labiodentali /f/ e /v/, come in
[iɱˈvero] invero e [iɱˈfat:i] infatti; un suono nasale bilabiale [m] prima delle occlusive
bilabiali /p/ e /b/, come in [umˈbaʧo] un bacio e [nomˈposːo] non posso.
La catena fonica del parlato non è costituita da una somma di fonemi, bensì da una
sequenza di aggiustamenti, di suoni coarticolati e sovrapposti: è in altri termini una
sequenza di allofoni combinatori, frutto di vari processi fonetici e fonologici
(cancellazioni, assimilazioni, inserzioni, riduzioni, rafforzamenti, ecc.; ➔ fonetica).
Solo studiando i suoni nel loro insieme si capisce che [m] di un bacio [umˈbaʧo] è una
variante del fonema nasale alveolare /n/, mentre [m] di mano [ˈmaːno] è variante del
fonema nasale bilabiale /m/. Chi vuole imparare l’italiano con pronuncia da nativo
deve tenere conto non solo dell’inventario fonemico ma anche delle varianti
combinatorie.

Studi
Camilli, Amerindo (19653), Pronuncia e grafia dell’italiano, a cura di P. Fiorelli, Firenze,
Sansoni (1a ed. 1941).
Canepari, Luciano (19863), Italiano standard e pronunce regionali, Padova, CLEUP (1a ed.
1980).
Labov, William (1971), Methodology, in A survey of linguistic science, edited by W.O.
Dingwall, College Park, Maryland University Press, pp. 412-497.
Trubeckoj, Nikolaj S. (1939), Grundzüge der Phonologie, «Travaux du Cercle linguistique
de Prague» 7 (trad. it. Fondamenti di fonologia, Torino, Einaudi, 1971).

28
Fonetica combinatoria

I foni esaminati e classificati sin’ora sono in realtà prodotti di “laboratorio”, ovvero


essi sono un’astrazione dei linguisti che così li hanno rappresentati, utili tuttavia a
“misurare” i suoni realmente prodotti dal parlante, i quali - è necessario sottolineare
– non si presentano mai isolati, bensì prodotti di seguito, l’uno accanto all’altro, nella
catena parlata e pertanto soggetti ad un principio che regola tutta la produzione
fonica umana: il risparmio energetico.

Prendiamo in considerazione la pronunzia, per esempio, della occlusiva dentale sorda


dell’italiano in tino e quella della stessa consonante in tulle: non vi è dubbio che si sta
parlando qui di una occlusiva dentale sorda, ma è evidente come nell’articolazione
della consonante iniziale della prima parola la posizione della lingua sarà
indiscutibilmente più avanzata della t nella seconda, in anticipazione di almeno uno
dei coefficienti articolatori della vocale successiva (l’anteriorità, in questo caso,
poiché la i è una vocale anteriore chiusa aprocheila), mentre nella seconda situazione
la t sarà realizzata con un’impostazione della posizione della lingua lievemente
arretrata, per anticipare la posteriorità della vocale successiva u.

Come si evince da questo esempio, è possibile articolare i foni con modalità


lievemente diversa a seconda del contesto fonico in cui essi vengono a trovarsi,
purché non pregiudichino la decodificazione del messaggio da parte di chi ascolta, in
altre parole: purché, come nel caso illustrato di tino ~ tulle, la consonante sia
percepita dall’ascoltatore inequivocabilmente come una t.

Risponde all’esigenza di risparmiare energia durante l’articolazione il fenomeno


dell’assimilazione, per il quale un fonema può assimilarsi, cioè avvicinarsi ai
coefficienti articolatori di un altro fonema vicino.

Si ha assimilazione a contatto quando i fonemi interessati al fenomeno sono contigui


(si pensi ad alcune pronunce dialettali settentrionali del tipo [′tennico] in luogo di
[′teknico], all’allofono di [n] in [iɱvisibile] o it. [donna] < prerom. [domna] < lat.

29
[domina]; si ha assimilazione a distanza (altrimenti detta dilazione) se i fonemi non
sono vicini, ma in sillabe contigue; ciò può avvenire, per esempio, fra due vocali (in
tal caso si parlerà di metafonia o metafonesi, o ancora Umlaut) come
nell’opposizione tipica di alcuni dialetti meridionali fra maschile [rus] “rosso” e
femminile [rɔs] “rossa”, dovuta alla presenza nella sillaba finale di una vocale, ora
scomparsa, chiusa nel primo caso, e aperta nel secondo. In questa situazione la
vocale della sillaba atona ha influenzato la vocale della sillaba accentata. E’ il
fenomeno che giustifica certi plurali irregolari della lingua inglese, come man/men,
opposizione che si spiega sul piano diacronico, postulando per il plurale una forma
*manni-iz, che presentava nella desinenza una vocale anteriore di grado chiuso, la
quale rende più chiusa la [a] della sillaba radicale > [e]. In seguito la [i] della
terminazione cadrà, e la sibilante del plurale diverrà ridondante ai fini della
segnalazione del plurale, poiché sarà la stessa vocale radicale, con l’oscillazione fra [a]
e [e], a divenire indicatore del numero.

Un altro caso degno di nota è la presenza di una [i], in luogo di una [e], nella seconda
e terza persona singolare di taluni verbi del tedesco: ich helfe/du hilfst/er hilft, wir
helfen, ecc. che si giustificano poiché anticamente era presente nella sillaba mediana
di queste forme una -i- che ha modificato il timbro della vocale radicale (helf-i-st,
helf-i-t). Se al contrario è la vocale della sillaba accentata ad influenzare la vocale
della sillaba atona, si è in presenza dell’armonia vocalica, un fenomeno che ha
interessato il turco, per esempio, lì dove il suffisso del plurale -lar, come in atlar
‘cavalli’ (sg. at ‘cavallo’) o adamlar ‘uomini’ (sg. adam ‘uomo’), diviene -ler in güller
‘rose’ (sg. gül ‘rosa’). È evidente come, nell’ultimo caso, la vocale accentata [y], una
vocale secondaria anteriore chiusa procheila, abbia influenzato la vocale [a] del
suffisso, rendendola più chiusa >[e] per avvicinarla ai propri coefficienti articolatori.

L’assimilazione, inoltre, può essere parziale o totale. Si tratta di assimilazione parziale


quando un fonema approssima i propri coefficienti articolatori al fonema vicino,
senza tuttavia confondersi con esso (si può riprendere l’esempio della [n] in
[iɱvisibile] o ancora al plurale inglese [dogz] con sibilante sonora in luogo della
sorda, poiché preceduta da consonante sonora); si parlerà di assimilazione totale
quando fra i due fonemi si attuerà una completa identificazione (si pensi all’ingl.

30
wanna, risultato dalla assimilazione fra want + to, o al già citato esempio di it.
[donna] < prerom. [domna] < lat. [domina]).

L’assimilazione infine può essere regressiva nel caso in cui un suono si assimila al
suono che segue (it. in + ragionevole > irragionevole, lat. factum > it. fatto) o
progressiva se è il suono che precede ad esercitare la propria influenza sul fono che
segue (romanesco annamo < it. andiamo).

Tuttavia se l’assimilazione fosse l’unico fenomeno ad agire si metterebbe a


repentaglio la comprensione degli enunciati della lingua parlata, si assiste pertanto
anche al fenomeno della dissimilazione, in base al quale un fono in contiguità con un
fono uguale, può da questo differenziarsi. È quanto si è verificato in inglese con il
prestito fr. marbre > ingl. marble, o nel ted. Kartoffel < tartuffel, dall’italiano
tartufolo, o nell’it. pellegrino da lat. peregrinus.

Si possono verificare, inoltre, i seguenti fenomeni: l’inversione, che avviene nella


variazione della successione fra due fonemi in contatto, come nel caso di fr. fromage
< formage < lat. formaticum, o ingl. third < thrid, e la metatesi, la quale è una forma
di inversione che si attua fra due foni non in contatto:

Infine il sandhi che è una forma di assimilazione che si attua fra un fonema che
compare alla fine di una parola con un fonema che si trova all’inizio di un’altra: la
pronuncia della successione un bambino diverrà nella catena parlata [um bambino] o
la liaison che si ha nella lingua francese quando nella successione les amis si
pronuncerà la sibilante sonora davanti ad una parola che si inizia per vocale [lez
aˈmi]; e l’aplologia, o apaxepia, che contempla la contrazione di due sillabe uguali in
una sola: tragicomico < tragico-comico.

31
Testi di riferimento

Jean AITCHISON, Linguistics, Teach Yourself Books, Hodder and Stoughton, Londra,
1972 (rist. 1986).
Federico ALBANO LEONI e Pietro MATURI, Manuale di fonetica, Carocci, Roma, 2004.
Luciano CANEPARI, Introduzione alla fonetica, Einaudi, Torino, 1979.
Tullio DE MAURO, Linguistica elementare, Gius. Laterza, Bari-Roma, 1998.
Bertil MALBERG, Manuale di fonetica generale, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1977.
Francesca SANTULLI, “Lineamenti di fonetica fisiologica e di fonologia strutturale”,
in Navādhyāyī, a cura di Mario NEGRI, Il Calamo, Roma, 1996.

Siti web consigliati

Lezioni di grammatica: apparato fonatorio e meccanismi di fonazione


https://www.youtube.com/watch?v=IPzwasMht_Q

Le Corde Vocali - Piero Angela


https://www.youtube.com/watch?v=pADSzBMFJOY
Vibration of the Vocal Folds
https://www.youtube.com/watch?v=Q9sxCNTg97Y
Le larynx - Son rôle dans la phonation
https://www.youtube.com/watch?v=ZVIxVgPgIpA
Vocal Cords up close while singing
https://www.youtube.com/watch?v=-XGds2GAvGQ
Introduction to Articulatory Phonetics (Consonants)
https://www.youtube.com/watch?v=dfoRdKuPF9I
Sito ufficiale dell’Associazione Fonetica Internazionale (International Phonetic
Association):
http://www.langsci.ucl.ac.uk/ipa/

Forse il sito più completo nel web, messo a disposizione da Luciano Canepari
(Università di Venezia):
http://venus.unive.it/canipa/

32
http://www.dipionline.it/dizionario/ (dizionario di pronuncia dell’italiano)
Interactive Phonetic chart for English Pronunciation
https://www.youtube.com/watch?v=0HeujZ45OZE

IPA pulmonic consonant chart with audio


https://en.wikipedia.org/wiki/IPA_pulmonic_consonant_chart_with_audio
IPA vowel chart with audio
https://en.wikipedia.org/wiki/IPA_vowel_chart_with_audio

33
Esercitazioni di lettura di testi in trascrizione fonetica

34
35
36
Test di autovalutazione

Si trascrivano foneticamente le parole che seguono:

ignorante [………………………..]

ascensore [………………………..]

cielo [………………………..]

schiaccianoci [………………………..]

cuore [………………………..]

sbucciare [………………………..]

ammagliare [………………………..]

zeppa [………………………..]

azzurro [………………………..]

azione [………………………..]

a prescindere [……………………………. .]

37
Capitolo II

Classificazione delle lingue germaniche

Si identifica nella cosiddetta cerchia nordica il territorio abitato originariamente


dalle antiche popolazioni germaniche. L’area comprende approssimativamente la
Svezia e la Norvegia meridionale, la Danimarca e i territori pianeggianti della
Germania settentrionale (Meclemburgo, Bassa Sassonia, Schleswig-Holstein).

La cerchia nordica

Non vi sono documenti che attestino tale localizzazione, la quale si basa


eminentemente sull’analisi dei toponimi che – come si è riscontrato –
limitatamente all’area suddetta, sono esclusivamente di origine germanica, senza
alcuna traccia di uno strato linguistico appartenente ad altro gruppo.

38
Da qui, a partire dal II sec. a.C., i Germani presero progressivamente a migrare, in
un processo di espansione durato molti secoli, che va sotto il nome di
Völkerwanderung (migrazione di popoli) o ‘invasioni barbariche’, dal punto di vista
di coloro che ne subirono le conseguenze.

Al distacco delle etnie germaniche dalla cerchia nordica corrisponde il graduale


processo di evoluzione e ramificazione della lingua germanica (proto-germanico)
che conduce alle lingue germaniche moderne.

Le lingue germaniche sono tradizionalmente suddivise in tre gruppi:

 germanico orientale
 germanico occidentale
 germanico settentrionale

in un rapporto di filiazione che si suole rappresentare con il noto albero


genealogico schematizzato da August Schleicher alla metà del XIX sec.:

germ. occidentale germ. settentrionale germ. orientale

protogermanico

39
Figure 1 – The Schleicher’s Language Tree

Al GERMANICO ORIENTALE si attribuiscono le lingue parlate da Eruli, Vandali,


Burgundi, Gepidi, Rugi e Goti, delle quali, tuttavia, è documentato solo il gotico.

La documentazione del gotico consiste in:

 parti della versione della Bibbia effettuata dal greco dal vescovo visigoto Wulfila
nel IV secolo, tramandata da manoscritti più tardi, fra i quali il più importante e
lussuoso è il Codex Argenteus, conservato nella biblioteca universitaria di Uppsala

40
(Svezia), “scritto su pergamena purpurea con caratteri in argento e iniziali in oro,
contenente frammenti dei 4 Vangeli, nell’otdine Matteo. Giovanni, Luca,
Marco.”18 Si ritiene sia stato prodotto in Italia, forse a Ravenna, alla corte del re
ostrogoto Teodorico (VI sec.) Ci sono pervenute altre copie della Bibbia di
Wulfila, per lo più in codici pailinsesti19:

Codex Gissensis (a Giessen, rovinato, con scarsi frammenti del Vangelo di Luca in
gotico e latino);

Codex Carolinus, palinsesto (V sec., ora a Wolfenbüttel, con frammenti della

lettere di Paolo);
Codices Ambrosiani, palinsesti (Biblioteca Ambrosiana di Milano);
Codex Taurinensis, palinsesto (Torino).20

Accanto alle copie della Bibbia di Wulfila si sono conservati i seguenti


documenti:

 commento di circa 8 pagine al Vangelo di Giovanni (che va sotto il nome di


Skereins, got. per ‘delucidazione’) forse una traduzione, ma non è attribuibile a
Wulfila.
 frammento di 5 pagine di una traduzione del Vecchio Testamento, il libro di
Nehemia, troppo diverso dalla traduzione wulfiliana per essere attribuito allo
stesso autore.
 frammenti di un calendario con parti di ottobre e novembre.
 due documenti latini contenenti alcuni nomi gotici (atti di compravendita di
Napoli e Arezzo).
 tre esempi di alfabeto gotico con i nomi dei simboli, alcune frasi in gotico con
una sorta di trascrizione fonetica e alcuni commenti sulla pronuncia.
 raccolta di omelie latine con glosse marginali in gotico.

18
Elio Durante, Grammatica gotica, Bari: Palimar, 2000, p. 19.
19
Si intende per palinsesti o codices rescripti, manoscritti raschiati e riutilizzati, nei quali il testo
gotico è “leggibile, talvolta con notevole difficoltà, sotto testi latini. Occorrerà ricordare che i Goti
erano portatori dell’interpretazione ariana del Cristianesimo, e, sconfitto l’Arianesimo in sede
teologica, si tentò di distruggere quanto avesse relazione con tale eresia.” (Durante, p. 20).
20
Ibidem.

41
Una traccia della sopravvivenza in Crimea di una lingua dai tratti germanico-
orientali (probabilmente ostrogotico) è costituita dall’elenco di una ottantina di
parole raccolte dal fiammingo Ghiselin de Busbeck, inviato imperiale ad Istambul
nel 1560-62, da due uomini, di cui uno, parlante il gotico, ma vissuto per molti
anni fra parlanti la lingua greca, l’altro non di madre lingua gotica, aveva imparato
il gotico.21

Il gotico, la lingua germanica di più antica documentazione, probabilmente proprio


a causa della sua arcaicità, non presenta i seguenti tratti che andranno
successivamente a caratterizzare le lingue germaniche del gruppo nord-occidentale:
 conservazione della vocale atona mediana, anche dopo sillaba radicale
lunga: got. sōkida “cercai”, a.t.a. suohta, isl.a. sotta, ags. sohte
 mancanza di metafonia e rotacismo: got. batiza “migliore”, a.t.a. bezziro,
ags. betra; runico hari- “esercito”, got. harijs, isl.a. herr, a.t.a. heri, ags. e s.a.
here.

21
Intorno al 1250 il francescano Guglielmo di Rubruk, nella sua cronaca di viaggio alla volta
della sede di corte di Gengis-khan, dove era stato inviato dal re di Francia, diede notizia della
presenza di un popolo di “lingua tedesca” nelle regioni asiatiche da lui attraversate.

42
Il GERMANICO NORD-OCCIDENTALE si discosta, come abbiamo visto, dal
germanico orientale per alcune isoglosse, principalmente la metafonia e il
rotacismo, a cui il gotico non sembra partecipare.

Nell’ambito del germanico nord-occidentale si delineano due sottogruppi: il


germanico settentrionale e il germanico occidentale.

Il germanico settentrionale comprende, il norvegese, l’islandese, il danese, lo


svedese e il feroese, o feringio.

Nella fase antica (270-700 d.C.) il gruppo settentrionale si presenta particolarmente


compatto e abbastanza indifferenziato, tanto da poter essere definito con il
termine generico di ‘protonordico’. Le prime attestazioni, che si limitano a brevi
iscrizioni runiche, risalgono al III secolo a.C., mentre i primi documenti letterari,
di provenienza islandese, non risalgono che al XII sec. d.C.

Il norvegese, che, nella sua fase antica (dal 1000 al 1350) era parlato in Norvegia,
nelle isole Færøer, nelle Shetland, nelle Orcadi, nelle Ebridi, nell’isola di Man e in

43
Groenlandia, è documentato dapprima da iscrizioni runiche e, quindi, dopo la
penetrazione della cultura latino-cristiana, da manoscritti redatti in alfabeto latino,
il cui contenuto è principalmente di carattere religioso o giuridico. Non mancano
testimonianze di poesia scaldica.

Nel XIV la Norvegia fu annessa alla Danimarca, il cui dominio durò sino agli inizi
del XIX secolo. La anomala situazione politica determinò anche una anomalia di
tipo linguistico, una sorta di bilinguismo che sfociò nella contrapposizione fra il
riksmål “norvegese di Stato” (in cui scrive Henrik Ibsen) e il landsmål “lingua
popolare” (il cui propugnatore fu Ivar Aasen). Al giorno d’oggi il riksmål
(altrimenti definito bokmål) è la varietà usata prevalentemente dalla stampa, mentre
il landsmål (o nynorsk) è parlato nelle regioni occidentali dal 20% della popolazione.

Il danese è documentato da iscrizioni runiche a partire dal IX sec. e da


manoscritti solo dal XII sec. E’ parlato come seconda lingua in Groenlandia
(“terra verde”), nelle isole Færøer e nell’isola di Bornholm. Tratto distintivo del
danese, rispetto alle altre lingue scandinave, è la tendenza alla lenizione, per la
quale le occlusive sorde, all’interno di parola, passano ad occlusive sonore, e il
mutarsi delle occlusive sonore in fricative sonore. E, ancora, l’uso del colpo di
glottide che può assumere carattere distintivo.

Riconosciuto solo di recente lingua ufficiale, dopo un lungo periodo di dominio


linguistico da parte del danese, iniziato nel 1814 con l’annessione alla Danimarca, il
feringio è parlato nelle isole Færøer (“isole delle pecore”) da circa 40.000 abitanti.
Dapprima luogo di eremitaggio di monaci irlandesi (VIII-IX sec.) divennero ben
presto colonia norvegese, poiché costituivano un’importante tappa nelle rotte
vichinghe. Il feringio, linguisticamente vicino al norvegese, presenta tratti arcaici
che lo accomunano all’islandese.

Attualmente la lingua più parlata nella penisola scandinava è lo svedese. Alla


Svezia appartiene il più ricco corredo di iscrizioni runiche (circa 2500) che vanno
dal IX al XIII secolo, mentre la documentazione manoscritta è attestata solo a
partire dal secondo quarto del secolo XIII. Fonologicamente e morfologicamente
vicino al danese, si distingue da questo perché non subisce la cosiddetta ‘ terza

44
mutazione consonantica’, conservando le occlusive sorde. In sillaba atona, inoltre,
conserva le vocali -a e -o, che il danese riduce a –e, o elimina del tutto.

L’islandese altro non è che la lingua portata in Islanda nel IX secolo dai
norvegesi, allontanatisi dalla madre patria essenzialmente per motivi politici.

La caratteristica dell’islandese è la sua estrema arcaicità, favorita dalla sua posizione


marginale e isolata.

La fase linguistica di maggior splendore letterario (XII sec.), in cui fiorì in Islanda
una ricca letteratura di cui l’Edda poetica, una raccolta di canti mitologici ed eroici,
è mirabile esemplare, vede ancora l’islandese molto vicino al norvegese, al punto
da essere designati entrambi, nella fase antica, con il termine ‘norreno’.

45
Il GERMANICO OCCIDENTALE è a sua volta tradizionalmente suddiviso in
due sottogruppi:

 anglo-frisio
 tedesco

Il gruppo anglo-frisio comprende l’inglese e il frisone.

L’inglese rappresenta lo sviluppo delle lingue portate in Britannia da etnie


germaniche di Angli, Sassoni, Juti e forse anche Frisoni, precedentemente stanziati
sul continente, all’incirca nelle regioni della Germania settentrionale (in particolare
22
nello Schleswig-Holstein e zone limitrofe) nel V sec. d. C. Attualmente è la
lingua più parlata nel mondo.
Si divide cronologicamente in tre periodi: inglese antico o anglosassone, che va
dall’inizio della documentazione (VIII secolo), in cui si presenta frammentato in
quattro dialetti principali, sassone occidentale, kentico (o kentiano) e anglico,
a sua volta diviso in northumbrico e merciano, sino al 1100 circa; inglese
medio, dal 1100 al 1500 circa; inglese moderno, dal 1500 sino ad oggi. Il poema
eroico Beowulf, di ispirazione pagana, è il documento più importante della fase
antica; in esso si tramandano, in versi allitteranti, motivi e stilemi dell’antica poesia
germanica di tradizione orale.

La migrazione degli Angli Sassoni e Juti.

22
La notizia della migrazione dei Germani in Britannia, ammantata da elementi leggendari (tre
stirpi, Angli, Sassoni, Juti, su tre navi), è riferita da Beda il Venerabile nel suo famoso trattato
storico Historia Ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica delle genti angle), che
costituisce l’unica e per questo preziosissima fonte di documentazione sull’origine del popolo
inglese. Bisogna ricordare, però, che Beda scriveva nell’VIII sec., alla distanza di circa tre
secoli dalla migrazione dei cosiddetti anglo-sassoni. I recenti rinvenimenti archeologici hanno
accertato che agli Angli, Sassoni e Juti si erano uniti contingenti di Frisoni.

46
Divisione dei dialetti anglo-sassoni

Il frisone è attualmente parlato da circa 450.000 individui in Frisia (provincia dei


paesi Bassi), dove è ufficialmente riconosciuto, e come dialetto nella Germania
settentrionale (intorno all’estuario del fiume Weser, nello Schleswig-Holstein). La
documentazione del frisone è alquanto tarda, i primi documenti, infatti, risalgono
al XIV secolo.

47
Il tedesco si divide in alto tedesco e basso tedesco.

L’alto tedesco si divide, a sua volta, in alto tedesco superiore e alto tedesco
medio.
L’alto tedesco superiore è costituito dal dialetto alemanno, il quale si distingue
in alemanno settentrionale (o svevo), meridionale (o svizzero) e occidentale (o
alsaziano) e bavarese, suddiviso in settentrionale (o danubiano) e meridionale (o
tirolese), quest’ultimo parlato da minoranze linguistiche anche in Italia, Slovenia e
Ungheria.

L’alto tedesco medio comprende i dialetti franchi: franco orientale (Würzburg e


Bamberga), franco renano (Magonza, Francoforte e Spira), franco centrale
(Colonia e Treviri), slesiano (Breslavia, oggi entro i confini della Polonia), alto
sassone (Dresda e Berlino).

Il basso tedesco si suddivide in basso sassone e basso franco.

48
Il basso sassone comprende i dialetti parlati nella zona pianeggiante della
Germania settentrionale (Plattdeutsch); esso è documentato nella fase antica (IX-
XII sec) dal poema religioso Heliand (“il Salvatore”), mentre la fase moderna non
vanta alcuna produzione letteraria di rilievo.

Il basso franco ha dato origine al neerlandese, distinto in olandese (parlato nei


Paesi Bassi) e fiammingo (nel Belgio e nell’area intorno a Dunkerque). Nel XVIII
l’olandese fu portato dai boeri (“contadini”) in Sud Africa, dove si sviluppò in
modo indipendente dall’olandese della madre patria, dando vita all’afrikaans, oggi
parlato da circa un milione di persone nelle regioni del Transvaal e dell’Orange.

Cartina dei dialetti del tedesco

Il longobardo, per le sue caratteristiche linguistiche, sembra sfuggire ad una


classificazione univoca. Esso era parlato da tribù germaniche provenienti, si
suppone, dalla Scandinavia, le quali stanziatesi dapprima nella regione fra il Reno e
l’Elba intorno al I sec. d. C., erano avanzate lentamente verso sud, sino alla

49
Pannonia, e da qui si erano spinte sino in Italia (dove si insedieranno e
domineranno sino al 774); a causa dei contatti protratti con varie altre tribù
germaniche durante la loro lenta migrazione, la loro lingua si presenta contaminata
da pesanti influssi, soprattutto alto-tedeschi, come si può con difficoltà evincere
dalla scarsa documentazione, soprattutto toponimi e antroponimi lasciati nella
lingua italiana, ma anche vocaboli sia in italiano sia nei dialetti (si veda anche
l’Appendice, p. 177).

La migrazione dei Longobardi

La classificazione su riportata, tuttavia, è stata posta recentemente in discussione,


poiché essa si rivela inconsistente sotto il profilo diacronico; sulla base delle
iscrizioni runiche più antiche, scritte in un dialetto distinto dal germanico orientale
e più arcaico rispetto al germanico settentrionale e occidentale, si è ipotizzato che
dal protogermanico si siano sviluppati due grandi rami linguistici: il germanico
orientale e il germanico nord-occidentale.

50
Alla luce di questa ipotesi si può dunque proporre un albero genealogico così
modificato:

protogermanico

 
germ. orientale germ. nord-occidentale

51
Diffusione delle lingue germaniche nel mondo

52
Testi di riferimento

Herbert L. KUFNER, “The grouping and separation of the Germanic languages”,


in Towards a grammar of ProtoGermanic, a cura di F. van Coetsem e H. Kufner,
Tübingen: Niemeyer, 1972, pp. 71-98.

Winfred Philipp LEHMANN, “The grouping of the Germanic languages”, in


Ancient Indo-European dialects. Proceedings of the Conference on Indo-European linguistics
held at the University of California, los Angeles April 15-27,1963, a cura di H. Birnbaum
e J. Puhvel, Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 1966, pp.
13-28.

H. F. NIELSEN, The Germanic languages. Origins and early dialectal interrelations,


Tuscaloosa: University of Alabama Press, 1989.

Siti web consigliati

Su Wikipedia ottime cartine e anche una tabella diacronica delle lingue


germaniche:
http://en.wikipedia.org/wiki/Germanic_languages

Per un quadro sintetico delle lingue germaniche:


http://softrat.home.mindspring.com/germanic.html#language

Il Germanic Lexicon Project:


http://www.ling.upenn.edu/~kurisuto/germanic/language_resources.html

Indo-European Languages: Germanic Family


http://www.utexas.edu/cola/centers/lrc/general/ie-lg/Germanic.html

Germanic languages fragments


https://www.youtube.com/watch?v=T8LxRfdLrlU

53
Capitolo III

Ricostruzione del sistema linguistico indoeuropeo

Le indiscusse somiglianze linguistiche nel lessico di base (pronomi, numerali, nomi


di parentela come ‘padre, madre, fratello, ecc.’) della maggior parte delle lingue
parlate in Europa e parte dell’Asia, dall’estremo lembo occidentale (Islanda) sino
alle regioni settentrionali dell’India, indicano inconfutabilmente la loro comune
origine da un’unica lingua denominata ‘indoeuropeo’.
Si confrontino, p. es., la parola ‘padre’ e il numerale ‘due’ con le forme presenti in
alcune delle famiglie linguistiche che discendono dall’indoeuropeo:

1. sanscrito pitàr-, greco patèr, latino páter, persiano antico pita, irlandese antico athir,
protogermanico *faðer (da cui sassone antico fadar, gotico fadar, frisone antico feder,
olandese vader, nordico antico faðir, alto tedesco antico fatar (>tedesco Vater),
inglese antico fæder (>inglese father).

2. sanscrito dvau, avestico dva, greco duo, latino duo, gallese antico dou, lituano dvi,
slavo ecclesiastico antico duva, il primo elemento nel composto ittito ta-ugash “di
due anni”, protogermanico *twa (> inglese antico twa, femminile e neutro di
twegen “due”, sassone antico e frisone antico twene, twa, nordico antico tveir, tvau,
olandese twee, alto tedesco antico zwene, zwo (> tedesco zwei) gotico twai).

È evidente come i termini presi in esame presentino affinità di ordine fonetico e


identità di significato, sia pure con le inevitabili divergenze dovute a sviluppi
successivi.
È possibile ricostruire, sebbene con immaginabile difficoltà, quali fossero i tratti
essenziali del lessico, della fonologia e della morfo-sintassi di tale lingua madre
attraverso la comparazione delle forme attestate nelle lingue documentate da essa
derivate. Si tratta del metodo comparativo-ricostruttivo, sviluppatosi a partire
dalla fine del XVIII sec., mediante il quale per le forme analizzate si postulano le
seguenti radici:

54
1. protoindoeropeo * pǝtèr.

2. protoindoeropeo *duwo, variante di *dwo.

Erano i primi anni del Raj, quando Sir William Jones, funzionario britannico in
India, presentò una sorprendente relazione alla Bengal Asiatic Society, che egli
stesso aveva fondato poco dopo il suo arrivo. Quella sera del 2 febbraio 1786 egli
annunciò che gli studi condotti sugli antichi testi sanscriti lo avevano indotto a
ritenere che l’antica lingua indiana, in cui erano stati redatti famosi poemi epici,
quali il Mahabaratha, condivideva con il latino e il greco

“…a stronger affinity [...] than could possibly have been produced by accident;
so strong, indeed, that no philologer could examine them all three, without
believing them to have sprung from some common source, which, perhaps, no
longer exists [...]” 23

Uomo dalla versatile cultura, orientalista, conoscitore di molte lingue, poeta e


giurista, membro del famoso circolo culturale del Johson, candidatosi alle
parlamentari per l’Università di Oxford, si era dimesso per le sue idee favorevoli ai
moti indipendentisti americani e poiché contrario alla tratta degli schiavi. Inviato
in India dalla Corona Britannica, in qualità di giudice della corte suprema di Fort
William (Calcutta), aveva intrapreso lo studio degli antichi testi giuridici indiani per
meglio comprendere le tradizioni culturali dei popoli della grande colonia
britannica.

Nella sua relazione egli osservava come ind.a. pitár “padre” fosse molto simile al
gr. patér e al lat. páter, così come ind.a. mātár a gr. mēter e lat. māter.

Ancor prima della relazione di Sir William Jones erano stati già intrapresi studi su
lingue antiche, diverse dal latino e dal greco: alcuni europei, per lo più missionari,
avevano imparato il sanscrito per comprendere meglio le popolazioni presso cui
erano stati inviati. In una lettera inviata dall’India dal mercante italiano Filippo

23
“[...] una affinità [...] più forte di quanto avrebbe potuto verificarsi per mera casualità, così tanto
forte che nessun filologo potrebbe esaminare tutte e tre senza credere che esse sia siano originate
da una fonte comune, che, probabilmente, non esiste più [...]”

55
Sassetti nel XVI sec., si sottolineano le sorprendenti somiglianze fra ind.a. deva- e
it. dio, fra ind.a. sarpa e it. serpe, e inoltre fra i numerali ind.a. sapta, aštau e nava con
it. sette, otto e nove.24

Al Jones rimane il merito di aver esposto con consapevolezza la sua scoperta,


individuando come fonte delle molte lingue parlate in Europa, e parte dell’Asia,
una lingua comune, l’indoeuropeo 25, da cui si sono originate, ponendo così le basi
dei moderni studi di linguistica comparativa.

Il fermento suscitato dalle osservazioni esposte da Sir William Jones indusse gli
studiosi in Europa al confronto sistematico fra le forme documentate delle diverse
lingue euroasiatiche. Il loro lavoro portò nel XIX sec. alla loro classificazione nella
famiglia dell’indoeuropeo, e allo sviluppo della linguistica come disciplina.26
Nel 1808 apparve in Germania uno scritto di Friedrich von Schlegel, Über die
Sprache und Weisheit der Indier (Sulla lingua e la cultura dei popoli dell’India).
Egli aveva lavorato su manoscritti originali e traduzioni della letteratura sanscrita.
Anche a lui fu chiara la parentela tra India e Europa.

L’interesse per gli aspetti culturali, oltre che linguistici, delle antiche civiltà orientali
indusse il giovane studente tedesco Franz Bopp a lasciare, nel 1812, la città di
Aschaffenburg per recarsi, un po’ a piedi, e un po’ servendosi della diligenza
postale, a Parigi, col preciso intento di imparare le lingue orientali, e il sanscrito in
particolare, dai grandi maestri dell’Università della capitale francese. Aveva seguito
le lezioni di diritto naturale e internazionale, di logica, di estetica e anche di storia e
filosofia. Ma lo avevano interessato soprattutto le lingue antiche dell’oriente.

Il 16 maggio del 1816, dopo tre anni e mezzo di soggiorno a Parigi, Bopp
pubblicava a Francoforte uno dei lavori più poderosi del XIX secolo nell’ambito
delle scienze umanistiche, dal lungo titolo Űber das Conjugationssystem der
Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und

24
In Paul Thieme, “The Indo-European Language,” Scientific American, CXLIX, 4, ottobre
1958, pp. 63-74).
25
Il nome ‘indoeuropeo’ è stato attribuito da Thomas Young nel 1819 (indoeuropean). Poiché
il gruppo germanico si colloca geograficamente nell’area nord-occidentale, molti linguisti,
prevalentemente tedeschi, gli diedero la definizione di ‘lingua indogermanica’
(indogermanisch), usando il termine coniato da Conrad Malte-Brun. Altri la denominarono
lingua ‘ariana’, dal sanscr. arya ‘signore’, termine con il quale le antiche popolazioni indiane e
celtiche designavano se stesse.
26
Allo stesso modo si determinarono altre famiglie linguistiche: nel 1799 il linguista ungherese
Sámuel Gyarmathí pose le basi per l’identificazione del ceppo linguistico ugro-finnico.

56
germanischen Sprachen … (Del sistema di coniugazione della lingua sanscrita
comparato con quello del greco, latino, persiano e delle lingue germaniche… ) in
cui si ponevano a confronto gli aspetti morfologici delle lingue indoeuropee sino
ad allora note.

Franz Bopp trascorse a Berlino gli ultimi anni della sua vita, stimato da Wilhelm
von Humboldt e da Jacob Grimm. Quando nel 1867 depose per sempre la penna,
sulla sua scrivania venne trovato un lavoro che aveva iniziato, sulla cui ultima
pagina, con alcuni esempi relativi alla scomparsa della –s finale del tedesco antico
di fronte a forme con nominativo sigmatico nel gotico, si leggeva questa
annotazione: “Si confronti…”
Un ulteriore e decisivo contributo per la ricerca della ‘lingua comune’ fu dato da
Jacob Grimm (1785-1863), più conosciuto, con il fratello Wilhelm, come
ricercatore di elementi del folclore tedesco. Nella seconda edizione della sua
Deutsche Grammatik del 1822, dando sistemazione agli studi compiuti dal linguista
danese Rasmus Rask, dimostrò senza ombra di dubbio che il ted. Vater (e l’ingl.
father) è riconducibile alla stessa radice indoeuropea che ha dato sanscr. pítar e lat.
pāter. A questo punto la base indoeuropea comune era evidente anche per le lingue
germaniche.

Alla ricerca dell’Urheimat

Difficile è stabilire il luogo da cui è partita la massiccia ondata migratoria che ha


portato all’affermazione dell’indoeuropeo a occidente in tutta l’Europa, con
qualche trascurabile ma significativa enclave linguistica non indoeuropea, sino
all’estremo confine occidentale rappresentato dall’Islanda, e ad oriente sino alle
regioni dell’India settentrionale e ancora più a est (tocario) sino all’Afghanistan e al
Turkestan cinese.
Le proposte avanzate in relazione alla identificazione delle sedi originarie (ted.
Urheimat), delle popolazioni indoeuropee variano grandemente: si va dalle regioni
caucasiche e all’attuale Armenia sino alle steppe della Russia meridionale.
Certo è che provenissero da oriente e, probabilmente popoli molto bellicosi,
riuscirono a sovrapporsi alle popolazioni autoctone.

57
Le diverse proposte di localizzazione dell’Urheimat degli indoeuropei sino ad oggi
avanzate

La prima ondata migratoria si fa risalire al V millenio prima dell’era volgare. La


seconda si ritiene si sia verificata all’incirca nel II millennio.27
Tuttavia, non si deve commettere l’errore, ricostruendo rigorosamente radici e
desinenze indoeuropee, di ritenere il sistema linguistico così ricavato una sorta di
lingua omogenea e compatta, è molto più probabile che si presentasse
differenziata già ai suoi albori. Molti linguisti avanzano l’ipotesi che una grande
differenziazione si sia verificata relativamente allo sviluppo della occlusiva velare,
dando origine a due isoglosse28: il gruppo delle lingue satem e il gruppo delle
lingue kentum, in base al trattamento delle occlusive velari (satem e kentum sono
rispettivamente avestico e latino per la radice ie. *km̥tóm, che ha dato il numerale
“cento”).

27
Sulla cronologia e le modalità delle prime migrazioni degli indoeuropei non vi è affatto accordo
fra gli studiosi. Alcuni ritengono che si siano verificate intorno a 8000-5000 a.C., altri ritengono
che siano accadute molto più tardi, intorno al 3000 a.C. Qui si è ritenuto di indicare una datazione
che si pone intermedia fra le due opinioni. Quanto alle modalità con le quali le ondate migratorie
sono state portate avanti, si ritiene ormai superata l’idea di una massiccia e aggressiva
colonizzazione che rapidamente annienta le preesistenti popolazioni non indoeuropee, favorendo
l’ipotesi di una lenta e costante penetrazione, che pian piano vede sovrapporsi alle popolazioni
indigene i nuovi arrivati.
28
Si definisce isoglossa una “linea immaginaria che, in una rappresentazione cartografica, segna i
confini di un’area in cui è presente uno stesso fenomeno linguistico; anche agg.f.: linea i. | estens.,
il fenomeno stesso” (dal Dizionario della lingua italiana per il terzo millennio a cura di T. De
Mauro, PBM Editori, Milano, 2000, s. v. “isoglossa”.)

58
Tale differenziazione ha indotto a ritenere a lungo che le ondate migratorie, a
partire dalle sedi originarie degli indoeuropei, avessero preso due direttrici, l’una
verso est (satem), l’altra verso ovest (kentum). La scoperta all’inizio del XX sec. del
tocario, la lingua indoeuropea più periferica in direzione orientale, attribuibile al
gruppo kentum, ha rimesso in discussione le ipotesi precedentemente formulate.

Le prime documentazioni delle lingue riconducibili ad una madre lingua


indoeuropea coprono un arco di tempo amplissimo, dal 1600-1200 a. C. circa,
come si vedrà, per l’ittito e il greco miceneo, sino al XV sec. d. C. per l’albanese!

59
The Indo-European language groups as of 500 B.C.E, along with selected isoglosses.
Blue: Centum languages Tan: Languages exhibiting PIE *-tt- > -st-
Red-orange: Satem languages Green: Languages exhibiting PIE *-tt- > -ss-
Orange: Languages exhibiting augment Pink: Languages in which the instrumental, dative, and ablative plurals, as well as certain singulars and duals,
exhibit endings beginning in -m-, rather than the usual *-bh-

60
Bibliografia

Philip BALDI, An introduction to the Indo-European languages, Carbondale &


Edwardsville: Southern Illinois University Press,1983.

Robert S. P. BEEKES, Comparative Indo-European linguistics: An introduction,


Amsterdam / Philadelphia: John Benjamins Publishing Co., 1995.

Charles D. BUCK, A dictionary of selected synonyms in the principal Indo-European


languages, Chicago: University of Chicago Press, 1949.

Thomas V. GAMKRELIDZE / Vjacheslav V. IVANOV, Indo-European and the IndoEuropeans,


Berlin: Mouton de Gruyter, 1994.

Winfred LEHMANN, Theoretical bases of Indo-European linguistics, London:


Routledge, 1993.

Antoine MEILLET, Introduction à l’étude comparative des langues indo-européennes,


Paris: Hachette, 1937.

Anna Giacalone RAMAT / Paolo RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, Bologna: il
Mulino, 1993.

Sitografia

Proto-Indo-European
http://www.colfa.utsa.edu/drinka/pie/pie.html

The Human Journey: The Indo-Europeans


http://www.humanjourney.us/indoEurope.html

The Indo-Europeans and Historical Linguistics


http://www.usu.edu/markdamen/1320Hist&Civ/chapters/07IE.htm

61
Classificazione delle lingue indoeuropee

Si possono ricondurre all’indoeuropeo le seguenti lingue o gruppi linguistici:

indo-iranico: comprende le lingue indoarie e le iraniche. Al primo


raggruppamento fanno capo le lingue che in epoca preistorica sono penetrate da
nord-ovest nella penisola indiana e, avanzando, hanno gradualmente eroso gli
spazi linguistici rappresentati dalle antiche lingue dravidiche e munda-kmer già
presenti nell’ampio territorio. Diacronicamente le lingue indoarie si dividono in tre
fasi: una fase antica, una media e una moderna. Risalgono alla fase antica il vedico,
cioè la lingua in cui fu redatta la raccolta di inni religiosi (Veda) che, per alcune
parti si può far risalire a circa il 1500 a. C., pur se la sua redazione non va oltre il
VII sec. a. C., e il sanscrito in cui sono stati scritti i grandi poemi epici
Mahābhā́rata (dal IV sec. a. C. al IV d. C.) e Rāmāyana (II sec. d. C.). Lo stesso
termine sanscrito, che letteralmente significa “(grammaticalmente) perfetto”,
denota l’elaborazione di una lingua colta, sottratta alla sua naturale evoluzione e
codificata per usi religiosi e letterari. Le moderne lingue neoindiane derivano dagli
usi linguistici delle classi meno elevate. Anche le lingue iraniche possono essere
divise diacronicamente in tre periodi: fase antica, media e moderna. Alla fase antica
risalgono l’avestico, nel quale sono scritti i libri sacri (Avesta) della religione
fondata dal famoso profeta Zaratustra,29 intorno al X sec. a. C., e il persiano
antico, la lingua degli Achemenidi, attestato in caratteri cuneiformi sin dal VII –
VI sec. a. C.

indoarie vedico
sanscrito

indoiranico

iraniche avestico
persiano antico

29
Si ritiene che alcune parti dell’Avesta siano opera dello stesso Zaratustra.

62
ittito: è la lingua indoeuropea di cui possediamo i documenti più antichi
direttamente e sicuramente databili (1600 – 1200 a. C.). Fu la lingua della classe
dominante dell’Impero di Hatti tra il 1900 e il 1200 a. C., di cui sono state portate
alla luce, agli inizi del secolo XX, numerose tavolette in terracotta iscritte con
caratteri cuneiformi.

ittito 

armeno: anticamente diffuso nella regione orientale della Turchia (i primi


documenti risalgono al V sec. d. C.), si presenta oggi dialettalmente diviso in
armeno occidentale, parlato nelle colonie fondate nelle principali città d’Europa
dagli esuli armeni scappati allo sterminio perpetrato dai Turchi, e in armeno
orientale, nella regione sud caucasica nei pressi del lago Sevan. La storia
dell’armeno risulta essere particolarmente interessante sotto il profilo linguistico,
poiché esso presenta due mutazioni consonantiche (la prima in fase non
documentata, la seconda in epoca moderna) che mostrano parziali affinità con la
mutazione consonantica del germanico.

occidentale
armeno
orientale

illirico: parlato dagli antichi Illiri e Messapi, la lingua illirica si è esistinta già in
epoca antica. Nei secoli immediatamente precedenti l’era volgare era in uso
nell’odierno Salento e nell’area nord-occidentale della penisola balcanica, ma in
epoche più antiche si presume fosse molto più diffusa. Della lingua degli antichi
Illiri sono conservate solo poche glosse e alcuni nomi propri; del messapico sono
tramandate circa 300 iscrizioni.

illirico 

63
albanese: diviso in due rami, il tosco a sud e il ghego a nord. È parlato, oltre che
in Albania, in diverse colonie in Grecia, Sicilia, Calabria e Puglia. La prima
documentazione, tarda, risale al XV secolo.

tosco (sud)
albanese
ghego (nord)

ellenico: i primi documenti in una lingua riconducibile al greco sono costituiti da


iscrizioni su tavolette di argilla in una scrittura di tipo sillabico denominata Lineare
B, risalenti ad un periodo che va dal XIV secolo al XII sec. a. C. Esse sono state
decifrate nel 1952 dall’inglese M. Ventris. Tale lingua, detta greco miceneo,
presenta tratti molto dissimili dai dialetti ellenici che si sono sviluppati nel primo
millenio a. C. I primi documenti in alfabeto greco che riportano la lingua greca
arcaica risalgono al VII secolo a.C.

ellenico greco miceneo 


greco arcaico

italico: osco-umbro, che ha dato origine all’osco e all’umbro, e latino-falisco a


cui fanno capo il falisco e il latino, L’osco, del quale ci sono pervenute iscrizioni in
alfabeto latino, greco e anche in alcuni antichi alfabeti italici risalenti al V secolo
a.C., era parlato nell’attuale Campania e nel Sannio. L’umbro, documentato sin dal
III – II sec. a.C., ma che si è ben presto estinto, era parlato dall’antica popolazione
degli Umbri. Anche il falisco non è sopravissuto; era la lingua dei Falisci, popolo
che viveva nella Tuscia meridionale, di cui ci sono pervenute iscrizioni databili
anch’esse al III – II sec. a.C. Altro destino ha avuto la lingua latina, la quale,
imposta dai Romani a tutte le genti sottomesse, ha dato origine alle lingue
romanze. La fase arcaica del latino risale al III sec. a.C.

64
osco 

osco-umbro
umbro 
italico

latino-falisco falisco 

latino lingue romanze

germanico: v. supra, Cap. II.

celtico: la prima distinzione nell’ambito delle lingue celtiche è in due gruppi


principali: celtico continentale e celtico insulare.
Il celtico continentale, o gallico, era diffuso nell’antichità in una vasta area che va
dalla Germania centrale e meridionale (come attesta il gran numero di idronimi
presenti in quelle regioni) alla Svizzera, Italia e Spagna settentrionale, Belgio e
Francia.

Il celtico insulare si divide a sua volta in gaelico e britannico

irlandese
gaelico scozzese
c. insulare manx

celtico britannico cimrico (gallese)

cornico 
bretone

c. continentale gallico 

65
baltico: si suddivide in baltico orientale e baltico occidentale. Al primo gruppo si
assegnano il lituano e il lettone (per citare solo le principali), al secondo, fra le
altre, il prussiano antico, ora estinto. L’attestazione delle lingue baltiche è
piuttosto recente, esse risalgono infatti solo al XIV sec. d.C.

lituano
orientale lettone
baltico

occidentale prussiano antico 

slavo: diviso in slavo orientale, occidentale e meridionale; al ramo orientale


appartengono il russo e l’ucraino e il bielorusso; al ramo occidentale il ceco e il
polacco, al ramo meridionale lo slavo ecclesiastico antico (estinto), il bulgaro e
il serbo croato. La lingua slava di più antica documentazione è lo slavo
ecclesiastico antico (in definitiva l’antico bulgaro), lingua letteraria elaborata da
Cirillo e Metodio, missionari bizantini, nel IX sec. d.C.

russo
bielorusso
orientale
ucraino
slavo ceco
occidentale
polacco

meridionale slavo ecclesiastico antico 


bulgaro
serbocroato

66
tocario: estinto, era parlato nel Turkestan cinese e nella Battriana (attuale
Afghanistan). Già nella fase antica si presentava distinto in due dialetti (tocario A,
o orientale, e tocario B, o occidentale). Documentato a partire dal VII – VIII sec.
d. C., non è stato fino ad oggi possibile stabilire l’epoca della sua estinzione. Sotto
il profilo della classificazione esso rappresenta un mistero, poiché pur mostrando
di appartenere al gruppo delle lingue indoeuropee del tipo centum, esso è
geograficamente attestato all’estremo lembo dei territori occupati tradizionalmente
da lingue indoeuropee del tipo satem.

A (orientale)
tocario 
B (occidentale)

Sono esclusi dal novero delle lingue indoeuropee l’ungherese, il finnico, l’estone, il
turco, e il basco (cfr. ind. a. trayes, gr. trêis, irl. a. tri, lit. trỹs, ingl. a. þrīe, ru. tri, toc. A
tre, ma finn. kolme “tre”, ungh. három “tre”!)

67
Situazione linguistica dell’Europa nel 1000 a.C.

68
Carta delle principali famiglie linguistiche indoeuropee. Riprodotta da Encyclopedia of Indo-European Culture, edited by James P. Mallory
and Douglas Q. Adams, London - Chicago, Fitzroy Dearborn Publishers, 1997, p. 300

69
Testi di riferimento

Charles BUCK, A Dictionary of Selected Synonyms in the Principal Indo-European


Languages. Chicago: Univ. of Chicago Press, 1949.

Vittoria CORAZZA DOLCETTI / Renato GENDRE, Moduli di Filologia Germanica. 1.


Filologia germanica, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2000.
Benjamin W. FORTSON, Indo-European Language and Culture: an introduction. Malden:
Blackwell, 2004
Michael MEIER-BRÜGGER, Indogermanische Sprachwissenschaft. Berlin/New York: de
Gruyter, 2000.

Thomas PYLES, The Origins and Development of the English Language, Harcourt, Brace &
World, New York, Chicago, Burlingame, 1964.
Giacalone Anna RAMAT e Paolo RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, il Mulino,
Bologna, 1993.

Julius POKORNY, Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch, Francke, Bern -


München, 1959.

H. RIX et al., Lexikon der indogermanischen Verben. Die Wurzeln und ihre
Primärstammbildung. Wiesbaden: Reichert, 1998 (II ed. riv. 2001).

Siti web consigliati


Progetto dell’Institute of Comparative Linguistics of the Johann Wolfgang
Goethe-Universität, Frankfurt am Main, the Ústav starého Predního východu of
Charles University, Prague, the Institut for Almen og Anvendt Sprogvidenskab of
the University of Kopenhagen and the Departamento de Filología Clásica y
Románica (Filología Griega) de la Universidad de Oviedo:
http://titus.uni-frankfurt.de/indexe.htm

Bibliografia di base per lo studio delle lingue indoeuropee:


http://www.unc.edu/student/orgs/cams/IElinguistics03.htm

Alcuni schemi e cartine:


http://www.ship.edu/%7Ecgboeree/indoeuropean.html

Indo-European Documentation center:


http://www.utexas.edu/cola/depts/lrc/iedocctr/ie.html

W. P. Lehmann, A Reader in Nineteenth Century Historical Indo-European Linguistics,


edited and translated by W. P. Lehmann, first published by Indiana University
Press, 1967.
http://www.utexas.edu/cola/depts/lrc/iedocctr/ie-
docs/lehmann/reader/reader.html
Il sistema fonologico dell’indoeuropeo

Il sistema consonantico
Il sistema consonantico dell’indoeuropeo, così come risulta all’applicazione del
metodo comparativo ricostruttivo, appare composto da una serie di consonanti
occlusive distinte in sorde, sonore e sonore aspirate disposte su tre differenti
luoghi di articolazione: bilabiali, dentali, velari (queste ultime potevano essere
realizzate con simultaneo arrotondamento labiale, dando origine alle labiovelari)

bilabiali dentali velari labiovelari

sorde p t k kw

sonore b d g gw

sonore aspirate bh dh gh gwh

non sembra vi fosse una serie di fricative, ad eccezione della sibilante alveolare
sorda /s/, con la variante sonora /z/ (quando in nesso con consonante sonora);

due nasali m n

la laterale l

la vibrante r

le sonanti30 m̥ n̥ l̥ r̥
le semivocali31 j w

30
Con il termine sonanti si indicano quelle consonanti che in una sillaba priva di vocali
costituivano apice di sonorità, avevano pertanto funzione di vocale, così come accade in talune
lingue slave: ceco Br̥no, slov. Tr̥st (it. Trieste). Non si confonda il segno diacritico ̥ usato in
indoeuropeistica con lo stesso segno usato nell’Alfabeto Fonetico Internazionale, che indica al
contrario desonorizzazione!
31
In indoeuropeistica si è soliti rappresentare le semivocali con il segno diacritico ̯ , così i̯ e u̯
sono da ritenere equivalenti di /j / e /w/.

71
Schema semplificato del sistema consonantico
tradizionalmente attribuito all’indoeuropeo:

p t k kw

b d g gw

bh dh gh gwh

s(z)

m n

j w

72
Sistema vocalico

Il sistema vocalico si compone di sei vocali brevi, cinque vocali lunghe e


sei dittonghi:

vocali brevi a e i o u ə

vocali lunghe ā ē ī ō ū

dittonghi ai̯ ei̯ oi̯


au̯ eu̯ ou̯

I dittonghi si compongono delle vocali a, e, o in nesso con le semivocali j


e w, sono pertanto tutti dittonghi discendenti.

Per ragioni di praticità di studio si è ritenuto di semplificare notevolmente


il sistema fonologico ipotizzato per l’indoeuropeo, al quale si attribuiscono
anche consonanti velari palatalizzate, distinte dalle velari vere e proprie,
una serie di occlusive sorde aspirate, una fricativa dentale sorda /θ/ e
infine una serie di dittonghi lunghi, corrispondente alla serie breve esposta.

73
Schema semplificato del sistema vocalico tradizionalmente attribuito
all’indoeuropeo:

Vocali

i:/ i u: / u

e:/ e o: / o

a: / a

Dittonghi

ei eu oi ou

ai au

74
Accento

Sotto l’aspetto prosodico l’indoeuropeo si caratterizza per la presenza di


un accento di tipo tonale, vale a dire esso comporta variazioni di altezza,
dovute a maggiore o minore frequenza del numero di vibrazioni delle
pliche vocaliche nell’unità di tempo (al contrario dell’accento germanico,
che si presenterà come accento intensivo, il quale comporta variazioni
dell’ampiezza delle vibrazioni) e libero, vale a dire non legato ad una
particolare sillaba della parola.32

Tipologia linguistica

Sotto l’aspetto tipologico l’indoeuropeo si presenta come una lingua


estremamente flessiva, poiché affida a suffissi e desinenze la funzione di
indicare il rapporto di una parola nell’ambito della frase, così essa ha
contrassegni specifici per indicare il numero (singolare/ duale/ plurale), il
genere (femminile/ maschile/ neutro) e i casi (vale a dire in quale
rapporto è un sostantivo con gli altri all’interno della frase), allo stesso
modo la desinenza di un verbo potrà indicare la persona, il tempo,
l’aspetto dell’azione.

32
L’accento di parola dell’italiano è di tipo misto: benché prevalentemente intensivo,
esso può comportare anche variazioni dell’altezza delle vibrazioni delle pliche
vocaliche, e dunque presentarsi come tonale (si veda, per esempio, l’opposizione fra la
congz. perché e il pron. interr. perché?); esso è inoltre assolutamente libero
nell’ambito della parola (si vedano le opposizioni cápito/ capíto/ capitò).

75
Testi di riferimento

Walter BELARDI, Fonologia indoeuropea, Libreria Editrice K, Roma, 1973.

Anna GIACALONE RAMAT e Paolo RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee,


Bologna: il Mulino, 1993.

Siti web consigliati


The Indo-European Family — The Linguistic Evidence
http://www.ling.ohio-state.edu/~bjoseph/publications/2000indo.pdf

Language Reconstruction
https://www.youtube.com/watch?v=0yj_TrtaS4k

76
Capitolo IV

Caratteristiche fonologiche del germanico

La mutazione consonantica del germanico, o Legge di Grimm

Nel saggio Undersøgelse on det gamle Nordiske eller Islandske Sprogs Oprindelse (“Indagine
sull’ origine della lingua nordica antica o islandese”), presentato all’Accademia di
Copenhagen nel 1818, il linguista danese Rasmus Rask, ponendo a confronto le
lingue nordiche con il finnico, il lettone, le lingue celtiche, e slave ecc., evidenziava il
diverso trattamento che le lingue germaniche riservavano alle occlusive indoeuropee,
rispetto, per es., al greco e al latino.
Jacob Grimm si affrettò a dare sistemazione alla eccezionale scoperta nella seconda
edizione della Deutsche Grammatik, pubblicata nel 1822.
I tratti di regolarità che caratterizzano questo mutamento hanno fatto sì che fosse
chiamato legge di Grimm, o, più comunemente, prima mutazione consonantica
(Erste o Germanische Lautverschiebung, o First Consonant Shift)33.

Essa consta sostanzialmente di tre passaggi fondamentali:

 Trasformazione delle occlusive sorde dell’indoeuropeo in fricative sorde del


germanico.
 Trasformazione delle occlusive sonore indoeuropee in occlusive sorde.
 Trasformazione delle occlusive sonore aspirate dell’indoeuropeo in fricative
sonore del germanico.

33
Sarebbe preferibile, tuttavia, denominarla mutazione consonantica del germanico, dal
momento che la cosiddetta ‘seconda mutazione consonantica’ non ha interessato il
protogermanico, bensì solo l’area dell’alto tedesco.

77
indoeuropeo germanico

p t k kw ()f θ x xw

b d g gw p t k kw

bh dh gh gwh β ð ɣ ɣw

occlusive sorde > fricative sorde

ie. / p/ > germ. / f/


ie. / t/ > germ. / θ/
ie. / k/ > germ. /x/
ie. / kw/ > germ. /xw/

Ess:

- ie. *peku- «bestiame» (ind.a. paśu [paʃu], lat. pecu) > germ. *fexu > got. faihu [fɛxu]
«denaro», ags. feoh «bestiame» (ingl. fee «onorario»), sass.a. fehu, a.t.a. fihu (ted. Vieh).

- ie. * tu- « tu » (lat. tu) > germ. *θu > got. þu, ags. þu (ingl. thou /
ðau/) “tu”.

- v. peku-

78
- ie. *sekw- «seguire» (lat. sequor) > germ. *sexw- > got. saihwan [sɛxwan], a.t.a. sass.a.
sehan, ags. seon, fris.a. sia (ol. zien), norr. sjā (dan. sved. se).

Eccezioni

Nei nessi composti dalla sibilante alveolare /s/ e occlusiva sorda /p, t, k/ queste
ultime rimangono invariate, probabilmente in ragione dell’impegno articolatorio che
la sibilante comporta, che rende, per così dire, vigile il parlante, il quale continuerà a
pronunciare le occlusive, senza modificazioni:

Ess:

- ie. * sp(h)jeu-/ speiw- «sputare» (lat. spuere) > germ. *spiw- > got. speiwan [spi: wan], ags.
spiwan (ingl. spew), a.t.a. spī(w)an (ted. speien [ʃpaiən]), sass.a. spīwan, fris.a. spīa (ol.
spuwen), norr. spyja (dan. sved. spy).

- ie. * ster- «stella»> lat. stella (< ster-la) > germ. *ster(n)- > got. stairno [stɛrno, norr.
stjarna, ags. steorra (> ingl star), ted. Stern.

- ie. * pisk(os) «pesce» (lat. piscis) > germ. *fiskaz > got. fisks, fris. a. fisk, sass. a., a.t.a.
fisc (neerl. visch, ted. Fisch), ags. fisc [fiʃ]

Nei nessi /pt/ e /kt/ muta solo il primo fonema: /ft/ e /xt/:

Ess:

- ie. * hapt- (lat. captus “preso”) > germ. *haft- > got. hafts “vincolato”, a.t.a. e sass. a.
haft.

- ie. * nokt- «notte» (lat. noct-em (acc.), gr. nukt-, lit. naktís, sl.a. nošti) > germ. *naxt- >
got. nahts, norr. natt, nott, sass.a., fris. a., a.t.a. naht (ted. Nacht), ingl.a. niht, næht, neaht
(ing. night).

79
occlusive sonore > occlusive sorde

ie. / b/ > germ. / p/


ie. / d/ > germ. / t/
ie. /g / > germ. /k/
ie. /gw/ > germ. /kw/

Ess:

- ie. *dheubos (lit. dubùs) «profondo» > germ. * deupaz > norr. diupr, ingl.a. deop, s.a. diop,
got. *diups (: diupo NSg. Nt. fl deb.)

- ie. *dekm̥ «dieci» (gr. déka, ind.a. daśa [daʃa], lat. decem) > got. taihun [tɛxun], sass.a.
tehan, ingl.a. tēon (ingl. ten), a.t.a. zehan (ted. zehn).

- ie. * ego «io» > lat. ego = germ. * ik > got. ik. norr. ek, sass. a. ik, ags. ic > ingl. I.

- ie. * gwem «andare» (lat. * gwen- > uen-ire “venire”) > germ. * kwem- > got. qiman
[kwiman], ags. coman, ata. queman [kweman].

occlusive sonore aspirate > fricative sonore

ie. / bh / > germ. / β/


ie. / dh/ > germ. / ð/
ie. / gh/ > germ. /ɣ/
ie. / gwh/ > germ. /ɣw/

80
N. B. Le occlusive sonore aspirate passano a fricative sonore solo quando si trovano
all’interno di parola, non prededute da consonante nasale, altrimenti già in fase
unitaria si trasformano in occlusive sonore semplici in posizione iniziale e postnasale:

Ess:

- ie. *bhodhio (lat. fodio «io scavo») > germ. *baðja «letto»> got. badi, norr. beþr, ingl.a.
bedd, sass.a. bed(di), a.t.a. betti;

ie. *nebhas- (ind. a. nábhas-, gr. néphos, nephéle, lat. nebula nuvola, nube) > germ. *neβel
> norr. nifl, sass. a. neβel, a.t. a. nebul, ingl. a. nifol [nivol] “scuro”;

ie. *ambhi/ṃbhi preposiz. “intorno a” (ind. a. abhí, gr. amphí) > germ. umbi > sass. a.,
a.t.a. umbi (ted. um), ingl.a. ymb(e).

- ie. *dhuktēr « figlia» (lit. dukte) > germ. * duhter > got. dauhtar, norr. dotter, ingl.a. dohtor
( ingl. daughter), sass.a dohtar, a.t.a. tohter (ted. Tochter);

ie. *medhios «mediano» (ind. a. mádhyaḥ, lat. medius) > germ. *meðjiaz > got. midjis
[miðjis], norr. miđr, fris. a. midde, sass. a. middi, ingl.a. midd, a.t.a. mitti (per la
geminazione della consonante v. p. 100);

ie. *bhendh- «legare» (ind. a. bándhati “egli lega” > germ. *bind-an > got., fris. a. norr.
bindan, a.t.a. bintan.

- ie. *ghostis «straniero» (lat. hostis, sl.a. gosti «ospite») > germ. *gastiz «ospite» >
protonord. gastir, got. gasts, norr. gestr, ingl.a. gæst, giest, a.t.a. sass.a. gast;

ie. *steigh-, stigh- «salire» (ind. a. stighnutē “egli sale”, gr. steíkho) > germ. *stiɣ- > got.
steigan [sti:ɣan] , ingl. a. stīgan [sti:ɣan], norr., fris. a. stīga, sass. a., a.t.a. stīgan (ted.
steigen).

81
- ie. *senghw-, songwh- «cantare» > germ. *singw- > got. siggwan [siŋgwan], norr. syngva, ma

sass. a., a.t.a., ingl. a. singan!!34

Possibili cause del mutamento

Dal punto di vista acustico una occlusiva aspirata è caratterizzata da un soffio che si
percepisce fra l’esplosione e la vocale che segue, particolarmente avvertito se la sillaba
in questione è accentata.

Durante l’occlusione di una consonante non aspirata la glottide è serrata, le corde


vocali possono entrare in vibrazione al momento dell’esplosione. Durante
l’occlusione di una occlusiva aspirata la glottide è aperta. Passa un certo lasso di
tempo prima che la glottide si chiuda completamente per la vocale seguente. E’ l’aria
intrappolata durante questo tempo che è intesa come un soffio.

Se l’aspirazione è molto forte le aspirate tendono a passare alla serie delle affricate.
Il Meillet nel 1917 esponeva la sua teoria sulle modificazioni apportate dal germanico
al sistema fonologico dell’indoeuropeo giustificandole sulla base di una diversa
articolazione delle occlusive sorde da parte dei parlanti germanici.35

34
La fricativa labiovelare sonora aspirata doveva costituire in germanico un fono molto instabile,
poiché la documentazione mostra un trattamento differenziato, probabilmente in dipendenza dal
contesto fonico in cui veniva a trovarsi; sembrerebbe che gw > g davanti alla vocale u (perde
dunque il coefficiente di labialità, poiché questo si assimila a quello della vocale procheila
seguente); gw > w dinanzi a vocali anteriori a, e, i (rimane solo l’elemento labiale w, mentre si
perde il tratto velare). Ess. ie. *gwhunt- «battaglia» > ingl. a. guđe, sass. a. guđea, a.t.a. gundfano
“vessillo di combattimento” (cfr. it. gonfalone!), ie. *gwhormos «calore» > got. warmjan
“riscaldare”, isl. a. varmn, ingl. a. wearm, fris. a., sass. a., a.t.a warm.
35
[...] Il existe deux types principaux d’articulation des occlusives qui se distinguent par la manière
dont se comporte la glotte. Dans l’un des types, que l’on observe notamment dans presque toutes
les langues romanes, et en particulier en français, et dans les langues slaves, la glotte est le plus
fermée qu’il est possible et prêt à articuler la voyelle suivante des le moment où cesse la consonne.
Les occlusives sourdes se prononcent alors avec la glotte fermée ; done durant la fermeture des
organes d’occlusion depuis le moment de l’« implosion » jusqu’à celui de l’ « explosion », il ne
s’accumule pas d’air derrière l’organe dont l’ouverture brusque produit le bruit caractéristique de la
consonne, et le vibrations glottales de la voyelle suivante commencent aussi tôt après l’explosion
de la consonne. Quant aux occlusives sonores, elles sont accompagnées de vibrations glottales
durant toute la période d’occlusion. Dans l’autre type, qu’on observe notamment dans des parlers
allemands septentrionaux et dans certaines parlers arméniens modernes, les occlusives sourdes se
pronaucent avec la glotte mal fermée durant la période d’occlusion; de l’air s’accumule dans la
bouche pendant la durée de l’occlusion, et cet air doit être expulsé après l’explosion de
l’occlusive; les occlusives sourdes de ce type, où l’émission d’un souffle s’intercale entre
l’explosion de la consonne et le commencement de la voyelle, sont dites «aspirée». “Esistono due

82
Si ritiene, sulla base dei prestiti germanici in latino, che essa sia avvenuta nei secoli
immediatamente precedenti l’era volgare.

Legge di Verner

Una importante eccezione alla Legge di Grimm è costituita dalla Legge di Verner,
così detta dal nome del linguista che per primo diede ragione di alcuni esiti anomali
delle occlusive indoeuropee nel germanico.36

Si confrontino i seguenti lemmi:

- ie. *bhrấter > ind.a. *bhrấtar, gr. phrấtor, lat. frāter = got. broþar [broθar], norr. broðir,
ags. broðor, a.t.a. bruoder.

- ie. * pətér > ind.a. pitár, gr. patér, lat. pater = got. fadar [faðar], norr. faðir, ags. fæder,
a.t.a. fater.

Nel primo caso la occlusiva dentale sorda /t/ dell’indoeuropeo si trasforma


regolarmente, in base alla prima mutazione consonantica, in fricativa dentale sorda
/θ/.

Nel secondo caso inspiegabilmente la occlusiva dentale sorda dell’indoeuropeo si


trasforma in germanico in una fricativa dentale sonora, contraddicendo la
formulazione della Legge di Grimm.

tipi principali di articolazione delle occlusive, che si distinguono per il modo in cui si comporta la
glottide. Per un tipo che si rileva principalmente nei parlanti le lingue romanze, e in particolare per
il francese, e le lingue slave, la glottide è assolutamente chiusa e pronta ad articolare la vocale
successiva, non appena finisce l’articolazione della consonante. Quindi non si accumula aria
durante la fase della tenuta. Per l’altro tipo, che si osserva in particolar modo fra i tedeschi
settentrionali e gli armeni, le occlusive sorde sono articolate con la glottide non saldamente chiusa
durante il periodo dell’occlusione; un po’ di aria si accumula, dunque, nella bocca durante la tenuta
dell’occlusione, e quest’aria dovrà essere espulsa al momento dell’esplosione dell’occlusiva; le
occlusive sorde di questo tipo, nelle quali l’emissione di un soffio si intercala fra l’esplosione della
consonante e l’inizio della vocale, sono dette “ aspirate”. ” (A. MEILLET, Caractères généraux des
langues germaniques, Parigi, 1917, pp. 34-41).
36
Karl Adolf Verner (1846-1896) glottologo, oriundo tedesco, docente di slavistica all’Università
di Copenhagen.

83
Nel 1877, a distanza di ben 55 anni dalla formulazione della prima mutazione
consonantica da parte di Jacob Grimm, Karl Verner nel famoso articolo Eine
Ausnahme der ersten Lautverschiebung, apparso nel numero XXIII della rivista fondata da
Albert Kuhn “Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung”, offrì una spiegazione a
tale apparente incongruità, facendo osservare come una occlusiva dell’indoeuropeo dà
come esito una fricativa sonora e non già una sorda, quando la consonante in
questione si trova in ambiente sonoro (bei tönender Nachbarschaft) e non è preceduta
immediatamente dall’accento (im Nachlaute betonter Silbe) .

Allo stesso fenomeno partecipa la sibilante alvolare sorda /s/, la quale si sonorizza in
/z/, nelle medesime condizioni, passando infine a vibrante alveolare /r/ in tutte le
lingue germaniche, ad esclusione del gotico:

- ie. *snusós, snusá “nuora” > ind.a. snusá “nuora”, gr. nyós, lat. nurus = germ. *snuzo >
norr. snor, ags. snoru, fris.a. snore, a.t.a. snur(a).

- norr. meire, ags. fris.a. mara, sass.a. a.t.a. mero, ma got. maiza “più”!37

La tendenza alla sonorizzazione di una consonante sorda in ambiente sonoro, quando


non preceduta immediatamente dall’accento, è ancora produttiva oggi nelle lingue
germaniche; si confrontino infatti i seguenti esempi:

- ingl. exercise [ˈɛksǝɹsaɪz] ma exist [egˈzɪ·st]


excellent [ˈɛksǝlǝnt] ma examine [egˈzæ·mɪn]
possible [ˈpɔsǝbl] possess [pˈzɛs]
Alex [ˈaleks] Alexander [alekˈzændǝ*]

37
La legge di Verner, come la trasformazione della sibilante sonora /z/ in vibrante alveolare /r/,
altrimenti detta rotacismo (ma vedi infra, p. 95) non caratterizza solo il germanico, ma è presente
anche in latino: si confronti lat. flos, che presenta /r/ in tutti gli altri casi flessi (floris, ecc.), da una
antica forma *floz-, in cui la sibilante originaria /s/ si trovava in posizione intervocalica.

84
- ted. Hannover [ˈhano: fǝʁ] Hannoveraner [hanovǝˈʁanǝʁ]
Nerven [ˈnɛʁfǝn] nervös [nɛʁˈvös]

85
Alternanza grammaticale

Confrontando le forme paradigmatiche del verbo “divenire” in inglese antico


(weorðan) e in a.t.a. (werdan) si potrà notare come esse presentino un’oscillazione nel
consonantismo nella sillaba radicale:

1° sg. pres. 1°sg. pret. 1° pl. pret. part. pass.

ingl.a. weorð wearð wurdon worden


a.t.a. werda ward wurtum wortan

Tale divergenza risulta spiegabile solo risalendo alle originarie forme indoeuropee,
ricostruite con l’ausilio del sanscrito:

i.e. *uértō- *(ue)uórta- *(ue)uŗtəmé- * uŗtonós-


ind.a. vártā-mi vavárta vavŗtimá vŗtānáḥ

Si può ipotizzare, dunque, che nel lungo lasso di tempo che costituisce il secondo
periodo del protogermanico, l’accento non si fosse ancora fissato stabilmente sulla
sillaba radicale e che i paradigmi verbali presentassero rizotonia solo sulla 1° persona
singolare del presente e del preterito, ma nella prima persona del preterito plurale e
nel participio passato l’accento cadesse dopo la consonante in questione. Nei primi
due casi essa fu dunque sottoposta al trattamento della mutazione consonantica del
germanico, mentre nella 1° plurale del preterito e nel participio passato subì gli effetti
della lenizione previsti dalla Legge di Verner:

germ. *werθō *warθ(a) *wurðum(i) * wurðan(a)z

Il gotico mostra la tendenza a livellare analogicamente tutte le forme che partecipano


dell’alternanza grammaticale privilegiando l’articolazione sorda:

got. wairþa warþ waurþum waurþans

86
wεrθa warθ wɔrθum wɔrθans

come d’altro canto successivamente faranno, in larga misura, anche le altre lingue
germaniche; tracce dell’antica alternanza grammaticale permangono in opposizioni
del tipo ingl. was/were (le forme equivalenti in a.t.a. was/waren vengono livellate in
war/waren nel tedesco), ted. ziehe/gezogen (rispettivamente infinito e participio passato
del verbo ziehen “tirare”).

Testi di riferimento

Hans KRAHE, Germanische Sprachwissenshaft. I. Einleitung und Lautlehre, Berlino: de


Gruyter, 1969.

Antoine MEILLET, Caractères généraux des langues germaniques, Parigi : Librairie


Hachette et Cie,1917.

Paolo RAMAT, Introduzione alla linguistica germanica, Bologna: il Mulino, 1986.

Siti web consigliati


http://www-personal.umich.edu/~clunis/wow/grimm/reverse-frames.html

www.maldura.unipd.it/ddlcs/beninca/dispIst2005Diacr.pdf

87
Il vocalismo del germanico

Si tratterà in questa sede solo del vocalismo in sillaba tonica, trascurando di


annotare i mutamenti che hanno coinvolto le sillabe atone, le quali - come
abbiamo visto - risentono del generale indebolimento delle sillabe finali dovuto
alla trasformazione dell’accento germanico, fisso sulla sillaba radicale e fortemente
percussivo.

Il sistema vocalico postulabile per l’indoeuropeo si componeva di una serie di


vocali brevi:

ǎ ĕ ǐ ǒ ǔ ə

una serie di vocali lunghe

ā ē ī ō ū

due serie di dittonghi discendenti composti dalle vocali a, e, o, seguite dalle


semivocali i̯ e u̯:

ai̯ ei̯ oi̯

au̯ eu̯ ou̯38

e una serie di sonanti (consonanti che nell’ambito di una sillaba priva di

vocali costituivano apice di sonorità):

38
Trascurerò di annotare la presenza di dittonghi con vocale lunga, poiché in epoca storica essi
appaiono abbreviati o addirittura ridotti a vocale semplice.

88
m̥ n̥ l̥ r̥

Prima di osservare quali siano le trasformazioni che si sono realizzate nel


germanico (e che lo caratterizzano) sarà necessario distinguere fra mutamenti
spontanei e mutamenti condizionati. I primi si attuano in modo indipendente
rispetto all’ambiente in cui sono inseriti i foni, i secondi sono condizionati dal
contesto fonico.

Trasformazioni spontanee

Nell’ambito del vocalismo sono caratteristici del germanico i seguenti mutamenti:

 ǒ > ǎ ā > ō
 ē > got. ē, germ. nord-occ. ā, ma sass. occ. ǣ!!
 ei > ī
 m̥ n̥ l̥ r̥ > um un ul ur

Il germanico confonde i timbri vocalici a e o: nel caso di quantità breve prevale il


timbro a, viceversa, nel caso di quantità lunga, il timbro o.39 Anche la vocale
indistinta ə partecipa a questa trasformazione, perché è assorbita anch’essa dal
timbro ǎ.
Risponde al medesimo criterio il mutamento dei dittonghi brevi oi̯ e ou̯ in ai̯ e au̯.

Ess:

39
Le lingue slave intaccano anch’esse il sistema vocalico dell’indoeuropeo, confondendo i
timbri vocalici a e o, ma gli esiti saranno diametralmente opposti a quelli verificatisi nel
germanico: ǎ > ǒ, ō > ā.

89
i.e. ă > germ. ă

i.e. * saldom ‘sale’> lit. saldùs ‘dolce’, senza ampliamento in –d gr. hals e irl.a. salann,
lat. sallō (< *saldō), germ. *salt- >got., ing.a., fris.a., s.a. salt, a.t.a. salz (s = [ts]).

i.e. ŏ > germ. ă

i.e. * por ‘viaggiare’> gr. poreuomai, lat. portō, russ. poróm ‘viaggio’, germ. *far- >got.,
ing.a., fris.a., sass.a., a.t.a. faran, n.a. e fris.a. fara.

i.e. ə > germ. ă

i.e. ə > a in tutte le lingue, tranne nel gruppo indo-iraniano dove ə > i
i.e. * stətis ‘ lo stare’> ind.a. sthiti-, lat. stati-ō, germ. *staiz- >got. staþs, n.a. stađr,
a.t.a. stat > ted. Stätte.

i.e. ā> germ. ō

i.e. * bhrāter ‘fratello’> ind.a. bhrātargr. phrā́tor, lat. frāter, irl.a. brāthir, germ. *brōar-
> got. brōþar, n.a. brōđer, ing.a. brođor, fris.a. brōther, s.a. brōđar, a.t.a. bruoder.

i.e. ō > germ. ō

i.e. * bhlō- ‘fiorire’, i.e. * bhlōmen ‘fiore’ > lat. flōs, germ. *blōmen- >got. blōma, n.a.
blōme, ing.a. blōma, a.t.a. bluoma

i.e. ai̯ > germ. ai̯

i.e. * ghaidis ‘capra’ > lat. haedus (< *ghaidos), germ. *gaitiz- >got. gaits (ai = [ɛ]), n.a.
geit, a.t.a. geiʒ geis], ing.a. gāt, s.a. gēt.

i.e. oi̯ > germ. ai̯

90
i.e. * oinos ‘uno’ > lat. a. (oino(m)>) unum, gr. oinè, germ. *ainaz- >got. ains (ai = [ɛ]),
n.a. einn, ing.a. ān, s.a. ēn, fris.a. ān / ēn, a.t.a. einn.

i.e. au̯ > germ. au̯

i.e. * aug- ‘aumentare’ > lat. augēre, gr. augo, lit. áugu, germ. *auk- >got. aukan (au =
[ɔ]), n.a. auka, ing.a. eacian, s.a. ōkian, a.t.a. ouhhon.

i.e. ou̯ > germ. au̯

i.e. * roudhos ‘rosso’ > lat. rufus, lit. raũdas, germ. rauðaz > got. rauþs, n.a. rauđr, ing.a.
rēad , s.a. rōd, a.t.a. rōt

Più problematico è tracciare lo sviluppo della vocale ē dell’indoeuropeo, la quale


sembra rimanere tale nel gotico, mentre si trasforma in ā in tutto il germanico
nord-occidentale, eccezion fatta per l’inglese antico, il quale presenta un quadro
differenziato a seconda dei dialetti: il sassone occidentale documenta una ǣ,
nell’anglico e nel kentiano si presenta come ē; tale assetto ci costringe ad ipotizzare
una improbabile isoglossa gotico-anglosassone, o almeno gotico-kentico- anglica,
lasciandoci nel dubbio su quale fosse la realizzazione di questo fonema vocalico
nel germanico.

i.e. ē > germ. ? > got. ē, germ. sett. ā, gruppo ted. ā, fris. ā (> ē),
ingl.a. ǣ/ē

91
Ess:

i.e. * dhē- ‘porre, collocare, fare’, i.e. * dhētis ‘fatto, evento’ > gr. títhemi, lat. fēci ‘ho
fatto’, germ. *dǣ(?)ðiz- >got. (ga)-dēþs, n.a. dāđ, ing.a. (sass. occ. dǣd, angl. kent. dēd)
> ingl. deed, s.a. dād, fris.a. dēd, a.t.a. tāt > ted. Tat

Il dittongo ei̯ dell’indoeuropeo si monottonga in ī ancora nella fase unitaria del


germanico, per cui tutte le lingue germaniche in epoca storica presentano una i
lunga (in gotico la grafia ei è da interpretare come un digramma indicante la vocale
semplice e lunga [i:]).

i.e. ei̯ > germ. ī

Ess:

i.e. * steigh- ‘camminare’ > gr. stéicho, germ. *stīɣan-- > got. steigan [sti:ɣan]), n.a. stīga,
ing.a., s.a., a.t.a. stīgan.

Le sonanti indoeuropee sviluppano in germanico un elemento vocalico u,


trasformandosi così nei nessi um, un, ul, ur; tale esito è caratterizzante delle
lingue germaniche, poiché in altre lingue di origine indoeuropea svilupperanno,
come si vedrà dagli esempi, altri timbri vocalici.

i.e. m̥ n̥ l̥ r̥ > germ. um, un, ul, ur

Ess:

i.e. * km̥tóm ‘cento’>ind.a. śatám, gr. he-katón, lat. centum, germ. *xundam >got. hund,
ing.a. hund, a.t.a. hunt.

92
i.e. * n̥ - ‘in-’ > ind.a., gr. an-, a-, lat. in-, germ. *un- > ags., a.t.a. un-

i.e. *mr̥-, *mr̥-tro- ‘uccisione’> ind.a. mriyáte ‘egli muore’, lat. morior ‘muoio’, germ.
*murðram > got. maurþr, ingl.a. morðor.

i.e. *pl̥nos ‘pieno’> ind.a. -pr̥na-, lit. pìlnas > germ. *fulnaz > got. fulls, an. fullr, ingl.a.,
fris. a., s.a. > full, a.t.a. fol

In germanico si avrà pertanto un sistema vocalico che, con l’ausilio del


quadrilatero vocalico possiamo schematizzare in questo modo 40:

i i: u u:

e e: o:

æ: (?)
a

40
Si tenga conto anche della riduzione dei dittonghi che da sei nell’indoeuropeo si riducono a
tre nel germanico: ai, eu, au.

93
Trasformazioni condizionate

Apparentemente il sistema vocalico del protogermanico si presenta alquanto


sbilanciato, poiché mancherebbe di una o breve e di una a lunga, tuttavia
subentrano per tempo fenomeni combinatori che fanno sì che venga ripristinato
un sistema vocalico più equilibrato.

Una o breve si sviluppa in germanico settentrionale e occidentale dalla apertura


della u davanti a vocali aperte (a, e, o) nella sillaba successiva (in gotico questo
fenomeno non avrà luogo, almeno non con queste modalità):

germ. ŭ > germ. nord-occ. ŏ

Ess:

i.e. *ghl̥t(on)om ‘oro’ > germ. *gulθa- > n.a. goll, ingl.a., fris.a., s.a., a.t.a. gold, ma got.

gulþ!!

La presenza di una nasale seguita da consonante previene l’apertura della ŭ in ŏ,


poiché la nasalità comporta la tendenza all’articolazione chiusa:

i.e. *dungōn- ‘lingua’ > ingl.a. tunge, a.t.a. zunga.

La a: viene ripristinata a seguito dell’allungamento di compenso di una a breve,


dovuto a caduta di consonanti. Tale trasformazione è di carattere quantitativo, vale
a dire comporta l’allungamento della vocale, non la variazione del suo timbro! In
germanico la sequenza V+ Nas. + Fricativa provoca la scomparsa della nasale e il
conseguente allungamento della vocale, accompagnato da nasalizzazione per
assimilazione regressiva.

94
Ess:

germ. * braŋxtō ‘portai’ (1°sg. preterito ind. del verbo bringan) > got. brahta, a.t.a.

s.a. brāhta, ingl.a. brōhte.41 Si noti come l’inglese antico presenti nella sillaba radicale
una ō in luogo della ā documentata dalle altre lingue germaniche. Tale discrepanza
ci consente di stabilire che la nasalizzazione era ancora presente in germanico e
viene eliminata solo in fase postunitaria, poiché l’inglese antico davanti a nasale
trasforma tutte le a lunghe in o.

41
La presenza nella forma del preterito della fricativa velare sorda [x] in luogo della sonora
[ɣ (si confronti con l’infinito bringan) dipende dal fenomeno dell’assimilazione, in questo
caso regressiva, poiché è la occlusiva dentale sorda della desinenza del preterito debole ad
assimilare la consonante che precede.

95
Capitolo V

Modifiche al sistema consonantico germanico in fase post-


unitaria

Fricative sorde

In tutte le lingue germaniche si riscontra, prevalentemente in posizione iniziale,


uno spostamento di luogo della fricativa velare [x] e labio-velare [xw] in zona
glottidale: [h], [hw].

Nel complesso le fricative sorde, derivate dalle occlusive sorde ie., seguono le
seguenti tendenze:

 in gotico sono preservate.


 nel germanico settentrionale e occidentale tendono alla sonorizzazione
in ambiente sonoro [f, θ, x] > [β, ð, ɣ]

cfr. got. broþar [broθar] ‘fratello’, isl.a. broþer e broðer, ags. broðor, fris.a. brother

[broðer], sass.a. brođar [broðar], a.t.a bruoder (ted. Bruder, ma v. infra)

In tedesco la fricativa dentale sorda [θ] passa a occlusiva sonora [d] in tutti i
contesti (VIII sec.):42

got. þreis [θri:s] ‘tre’, isl.a. þrīr, ags. þrie (ingl. three) sass.a. thrie, ma a.t.a. drī!!

42
Il fenomeno si attua dapprima in area meridionale, per estendersi via via anche all’area basso
tedesca.

96
Fricative sonore

Le fricative sonore, derivate dalle occlusive sonore aspirate ie. per legge di Grimm,
o da occlusive sorde per legge di Verner, mostrano già in fase unitaria la tendenza
all’occlusione in posizione iniziale e postnasale;

 in gotico si mantengono se in posizione interna intervocalica, si


assordiscono in posizione finale assoluta e davanti a –s finale
 in germanico settentrionale si ha una buona tendenza alla
conservazione, con tendenza all’occlusione in particolari contesti fonici
 in germanico occidentale la tendenza all’occlusione appare parziale in
ags. (β > v / b; ð > ð / d; γ > γ / j /g); ben definita nell’alto tedesco,
anche relativamente alle geminate (b, d, g – bb, dd, gg).

Rotacismo
(germanico settentrionale e occidentale)

Nell’ambito della fonologia evolutiva con il termine ‘rotacismo’ si intende un


mutamento linguistico che consiste nella trasformazione di una consonante in
vibrante alveolare /r/. Nell’evoluzione delle lingue germaniche settentrionali e
occidentali, in particolare, si assiste alla trasformazione della sibilante alveolare
sonora, continuazione dell’allofono /z/ di i.e. /s/ in posizione intervocalica o da
trattamento della sibilante alveolare sorda sottoposta alla Legge di Verner (v. supra,
p. 81), in vibrante alveolare /r/.

97
Ess.:

i.e. * snusós, *snusá (si confronti ind.a. snusa, gr. nyós (da * nysós, lat. nurus, germ.
*snuzo > isl.a. snor, ags. snoru, fris.a. snore, a.t.a. snur(a) ‘nuora’;
isl.a. meire, ags. fris.a. mara, sass.a. a.t.a mero, ma got. maiza!!

Successive tendenze al livellamento analogico hanno per lo più oscurato gli esiti
del rotacismo germanico nelle lingue da esso derivate, ma se ne trovano ancora
relitti, per esempio in inglese nell’alternanza delle forme del preterito singolare e
plurale del verbo ‘essere’: was / were (da germ. *was / *wēzun) e del verbo ‘perdere’,
lose/ (vor)lorn, da un più antico (vor)loren (< germ. *liusana/ *luzenaz), che si
accompagna anche all’alternanza grammaticale (ma v. p. 84)

Il fenomeno non è caratteristico dell’area linguistica germanica, poiché in


particolari contesti ha operato anche in latino; si veda per esempio il nominativo
singolare flos “fiore” rispetto all’accusativo florem (< *flosem), o lat. ero rispetto a est
(da *eso) “è”.

Metafonia
(germanico settentrionale e occidentale)

La metafonia43 è il processo assimilativo che una vocale, in generale tonica,


subisce a causa di una vocale nella sillaba seguente. È un fenomeno relativamente
recente nella storia delle lingue germaniche, il quale, al contrario dei mutamenti
spontanei sinora esaminati, quali la Legge di Grimm, e il mutamento di ǒ > ǎ e ā
> ō, non ha avuto un sviluppo omogeneo né nel tempo né nello spazio. Esso è
sconosciuto al gotico (cfr. ie. *ghostis ‘ospite, straniero’> * germ. gastiz > got. gasts,
nord. run. –gastiR) ma è presente nel nord. a. gestr, e nell’ags. giest, mentre il ted.a.
gast è senza metafonia, ma il ted. m. geste è metafonizzato. Il suo epicentro sembra
essere stato nelle regioni in cui era parlato il germanico settentrionale, di qui è poi

43
Il termine è un calco della parola coniata da J. Grimm, Umlaut, la quale, a sua volta
rappresenta un calco tedesco del gr. ά “oltre” e φωνή “suono”.

98
sceso ad interessare in modo più (p. es. l’inglese antico) o meno (p. es. l’alto
tedesco) intenso il germanico occidentale. Si parlerà di metafonia palatale – che è
la più estesa – quando le vocali a, o, u e i dittonghi in –u- sono modificate da una i
o j (cfr. got. þugkjan ‘sembrare’, isl.a. þykkja, ags. þyncan, a.t.a. dunchen, a.t.m. dünken).
Di metafonia velare – che interessa soltanto il germanico settentrionale e l’inglese
antico – quando la vocale che determina il mutamento è una u (cfr. got. handum
(dat. pl.), nord. a. hondom).

Ess. di metafonia da –i/j:

got. satjan, nord.a. setja, a.t.a. sezzan, ingl.a. settan ‘porre’

got. halja, nord.a. hel, a.t.a. hella, sass. hellia, ingl.a. hella ‘inferno’

got. fulljan, nord.a. fylla, a.t.a. fullen, asass. fullian, ags. fyllan ‘riempire’

got. sokjan, nord.a. søkja, a.t.a. suohhan, sass.a. sokian, ingl.a. secan ‘cercare’;

got. hausjan, nord.a. heyra, a.t.a. horan, sass.a. horian, ingl.a. hieran/hyran (angl.
heran) ‘ascoltare’.

Successivamente, intorno al X sec., in aat. anche ū subisce metafonia palatale


passando a y:: sass. a. musi, aat. musi> miuse (X) sec.) nord.a. myss, ingl.a. mys ‘topi’.

99
In inglese antico la metafonia ha operato verso la fine del VII sec. secondo
queste direttrici:

i y  u

e ø  o


æ
 

ags. sg. fot ‘piede’ pl. fet (<*fot-iz)


ags. settan ‘mettere’ (< *sættian < *satian)
ags. sendan ‘mandare’ (*sændian< germ. *sandian)
ags. ænig ‘qualunque’ (< *anig, v. ags. an ‘uno’)
ags. a + n > en: ags. man /men (*manniz)
ags. ea> ie: ags flieman‚ fuggire’ < fleamian
ags. eo > ie : ags. a-fierran ‘allontanare’ (< *feorian)

Una successiva evoluzione diacronica del processo di metafonia può avere per
risultato l’instaurazione di alternanze in sincronia: laddove le vocali che hanno
esercitato l’azione assimilativa sono poi cadute o si sono confuse in una stessa
realizzazione, alla differenziazione della vocale metafonizzata è rimasta affidata la
flessione non più segnalata dai morfemi vocalici desinenziali. Nelle lingue

100
germaniche l’Umlaut da *-i non più conservata segnala il plurale, ad es. in ted. Gast
‘ospite’, pl. Gäste, Fuss ‘piede’, Füsse, ingl. foot/ feet, mouse/mice.44

Geminazione consonantica
(germanico occidentale)

Una isoglossa del germanico occidentale è costituita dalla cosiddetta geminazione


consonantica; prenderanno parte al mutamento, pertanto, solo le lingue
germaniche appartenenti al gruppo anglo-frisio (anglosassone e frisone) e al
tedesco (alto e basso).
Il fenomeno consiste nel raddoppiamento di una consonante (eccetto la vibrante
alveolare /r/) ogniqualvolta questa, nell’ambito della parola, preceda la semivocale
–j, lo stesso fonema che, come si è visto, è responsabile, in molte lingue
germaniche della metafonia. Le parole del germanico occidentale che presentano
questa semivocale in sillaba postradicale mostreranno, molto spesso, e l’un
fenomeno (geminazione) e l’altro (metafonia).
Si confrontino ad esempio gli infiniti dei verbi ‘porre’ e ‘pregare’ nelle diverse
lingue germaniche antiche:

germ. *satjan ‘collocare’ > got. satjan, isl.a. setja, ma germ. occ. *sattjan > ags. settan
(> ingl. set), fris.a. setta, a.t.a. sezzan (> ted. setzen), sass.a. settian.

germ. *bidjan ‘pregare’ > got. bidjan [biðjan], isl.a. bidia, ma germ. occ. *biddjan >
ags. biddan (> ingl. bid), fris.a. bidda, a.t.a. bitten (> ted. bitten), sass.a. biddian.

44
Vedi Ramat, Introduzione alla linguistica germanica, cit., pp. 44-47

101
La mutazione consonantica altotedesca

All’incirca intorno al VI sec. d. C., nell’area dell’alto tedesco superiore (dialetti


bavaresi e alemanni), si verifica una seconda mutazione consonantica che, come
nel caso della mutazione consonantica del germanico, coinvolge tutta la serie delle
consonanti occlusive, sorde e sonore.
Pur avendo come epicentro l’area meridionale, il fenomeno si estende verso nord
sino a raggiungere un territorio delimitato da quella che si denomina Benrather
Linie, una linea immaginaria che partendo da Aachen (Aquisgrana) si volge verso
nord in direzione di Benrath (Düsseldorf), quindi verso est sino a Kassel,
continuando a sud di Magdeburgo sino a raggiungere Francoforte sull’Oder.45
Ma via via che ci si allontana dalla zona del suo epicentro la sua realizzazione
sembra perdere forza, tanto che le aree linguistiche appartenenti all’alto tedesco
medio (dialetti franchi) non mostrano gli esiti del fenomeno nella loro totalità.

La mutazione consonantica altotedesca coinvolge le occlusive sorde, che come si


ricorderà derivavano al germanico dalle occlusive sonore indoeuropee, e le
occlusive sonore, risultato di trasformazioni delle fricative sonore germaniche, a
loro volta derivate da occlusive sonore aspirate dell’indoeuropeo e da occlusive
sorde i.e. sottoposte alla legge di Verner.

45
Per la comprensione dell’area di diffusione della mutazione consonantica altotedesca è
consigliabile tener presente la divisione dialettale nell’ambito del tedesco, di cui si è discusso a
pag. 38.

102
Linea di Benrath

(da J.A. Kossmann-Putto e E.H. Kossmann Die Niederlande. Geschichte und Sprache der Nördlichen und Südlichen Niederlande. Rekkem: "Stichting
Ons Erfdeel vzw"1993, p. 72)

103
Trasformazione delle occlusive sorde

Al contrario di quanto accadeva nella mutazione consonantica del germanico,


secondo cui le occlusive sorde subivano trasformazione a prescindere dal contesto
fonico, le occlusive sorde sottoposte alla mutazione consonantica altotedesca
possono presentare esiti distinti a seconda del contesto fonico in cui si trovano.
Passano ad affricate sorde in posizione iniziale di parola, postconsonantica e nella
geminazione, passano a fricative sorde intense in posizione intervocalica e finale
postvocalica.46

pf ts kx

p t k

ff ss xx

Ess.:

p > pf lat. pilum ‚giavellotto’, a.t.a pfil (ted. Pfeil) ‘dardo’;


ff got. slepan ‘dormire’, ags. slæpan (ingl. sleep), sass.a. slāpan, ma a.t.a.
slāffan (slāfan con semplificazione dopo vocale lunga) (> ted. schafen);

t > ts ags. tien ‘dieci’ (ingl. ten), sass.a. tehan, ma a.t.a. zehan (ted. zehn);47
ss got. itan ‘mangiare’, ags. etan (ingl. eat), ma a.t.a. eʒʒan (ted. essen);48

46
In posizione finale, se le fricative intense sono precedute da una vocale lunga, tendono a
semplificarsi.
47
In grafia il mutamento è espresso con i grafemi <tz> o <z>.
48
In grafia il mutamento è espresso con i grafemi <Ʒ> o <z>.

104
k> kx la trasformazione k > kx49 ha luogo solo nell’alto tedesco superiore,
non si verifica nell’alto tedesco medio, pertanto got. kaurn kɔrn ‘grano’,

ags. corn, a.t. medio korn, ma a.t. superiore chorn;

xx ingl. make ‘fare’, a.t.a. mahhon (> ted. machen);

Trasformazione delle occlusive sonore

Le occlusive sonore pervengono all’alto tedesco come risultato della


trasformazione delle fricative sonore del germanico, le quali già in fase unitaria
mostrano la tendenza alla chiusura.

b d g > p t k

Nell’alto tedesco superiore, tuttavia, dovevano già essere passate tutte ad occlusive
sonore, poiché queste si trasformano senza eccezioni in occlusive sorde. Nell’alto
tedesco medio, invece, ad eccesione della fricativa dentale che doveva essere
passata a occlusiva dentale dappertutto nell’alto tedesco, si mantengono fricative
sonore la bilabiale e la velare, in posizione intervocalica e in particolari contesti
sonori, sino al momento dell’attuazione della mutazione consonantica altotedesca;
pertanto nei dialetti franchi non si avranno i seguenti esiti: /b/ > /p/ e /g/ >
/k/.50

Ess.:

b > p sass.a. geƀan ‘dare’, a. t. superiore kepan (ma a.t. medio geban!)

49
In grafia espressa con <ch>.
50
Ma gli esiti /b/ > /p/ e /g/ > /k/ si verificheranno anche nell’alto tedesco medio se
all’interno di parola questi fonemi si presentano geminati: sass.a. sibbia ‘stirpe’, a.t.a. sippa
(ted. Sippe), sass.a. hruggi ‘dorso’, a.t.a. hrukki (ted. Rucken).

105
d > t sass.a. dura ‘porta’, a.t.a. turi (ted. Tür)

g > k sass.a. god ‘dio’, a.t. superiore kot (ma a.t. medio got!)51

Eccezioni alla mutazione consonantica altotedesca

Anche la mutazione consonantica altotedesca, come era accaduto per la mutazione


consonantica del germanico, presenta la mancata trasformazione delle occlusive
sorde nei nessi sp, st, sk.
A tali eccezioni si devono aggiungere ft e ht e il nesso tr, nei quali la occlusiva
dentale sorda si mantiene immutata.

Ess.:

got. spinnan ‘filare’, ags. spinnan, a.t.a. spinnen


got. stains ‘pietra’, ags. stān, a.t.a. stein
got. skip ‘barca’, ags. scip (ingl. ship), a.t.a. scif (ted. Schiff)
got. hafts ‘prigioniero’ ags. hæft, a.t.a. haft
got. nahts ‘notte’, ags. neaht, a.t.a naht (ted. Nacht)
got. trauan ‘fidarsi’, ags. truwian, a.t.a. trū(w)ēn (ted. trauen)

51
Poiché il tedesco moderno standard si sviluppa su una base dialettale mediotedesca, non
troveremo in esso tutte le trasformazioni che risultano dalla mutazione consonantica
altotedesca, mancheranno dunque gli esiti /b/ > /p/ e /g/ > /k/.

106
Distribuzione geografica degli esiti della mutazione altotedesca

(da M. van der Wal, Geschiedenis van het Nederlands, Utrecht, 1992, p. 46.

107
Test di autovalutazione

Si inseriscano negli spazi gli esiti della mutazione consonantica del


germanico

sanscr. bhan- “dichiarare” / ingl. mod. .....an

sanscr. dhāv- “scorrere” / .....ew

lat. pluvia “pioggia” / .......low

lat. canere “cantare” / .......en

lat. trans “attraverso” / .......rough

lat. cella “capanna” / ........all

lat. labium “labbro” / li ..........

lat. gelu “gelo” / ........ool

lat. .....aucus “poco” / few

lat. ....umēre “gonfiarsi” / thumb

lat. sē......um “sego” / soap

lat. ....icere “dire” / teach

gr. graphein “scrivere” / .......arve

lat. pānis “pane” / ......ood

lat. tungēre “sapere” / ....in......

gr. plōtós “nuoto” / ...loo.....

108
Si risponda alle seguenti domande:

1. Tutte le lingue germaniche, nella loro fase antica, condividono alcune


caratteristiche fonologiche che le distinguono rispetto alle altre lingue di origine
indoeuropea. Quali sono?

2. Quando si verifica la mutazione consonantica del germanico e in che cosa


consiste?

3. Come si spiega la correlazione fra lat. caput e got. hauiþ ‘testa, capo’?

109
4. E fra got. nasjan ‘salvare’ e ags. nerian?

5. Da quali serie di consonanti derivano le occlusive sorde e sonore del germanico, e


in che modo vengono trasformate in alto tedesco antico?

110
Si inseriscano negli spazi gli esiti delle mutazioni consonantiche del
germanico

sl.a. blato “palude, stagno”, ingl. …ool “bacino”, ted. Pfuhl;

it. gin(occhio)< lat. genu; ingl. …nee, ted. .. nie;

i.e. *gwīwo-s > lat. vivus > it. vivo, ingl. … ick “vivace”, “veloce”, ted. … ick “vivo”
(ambedue da i.e. *gwīgwo-s);

it. tre (< lat. tres), ingl. …ree, ted. …rei;

ie. *dekm̥ «dieci» > gr. déka, ind.a. daśa [daʃa], lat. decem; got. […ɛxun], sass.a. …ehan,
ingl.a. …ēon (> ingl. …en), a.t.a. zehan (> ted. zehn);

ie. *dheubos (lit. dubùs) «profondo» > germ. *…eupaz > norr. diupr, ingl.a. …eop (>
…eep), s.a. …iop, got. *diups, a.t.a …iof (> ted. …ief);

ie. *bhodhio (lat. fodio «io scavo») > germ. *…a…ja «letto» > got. [ba…i], norr. …eþr,
ingl.a. …edd, sass.a. …ed(di), a.t.a. …etti;

ie. *medhios «mediano» (ind. a. mádhyaḥ, lat. medius) > germ. *me…jiaz > got. midjis
[mi…jis], norr. miđr, fris. a. midde, sass. a. middi, ingl.a. midd, a.t.a. mitti;

i.e. *uértō-, *(ue)uórta-, *(ue)uŗtəmé-, *uŗtonós- (ind.a. vártā-mi, vavárta, vavŗtimá, vŗtānáḥ) >
germ. *wer…ō, *war ... (a), *wur … um(i), * wur … an(a)z, > ingl.a. weorð, wearð, wurdon,
worden, a.t.a. werda, ward, wurtum, wortan, ma got. wairþa, warþ, waurþum, waurþans.

111
Si inseriscano negli spazi gli esiti della mutazione consonantica dell’alto
tedesco

germ. * stampa- “pestello” > a.t.a. ….am…, s.a. stamp;

germ. *skap-iana- “creare” > got. ga-skapjan, germ.occ. *ska…jan > s.a. ske…ian,
ingl.a. sce…an [ʃe…an] > ingl. shape, a.t.a. ske….en > ted. scha…en;

germ. *fulka- “schiera”, “popolo” > a.t. sup. folch [fol….], s.a. folk;

germ. *upana- “aperto”> n.a. opinn, s.a. opan, ingl.a. open, a.t.a. o...an > ted. o...en;

germ. *grīpana- “afferrare” > got. greipan [gripan]; n.a. grīpa, s.a. ingl.a. grīpan, a.t.a. grī
....an (> grei....en):

germ. *skipa- “nave” > got., n.a., s.a. skip, ingl.a. scip [ʃip], a.t.a. ski ….(> schi….);

germ. *haitana- “chiamare” > got. haitan [hɛtan], n.a. heita; ingl. a. hātan, s.a. hētan, a.t.a.
hei…(…)an (> hei….en);

ingl. forget “dimenticare”, ted. verge…..en; (for-/ver- prefisso non accentato con valore:
1. senso di compimento dell’azione. 2. senso negativo all’azione. 3. trasformazione,
trapasso. + getan “ottenere”;

ingl. gape “stare a bocca aperta” “guardare con stupore”, ted. ga ….en “fissare con
meraviglia”;

i.e. *ghaidos > lat. haedus “capretto”, ingl. goat, ted. Gei….;

ingl. twig “ramoscello”, ted. …weig;

112
Si inseriscano gli esiti della geminazione consonantica e metafonia

germ. *sat-jana- “porre” > got. ga-satjan, germ. occ. *sa….jan > ingl.a. s….an, s.a.
s….ian, a.t.a. s….zzen [s……..en];

germ. *bid-jana- “pregare” > got. bidjan, germ. occ. *bi.....jan >ingl.a. bi....an, s.a.
bi.....ian, a.t.a. bi.....en;

germ. *lag-jana- “posare” > got. lagjan, germ.occ. *la......jan > ingl.a. l....cgan, s.a.
l....ggjan, a.t.a. l.....ggen, l....kken;

germ. *sal-jana- “dare”, “consegnare” > got. saljan, germ. occ. *sa…..jan > ingl.a.
s……..an, s.a. s…..ian, a.t.a. s……..en;

germ. *kunja- “genere”, “stirpe” > got. kuni, germ.occ. *ku.....ja- > ingl.a. c......., s.a.,
a.t.a. ku.....i;

germ. *sōk-jana- “cercare” >got. sōkjan, n.a. sōkja, s.a. sōkian, ingl.a. sēcan (> seek –
beseech “implorare”), a.t.a. suohhen [suo.....en] (> suchen);

113
Capitolo VI

Conseguenze della fissazione dell’accento sullo sviluppo


morfosintattico delle lingue germaniche

Alcuni preliminari

L’accento di parola può essere: libero, fisso, condizionato.


Si parla di accento libero quando esso cade su una sillaba qualsiasi nell’ambito
della parola: in italiano l’accento può cadere sulla radice, sui prefissi e anche sulle
desinenze; si considerino i seguenti termini: pérdono, perdòno, perdonò in cui esso ha
una funzione morfosemantica, in quanto assume carattere distintivo, mentre nel
verbo ingl. forgive, p.es., l’accento si mantiene fisso sulla radice giv-, e non cade sul
prefisso for-; da questo verbo è tratto il derivato forgiveness in cui l’accento resta
ancora sulla sillaba radicale, mentre anche il suffisso -ness (che forma sostantivi
astratti) è atono. Lo stesso accade nella coniugazione del verbo: forgiving, forgiven,
con desinenze atone. In latino l’accento era condizionato, poiché la sua posizione
dipendeva dalla quantità della vocale della penultima sillaba: se questa era lunga
cadeva sulla penultima sillaba, se breve sulla terzultima (audīre “udire”, díscĕre
“imparare”).
L’accento può anche essere tonale (o musicale) o intensivo (o dinamico,
percussivo).
L’accento tonale presuppone variazioni nel numero delle vibrazioni delle pliche
vocaliche, mentre l’accento intensivo presuppone variazioni di ampiezza delle
vibrazioni nell’unità di tempo.
L’accento indoeuropeo era prevalentemente musicale e libero, come si evince dal
sanscrito: bháramānas, part. pres. medio, sulla quart’ultima, ma bharāmās 1° plur. e
bhárati 3° sing. pres.
Ad esso era assegnata una funzione morfologica, come documenta il greco, in
cui, p.es., il sostantivo che designa “stella” al nominativo, astér, è ossitono, vale a
dire porta l’accento sull’ultima sillaba, mentre il vocativo, áster, è parossitono

114
(l’accento cade sulla penultima); è l’accento, dunque, ad assumere nella
opposizione astér/ áster la funzione di indicare il caso.
L’accento poteva avere anche funzione semantica, ove si confronti il sostantivo
gr. tómos “taglio” con l’aggettivo tomós “tagliente”, fra i quali la sola differenza
formale è costituita dall’accento.

Mutamento dell’accento nel protogermanico

Nel protogermanico l’accento mutò da libero a fisso sulla sillaba radicale (si parla
perciò di rizotonia del germanico) e da tonale a intensivo; tale trasformazione,
che non è caratteristica esclusiva del germanico, ma si osserva anche nell’osco-
umbro, nell’irlandese e nel francese ( dove l’accento tende a cadere sull’ultima
sillaba), e che si ipotizza anche per il latino predocumentario, avrà profonde
ripercussioni sull’intero sistema fonologico e morfosintattico delle lingue
germaniche che dal protogermanico si svilupparono, poiché perderà la sua
funzione distintiva sul piano morfosemantico (pérdono ~ perdonò ~ perdòno) per
guadagnare la funzione di mero elemento demarcativo di inizio o fine di parola.
Ramat (p. 34) osserva: “solo in epoca più recente le lingue germaniche hanno
parzialmente riacquistata all’accento una funzione oppositiva (cfr. ingl. the súbject
vs. to subject, ted. ǘbersetzen “traghettare” vs. übersétzen “tradurre”)”.

Datazione

Frans van Coetsem in Kurzer Grundriss der germanischen Philogie ha tentato di tracciare
una cronologia dei mutamenti più importanti verificatisi nel protogermanico
individuando la seguente periodizzazione:

 un primo periodo che va dal II al I sec. a. C. in cui all’accento tonale


indoeuropeo si sostituisce gradualmente l’accento intensivo del germanico. Si fa
risalire allo stesso periodo il mutamento nel sistema vocalico che vede ǒ > ǎ e ā
> ō;

115
 un secondo periodo intorno all’inizio dell’era volgare in cui si attua la
rotazione consonantica e si manifestano quelle tendenze che si svilupperanno
variamente nelle singole lingue germaniche;
 infine, nei primi secoli dell’era volgare inizia la definitiva divisione delle lingue
germaniche.

Ovviamente tale cronologia non può che essere approssimativa, con scarti di
centinaia di anni, a causa della perniciosa mancanza di documenti che possano
convalidare le teorie di van Coetsem, ciò che, tuttavia, è importante tenere a mente
è che le caratteristiche più salienti del gruppo linguistico germanico si affermano
prima dell’inizio dell’era volgare e sono strettamente interdipendenti fra loro; così
la prima mutazione consonantica, con la sua appendice costituita dalla Legge di
Verner e il cambiamento del timbro vocalico ǒ > ǎ e ā > ō sono
indissolubilmente correlate alla variazione dell’accento germanico da tonale a
intensivo.
Un esempio di tale interdipendenza è dato dal fenomeno chiamato alternanza
grammaticale, che si riscontra nei paradigmi dei verbi forti (con apofonia:
variazione del timbro vocalico nella sillaba radicale), ma v. ultra p.124.

Effetti del mutamento dell’accento sulla morfosintassi del germanico

Si possono riassumere gli effetti del mutamento dell’accento sul sistema


morfosintattico del germanico nelle trasformazioni seguenti:

1. indebolimento della flessione


2. sviluppo del sistema delle preposizioni e dei sintagmi preposizionali
3. trasformazioni nell’ordine delle parole
4. sviluppo dell’articolo
5. impiego dei pronomi dinanzi alle forme verbali

116
Indebolimento della flessione

Si collega comunemente all’introduzione di un forte accento intensivo sulla sillaba


radicale la progressiva rovina del sistema flessivo, affidato prevalentemente alle
desinenze, con una spiegazione di tipo principalmente fonetico (e
subordinatamente psicologico): la forte intensità della sillaba radicale avrebbe
assorbito in sé la maggior parte dell’energia articolatoria ( e dell’attenzione
psicologica del parlante) a danno delle sillabe atone che tendono così ad assumere
un vocalismo indistinto e, al limite a cadere: germ. *daɣ-az ‘giorno’ (nom. m. sg.) >
s.a. dag, come *daɣ-an (acc.) > dag, con scomparsa delle marche formali di nom. e
acc. (ted. Tag, ingl. day). ... il fenomeno dell’indebolimento o scomparsa della
flessione si verifica anche nelle lingue romanze per le quali non si può supporre un
accento dinamico d’intensità pari a quello del germanico e nelle quali soprattutto
l’accento è mobile e quindi con funzione distintiva (cfr. ital. càpito, capito, capitò,
spagn. célebre (agg.), celebre (3ªsg. cong. pres.), celebré (1ª pers. sg. del perf.).
Sembrerebbe dunque che il fenomeno non abbia le sue origini in fatti di natura
fonetica. Non si può d’altronde affermare che la perdita di mobilità e quindi di
funzione distintiva tolga all’accento la sua importanza. Essa si sposta piuttosto su
un altro piano.
La funzione demarcativa dell’accento fisso consiste nel segnalare chiaramente il
confine della parola; dove cade l’accento iniziale là ovviamente comincia una
parola; ed è facile per l’ascoltatore segmentare la frase nei suoi componenti.
l’accento fisso (iniziale per il germanico) risponde pertanto ad una determinata
strategia di percezione e sembra sotto questo aspetto segnare una maggiore efficienza
rispetto al precedente accento mobile.
I fatti fonetici sono dunque indubbiamente recuperati alla dimensione psicologica,
ma sotto l’aspetto delle strategie di percezione (più che sotto il vago concetto di
‘attenzione psicologica’ impiegata). Nel verbo l’accento cadeva sulla sillaba radicale
anche se questa era preceduta da un prefisso; nel sostantivo si pensa che l’accento
fosse piuttosto sul prefisso (= sulla sillaba iniziale).
es. got. gáqumþs : sost. ‘riunione’ - gaqíman: verbo ‘riunirsi’

117
(sin qui da P. Ramat, Introduzione alla linguistica germanica, Il Mulino, Bologna, 1986,
pp.35-7)

Sviluppo del sistema delle preposizioni e dei sintagmi preposizionali

È sempre da porre in relazione allo sgretolarsi progressivo del sistema


desinenziale, dovuto all’accento fortemente percussivo del germanico, lo sviluppo
del sistema delle preposizioni e dei sintagmi preposizionali.
Le preposizioni, originatesi da avverbi (p.es.: germ. *uβer(i) “di sopra” dà origine
alla preposizione omofona, col valore locativo “su, sopra”, come in got. ufar, isl. a.
yfir, ingl.a. ofer (> ingl. over), fris.a. over, sass.a. oβar, uβar, a.t.a. ubar, -er > ted. über), si
resero necessarie nel momento stesso in cui le desinenze del sostantivo persero
gran parte della loro distintività: al fine di far salva la comunicazione si richiese alla
sintassi germanica di indicare più vistosamente le funzioni che i sostantivi
svolgevano nella frase, assumendo le preposizioni il ruolo di indicatori dei casi,
prima assolto dalle desinenze. La documentazione della fase antica delle lingue
germaniche registra il lento divenire delle lingue germaniche da lingue sintetiche a
lingue analitiche, così in uno stesso testo sono documentate sia forme casuali
semplici, sia sintagmi preposizionali: Heliand 4398: bithwungan was thurstu endi hungru
“era oppresso dalla sete e dalla fame ~ Heliand 3912: mid thurstu bithwungan wāri
“fosse oppresso dalla sete”.

118
Sviluppo dell’articolo

Il sistema morfologico attribuito all’indoeuropeo non aveva articolo


determinativo. Le singole famiglie linguistiche da esso derivate, nel tempo e con
modalità diverse, hanno sviluppato questa categoria morfologica in modo
indipendente.52 Mentre in greco ben presto l’articolo si è evoluto dall’ antico
pronome dimostrativo ho, hē, tó (da i.e. *so, sā, tod), in latino permane una
situazione di assenza della determinazione sino alla nascita delle singole lingue
romanze53 (l’italiano, p.es., elaborerà l’articolo dal dimostrativo lat. ille, illa, illud
‘quello’).
Si presuppone che anche il protogermanico fosse sprovvisto dell’articolo
determinativo, ma è possibile seguire le tracce della sua formazione nella
documentazione del gotico. Nella traduzione dei Vangeli dal greco in gotico,
operata dal vescovo Wulfila nel IV secolo d.C., l’articolo (formalmente il
dimostrativo sa, so, þata, anch’esso risalente alla radice i.e.) compare in rapporto di
1 a 4 rispetto all’articolo greco, e per lo più con funzione deittica o enfatica. Più
radicato appare l’uso del determinativo nelle lingue germaniche del gruppo
occidentale (ma siamo ormai nell’VIII- IX secolo!)

Trasformazioni nell’ordine delle parole

La perdita delle desinenze, causata almeno in parte dallo stabilizzarsi dell’accento


sulla sillaba radicale, è responsabile del maggiore rigore impostosi nell’ordine delle
parole nella frase. Questo mutamento, che non è ancora ben evidente nella fase
antica delle lingue germaniche, si impone marcatamente nella fase media, così una
frase del tipo ingl. a. se kuning meteth thone bishop “il re incontrò il vescovo” può
essere posta anche come thone bishop se kuning meteth o thone bishop meteth se kuning.
La funzione dei sostantivi nell’ambito di questa frase è indicata dall’articolo se
nom. sg. che necessariamente individua il soggetto e thone acc. sg. che indica il
‘target’ dell’azione, vale a dire il complemento oggetto. Con la riduzione della
flessione dell’articolo determinativo alla sola forma indeclinata the, la frase suddetta

52
Ad esclusione delle lingue slave. Di queste solo il bulgaro svilupperà l’articolo per
influsso di lingue balcaniche limitrofe.
53
Almeno nel latino classico e libresco, ben diversa la situazione nel sermo vulgaris!

119
non potrà che essere resa con the king meets the bishop, e non ammetterà l’inversione
fra soggetto e complemento oggetto (the bishop meets the king), possibile, come si è
visto nella fase antica.

Impiego dei pronomi dinanzi alle forme verbali

Strettamente collegato alla caduta delle desinenze verbali è l’impiego inderogabile


dei pronomi personali dinanzi alle forme verbali, poiché la sola forma verbale non
era più in grado di esprimere la persona che compiva l’azione; si confronti lat. video
“io vedo”, it. vedo (in cui la terminazione – o mantiene ancora la funzione di
indicatore del soggetto) con ingl. mod. see, che formalmente non indica nulla, se
non è accompagnata dai pronomi personali: I see, you see, they see. 54

Testi di riferimento

P. RAMAT, Introduzione alla linguistica germanica, Il Mulino, Bologna,1986.


L. E. SCHMITT (a cura di), Kurzer Grundriss der germanischen Philologie bis 1500,
Berlino,1970.
W. M. BENNETT, “The operation and relative chronology of Verner’s Law”, in
“Language” (1968) 44: 219-23.
F. VAN COETSEM – H. KUFNER, (a cura di), Towards a grammar of Proto-germanic,
Tubingen, 1972.

Siti web consigliati

http://www.ehistling-pub.meotod.de/01_lec01.php

54
Al presente indicativo l’inglese conserva solo la distinzione della 3° persona
singolare, alla quale aggiunge la terminazione in sibilante (-s, o –es).

120
Capitolo VII

Caratteristiche morfologiche del germanico

Sino ad ora abbiamo analizzato i mutamenti fonetici che hanno caratterizzato il


germanico rispetto alle altre lingue indoeuropee. Passeremo ora ad analizzare le
caratteristiche che contraddistinguono le lingue germaniche sul piano morfologico,
delle quali riassumo le principali:

Per la flessione verbale:

 semplificazione del sistema verbale


 utilizzazione sistematica dei verbi i.e. con apofonia (alternanza vocalica)
 creazione del preterito debole (con suffisso in dentale)

Per la flessione nominale:

 sincretismo casuale
 creazione della flessione debole del sostantivo
 creazione della flessione debole dell’aggettivo

Il sistema verbale del protogermanico

È preliminare, ai fini del nostro excursus sul verbo germanico, fornire alcune
informazioni di base sulla struttura del verbo nelle lingue flessive in generale, e in
particolare in indoeuropeo.

Il verbo è quella parte variabile del discorso che indica un modo di essere o un’azione
del soggetto.

121
Nelle lingue flessive è caratterizzato da genere, forma, modi, tempi, persone, numeri.
L’insieme delle variazioni del verbo costituisce la coniugazione.
In una forma verbale latina, p. es., si distinguono due elementi fondamentali: il tema
e le terminazioni. Il tema si compone, a sua volta, di due parti: la radice (monema o
morfema lessicale), che trasmette il significato del verbo, e la vocale tematica, che
indica a quale classe il verbo appartiene, e dunque quali saranno le terminazioni che si
dovranno impiegare. Le terminazioni danno informazioni sul modo, tempo, persona,
numero, ecc. (morfemi grammaticali) e sono costituite da
 suffissi, che indicano il modo e il tempo di un verbo
 desinenze, che indicano la persona e il numero

Nella voce latina laudabamus ‘lodavamo’ si distinguono :

laud- -a- -ba- - mus

radice vocale suffisso desinenza


tematica (imperfetto indicativo) (I persona plurale)

TEMA TERMINAZIONI

Il verbo indoeuropeo, relativamente alla diatesi, distingueva una forma attiva, una
forma media e una forma passiva.55

Relativamente al numero l’indoeuropeo possedeva il singolare, il duale e il plurale.


In sanscrito sono ancora vitali tutti e tre i numeri, il greco antico, pur possedendo un

55
La diatesi del verbo è attiva, quando il soggetto compie l’azione espressa dal verbo, così gr.
λύ (lýo) «io sciolgo»; si tratta di diatesi media, quando il soggetto compie un’azione con
riferimento a se stesso; essa si distingue in: medio riflessivo o diretto, quando l’azione si riflette
sul sogg., che viene ad essere così anche l’oggetto, es.: gr. ύ (lúo) «io lavo», ύ
(lúomai) «io mi lavo», e medio d’interesse, quando esprime un’azione che il soggetto compie nel
proprio interesse, es.: ίί ο ἶo (oikízo tòn oíkon) «costruisco la casa» / ἰί  ὸ
ἶo (oikízomai tòn oíkon) «mi costruisco la casa». La diatesi passiva, indica un’azione che il
soggetto non compie, ma subisce.

122
numero duale, ne mostra un uso alquanto raro, mentre il latino opera una riduzione
dei numeri, eliminandolo.
Relativamente alle persone l’indoeuropeo distingueva: prima, seconda, terza
persona.

Il modo esprime il punto di vista di chi parla in rapporto all’azione espressa dal
verbo. Esistono modi finiti e modi indefiniti.
I modi finiti, cioè determinati dalla persona e dal numero, sono, p. es. indicativo,
congiuntivo, ottativo, imperativo.
I modi indefiniti, cioè indeterminati riguardo alla persona e a volte al numero,
sono, p. es. participio, infinito, gerundio.

È importante distinguere anche la qualità (aspetto) dell’azione, che può essere


durativa quando si immagina nel suo svolgimento (io leggo, cioè sto leggendo),
puntuale o momentanea, quando la si vede nel suo risultato, senza badare alla durata
(egli fuggì, cioè si mise in salvo), o compiuta, quando si immagina come uno stato
conseguente ad una azione compiuta nel passato (ho acquistato, quindi ho,
posseggo).56

56
Il greco usava l’aoristo (che corrisponde pressappoco al nostro passato remoto: ἔ (élysa) =
io sciolsi, o al nostro trapassato prossimo o remoto: ἔ (élekse) = disse, o anche ebbe o aveva
detto) per esprimere l’azione puntuale nel passato. Talvolta l’aoristo indica l’azione nel punto in
cui comincia (aoristo ingressivo: ἐά (édakryse) = scoppiò in lacrime) o nel momento in cui
finisce (aoristo perfettivo: ἔ (émae) = apprese, venne a sapere). Il perfetto era usato per
l’azione compiuta nel presente (corrisponde pressappoco al nostro passato prossimo: έ
(lélyka) = ho sciolto). In greco il raddoppiamento è il prefisso proprio del tema del perfetto, da
cui si formano il perfetto e il piuccheperfetto. Es.: ύ ‘sciolgo’, tema verb. -, tema del perf.
--;  ‘persuado’, tema verb. -, tema del perf. -ο-. Cfr. con lat. pello ‘scaccio’,
perf. pe-pul-i; cado ‘cado’, perf. ce-cid-i; cano ‘canto’, perf. ce-cin-i, ecc.

123
Il verbo in germanico

Semplificazione del sistema verbale indoeuropeo

Relativamente al verbo il germanico presenta sia tratti di innovazione sia tratti di


conservazione.

Dei modi dell’indoeuropeo il germanico mantiene l’indicativo, l’ottativo e


l’imperativo, sopprimendo il congiuntivo, le cui funzioni saranno assolte
dall’ottativo.
Dei nomi verbali conserva l’infinito e il participio.
Si mantengono le desinenze personali, sebbene fortemente indebolite, e la distinzione
fra singolare e plurale, con tracce di duale ancora presenti nella lingua gotica.57.

Per quanto riguarda invece l’attenzione che l’indoeuropeo volgeva all’aspetto del
verbo, il germanico sembra stravolgere questo atteggiamento in favore di una
maggiore considerazione per le opposizioni temporali, mantenendo il carattere
durativo dell’azione solo nel tema del presente, con il quale si esprimeranno anche le
funzioni del futuro, una forma che nelle prime documentazioni delle lingue
germaniche si mostrerà del tutto assente.58 Mentre di un’azione svoltasi al passato si
perderà l’antica distinzione fra aspetto puntuale e aspetto perfettivo, privilegiando
l’aspetto temporale, che indicherà a questo punto solo il valore temporale dell’azione
(svoltasi al passato). Tale forma, che deriva dal perfetto indoeuropeo, prende il nome
di preterito (non essendo più né paragonabile ad un perfetto, né ad un aoristo).
Venuta a mancare la distinzione dell’aspetto durativo al passato, non si avrà pertanto
una forma per l’imperfetto.

Ma non solo: anche le forme sintetiche di medio-passivo del verbo indoeuropeo


saranno eliminate dalle lingue germaniche, se si prescinde da alcuni relitti in gotico e

57
Solo nella forma attiva.
58
Il futuro si svilupperà perifrasticamente solo in seguito, con l’impiego di verbi ausiliari e
conserverà a lungo il carattere di modalità.

124
anglosassone. Cfr. lat. laudo ‘lodo’ laudor ‘sono lodato’, got. baira ‘porto’/ bairada
‘sono portato’ (ma solo per il presente, al preterito si usa la forma perifrastica formata
dal part. passato e l’ausiliare wisan o wairþan); in anglosassone si conserva solo il vb.
hātan ‘chiamarsi’. Per esprimere il passivo le lingue germaniche faranno ricorso a
forme perifrastiche costruite con verbi ausiliari, come del resto è accaduto anche in
altre lingue di origine indoeuropea.

È da considerare senza dubbio un tratto conservativo del sistema verbale del


germanico il mantenimento della modalità di caratterizzazione del tempo passato
rispetto al presente mediante l’apofonia, vale a dire la variazione del timbro vocalico
all’interno della sillaba radicale (ie. men-, mon-, mn˳- ‘mente, pensare’, rispettivamente al

grado normale, forte e zero della radice, cfr. lat. mens ‘mente’, lat. moneo ‘avvertire,
ammonire’, gr. έ (mnémosyne) ‘memoria’, e ted. Minne ‘amore’, Mann
‘uomo’, got. munan ‘ricordare’), mentre la creazione del preterito debole (costruito
mediante la semplice aggiunta di un suffisso in dentale) costituisce senza dubbio un
tratto di innovazione.

125
Utilizzazione sistematica dei verbi i.e. con apofonia (alternanza vocalica)

Come si è già detto, il germanico eredita dall’indoeuropeo i verbi che affidano


all’alternanza vocalica, o apofonia, la distinzione fra tempo presente e tempo passato,
potenziandoli. Secondo la denominazione coniata per loro da J. Grimm essi sono
detti verbi “forti” (starcke Verba).
L’apofonia indoeuropea all’interno del paradigma verbale prevedeva solitamente il
grado normale della vocale radicale nel presente (ad es., ie. wert-, volgere, > germ.
*werþ-, diventare), il grado forte al pret. sing. (ie. wort-> germ. *warþ-), il grado zero al
pret. pl. e spesso al part. pass. (ie. wr̥t -> germ. *wurð-).
A seconda della struttura fonetica della sillaba radicale e del tipo di apofonia
impiegata, i verbi forti germanici, si suddividono comunemente in sei classi; le prime
cinque presentano l’alternanza più comune, ereditata dall’indoeuropeo, che si basa
sull’oscillazione fra le vocali e/o, mentre la sesta, propria del germanico, mostra
oscillazione fra a/o.
Alcuni manuali contemplano anche una settima classe, nella quale si è soliti
raccogliere gli antichi verbi con preterito a raddoppiamento, che invece qui si
preferirà lasciare distinti, trattandoli come residui. Essi ricorrono in numero esiguo,
con sillaba di raddoppiamento ancora visibile, solo nel gotico: es. got. letan (lasciare) –
lailot – lailotum – laitans.

126
Le classi dei verbi forti

Presente Preterito Part. Passato


Sg. Pl.

I ei oi i i
i: ai i i

II eu ou u u
eu au u u

III e + son. + C. o+ son.+ C. Ø +son. +C. Ø + son. + C.


e + son. + C. a + son.+ C. u +son.+C. u + son. + C.

IV e + son. o + son. e + son. Ø + son.


e + son. a + son. ē/ + son. u + son.

V e + Cons. o + Cons. e +Cons. e + Cons.


e + Cons. a + Cons. ē + Cons. e + Cons.

VI ă/ŏ ā/ō ā/ō ă/ŏ


a o o a

(Per ogni classe il primo paradigma è indoeuropeo, il secondo è germanico)

127
Esempi di paradigma dei verbi forti, differenziati per classi

presente pret. sg. pret. pl. part. pass.

I classe ie *bheid-(on-om *bhoid- *bhid- *bhid-


germ. *beit-(ana-n *bait- *bit-un *bitanaz
got. beitan bait bitum bitans
ags. bitan bāt biton biten
a.t.a. bīzz-an beizz bizzum gi-bizzan

II classe ie. *bheudh-on-om *bhoudh- *bhudh- *bhudh-


“offrire” germ. *beuð-anan *bauð- *buð- *buð-
got. biudan bauþ budum budans
ags. beodan bead budon boden
a.t.a. biot-an bōt- butum gi-botan

III classe ie. *bhend-on-om *bhond- *bhn̥d- *bhnd̥ ̥-


germ *bind-anan *band- *bund- *bund-
got. bindan band bundum bundans
ags. bindan band bundon bunden
a.t.a. bintan bant buntun gi-buntan

IV classe ie. *nem-on-om *nom- *nēm- *nm̥ ̥-


germ. *nem-anan *nam- *nǣm- *num-
got. niman nam nēmum numans
ags. niman nam nāmon numen
a.t.a. neman nam nāmum gi-noman

V classe ie. *ghebh-on-om *ghobh- *ghēbh- *ghebh-


germ. *geβ-anan *gaβ- *gǣβ- *geβ-
got. giban gaf gēbum gibans
ags. giban gab gǣbon geben
a.t.a. geban gab gābum gi-geban

VI classe ie. *păr-/pǒr- *pār-/pōr- *pār-/pōr- *păr/pǒr-


germ. *far-anan *fōr- *fōr- *far-
got. faran fōr fōrum farans
ags. faren fōr fōron faren
a.t.a. faran fuor fuorum gifaran

128
Esempio di flessione di un verbo forte di III classe (*beran) postulata per il
germanico

Presente Preterito

Sg. *bero Sg. *bar(a)


*beris(i *bart
*beriþ(i *bar(e)
Du. *beraw(i)z Du. *bēru
*beraþ(i)z *bēruþ(i)
Pl. *beram(i)z Pl. *bērum
*beriþ(i) *bēruþ(i)
*beranþ(i) *bērun(þ)

129
Esempio di flessione di un verbo forte di IV classe (*neman) postulata per il
germanico

Presente Preterito

indicativo congiuntivo indicativo congiuntivo


Sg. *nemō *nemai Sg. *nam(a) *nēmajai
*nemis(i *nemais *namt *nēmī
*nemiþ(i *nemai *nam(e) *nēmī

Du. *nemaw(i)z *nemaiwa Du. *nēmu


*nemaþ(i)z *nemaits *nēmuþ(i) *nēmīts

Pl. *nemam(i)z *nemaima Pl. *nēmum *nēmīma


*nemiþ(i) *nemaiþ *nēmuþ(i) *nēmīþ
*nemanþ(i) *nemaina *nēmun(þ) *nēmīna

Imperativo

Sg.
2 *nem
3 *nemadau

Du.
2 *nemats

Pl.
2 *nemiþ(i)s
3 *nemandau

130
Esempio di flessione di un verbo forte di IV classe (niman) in gotico

Presente Preterito
indicativo congiuntivo indicativo congiuntivo
Sg. nima nimau Sg. nam nemjau
nimis nimais namt nemeis
nimiþ nimai nam nemi
Du. nimos nimaiwa nēmu nēmeiwa
nimats nimaits nemuts nemeits
Pl. nimam nimaima Pl. nēmum nemeina
nimaþ nimaiþ nēmuþ nemeiþ
nimand nimaina nēmun nemeina

Presente Passivo
indicativo congiuntivo
Sg. nimada nimaidau
nimaza nimaizau
nimada nimaidau
Du. ----- -----
----- nimats
Pl. nimanda nimaindau
nimanda nimaindau
nimanda nimaindau
Imperativo
Sg.
2 nim
3 nimadau
Du.
2 nimats
Pl.
2 nimiþ
3 nimandau

131
Creazione del preterito debole (con suffisso in dentale)

La modalità di formazione del preterito dei verbi con l’aggiunta di un suffisso in


dentale è una invenzione del germanico, che nel corso dei secoli si rivelerà
estremamente produttiva. Tutte le nuove coniazioni seguiranno questa strategia; si
formeranno, dunque, nuovi verbi da sostantivi e aggettivi (denominali) e da vecchi
verbi (deverbali),59 i quali sono solitamente raggruppati in quattro classi, a seconda
della struttura della sillaba radicale:

I CLASSE È contraddistinta dalla presenza dal suffisso derivazionale -ja-.

Es.: got. nas-ja-n “salvare” pres. nasja ~ pret. nasida

I verbi così formati possono avere, sotto il profilo semantico, valore causativo: got.
*satjan, documentato in ga)satjan “porre (originariamente “far sedere”), che affianca un
più antico verbo sitan “sedere”; o fattitivo: got. hailjan “guarire” dall’aggettivo germ.
*hail-az “sano” (> got. hails, con lo stesso significato).

II CLASSE Si caratterizza per la presenza della vocale - ō-, come suffisso di


derivazione.

Es.: got. fisk-o-n “pescare” pres. fisko ~ pret. fiskoda

Il valore semantico dei verbi appartenenti a questa classe è per lo più intensivo-
iterativo:
got. salbon “ungere” (ags. sealfian, ata. salbon).

III CLASSE Caratterizzati dal suffisso derivazionale - ē -.

Es.: got. hab-a-n “avere” pres. haba pret. hab-ai-da

59
Ancora oggi, quando le lingue germaniche avranno bisogno di esprimere nuove
azioni ricorreranno al preterito debole. Es.: ingl. video (sostantivo) > to video (verbo),
impact (sostantivo) > to impact (verbo).

132
hanno valore durativo o di stato; appartengono a questa classe il verbo got. þahan
“tacere”, a.t.a fūlēn “essere marcio”, dall’aggettivo fūl “marcio”.

IV CLASSE A questa classe appartengono i verbi che sono formati con l’infisso
-nō-, con valore intransitivo-incoativo. Sono presenti solo in gotico.

Es.: got. pres. full-na-n ~ pret. full-nō-da “riempirsi”

Verbi come fullnan, derivato dall’aggettivo fulls, hanno valore intransitivo, pertanto
risulteranno privi del participio passato.

Come si potrà notare dagli esempi riportati di seguito, i verbi deboli mostrano il
suffisso derivazionale con relativa regolarità per tutto il corso della flessione:

Esempi di coniugazione dei verbi deboli (presente e preterito)

I Classe II Classe III Classe IV Classe

Indicativo

Presente

Sg. nasja fisko haba fullna


nasjis fiskos habais fullnis
nasijþ fiskoþ habaiþ fullniþ
Du. nasjos fiskos habos fullnos
nasjats fiskots *habaits fullnats
Pl. nasjam fiskjam habam fullnam
nasjiþ fiskoþ habaiþ fullniþ
nasjand fiskond haband fullnand

Preterito

Sg. nasida fiskoda habaida fullnoda


nasides fiskodes habaides fullnodes
nasida fiskoda habaida fullnoda
Du nasidedu fiskodedu habaidedu fullnodedu
nasideduts fiskodeduts habaideduts fullnodeduts
Pl. nasidedum fiskodedum habaidedum fullnodedum
nasideduþ fiskodeduþ habaideduþ fullnodeduþ
nasidedun fiskodedun habaidedun fullnodedun

133
I Classe II Classe III Classe IV Classe

Congiuntivo

Presente

Sg. nasjau fisko habau fullnau


nasjais fiskos habais fullnais
nasiaj fisko habai fullnai
Du. nasjaiwa fiskowa habaiwa fullnaiwa
nasjaits fiskots habaits fullnaits
Pl. nasjaima fiskoma habaima fullnaima
nasjaiþ fiskoþ habaiþ fullnaiþ
nasjaina fiskona habaina fullnaima

Preterito

Sg. nasidediau fiskodedjau habaidedjau fullnodedjau


nasidedeis fiskodedeis habaidedeis fullnodeis
nasidedi fiskodedi habaidedi fullnōdedei
Du nasidedeiwa fiskodedeiwa habaidedeiwa fullnodedeiwa
nasidedeits fiskodedeits habaidedeits fullnodedeits
Pl. nasidedeima fiskodedeima habaidedeima fullnodedeima
nasidedeiþ fiskodedeiþ habaidedeiþ fullnodedeiþ
nasidedeina fiskodedeina habaidedeina fullnodedeina

134
Passivo (sintetico)

I Classe II Classe III Classe IV Classe

Indicativo

Presente

Sg. nasjada fiskoda habada ____


nasjaza fiskoza habaza ____
nasjada fiskoda habada ____
Pl. nasjanda fiskonda habamnda ____
nasjanda fiskonda habanda ____
nasjanda fiskonda habanda ____

Congiuntivo

Presente

Sg. nasjaidau fiskodau habaidau ____


nasjaizau fiskozau habaizau ____
nasjaidau fiskodau habaidau ____
Pl. nasjaindau fiskondau habaindau ____
nasjaindau fiskondau habaindau ____
nasjaindau fiskondau habaindau ____

135
I verbi preterito-presenti

Vi è inoltre un’altra categoria di verbi, detti preterito-presenti, i quali formalmente si


presentano come preteriti forti (con valore risultativo dell’azione giunta al
compimento), ma hanno significato di presente.
Avendo perso la forma del preterito (che ha assunto nel tempo valore di presente),
essi ricorrono alla formazione del tempo passato con suffisso in dentale (come per i
verbi deboli).

Si osservino le forme del verbo “sapere” che si possono postulare per il germanico:
pres. sg. *wait, pres. pl. *witum, con variazione apofonica all’interno della sillaba
radicale fra singolare e plurale, propria della flessione preteritale.

ags. wit-an “conoscere” (ted. wissen)

Presente Preterito

ic wāt sg. wiste (> wisse),


þu wāst (<*wāt-st)
hē, hēo, hit wāt

ġē witon pl. wiston
hīe

pp. ġe-wit-en

136
*daugh “riesco” *duγum “riusciamo” pret. *duhto “riuscii”
> got. daug,
ags. deag dugon dohte
a.t.a. toug tugum tohta.

*kann “posso” *kunnun “possiamo” pret. *kunþo “potei”


> got. kann kunnun kunþa
ags. can(n) cunnun cūðe
a.t.a. kann kunnun konda

*skal “debbo” *skulum “dobbiamo” pret. *skulðo “dovetti”


> got. skal skulum skulda
ags. sceal sculum sc(e)olde
a.t.a. scal sculum scolta

*maγ “posso” *muγum “possiamo pret. *muhto


> got. mag magum mahta
ags. mæg magon meahte
a.t.a. mag mugum mahta

*mōt “posso” *mōtum pret. *mōsto (<mot-ðo)


> got. -mot -motum -mosta
ags. mot moton moste
a.t.a. muoz muozom muos(t)a

137
La flessione nominale

Si intende per flessione nominale la flessione del sostantivo, dell’aggettivo e del


pronome, in opposizione alla flessione verbale.

L’indoeuropeo possedeva tre numeri: singolare, duale, plurale; tre generi: maschile,
femminile e neutro; otto casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo,
ablativo, locativo e strumentale.
Il germanico semplifica notevolmente il complesso sistema flessivo dell’indoeuropeo,
riducendolo, relativamente al numero, alla sola opposizione singolare~plurale, con
tracce di duale nella flessione pronominale; relativamente al genere esso conserva la
tripartizione in maschile, femminile e neutro60, infine, relativamente ai casi, si attua il
cosiddetto sincretismo casuale, che d’altro canto mostra la tendenza ad attuarsi in
tutte le lingue di origine indoeuropea, non solo nel germanico, in base al quale degli
otto casi originari attribuibili all’indoeuropeo, il germanico ne mantiene solo cinque:
nominativo, genitivo, dativo, accusativo e vocativo ( ma solo alcune tracce in
particolari tipi flessivi e solo al singolare) e pur tuttavia è necessario osservare come
nel germanico il sincretismo casuale si attui in maniera originale rispetto ad altre
lingue, quali il latino e il greco, poiché, mentre in esso le funzioni dei casi eliminati
(ablativo, locativo e strumentale) vengono assunte dal dativo, il greco, che presenta
anch’esso cinque casi, fa confluire nel dativo i casi locativo e strumentale, e nel
genitivo fa confluire il caso ablativo; il latino, per contro, avendo conservato sei casi,
fra cui l’ablativo, fa confluire in esso le funzioni del locativo e dello strumentale, non
intaccando il genitivo e il dativo, i quali continuano pressoché intatte le funzioni del
genitivo e del dativo indoeuropei.

60
L’inglese a partire dalla fine della fase media annullerà l’opposizione del genere grammaticale
fra maschile, femminile neutro, optando per una opposizione basata sul genere naturale, soltanto
nella flessione pronominale: he, she, it, his, her, its.

138
Flessione del sostantivo

Relativamente alla flessione del sostantivo è necessario premettere che in


indoeuropeo il sostantivo era costituito da una radice (il monema portatore del
significato) cui seguiva una vocale o consonante tematica (questa priva di
qualunque significato, ma indicante a quale tipo di flessione faceva capo il sostantivo)
e dalla desinenza (il morfema, che assumeva in sé l’indicazione del genere, del
numero e del caso). La parola latina rosarum ‘delle rose’ era, dunque, composta dalla
radice (monema) ros-, dalla vocale tematica -a-, la quale indicava che il sostantivo
apparteneva alla classe dei temi in -a-, che assumeva desinenze specifiche, proprie di
tale categoria, nel caso di rosarum, la desinenza (morfema) è -rum, specifica del genitivo
plurale, che indica un rapporto di complemento di specificazione ‘delle rose’
nell’ambito della proposizione.61
Non così evidenti sono i contrassegni di appartenenza alle classi tematiche dei
sostantivi in germanico, dove l’azione fortemente erosiva delle sillabe atone esercitata
dall’accento intensivo e fisso sulla sillaba radicale ha fatto in modo che le vocali e
consonanti tematiche si siano notevolmente indebolite già in fase predocumentaria. 62
Il germanico ristruttura il complesso sistema flessivo indoeuropeo apportando una
innovazione che tende alla semplificazione, prevedendo una opposizione fra due
grandi gruppi contrapposti: una flessione, detta ‘forte’, con temi uscenti in vocale, e
una flessione ‘debole’63, con temi uscenti in consonante nasale, che risulta essere in
germanico molto più nutrita e produttiva rispetto alla classe corrispondente nelle altre
famiglie linguistiche di origine indoeuropea, poiché in essa confluiscono molti tipi
flessivi originariamente uscenti in consonante diversa dalla nasale. Si conserva inoltre
la categoria dei sostantivi atematici (che aggiungono, cioè, le desinenze direttamente
alla radice, senza l’intermediazione di una vocale o consonante tematica) ma essa
appare nelle lingue germaniche in via di dissoluzione, tanto da poter essere
considerata solo un relitto.

61
Vocali e consonanti tematiche sono talora visibili anche in greco antico, dove, per esempio,
 (nesou) ‘dell’isola’ si compone di - - , in cui è riconoscibile la vocale tematica che
indica l’appartenenza di questo sostantivo alla declinazione dei temi in -o-.
62
In gotico solo il dat.pl. per i temi in vocale e il gen.pl. per i temi in consonante consentono
l’ascrizione di un sostantivo alla classe di appartenenza.
63
La terminologia è ripresa dal Grimm, che così definì le opposizioni non solo fra sostantivi, ma
anche fra i due tipi flessivi dell’aggettivo e del verbo.

139
Esempio di flessione del sostantivo i.e.
(tema in –o)

ie. germ. got. ags. a. t. a. lat.


gr.
N. - o- s wulfaz wulfs wulf wolf equos (>us) hippos
Sg.

G - (e) -so wulfiza wulfis wulfes wolfes equÎ hippoio


(<o-sio)

D - o-ei wulfai (-ê) wulfa wulfe wolfe equô hippo

A -o- m wulfa wulf wulf wolf equom hippon


V -(e) --- --- --- eque hippe

Ab -o-ôd --- --- --- equô

S -o-ô/-ê wulfô --- wulfe wolfu


L -o-i --- --- ---

N. -o-es > ôs wulfôs, -ôz wulfos wulfas wolfâ equÎ (<oe<oi) hippoi
Pl.

G -o- ôm wulfô wulfê wulfa wolfo equorum hippon

D -o-ois/-bh/-m wulfamiz wulfam wulfum wolfum equis hippois

A -o-ns wulfans wulfans wulfas wolfâ equos hippous

V -o-es > ôs --- ---- --- ---


Ab -o-ois/-bh/-m ----- --- --- --- equis

S -o-ois --- --- --- ---

L -o(i)-su --- --- --- ---

140
Flessione dell’aggetivo

Una innovazione del germanico rispetto al sistema flessivo nominale


dell’indoeuropeo è costituita dalla creazione di una nuova flessione dell’aggettivo, che
si oppone concettualmente (sintatticamente) all’unica flessione ereditata dalla lingua
indoeuropea, per la quale le desinenze impiegate erano le stesse desinenze usate per la
flessione del sostantivo.
Anche nel caso dell’aggettivo tradizionalmente la nuova flessione creata dal
germanico è indicata con il termine ‘debole’ e l’antica flessione con il termine ‘forte’,
mantenendo la terminologia ad esse attribuita da Jacob Grimm.
In sostanza la flessione forte presenta forme desinenziali adottate dalla flessione forte
del sostantivo, miste a forme desinenziali proprie del pronome; la flessione debole,
dal suo canto, adotta le desinenze del sostantivo debole (in –n).
La flessione forte era usata per indicare un oggetto o una persona indeterminati.
La flessione debole dell’aggettivo era usata per indicare un oggetto o una persona
determinati, quindi noti, o già menzionati e preceduti da un dimostrativo o un
possessivo. Il suo significato deriva dalla funzione che i sostantivi in -n assumevano
in alcune lingue indoeuropee di definire individui specifici, pertanto erano impiegati
anche per formare antroponimi, così Plátōn ‘Platone’ (< colui che ha le spalle larghe).
Il germanico condivide con le lingue baltiche e slave lo sviluppo di una flessione
debole del sostantivo, ma in queste l’affissazione è costituita da un dimostrativo.
Si ritiene che nella fase arcaica il germanico, come il latino e molte altre lingue di
origine indoeuropea, non avesse l’articolo determinativo. Esso si sviluppa in uno
stadio successivo da un dimostrativo che si può ricostruire come ie. *so, sā, tad (>
germ. sa, so, þat-). Con l’introduzione dell’articolo determinativo l’aggettivo
gradualmente perde molte delle sue terminazioni distintive.64

64
Sin qui da The Germanic Languages, a cura di E. König e J. van der Auwera, London:
Routledge, 1994.

141
Esempio di declinazione forte e debole dell’aggettivo in gotico (maschile)

forte debole
singolare plurale singolare plurale
nom. blinds blindai blinda blindans
gen. *blindis *blindaize blindins *blindanē
dat. blindamma blindaim blindin blindam
acc. blindana blindans blindan blindans

L’anglosassone conserva intatta questa opposizione, impiegando la flessione debole


quando l’aggettivo è preceduto dai dimostrativi se, seo, þæt o þis, þisse, þis, e dai
possessivi min, þin, ecc.
Si confronti l’uso delle due diverse flessioni: heo brohte hire alabastrum...mid deorwyrðre
smyrenisse «ella portava la sua ampolla di alabastro... con un prezioso unguento», e più
sotto nello stesso testo ond smyrede mid þære deorwyrðan smyrenisse «e lo unse con il
prezioso unguento».65
L’inglese giungerà, nella fase moderna, ad una forma indeclinata dell’aggettivo,
mentre il tedesco mod. standard conserva ancora la distinzione fra flessione debole e
forte dell’aggettivo, sebbene le terminazioni nella flessione debole non siano affatto
marcate, bensì si siano ridotte alle sole desinenze –e e –en.

65
Dal Martirologio anglosassone (An Old English Martyrology: reedited from manuscripts in the
libraries of the British Museum and of Corpus Christi College, Cambridge. a cura di Georg
Herzfeld, EETS o.s. 116, 118, London: Paul, Trench, Trübner & Co. 1900) rispettivamente a p.
220, 7-8 e p.220, 10.

142
Test di autovalutazione

1. Si elenchino le caratteristiche morfologiche del germanico

2. Si classifichino i seguenti verbi gotici:

nasjan ‘guarire’ – nasida – nasiþs;

bindan ‘legare’ – band – bundum – bundans;

143
3. Che cosa si intende con “verbi perfetto-presenti”?

4. Il tedesco moderno conserva l’antica opposizione fra flessione debole e


forte dell’aggettivo: der gute Mann vs ein guter Mann. Si spieghi su che cosa
si basa.

144
Appendice

Il germanico occidentale in prospettiva diacronica

* Protogermanico occidentale

d.C. / | \

100 ingevone istevone erminone

200 | \ | |

300 anglofrisio | |

400 | | |

500 | | |

600 | | alto tedesco antico

700 ingl. ant. sass. ant. | |

800 | | basso franc. ant. |

900 | | | |

1000 ingl.med. b.t.med. ol.med. a.ted. med. yiddish a.

1100 | | | | |

1200 | fris.a. | | |

1300 | | | | |

1400 | | | | |

1500 | | | | |

1600 | | | | |

1700 ingl.m. fris. b.ted. oland. afrik. ted. yiddish

1800

(da R. Lass, Old English, Cambridge: C. U. P., 1994)

145
Capitolo VII
Elementi di onomastica germanica66

Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam

“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”

L’onomastica è la scienza che studia i nomi propri, la loro “appartenenza


linguistica, l’etimo e il significato, la tipologia, l’insorgenza e la diffusione e
distribuzione”.67
L’onomastica distingue i nomi di persona (antroponimia) dai nomi propri di
luogo (toponomastica). A loro volta gli antroponimi possono indicare sia nomi
individuali (nomi personali o soprannomi), sia nomi familiari (nomi di famiglia o
cognomi). Fra i toponimi si distinguono gli oronimi (nomi di monti o rilievi), gli
idronimi (nomi dei fiumi), i limnonimi (nomi dei laghi), i coronimi (nomi di zone
geografiche, regioni, ecc.) e così via.

Antroponimi
L’assegnazione di un nome proprio può essere dettata da diverse motivazioni, fra
cui il Migliorini68 individua le seguenti: l’allusione, l’evocazione, il simbolismo
fonetico, la trasparenza:

allusione: il nome è assegnato poiché ha assunto valore nel tempo perché


attribuito ad un parente o ad un illustre personaggio, ad un santo, ad una figura
letteraria (Assunta, Immacolata, Riccardo);

66 Il seguente capitolo è per lo più tratto da Maria Giovanna Arcamone, “Antroponimia e


toponomastica nelle lingue e letterature germaniche antiche”, in: Antichità germaniche II parte – II
seminario avanzato in Filologia germanica, Università di Torino, 10-14 settembre 2001, a cura di V.
Dolcetti Corazza e R. Gendre, Alessandria, 2002, pp. 67-86.
67 Emidio DeFelice, [1987], Onomastica, in Linguistica storica, a cura di Romano Lazzeroni, Roma, La

Nuova Italia Scientifica, pp. 147-179.


68 Bruno Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Olschki Ed., Firenze, 1927.

146
evocazione: si tratta di una scelta onomastica fatta per ribadire la propria
appartenenza ad un gruppo sociale, religioso, politico (Cristiano, Libero, Germana,
Patrizio);

simbolismo fonetico: assegnazione fatta in base ad un suono (Fifì);

trasparenza: implica una perfetta corrispondenza con un altro vocabolo (Rosa,


Stella, Aurora, Gioia, Primo, Fortunato).

Tutti i nomi propri derivano da nomi comuni, ovvero alla base di ogni nome
proprio è postulabile un nome comune (Bruni, Battaglia, Brown, Smith, Shakespeare),
così come per gli antroponimi anche per i toponimi (S. Agata dei Goti, Marina di
Pietrasanta, Massa, Broomfield, Ford, Needham, Heidelberg, München). Quando l’etimo
del nome proprio è ancora percettibile, si può parlare di nomi trasparenti, ma la
maggior parte dei nomi propri non è trasparente, pertanto uno dei compiti della
scienza onomastica è di etimologizzare i nomi propri. Si evidenzierà così che il
nome Napoli deriva dal greco nea “nuova” e polis “città”, mentre Milano, latino
Mediolanum, avrebbe il significato di “luogo posto nel mezzo (della pianura, o fra
corsi d’acqua)”, e ancora Torino, l’antica colonia romana Augusta Taurinorum, deve il
suo nome ai Taurini, gli antichi abitanti della zona, probabilmente di origine celtica.
La ricerca etimologica, pertanto, si imbatte spesso in temi o lessemi non più in
uso, e ne rivela i significati, molto spesso assai diversi dai significati che lo stesso
tema o lessema può aver assunto in epoca moderna, quando si è conservato.

L’onomastica è più complessa lì dove una società ha vissuto molti contatti esterni,
poiché risente degli apporti dei sistemi onomastici delle società con cui tale società
è entrata in contatto; secondo il Mitterauer: “Nel mondo antico nessuna società
ha sviluppato un sistema d’imposizione onomastica così chiaramente ordinato e
unitario come quello romano al tempo della Repubblica […] In nessun’altra
comunità del mondo antico l’imposizione del nome è stata regolata così
rigidamente da disposizioni giuridiche.”69

69 Michael Mitterauer, Antenati e santi. L’imposizione del nome nella storia europea, Einaudi, Torino, 2001.

147
Sistema onomastico latino
Il sistema onomastico latino era piuttosto complesso e “prevedeva per ogni
individuo libero o di antica discendenza romana una formula in cui ogni elemento
aveva una posizione fissa, tramite la quale si voleva trasmettere un preciso
messaggio politico e sociale”.70 Tale formula poteva essere trinomia e
quadrinomia. Fin dall’età repubblicana per le classi elevate e medie la formula
trinomia e quadrinomia, costituita da praenomen - nomen - cognomen – agnomen era
usuale a Roma. In base a questa formula il praenomen costituiva il nome individuale,
il nomen indicava la gens, il cognomen, in origine un soprannome individuale che nel
tempo divenne spesso ereditario e fisso, l’agnomen o soprannome, usato per
distinguere gli omonimi:

Marcus Tullius Cicero


Cnaeus Cornelius Scipio (asta, staffa) Africanus

Successivamente, in concomitanza, e forse anche a causa, dello sgretolamento del


sistema amministrativo dell’Impero, prenderà il sopravvento la formula binomia,
costituita da nomen e cognomen (Julius Nepos), sino ad arrivare al nomen unicum (sia
nomen, sia cognomen, sia agnomen): Aurelio, Emilio, Giulio, Martino, Sabino, Saverio, Tullio,
Valerio.
Con l’espansione del cristianesimo, con cui i romani entrarono ben presto in
contatto, si diffusero i nomi cristiani, che potevano trarre origine dall’Antico e dal
Nuovo Testamento, quali Giacomo, Giovanni, Matteo, Paolo, Pietro, Anna, Maria, o
essere legati a questo culto come nomi augurali o di consacrazione a Dio, quali
Donato, Felice, Fortunato, Renato, Vittorio, Adeodato, Domenico, o essere allusivi dei
grandi martiri, quali Lorenzo o Stefano.

Intorno al IV-V secolo nella nuova struttura della società romana l’uso del nomen
unicum si generalizzò, riservando la formula trinomia e quadrinomia alle classi
elevate e all’uso ufficiale, fino al suo esaurirsi nel primo altomedioevo,
attenuandosi il prestigio sociale e il privilegio delle formule polinomie. Il nome
unico si affermò soprattutto con la diffusione del Cristianesimo, per il nuovo

70 Maria Giovanna Arcamone, op. cit.

148
spirito cristiano di uguaglianza e di umiltà, promosso dall’estensione della
cittadinanza romana a tutti i liberi (Constitutio Antoniniana 212 d.C.).

Antroponimia germanica

L’antroponimia germanica è attestata copiosamente a partire dai primi secoli dopo


Cristo.
Il sistema antroponimico germanico si basava sul nomen unicum, che poteva essere
semplice, come Scyld o composto, come Beowulf.

Il tema composto consta di “due elementi, desunti dal lessico comune, uniti per
creare un sintagma che aveva un senso compiuto”:71

Catvalda < (*haþu- + * walda- = contesa + potente)


Anstruda < (*ansi- + * þrudi- = dio + fedele)
Argemirus < (*harja- + *mêrija- = esercito + famoso)
Causerad < (*gauta- + *rêda- = Goti + consiglio)
Isolf < (*îsa- + *wulfa- = ferro + lupo)
Ragnahilda < (*ragina- + *hildjo- = destino + contesa)
Sîfrid < (*sigu- + *friþu- = vittoria + pace)
Theudericus < (*þeudô- + *rika- = popolo + potente)
Wîglâf < (*wîga- + *laiba- = guerra + figlio)

La scelta dei temi usati nei nomi composti è limitata ad alcuni campi semantici, in
genere connessi agli ideali dell’eroe o dell’eroina germanici, quali

il mito (*ansi- “dio”, da cui Ansipert, Anstruda),


i nomi dei popoli (*walha-, *gauta-, da cui Wealþeo, Causerad),
la battaglia (*gunþjô-, *hadu-),
la contesa (*hildjô-),
il destino (*ragina-)
la nobiltà (*aþala-),

71Simona Leonardi / Elda Morlicchio, La filologia germanica e le lingue moderne, Bologna: il Mulino, 2009,
p.212.

149
il senno (*reda-),
il guerriero (*harja-, *rika-)
la pace (*friþu-)
la dedizione (*þewo-), ecc.

Inoltre, i temi usati in prima posizione sono superiori di numero a quelli usati in
seconda posizione.

Nelle testimonianze più antiche vi sono temi distinti per l’antroponimia femminile
e maschile, come per esempio

femminile *hildjô > Ragnahilda

maschile *rika > Theudericus

Nell’ambito dgli antroponimi germanici si distinguono anche i cosiddetti


antroponimi ibridi, frutto della mediazione culturale con le popolazioni che
facevano parte dell’Impero, ovvero nomi che presentano in prima posizione un
tema latino o greco, unito ad un tema germanico in seconda posizione (Romualdo).

Diffusi erano anche gli ipocoristici, ovvero abbreviazioni di nomi propri con
modificazione fonetica, in genere per esprimere affettività (diminutivi o
vezzeggiativi), per i quali vigeva maggiore libertà, in quanto i medesimi temi
potevano essere usati sia per i nomi femminili sia per i nomi maschili:

Berta – Bertus
Magina – Magino
Willica - Willico

Il sistema ipocoristico era comunque ben regolato. Per lo più derivato dal nome
composto, l’ipocoristico può rendere il primo tema, oppure il secondo, oppure
entrambi, i quali possono essere o non possono essere abbreviati; inoltre può

150
essere provvisto di suffissi e può presentare raddoppiamento consonantico
interno:

ess.
Hugiberaht (composto da *hugi- + *berhta- = senno + splendente) > utilizzando il
primo tema darà luogo a Hugo, Hugizo, Hugilo, Hucko, mentre dal secondo tema si
potranno ottenere Berto, Betto, Bertizo.

Guðormr (composto da *guða- + *wurma- = dio + serpente) > Gormr, ipocoristico


formato utilizzando sia il primo tema sia il secondo.

Variazione dei temi


Nel sistema antroponimico germanico era frequente la variazione dei temi
all’interno degli antroponimi assegnati a individui appartenenti alla stessa famiglia,
per es.: Hadubrant, figlio di Hiltibrant, a sua volta figlio di Heribrant nel Carme di
Ildebrando), dove si noterà come il secondo tema dei nomi composti su elencati sia
sempre –brant (< *branda “spade”), elemento unificatore fra i discendenti della
famiglia, e come tutti e tre gli antroponimi siano uniti fra loro dalla allitterazione
(ricorrere della consonante fricativa glottidale h-).
“In un documento longobardo (Nocera (SA), 842) invece viene menzionato un tal
Cuniperto, padre di Arniperto e Antiperto; in questo caso i tre nomi hanno in
comune il tema –pert (<*bertha- ‘splendente’), preceduto rispettivamente dai temi
*kunja ‘nobile’, *aron ‘aquila’ e *ant ‘gigante’ […] Esempi che illustrano lo schema a
cui rispondeva il sistema onomastico germanico, che ricorreva anche alla tecnica
della variazione (comune nella poesia allitterante) si osservano anche in iscrizioni
nordiche, per es. il testo della pietra runica di Istaby (VII sec.):

[…]AfatR hAriwulafa / hAþuwulafR hjeruwulafiR / warAit runAR þAiAR

Per HæriwulfR. HǫþuwulfR, figlio di HjǫruwulfR scrisse rune queste

dove i tre nomi allitterano per il primo membro e ripetono il secondo tema, ger.
*wulfa- ‘lupo’.”72

72 Ibidem

151
Nella Cronaca Anglosassone all’ anno 871 si menziona Ælfred Æthelwulfing, ovvero il
nome proprio Ælfred è seguito dal patronimico cui è stato aggiunto il suffisso –ing,
che in inglese antico indicava appartenenza. Questo tipo di formulazione ha, in
seguito, dato origine ai cognomi.

L’importanza degli studi di onomastica si palesa con tutta evidenza quando ci si


occupa di lingue che non sono attestate, o lo sono in modo non adeguato. Il
longobardo, per esempio, è noto solo attraverso la ricca onomastica personale e
locale, oltre che per alcune glosse a testi giuridici e prestiti nella lingua italiana. In
questo caso “le fonti onomastiche rappresentano la fonte principale della
documentazione”.73
L’antroponimia germanica ha riscosso molto successo anche nel mondo romanzo,
i nomi propri Alberto, Alfredo, Anselmo, Roberto, Federico, Guglielmo, Matilde, come
Ramirez, Rodriguez, Alberti, Grimaldi, Camaggio ne attestano la diffusione e la
continuità millenaria.

La variazione dei temi nei documenti medievali pugliesi

In un brebe memoratorium (obbligazione) redatto a Bari nell’anno 959 d.C., oggi


conservato nell’archivio della Cattedrale (CDB I, n.3), “Gilius, sacerdote di Bari, in
vece dell'arcivescovo Giovanni, riceve dal sacerdote Maraldo e dal diacono
Waimaro, di Bitetto, la promessa che pagheranno 14 miliareni, come censo delle
chiese di S. Arcangelo e S. Tommaso poste in Bitetto, che il suddetto arcivescovo
aveva loro consegnate.”74 Fra tutti gli antroponimi presenti nella cartula, alcuni di
tradizione ebraico-cristiana, molti di tradizione longobarda, spicca quello di tale
Amelgardus f. Adelgardi (Amelgardo figlio di Adelgardo), nel cui nome il secondo
elemento, *garda-z ‘recinto’,75 accomuna i nomi di padre e figlio, mentre il primo

73 Ibidem
74
http://www.sapuglia.it/Repository_Perg/07_Capitolo_Bari/Trascrizioni/ACMB_0003.pdf
75
Nicoletta Francovich Onesti, Vestigia longobarde in Italia (568-774). Lessico e antroponimia,
Roma: Artemide edizioni, 2000, p. 225.

152
elemento si presenta in variazione, *amal- ‘Amalo’ (v. ostrg. Amalus, Amalaricus)76
per il figlio e *aþala ‘nobile’ per il padre.77

L’atto n. 2 del CDB XX (Le pergamene di Conversano) consiste in un brebe


memoratorium relativo ad un rapporto di pastinato78 su una clausura detta di
Castiglione, in agro di Conversano, rogato a Monopoli a febbraio dell’anno 915 da
Martinus clericus et notarius per Lupo, figlio di Ermipert,79 e Amelfrit,80 figlio di
Ermefrit.81 L’adempimento legale si svolge alla presenza di Rodelgar iudex e di altri
boni homines e contempla la consegna di una guadeam a Castelm[ann]us?,82 figlio di
Castelchis83 e la designazione di mediatori nei fratelli Adelmundo e Teodelcari, figli di
Lade[man]di. I testimoni che firmano l’atto sono nell’ordine: Rodelgari84 iudex,
Tassilo85 imperialis spath[a]rio, Trasemundo e Traselgardo, figli di Adelprando. Il numero
complessivo di antroponimi in questo atto assomma a quindici; ad eccezione del
nome di uno dei contraenti, Lupo, il cui genitore porta un nome longobardo,
Ermipert, e del nome del notaio Martinus, tutti gli altri antroponimi sono di origine
longobarda. Da segnalare è l’allitterazione presente nei nomi Ermefrit e Amelfrit,
rispettivamente padre e figlio, che si riconduce alla tradizione antroponimica
germanica di riproporre nei nomi dei figli parte del nome dei genitori (primo
elemento o secondo elemento). Si segnala inoltre come l’elemento *erma
“eminente” sia comune al nome del padre di Lupo, Ermipert, e al nome del padre di
Amelfrit, Ermefrit. Lo stesso principio è sotteso all’imposizione del nome

76
Ibidem, p. 177.
77
Ibidem, p. 180.
78
Con il termine ‘pastinato’ si intende un contratto agrario a medio termine per l’uso di un fondo
agricolo ai fini della coltivazione praticato specialmente in Italia nel basso Medioevo.
79
Ermipert: *erma “eminente” + *berhta- “splendente”;
80
Amelfrit: *amala- “amalo” +*friþu-z “pace”.
81
Ermefrit: *erma “eminente” + *friþu-z “pace”.
82
Castelm[ann]us: si tratta di un antroponimo ibrido, composto da un primo elemento latino,
castellum, e dal secondo elemento germanico, *mann- "uomo". Per il primo elemento si propone
anche la derivazione da germanico *gastila- “ospite” (Colizzi, La Terra di Bari..., p. 90).
83
Anche Castelchis è un antroponimo ibrido, composto da un primo elemento latino, castellum, e
dal secondo elemento germanico *gisa- "germoglio". Castelchis è documentato sia nel Codex
diplomaticus Cavensis sia nel Chronicon Vulturnense (Morlicchio, Antroponimia longobarda ...,
p. 174).
84
Rodelgari: *hroþā "fama" + *gaizā "lancia";
85
Tassilo: Si tratta di un ipocoristico ben attestato in tutta la Penisola, di cui però rimane dubbia
l’etimologia. Francovich, Vestigia longobarde ..., propone una derivazione dalla forma ridotta
(*dēs->) das-, tas- + -ila della radice *dēði "azione, gesta", Morlicchio (Antroponimia longobarda
..., p. 98) ritiene, invece, si tratti di voce onomatopeica infantile *tad-s-ilan; si veda anche Colizzi,
La Terra di Bari..., p. 73.

153
Castelmannus da parte del padre Castelchis, e alla ripetizione del primo elemento
*þrasō- che accomuna i nomi dei due fratelli testimoni, Trasemundo e Traselgardo.
Concordo con Colizzi, inoltre, quando propone una diversa integrazione per
l’antroponimo Lade[man]di, poiché sulla scorta del nome del figlio di costui, il
quale si chiama Adelmundo, è più probabile, in rispetto del principio della
variazione che governa il sistema antroponimico germanico, che possa trattarsi di
Lade[mun]di.86

86
Colizzi, La Terra di Bari..., p. 80.

154
Test di autovalutazione

1. Sono presenti nomi germanici nel patrimonio antroponimico


dell’italiano? Si è in grado di elencarne qualcuno?

2. Quali tipi di antroponimi si riscontrano nell’ambito dell’antroponimia


germanica?

3. In che cosa consiste la variazione nell’ambito dell’antroponimia


germanica?

155
Capitolo VIII

I Germani e la scrittura

Si ha notizia di una forma di scrittura in uso presso i germani dallo storico Tacito
(55/58 c. – 117/119 c. d.C.), il quale in un passo dell’opera De origine et situ
germanorum (più nota come Germania) espone la loro arte aruspicina attraverso la
descrizione di un rito:

Auspicia sortesque ut qui maxime observant: sortium consuetudo simplex. Virgam frugiferae
arbori decisam in surculos amputant eosque notis quibusdam discretos super candidam vestem
temere ac fortuito spargunt. Mox, si publice consultetur, sacerdos civitatis, sin privatim, ipse
pater familiae, precatus deos caelumque suspiciens ter singulos tollit, sublatos secundum
impressam ante notam interpretatur. Si prohibuerunt, nulla de eadem re in eundem diem
consultatio; sin permissum, auspiciorum adhuc fides exigitur.

“Sono zelantissimi di auspici e di sortilegi: dei quali ultimi il rito è affatto


primitivo. Recidono un ramo di pianta fruttifera, lo rompono in pezzetti,
v'inscrivono segni convenuti, e li buttano alla rinfusa sopra una candida veste; indi
il sacerdote della tribù, se di cosa pubblica si tratti, il capo della famiglia se di
privata, rivolgendo una preghiera agli dei e con lo sguardo fisso al cielo, tre volte
ciascun d'essi raccoglie e li interpreta a seconda del segno in precedenza
impressovi. Se l'ammonimento è contrario, nulla si compie in quel giorno di
quanto progettato; se favorevole, vuolsi ancora la conferma degli auspici.”

Se si deve dar credito a quanto afferma Tacito, con notae, ovvero ‘segni convenuti’,
incise sui pezzetti di ramo dobbiamo intendere, con ogni probabilità, una serie di
segni grafici, definiti ‘rune’, che costituivano la prima forma di scrittura adottata
dai Germani.
Essa era utilizzata, di solito, per formule di scongiuro o sacrali, e poiché il
materiale su cui era incisa era in prevalenza pietra, legno o osso, i tratti delle lettere
erano costituiti da segmenti, senza alcuna concessione a curve o volute.
A ciascuna runa, oltre al valore acronimico, ineriva anche un valore fonetico, così,
per esempio, la runa þ, oltre ad indicare il concetto di “ricchezza” (*fehu in

156
germanico, che si confronta con il latino pecunia, da pecu) indicava anche la fricativa
dentale sorda.
Non è ben chiara l’origine della scrittura runica (o fuþark dalle prime lettere che la
compongono) l’opinione più accreditata è che sia stata esemplata da alfabeti nord-
etruschi diffusi nella regione alpina della Rezia; quel che è certo è che
originariamente si componeva 24 segni divisi in tre serie, ciascuna di otto rune,
come è mostrato nello schema seguente:

In seguito le serie delle rune sono state variamente modificate dalle diverse
popolazioni germaniche, passando dagli originari 24 segni a 16 nel germanico
settentrionale, e al contrario portando a 33 il numero di rune nell’area insulare.

L’mmagine sottostante rappresenta un pettine di corno di cervo risalente al I o II


sec. d.C., ritrovato in Danimarca (Vimose, isola di Funen). L’iscrizione in scrittura
runica arcaica (la più antica che si conosca) riporta ‘Harja’, probabilmente un
antroponimo maschile. Si conserva nel National Museum of Denmark.

157
Un altro importante reperto, purtroppo ormai perduto, è rapprentato dal Corno di
Gallehus, ritrovato in Danimarca nel XVIII sec., e successivamente trafugato e
fuso. Se ne ha contezza attraverso alcuni disegni eseguiti prima della sua
distruzione (v. figura sottostante).

158
Il bordo supeiore era ornato da una iscrizione in caratteri runici, che ci restituisce
una testimonianza del protonordico.

ekhlewagastizholtijazhornatawido
io hlewagastiz (figlio) di Holti il corno ho fatto

Il luogo più a sud in Europa in cui sono state rinvenute iscrizioni runiche è
rappresentato da Monte Sant'Angelo: pellegrini anglosassoni in visita al
santuario (forse VIII/IX secolo) hanno inciso sulla pietra i loro nomi.87

87
Per le epigrafi di Monte Sant‘Angelo si veda il progetto digitale CUSTOS al sito:
http://www.custos.unibari.eu/galleria_img.php?categoria=epigrafi&page=1

159
hereberehct

HerrÆd

Wigfus

leofwini

L’uso delle rune retrocederà di fronte all’avanzare degli strumenti scrittori legati
alla nuova fede portata dagli evangelizzatori cristiani. I germani apprenderanno
l’uso del calamo e dalla pietra o osso di balena passeranno alla pergamena.

160
I primi documenti delle lingue germaniche. Alcuni esempi

Traduzione della Bibbia dal greco nella lingua gotica eseguita dal vescovo visigoto Wulfila (?311 –
388) nel IV secolo d.C., quando i ‘Goti minori’ erano stanziati nella Mesia inferiore (attuale
Bulgaria settentrionale).

Vangelo di Marco 6, 9-16 – foglio 9 del Codex Argenteus (VI sec. d. C), conservato nella biblioteca
universitaria di Uppsala con segnatura DGI

161
Atta unsar þu þe in himinam weihnai namo þein
quimai þiudinassus þeins wairthai wilja þeins
swe in himinam jah ana airthai
hlaif unsarana þana sinteinan gif uns himma daga
jah aflet uns þatei skulans sijaima þatei jah weis afletam
þaim skulam unsaraim jah ni briggais uns in fraistubniai
ak lausai uns of þamma ubilim unte þeina ist þiudangardi
jah mahts jah wulþus in aiwins amen.

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il nome tuo,
venga il regno tuo, accada il volere tuo,
come nei cieli anche sulla terra.
Il nostro pane quotidiano dacci oggi,
e rimetti (i debiti) a noi che siamo debitori, e noi rimettiamo
ai nostri debitori, e non portarci in tentazione,
ma liberaci dal Male, poiché tuo è il regno
e la potenza e la gloria in eterno amen

162
Heliand
Poema epico in versi allitteranti della tradizione germanica, attribuito al IX sec., è scritto in basso
sassone (basso tedesco). Sebbene l’argomento sia religioso cristiano (Heliand = “il Salvatore”),
presenta forti richiami alla cultura pagana.

versi iniziali dal manoscritto Monaco, Bayerische Staatsbiblliothek Cgm 25


l’intero manoscritto è scaricabile dal sito https://dl.wdl.org/4107/service/4107.pdf

163
vv. 2238b - 2250a
Segel up dâdun uuederuuîsa uueros, | lietun uuind after manon obar thena
meristrôm, | unthat hie te middean quam, uualdand mid is uuerodu. | Thuo bigan
thes uuedares craft, ûst up stîgan, | ûðiun uuahsan; suang gisuerc an gimang: |
thie sêu uuarð an hruoru, uuan uuind endi uuater; | uueros sorogodun, thiu meri
uuarð sô muodag, | ni uuânda thero manno nigên lengron lîbes. | Thuo sia landes
uuard uuekidun mid iro uuordon | endi sagdun im thes uuedares craft, bâdun that
im ginâðig | neriendi Crist uurði uuið them uuatare: | „eftha uui sculun hier te
uunderquâlu sueltan an theson sêuue“.

[Issarono le vele gli uomini esperti del tempo, si lasciarono sospingere dal vento
sul flusso marino, fin quando non v’arrivò nel mezzo, il Signore coi suoi uomini.
Allora cominciarono a levarsi la forza della burrasca, un vento di tempesta, e le
onde ad ingrossarsi; il buio si infrangeva sulla schiera: il mare era agitato, il vento
lottava con l’acqua; gli uomini erano preoccupati, il mare era così burrascoso,
nessuno degli uomini sperava di sopravvivere. Allora essi svegliarono con le loro
parole il Guardiano della Terra, gli dissero della potenza della burrasca, pregarono
che misericordioso verso di loro fosse il Cristo]

(‹http://www.storiadelmondo.com/35/ferraro.heliand.pdf› in Storiadelmondo n. 35, 4 luglio 2005)

164
Wessobrunner Gebet

Poesia di genere sapienziale, in alto tedesco antico, composta intorno alla fine dell’VIII sec., tradita
da in manoscritto risalente agli inizi del IX sec.

(Ms. Monaco, Bayerische Staatsbiblliothek Clm 22053 III, ff. 65v-66r)

165
De poeta.

Dat gafregin ih mit firahim firiuuizzo meista,


Dat ero ni uuas noh ufhimil,
noh paum noh pereg ni uuas,
ni ‹sterro› nohheinig noh sunna ni scein,
5
noh mano ni liuhta, noh der maręo seo.
Do dar niuuiht ni uuas enteo ni uuenteo,
enti do uuas der eino almahtico cot,
manno miltisto, enti dar uuarun auh manake mit inan
cootlihhe geista. enti cot heilac.

Cot almahtico, du himil enti erda gauuorahtos enti du mannun so manac coot
forgapi: forgip mir in dino ganada rehta galaupa enti cotan uuilleon, uuistóm enti
spahida enti craft, tiuflun za uuidarstantanne enti arc za piuuisanne enti dinan
uuilleon za gauurchanne.

Questo appresi tra gli uomini, il sommo prodigio.


Che non era la terra, né il cielo in alto,
non era albero, né monte,
né [stella] alcuna, né il sole splendeva,
né la luna brillava, né il lucente mare.
Quando non c'era nulla, né limite né confine,
c'era soltanto Iddio onnipotente,
tra gli uomini il più generoso, e molti erano con lui
spiriti benigni, e Dio santo...

Dio onnipotente, tu che creasti il cielo e la terra e elargisti agli uomini

166
tanti beni, donami, per Tua misericordia, retta fede e buona volontà,
sapienza, prudenza e forza, per resistere ai dèmoni e sottrarmi al male
e per la Tua volontà.

167
Secondo incantesimo di Merseburgo
Si sono conservate due composizioni magico-sacrali in alto tedesco antico che vanno sotto
il nome di Incantesimi di Merseburgo (Merseburger Zaubersprüche). Composte probabilmente
nell’VIII sec., si conservano in un manoscritto del X, con segnatura Merseburgo,
Merseburger Domstiftbibliothek, Cod. 136, f. 85r.

168
Phol ende uuodan uuorun zi holza.
du uuart demo balderes uolon sin uuoz birenkit.
thu biguol en sinthgunt, sunna era suister;
thu biguol en friia, uolla era suister;
thu biguol en uuodan, so he uuola conda:
sose benrenki, sose bluotrenki, sose lidirenki:
ben zi bena, bluot si bluoda,
lid zi geliden, sose gelimida sin!

Phol e Wodan cavalcavano verso il bosco,


e il piede del cavallo di Balder si slogò.
Così Sinthgunt, sorella di Sunna, aveva ordito.
e così Frija, sorella di Volla, aveva ordito.
e Wodan aveva ordito, meglio che poteva:
Come la slogatura dell’osso, così del sangue, così delle giunture:
Ossa ad ossa, sangue a sangue,
giuntura a giuntura, possano so may they be mended.

169
Hildebrandlied

Una delle più antiche testimonianze di poesia epico-eroica in una lingua germanica. Da un
manoscritto del IX secolo rinvenuto a Fulda, il carme è scritto in alto tedesco antico, con
interferenze linguistiche dal basso tedesco. Narra del duello fra padre (Ildebrando) e figlio
(Adubrando) schierati per due opposti eserciti.

primo foglio del Codex Casselanus, 2° Ms. theol.54, ff. 1r e76v


versione digitale: http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/germ/ahd/hildebrd/hilde.htm

170
Ik gıhorta ðat seggen
ðat sih urhettun ænon muotın,
Hıltıbrant entı Hadubrant untar herıun tuem.
sunufatarungo ıro saro rıhtun.
garutun se ıro guðhamun, gurtun sih ıro suert ana, 5
helıdos, ubar rınga, do sie to dero hıltiu rıtun,
Hıltıbrant gımahalta (Herıbrantes sunu): her uuas heroro man,
ferahes frotoro; her fragen gıstuont
fohem uuortum, wer sin fater warı
fıreo ın folche, … 10
… «eddo welıhhes cnuosles du sis.
ıbu du mı ęnan sages, ık mı de odre uuet,
chınd, ın chunıncrıche: chud ıst mın al ırmındeot».
Hadubrant gımahalta, Hıltıbrantes sunu:
«dat sagetun mı usere lıutı, 15
alte antı frote, dea erhına warun,
dat Hıltıbrant hættı mın fater: ıh heıttu Hadubrant.
forn her ostar gıweıt, floh her Otachres nıd,
hına mıtı Theotrıhhe entı sinero degano fılu.
her furlaet ın lante luttıla sitten 20
prut ın bure, barn unwahsan,
arbeo laosa: her raet oſtar hına.
des sid Detrıhhe darba gıstuontun
fateres mınes: dat uuas so frıuntlaos man.
her was Otachre ummet ırrı, 25
degano dechısto mitı Deotrıchhe.
her was eo folches at ente: ımo waſ eo fehta tı leop:
chud was her … chonnem mannum
nı wanıu ıh ıu lıb habbe».
«wettu ırmıngot (quad Hıltıbrant) obana ab hevane, 30
dat du neo dana halt mıt sus sippan man
dınc nı gıleıtos» …
want her do ar arme wuntane bauga
cheısurıngu gıtan, so ımo se der chunıng gap,

171
Huneo truhtın: «dat ıh dır ıt nu bı huldı gıbu». 35
Hadubrant gımahalta, Hıltıbrantes sunu:
«mıt geru scal man geba ınfahan,
ort wıdar orte …
du bıst dır alter Hun, ummet spaher,
spenıs mıh mıt dınem wortun wılı mıh dınu speru werpan. 40
pıst also gıaltet man, so du ewın ınwıt fortos.
dat sagetun mı sęolıdante
westar ubar wentılsęo, dat ınan wıc furnam:
tot ıst Hıltıbrant, Herıbrantes suno».
Hıltıbrant gımahalta, Herıbrantes suno: 45
«wela gısihu ıh ın dınem hrustım,
dat du habes heme herron goten,
dat du noh bı desemo rıche reccheo nı wurtı». -
welaga nu, waltant got (quad Hıltıbrant), wewurt skıhıt.
ıh wallota sumaro entı wıntro sehstıc ur lante, 50
dar man mıh eo scerıta ın folc sceotantero;
so man mır at burc ęnıgeru banun nı gıfasta,
nu scal mıh suasat chınd suertu hauwan,
breton mıt sinu bıllıu, eddo ıh ımo tı banın werdan.
doh maht du nu aodlıhho ıbu dır dın ellen taoc, 55
ın sus heremo man hrustı gıwınnan
rauba bırahanen, ıbu du dar enıc reht habes».
«der si doh nu argosto (quad Hıltıbrant) ostarlıuto,
der dır nu wıges warne, nu dıh es so wel lustıt,
gudea gımeınun: nıuse de mottı, 60
werdar sih hıutu dero hregılo rumen muottı,
erdo desero brunnono bedero uualtan».
do lęttun se ærıst asckım scrıtan,
scarpen scurım: dat ın dem scıltım stont.
do stoptun to samane staım bort chludun, 65
heuwun harmlıcco huıttę scıltı,
untı ımo ıro lıntun luttılo wurtun,
gıwıgan mıtı wabnum…

172
Io ho sentito dire
che si sfidarono a singolo duello
Ildebrando e Adubrando in mezzo alle due schiere,
padre e figlio. Avevano approntato le armature,
avevano indossato le corazze, si eran cinti di spada, gli eroi, 5
sulle maglie di ferro, per lanciarsi in battaglia.
Ildebrando parlò, il figlio di Eribrando,
essendo lui il più vecchio, più esperto della vita,
prese a domandare con poche parole
chi mai fosse suo padre tra il popolo degli uomini 10
«o di quale stirpe tu sia;
se me ne dici una, io conosco anche l’altre,
o giovane: del regno tutta a me è nota la gloriosa nazione».
Adubrando parlò, il figlio d’Ildebrando: 15
«Questo mi dissero le nostre genti
antiche e sagge, che un tempo vivevano,
che Ildebrando si chiamava mio padre; io mi chiamo Adubrando.
Se ne andò un dì in oriente, sfuggendo all’odio di Odoacre,
via con Teodorico e i suoi molti seguaci.
Lasciava in patria, piccolo , in casa della sposa, 20
un figliolo bambino, privo di eredità.
Se ne andò via in oriente a cavallo, giacché Teodorico
proprio di mio padre aveva bisogno,
privo com’era di fida parentela.25
Era contro Odoacre oltremisura irato, 25
e presso Teodorico prediletto seguace.
Sempre in cima alle schiere, sempre fin troppo cara
era per lui la lotta: ben noto era tra i prodi.
Non credo abbia più vita.»30
«Invoco a testimone - disse Ildebrando - il grande Dio dal cielo, 30
che tu giammai, giammai con più stretto parente
hai avuto contesa».

173
Si sfilò via dal braccio l’armilla attorcigliata, il bracciale forgiato
di monete imperiali che il re gli aveva dato,
il signore degli Unni: «In pace io te la dono». 35
Ma Adubrando parlò, il figlio d’ Ildebrando:
«Sulle lance si devono scambiare i donativi,
da punta contro punta.
Sei oltremodo scaltro, vecchio Unno, a sviarmi
con le parole tue, per colpirmi di lancia. 40
Sei finora invecchiato tramando eterni inganni.
Questo però mi dissero i naviganti che solcano
il mare dei Vandali a ovest: che la guerra lo prese;
morto è oramai Ildebrando, il figlio d’Eribrando».
Ildebrando parlò, il figlio d’Eribrando: 45
«Assai bene io vedo dal tuo corredo d’armi
che buon sovrano hai in patria,
che sotto questo regno mai non fosti esiliato».
«Ora ahimé, Dio possente, qual fato funesto ora incombe!
-disse Ildebrando- vagai per trenta inverni 50
lontano dalla patria e trenta estati, e sempre
son stato dislocato nelle file di punta tra i lancieri,
eppure davanti a cittadella mai mi colse la morte;
ora sarà mio figlio a ferirmi col ferro,
a uccidermi di spada, oppure sarò io a dover dargli morte. 55
Ma potrai facilmente, se l’animo ti regge,
contro un uomo più vecchio vincergli la corazza,
e prenderti le spoglie, se mai ne avrai diritto».
«Sia dunque il più spregevole del popolo d’Oriente
-disse Ildebrando- chi evita la lotta, giacché ti piace tanto 60
il reciproco scontro. Riesca ora chi può, si decida in duello,
chi debba oggi privarsi delle spoglie di guerra
o possa impadronirsi di ambedue le corazze».
Fecero allor volare prima l’aste di frassino,
come taglienti raffiche negli scudi s’infissero. 65
A gran passi avanzarono poi insieme a fronteggiarsi,

174
spaccarono gli scudi da guerra, risonanti,
con violenti fendenti, le tavole di tiglio adorne, risplendenti,
se n’andarono in pezzi sotto i colpi dell’armi.

(da Hildebrandslied e Ludwigslied, ed. e trad. a cura di Nicoletta Francovich Onesti, Parma: Pratiche
Editrice, 1995)

175
Beowulf

Poema eroico in inglese antico (varietà sassone occiedentale) in versi allitteranti, conservato nel
MS. London, British Library, Cotton Vitellius A.15, risalente al X secolo.

Beowulf versi introduttivi

176
1. Hwæt! We Gar-Dena in geardagum Dei Danesi delle Lance in giorni lontani,

þeodcyninga þrym gefrunon· dei re della nazione ci è nota la rinomanza,

hu ða æþelingas ellen fremedon. che imprese di coraggio compirono quei principi.

Oft Scyld Scefing sceaþena þreatum Spesso Scyld Scefing a schiere nemiche

5. monegum mægþum meodosetla ofteah· strappò a molti popoli le panche dell’idromele,

egsode eorlas syððan ærest wearð terrorizzò guerrieri, dopo che fu trovato

feasceaft funden he þæs frofre gebad· derelitto, di questo ebbe conforto,

weox under wolcnum· weorðmyndum þah fu grande sotto il cielo, prospero d’onori

oð þæt him æghwylc þara ymbsittendra finché a lui le genti tutt’intorno

10. ofer hronrade hyran scolde, oltre la via della balena dovettero obbedienza,

gomban gyldan· þæt wæs god cyning. pagarono tributo; fu un grande re.

dall’edizione digitale di Giuseppe Brunetti


http://www.maldura.unipd.it/dllags/brunetti/OE/TESTI/Beowulf/index.php

177
Le prime traduzioni del Padre nostro nelle lingue germaniche
antiche

Versione in gotico

Codex Argenteus, f.9, Mt 6: 9-16

178
Traslitterazione

atta unsar þu in himinam, weihnai namo þein

qimai þiudinassus þeins, wairþai wilja þeins,

swe in himina jah ana airþai.

hlaif unsarana þana sinteinan gif uns himma daga

jah aflet uns þatei skulans sijaima,

swaswe jah weis afletam þaim skulam unsaraim.

jah ni briggais uns in fraistubnjai,

ak lausei uns af þamma ubilin;

unte þeina ist þiudangardi jah mahts jah wultus in aiwins.

amen

Trascrizione fonetica

[at:a ˈʊnsar θʊ ɪn ˈhɪmɪnam ˈwi:xnɛ ˈnamo θin

ˈkwimɛ ˈθʏðɪnas:ʊs θins ˈwɛrθɛ ˈwɪlja θins swe in ˈhɪmɪnam jax ana ɛrθɛ

hlɛf ˈunsarana θana ˈsɪntɪnan gɪf ʊns ˈhim:a daɣa

jax afˈlet uns ˈθati ˈskulans ˈsɪjɛma swaswe jax wis afˈletam θɛm skulam
ˈʊnsarɛm

iax nɪ ˈbrɪŋgɛs ʊns ɪn ˈfrɛstʊβnjɛ ak lɔsi uns af θam:a ʊβɪlɪn

ʊnte θina ɪst ˈθʏðaŋgarðɪ jax maxts jax ˈwʊlθʊs ɪn ɛwɪns amen

179
Commento grammaticale

atta: V. Sg. M. del sostantivo debole (-n) atta “papà” || ie. *ā̆tos, *atta “papà,
mamma” (linguaggio infantile) (Pokorny, s.v.) > ind.a. attā “madre, sorella
maggiore”, atti-ḥ “sorella maggiore”, osset. äda, gr. ἄττα “papà”, lat. atta m.
“padre (nel linguaggio affettivo), got. atta “padre” (diminutivo Attila ~
a.t.a. Ezzilo), fris.a. aththa ds., a.t.a. atto “padre”, “antenato” sl.a. оtьcъ (*attikós)
“padre”; albanese at “padre”, joshë “nonna materna” (*āt-si̯ā?), ittito at-ta-
aš (attaš) “padre”. Un corradicale *ā̆to-s i > germ. *aþala, *ōþela sembra anche
alla base di a.t.a. adal “genere”, a.t.mod. Adel, as. athali, ags. æđelu N.Pl. “nobile
origine”, aisl. ađal “genere”, agg. a.t.a. edili, as. ethili, ags. aeđele “nobile,
aristocratico”, con grado forte a.t.a. uodal, as. ōthil, ags. ēđel, anord. ōđal “eredità
(paterna) (cfr. anche a.t.a. fater-uodal, as. fader-ōđil “patrimonium”); vocabolo
infantile di neo formazione nelle diverse aree linguistiche (per esempio elam. atta,
ungh. atya “padre”, turc. ata (cfr. il nome Atatürk lett. “padre dei turchi”),
basco aita.

unsar: V.Sg.M. dell’agg. poss. unsar “nostro”, derivato dal genitivo del pronome
personale di I persona plurale weis (gen. unsara, dat. unsis, acc. uns) || si
confronta con ingl.a. ūre, s.a. fris.a. ūser, a.t.a. unsēr/unsar, da ie. *ne-, *nō-,
plurale *nē̆s-, *nō̆s- “noi”, da cui anche lat. nos, agg. poss. noster, nostra,
nostrum, alb. na “noi”, ne “nostro”, “noi” (gen. dat. acc.).

þu: N. del pron.pers. di II pers. sg. “tu” || si confronta con ingl.a. þu (> ingl. thou),
a.t.a. dū (> ted. du), norr. þu, fris.a. thū, s.a. thī, thū < germ. *þū, da ie. *tū, tŭh2,
da cui anche lat. tu, ind.a. tvám, avestico tū, armeno du, ellenico (dorico) τύ,
albanese të, ti, sl.a. ti, baltico tù, irl.a. tú, gaelico scozz. tu.

in: preposizione “in” || ingl.a. fris.a. s.a. a.t.a. in, norr. í, da ie. *en-, da cui anche
lat.arc. in > lat. in- (prefisso), irl.a. in, pruss.a. en, gr. ἐν/ἔνι/ἐνί, itt. anda(n), toc.
A –ne, toc.B –an.
Regge il dativo (stato in luogo), accusativo (moto a luogo) e genitivo (causa). Qui
con dativo.

himinam: D.Pl. di himins M.-a “cielo” || si confronta con norr. himinn, a.t.a. himil
(ted. Himmel), ingl.a. heofon (ingl. heaven) < germ. *xemenaz < ie. *ak-men-
“volta del cielo”. L’esito in germanico mostra metatesi fra i primi due fonemi.

weihnai: 3Sg. del congiuntivo/ottativo presente del verbo weihnan “santificare”,


“divenire santo” Vd4 || < germ. *wixenan, deaggettivale, cfr. agg. got. weihs
“sacro”, a.t.a. wih (da cui ted. Weihe “consacrazione”, Weihnacht “Natale”, lett.
“notte santa”, “nonché, fuori dal germanico e con minore evidenza, lat. uictima

180
“animale consacrato per il sacrificio” e umbro eveietu “si consacri” (Lorenzetti:
2010).

namo: N.Sg. di namo Nt -n (irregolare) “nome” || cfr. norr. nafn, ingl.a. nama,
a.t.a. namo < germ. *namōn < ie. *nōmn̥, da cui anche lat. nōmen, sanscr. nāma,
gr. ónoma. Difficile fornire una spiegazione agli esiti delle vocali nel germanico.

þein: N.Sg. Nt. dell’agg. poss. þeins, þeina, þein, derivato dal genitivo del
pronome personale þu (G. þeina, D. þus, A. þuk) || cfr. norr. þinn, ingl.a. þin (>
ingl. thy), a.t.a. dīn (> ted. dein) < germ. *þīna-z < ie. *teinos.

qimai: 3Sg. del congiuntivo presente del verbo qiman “venire” Vf4|| cfr. norr.
koma, ingl.a. cuman, a.t.a. queman < germ. *kwem-an-an < ie. * gwem-, da cui
anche sanscr. gámati “andare”, avest. jamaiti, gr. baínō, lat. ueniō “venire”.

þiudinassus: N.Sg. di þiudinassus “regno” M.-u || derivato di þiudans “re” <


*þeuðanaz, dal sostantivo þiuda [θyða] < germ. þeuðō “popolo” (ingl.a. þeod, s.a.
thiod(a), a.t.a. diot(a), norr. þjóð < ie. *tewtā- “folla, popolo”, da cui anche irl.a.
tūath “popolo”, osco touto || v. anche etnonimo Teutonī.

þeins: N.Sg. M. dell’agg. poss. þeins, þeina, þein.

wairthai: 3Sg. del cong. pres. del verbo wairthan “divenire, avvenire” Vf3|| cfr.
ingl.a. weorðan, a.t.a. werdan ( > ted. werden) < germ. *werþ-an-an < ie. *uert-,
> lat. vertere “volgere” (uertō , vertī, versum), sanscr. vártate “girare, rotolare”.

wilja: N.Sg. di wilja M-n “volontà, volere”, deverbale da willan “volere” V.


atematico || cfr. cfr. ingl.a. willa sost., willan verbo, a.t.a. willo, wellan/wollan,
fris.a. willa sost.e verbo, s.a. willio, willian, norr. vilja, da germ. *weljōn da
*weljanan verbo < ie. * u̯el, u̯lei-, u̯lē(i)- “volere, desiderare, scegliere”, da cui lat.
vellē “volere”, lit. viltìs “speranza”.

swe: avverbio e congz. “così”, “come”, in correlazione con jah “e, anche”|| cfr.
ingl.a. swā “così”, “dunque” (> ingl. so), a.t.a. sō, norr. svá “così” < germ. * swō
< ie. *se-, *swe- “proprio”, da cui anche lat. sī “se”, sic “così”, sanscr. sva
“proprio”.

himina: D.Sg. di himins (vd. supra).

jah: congz. “e, anche”; si compone di ja + uh particella enclitica || ja si confronta


con ingl.a. gēa e a.t.a. ja, da ie. *e-, *ey-, da cui lat. iam “già”, mentre –uh deriva
da ie. *kwe (> lat. –que “e”, sanscr. ca [tʃa], gr.a. té). (Lorenzetti, 2010)

ana: prep. + D. “in, su”, “contro”, “sopra” || cfr. ingl.a. an /on, fris.a. s.a. a.t.a. an,
norr. á < germ. * an < ie. * an, anu, anō, nō, da cui anche lat. an-, prussiano a.
na/no, gr.a. aná, persiano a. nā, avestico ana, sanscr. anu.

181
airþai: D.Sg. del sost. airþa “terra” F-o || norr. jǫrð, s.a. ard “casa, abitazione”,
a.t.a. erda (> ted. Erde), ingl.a. eorþe (> ingl. earth) < germ. *erþō < ie. *er-
(gr.a. éra “terra”, éra-ze “a terra”).

hlaif: A.Sg. di hlaifs M-a “pane, pagnotta” || cfr. norr. hleifr (> Sved. lev), fris.
hlef, a.t.a. hleib (> ted. Laib) “pane, pagnotta”, ingl.a. hlaf “porzione di pane cotto
in forno in una massa di forma definita” < germ. *xlaibuz, di origine incerta.
Finnico leipä, slav.a. chlebu, lituano klepas sono probabilment prestiti dal
germanico.

unsarana: A.Sg.M. dell’agg. poss. unsar “nostro”.

þana: A.Sg.M. del dimostrativo sa, so, þata.

sinteinan: A.S.M. della flessione debole dell’aggettivo sinteins “quotidiano” ||

gif: 2Sg. dell’Imperativo di giban “dare” Vf5 || cfr. ingl.a. giefan, norr. gefa ( >
dan. give, sv. giva), fris.a. geva/jeva, s.a. geƀan, a.t.a. geban, tutti con il
significato di “dare” || < germ. *geβanan < ie. *ghabh- “prendere, afferrare”, da
cui anche sanscr. gábhasti-ḥ “mano”, lituano gabenù, gabénti “portar via”, irl.a.
ga(i)bid “prendere, afferrare”

himma (daga): D.Sg. dell’agg. dimostrativo *hi, di cui sono testimoniati solo
alcuni casi della declinazione del maschile e del neutro (Durante, 2000, p.74) ||
ingl.a. he “egli” ( > ingl. he) da germ. *xi < ie. *ki (in greco: sémeron “oggi” <
*ki- āmeron “questo giorno”).

daga: D.Sg. del sostantivo dags “giorno” M-a || cfr. ingl.a. dæg [dæj] (> ingl.
day), fris.a. dei/di/dach, s.a. dag, a.t.a. tac/tag ( > ted. Tag) < germ. *daɣaz < ie.
* ā̆g̑her-, ā̆g̑hen-, ā̆g̑hes-, o ō̆g̑her etc. Il germanico presenta una dentale iniziale di
difficile spiegazione.

aflet: 2Sg. dell’imperativo di af-letan “lasciare, tralasciare” V. forte con


raddoppiamento e apofonia (paradigma: letan, lailot, lailotum, letans) || si
compone del prefisso af – (dalla preposizione af “da”, che si confronta con ingl.a.
æf (> ingl. of), a.t.a. ab/aba (> ted. ab), norr. af da germ. *af < ie. apo-, pō̆, ap-
u, pu “da, via da” (gr. apó prep.e avv. “da”, “via da”, ittito apa, sanscr. apá, con
lo stesso significato) e del verbo letan “lasciare” || cfr. ingl.a. lætan, norr. láta,
fris.a. lēta, s.a. lātan, a.t.a. lāzzan [la:ssan] (> ted. lassen) da ger. *lētanan < ie. *
lē(i)- “lasciare indietro”, “indebolire”.

þatei: congiunzione dichiarativa “che”; si compone del Nt del pronome


dimostrativo, þata, + particella enclitica relativizzante –ei; “il fatto che....”
skulans: N.Pl.M. della flessione debole dell’aggettivo sostantivato skula
“debitore”, deverbale da skulan “dovere” Vpreterito-presente || cfr. ingl.a. sculan (
> ingl. shall/should), a.t.a. s(k)ulan ( > ted. sollen). Confronti possibili solo con le

182
lingue baltiche (lit.a. skelù “essere colpevole”, pruss.a. skellānts “colpevole”
(prestito dal germanico?)
sijaima: 1Pl. del cong. pres. del verbo “essere”, per la cui flessione concorrono
più radici: da i.e. *bheu-, *bhu- “crescere, diventare, gonfiarsi” (cfr. scr. bhávati
“prospera”, bhūtám “creatura”, bhū- “mondo” come il latino fūi, l’infinito
dell’irland. buith “essere”, lit. būti, sl.a. byti “essere”, “divenire”). Nelle fasi
antiche è attestato nelle lingue germaniche un maggior numero di forme risalenti a
questa radice; di queste sopravvive nell’inglese soltanto l’infinito, neoformazione
sul presente, e il cong. pres.; in tedesco solo 1 e 2Sg. del pres. ind. (bin, bist). Le
altre forme risalgono alla radice i.e. *es-, *s- (ingl. am, is, ted. ist, seid, sind, inf.
sein, cong. sei), con la variante rotacizzata er-, or-, da cui ingl. are; per il preterito
interviene il verbo suppletivo wisan || got. wisan, norr. vesa, fris.a. wesa, s.a.
wesan, a.t.a. wesan.

swaswe: avverbio e congz. “come”, “così” (v. supra).

weis: pronome personale, I persona plurale (nom. weis gen. unsara, dat. unsis,
acc. uns); si confronta con ingl.a. wē (> ingl. we), a.t.a. wir (> ted. wir) < ie. * u̯ē̆-
, u̯ei- “noi due (duale)”, “noi (plurale)”.

afletam: 1Pl. del presente indicativo di afletan (v. supra)

þaim: D.Pl. M del pron. dimostrativo sa, so, þata “questo, quello”..

masch. femm. neutro

NSg. sa sō þata
G þis þizōs þis
D þamma þizái þamma
A þana sō þata

NPl. þái þōs þō

þizē þizō þizē


G
D þáim þáim þáim
A þans þōs þō

skulam: D.Pl. dell’agg. skula (v. supra).


unsaraim: D.Pl. M. dell’agg. possessivo unsar “nostro” (v. supra).
ni: negazione “non” || cfr. ingl.a., fris.a., norr. ne < ie. *nĕ, nē, nei (lat. nē, lituano
ne, pruss.a. ne).

183
briggais: 2Sg. del cong. pres. di briggan “portare”Vd3 irr. (preterito brahta <
*braŋx-ta) || cfr. ingl.a. bringan (> ingl. bring), a.t.a. bringan ( > ted. bringen),
fris.a. bringa, s.a. bringan/brengian.

fraistubniai: D.Sg. di fraistubni “tentazione” F-jo || deverbale di *fraistan


“tentare”, “provare”. “mettere alla prova” verbo debole, non attestato in gotico,
ma presente in n.a. freista, Vd, correlato alla radice del verbo gotico fraisan
“tentare” Vradd.1; probabilmente una creazione di Wulfila, mediante il suffisso -
ubni, usato per formare gli astratti (Paroli: 2008).

ak: congz. avversativa “ma”, bensì”.

lausei: 2Sg. dell’imperativo di lausjan Vd1 “liberare, sciogliere”, dall’aggettivo


laus “vuoto”, “libero” (da cui ingl.a. lēas > ingl. -less, a.t.a. lōs > ted. los)|| cfr.
ingl.a. liesan, a.t.a. lōsen > ted. lösen < ie. * lew- “liberare, separare”, da cui
anche lat. luō “rilascio”,“pago”, gr.a. lúō “sciolgo”.

af: preposizione; si confronta con ingl.a. æf (> ingl. of), a.t.a. ab/aba (> ted. ab),
norr. af da germ. *af < ie. apo-, pō̆, ap-u, pu “da, via da” (gr. apó prep.e avv.
“da”, “via da”, ittito apa, sanscr. apá, con lo stesso significato.

þamma: D.Sg.Nt. del dimostrativo sa, so, þata “questo, quello”.

ubilin: D.Sg.Nt. della declinazione debole dell’aggettivo ubils “cattivo”, qui


sostantivato.

mahts: N.Sg. del sostantivo mahts “potere”, “forza”, F-i || cfr. ingl.a. meaht/miht
(> ingl. might), a.t.a. maht (> ted. Macht) < germ. *maxtiz, derivato dal
Vpreterito-presente magan “potere, essere in grado” || ingl.a. magan (> ingl. may,
might), a.t.a. magan/mugan (> ted. mögen).

wulþus: NSg. di wulþus M. –u “gloria”, “splendore”|| cfr. ingl.a. wuldor “gloria”


< germ. * wulþuz, cfr. anche lat. vultus “volto”, “espressione del viso”.

in aiwins: A.Pl. del sostantivo aiws “tempo, eternità” M-wa/-i || ingl.a. æw


“legge”, a.t.a. ēwa (> ted. ewig “eternità”) < germ. *aiwaz/*aiwiz < ie. *aiw-
“forza vitale”, da cui anche gr.a. aiôn, lat. aeuum “età”, sanscr. áyu- “vita, forza
vitale” (Lehmann, s.v.).

***********************

- Relativamente al sostantivo che indica il padre, si noti l’eccentricità del gotico, il quale
presenta un sostantivo diverso (atta) da quello che si riscontra nelle altre lingue
germaniche prese in esame.

- Presenza nel gotico di una particella enclitica (-uh), con funzione analoga al –que del
latino, non riscontrabile nelle altre lingue germaniche.

- Si ricordi che il gotico non presenta metafonia né rotacismo.

184
185
Versione in inglese antico

Cambridge, Corpus Christi College 140 (XI sec.)

Una pagina del manoscritto

186
Fæder ure þu þe eart on heofonum
si þin nama gehalgod to becume þin rice
gewurþe ðin willa on eorðan swa swa on heofonum
urne gedæghwamlican hlaf syle us todæg
and forgyf ure gyltas swa swa we forgyfað urum gyltendum

ne gelæd us on costnunge ac alys us of yfele


soþlice

Trascrizione fonetica

[fæder u:re θu θe æart on heovonum

si θin nama jehalɣod to bekume θin ritʃe

jewurðe θin willa on eorðan swa swa on heovonum


urne je’dæjhwamlitʃan hlaf syle us todæj

and forˈgyf ure gyltas swa swa we forgyvaθ urum gyltendum

ne jeˈlæd us on kostnuŋge ak aˈlys us of yvele

soðlitʃe]

187
Commento grammaticale

Fæder : “padre”, “genitore (maschile)” || < germ.*faðer; cfr. fris.a. feder, s.a.
fadar, olandese vader, norr. faðir, a.t.a. fatar (> ted. Vater); in gotico è espresso
da atta, ma è documentato anche fadar) || da ie. *pətér- “padre” (sanscr. pitár-, gr.
patér, lat. pater, persiano a. pita, irl.a. athir “padre”).

ure : V.Sg.M. dell’agg. poss. ūre “nostro”, derivato dal genitivo del pronome
personale di I persona plurale wē (gen. ūser/ure, dat. ūs, acc. ūs) || si confronta con
got. unsar, s.a. fris.a. ūser, a.t.a. unsēr/unsar, da ie. *ne-, *nō-, plurale *nē̆ s-,
*nō̆ s- “noi”, da cui anche lat. nos, agg. poss. noster, nostra, nostrum, alb. na
“noi”, ne “nostro”, “noi” (gen. dat. acc.).

þu : N. del pron.pers. di II pers. sg. “tu” || si confronta con ingl.a. þu ( > ingl.
thou), a.t.a. dū ( > ted. du), norr. þu, fris.a. thū, s.a. thī, thū < germ. *þū , da ie.
*tū, tŭh2, da cui anche lat. tu, ind.a. tvám, avestico tū, armeno du, ellenico (dorico)
τύ, albanese të, ti, sl.a. ti, baltico tù, irl.a. tú, gaelico scozz. tu.

þe : “che, il quale” particella indeclinabile; può accompagnarsi a dimostrativi o


pronomi personali con funzione di pronome relativo ||

eart : 2Sg. dell’ind. pres. del verbo beon “essere”|| per la cui flessione concorrono
più radici: da i.e. *bheu-, *bhu- “crescere, diventare, gonfiarsi” (cfr. scr. bhávati
“prospera”, bhūtám “creatura”, bhū- “mondo” come il latino fūi, l’infinito
dell’irland. buith “essere”, lit. būti, sl.a. byti “essere”, “divenire”). Nelle fasi
antiche è attestato nelle lingue germaniche un maggior numero di forme risalenti a
questa radice; di queste sopravvive nell’inglese soltanto l’infinito, neoformazione
sul presente, e il cong. pres.; in tedesco solo 1 e 2Sg. del pres. ind. (bin, bist). Le
altre forme risalgono alla radice i.e. *es-, *s- (ingl. am, is, ted. ist, seid, sind, inf.
sein, cong. sei), con la variante rotacizzata er-, or-, da cui ingl. are; per il preterito
interviene il verbo suppletivo wisan || got. wisan, norr. vesa, fris.a. wesa, s.a.
wesan, a.t.a. wesan.

on: anche an, prep. e avv. “su”; regge il D. o il caso strumentale di cui l’inglese
antico conserva tracce nei pronomi || cfr. got. ana, fris.a. s.a. a.t.a. an, norr. á <
germ. * an < ie. * an, anu, anō, nō, da cui anche lat. an-, prussiano a. na/no, gr.a.
aná, persiano a. anā, avestico ana, sanscr. anu.

heofonum : D.Pl. di heofon M.-a “cielo” || sia pure con qualche non
convincentemente spiegabile variazione fonologica, si confronta con got.
himinam, norr. himinn, a.t.a. himil (ted. Himmel) < germ. *xemenaz < ie. *ak-
men- “volta del cielo”. L’esito in germanico mostra metatesi fra i primi due
fonemi rispetto all’ie.

si : 3Sg. del pres. cong. di beon. V. supra, s.v. eart.

188
Flessione del presente del verbo “essere”

Indicativo
Sing. 1. ic eom (bēom)
2. ðū eart (bist)
3. hē is (bið)

Plur. 1. wē
2. gē sindon
3. hīe

Congiuntivo

Sing. 1. ic
2. ðū sīe/si
3. hē

Plur. 1. wē
2. gē sīen
3. hīe

þin : N.Sg. Nt. dell’agg. poss. þin, derivato dal genitivo del pronome personale þu
(v. infra) || cfr. norr. þinn, got. þein, a.t.a. dīn (> ted. dein) < germ. *þīna-z < ie.
*teinos.

nama : N.Sg. di nama Nt -n (irregolare) “nome” || cfr. norr. nafn, got. namo, a.t.a.
namo < germ. *namōn < ie. *nōmn̥, da cui anche lat. nōmen, sanscr. nāma, gr.
ónoma. Difficile fornire una spiegazione degli esiti delle vocali nel germanico.

gehalgod : part.pass. di halgian Vd2 da hælan “curare, salvare, sanare” Vd1 con
prefisso ge-, derivato dall’aggettivo hālig “sacro” || cfr. got. hailjan, s.a. hélean,
fris.a. héla, a.t.a. heilan “sanare, curare, salvare” ( > ted. heilen).

to : preposizione che implica movimento verso qualcuno o qualcosa < ie. *de-.

becume : 3Sg. del congiuntivo presente del verbo cuman “venire” Vf4|| cfr. got.
qiman, norr. koma, a.t.a. queman < germ. *kwem-an-an < ie. * gwem-, da cui anche
sanscr. gámati “andare”, avest. jamaiti, gr. baínō, lat. ueniō “venire”.

þin : V. supra.

rice : NSg. di rice “regno, impero” M || cfr. got. reiki “potere, autorità”, s.a. ríki,
fris.a. ríke, a.t.a. ríhhi “regno, impero”, isl. ríki. Prestito molto antico, nelle lingue

189
germaniche assunto dal celtico rīx, come dimostra il vocalismo -i- nella sillaba
radicale, cfr. lat. rex e sanscr. raj- < ie. *reg- “regolare, rendere giusto”, “re”,
“regno”.

gewurþe : 3Sg. del cong. pres. del verbo weorþan “divenire, avvenire” Vf3|| cfr.
ingl.a. weorðan, a.t.a. werdan ( > ted. werden) < germ. *werþ-an-an < ie. *uert-,
> lat. vertere “volgere” (uertō , vertī, versum), sanscr. vártate “girare, rotolare”.

ðin : v. supra þin.

willa : N.Sg. di willa M-n “volontà, volere”, deverbale da willan “volere” V.


atematico || cfr. cfr. got. wilja sost., willan verbo, a.t.a. willo, wellan/wollan,
fris.a. willa sost.e verbo, s.a. willio, willian, norr. vilja, da germ. *weljōn da
*weljanan verbo < ie. * u̯el-, u̯lei-, u̯lē(i)- “volere, desiderare, s
cegliere”, da cui lat. vellē “volere”, lit. viltìs “speranza”.

swe: avverbio e congz. “così”, “come”, in correlazione con jah “e, anche”|| cfr.
ingl.a. swā “così”, “dunque” (> ingl. so), a.t.a. sō, norr. svá “così” < germ. * swō
< ie. *se-, *swe- “proprio”, da cui anche lat. sī “se”, sic “così”, sanscr. sva
“proprio”.

eorðan : D.Sg. del sost.eorð “terra” F-o || norr. jǫrð, s.a. ard “casa, abitazione”,
a.t.a. erda (> ted. Erde), ingl.a. eorþe (> ingl. earth) < germ. *erþō < ie. *er-
(gr.a. éra “terra”, éra-ze “a terra”).

swa swa : avverbio e congz. “così”, “come, anche”, in correlazione || cfr. got.
swa/swe “così”, “dunque” (> ingl. so), a.t.a. sō, norr. svá “così” < germ. * swō <
ie. *se-, *swe- “proprio”, da cui anche lat. sī “se”, sic “così”, sanscr. sva
“proprio”.

heofonum : v. supra

urne : A.Sg.M. di

gedæghwamlican : aggettivo formato dal sostantivo dæg “giorno” seguito


dall’aggettivo indefinito hwā con suffisso aggettivale -lic.

hlaf : A.Sg. di hlaf “porzione di pane cotto in forno in una massa di forma
definita” M-a || cfr. norr. hleifr (> Sved. lev), fris. hlef, a.t.a. hleib (> ted. Laib),
got. hlaifs “pane, pagnotta” < germ. *khlaibuz, di origine incerta. Finnico leipä,
slav.a. chlebu, lituano klepas sono probabilment prestiti dal germanico.

syle : 2Sg. dell’imperativo di syllan/sellan “fornire, procurare”, forma tarda del


dialetto sassone occidentale (y), con caduta della geminata ||

us : D. del pronome personale di 1Pl. we.

Prospetto della declinazione dei pronomi di 1 e 2 persona:

190
Singolare N. ic ðu
G. mīn ðin
D. mē ðē
A. mē ðē

Duale N. wit (noi due) git (voi due)


G. uncer incer
D. unc inc
A. unc inc

Plurale N. wē gē
G. ūser (ūre) ēower
D. ūs ēow
A. ūs ēow

todæg : sintagma con valore avverbiale composto dalla preposizione tō seguita


dal D.Sg. del sostantivo dæg “giorno” M-a > “oggi” || cfr. ingl.a. dæg [dɛj] (>
ingl. day), fris.a. dei/di/dach, s.a. dag, a.t.a. tac/tag ( > ted. Tag) < germ. *daɣaz
< ie. * ā̆g̑her-, ā̆g̑hen-, ā̆g̑hes-, o ō̆g̑her etc. Il germanico presenta una dentale
iniziale di difficile spiegazione.

and : congz. paratattica “e”.

forgyf : 2Sg. dell’imperativo/congiuntivo di forgyfan, composto dal prefisso for- e


gyban/geban Vf5 “perdonare”; dal significato originario di “dare, garantire”
sviluppa in ambito religioso quello di “perdonare (Paroli: 2008); for-gyfan ~ per-
donare ||

ure : v. supra

gyltas: A.Pl. del sostantivo gylt M-i “offesa, crimine”; assume significato
cristiano “colpa, debito” || di origine incerta.

we : v. supra

forgyfað : 1Pl. dell’indicativo presente di forgyfan (v. supra).

urum : D.Pl.M. dell’agg.poss. ure

gyltendum : D.Pl.M. del participio presente di gyltan “offendere” Vd1 ,


denominale da gylt.

ne : negazione “non” || cfr. got. ni, fris.a., norr. ne < ie. *nĕ, nē, nei (lat. nē,
lituano ne, pruss.a. ne).

191
gelæd : 2Sg. dell’imperativo di ge-lædan “guidare, condurre, indurre” Vd1 > ingl
to lead || cfr. norr. leiða, leitt “condurre, portare”, fris.a. lēda, s.a. ledian, a.t.a.
leitan.

on costnunge : A.Sg. di costung/costnung “tribolazione”, “prova”, “ tentazione”


F- (TOE, s.v., DOE s.v.) || a.t.a. kostunga, deverbale da kosten Vd3 “provare,
tentare”, si confronta con latino gustāre, dalla radice ie. *geus- “assaggiare,
gustare, provare”.

ac : congz. avversativa “ma” ||

alys : 2Sg. dell’imperativo di alysan/alisan “liberare”, si compone del prefisso a-


e del verbo lysan/lisan “sciogliere, rilasciare” Vd1 || a-: prefisso che denota
negazione, deterioramento o opposizione; talvolta è impiegato solo per rafforzare
il concetto espresso dal termine cui si accompagna || lysan: cfr. got. lausjan, s.a.
lósian, fris.a. lésa, norr. leysa, a.t.a. lósen (ted. lösen).

of : preposizione “da”, che si confronta con got. af (> ingl. of), a.t.a. ab/aba (> ted.
ab), norr. af da germ. *af < ie. apo-, pō̆, ap-u, pu “da, via da” (gr. apó prep.e
avv. “da”, “via da”, ittito apa, sanscr. apá, con lo stesso significato.

yfele : D.Sg.Nt. della declinazione debole dell’aggettivo yfel “cattivo”, qui


sostantivato.

soþlice: avv. formato dal sost. soþ “verità” + suffisso aggettivale -lic + suffisso
avverbiale -e.

192
Versione in alto tedesco antico

S.Gallo, Stiftsbibliothek Ms 911, c. 790

193
Testo

Fater unseer thu pist in himile uuihi namun dinan


qhuieme rihhi din uuerde uuillo din
so in himile sosa in erdu
prooth unseer emezzihic kip uns hiutu
oblaz uns sculdi unseero

so uuir oblazem uns sculdikem enti


ni unsih firleiti in khorunka uzzer losi unsih fona ubile.

Trascrizione

[fater 'unse:r þʊ pist in 'himile 'wixxi 'namun dinan

'kwieme rixxi din werde willo din

so in himile sosa in erdu


pro:t unse:r 'emessihic kip uns 'hiutu
ob'las uns skuldi unse:ro
so wir ob'lassen uns 'skuldikem
enti ni unsix fir'leiti in 'khorunka
usser losi unsix fona 'ubile]

194
Commento grammaticale

Fater: “padre”, “genitore (maschile)” || < germ. *faðer; cfr. fris.a. feder, s.a.
fadar, olandese vader, norr. faðir, ingl.a. fæder (> ingl. father) || da ie. *pətér-
“padre” (sanscr. pitár-, gr. patér, lat. pater, persiano a. pita, irl.a. athir “padre”).
unseer: Sg.M. dell’agg. poss. unsēr, unsu, unsaz “nostro”, derivato dal genitivo
del pronome personale di I persona plurale wir (gen. unsēr, dat. uns, acc. unsih) ||
si confronta con ingl.a. ūre, s.a. fris.a. ūser, got. unsar, da ie. *ne-, *nō-,
plurale *nē̆s-, *nō̆s- “noi”, da cui anche lat. nos, agg. poss. noster, nostra,
nostrum, alb. na “noi”, ne “nostro”, “noi” (gen. dat. acc.).

Declinazione dell’aggettivo possessivo I persona plurale unsēr, unsu, unsaẓ “nostro”

Singolare Plurale

Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro

N unsēr unsu unsaẓ unse unso unsu

G unses unsera unses unsero unsero unsero

D unsemo unseru unsemo unsēm/unsen unsēm/unsen


unsēm/unsen

A unsan unsa unsaz unse unso unso

thu: du N. del pronome personale 2Sg. “tu” (> ted. du) || si confronta con ingl.a.
þu (> ingl. thou), norr. þu, fris.a. thū, s.a. thī, thū, got. þu < germ. *þū, da ie. *tū,
tŭh2, da cui anche lat. tu, ind.a. tvám, avestico tū, armeno du, ellenico (dorico) τύ,
albanese të, ti, sl.a. ti, baltico tù, irl.a. tú, gaelico scozz. tu.

pist: 2Sg. dell’ind. presente del verbo “essere”; la consonante iniziale è il risultato
della II mutazione consonantica, che si attua in tutta la sua pienezza nell’alto
tedesco superiore (dialetti bavaresi ed alemanni); nell’alto tedesco medio bist.

in: prep. + D.
himile: DSg. di himil M-a “cielo”; si noti la scelta del singolare, in luogo del
plurale presente nella lingua di partenza (in caelis) e mantenuto nelle versioni in
ingl.a. e gotico (da gr. en tois ouranois).

195
uuihhi: 2Sg. dell’imperativo pres. di wihen “santificare” Vd1 || > ted. weihen.

namun: ASg. di namu “nome” M-n || v. supra.


dinan: ASg. del possessivo din, dal G. del pronome du ||
qhuieme: 3Sg. del congiuntivo/ottativo di queman Vf4 || v. supra got. qimai
rihhi: NSg. di rice “regno, impero” M-ja || cfr. got. reiki “potere, autorità”, s.a.
ríki, fris.a. ríke, a.t.a. ríhhi “regno, impero”, isl. ríki. Prestito molto antico, nelle
lingue germaniche assunto dal celtico rīx, come dimostra il vocalismo -i- nella
sillaba radicale, cfr. lat. rex e sanscr. raj- < ie. *reg- “regolare, rendere giusto”,
“re”, “regno”.
din: N.Sg. Nt. dell’agg. poss. þin, derivato dal genitivo del pronome personale þu
(v. infra) || cfr. norr. þinn, got. þein, a.t.a. dīn (> ted. dein) < germ. *þīna-z < ie.
*teinos.

uuerde: 3Sg. del cong. pres. del verbo werdan “divenire, avvenire” Vf3 ( > ted.
werden) || cfr. got. wairþan, ingl.a. weorðan, < germ. *werþ-an-an < ie. *uert- >
lat. vertere “volgere” (uertō , vertī, versum), sanscr. vártate “girare, rotolare”.

uuillo: N.Sg. di willo M-n “volontà, volere”, deverbale da wellan/wollan, “volere”


V. atematico || cfr. cfr. got. wilja sost., willan verbo, fris.a. willa sost.e verbo, s.a.
willio, willian, norr. vilja, da germ. *weljōn da *weljanan verbo < ie. *u̯el-, u̯lei-
, u̯lē(i)- “volere, desiderare, scegliere”, da cui lat. vellē “volere”, lit. viltìs
“speranza”.

din: v. supra.

so: avverbio e congz. “così”, “come”, in correlazione con sosa “e, anche, come” ||
cfr. got. swe/swa, ingl.a. swā “così”, “dunque” (> ingl. so), norr. svá “così” <
germ. * swō < ie. *se-, *swe- “proprio”, da cui anche lat. sī “se”, sic “così”,
sanscr. sva “proprio”.

in himile: v. supra.
sosa: avverbio e congz. “così”, “come”, in correlazione con so “e, anche, come”.

in erdu: D.Sg. del sost. erda (> ted. Erde), “terra” F-o || norr. jǫrð, s.a. ard “casa,
abitazione”, ingl.a. eorþe (> ingl. earth) < germ. *erþō < ie. *er- (gr.a. éra “terra”,
éra-ze “a terra”).

prooth: ASg. di proot(h/broot “pane” Nt.-a || ingl.a. bread, norr. brauð, s.a. brōd.
La consonante iniziale è il risultato della II mutazione consonantica, che si attua in
tutta la sua pienezza nell’alto tedesco superiore (dialetti bavaresi ed alemanni);
unseer: v. supra.
emezzihic: ASg. della flessione forte dell’aggettivo emezzihīc “costante,
permanente, durevole” ||

196
kip: 2Sg. dell’imperativo presente di kepan/giban Vf5 “dare”. La consonante
iniziale e finale sono il risultato della II mutazione consonantica, che si attua in
tutta la sua pienezza nell’alto tedesco superiore (dialetti bavaresi ed alemanni);

uns: D. del pronome di I persona plurale wir “noi”.


hiutu: avv. “oggi”, risultante dal sintagma hiu tagu (nel caso strumentale) “in
questo giorno”; si confronti la resa in gotico || v. supra.
oblaz: 2Sg. dell’imperativo presente di oblāzan, è composto del prefisso ob-,
anche preposizione con il significato di “su”, “da” || da ie. *upo, *up > germ.
*uba; e di lāzan, antico verbo a raddoppiamento e apofonia “lasciare” (> ted.
lassen) || cfr. ingl.a. lætan, norr. láta, fris.a. lēta, s.a. lātan, da ger. *lētanan < ie. *
lē(i)- “lasciare indietro”, “indebolire”

uns: v. supra.
sculdi: APl. di skuld “debito” F-i/-ō || deverbale da sculan/scolan “dovere”
Vpreterito-presente (> ted. sollen) || cfr. ingl.a. sculan ( > ingl. shall/should), a.t.a.
s(k)ulan. Confronti possibili solo con le lingue baltiche (lit.a. skelù “essere
colpevole”, pruss.a. skellānts “colpevole” (prestito dal germanico?)
unseero: APl. dell’agg. possessiva unseer || si confronti con gotico e inglese
antico.
so: v. supra

uuir: pronome personale, I persona plurale; si confronta con ingl.a. wē (> ingl.
we), got. weis < ie. * uē̆-, uei- “noi due (duale)”, “noi (plurale)”.

oblazem: 1Pl. dell’indicativo presente di oblāzan; v. supra.


uns: v. supra.
sculdikem: D.Pl. dell’aggettivo skuld-ig, derivato dal verbo sculan /scolan, qui
sostantivato “debitore”.
enti: anche inti congz. paratattica; cfr. ingl. and.
ni: negazione
unsih: A. del pronome personale I persona plurale wir.
firleiti: 2Sg. dell’imperativo di firleiten “condurre, indurre” Vd1 || si compone del
prefisso fir- (> ted. ver-) e di leiten/leiden “portare”, condurre” || cfr. ingl. lead
“condurre” < germ. *laidjan, *leidjan < ie. *leit- “procedere”.
in khorunka: prep. in + ASg. di khorunka “tentazione” F-ō || deverbale da choron
“scegliere, gustare, mettere alla prova” Vd2, riconducibile al verbo kiosan
“scegliere” Vf3.
uzzer: congz. avversativa “ma” || cfr. ted. außer “fuori da”, “oltre a”.
losi: 2Sg. dell’imperativo di lōsian “sciogliere, liberare” Vd1 || v. lausei nella
versione in gotico e a-lys in quella in inglese.

197
unsih: v. supra.

fona: prep. “da” (> ted. von)


ubile: D.Sg.Nt. della declinazione debole dell’aggettivo ubil “cattivo”, qui
sostantivato || > ted. übel.

Avvertenza:
Sarebbe incauto giungere a deduzioni conclusive sul sistema morfologico delle
lingue germaniche antiche sulla scorta di un’analisi che non tenga conto della
morfosintassi presente nella lingua di partenza, sulla quale queste traduzioni si
basano. Si rinvia pertanto al saggio di Teresa Paroli in bibliografia.

198
Bibliografia

Dizionari

Julius Pokorny, Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch, Bern / München:


Francke Verlag, 1959.
V. Orel, A Handbook of Germanic Etymology, Leiden / Boston: Brill, 2003.
W. Lehmann, A Gothic Etymological Dictionary, Leiden: Brill, 1986.

Bosworth / Toller: An Anglo-Saxon Dictionary, based on the manuscript


collections of the late Joseph Bosworth, edited and enlarged by T. Northcote
Toller, Oxford: Oxford University Press, 1898.
DOE: The Dictionary of Old English, ed. by Angus Cameron, Ashley Crandle
Amos, Antonette diPaolo Healey, Toronto: Centre for Medieval Studies,
University of Toronto, 1986- (A-G).
A. L. Lloyd / O. Springer, Etymologisches Wörterbuch des Althochdeutschen, Bd.
I --. Göttingen -
Zürich: Vandenhoeck & Ruprecht, 1988 --.

Grammatiche

Durante, Elio, Grammatica gotica, Firenze: Sansoni, 1974.


Quirk, Randolph / Charles Leslie Wrenn, An Old English Grammar, London:
Methuen, 1955.
Sonderegger, Stefan, Althochdeutsche Sprache und Literatur. Eine Einführung in
das älteste Deutsch. 3., durchgesehene und wesentlich erweiterte Auflage. Berlin /
New York., 2003.

Letteratura secondaria

Paroli, Teresa, “Testi di evangelizzazione nel mondo germanico: il modello del


Pater Noster, in Lettura di testi tedeschi medioevali, a cura di Vittoria Dolcetti
Corazza e Renato Gendre, Alessandria: Edizioni dell’Orso, 2008, pp. 45-112.

199
Sitografia

Julius Pokorny: Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch


http://indo-european.info/pokorny-etymological-dictionary/index.htm

Indo-European Lexicon
http://www.utexas.edu/cola/centers/lrc/ielex/IELangTable.html

Indogermanische Wörterbücher und Indices

http://www.mediaevum.de/wb9.htm

A Handbook of Germanic Etymology


https://archive.org/stream/Orel-AHandbookOfGermanicEtymology

Bosworth / Toller Anglo-Saxon Dictionary


http://bosworth.ff.cuni.cz/finder/3/ele?page=4

Anglo-Saxon Dictionary (University of Texas)

http://www.utexas.edu/cola/centers/lrc/books/asd/

Lehmann - Gothic Etymological Dictionary (anteprima)

http://books.google.it/books?id=39UUAAAAIAAJ&pg=PR6&lpg=PR6&dq=goth
ic+etymological+dictionary&source=bl&ots=vdIkC1Ra5k&sig=AnT4ykdRsmgiT
AuI3Bp4DRc7fLY&hl=it&sa=X&ei=4mhzVPqWBKHQygPi5oDICw&redir_esc
=y#v=onepage&q&f=false

Codex Argenteus on-line


http://app.ub.uu.se/arv/codex/faksimiledition/contents.html

Thesaurus of Old English

200
http://oldenglishthesaurus.arts.gla.ac.uk/

The Old English Dictionary


http://www.doe.utoronto.ca/
20 accessi gratuiti all’anno, registrandosi nell’area Free Access

DWB = Deutsches Wörterbuch von Jacob und Wilhelm Grimm. 16 Bde. in 32


Teilbänden. Leipzig 1854-1961. Quellenverzeichnis Leipzig 1971.

http://woerterbuchnetz.de/DWB/

Köbler, Gerhard, Althochdeutsches Wörterbuch, (6. Auflage) 2014

http://www.koeblergerhard.de/ahdwbhin.html

201
APPENDICE

I Longobardi

a cura di Antonietta Amati Canta

Ad una probabile origine scandinava della stirpe longobarda offre prezioso


sostegno il racconto leggendario di una delle Wandersagen “saghe della
migrazione” che caratterizzano la diaspora delle trinù germaniche della
cosiddetta ‘cerchia nordica’: i Winnili “i bellicosi, i vittoriosi: i combattenti
(formazione sostantivale riconducibile alla radice del verbo *winn-an
“contendere, conquistare, vincere” + suffisso -ila) il cui cambio di
denominazione in Longobardi (Langbärte, lett. “uomini dalla lunga barba”)
costituisce l’episodio centrale della saga, sarebbero stati una delle tribù
originarie del Nord Europa che, stanziata nella Scania, odierna Svezia
meridionale, migrò sulle coste settentrionali del continente europei.

Principale fonte narrativa è la Historia Longobardorum “Storia dei


Longobardi” (I, 8-9), composta alla corte di Carlo Magno nell’ultimo decennio
dell’VIII secolo dal longobardo Paolo di Warnefrit, monaco benedettino noto
con l’appellativo di Paolo Diacono (720-799 ca.), dedicata ad Adelperga, figlia
di Desiderio e moglie del duca beneventano Arechis II:
“8. A questo punto gli antichi riportano una leggenda divertente: Che i
Vandali si recarono da Godan per chiedergli la vittoria sui Winnili, e lui
rispose che avrebbe concesso la vittoria a coloro che per primi avesse
visto al sorgere del sole: Gambara si recò allora da Frea, moglie di
Godan, a chiedere la vittoria per i Winnili, e Frea le diede questo
consiglio: le donne dei Winnili raccogliessero sul viso i capelli sciolti,
come fossero delle barbe, e di prima mattina si trovassero con gli uomini
e si mettessero, per essere viste anche loro da Godan, da quella parte dove
lui era solito guardare attraverso una finestra, volto a oriente. E così fu
fatto. Quando, al sorgere del sole, le vide, Godan disse: ‘Chi sono codesti
lunghebarbe?’. Allora Frea suggerì che desse la vittoria a coloro a cui
aveva dato il nome. E così Godan diede la vittoria ai Winnili. 9. E’
tuttavia attestato che i Longobardi, che in un primo tempo venivano detti
Winnili, furono in seguito chiamati così per la lunghezza delle lro barbe,

202
che non tagliano mai. Infatti, nella loro lingua, lang signidica ‘lunga’, e
bard ‘barba’88
Nella loro sede in prossimità dell’Elba, dove dimorarono dagli inizi del I
secolo d.C. sino al IV secolo, a stretto contato con la limitrofa amfizionia degli
Istevoni89, costituita da popolazioni germaniche, fra le quali i Sassoni, devote a
Wodan, il dio della guerra, ispiratore e protettore della Gefolgschaft,
aggregazione di combattenti guidata da un valente quanto spericolato
condottiero, i Longobardi si convertirono a idealiyà di vita guerriera.
Proseguendo, a causa di carestie e della calata degli Unni, nel lro moto
migratorio, i Longobardi, all’inizio del VI secolo, vennero a contatto in
Slovacchia con pololazioni che professavano la religione cristiana nella sua
forma ariana: proposta da Ario (256-336), prete di Alessandria, era un’eresia
trinitaria che negava la consustanzialità del Figlio, creato, generato e quidi non
eterno e immutabile, al Padre.
L’intera tribù gradualmente abbandonò il paganesimo convertendosi
all’arianesimo, che, pur se condannato dal Concilio di Nicea del 325 voluto
dall’imperatore Costantino (280-337), continuò a propagarsi e a mettere
profonde radici presso i popoli germanici, sopravvivendo fino al VII secolo
circa quando si realizzò una completa adesione al cattolicesimo. Fu infatti
inteso come elemento di identità e di distinzione, come una forma nazionale di
cristianesimo da opporre al mondo romano-cattolico.
Dopo un breve periodo di assestamento sulla riva destra del Danubio, i
Longobardi verso la prima metà del VI secolo si trasferirono in massa nella
fertile Pannonia, antica provincia romana corrispondente all’odierna Ungheria,
subentrando agli Ostrogoti; nel 546 l’Impero bizantino concesse ai Longobardi
di stanziarsi nelle due Pannonie (Valeria e Savia) e nel Norico (ad ovest del

88
PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, a cura di T. Albarani, Mondadori, Milano 1994, pp.
40 sg.
89
Il culto degli Asi, diffuso principakmente nell’ambito delle tribù stanziate nei territori nordici e
nell’Europa occidentale, si sovrappose con forme diverse di commistione, alla venerazione delle
divinità vaniche: s’individuano così tre leghe sacre che includono tribù accomunate da analoghi
legami culturali: Ingevoni, Istevoni, Erminoni. Lungo le coste del Baltico si estendeva l’amfizionia
degli Ingevoni, devoti alla dea della fertilità Nerthus, divinità vanica, legata quindi a ideali di pace
e di fratellanza. Tuttavia nell’ambito delle tribù più rappresentative di questa lega quali gli Angli e
i Longobardi penetra il culto del dio della guerra, Wodan, venerato dalla limitrofa amfizionia degli
Istevoni, costituita da Sassoni, Frisoni, Franchi. Stanziata lungo le pianure fra il medio corso
dell’Elba e dell’Oder, la lega degli Erminoni era invece devota al figlio di Wodan, Tiw, dio del
cielo e dispensatore dell’energia guerriera; ad essa apparteneva la potente federazione dei
Semnoni, capostipite di Svevi e Alamanni.

203
Danubio) come federati con il compito di arginare l’avanzata dei Gepidi, tribù
germano-orientale.
Qui vennero a contatto sia con le istituzioni politiche ed economiche
dell’Impero Bizantino, sia con le popolazioni provinciali romane e quindi con
la loro cultura, dando così inizio a quel lungo processo di avvicinamento alla
civiltà greco-romana.
Il 2 aprile del 568, il giorno dopo la Pasqua (data evinta da precisa
indicazione fornita da Paolo Diacono), abbandonarono la Pannonia,
intraprendendo una lunga marcia verso l’Italia.
L’anno successivo, nella primavera del 569 i Longobardi, provenienti dalla
Pannonia e guidati da re Alboino, giunsero in Italia, terra considerata idonea ad
un proficuo stanziamento, anche per affinitò religiose (gli Ostrogoti, loro
predecessori, vi avevano professato l’arianesimo) e per vincoli dibastici
(Andonio, decimo re longobardo, aveva sposato la pronipote di Teodorico),
conquistandone i territori nord-orientali ed eleggendo Pavia capitale del nuovo
regno romano- barbarico. Diversamente dagli Ostrogoti legittimati dal
beneplacito dell’imperatore Zenone a trasferirsi in Italia per liberarla dalle
truppe di Odoacre, i Longobardi vi giunsero come nemici e come conquistatori,
mantenendo nei confronti di Bisanzio uno stato di ostilità che si protrasse per
oltre due secoli.
Non si trattò peraltro di una spedizione militare ordinata e regolare, ma fu
contrassegnata da una autonoma capacità di spostamento di fare, unità militari
tenute insieme da vincoli familiari, ‘associazioni in marcia’ che
comprendevano, oltre ai guerrieri, anziani, donne, bambini e schiavi:
distaccandosi dal corpo principale dell’esercfito, si diressero verso l’Italia
centrale e meridionale, dando vita ai ducati di Spoleto e Benevento.
L’autonomia e la mobilità delle fare, guidate dai duces, pur cogliendo di
sorpresa i Bizantini e favorendo quindi la conquista di nuovi territori,
determinò frammentarietà stanziale90 e scarsa coesione all’interno del gruppo
etnico che sfociò in un decennio di anarchia o interregno (574-584), in cui i

90
Al nord i Longobardi conquistarono Friuki, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia e Toscana, al
sud i ducati di Spoleto e Benevento, separati dal rimanente regno longobardo da un ‘corridoio’
bizantino che univa il Lazio alla Romagna.

204
duchi governarono in completa autonomia, impedendo anche l’elezione del
sovrano che avrebbe certamente limitato la loro libertà.
Solo a causa della ripresa di azioni offensive da parte di Bizantini e Franchi
nei loro confronti, i Longobardi furono spinti a restaurare la monarchia
eleggendo re Autari (584-590), di fede ariana; durante il suo regno il territorio
sotto il dominio longobardo, pur se frammentato e limitrofo a territori bizantini
o franchi, venne denominato Regnum Longobardiae o Longobardia.
In questo contesto storico-politico si colloca l’opera legislativa di Rotari, che
così Paolo Diacono presenta (Historia Longobardorum, IV, 42): “Uomo di
grande forza che seguiva la via della giustizia, egli tuttavia non mantenne
l’ortodossia della fede cristiana e si macchiò della perfidia dell’eresia ariana
[…] Rothari, re dei Longobardi, fece raccogliere per iscritto le leggi, prima
tramandate soltanto attraverso la tradizione e l’uso, e volle che quella raccolta
si chiamasse Editto”.
Rotari, diciassettesimo re della stirpe dei Longobardi (636-652) promulgava il
22 novembre del 643, nel suo palazzo di Pavia, un Editto (Edictum Rothari)
che per la prima volta fissava nella scrittura il patrimonio normativo della sua
stirpe, costituito dalle cawarfidae sino ad allora trasmesse oralmente e nella
lingua avita91.
Le cawarfidae (< part.pass. *ga-warpiθo “tratta”, lett. “la tramandata,
convenuta; il patrimonio delle cose già trattate” oppure < *kwadja-arbiθo
“eredità dei detti”) indicano, con parola longobarda attestat nelle leggi di
Liutprando, le antiche consuetudini giuridiche, delibere approvate con il
tintinnio delle lance dalla gairethinx (gaire “lancia” + θinx “assemblea,
riunione”), dall’assemblea degli arimanni e cioè degli uomini ‘liberi’
appartenenti all’esercito, e preservate nell’archivio mnemonico degli anziani

91
Piergiuseppe Scardigli, Goti e Longobardi, Studi di filologia germanica, VILSCIAR 3, 1987, p.
167, ritiene che “negli anni compresi fra il 526 (presumibilmente arrivo in Pannonia) e il 643
(promulgazione dell’Editto di Rotari) la lingua longobarda dovette presentare il suo carattere più
‘genuino e intatto’. Ci mancano peraltro testmonianze dirette. È tuttavia lecito pensare a una forte
somiglianza con la lingua germanica più antica che conosciamo, il gotico. Perciò, come è vero che
via via che ci allontaniamo dal 643 e ci avviciniamo al 774 aumenta la convergenza fra longobardo
e tedesco, dovrebbe aumentare la convergenza fra longobardo e gotico man mano che si risale dal
VII al VI secolo. Ci sembra per lo meno affrettata l’assegnazione tout court, all’area tedesca del
longobardo, quasi fosse un tutto con essa. Al contrario diremmo che il longobardo è da definirsi
come un pianeta che si è staccato dal magma germanico, ha avuto un periodo di avvicinamento
all’orbita gotica e poi è stato attratto definitivamente nell’orbita del tedesco”.

205
della tribù, veri e propri codici viventi, e da questi depositari dell’antico sapere
tecico-giuridico recitate all’occorrenza92.
Anche sull’esempio di redazioni scritte di altri diritti consuetudinari
germanici, la materia giuridica longobarda fu affidata al latino, lingua
divulgativa di grande prestigio: recitate in longobardo, furono tradotte da
redattori romani in latino, peraltro sgrammaticato e corrotto, fatta salvezza per
termini giuridici propriamente longobardi comunque glossati o latinizzati93.

92
L’antico diritto germanico nasceva in pubbliche adunanze in cui il potere deliberante era
esercitato dall’assemblea degli uomini ‘liberi’, cioè soltanto da tutti i soggetti forniti di capacità
giuridica e di attitudine a portere le armi; erano quindi esclusi deformi, donne e schivi. Al singolo
era riconosciuta esclusivamente la facoltà di proporre una soluzione alla questione che costituiva
oggetto di dibattito; la decisione spettva invece alla comunità adunata in armi e la proposta
considerata più oculata e pertinente era approvata dai componenti dell’assemblea, che
esprimevano il loro assenso battendo le lance sugli scudi. Ogni delibera assembleare, espressione
della saggezza collettiva, assumeva carattere di regola, di norma giuridica avvertita, in base ad una
concezione trasparente nell’area semantica del germanico *rehtaz “retto, diritto”, da cui l’inglese
right e il tedesco Recht, come misura correttiva di una ‘deviazione’ dal ‘retto’ cammino e quindi
ad essa contrapposta; affidata alla tradizione orale, trovava, all’occorrenza, conferma della sua
valenza giuridica nella prassi applicativa e confluiva così in quel complesso di precetti
consuetudinari che costituirono l’ossatura della legge germanica.
93
Secondo Nicoletta Francovich Onesti, Vestigia longobarde in Italia (568-774). Lessico e
antroponimia, Artemide, Roma 1999, p.47 sg., l’inserimento di voci native di carattere giuridico,
che cosstituisce elemento “di raccordo tra il codice scritto latino e la memoria della corrispondente
norma orale della cawarfida longobarda”, appare raramente indispensabile; più spesso sembra
utilizzato “per gusto antiquario e per motivi di tradizione, o per intenti politicidi richiamo all’unità
del regno voluta da Rotari contro i duchi”; ma P.M. Arcari, Idee e sentimenti politici dell’alto
Medioevo, Milano 1968, p. 616 sg., afferma: “La presenza del termine barbarico non costituisce,
infatti, solo una prova che la norma risale alle antiche cawarfidae, non risponde solo alla pratica
necessità della traduzione, ci indica qualche cosa di più. Ci permette di cogliere ciò che le gentes
sentivano talmente proprio e peculiare da non poter essere in alcun modo tradotto o comunque non
sufficientemente reso dalla voce latina. L’aspetto semantico del linguaggio non può, infatti, non
coinvolgere tutti quei caratteri razziali e storici che cosstituiscono la fisionomia di un popolo”. Si
ritiene “anche sulla base dei numerosi termini giuridici longobardi presenti nell’Edictum, che
verso la metà del VII secolo i Longobardi pur conoscendo il latino – o meglio il latino volgare o
rustico parlato nella penisola – ancora conservassero il nativo dialetto germanico. Credo sia il caso
di soffermarsi un attimo su questo problema con tutte le conseguenze ad esso connesse.
Innanzitutto c’è da rilevare come, quand’anche sia da accettare il completo bilinguismo dei
Longobardi verso la metà del VII secolo, il fatto stesso che l’Edictum sia scritto in latino mostra il
forte carattere regressivo dell’elemento germanico ed anche, soprattutto, la centralità oramai
acquisita dal latino come strumento politico e culturale e come mezzo di comunicazione. […] Ma
nel 643 sono già trascorse tre generazioni, ci troviamo dunque in un momento in cui, presso
popolazioni emigranti, normalmente si assiste o al recupero della lingua ancestrale oppure alla sua
definitiva perdita. Penso, perciò, che i longobardismi delle leggi non vadano intesi come segnali
della sussistente vitalità del lonobardo quale lingua parlata d’uso ma piuttosto come fossili, relitti
di un lessico tecnico la cui traduzione non doveva essere ad esclusivo beneficio dei ‘romani’ ma
anche degli stessi ‘longobardi’, cui era privilegiTmente indirizzato l’Edictum» (S.M. Cingolani, Le
storie dei Longobardi: dall’origine a Paolo Diacono, Roma 1995 p.153sg.); al riguardo cfr.
Francovich Onesti, op. cit., p. 48, che ritiene estinto il longobardo comunque entro la fine del VII
secolo:«Nell’VIII secolo è escluso che il lgb. fosse ancora vivo e parlato, se prescindiamo forse da
alcume espressioni ricordate solo da una rarefatta minoranza di persone». Scardigli, op.cit., p.
231, nel ritenere che all’epoca nell’ambito della popolazione longobarda il bilinguismo fosse un
fenomeno diffuso, aggiunge: «credo che facilmente un Longobardo fosse, a qualunque ceto
appartenesse, addirittura trilingue. Che insomma con i suoi parlasse longobardo, con i Romani

206
In linea con l’intento espresso da Rotari di apportare aggiunte all’Editto, si
collocano 9 capitoli di Grimoaldo (688), 153 capitoli di Liutprando (713-735),
12 capitoli di Rachis (745-746), 9 capitoli di Astolfo redatti nel 750, a cui s ene
aggiungono 13 nel 755.
La maggiore attività legislativa fu quella di Liutprando (713-744), re
cattolico: articolata in anni diversi, dal 713 al 735, è formulata in 153 capitoli,
suddivisi in 15 gruppi, detti volumina o novellae, corrispondenti alle varie
assemblee durante le quali il sovrano presentava le sue proposte di legge.
Nell’età di Litprando si realizzarono grandi trasformazioni sociali, che
portarono ad una stratificazione interna basata su criteri non più rigorosamente
militari ma essenzialmente economici. La gens Langobardorum si era
trasformata da popolo prettamente guerriero in una società differenziata in
possessores94 longobardi e coltivatori romani. Dall’originaria rigida divisione
tra popolazione romana, a cui si negavano cariche politiche o militari, e
popolazione longobarda che deteneva l’assoluto predominio, si era passati ad
una lenta fusione che mitigò la netta differenziazione sociale tra le due etnie.
Liutprando avviò il vero processo di fusione tra mondo germanico e romano
mediante una ridefinizione non più su base etnica dell’intera società del suo
regno.
Se nell’Editto di Rotari l’elemento cristiano era posto in ombr da un forte
richiamo alla tradizione della gens longobarda, Liutprando invece si definisce
christianus et catholicus fin dal primo prologo (713) e, nell’esercizio del suo
potere legislativo, rivisita il tradizionale diritto longobardo alla luce della
nuova fede abbracciata dai suoi sudditi.
Nell’VIII secolo siera attuta interamente la conversione dei Longobardi al
cattolicesimo: era caduta così l’ultima barriera che contrapponeva i longobardi-
ariani ai romano-cattolici.

latino (ovviamente infiorato di forme germaniche), con i ‘Tedeschi’ indulgesse a pronunce e scelte
di vocaboli sempre più rispondenti a certi connotati peculiari del gruppo alto-tedesco».
94
All’arrivo dei Longobardi, i grandi latifondisti romani fuggirono, abbandonando i loro
possedimenti; sul territorio predominò l’insediamento sparso, a causa anche dello spopolamento
delle campagne, dove erano rimasti solo i coltivatori romani, che svolgevano il lavoro campestre
per i nuovi padroni, gli arimanni-exercitales, versando anche un terzo dei prodotti della terra.
Comunque, diversamente dal diritto romano che prevedeva per lo stesso bene un unico
proprietario, il diritto germanico considerava il singolo legato al bene da un rapporto di possesso
più che di proprietà: nell’ambito del patrimonio agricolo, vi poteva essere un possesso (gewere)
sulla superficie, uno sulle piante, uno sulle sorgenti, ecc., ciascuno appartenente sd una persona
diversa.

207
A differenza di altri Germani, la conversione dei Longobardi alla religione
cattolica, iniziatasi sul finire del 603 circa, maturò lentamente, in quanto si
realizzò attraverso una serie di conversioni individuali: fondamentale fu la
conversione di Agilulfo (590-616) per influenza della regina cattolica
Teodolinda e di papa Gregorio Magno. I sovrani, pur continuando ad essere
ariani e a difrndere l’integrità della loro fede, mostrarono grande rispetto e
tolleranza nei confronti del cattolicesimo, favorendo così un’integrazione
politica e sociale con la popolazione italica e rafforzando il loro governo.
Soltanto dopo Ariperto I (652-661), nipote di Teodolinda e primo re cattolico,
si ebbe la sconfessione ufficiale della fede ariana, mentre il cattolicesimo si
diffondeva tra i Longobardi anche grazie al prestigio che andava assumendo il
papato, il quale rendendosi in un certo senso interprete degli interessi e dei
bisogni della popolazione romana, svolse più volte la funzione di mediatore tra
le due componenti etniche; inoltre, verso la metà del secolo si rivelò anche un
prezioso alleato dei sovrani longobardi contro l’impero bizantino: il primo
riconoscimento dell’esistenza di uno stato pontificio si delinea nella donazione
di Sutri fatta da Liutprando (728).
Desiderio (756-774 ca) fu l’ultimo re dei Logobardi; nel 759 associò il figlio
Adelchi al potere. Mantenne in un primo tempo buoni rapporti col papato e coi
Franchi, grazie anche alla mediazione di Bertrada, regina dei Franchi, che fece
sposare i due figli Carlo e Carlomanno con Ermengarda e Gerberga, figlie di
Desiderio.
Ripresa una politica aggressiva nei confronti del papa, che sosteneva
contro Desiderio i duchi di Spoleto e Benevento, invase lo stato della Chiesa ed
entrò a Roma (772), spingendo Adriano I a chiedere aiuto a Carlo Magno, che
nel frattempo aveva ripudiato la moglie; questi sconfisse Desiderio a Susa e lo
assediò a Pavia (774) mentre Adelchi veniva vinto a Verona. Arresosi,
Desiderio abdicò in favore di Carlo Magno e fu tenuto prigioniero in un
monastero in Francia dove morì.
I territori del regno longobardo finirono sotto il dominio franco, sebbene con
un’ampia autonomia, con l’esclusione del ducato di Benevento che rimase a
lungo indipendente e cadde infine sotto la dominazione normanna verso la fine
dell’XI secolo.

208
Scomparvero quindi tutti gli antichi dicati longobardi, tra cui anche quello
spoletino, con l’eccezione del ducato di Benevento, il quale soltanto nell’812,
co un accordo concluso fra il principe Grimoaldo IV e Carlo Magno,
riconoscerà la sovranità franca, per poi scindersi in due principati (840),
Bnevento (che conservava il controllo delle città di Bari, Brindisi e Siponto) e
Salerno, governati rispettivamente da Radelchi e Siconolfo, ed infine nella
seconda metà dell’XI secolo, cadere vittima dell’espansionismo normanno
nell’Italia meridionale.
Uno stato di conflittualità creatosi all’interno del principato per tendenze
autonomistiche dei vari conti e gastaldi, incapacità amministrativa e le
crescenti intromissioni saracene che, a partire dall’840 interessarono la stessa
Bari sino a sottrarla al dominio beneventano per farne sede di un emirato (847-
871), causarono il declino del controllo longobardo sulla Puglia, che tornò in
mani bizantine.
E’ fonte preziosa delle vicende della Longobardia Minor relativamente al
periodo che va dal 787, anno della morte di Arechi II all’889, penultimo anno
del principato di Aione (884-890), dedicatatio, l’incompiuta Ystoriola
Langobardorum Beneventi degentium di Erchemperto, vissuto nella seconda
metà del IX sec., monaco di Montecassino ma originario di una piccola borgata
del Ducato di Benevento. Erchemperto dichiara nel prologo di accingersi a
scrivere, “sospirando nell’intimo del cuore”, la sua ystoriolam: “narrerò in
maniera breve e sincera, perché sia di insegnamento ai posteri, non il loro
dominio, ma il loro tramonto; non la loro felicità, ma la loro miseria; non il
loro trionfo, ma la loro rovina; non come abbiano progredito, ma come abbiano
indietreggiato; non come sconfissero glia altri, ma come dagli altri furono
95
sconfitti” ; ed una delle ultime sconfitte narrate rigurda proprio la disfatta
subita da Aione nell’888 ad opera dei Bizantini, che costò ai Longobardi la
perdita definitiva della città di Bari.
Verso la fine del secolo, i Bizantini, riconquistate le zone meridionali
suddivise dai Longobardi in gastaldati, attuarono una riorganizzazione
amministrativa suddividendo il territorio in temi, ciascuno dei quali era
governato da uno stratego di nomina imperiale, con competenza sia civile sia

95
ERCHEMPERTI, Historia Langobardorum (sec. IX), trad. di A Carucci, 2 voll., Salerno/Roma,
1995.

209
militare, al quale era concesso il titolo di ‘patrizio’: al gastaldato si sostituì il
tema di Longobardia, con capitale Bari (894), ponte di comunicazione sia con
l’oriente, sia con i principati longobardi del Mezzogiorno e quindi con
l’occidente96.
La denominazione Λογγοβαρδια (Longobardia) al tema di cui Bari fu capitale
dovette derivare, più che dalla preponderanza della popolazione longobarda,
“dalla prevalenza delle istituzioni lonobarde, le quali avevano messo così
profonda radice nelle popolazioni pugliesi che i bizantini non pensarono
neppure a sopprimerle97.
Verso la metà del X secolo in Italia fu istituito, con lo scopo di realizzare un
accentramento dell’amministrazione bizantina sia militare sia civile, il
catapanato d’Italia, il quale sostituì il precedente tema di Longobardia; allo
stratego subentrò con superiore autorità sulterritorio il catapano “comandante”,
la cui sede era Bari.
Ma agli inizi dell’XI secolo la tradizionale intolleranza della popolazione
indigena barese al governo bizantino, ovviamente condivisa dalle nuove
componenti etniche sia longobarde sia saracene, storicamente avversarie
dell’Impero d’Oriente sfociò in una rivolta (1009) capeggiata da Melo da Bari,
nobile di stirpe presumibilmente longobarda, che, alleato con Enrico OO, re
d’Italia e imperatore del Sacro romano Impero, e con la collaborazione della
borghesia di alcume città pugliesi (Bari, Bitonto, Trani), contrastò il
rafforzamento della dominazione bizantina.
Per alcuni anni la regione fu in preda a lotte intestine, risoltesi a favore della
famiglia normanna degli Altavilla, che determinò la fine del dominio bizantino
in Puglia; Roberto il Guiscardo, figlio del capostipite Tancredi, nel 1059
divenne dux Apuliae et Valabriae e nel 1071 conquistò Bari, ultima città
bizantina, realizzando l’unificazione della regione.
(Si consiglia la visione del documentario L’Italia dei Longobardi, prodotto
dall’Associazione Italia Langobardorum e realizzato da ArcheoFrame-IULM:
https://www.youtube.com/watch?v=kYN96a1gwtA )

96
La città di Bari era uno dei centri di diffusione e di sviluppo della civiltà bizantina in Occidente,
collocato sulla via Traiana, antica strada romana che si snodava attraverso importanti punti di
approdo (Otranto, Brindisi, Baro, Benevento, Capua) e costituì peraltro una delle grandi direttrici
lungo la quale giunsero nei sec. IX -XI nell’Italia meridionale anche i monaci italo-greci.
97
E. Besta, “Il diritto consuetudinario di Bari e la sua genesi”, in Scritti di storia giuridica
meridionale, a cura di G. Cassandro, Bari 1962, p. 146.

210
Cartula di morgincap
Archivio del Capitolo metropolitano, Cattedrale di Bari

211
Codice Diplomatico Barese, vol. I, n. 14
data cronica: dicembre 1028 - indizione XI
data topica: Bari
rogatario: Pandus diaconus
scrittura beneventana documentaria o littera langobardisca ‘Bari type’
Archivio del Capitolo metropolitano, Cattedrale di Bari
Periodo greco – bizantino

a cura di Antonietta Amati Canta


Il documento offre prima testimonianza di consegna di morgincap “dono del
mattino”, effettuata il giorno successivo alla celebrazione delle nozze, secondo
disposizione di legge longobarda accolta dal diritto consuetudinario barese.
L’originale pergamena, custodita presso l’Archivio del Capitolo Metropolitano
della Cattedrale di Bari, è vergata dal notaio, il diacono Pandus,
presumibilmente in ossequio al rango degli sposi, in una elegante beneventana
‘Bari type’ con lettere maiuscole e segni di abbreviazione miniati ed
impreziosita da una miniatura centrale che raffigura il barese Mel, figlio di
Natale, di probabile etnia longobarda, nell’atto di consegnare la cartula, un
documento di cessione, di morgincap a sua moglie, la barese Alfarana, figlia di
Bisanzio, appartenente alla nobile famiglia filobizantina degli Alfaraniti,
donandole la quarta parte di un considerevole patrimonio.
Nella parte introduttiva (protocollo), alla invocazione simbolica, rappresentata
da un segno di croce, ed alla invocazione verbale segue la data cronica, che
consta dell’anno d’impero del sovrano in carica (Costantino VIII 960-1028),
del mese e dell’indizione, ossia il numero d’ordine progressivo che quel
determinato anno occupava in un ciclo quindicennale.
Nel testo o mesocollo è data notitia dei contraenti, con indicazione delle
generalità; a seguire, con l’indicazione del ‘diritto’ in base al quale le parti
intendono vincolarsi (professio iuris), la figurazione della natura del contratto,
degli obblighi ed obbligazioni che ne scaturiscono, immediatamente esecutivi,
con dettagliata descrizione dei beni interessati.
A conclusione del testo (escatocollo), la menzione del notaio prescelto per

212
la stesura del documento, con l’indicazione della località di rogito (data topica)
e la ripetizione della data cronica; fa seguito la sottoscrizione dei comparenti.

† In nomine Domini Dei Eterni et Salvatoris nostri Iesu Christi. sexagesimo


nono anno imperii domini Costantini, mense decembrio, undecima ind(ictjone).
Ego Mel Magister filius Natalis de civitate Vari, dum in Dei omnip(o)t(ent)is
nomine te quidem Alfarana filia Bisanti de predicta civitate Vari in meo sociavi
coniugio, tunc in alia die botorum nostrorum post nuptjas, ante amicos et
vicinos nostros, secundum ritus gentis nostre Lagobardorum, ostendi imo et
tradidi tibi hoc libellum scribtum a puplico not(ario) et roboratum ad idoneibus
testibus, quo est morgincaph. et per ipsum tradidi tibi quartam partem de omni
hereditate me stabile et mobile tam de casis et casilis cum curtis et plateis suis
quam et de vineis et vinealis, terris et territoriis, campis et silbis, aquis et
pascuis, arboribus fructiferis et infructiferis, pomiferis et impomiferis, clausis
vel inclausis, cultis vel incultis, termitetis vel olivetis, cisternis, piscinis et
lacoris, de auro vel argento, here vel ferro, stango vel plumbo, serbis vel
ancillis, pannis sericis, lineis vel laneis, animalibus maioribus vel minoribus,
vino et victualibus, oleo et legumina, vasis ligneis et vitreis et ceteris omnibus
regimentis. De omnibus vero rebus stabilibus vel mobilibus, tam de quibus
nunc habeo quam et de quibus in antea diebus vite tue ubicumque vel
qualitercumque parare et conquirere potuero, tivi prephate Alfarane uxori
tradidi quartam partem; ea vidilicet ratjone ut a presenti die in tua et de tuis
heredibus sit potestate et dominatjone et quicquid exinde feceris vel iudicaveris
stabilis permaneat sine requisitjone de meis heredibus. Et cart(ula) ista
morgin(capitis) in supradicta ratjone semper sit firma, quam te Pandum
diaconum taliter scribere rogabi, in predicta civitate Vari, in predicto mense
decembrio et undecima ind(ictjone).

† Ιω(άννης) (πρωτο)ςπαθ(ά)ρ(ιος) αρουμάρχ(ης) Вαρέος ὑπ(έγραψα) ἱδεία


χειρί.
† Вυζά(ντιος) τοπωτ(ε)ρ(ή)τ(ης) ὑπ(έγραψα) ἱδεία χ(ειρί).
† Alfaranus ecprosopus.

213
† Ego Romoaldus clericus et iudex.
† Ego Iohannes testis sum.

«† In nome del Signore Dio Eterno e Salvatore nostro Gesù Cristo.


Sessantanovesimo anno dell’impero di Costantino [Costantino VIII], mese di
dicembre, undicesima indizione. Io mastro Mel figlio di Natale della città di
Bari, dal momento che nel nome di Dio onnipotente mi sono unito in
matrimonio con te Alfarana figlia di Bisanzio della predetta città di Bari, allora
in altro giorno dei nostri voti dopo le nozze, davanti agli amici e ai nostri
vicini, secondo il rito della nostra gente longobarda, ho mostrato infine e ho
consegnato a te questo documento redatto da pubblico notaio e convalidato da
idonei testimoni. Dove è morgincap. E per mezzo dello stesso ho consegnato a
te la quarta parte di ogni mia eredità immobile e mobile, tanto di case e casili
con annessi cortili e spiazzi quanto anche di vigne e vignali, terre e poderi,
campi e boschi, acque e pascoli, alberi fruttiferi e infruttiferi, pomiferi e non
pomiferi, terreni recintati e non recintati, colti o incolti, termiteti e uliveti,
cisterne, piscine e vasche, di oro o argento, rame o ferro, stagno o piombo,
servi o ancelle, panni di seta, lino o lana, animali di grossa o piccola taglia,
vino e viveri, olio e legumi, vasi in legno e vetro e tutte le altre gestioni. Di
tutti i beni immobili o mobili, tanto di quelli che io ora possiedo quanto anche
di quelli che potrò nei giorni a venire della tua vita dovunque o in qualsiasi
modo procacciare e conquistare, a te predetta moglie Alfarana ho consegnato la
quarta parte; evidentemente per questa finalità affinché dal presente giorno sia
nella potestà e disponibilità tua e dei tuoi eredi e qualsiasi cosa poi farai o
deciderai permanga stabile senza requisizione da parte dei miei eredi. E questa
cartula di morgincap nella sopraddetta finalità sempre sia intangibile, che chiesi
di scrivere in tali termini per te al diacono Pandus, nella predetta città di Bari,
nel predetto mese di dicembre e undicesima indizione».

† Giovanni protospataro tumarca di Bari sottoscrisse di proprio pugno.


† Bisanzio topoterete sottoscrisse di proprio pugno.
† Alfarano ecprosopo.
† Io Romoaldo clerico e giudice.
† Io Giovanni sono testimone.

214
protocollo: invocazione simbolica invocazione verbale data cronica con
indicazione dell’indizione, ossia il numero d’ordine progressivo che un
determinato anno occupava in un ciclo quindicennale.
testo o mesocollo: notitia dei contraenti, professio iuris ovvero indicazione del
‘diritto’ in base al quale le parti intendono vincolarsi, figurazione della natura
del contratto, degli obblighi ed obbligazioni che ne scaturiscono con dettagliata
descrizione dei beni interessati.
escatocollo: menzione del notaio, data topica ovvero indicazione della località
di rogito sottoscrizione dei comparenti

215

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